Karl Marx, Friedrich Engels, Vladimir Lenin, Joseph Stalin, Enver Hoxha 5 Classics of Marxism Comintern (Stalinist-Hoxhaists) http://ciml.250x.com Georgian Section www.joseph-stalin.net SHMG Press Karl Marx Press of thè Georgian section of Comintern (SH) - Stalinist-Hoxhaists Movement of Georgia V. I. LENIN Opere complete XXIII agosto 1916 - marzo 1917 1965 - Editori Riuniti - Roma Traduzione di Ignazio Ambrogio Proprietà letteraria riservata della S.p.A. Editori Riuniti Roma - Viale Regina Margherita, 290 NOTA DELL'EDITORE La traduzione del presente volume, che contiene le opere scritte da Lenin in. Svizzera tra l'agosto del 1916 e il marzo del 1917, è stata condotta sul ventitreesimo volume della quarta edizione delle Opere di Lenin , pubblicato a Mosca dall'Istituto Marx-Engels-Lenin nel 1949. La maggior parte dei testi è dedicata alla polemica contro il social- sciovinismo e il centrismo ( kautskiano ) nella socialdemocrazia russa e internazionale , in rapporto ai problemi del « disarmo », della guerra imperialistica e della pace « democratica »: L'imperialismo e la scissione del socialismo, Pacifismo borghese e pacifismo socialista, Lettera aperta a Boris Souvarine, Posizioni di principio sul problema della guerra, La difesa della neutralità, Una svolta nella politica mondiale, Palude immaginaria o reale? ecc., ecc. Particolare rilievo assumono nel volume gli scritti di Lenin sulV« economismo imperialistico » ( Sulla tendenza nascente dell'« economismo imperialistico », Risposta a P. Kievski, In- torno a una caricatura del marxismo e all'« economismo imperialisti- co »), nei quali V autore, in polemica con il gruppo Bukharin-Piatakov- Bosc, dimostra la necessità di collegare le questioni della democrazia con la lotta per il socialismo e di concepire la lotta per la democrazia in generale (diritto di autodecisione, ecc.) come parte integrante della lotta perda rivoluzione socialista. Nel Programma militare della rivoluzione proletaria, riprendendo alcuni spunti deWarticolo Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d'Eu- ropa (1915) e rifacendosi ai dati sul capitalismo monopolistico esposti tfe/rimperialismo, fase suprema del capitalismo, Lenin sottolinea che il socialismo non può vincere simultaneamente in tutti i paesi , ma dovrà riportare dapprima la vittoria in uno.o in alcuni paesi capitalistici. Nell’ Abbozzo di tesi del 4 (17) marzo 1917, nelle cinque Lettere da lontano, nei Compiti del POSDR nella rivoluzione russa, ecc scritti all’indomani della rivoluzione di febbraio, l’autore analizza a fondo i rapporti tra le forze di classe in Russia, anticipa alcune idee , svolte piu tardi in Stato e rivoluzione, e indica, su questa base, le prospettive del- l’azione proletaria ( soviet , partito, ecc.) in rapporto alla rivoluzione socialista . agosto 1916 - marzo 1917 SULLA TENDENZA NASCENTE DELL’* ECONOMISMO IMPERIALISTICO » Il vecchio « economismo », degli anni dal 1894 al 1902, ragio- nava cosi. I populisti sono stati smentiti. Il capitalismo ha trionfato in Russia. Non si può quindi parlare di rivoluzioni politiche. Conclu- sione pratica: o « la lotta economica agli operai e la lotta politica ai liberali »: cioè una sterzata a destra. Oppure, invece della rivoluzione politica, lo sciopero generale per instaurare il socialismo: cioè una sterzata a sinistra, come veniva proposta in un opuscolo *, oggi dimen- ticato, di un « economista » russo della fine degli anni novanta. Sta nascendo adesso un nuovo « economismo » 2 , che ragiona con due sterzate analoghe. « A destra »: noi siamo contrari al « di- ritto di autodecisione» (ci opponiamo cioè alTemancipazione dei po- poli oppressi e alla lotta contro le annessioni, anche se nessuno Tha ancora pensato o detto con chiarezza). «A sinistra»: noi siamo con 1 trari al programma minimo (cioè alla lotta per le riforme e per la democrazia), perché esso è «in contrasto» con la rivoluzione so- cialista. È già trascorso piu di un anno dacché Tincipiente tendenza si delineò dinanzi ad alcuni compagni, per Te sattezza, alla conferenza di Berna della primavera del 1915 3 . Per fortuna, in quell’occasione, un solo compagno, che s’imbatté nella generale disapprovazione dei pre- senti, insistette sino alla fine della conferenza sulle idee delP« econo- mismo imperialistico » e le formulò per iscritto sotto forma di « tesi » particolari. Nessuno si associò a quelle tesi. Piu tardi, hanno aderito alle tesi di quel compagno contro Tauto- decisione altri due militanti (i quali non si rendevano conto che questo problema è indissolubilmente connesso con la posizione gene- rale delle «tesi» citate 4 ). Ma, nel febbraio del 1916, la comparsa 10 LENIN del «programma olandese» 5 , pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale , ha chiarito di colpo il « malin- teso » e indotto nuovamente l’autore delle « tesi » originarie, a « risu- scitare » tutto il suo « economismo imperialistico », e questa volta come teoria d’insieme, non piu in rapporto ad un punto ritenuto « particolare ». È assolutamente necessario avvertire ancora una volta i compa- gni interessati, dir loro che sono scivolati nella palude , che tali « idee » non hanno niente in comune né con il marxismo né con la socialdemo- crazia rivoluzionaria. Non è ammissibile che la questione resti piu a lungo « sotto il moggio »: si favorirebbe cosi la confusione ideologica, che verrebbe orientata nella pessima direzione delle reticenze, dei con- flitti « personali », delle « frizioni » interminabili, ecc. È invece nostro dovere insistere nel modo piu reciso e categorico suìYobbligo di stu- diare a fondo e di chiarire definitivamente i problemi sollevati. Nelle tesi suirautodecisione 6 (pubblicate in tedesco, come estratto del n. 2 del Vorbote ) la redazione del Sotsialdemokrat ha esposto volutamente la questione in forma impersonale , ma molto circostan- ziata, accentuando soprattutto il nesso tra il problema dell’autodecisione e il problema generale della lotta per le riforme e per la democrazia, e indicando che non è lecito ignorare il lato politico , ecc. Nelle sue annotazioni alle tesi della redazione sull’autodecisione l’autore delle tesi originarie ( dell’« economismo imperialistico») solidarizza con il programma olandese , rivelando cosi, con singolare evidenza, che il pro- blema dell’autodecisione, neU’impostazione degli autori della tendenza nascente, non è affatto « particolare », ma è invece una questione gene- rale e fondamentale. I rappresentanti della sinistra di Zimmerwald 7 hanno preso cono- scenza del programma olandese tra il 5 e P8 febbraio del 1916, alla sessione di Berna della Commissione socialista internazionale \ Nessun esponente della sinistra, neppure Radete, si è pronunciato a favore di questo programma, giacché in esso sono associati disordinatamente punti come l’« espropriazione delle banche » e altri punti come l’« abolizione dei dazi doganali », la « soppressione della Camera alta », ecc. Tutti i rappresentanti della sinistra di Zimmerwald sono stati unanimi, accor- dandosi a mezza voce — e quasi persino senza dir parola ma con una semplice alzata di spalle — , nel non prendere in considerazione il SULLA TENDENZA NASCENTE 11 programma degli olandesi, perché manifestamente abortito nel suo complesso. Ma Fautore delle tesi originarie, redatte nella primavera del 1915, ha talmente apprezzato quel programma da esclamare: « Io stesso, in sostanza, non ho detto di più» (nella primavera del 1915); «gli olandesi hanno riflettuto a fondo»: « per essi il lato econo- mico è la espropriazione delle banche e delle grandi industrie » (delle grandi imprese), «il lato politico è la repubblica ecc. Giustissimo! ». In realtà, nonché non « riflettere a fondo », gli olandesi hanno redatto un programma assolutamente sconsiderato. È un triste destino della Russia che certa gente si aggrappi da noi proprio a quanto c’è di più sconsiderato nelle novità più recenti!... L’autore delle tesi del 1915 ritiene che la redazione del Sotsial- demokrat sia caduta in contraddizione per aver « anch’essa » proposto l’« espropriazione delle banche », ' soggiungendo addirittura « imme- diata » (con in più le «misure dittatoriali»), nel paragrafo 8 (sui Compiti concreti). «Quante ingiurie m’è costata a Berna questa pro- posizione! », esclama indignato l’autore delle tesi, rievocando le pole- miche bernesi della primavera del 1915. Egli tralascia però e perde di vista un’« inezia »: infatti, nel para- grafo 8, la redazione del Sotsialdemokrat distingue nettamente due casi. Il primo è che la rivoluzione socialista sia già cominciata ; allora, vi si dice, « espropriazione immediata delle banche », ecc. Il se- condo è che la rivoluzione socialista non sia ancora cominciata, e allora conviene aspettare prima di parlare di queste belle cose. Poiché, allo stato attuale , la rivoluzione, nel senso indi- cato sopra, non è ancora cominciata, il programma degli olandesi è assur- do. Ma l’autore delle tesi « approfondisce » la questione, cadendo di nuovo (gira e rigira finisce sempre per ricaderci) nel vecchio errore di trasformare le rivendicazioni politiche (come la «soppressione della Camera alta »? ) nella «formulazione politica della ri- voluzione sociale ». Dopo aver segnato il passo per tutto un anno, l’autore ha fatto ritorno al suo vecchio errore. Sta qui il « bandolo » delle sue disav- venture: egli non sa risolvere il problema del modo di collegare V av- vento dell' imperialismo con la lotta per le riforme e con là lotta per la democrazia , proprio come l’« economismo » di buona memoria non 12 tENIN sapeva collegare l’avvento del capitalismo con la lotta per la democrazia. Di qui la profonda confusione riguardo all’« impossibilità di rea- lizzare» le rivendicazioni democratiche nell’epoca delPimperialismo. Di qui la tendenza, inammissibile per un marxista (e conveniente solo per Un «economista» della Kabociaia mysl) t a ignorare la lotta politica immediata, concreta, di oggi, come di sempre. Di qui 1 ostinata inclinazione a farsi « fuorviare », passando dal riconoscimento delPimperialismo alla sua apologia (come facevano del resto gli « economisti » di buona memoria, che si lasciavano « fuor* viare » dal riconoscimento del capitalismo verso la sua apologia). 'E cosi di seguito. Non è possibile esaminare qui minutamente gli errori in cui è caduto l’autore delle tesi del 1915, nelle sue osservazioni alle tesi della redazione del Sotsialdemokrat sull’autodecisione, perché ogni singola frase è sbagliata\ Non possiamo, d’altra parte, scrivere un opuscolo o un libro, in risposta a tali « osservazioni », se i promotori dell’« econo- mismo imperialistico » segnano il passo ormai da un anno e si rifiutano ostinatamente di fare la sola cosa che, per un preciso dovere di partito e volendo affrontare seriamente le questioni politiche, sarebbero tenuti a fare: esporre cioè in maniera meditata ed esauriente quel che essi chiamano le « nostre divergenze ». Sono perciò costretto a limitarmi ad alcune rapide indicazioni sul modo in cui l’autore applica o « integra » il suo errore fondamentale. Egli ritiene che io mi contraddica: nel 1914 ( Prosvestcenie ) scri- vevo che è assurdo cercare l’autodecisione « nei programmi dei so- cialisti dell'Europa occidentale » 9 , mentre nel 1916 affermo che l’auto- decisione è particolarmente urgente. All’autore non viene in mente ( ! ) che quei « programmi » sono stati compilati nel 1875, nel 1880 e nel 1891! 10 Ma proseguiamo secondo i paragrafi (delle tesi della redazione del Sotsialdemokrat sull’autodecisione ) . § 1. La stessa ripugnanza « economistica » a vedere e impostare i problemi politici. Voiché il socialismo creerà la base economica per eliminare sul terreno politico l’oppressione nazionale, il nostro autore sì rifiuta, per questo motivo , di formulare i nostri compiti politici in tale campo! È semplicemente ridicolo! Voiché il proletariato vittorioso non respinge le guerre contro là SULLA TENDENZA NASCENTE 13 borghesia degli altri paesi, Fautore si rifiuta, per questo motivo, di formulare i nostri compiti nel campo delPoppressione nazionale!! Tutti questi sono esempi palesi di violazione del marxismo e della logica, o, se si vuole, sono una manifestazione della logica degli errori fonda- mentali dell’« economismo imperialistico ». § 2. Gli avversari dell'autodecisione si sono .maledettamente in- garbugliati con il richiamo all'« impossibilità di realizzarla ». La redazione del Sòtsialdemokrat chiarisce loro i due possibili significati di questa non realizzabilità e il loro errore in entrambi i casi. Ma l’autore delle tesi del 1915, senza nemmeno tentare di darci la sua interpretazione, e riconoscendo perciò con noi che qui vengono confuse due cose diverse, persevera in tale confusione ! Egli ricollega le crisi alla « politica imperialistica »: il nostro eco- nomista politico dimentica che le crisi già esistevano anche prima dell’imperialismo ! . . . Dire che l'autodecisione non può essere realizzata economica- mente significa far confusione, spiega il Sotsialdemokrat. L'autore non risponde, non ribatte che per lui l’autodecisione è economicamente irrealizzabile, ma cede la posizione contesa e salta nella politica (Fauto- decisione è « comunque » irrealizzabile), benché gli sia stato detto nel modo più chiaro che, sul piano politico , la repubblica è altrettanto ,« irrealizzabile », nell’epoca deH’imperialismo, quanto l'autodecisione. Messo alle strette, l’autore fa un altro « salto »; e sostiene che la repubblica e tutto il programma minimo sono soltanto « una formula- zione politica della rivoluzione sociale»!!! L’autore si rifiuta di sostenere che l'autodecisione è « economica- mente » irrealizzabile e salta nella politica. Tutto il programma minimo gli appare politicamente irrealizzabile. Ma qui, di nuovo, non c’è un grano di marxismo, non c’è un grano di logica, tranne quella delV« eco- nomismo imperialistico ». Di soppiatto (senza aver riflettuto e senza dar niente di organico, senza affaticarsi a elaborare un proprio programma) Fautore cerca di buttare a mare il programma minimo della socialdemocrazia! Non fa meraviglia che da un anno stia segnando il passo! Ancora, la lotta contro il kautskìsmo non è una questione partico- lare, è la questione generale e fondamentale del nostro tempo: ma l’autore non ha compreso questa lotta. Come gli « economisti » tramu- 14 LENIN tavano iti apologia del capitalismo la lotta contro i populisti, cosi Fau- tore tramuta in apologia delPimperialismo la lotta contro il kautskismo (questo si riferisce anche al paragrafo 3). L'errore del kautskismo sta nel fatto che esso pone in modo riformistico e in un momento come Fattuale rivendicazioni che si pos- sono porre soltanto in modo rivoluzionario (ma Fautore sbaglia nel credere che l’errore del kautskismo sia in generale quello di porre tali rivendicazioni: proprio come gli « economisti » « intendevano » la lotta contro il populismo, supponendo che esso consistesse tutto nel grido di « abbasso l’autocrazia! »). L’errore del kautskismo sta nell’orientare verso il passato, verso il capitalismo del tempo di pace, anziché verso l’avvenire, verso la rivoluzione sociale, le giuste rivendicazioni democratiche (ma Fautore si confonde e suppone non giuste tali rivendicazioni). § 3. Si veda sopra. L’autore elude anche il problema della « fede- razione ». Si ha qui l’errore fondamentale dello stesso « economismo »: l’incapacità di impostare le questioni politiche *. § 4. « Dall’autodecisione deriva la difesa della patria », si ostina a ripetere Fautore. Qui il suo errore è di voler tramutare in uno stampo il rifiuto di difendere la patria, di desumere tale rifiuto non dalle condizioni storiche concrete della guerra in corso ma da conside- razioni « generali ». Questo non è marxismo. All’autore è stato già détto da tempo, ed egli non l’ha confutato: provatevi a elaborare per la lotta contro l’oppressione e la disugua- glianza nazionale una formula che non giustifichi la « difesa della pa- tria». Non potrete farlo. Significa questo che noi* siamo contrari alla lotta contro l’oppres- sione nazionale, se da tale lotta si può desumere, la difesa della patria? No di certo. Perché noi non siamo contrari « in generale » alla «difesa della patria» (si vedano le risoluzioni del nostro partito n )* ma ri opponiamo all ' idealiztazione della guerra imperialistica attuale con questa parola d’ordine mistificatrice. * « Non abbiamo paura degli smembramenti », scrive l’autore, « non difen- diamo le frontiere degli Stati», Provatevi a dare una formulazione politica esatta a tale proposizione!! In effetti, questo è il punto, non riuscite a farlo ; ve lo impedisce la vostra cecità « economistica » nelle questioni della democrazia politica , SULLA TENDENZA NASCENTE 15 L’autore vuole (ma non può; anche su questo punto, in tutto un anno, ha compiuto solo dei vani tentativi...) impostare il proble- ma. della « difesa della patria » in modo radicalmente sbagliato, non storico . I suoi discorsi sul « dualismo » dimostrano che egli non capisce che cosa sia il monismo e che cosa il dualismo. Se io « metterò assieme » una spazzola per le scarpe e un mam- mifero, avrò forse il « monismo »? Se dirò che per raggiungere Pobiettivo a bisogna (c) > a < (b) andare dal punto (b) a sinistra, ma dal punto (c) a destra, sarà questa una forma di « dualismo »? È forse identica la posizione del proletariato delle nazioni che opprimono e delle nazioni oppresse riguardo all’oppressione naziona- le? No, è ben diversa in tutti i sensi; economico , politico , ideale , spi- rituale , ecc. E allora? Allora, per raggiungere uno stesso obiettivo (la fusione delle na- zioni) da punti di partenza diversi , gli uni seguiranno una strada , gli altri un'altra. Negare questo criterio significa praticare quel « monismo » che mette assieme la spazzola per le scarpe e il mam- mifero. «Non è una cosa da dire [pronunciarsi a favore dell’autodeci- sione] ai proletari di una nazione oppressa »: cosi Tautote « interpreta » le tesi della redazione. Curioso davvero! Nelle tesi non si dice niente di simile. L’autore o non le ha lette fino in fondo o ha parlato senza riflettere. § 5. Si veda sopra a proposito del kautskismo. § 6. Si dice all’autore che in tutto il mondo vi sono tre tipi di paesi. L’autore « ribatte », aggrappandosi ai singoli « casi ». Ma que- sta è casistica, non è politica. Volete conoscere uno dei « casi », « il Belgio »? Bene, prendete l’opuscolo di Lenin e, di Zinoviev ivi è detto che noi saremmo stati favorevoli alla difesa del Belgio (persino con la guerra), se in concreto si fosse trattato di un’altra guerra. Non siete d’accordo? Ditelo! 16 LENIN Voi non avete riflettuto sulle ragioni per le quali la socialde- mocrazia è contraria alla « difesa della patria ». Noi non ci opponiamo a questa difesa per le ragioni che voi supponete, poiché il vostro modo (o piuttosto i vostri vani tentativi) di porre il problema è non storico. Ecco la mia risposta all’autore. Definire « solistico » il fatto che, pur giustificando la guerra per abbattere V oppressione nazionale, non giustifichiamo l’attuale guerra imperialistica, combattuta da entrambe le parti solo per rinsaldare la oppressione nazionale, significa usare una parola « forte », senza sfor- zarsi affatto di riflettere . L’autore vuole dare un’impostazione « più di sinistra » al problema della « difesa della patria », ma (dopo tutto un anno) è pervenuto alla confusione più completa! § 7. L’autore critica : «Non viene nemmeno toccata la questione delle “ condizioni di pace ” in generale ». Che critica! Non viene toccata una questione che qui non si vuole porre! Eppure, viene « toccata » e impostata la questione delle annes- sioni, in cui si sono irretiti gli « economisti imperialistici », e questa volta insieme con gli olandesi e con Radek. O voi respingete la proclamazione immediata della parola d’ordine contro le annessioni vecchie e nuove ( non meno « irrealizzabile » dell’autodecisione, nell’epoca dell’imperialismo, sia in Europa che nelle colonie), e allora la vostra apologia dell’imperialismo da latente si fa manifesta. Oppure voi accettate questa parola d’ordine (come ha fatto Radek sulla stampa), e allora riconoscete, sotto un altro nome, l’autodecisione delle nazioni! * ■ • ‘ £ § 8. L’autore preconizza un «bolscevismo su scala europea oc- cidentale » (« non è questa la vostra posizione », egli soggiunge). Non do alcuna importanza al desiderio di rimanere attaccati alla parola « bolscevismo », perché conosco certi « vecchi bolscevichi » che.,, dio ce ne scampi! Posso solo dire che il « bolscevismo su scala euro- pea occidentale », preconizzato dall’autore, non è, secondo il mio pro- fondo convincimento, né bolscevismo né marxismo, ma solo una pic- cola variante del vecchio « economismo ». A mio parere, proclamare per tutto un anno un nuovo bolsce - SULLA TENDENZA NASCENTE 17 vismo e poi limitarsi a questo è il colmo della sconvenienza e della leggerezza, della mancanza di spirito di partito. Non è forse tempo di meditare a fondo e dare ai compagni qualcosa che esponga in modo orgànico e coerente questo « bolscevismo su scala europea occi- dentale »? L’autore non ha dimostrato e non dimostrerà (in riferimento al problèma discusso) che esiste una differenza tra le colonie e le nazioni oppresse dell’Europa. Fra gli olandesi e nel PSD la negazione dell’autodecisione non è solo e tanto un elemento di confusione, perché in pratica l’hanno ormai accettata sia Gorter che i polacchi nella dichiarazione di Zimmer- wald 13 , quanto invece il risultato della posizione particolare delle loro nazioni ( piccole nazioni con tradizioni secolari e pretese da grande potenza). È il colmo della leggerezza e dell’ingenuità copiare, ripetere meccanicamente e senza spirito critico, ciò che in altri paesi scaturisce da decenni di lotta contro una borghesia nazionalistica che inganna il popolo. Ma certa gente imita proprio le cose che non bisogne- rebbe imitare! Scritto nell 'agosto-settembre 1916. Pubblicato per la prima volta nella rivista Bolscevik, 1929, n. 15. Firmato: N. Lenin. RISPOSTA A P. KIEVSKI (IU. PIATAKOV) 14 La guerra — come, del resto, ogni crisi nella vita del singolo o nella storia dei popoli — abbatte e spezza alcuni, tempra e illumina altri. Questa verità si sta facendo luce anche nel campo del pensiero socialdemocratico sulla guerra e sulle sue circostanze. Una cosa è riflet- tere a fondo sulle cause e sul significato della guerra imperialistica, nel quadro di un capitalismo molto progredito, sugli obiettivi della tattica socialdemocratica in relazione alla guerra, sulle cause della crisi della socialdemocrazia, ecc. Un'altra cosa è lasciare che la guerra an- nienti la nostra stessa facoltà di pensare, smettere di ragionare e analiz- zare, sotto il peso delle terribili impressioni e delle dolorose conse- guenze o peculiarità della guerra. Una di queste forme di avvilimento o annientamento dell’umana capacità di pensare ad opera della guerra è l’atteggiamento di disprezzo che l’« economismo imperialistico » assume nei confronti della demo- crazia. P. Kievski non si accorge che questo annientamento, questo terrore, questa rinuncia all’analisi in rapporto alla guerra percorre come un filo rosso tutti i suoi ragionamenti. A che vale discutere di difesa della patria, quando vediamo dinanzi a noi una cosi bestiale carne- ficina? Come parlare ancora di diritti delle nazioni, quando esse ven- gono puramente e semplicemente sterminate? Che cosa è l’autodeci- sione e P« indipendenza » delle nazioni, quando lo vedete voi stessi a che cosa è ridotta la Grecia « indipendente »? A che serve, in generale, pensare ai « diritti », quando non c’è paese in cui non vengano cal- pestati in nome degli interessi della cricca militaristica? E come pen- sare alla repubblica, quando tra le repubbliche piu democratiche e le RISPOSTA A P. KIEVSKI 19 monarchie piu reazionarie non sussiste, dall’inizio della guerra, e non si scorge intorno a noi la benché minima differenza? P. Kievski s’infuria, se qualcuno gli fa osservare che si è la- sciato intimorire, che si è lasciato trasportare a tal punto da negare la democrazia in generale; s’infuria e ribatte; non sono affatto contra- rio alla democrazia, ma soltanto ad una rivendicazione democratica che ritengo « cattiva ». Eppure, per quanto Kievski vada in collera, per quanto cerchi di « persuadere » noi (e forse anche sé stesso) che non si oppone affatto alla democrazia, i suoi ragionamenti — o, per essere più esatti, i continui errori dei suoi ragionamenti — dimostrano il contrario. La difesa della patria è una menzogna in una guerra imperiali- stica, ma non lo è affatto in una guerra democratica e rivoluzionaria. I discorsi sui « diritti » sembrano ridicoli in tempo di guerra, perché ogni guerra sostituisce al diritto la violenza aperta e immediata; ma non bisogna tuttavia dimenticare che nella storia ci sono state (e senza dubbio ci saranno ancora, dovranno esserci in avvenire) delle guerre (democratiche e rivoluzionarie) che, pur sostituendo, nel loro corso, la violenza ad ogni « diritto » e ad ogni democrazia, hanno però gio- vato , per il loro contenuto sociale e per le loro conseguenze, alla causa della democrazia e, quindi , del socialismo. L'esempio della Grecia sembra « smentire » qualsiasi libertà di decisione delle nazioni; ma, non appena si cerchi di riflettere, di analizzare e ponderare, senza farsi stordire dal chiasso delle parole e intimorire dalle impressioni d’incubo suscitate dalla guerra, quest’esempio non appare affatto più serio e persuasivo delle battute di spirito che si è soliti fare sulla repubblica per il sem- plice motivo che le repubbliche « democratiche », anche le più demo- cratiche, non solo la Francia, ma persino gli Stati Uniti, il Portogallo, la Svizzera, hanno instaurato e stanno instaurando nel corso della guerra lo stesso potere arbitrario della cricca militaristica che regna da noi in Russia. È un fatto che la guerra imperialistica cancella le differenze tra la repubblica e la monarchia, ma dedurre di qui la necessità di re- spingere la repubblica, o assumere, quanto meno, un atteggiamento di disprezzo nei suoi confronti, significa farsi spaventare dalla guerra, significa permettere agli orrori della guerra di annientare la nostra capacità di pensare. In modo analogo ragionano numerosi fautori della 20 LENIN parola d’ordine del « disarmo » ( Roland-Holst, i giovani svizzeri, la «sinistra» scandinava 15 , ecc.), quando dicono: perché parlare ancora di utilizzazione rivoluzionaria dell’esercito o della milizia, dal momento che in questa guerra, lo vedete voi stessi, non permane alcuna diffe- renza fra la milizia delle repubbliche e l’esercito permanente delle monarchie? dal momento che il militarismo compie dappertutto i suoi crimini mostruosi? È sempre lo stesso modo di ragionare, lo stesso errore teorico e pratico-politico di cui P. Kievski non s'accorge, pur cadendovi lette- ralmente in ogni riga del suo articolo. Egli crede di polemizzare contro l’autodecisione, è questo il suo obiettivo, ma — contro la sua volontà e senza che se ne renda conto: cosa davvero singolare! — finisce per non addurre un solo argomento che non possa essere portato valida- mente contro la democrazia in genere! La vera fonte di tutti i suoi singolari errori di logica, di tutto questo guazzabuglio, — non solo nella questione delPautodecisione, ma anche in quella della difesa della patria, del divorzio, dei « diritti » in generale, — sta nel fatto che la sua capacità di pensare è stata annientata dalla guerra e che, pertanto, viene radicalmente travisata la posizibne del marxismo verso la democrazia. L’imperialismo è il capitalismo che ha raggiunto un alto grado di sviluppo; l’imperialismo è progressivo; l’imperialismo è la negazione della democrazia; e «quindi» la democrazia è «irrealizzabile» in regime capitalistico. La guerra imperialistica è una stridente violazione di ogni democrazia, sia nelle monarchie arretrate che nelle repub- bliche più progredite; e « quindi » non giova discutere di « diritti » (cioè di democrazia!). Alla guerra imperialistica si può «opporre» « soltanto » il socialismo; l’unica « via d’uscita » è il socialismo; e « quindi » formulare parole d’ordine democratiche nel programma mi- nimo, cioè ancora in regime capitalistico, significa ingannare e illu- dersi, offuscare, rimandare, ecc. la parola d’ordine della rivoluzione socialista. Ecco la fónte reale, sconosciuta a P. Kievski ma reale, di tutte le sue disavventure. Ecco il suo errore logico fondamentale , che, proprio perché fondamentale, pur se l’autore non ne ha coscienza, « esplode » ad ogni passo, come un putrido pneumatico di bicicletta, e « balza fuori » ora nella questione della difesa della patria, ora in quella del divorzio, RISPOSTA A P. KIEVSKt 21 ora in una proposizione sui « diritti », ora in questa frase stupenda (per il sovrano disprezzo dei «diritti» e per la profonda incompren- sione del problema) ; n o fi di diritti si tratterà, m a della distruzione di una schiavitù secolare! Enunciare questa frase significa non aver capito il rapporto tra il capitalismo e la democrazia, tra il socialismo e la democrazia. Il capitalismo in generale e Pimperialismo in particolare trasfor- mano la democrazia in una illusione; nello stesso tempo il capitalismo suscita nelle masse aspirazioni democratiche, crea istituzioni demo- cratiche, inasprisce l’antagonismo fra l’imperialismo, che nega la demo- crazia, e le masse, che aspirano alla democrazia. Il capitalismo e Pim- perialismo non possono essere rovesciati con le riforme democratiche, nemmeno con le piu « ideali », ma soltanto con la rivoluzione econo- mica; e il proletariato, se non si viene educando nella lotta per la democrazia, è incapace di compiere questa rivoluzione. Non si può battere il capitalismo senza impadronirsi delle banche , senza abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma queste misure rivo- luzionarie non possono essere attuate, se non si organizza la gestione democratica, da parte di tutto il popolo, dei mezzi di produzione strappati alla borghesia, se non si conduce tutta la massa dei lavora- tori — proletari, semiproletari e piccoli contadini — a organizzare democraticamente le proprie file, le proprie forze, la propria partecipa- zione allo Stato. La guerra imperialistica è, per cosi dire, una triplice negazione della democrazia (a: in ogni guerra la violenza sostituisce i «diritti»; b\ Pimperialismo è in generale la negazione della demo- crazia; c : la guerra imperialistica assimila interamente la repubblica alla monarchia), ma l’esplosione e gli sviluppi delPinsurrezione sociali- sta contro Pimperialismo sono indissolubilmente legati all’ accentuarsi della resistenza e delPindignazione democratica. Il socialismo porta alPestinzione di qualsiasi Stato e, quindi, anche di qualsiasi democra- zia, ma il socialismo non può essere realizzato altrimenti che attraverso la dittatura del proletariato, la quale associa la violenza contro la borghesia, cioè contro una minoranza della popolazione, al pieno sviluppo della democrazia, cioè alla partecipazione, veramente gene- rale e con diritti veramente uguali, di tutta la massa della popolazione a tutti gli affari politici e a tutte le complesse questioni della liquida- zione del capitalismo. 22 I.EN1N Ecco le « contraddizioni » in cui, per aver dimenticato la dottrina marxista della democrazia, è rimasto irretito P. Kievski. La guerra, per esprimerci in maniera figurata, ha prostrato a tal punto la sua capacità di pensare che egli ha sostituito a qualsiasi riflessione il grido propagandistico « fuori dall’imperialismo », proprio come il grido « fuori dalle colonie » sostituisce l’analisi del significato reale — economico e politico — dell’« uscita » dei popoli civili « dalle colonie », La soluzione marxista del problema della democrazia prevede che il proletariato, nel combattere la sua lotta di classe, utilizzi tutte le istituzioni e le aspirazioni democratiche contro la borghesia allo scopo di preparare la vittoria del proletariato su questa classe, allo scopo di rovesciarla. Questa utilizzazione è tutt’altro che facile, e agli « eco- nomisti », ai tolstoiani, ecc. spesso sembra un’illegittima concessione allo spirito « borghese » e opportunistico, proprio come a P. Kievski sembra un’illegittima concessione allo spirito borghese la difesa della autodecisione delle nazioni « nell’epoca del capitale finanziario », Il marxismo insegna che « lottare contro l’opportunismo », rinunciando a utilizzare le istituzioni democratiche della presente società capita- listica, create e insieme snaturate dalla borghesia, significa arrendersi senza condizioni all’ opportunismo! La sola parola d’ordine che indichi insieme il modo più rapido per uscire dalla guerra imperialistica e il legame tra la nostra lotta contro la guerra e la lotta contro l’opportunismo è la parola d’ordine della guerra civile per il socialismo. Essa soltanto tiene nel giusto conto sia le particolari caratteristiche del periodo bellico — la guerra si protrae e minaccia di diventare tutta un « epoca » — sia il carattere complessivo della nostra attività contro l’opportunismo, col suo paci- fismo, col suo legalismo, col suo adattarsi alla borghesia. Ma, oltre a questo, la guerra civile contro la borghesia è una guerra organizzata e condotta democraticamente dalle masse povere contro una mino- ranza di possidenti. La guerra civile è anch’essa una guerra e deve quindi sostituire la violenza al diritto. Ma la violenza esercitata in nome degli interessi e dei diritti della maggioranza della popolazione assume un carattere diverso: conculca i « diritti » degli sfruttatori, della borghesia, e non può essere realizzata senza l’ organizzazione de* RISPOSTA A P. KIEVSKI 23 mocratica dell'esercito e delle « retrovie ». La guerra civile espropria con la forza, di colpo e prima di tutto, le banche, le fabbriche, le ferrovie, le grandi aziende agricole, ecc. Ma proprio per realizzare tutte queste espropriazioni bisogna far eleggere tutti i funzionari e gli uffi- ciali da parte del popolo, bisogna attuare la completa fusione delPeser- cito che combatte contro la borghesia con la massa della popolazione, bisogna introdurre una democrazia integrale nella gestione delle risorse alimentari, nella loro produzione e distribuzione, ecc. Lo scopo della guerra civile è la conquista delle banche, delle fabbriche, delle offi- cine, ecc., Tannientamento di qualsiasi possibilità di resistenza della borghesia, Teliminazione del suo esercito. Ma questo scopo non può essere raggiunto né sul piano puramente militare né su quello econo- mico o politico, se, nel corso di questa guerra, la democrazia non viene simultaneamente introdotta e diffusa nel nostro esercito e nelle nostre « retrovie ». Noi diciamo oggi alle masse (e le masse sentono istintiva- mente che abbiamo ragione): « Vi stanno ingannando con questa guerra, a cui vi conducono nelTinteresse del capitalismo imperialistico e che camuffano con le grandi parole d'ordine della democrazia. Voi dovete fare e farete guerra alla borghesia in modo realmente demo- cratico e per realizzare concretamente la democrazia e il socialismo ». La guerra attuale unisce e « fonde » i popoli in coalizioni per mezzo della violenza e della dipendenza finanziaria. Nella nostra guerra civile contro la borghesia uniremo e fonderemo i popoli non con la forza del rublo, non con il bastone, non con la violenza, ma con il libero consenso, con la solidarietà dei lavoratori contro gli sfruttatori. La proclamazione della parità di diritti per tutte le nazioni è uno stru- mento d’inganno nelle mani della borghesia; per noi sarà invece una verità che faciliterà e accelererà il passaggio di tutte le nazioni dalla nostra parte. Senza un’organizzazione realmente democratica dei rap- porti fra le nazioni, — e quindi senza la libertà di costituire uno Stato separato, — la guerra civile degli operai e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni contro la borghesia non può essere combattuta. Bisogna utilizzare la democrazia borghese per realizzare Torganiz- zazione socialista e coerentemente democratica del proletariato contro la borghesia e contro l'opportunismo. Non ce altra strada. Ogni altra 24 LENIN * soluzione » non è una soluzione. Il marxismo, come la vita reale, non ne conosce altre, In questa linea dobbiamo inserire la libertà di separazione e la libertà di associazione delle nazioni, senza eluderle, senza temere che ne vengano « contaminati » i compiti « puramente » economici. Scritta nell 'agosto-settembre 1916. Pubblicata per la prima volta nella rivista Froletarskaia revoliutsia, 1929, n. 7. INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO E ALL’« ECONOMISMO IMPERIALISTICO» 18 « Nessuno può compromettere la socialdemocrazia rivoluzionaria, se essa non si compromette da sé »: questo motto bisogna sempre rammentare e tener presente, quando- Luna o l’altra tesi teorica o tattica fondamentale del marxismo riporta la vittoria o si pone sol- tanto all’ordine del giorno, quando contro di essa, oltre ai nemici di- chiarati e seri, « si avventano » anche certi amici che la compromet- tono (in russo diciamo la mortificano) irrimediabilmente, tramutan- dola in una caricatura. Cosi è accaduto piu d’una volta nella storia della socialdemocrazia russa. La vittoria del marxismo nel movimento operaio, alPinizio degli anni novanta del secolo scorso, fu accompagnata dalla comparsa di una caricatura del marxismo sotto specie di « eco- nomismo » o « scioperismo »: e, se gli « iskristi » non avessero lottato per tanti anni contro di essa, non si sarebbero potuti difendere i principi della teoria e della politica proletaria né contro il populismo piccolo-borghese né contro il liberalismo borghese. Cosi è accaduto al bolscevismo, che ha riportato la vittoria nel movimento operaio di massa, nel 1905, fra l’altro perché ha giustamente applicato la parola d'ordine del « boicottaggio della Duma zarista » n nel periodo delle piu aspre battaglie della rivoluzione russa, nell’autunno del 1905, e che ha dovuto conoscere — e sgominare con la lotta — una sua cari- catura, nel periodo dal 1908 al 1910, quando Alexinski e altri fecero gran baccano contro la partecipazione alla III Duma 1B . Così stanno le cose oggi. Il riconoscimento della guerra in corso come guerra imperialistica e la precisazione del suo nesso profondo con la fase imperialistica del capitalismo, oltre che seri avversari, trovano anche amici poco seri, per i quali la parola imperialismo è diventata « una moda » e che, imparata questa paroletta, seminano 26 LENIN tra gli operai la piu irrimediabile confusione teorica, risuscitando tutta una sequela di vecchi errori del vecchio « economismo ». Il capita- lismo ha vinto, e quindi non bisogna piu pensare alle questioni poli- tiche, argomentavano i vecchi «economisti» negli anni dal 1894 al 1901, giungendo a negare la lotta politica in Russia. L’imperialismo ha vinto, e quindi non bisogna più pensare alle questioni della demo- crazia politica, argomentano gli « economisti imperialistici » del nostro tempo. Modello di una simile disposizione di spirito, di una simile caricatura del marxismo è Particolo di P. Kievski, pubblicato sopra, che offre il primo tentativo di esposizione letteraria in qualche modo organica delle esitazioni di pensiero manifestatesi in alcuni circoli del nostro partito sin dall’inizio del 1915. La diffusione dell’« economismo imperialistico » tra i marxisti, che si sono schierati con energia contro il socialsciovinismo e per l’internazionalismo proletario nell’odierna grave crisi del socialismo, sarebbe un gravissimo colpo vibrato alla nostra tendenza (e al nostro partito), perché la comprometterebbe dall’interno, nel suo stesso seno, tramutandola nell’espressione di un marxismo caricaturale. Ed è quindi indispensabile soffermarsi con un’analisi circostanziata anche solo sui principali tra i numerosi errori contenuti nell’articolo di P. Kievski, pur se la cosa di per sé « non è affatto interessante », pur se porta di filato ad una ripetizione oltremodo elementare di verità assoluta- mente elementari, che il lettore attento e riflessivo ha già da un pezzo imparato e capito, seguendo la nostra pubblicistica del 1914 e del 1915. Cominciamo dal punto « centrale » del ragionamento di P. Kievski, per immettere di colpo il lettore nella « sostanza » della nuova ten- denza dell’« economismo imperialistico ». Ì. La posizione del marxismo nei confronti delle guerre e della « difesa della patria » P. Kievski è persuaso e vuole persuadere i lettori che il suo « dissenso » riguarda soltanto l’autodecisione delle nazioni, il paragrafo 9 del nostro programma di partito. E con molta stizza tenta di riget- tare l’accusa di un radicale distacco dal marxismo in genere nella INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 27 questione della democrazia, di un « tradimento » (le velenose virgolette sono di P. Kievski) del marxismo su qualche punto essenziale. Ma la sostanza è che, non appena il nostro autore si accinge a ragionare di un suo privato e singolo dissenso, adducendo argomenti, considera- zioni, ecc., di colpo balza agli occhi che egli si allontana dal marxismo su tutta la linea. Si prenda il paragrafo b (parte seconda) dell’articolo di P. Kievski. « Questa rivendicazione [ossia l’autodecisione delle nazioni] conduce direttamente [!!] al socialpatriottismo », dichiara il nostro autore e spiega che la parola d’ordine « proditoria » della difesa della patria è una conclusione « ricavata con pienissima [ ! ] legittimità logica [!] dal diritto di autodecisione delle nazioni... ». L’autodecisione è, a suo giudizio, « la sanzione del tradimento dei socialpatrioti fran- cesi e belgi, che difendono quest’indipendenza [l’indipendenza nazio- nale della Francia e del Belgio] con le armi in pugno; essi fanno quel che gli assertori dell’^autodecisione” si limitano a dichiarare... ». « La difesa della patria fa parte dell’arsenale dei nostri peggiori nemi- ci... » « Noi ci rifiutiamo assolutamente di capire come si possa essere a un tempo contro la difesa della patria e per l’autodecisione, contro la patria e in suo favore. » Cosi scrive P. Kievski. Egli non ha capito affatto le nostre riso- luzioni contro la parola d’ordine della difesa della patria nella guerra in corso. Bisogna prendere quello che, nero su bianco, è scritto in queste risoluzioni e spiegare ancora una volta il significato di un di- scorso russo molto chiaro. La risoluzione del nostro partito, approvata alla conferenza di Berna nel marzo del 1915 e intitolata: Sulla parola d'ordine della «di- fesa della patria », esordisce con le parole: « La sostanza reale della guerra in corso consiste » in questo e in quest’altro. Il discorso verte sulla guerra in corso. Non ci si potrebbe espri- mere piu chiaramente in russo. Le parole « sostanza reale » mostrano che bisogna distinguere l’apparenza dalla realtà, l’esteriorità dall’es- senza, la parola dalla cosa. Le frasi sulla difesa della patria nella guerra in corso spacciano ipocritamente per guerra nazionale la guerra impe- rialistica degli anni 1914-1916, guerra combattuta per spartirsi le colonie, per impadronirsi di territori stranieri, ecc. Per non dare adito al minimo fraintendimento delle nostre posizioni, la risoluzione ag- giunge un apposito capoverso sulle « guerre effettivamente nazionali » 28 LENIN che « si svolsero specialmente [si badi, specialmente non significa esclu- sivamente!] tra il 1789 e il 1871 ». La risoluzione spiega che « a fondamento >> di queste guerre « effettivamente » nazionali « vi fu una lunga successione di movimenti nazionali di massa, di lotte contro l’assolutismo e il feudalesimo, per l’abbattimento del giogo nazionale... » 19 . Non è forse chiaro? Nell’attuale guerra imperialistica, che è stata generata da tutte le condizioni delPepoca imperialistica, che non è nata cioè casualmente, come un’eccezione, come una deroga alla norma generale ,e tipica, le frasi sulla difesa della patria sono un inganno perpetrato ai danni del popolo, perché questa guerra non è nazionale. In una guerra effettivamente nazionale le parole « difesa della patria » non sono affatto un inganno, e noi non siamo contrari a questa guerra. Le guerre effettivamente nazionali si sono combattute «specialmente» nel periodo dal 1789 al 1871, e la risoluzione, senza negarne minimamente la possibilità nel nostro tempo, chiarisce come distinguere una guerra effettivamente nazionale da una guerra impe- rialistica, travestita con parole d’ordine ingannevolmente nazionali. Ora, per distinguere bisogna appunto esaminare se a loro « fondamento » vi sia « una lunga successione di movimenti nazionali di massa », per l’« abbattimento del giogo nazionale ». A proposito del « pacifismo » la risoluzione dichiara apertamente: « I socialdemocratici non possono negare l’importanza positiva delle guerre rivoluzionarie, vale a dire delle guerre non imperialistiche, come, per esempio, [si badi: « per esempio»], le guerre condotte dal 1789 al 1871* per abolire l’oppres- sione nazionale » 20 . Avrebbe potuto una risoluzione del nostro partito parlare nel 1915 di guerre nazionali, i cui esempi risalivano al periodo 1789-1871, e precisare che noi non neghiamo il valore positivo di queste guerre, se non le considerassimo possibili anche oggi? No di certo. Il commento alle risoluzioni del nostro partito, ossia la loro spie- gazione popolare, è fornito nelPopuscolo di Lenin e Zinoviev II socialismo e la guerra. In quest’opuscolo, a p. 5, è scritto, nero.su bianco, che « i socialisti hanno riconosciuto e riconoscono oggi la le- gittimità, il carattere progressivo e giusto della “difesa della patria" o della guerra “difensiva” » solo nel senso della « liberazione dal giogo nazionale straniero ». Si cita un esempio: la Persia contro la Russia, INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 29 « ecc. », e si dice: « Queste guerre sarebbero ‘"giuste'’ e “difensive”, senza considerare chi abbia sparato per primo, e ogni socialista sim- patizzerebbe per la vittoria , degli Stati oppressi, dipendenti e privi di diritti, contro le “grandi" potenze schiavistiche, che opprimono e de- predano » 2l . L’opuscolo è uscito nell’agosto del 1915 ed è stato pubblicato in tedesco e in francese. P. Kievski lo conosce bene. Ma né Kievski né .alcun altro ha mai avuto niente da obiettare contro la risoluzione sulla difesa della patria, contro la risoluzione sul pacifismo o contro l’interpretazione fornitane nell’opuscolo! E allora, ci si domanda, stia- mo forse calunniando P, Kievski col dirgli che non ha capito affatto il marxismo, se quest’autore, che dal marzo del 1915 non ha obiet- tato mai niente contro la posizione del nostro partito verso la guerra, oggi, nell’agosto del 1916, in uno scritto sull’autodecisione, ossia su una questione particolare, rivela una strabiliante incomprensione del problema generale ? P. Kievski definisce « proditoria » la parola d’ordine della difesa della patria. Possiamo serenamente dichiarargli che ogni parola d’ordine è e sarà sempre « proditoria » per chi la ripeterà meccanicamente; senza meditare sulla sua essenza, limitandosi a citare le parole senza analizzarne il significato. Che cos’è, in termini generali, la « difesa della patria »? È forse un concetto in qualche modo scientifico dell’economia, della politi- ca, ecc.? No. È soltanto l’espressione piu corrente, più usuale, talvolta più filistea, per giustificare la guerra . Niente, assolutamente niente di più! Di « proditorio » può esservi qui solo il fatto che i filistei sono disposti a giustificare* ogni guerra, dicendo « noi difendiamo la pa- tria », mentre invece il marxismo, che non si degrada nel filisteismo, impone sempre l’analisi storica di ogni singolo conflitto, per accertare se questa guerra sia da ritenere progressiva, vantaggiosa per la demo- crazia o per il proletariato, e, in questo senso , legittima, giusta, ecc. La parola d’ordine della difesa della patria, che è la giustificazione piattamente filistea e inconsapevole della guerra, rivela l’incapacità di determinare storicamente la portata e il significato di ogni singola guerra. Il marxismo fornisce quest’analisi e dichiara: se la « sostanza reale » di una guerra consiste, per esempio , nell’abolizione del giogo 30 LENIN straniero (il che è tipico specialmente per l’Europa del periodo 1789*1871), la guerra è progressiva per lo Stato o la nazione op* pressa. Se la « sostanza reale » della guerra è la spartizione delle colo- nie, la divisione del bottino, il saccheggio delle terre straniere (come la guerra del 1914*1916), allora la parola d'ordine della difesa della patria è « un puro e semplice inganno del popolo ». Come scoprire, come determinare la « sostanza reale » di una guerra? La guerra è la continuazione della politica. Bisogna studiare la politica che precede la guerra, la politica che porta e che ha portato alla guerra. Se la politica è stata imperialistica, ha difeso cioè gli interessi del capitale finanziario, ha depredato e oppresso le colonie e gli altri paesi, la guerra che scaturisce da una simile politica è imperialistica. Se la politica è stata una politica di liberazione nazio- nale, ha espresso cioè il movimento delle masse contro l’oppressione straniera, la guerra che ne deriva è una guerra di liberazione na- zionale. Il filisteo non capisce che la guerra è « la continuazione della politica » e quindi si limita a dire « il nemico attacca », « il nemico invade il mio paese », senza domandarsi per quale motivo si com- batta la guerra, con quali classi, per quale fine politico. P. Kievski rimane sullo stesso piano del filisteo, quando dice che i tedeschi hanno invaso il Belgio e che quindi, nel senso deH’autodecisione, « i socialpatrioti belgi hanno ragione », oppure quando dice che i te- deschi hanno conquistato una parte della Francia e che quindi « Guesde può esser contento », perché « si tratta di un territorio abitato dalla nazionalità interessata » (e non da una nazionalità straniera}. Per il filisteo l’importante è di sapere dove stiano gli eserciti, chi adesso abbia la meglio. Per il marxista è invece essenziale il motivo per cui si combatte una guerra concreta , durante la quale pos- sono risultare vittoriosi questi o quegli eserciti. Per quale motivo si combatte la guerra in corso? È indicato nella nostra risoluzione (che si fonda sull'analisi della politica delle potenze belligeranti, politica da esse svolta per decenni prima della guerra). L’Inghilterra, la Francia e la Russia combattono per conservare le co- lonie già rapinate e per saccheggiare la Turchia, ecc.; la Germania combatte per toglier loro le colonie e depredare la Turchia, ecc. Am- mettiamo che i tedeschi conquistino Parigi e Pietroburgo. Muterà INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 31 per questo il carattere della guerra in corso? Nient’affatto. Il fine dei tedeschi — e, quel che piu conta, la politica realizzata dopo la vittoria dei tedeschi — sarà la conquista delle colonie, il predominio in Turchia, l'annessione di territori stranieri, per esempio della Po* Ionia, ecc., ma non certo l’imposizione di un giogo straniero sui francesi o sui russi. La sostanza reale di questa guerra non è nazionale, ma imperialistica. In altri termini, la guerra non viene combattuta per- ché una parte rovescia il giogo straniero, e l’altra lo difende. La guerra si svolge tra due gruppi di oppressori, tra due briganti, che bisticciano sul modo di spartirsi il bottino, per decidere chi dovrà saccheggiare la Turchia e le colonie. In breve: la guerra tra le grandi potenze imperialistiche (che opprimono cioè tutta una serie di popoli stranieri, che li avviluppano con le reti della soggezione al capitale finanziario, ecc.) o in alleanza con loro è una guerra imperialistica. Di tal natura è la guerra del 1914-1916. La «difesa della patria» è in questa guerra un inganno, una sua giustificazione. La guerra contro le potenze imperialistiche, ossia contro i paesi oppressori, da parte dei paesi oppressi (per esempio, i popoli colo- niali) è una guerra effettivamente nazionale. Una simile guerra è possibile anche oggi. La « difesa della patria » da parte della nazione oppressa contro la nazione che l’opprime non è un inganno, e i socia- listi non sono affatto contrari alla « difesa della patria » in questa guerra. L'autodecisione delle nazioni non è altro che la lotta per la completa liberazione nazionale, per la completa indipendenza, contro le annessioni, e i socialisti non possono , senza rinunciare a essere so- cialisti, sottrarsi a questa lotta, in tutte le sue forme, compresa l’insur* rezione o la guerra. P. Kievski crede di polemizzare con Plekhanov: ma proprio Ple- khanov ha indicato il nesso tra l'autodecisione delle nazioni e la difesa della patria! P. Kievski ha prestato fede a Plekhanov e ritiene che questo nesso sia realmente quale egli lo ha delineato. Ma, dopo aver creduto a Plekhanov, Kievski si è spaventato e ha deciso che bisogna negare l’autodecisione per sottrarsi alle conclusioni di Plekhanov... La sua fiducia in Plekhanov è grande, e anche lo spavento è grande, ma 32 LENIN di riflessioni intorno alla natura dell’errore di Plekhanov non si rinviene in lui la minima traccia! Per spacciare la presente guerra come una guerra nazionale i socialsciovinisti si richiamano all’ autodecisione delle nazioni. Contro di loro vi è un’unica lotta giusta: bisogna dimostrare che la guerra in corso non si combatte per emanciparé le nazioni, ma per stabilire quale dei grandi briganti debba opprimere più nazioni. Giungere a negare la guerra, condotta realmente per liberare le nazioni, significa fornire la peggiore caricatura del marxismo. Plekhanov e i socialscio- vinisti di Francia si richiamano alla repubblica francese per giustifi- carne la «difesa» contro la monarchia tedesca. Se ragionassimo come P. Kievski, dovremmo essere contro la repubblica oppure contro una guerra realmente condotta per difendere la repubblica! I socialscio- vinisti tedeschi si richiamano al suffragio universale e airistruzione generale obbligatoria in Germania per giustificare la « difesa » del loro paese contro lo zarismo. Se ragionassimo come Kievski, dovremmo essere contro il suffragio universale e l’istruzione generale obbligato- ria oppure contro una guerra realmente condotta per proteggere da ogni attentato la libertà politica! Prima della guerra 1914-1916 K. Kautsky era una marxista, e a lui si deve tutta una serie di testi e dichiarazioni molto importanti, che saranno sempre un modello di marxismo. Il 26 agosto 1910 Kautsky cosi scriveva, nella Neue Zeit } a proposito della guerra, im- minente: « In una guerra tra la Germania e l’Inghilterra non è in causa la democrazia, ma la supremazia mondiale, cioè lo sfruttamento del mondo. Non è questa una questione per la quale i socialdemocratici dovrebbero schierarsi con gli sfruttatori della propria nazione » (Nette Zeit , 28 Jahrg., Bd. 2, S. 776). Ecco un’ottima formulazione marxista, che coincide appieno con le nostre, che smaschera Y odierno Kautsky passato dal marxismo alla difesa dei socialsciovinismo, che illustra con assoluta chiarezza i fon- damenti della posizione marxista verso le guerre (ritorneremo ancora, sulla stampa, su questa formulazione). Le guerre sono la continua- zione della politica; e quindi, se si sviluppa la lotta per la democrazia, è possibile anche una guerra per la democrazia; l’autodecisione delle nazioni è solo una delle rivendicazioni democratiche e, in linea di INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 33 principio, non si distingue affatto dalle altre. La « supremazia mon- diale » è, in sintesi, il contenuto della politica imperialistica, che viene continuata dalla guerra imperialistica. Negare la « difesa della patria », Cioè la partecipazione a una guerra democratica, è un’assurdità che non ha niente da spartire con il marxismo. Abbellire la guerra im- perialistica, applicandole la nozione di « difesa della patria », spac- ciandola cioè per una guerra democratica, significa ingannare gli operai e passare dalla parte della borghesia reazionaria. 2 « La nostra interpretazione della nuova epoca » P. Kievski, a cui spetta la paternità dell’espressione messa tra virgolette nel sottotitolo, parla continuamente di « nuova epoca ». Pur- troppo, anche in questo caso i suoi ragionamenti sono sbagliati. Le risoluzioni del nostro partito si riferiscono alla guerra pre- sente, prodotta dalle condizioni generali dell’epoca imperialistica. La correlazione tra F« epoca » e la « guerra in corso » è da noi indi- viduata correttamente dal punto di vista del marxismo; per essere marxisti, bisogna valutare ogni singola guerra in concreto. Per ca- pire perché mai tra le grandi potenze, molte delle quali furono tra il 1789 e il 1871 alla testa della lotta per la democrazia, sia potuta e dovuta scoppiare una guerra imperialistica, cioè assolutamente rea- zionaria e antidemocratica per il suo contenuto politico, bisogna anzi- tutto intendere le condizioni generali dell’epoca imperialistica, cioè la trasformazione del capitalismo dei paesi piu progrediti in impe- rialismo. P. Kievski ha travisato completamente la correlazione tra l’« epo- ca » e la « guerra in corso ». Dal suo testo risulta che parlare in con - creto vuol dire parlare di « epoca »! Ma questo è profondamente sba- gliato! L’epoca che va dal 1789 al 1871 è un’epoca particolare per l’Eu- ropa. È questo un dato innegabile. Non si riesce a capire neanche una delle guerre di liberazione nazionale, che sono state tipiche di questo periodo, se non si intendono le condizioni generali dell’epoca. Ma si vuole con ciò significare che tutte le guerre di quest’epoca sono state guerre di liberazione nazionale? No di certo. Dir questo signi- 34 LENIN ficherebbe cadere nell’assurdo e sostituire all’analisi concreta di ogni singola guerra un ridicolo schema. Nel periodo dal 1789 al 1871 vi sono state anche guerre coloniali e guerre tra imperi reazionari, che opprimevano numerose nazioni straniere. Ci si domanda: dal fatto che il capitalismo evoluto d’Europa (e d’America) è entrato nella nuova epoca deH’imperialismo deriva forse che le sole guerre possibili oggi sono le guerre imperialistiche? Si tratterebbe di un’affermazione assurda, che rivelerebbe l’incapacità di discernere un dato fenomeno concreto neH’insieme dei fenomeni più disparati di quest’epoca. Un’epoca è tale appunto perché abbraccia un complesso di guerre e fenomeni molto eterogenei, tipici e non tipici, piccoli e grandi, propri dei paesi progrediti e caratteristici dei paesi arretrati. Eludere queste questioni concrete mediante alcune frasi ge- neriche sull’« epoca », come fa P. Kievski, significa abusare del con- cetto di « epoca ». Riportiamo un solo esempio, tra i molti, per non formulare asserzioni gratuite. Ma bisogna anzitutto rammentare che un solo gruppo di sinistra, il gruppo tedesco « International » 22 , ha enun- ciato nel paragrafo 5 delle sue tesi, pubblicate nel n. 3 del Bollettino della commissione esecutiva di Berna (29 febbraio 1916), un’afferma- zione palesemente sagliata: « In quest’epoca di imperialismo sfrenato non possono piu esservi guerre nazionali ». Abbiamo già analizzato quest’affermazione nello Sbornik Sotsialdemokrata 23 . Qui ci limitiamo a osservare che questa tesi teorica (contro cui ci siamo già battuti nella sessione allargata della commissione esecutiva di Berna, nella primavera del 1916), benché sia nota da un pezzo a chi si interessa al movi- mento internazionalistico, non è stata ancora ripetuta o accolta da nessun gruppo. E P. Kievski, quando ha scritto il suo articolo, nel- l’agosto del 1916, non ha detto niente che richiamasse questa o una analoga asserzione. È necessario formulare tale rilievo perché, se questa tesi teorica o una affine fosse stata enunciata, allora si sarebbe potuto parlare di un dissenso teorico. Ma, poiché nessuno l’ha mai esposta, siamo costretti a dichiarare che non siamo in presenza di una diversa inter- pretazione dell’« epoca », di un dissenso teorico, ma solo di una frase gettata li a casaccio, di un abuso del termine « epoca ». Esempio: «Non somiglia essa [l’autodecisione] — scrive P. Kiev- ski aU’inizìo del suo articolo — al diritto di ottenere gratuitamente INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 35 diecimila desiatine di terra su Marte? Per rispondere a questa domanda bisogna essere assolutamente concreti, tener conto cioè di tutta l'epoca attuale: una cosa è il diritto di autodecisione delle nazioni nell’epoca della formazione degli Stati nazionali, come migliore forma di espan- sione delle forze produttive in quel periodo; un’altra cosa è il diritto di autodecisione quando queste forme, le forme dello Stato nazionale, sono divenute un intralcio all’espansione delle forze produttive. Tra l’epoca dell’affermazione del capitalismo e dello Stato nazionale e l’epoca che vede deperire lo Stato nazionale e prelude al tramonto dello stesso capitalismo la distanza è davvero enorme. Parlare “in generale”, fuori del tempo e dello spazio, non è compito del mar- xista ». Questo ragionamento è un modello di abuso caricaturale del con- cetto di « epoca imperialistica ». Appunto perché questo concetto è nuo- vo e importante, bisogna lottare contro la sua caricatura! A quali paesi si pensa quando si dice che le forme dello Stato nazionale sono divenute un intralcio, ecc.? Si pensa anzitutto ai paesi capitalistici evoluti, alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra, la cui partecipa- zione alla guerra in corso ha caratterizzato la guerra come imperia- listica. In questi paesi, che hanno sinora fatto progredire l’umanità, soprattutto nel periodo dal 1789 al 1871, il processo di formazione dello Stato nazionale si è concluso; in questi paesi il movimento na- zionale è l’irrevocabile passato, che sarebbe un’assurda utopia reazio- naria richiamare in vita. Il movimento nazionale dei francesi, degli inglesi, dei tedeschi è già finito da un pezzo: il momento storico si presenta qui diverso: le nazioni emancipatesi si sono trasformate in paesi oppressori, in nazioni che praticano la rapina imperialistica e vivono alla vigilia del « tramonto del capitalismo ». E le altre nazioni? P. Kievski ripete, come una regola mandata a memoria, che i marxisti devono ragionare « concretamente », ma non applica mai tale criterio. Noi abbiamo fornito di proposito nelle nostre tesi un modello di risposta concreta, e P. Kievski non avrebbe esitato a segna- larci il nostro errore, se ne avesse scoperto uno. Nelle nostre tesi (paragrafo 6) si dice che, per esser concreti, bisogna distinguere almeno tre diversi tipi di paesi in rapporto alla questione dell 'autodecisione, (È chiaro che sarebbe stato impossibile, in 36 LENIN tesi di ordine generale, parlare di ogni singolo paese.) Il primo tipo sono i paesi progrediti deirEuropa occidentale (e deirAmerica), dove il movimento nazionale rappresenta il passato. Il secondo tipo è l’Eu- ropa orientale, dove esso è il presente. Il terzo tipo sono le colonie e le semicolonie, dove esso è in larga misura \ avvenire u . È corretta o sbagliata questa tesi? P. Kievski avrebbe dovuto concentrare qui la sua critica. Ma l’autore neppure s’avvede dove stiano le questioni teoriche! Non capisce che, fino a quando non avrà confutato quest’affermazione (paragrafo 6) delle nostre tesi, — ed è impossibile confutarla perché è giusta, — i suoi ragionamenti sul- P« epoca » ricordano un duellante che « brandisca » la spada senza mandare a segno un sol colpo. « In antitesi all’opinione di V. Ilin — egli scrive a conclusione del suo articolo — noi pensiamo che per la maggior parte [ ! ] dei paesi occidentali [!] la questione nazionale non sia ancora risolta...» Ma allora non è vero che il movimento nazionale dei francesi, degli spagnoli, degli inglesi, degli olandesi, dei tedeschi, degli italiani si sia concluso nei secoli XVII, XVIII e XIX, se non prima? All’inizio dell’articolo, il concetto di « epoca dell’imperialismo » è travisato nel senso che il movimento nazionale si sarebbe concluso dappertutto, e non solo nei paesi progrediti deirOccidente. Nella chiusa dello scritto la « questione nazionale » viene dichiarata « non risolta » proprio nei paesi occidentali!! Non è questa una gran confusione? Nei paesi occidentali il movimento nazionale è ormai il passato remoto. In Inghilterra, in Francia, in Germania, ecc. la « patria » ha ormai cantato il canto del cigno, ha ormai assolto la sua funzione storica, come dire che il movimento nazionale non può più recare qui niente di progressivo, che elevi a una nuova vita economica e politica nuove masse di uomini. Qui, all’ordine del giorno della storia, non si pone il trapasso dal feudalesimo o dalla barbarie patriarcale al progresso nazionale, alla patria civile e politicamente libera, ma il passaggio dalla « patria » capitalisticamente stramatura al socialismo. In Europa orientale le cose stanno altrimenti. Per gli ucraini e i bielorussi, per esempio, solo chi vive con la testa su Marte potrebbe negare che il movimento nazionale è ancora incompiuto, che il ri- sveglio delle masse per la conquista di una propria lingua e lettera- tura (che è l’indispensabile premessa e il portato del completo svi- INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 37 luppo del capitalismo, della completa penetrazione dello scambio sino alFultima famiglia contadina) è ancora in via di compimento. Qui, la « patria » non ha cantato ancora il suo storico canto del cigno. Qui, la « difesa della patria » può essere ancora la difesa della demo- crazia, della propria lingua, della libertà politica, contro i paesi op- pressori, contro il medioevo, mentre gli inglesi, i francesi, i tedeschi e gli italiani mentono oggi quando dicono che nella guerra in corso difendono la loro patria, poiché di fatto essi non difendono né la loro lingua, né la libertà del loro sviluppo nazionale, ma solo i propri diritti schiavistici, le proprie colonie, le « sfere d’influenza » del pro- prio capitale finanziario in terra straniera, ecc. Nelle semicolonie e nelle colonie il movimento nazionale è storica- mente ancora più giovane che nell’Oriente europeo. P. Kievski non ha capito affatto a che cosa si riferiscano le parole sui « paesi molto evoluti » e sull’epoca imperialistica; in che cosa consista la « singolare » posizione della Russia (titolo del para- grafo e nel secondo capitolo' dello scritto di P. Kievski) e non nella sola Russia; dove il movimento di liberazione nazionale sia soltanto una formula ipocrita e dove invece sia una realtà viva e progressiva. 3. Che colè laudisi economica ? Il nodo dei ragionamenti degli avversari dell’autodecisione è il richiamo alla sua « irrealizzabilità » nel mondo capitalistico in genere o in regime di imperialismo. II termine di « irrealizzabilità » viene spesso usato in accezioni varie e inesattamente definite. E quindi nelle nostre tesi abbiamo rivendicato quel che è indispensabile in ogni discussione teorica: che si specificasse cioè che cosa si intende per « irrealizzabilità ». E, senza limitarci a porre l’interrogativo, ab- biamo abbozzato una risposta. Nel senso della difficoltà o impossi- bilità di realizzazione sul piano politico, senza una serie di rivoluzioni, tutte le rivendicazioni della democrazia sono « irrealizzabili » nell’epoca dell’imperialismo. Ma è radicalmente sbagliato parlare di irrealizzabilità dell’auto decisione nel senso dell’impossibilità economica. È questa la nostra posizione. Sta qui il nodo del dissenso teorico 38 LENIN e in una discussione in qualche misura seria i nostri avversari do vrebbero concentrare il loro interesse su questo problema. Si consideri come ragioni in proposito P. Kievski. Egli respinge nettamente l’interpretazione dell’irreaiizzabilità nel senso della « difficoltà di realizzazione » per motivi politici. E ri- sponde all’interrogativo richiamandosi direttamente all’impossibilità economica. « Vuol dire — egli si domanda — che l’autodecisione è nell’epoca delPimperialismo altrettanto irrealizzabile quanto il denaro-lavoro nel- l’epoca della produzione di merci? » E risponde: « Si, proprio cosi! Noi infatti parliamo di contraddizione logica tra due categorie sociali: ^imperialismo” e l^autodecisione delle nazioni'", della stessa con- traddizione logica che corre tra due altre categorie: il denaro-lavoro e la produzione di merci. L’imperialismo è la negazione dell'autode- cisione, e nessun prestigiatore riuscirà a conciliare l’autodecisione con l’imperialismo ». Per quanto sia terribile lo stizzoso termine di « prestigiatori » che P, Kievski ci elargisce, dobbiamo tuttavia far rilevare al nostro autore che egli non capisce affatto che cosa significhi analisi eco- nomica. La « contraddizione logica » — a patto, beninteso, che si tratti di un pensiero logico corretto — non deve prodursi né nell’analisi economica né in quella politica. E quindi a nulla approda il rimando alla « contraddizione logica » in generale , quando si tratta di fornire un’analisi economica, e non politica. Nelle « categorie sociali » rientra sia l’economia che la politica. E quindi P. Kievski, rispondendo subito con energia e nettezza: « Sì, proprio cosi » (ossia l’autodecisione è altrettanto irrealizzabile quanto il denaro-lavoro con la produzione di merci), non fa in realtà che girare intorno alla questione, senza fornire un’analisi economica. In die modo si dimostra che il denaro-lavoro è irrealizzabile con la produzione di merci? Mediante l’analisi economica. Questa analisi, che, come ogni analisi, non tollera « contraddizioni logiche », si avvale di categorie economiche e soltanto economiche (non « so- dali » in genere), e da esse deriva che il denaro-lavoro è irrealizzabile. Nel primo capitolo del Capitale non si fa questione né di politica né di forme politiche né di « categorie sodali »: l’analisi riguarda solo l’economia, io scambio delle mera, lo sviluppo dello scambio delle INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 39 merci. L’analisi economica dimostra (beninteso, per mezzo di ragiona* menti « logici ») che il denaro-lavoro è irrealizzabile con la produzione di merci. P. Kievski non ta nemmeno il tentativo di accostarsi a un’analisi economica! Egli confonde l’essenza economica delPimperialismo con le sue tendenze politiche, come balza evidente dal primo capoverso del primo paragrafo del suo articolo. Eccolo: « II capitale industriale è stato la sintesi della produzione pre- capitalistica e del capitale commerciale-usurario. Il capitale usurario si è posto al servizio di quello industriale. Attualmente, il capitalismo supera le varie forme di capitale; nasce cosi un tipo superiore, uni- ficato di capitale, il capitale finanziario; e quindi rutta l’epoca può chiamarsi epoca del capitale finanziario, di cui l’imperialismo è il sistema corrispondente in politica estera ». Sul piano economico questa definizione non vale un bel niente: alle categorie economiche rigorose sono qui sostituite semplici frasi. Ma non possiamo per il momento indugiare su questo punto. L’es- senziale è che P. Kievski ravvisa nelPimperialismo un « sistema di politica estera >>. Si tratta, anzitutto, della ripetizione sostanzialmente sbagliata di un’idea sbagliata di Kautsky. Si tratta, inoltre, di una definizione puramente ed esclusiva- mente politica dell’imperialismo. Definendo l’imperialismo come un « sistema di politica estera », P. Kievski cerca di eludere l’analisi economica, che egli ha promesso dicendo che l’autodecisione è « al- trettanto » irrealizzabile, ossia economicamente irrealizzabile, nell’epoca dell’imperialismo, quanto il denaro-lavoro con la produzione di merci! Kautsky, in polemica con la sinistra, ha sostenuto che l’imperia- lismo è « soltanto un sistema di politica estera » (e, più esattamente, di annessioni) e che è impossibile definirlo una fase economica deter- minata, un grado di sviluppo, del capitalismo. Kautsky ha torto. È evidentemente sciocco discutere sulle « pa- role ». Non si può vietare che si usi il « termine » di imperialismo in questa o quella accezione. Ma bisogna chiarirne puntualmente il concetto, se si vuole intavolare una discussione. Sul piano economico, l’imperialismo (o «epoca» del capitale fi- 40 LENIN nanziario, non è questione di parole) è la suprema fase di sviluppo del capitalismo, quella fase in cui la produzione ha assunto propor- zioni tali che il monopolio sostituisce la libera concorrenza. È questa la sostanza economica dell'imperialismo. 11 monopolio si manifesta nei trusts, nei cartelli, ecc., neironnipotenza di banche gigantesche, nell’accaparramento delle fonti di materie prime, ecc. T nella concentra- zione del capitale bancario, ecc. Tutto consiste nel monopolio eco- nomico. La sovrastruttura politica di questa nuova economia, del capi- talismo monopolistico {Pimperialismo è capitalismo monopolistico), consiste nel trapasso dalla democrazia alla reazione politica. Alla libera concorrenza corrisponde la democrazia. Al monopolio corrisponde la reazione politica. « Il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libera », dice giustamente R. Hilferding nel suo Capitale finanziario Isolare la « politica estera » dalla politica in generale o, peggio, contrapporre la politica estera a quella interna significa enunciare una idea radicalmente sbagliata, non marxista, non scientifica. Tanto nella politica estera quanto in quella interna Pimperialismo tende a violare la democrazia, tende alla reazione. In questo senso, è incontestabile che Pimperialismo è « negazione » della democrazia in generale, di tutta la democrazia , e non già solo di una sua rivendicazione: Pautodecisione delle nazioni. Essendo « negazione » della democrazia, Pimperialismo « nega » allo stesso modo la democrazia nella questione nazionale (ossia Pauto- decisione delle nazioni): « allo stesso modo », tende cioè a violarla. L’autodecisione è più difficile da realizzare nell’epoca delPimperialismo, esattamente nella stessa misura e nello stesso senso in cui sono difficili da realizzare in quest’epoca (rispetto a quella del capitalismo premo- nopolistico) la repubblica, la milizia, l’elezione dei funzionari da parte del popolo, ecc. Non si può quindi parlare di irrealizzabilità « eco- nomica ». P. Kievski (a parte la sua generale incomprensione delle esigenze dell’analisi economica) è stato forse tratto in errore anche dalla circo- stanza che, per i filistei, Panxiessione (ossia P incorporamento di un territorio straniero, nonostante la volontà dei suoi abitanti, ossia la violazione dell’ autodecisione delle nazioni) è l’equivalente dell’«allarga* INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 41 mento * (espansione) del capitale finanziario su un territorio economico più esteso. Ma non si possono affrontare le questioni teoriche con i criteri del filisteismo. L'imperialismo è, sul piano economico, il capitalismo monopo- listico. Perché il monopolio sia completo, bisogna espellere i concor- renti non solo dal mercato interno (dal mercato di un dato paese), ma anche da quello estero, da tutto il mondo. Esiste, « nell’epoca del capitale finanziario », la possibilità economica di soppiantare la con- correnza anche in uno Stato straniero? Non v’è dubbio che tale mezzo esiste: è la soggezione finanziaria e l’accaparramento delle fonti di materie prime, nonché in seguito di tutte le aziende, del concorrente. I trusts americani sono l’espressione suprema delPeconomia im- perialistica o del capitalismo monopolistico. Per eliminare i concor- renti, i trusts non si contentano dei soli mezzi economici, ma ricor- rono di continuo a quelli politici e persino a quelli penali. Ma sarebbe un gravissimo errore ritenere economicamente irrealizzabile il mono- polio dei trusts con mezzi di lotta puramente economici. Viceversa, la realtà mostra ad ogni passo che la cosa è « irrealizzabile »: i trusts minalo il credito dei concorrenti attraverso la mediazione delle ban- che (i padroni dei trusts sono padroni delle banche: se ne accapar- rano le azioni); i trusts sabotano i trasporti delle materie prime desti- nate ai concorrenti (i padroni dei trusts sono padroni delle ferrovie: ne accaparrano le azioni); i trusts riducono temporaneamente i prezzi al di sotto del costo di produzione, sacrificando milioni, per sgominare i concorrenti e accaparrarne le aziende, le fonti di materie prime (mi- niere, terra, ecc.). Ecco un’analisi puramente economica del potere dei trusts e della loro espansione. Ecco una strada puramente economica per l’espan- sione: V accaparramento delle aziende, degli stabilimenti, delle fonti di materie prime. II grande capitale finanziario di un paese può sempre soppiantare i suoi concorrenti, persino se appartengono ad un paese straniero politicamente indipendente, e in realtà li soppianta sempre. Si tratta di un mezzo economico pienamente applicabile. L’« annessione » eco- nomica è pienamente « realizzabile » senza annessione politica, e si verifica di continuo. Nella letteratura sull’ imperialismo si trovano a 42 LENIN ogni passo indicazioni come: l’Argentina è di fatto una « colonia com- merciale » deiringhil terra; il Portogallo è di fatto un « vassallo » dell’Inghilterra, ecc. È vero: la soggezione economica alle banche in- glesi, l’indebitamento nei confronti dell’Inghilterra, l’accaparramento da parte inglese delle ferrovie, delle terre, delle miniere, ecc. trasfor- mano questi paesi in « annessioni » economiche dell’Inghilterra, senza che risulti violata la loro indipendenza politica. Si chiama autodecisione delle nazioni la loro indipendenza poli- tica. L’imperialismo aspira a distruggerla, perché con l’annessione po- litica quella economica è spesso piu agevole, meno costosa (è più facile corrompere i funzionari, ottenere concessioni, far promulgare una legge vantaggiosa, ecc.), meno complicata e più tranquilla; allo stesso modo l’imperialismo tende a sostituire la democrazia in genere con l’oli- garchia. Ma parlare di « irrealizzabilità » economica dell’autodecisione nell’epoca dell’imperialismo è semplicemente assurdo! P. Kievski elude le difficoltà teoriche ricorrendo a un metodo oltremodo semplice e superficiale, che in tedesco si chiama linguaggio « da Bursche », ossia studentescamente semplicistico, grossolano, usuale (e naturale) nell’ambiente della gozzoviglia studentesca. Eccone un esempio: « Il suffragio universale, — egli scrive, — la giornata lavora- tiva di otto ore, persino la repubblica sono logicamente compatibili con l’imperialismo, benché non gli sorridano [ ! ] e sia quindi molto difficile realizzarli ». Non avremmo assolutamente niente contro questa espressione da Bursche: la repubblica non « sorride » all’imperialismo (una locu- zione allegra può rendere talora più attraenti le discipline scientifi- che!), se oltre ad essa, in un ragionamento su una questione seria, vi fosse anche l’analisi economica e politica. In P. Kievski la locuzione studentesca sostituisce l’analisi, ne maschera l’assenza. Che vuol dire: « La repubblica non sorride all’ imperialismo »? E perché questo accade? La repubblica è una delle forme possibili di sovrastruttura poli- tica della società capitalistica e, per giunta, è la forma più democratica nelle presenti condizioni. Dire che la repubblica « non sorride » all’im- perialismo significa affermare che esiste una contraddizione tra l’im* perialismo e la democrazia. È assai probabile che la nostra conclusione INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 43 « non sorrida », e anzi « non sorrida affatto », a P. Kievski, e tuttavia è incontestabile. Ancora. Di che natura è la contraddizione tra l’imperialismo e la democrazia? È di natura logica o non logica? P. Kievski usa senza riflettere l'avverbio « logicamente » e non s’awede quindi che tale parola gli serve, in concreto, per occultare (agli occhi e alla mente del lettore, nonché a quelli deirautore) proprio la questione intorno a cui si è accinto a dissertare. È la questione dei rapporti tra economia e politica, la questione dei rapporti tra le condizioni economiche e il contenuto economico dell'imperialismo, da un lato, e una determinata forma politica, dairaltro. Ogni « contraddizione » che venga accertata nei ragionamenti umani è una contraddizione logica: questa è una pura tautologia. E con questa tautologia P. Kievski elude la sostanza del problema: si tratta di una contraddizione «logica» 1) tra due feno- meni o tesi economiche ? 2) tra due fenomeni o tesi politiche ? 3) tra due termini, uno dei quali è economico e l'altro politico ? Ecco dove sta il nocciolo del problema, una volta che si sia posta la questione delPirrealizzabilità economica di una determinata forma politica. Se P. Kievski non avesse eluso questa sostanza, avrebbe proba- bilmente notato che la contraddizione tra l'imperialismo e la repub- blica è una contraddizione tra l’economia del capitalismo contempo- raneo (ossia del capitalismo monopolistico) e la democrazia politica in generale. Egli infatti non potrà mai dimostrare che una grande e radicale istanza democratica (elezione dei funzionari o degli ufficiali da parte del popolo, completa libertà di associazione e di riunione, ecc.) contraddica all'imperialismo meno (o, se si vuole, gli « sorrida » di piu) della repubblica. Si ricava cosi la formulazione, sulla quale abbiamo insistito nelle nostre tesi: Timperialismo contraddice, contraddice « logicamente », a tutto il complesso della democrazia politica. A P. Kievski questa nostra tesi « non sorride », perché demolisce la sua illogica costru- zione, ma che farci? Si può forse tollerare che qualcuno, facendo mostra di respingere determinate tesi, cerchi di spacciarle di soppiatto con la frase: « La repubblica non sorride all'imperialismo »? Ancora. Perché mai la repubblica non sorride all’Imperialismo? 44 LENIN E come può l’imperialismo « conciliare » la sua economia con la re- pubblica? P. Kievski non ha meditato su questo punto. Gli rammentiamo le seguenti parole di Engels. Il discorso verte sulla repubblica demo- cratica. E la questione si pone a questo modo: può la ricchezza pre- dominare sotto tale forma di governo? È qui in causa il problema delle « contraddizioni » tra economia c politica. Engels risponde: « ... la repubblica democratica non conosce piu affatto ufficialmente le differenze di possesso» (tra i cittadini). «In essa la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto piu sicura. Da una parte nella forma della corruzione diretta dei funzionari, della quale TAmerica è il modello classico, dall’altra nella forma deiralleanza tra governo e Borsa... » 25 Ecco un modello di analisi economica sul problema della « realiz- zabilità » della democrazia in regime capitalistico, problema di cui quello della « realizzabilità » dell’autodecisione nell’epoca dell’imperia- lismo è solo un aspetto particolare. La repubblica democratica contraddice « logicamente » al capita- lismo, perché « ufficialmente » eguaglia il ricco e il povero. È questa una contraddizione tra la struttura economica e la sovrastruttura po- litica. Nel mondo imperialistico si ha la stessa contraddizione, appro- fondita o aggravata dal fatto che la sostituzione della libera concor- renza con il monopolio rende ancor piu « difficile » la realizzazione di tutte le libertà politiche. Come si concilia il capitalismo con la democrazia? Mediante la realizzazione pratica indiretta dell’onnipotenza del capitale! I mezzi economici sono due: 1) la corruzione diretta; 2) l’alleanza del gover- no con la Borsa. (Nelle nostre tesi questo concetto è espresso dove si dice che in regime borghese il capitale finanziario « comprerà e cor- romperà “liberamente" il piu libero dei governi democratici e repub- blicani e i funzionari elettivi di qualsiasi paese »;) Là dove dominino la produzione mercantile, la borghesia e il potere del denaro, la corruzione (diretta o attraverso la Borsa) è « realizzabile » sotto ogni forma di governo, in ogni democrazia. Ci si domanda che cosa cambi, sotto questo riguardo, allorché il capitalismo venga sostituito dall’imperialismo cioè quando al capita- lismo premonopolistico subentri il capitalismo monopolistico. INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 45 L’unico cambiamento è che il potere della Borsa si espande! Il capitale finanziario è infatti il capitale industriale ingigantito, che ha assunto le dimensioni del monopolio, che si è fuso con il capitale bancario. Le grandi banche si fondono con la Borsa, assorbendola. (Nella letteratura suirimperialismo si parla di decadenza della funzione della Borsa, ma solo nel senso che ogni grande banca è essa stessa una Borsa.) Ancora. Se per la « ricchezza » in generale risulta pienamente realizzabile il suo predominio in ogni repubblica democratica me- diante la corruzione e la Borsa, in qual modo può P. Kievski soste- nere, senza cadere in una spassosa « contraddizione logica », che la maggiore ricchezza dei trusts e delle banche, che maneggiano miliardi, non può « realizzare » il potere del capitale finanziario su una re- pubblica straniera, ossia politicamente indipendente? La corruzione dei funzionari è forse « irrealizzabile » in uno Stato straniero? O l’« alleanza del governo con la Borsa » riguarda sol- tanto il proprio governo? Il lettore può già vedere come, per districare e chiarire, siano occorse dieci pagine contro dieci righe di confusione. Non possiamo quindi analizzare in modo altrettanto minuzioso ogni singolo ragiona- mento di P. Kievski (non ce n’è uno, letteralmente uno, che non sia confuso!), e del resto non è nemmeno necessario, dal momento che si è chiarito l’essenziale. Su tutto il resto basterà un breve commento. 4. Uesetnpio della Norvegia La Norvegia ha « realizzato » nel 1905, neirera del piu sfrenato imperialismo, il preteso irrealizzabile diritto di autodecisione. Par- lare di « irrealizzabilità » è. quindi non solo teoricamente assurdo, mal persino ridicolo. P. Kievski vuole confutare questo dato, trattandoci irosamente da « razionalisti » (ma che c’entra? il razionalista si limita ai ragio- namenti, per giunta astratti, mentre noi abbiamo indicato un fatto concretissimo! Non usa forse P. Kievski la voce straniera di « raziona- lista » con la stessa... come dire nel modo piu eufemistico?... con la 46 LENIN stessa « proprietà » con cui ha usato all’inizio del suo scritto il termine « estrattivo », proponendo le sue considerazioni « in forma estrat- tiva »?). P. Kievski ci rimprovera di considerare « importante l’esterio- rità e non l’essenza autentica dei fenomeni ». Esaminiamo questa es- senza autentica. La confutazione prende l’avvio da un esempio: l’emanazione del- la legge contro i trusts non dimostra che il divieto dei trusts è irrea- lizzabile. Vero. Ma l’esempio è scelto male, perché parla contro Kievski. Una legge è un provvedimento politico, è politica. Ma l’economia non si può in alcun modo vietare con un provvedimento politico. Con la sola forma politica della Polonia, sia essa una parte della Russia zarista o della Germania, una regione autonoma o uno Stato politicamente indipendente, non si può né vietare né abolire la sua soggezione al capitale finanziario delle potenze imperialistiche, l'acca- parramento delle azioni delle sue aziende da parte di questo capitale. L’indipendenza della Norvegia, « realizzata » nel 1905, è pura- mente politica. Essa non ha scosso e non poteva scuotere la sua di- pendenza economica. Questo sostengono appunto le nostre tesi. Noi abbiamo indicato che l’autodecisione riguarda solo la politica e che è quirfdi sbagliato porre il problema dell’ irrealizzabilità economica. Ma P. Kievski ci « confuta », adducendo un esempio d’impotenza dei di- vieti politici nei confronti dell’economia! Bella « confutazione »! Ancora. « Uno o persino molti esempi di vittoria delle piccole sulle grandi imprese non bastano per confutare la giusta tesi di Marx che l’evoluzione generale del capitalismo è accompagnata dalla con- centrazione della produzione. » Quest’affermazione si fonda, anch’essa, su un esempio mal scelto, che viene citato per distogliere l’attenzione (del lettore e dell’autore) dalla reale sostanza della questione. La nostra tesi asserisce che è sbagliato parlare di irrealizzabilità dell’autodecisione nel senso in cui è irrealizzabile il denaro-lavoro nel capitalismo. Non può darsi un solo « esempio » di una simile rea- lizzabilità. P, Kievski ammette col suo silenzio che abbiamo ragione su questo punto, perché passa a una diversa interpretazione dell’« irrea- lizzabilità ». Perché non compie questo passaggio apertamente? Perché non INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 47 formula in modo chiaro e preciso la sua tesi: « L'autodecisione, es- sendo realizzabile nel senso della sua possibilità economica in regime capitalistico, contraddice al progresso ed è quindi reazionaria o è sol- tanto un’eccezione »? Perché l’enunciazione aperta di questa controtesi smaschererebbe di colpo l’autore, che ha invece bisogno di nascondersi. La legge della concentrazione economica, la vittoria della grande produzione sulla piccola è riconosciuta sia dal nostro programma che da quello di Erfurt. P. Kievski nasconde il fatto che la legge della concentrazione politica o statale non è stata riconosciuta in nessun luogo. Ma, se questa legge esiste, perché mai P. Kievski non la espo- ne, invitandoci a integrare il nostro programma? È corretto da parte sua lasciarci con un programma sbagliato e incompleto, dal momento che ha scoperto questa nuova legge della concentrazione statale, una legge che assume un’importanza pratica, se è vero che può emendare il nostro programma di alcune conclusioni sbagliate? P. Kievski non fornisce alcuna formulazione della legge, non ci propone di integrare il nostro programma, perché sente confusamente che si potrebbe coprire di ridicolo. Tutti sghignazzerebbero davanti a questo curioso « economismo imperialistico », se questo punto di vista affiorasse alla superficie, se parallelamente alla legge della sop- pressione della piccola produzione da parte della grande produzione fosse enunciata (in rapporto o accanto ad essa) la « legge » della soppressione dei piccoli Stati da parte dei grandi Stati! Per spiegarci, ci limitiamo a porre una sola domanda a P. Kievski: per quale motivo gli economisti senza virgolette non parlano di « di- sgregazione » dei trusts o delle grandi banche odierne? della possi- bilità di questa disgregazione e della sua realizzabilità? Perché lo stesso « economista imperialistico » tra virgolette è costretto ad ammettere l’eventualità e la realizzabilità della disgregazione dei grandi Stati, e non solo della disgregazione in genere, ma della separazione, per esempio, delle «piccole nazionalità» (si badi!) dalla Russia (par. e del cap. 2 dell’articolo di P. Kievski)? Infine, per mostrare piu chiaramente fino a che punto sia reti- cente il nostro autore, e premonirlo, rileviamo quanto segue: noi abbiamo sempre enunciato con chiarezza la legge della soppressione della piccola produzione ad opera della grande produzione, e nessuno 48 LENIN teme di definire reazionari i singoli « casi » di « vittoria delle pie- cole sulle grandi imprese ». Ma nessun avversario deirautodecisione si è ancora risolto a chiamare reazionaria la separazione della Norvegia dalla Svezia, anche se noi abbiamo posto questo problema sulla stampa fin dal 1914 26 . La grande produzione è irrealizzabile, se si conservano, per esem- pio, i torni a mano; è affatto assurda l’idea della « disgregazione » di una fabbrica meccanica in laboratori dove si lavori a mano. La ten- denza imperialistica ai grandi imperi è assolutamente realizzabile e viene in pratica realizzata spesso sotto forma di alleanza imperialistica tra Stati autonomi in senso politico. Quest’alleanza è possibile e si configura non solo sotto la forma di una fusione economica dei capitali finanziari dei due paesi, ma anche sotto la forma di una « coopera- tone » militare nella guerra imperialistica. La lotta nazionale, l’insur- rezione nazionale, la separazione nazionale sono assolutamente « rea- lizzabili » e si manifestano di fatto nell’epoca dell’imperialismo, anzi s’intensificano, perché l’imperialismo non frena lo sviluppo del capita- lismo e il rafforzamento delle tendenze democratiche tra le masse della popolazione, ma acuisce l’antagonismo tra queste aspirazioni de- mocratiche e le tendenze antidemocratiche dei trusts. Solo dalle posizioni dell’« economismo imperialistico », ossia di un marxismo caricaturale, si può ignorare, per esempio, il seguente originale fenomeno della politica imperialistica: da una parte, l’attuale guerra imperialistica ci fornisce vari esempi di come, con la forza dei legami finanziari e degli interessi economici, si possa coinvolgere un piccolo Stato, politicamente indipendente, nella lotta tra le grandi potenze (Inghilterra e Portogallo). Dall’altra parte, la violazione della democrazia nei rapporti con i piccoli paesi, assai più deboli (sul piano economico e politico) rispetto ai loro « tutori » imperialistici, provoca o Tinsurrczione (Irlanda) o il passaggio di interi reggimenti al nemico (cechi). In questa situazione non è solo « realizzabile » per il capitale finanziario, ma talvolta addirittura vantaggioso per i trusts, per la loro politica imperialistica, per la loro guerra imperialistica, concedere un massimo di libertà democratica, compresa l’indipendenza nazionale, a certe piccole nazioni, al fine di non rischiare avarie nelle « proprie » operazioni belliche. Non è affatto marxista dimenticare L originalità INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 49 dei rapporti strategici e politici e ripetere, a proposito e a sproposito, una sola paroletta mandata a memoria: « Imperialismo », Della Norvegia P. Kievski ci dice, anzitutto, che « è sempre stata indipendente ». Il che è falso; e tale falsità non si può spiegare altrimenti che con la noncuranza da tìursche delittore e col suo scarso interesse per i problemi politici. Prima del 1905 la Norvegia non era uno Stato indipendente, ma godeva soltanto di un’autonomia molto ampia. La Svezia ha riconosciuto la sovranità nazionale della Norvegia solo dopo che quest’ultima se ne è separata. Se la Norvegia « fosse sempre stata indipendente », il governo svedese non avrebbe potuto comunicare alle altre potenze, in data 26 ottobre 1905, che rico- nosceva l’indipendenza della Norvegia. Inoltre, P. Kievski riporta varie citazioni per dimostrare che la Norvegia guardava a Occidente e la Svezia a Oriente, che nella prima « operava » in prevalenza il capitale finanziario inglese, nella seconda quello tedesco, ecc. Egli trae perciò la trionfale conclusione: « Questo esempio [della Norvegia] rientra appieno nei nostri schemi ». Ecco un modello di logica deIP« economismo imperialistico »! Nelle nostre tesi si afferma che il capitale finanziario può dominare in «*ogni paese, sia pure indipendente », e che quindi tutti i ragiona- menti relativi all’« irrealizzabilità » dell’autodecisione, dal punto di vista del capitale finanziario, sono pura e semplice confusione mentale. Ebbene, per confutarci , ci esibiscono alcuni dati che convalidano invece la nostra tesi sulla funzione del capitale finanziario straniero in Nor- vegia sia prima che dopo la separazione!! Parlare del capitale finanziario e dimenticare per questo i pro- blemi politici significa forse ragionare di politica? No, i problemi politici non scompaiono in virtù degli errori logici dell’« economismo ». In Norvegia il capitale finanziario inglese « ha operato » prima e dopo la separazione. In Polonia il capitale finanziario tedesco « ha operato » fino alla separazione di quel paese dalla Russia e continuerà a « operare », qualunque sia la situazione politica della Polonia. È questa una verità talmente elementare che è imbarazzante ripeterla, ma che fare, quando si dimentica l’abbiccì? Scompare per questo il problema politico relativo alla situazione della Norvegia? alla sua appartenenza alla Svezia? all’atteggiamento 50 LENIN degli operai nel momento in cui si è posta la questione della sepa- razione? P. Kievski ha eluso questi problemi, perché essi battono in breccia gli « economisti ». Ma la vita li ha posti e continua a porli. Nella vita si è dovuto decidere se potesse dirsi socialdemocratico l’operaio svedese che non riconosceva il diritto della Norvegia alla separazione. E la vita ha negato questa possibilità. Gli aristocratici svedesi e i preti erano favorevoli alla guerra contro la Norvegia. È un fatto che non scompare sol perché P. Kievski « ha dimenticato » di informarsene nei manuali di storia del popolo norvegese. L’operaio svedese poteva, continuando a essere socialde- mocratico, invitare i norvegesi a votare contro la separazione (la vota- zione sulla separazione si è tenuta in Norvegia il 13 agosto 1905 e ha dato 368.200 voti a favore e 184 contrari; inoltre, alla votazione ha preso parte circa P80 per cento di chi ne aveva diritto). Ma quel- Poperaio svedese che avesse negato, insieme con l’aristocrazia e la borghesia svedese, il diritto dei norvegesi di risolvere questo problema da sé, senza gli svedesi, non tenendo conto della loro volontà, sarebbe stato un socialsciovinista e un mascalzone indegno di militare nel partito socialdemocratico . Ecco in che cosa consiste Papplicazione del paragrafo 9 del nostro programma di partito, che P« economista imperialistico » ha tentato di saltare a piè pari. Non si salta, signori, senza cadere in braccio allo sciovinismo! E Poperaio norvegese? Era forse tenuto, dal punto di vista del- Pintemazionalismo, a votare per la separazione? Nient’affatto. Pur con- tinuando a essere un socialdemocratico, egli poteva votare contro. Avrebbe trasgredito il suo dovere di membro della socialdemocrazia solo se avesse teso fraternamente la mano alPoperaio svedese cento- nero che si fosse pronunciato contro la libertà di separazione della Norvegia. Di quest’elementare differenza tra la posizione dell’operaio nor- vegese e quella dell’operaio svedese alcuni non vogliono tener conto. Ma essi si tradiscono da sé quando eludono questo concretissimo pro- blema politico, che noi solleviamo con ostinazione. Non parlano, cercano sotterfugi e cosi capitolano su tutta la linea. Per dimostrare che il problema « norvegese » può porsi anche INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 51 in Russia, abbiamo di proposito formulato la seguente tesi; uno Stato polacco indipendente è pienamente realizzabile anche oggi per ragioni di carattere puramente militare e strategico. P. Kievski vuole « discu- tere », e quindi tace!! Aggiungiamo: anche la Finlandia, per considerazioni puramente militari e strategiche e nell'ipotesi di un determinato esito della guerra imperialistica in corso (per esempio, unione della Svezia alla Germania e semivittoria di quest’ultima), può diventare uno Stato indipendente, senza compromettere per questo la « realizzabilità » di una qualsiasi operazione del capitale finanziario, senza impedire l’accaparramento delle azioni delle ferrovie e delle altre aziende finlandesi*. P. Kievski si sbarazza delle questioni politiche per lui sgradevoli trincerandosi dietro una bella frase, che caratterizza alla perfezione tutto il suo « ragionamento »: « Ad ogni istante » (letteralmente così è detto alla fine del paragrafo c del primo capitolo), « la spada di Da- mocle può cadere e spezzare resistenza di ogni “autonoma” bottega artigiana » (« allusione » alle piccole Svezia e Norvegia). Ecco, a quanto pare, il marxismo genuino! Lo Stato indipendente della Norvegia, la cui separazione dalla Svezia è stata definita dal governo svedese un « provvedimento rivoluzionario », esiste ormai da una decina d'anni. Ma a che vaie analizzare i problemi politici che ne scaturiscono, se abbiamo letto II capitale finanziario di Hilferding e lo abbiamo « interpretato » nel senso che « ad ogni istante » — ma che giudizi avventati! — il piccolo Stato può scomparire? A che vale richiamare l’attenzione sul fatto che abbiamo degradato il marxismo a « economismo » e ridotto la nostra politica a un’eco dei discorsi degli sciovinisti russi? * Se uno dei possibili esiti della guerra attuale rende pienamente « realiz- zabile » k costituzione in Europa di nuovi Stati, in Polonia, in Finlandia, eoe., senza che le condizioni di sviluppo dell’imperialismo e k sua potenza ne abbiano a risentire, — ché anzi l’influenza, i legami e la pressione del capitale finanziario risulteranno consolidati , — Pesilo opposto rende altrettanto « realizzabile * k costituzione di un nuovo Stato ungherese, ceco, ecc. Gli imperialisti pensano sin da ora a questa seconda soluzione, qualora riportino la vittoria. L’epoca dell’im- perialismo non distrugge né l’aspirazione delle nazioni all’indipendenza politica né k « realizzabilità » di tale aspirazione nel quadro dei rapporti imperialistici mondiali. Senonché, fuori di questo quadro, k repubblica in Russk o in genere una qualsiasi trasformazione democratica sostanziale è « irrealizzabile » senza una serie di rivoluzioni e non può essere mantenuta senza il socialismo. P. Kievski non ha capito proprio niente dei rapporti tra rimperialismo e k democrazia. 52 LENIN Che errore avrebbero commesso gli operai russi nel 1905, se avessero ottenuto la repubblica! 11 capitale finanziario si sarebbe mobi- litato contro di essa, in Francia, in Inghilterra, ecc., e la « spada di Damocle » avrebbe potuto decapitarla « ad ogni istante », se fosse sorta! «La rivendicazione deirautodecisione nazionale non è [...] uto- pistica nel programma minimo: non contrasta con lo sviluppo sociale, perché la sua attuazione non frenerebbe questo sviluppo. » P. Kievski contesta questa citazione di Martov nello stesso paragrafo del suo scritto in cui riporta sulla Norvegia « citazioni » che dimostrano per l’ennesima volta un fatto universalmente noto: cioè che l’« autodeci- sione » e la separazione della Norvegia non hanno arrestato né lo svi- luppo in generale né l’incremento delle operazioni del capitale finan- ziario in particolare né l’accaparramento della Norvegia da. parte degli inglesi! Piu di una volta si sono trovati in Russia dei bolscevichi, per esempio, Alexinski negli anni 1908-1910, che hanno polemizzato con Martov proprio quando Martov aveva ragione! Ci salvi iddio da simili « alleati »! 5. « Monismo e dualismo » P. Kievski, rimproverandoci di « interpretare dualisticamente la rivendicazione », scrive: « V azione monistica dell’ Internazionale è sostituita dalla propa- ganda dualistica ». Queste parole hanno l’apparenza di essere marxiste, materialisti- che: l’azione, che è unica, viene opposta alla propaganda, che è « dua- listica ». Purtroppo, se osserviamo la cosa più da vicino, dobbiamo dire che si tratta di un « monismo » verbale come quello di Duhring. « Se si sussume una spazzola da scarpe sotto V unità mammifero, — ha scritto Engels contro il « monismo » di Duhring, — ci vuol altro perché le crescano le mammelle. » 27 Questo significa che si possono dichiarare « identiche » soltanto INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 33 quelle cose, proprietà, fenomeni, azioni che sono identiche nella realtà oggettiva. E il nostro autore ha dimenticato proprio questa « inezia ». Egli vede il nostro « dualismo » anzitutto nel fatto che ciò che noi esigiamo dagli operai dei paesi oppressori non è ciò — si tratta soltanto della questione nazionale — che pretendiamo dagli operai delle nazioni oppresse. Per controllare se il « monismo » di P. Kievski non è in questo caso simile al « monismo » di Dùhring, bisogna vedere come stiano le cose nella realtà oggettiva. La situazione reale degli operai, riguardo alla questione nazionale, è forse identica nelle nazioni dominanti e in quelle oppresse? No di certo. 1. Economicamente la differenza è che una parte della classe operaia dei paesi oppressori fruisce delle briciole dei sovrapprofitti che i borghesi di queste nazioni ricavano sfruttando sempre fino ah Tosso gli operai delle nazioni oppresse. I dati economici attestano inoltre che tra gli operai dei paesi oppressori la percentuale di quelli « molto qualificati » è maggiore che nelle nazioni oppresse; è inoltre maggiore la percentuale di quelli che entrano a far parte del Yaristo- crazia della classe operaia *. È un fatto. Gli operai del paese oppressore cooperano, entro certi limiti , con la propria borghesia a depredare gli operai (e le masse della popolazione) della nazione oppressa. 2. Politicamente la differenza è che gli operai dei paesi oppres- sori assumono una posizione privilegiata , rispetto agli operai della nazione oppressa, in vari campi della vita politica. 3. Idealmente o spiritualmente la differenza è che gli operai dei paesi oppressori sono sempre educati, dalla scuola e dalla vita, al disprezzo o al disdegno per gli operai delle nazioni oppresse. Per esempio, ogni non grande-russo, che sia stato educato o che sia vissuto tra i grandi-russi, ne ha fatto esperienza. Cosi, nella realtà oggettiva esiste una differenza su tutta la linea ; esiste cioè, nel mondo oggettivo, un « dualismo » che non dipende dalla volontà e dalla coscienza dei singoli. * Si veda, ad esempio, il libro inglese di Hourwich suH'immigrazione e sulla situazione della classe operaia in America { lmmigration and labor). 54 LENIN Come considerare, dopo di ciò, le parole di P. Kievski sulla « azione monistica delPInternazionale »? Questa è solo una frase vuota e sonora, niente di piu. Perché l’azione dell’Intemazionale, composta nella realtà di ope- rai scissi in appartenenti alle nazioni dominanti e in appartenenti a quelle oppresse, sia unitaria , è necessario svolgere la propaganda in modo diverso nei due casi: ecco come bisogna ragionare dalle posi- zioni del « monismo » autentico (non duhringhiano), dalle posizioni del materialismo di Marxf Un esempio? Abbiamo già riferito (oltre due anni or sono nella stampa legale!) l’esempio della Norvegia, e nessuno ha tentato di confutarci. L'azione degli operai norvegesi e svedesi, in questo caso concreto desunto dalla vita, è stata « monistica », unica, internaziona- listica solo perché e in quanto gli operai svedesi hanno incondi- zionatamente sostenuto la libertà di separazione della Norvegia, e gli operai norvegesi hanno posto condizionatamente il pro- blema di questa separazione. Se gli operai svedesi non si fossero schierati senza condizioni per la libertà di separazione dei norvegesi, sarebbero stati degli sciovinisti , dei complici dei grandi proprietari terrieri svedesi, che volevano « trattenere » la Norvegia con la violenza e con la guerra. Se gli operai norvegesi non avessero posto il problema della separazione a certe condizioni , a patto cioè che anche gli iscritti al partito social- democratico potessero votare e far propaganda contro la separazione, avrebbero trasgredito il loro dovere di internazionalisti e sarebbero caduti nell’angusto nazionalismo borghese della Norvegia. Perché? Per- ché la separazione veniva compiuta dalla borghesia e non dal proleta- riato! Perché la borghesia norvegese (come ogni altra borghesia) tende sempre a dividere gli operai del suo paese da quelli di un paese « straniero »! Perché ogni rivendicazione democratica (compresa l’auto- decisione) è subordinata per gli operai coscienti agli interessi supe- riori del socialismo. Se, per esempio, la separazione della Norvegia dalla Svezia avesse significato una guerra, sicura o probabile, dell’In- ghilterra contro la Germania, gli operai norvegesi avrebbero dovuto per questa ragione schierarsi contro la separazione. E gli operai svedesi, senza cessare di essere socialisti, avrebbero avuto il diritto e la possi- bilità di far propaganda contro la separazione solo nel caso in cui si fossero battuti in modo sistematico, coerente e costante contro INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 55 il governo svedese per la libertà di separazione della Norvegia. In caso contrario, gli operai e il popolo della Norvegia non avrebbero creduto , e non avrebbero potuto credere, alla sincerità del consiglio degli operai svedesi. Il guaio degli avversari deirautodecisione è che essi si limitano ad astrazioni morte, per timore di esaminare a fondo anche un solo esempio concreto preso dalla vita reale. L’indicazione concreta delle nostre tesi che il nuovo Stato polacco è pienamente « realizzabile » già oggi, con un determinato concorso di condizioni esclusivamente militari e strategiche aa , è rimasta senza obiezioni da parte dei polac- chi e da parte di P. Kievski. Ma nessuno ha voluto riflettere sulle conseguenze di questa tacita accettazione della nostra tesi. Da essa scaturisce con chiarezza che la propaganda degli internazionalisti non può essere identica tra i russi e tra i polacchi, se vuole educare gli uni e gli altri alT« azione unica ». L’operaio grande-russo (e tedesco) è tenuto a schierarsi incondizionatamente per la libertà di separazione della Polonia, perché altrimenti diventa oggi, di fatto, un servo di Nicola II o di Hindenburg. L’operaio polacco potrebbe schierarsi per la separazione solo a certe condizioni, perché si diventa di fatto servi dell’una o delPaltra borghesia imperialistica quando si specula (come i fraki 29 ) sulle sue vittorie. Non afferrare questa differenza, che è la premessa dell’« azione monistica » delPlntemazionale, è come non capire perché i soldati rivoluzionari, per svolgere un’« azione moni- stica » contro l’esercito zarista, poniamo nei dintorni di Mosca, do- vrebbero marciare verso occidente, se partissero da Nizni-Novgorod, e verso oriente, se partissero da Smolensk. Il nostro nuovo assertore del monismo diihringhiano ci accusa inoltre di non preoccuparci dell’« intima coesione organizzativa tra le diverse sezioni nazionali dell’Intemazionale » durante il rivolgimento socialista. Col socialismo l’autodecisione cade, scrive P. Kievski, perché de- perisce lo Stato. E con una simile affermazione vorrebbe confutarci! Ma noi, in tre righe — nelle ultime tre righe del primo paragrafo delle nostre tesi — diciamo chiaro e tondo che « la democrazia è anche una forma di Stato che dovrà estinguersi con l’estinzione dello 56 LENIN Stato » 30 . Questa verità P. Kievski la ripete — naturalmente per « confutarci »! — in parecchie pagine del paragrafo c (cap. I), e per giunta la ripete travisandola. « Noi concepiamo — egli scrive — e abbiamo sempre concepito il sistema socialista come un sistema eco- nomico democraticamente [!!?] accentrato, nel quale lo Stato, in quanto apparato di dominio di una parte della popolazione sull’altra, scom- pare. » Questa è confusione mentale, perché la democrazia è anche dominio « di una parte della popolazione sull’altra », è anche Stato. In che cosa consista Vestizione dello Stato dopo la vittoria del socia- lismo e quali siano le condizioni di questo processo è evidentemente sfuggito all’autore. Ma l’essenziale riguarda la sua « obiezione » in merito all’epoca della rivoluzione sociale. Dopo averci apostrofati Con il terribile appel- lativo di « talmudisti dell’autodecisione », l’autore dichiara: « Noi con- cepiamo questo processo [la rivoluzione sociale] come l’azione unitaria dei proletari di tutti [!!] i paesi, che distruggono le frontiere dello Stato borghese [!!], che abbattono i pali di confine [indipendente- mente dalla «distruzione delle frontiere»?], che spezzano [!!] le comunità nazionali e instaurano una comunità di classe ». Sia detto senza offesa per il severo giudice dei « tamuldisti », qui ci sono molte parole, ma non si vede affatto il « pensiero ». Il rivolgimento sociale non può essere un’azione unitaria dei pro- letari di tutti i paesi per la semplice ragione che la stragrande maggio- ranza dei paesi e la maggior parte della popolazione terrestre non si trovano ancora nello stadio capitalistico o si trovano nella fase ini- ziale dello sviluppo capitalistico. L’abbiamo affermato nel paragrafo 6 delle nostre tesi 31 , e P. Kievski, solo per disattenzione o per incapacità di riflettere, « non ha notato » che il paragrafo è stato da noi inserito non per caso, ma appunto per confutare le deformazioni caricaturali del marxismo. Soltanto i paesi progrediti dell’Occidente e dell’America del nord sono maturi per il socialismo, e nella lettera di Engels a Kautsky ( Sbornik Sotsialdemokrata 32 ) P. Kievski può reperire l’illu- strazione concreta del « pensiero » — reale e non soltanto promesso — che sognare « l’azione unitaria dei proletari di tutti i paesi » significa rinviare il socialismo alle calende greche, cioè a dire al « mai ». Il socialismo sarà realizzato dall azione unitaria dei proletari, non di tutti i paesi, ma di una minoranza di paesi giunti allo stadio del INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 57 capitalismo evoluto. Da questa incomprensione scaturisce l’errore di P. Kievski. Nei paesi progrediti (Inghilterra, Francia, Germania, ecc.) la questione nazionale è ormai risolta da un pezzo, l’unità nazionale ha ormai fatto il suo tempo; oggettivamente i « compiti nazio- nali » non esistono piu. E quindi solo in questi paesi è possibile fin da oggi « spezzare » le comunità nazionali e instaurare la comunità di classe. Diversamente si pone il problema nei paesi non progrediti, nei paesi che abbiamo classificato ai punti 2 e 3 {nel paragrafo 6 delle nostre tesi), e cioè in tutto l’Oriente europeo e in tutte le colonie e semicolonie. Qui esistono ancora , in linea generale, nazioni oppresse e non evolute sul piano capitalistico. In queste nazioni esistono ancora oggettivamente i compiti nazionali, ossia i compiti democratici , la necessità di abbattere l'oppressione straniera. Fra queste nazioni Engels cita l’esempio dell’India, dicendo che essa può fare la rivoluzione contro il socialismo vittorioso, perché Engels era ben lontano da quel ridicolo « economismo imperialistico » secondo cui il proletariato vittorioso nei paesi progrediti distruggerà « automaticamente » e dappertutto, senza determinate riforme demo- cratiche, l’oppressione nazionale. Il proletariato vittorioso riorganiz- zerà i paesi nei quali avrà vinto. Ma non potrà farlo di colpo, come non è possibile « vincere » di colpo la borghesia. L’abbiamo sotto- lineato di proposito nelle nostre tesi, ma nemmeno questa volta P. Kievski si è domandato perché abbiamo insistito su questo punto in rapporto alla questione nazionale. Mentre il proletariato dei paesi progrediti abbatte la borghesia e ne respinge i conati controrivoluzionari, le nazioni arretrate e op- presse non aspettano, non cessano di vivere, non scompaiono. Se per insorgere (colonie, Irlanda) già si valgono di una crisi piccolissima, rispetto alla rivoluzione sociale, di una crisi della borghesia imperia- listica come la guerra del 1915-1916, non v’è dubbio che per insor- gere approfitteranno ancor piu della grande crisi della guerra civile nei paesi progrediti. La rivoluzione sociale può compiersi soltanto come un’epoca che associa la guerra civile del proletariato contro la borghesia nei paesi piu progrediti a tutta una serie di movimenti democratici e rivoluzio- 58 LENIN nari, compresi i movimenti di liberazione nazionale, nei paesi non evoluti, arretrati e nelle nazioni oppresse. Perché? Perché il capitalismo si sviluppa in modo ineguale, e la realtà oggettiva ci mostra, accanto alle nazioni capitalistiche molto evolute, tutta una sprie di nazioni economicamente molto deboli e non sviluppate. P. Kievski non ha meditato affatto sulle premesse oggettive della rivoluzione sociale, in rapporto alla maturità econo- mica dei diversi paesi, e quindi l’accusa che noi « faremmo conget- ture » su dove applicare l’autodecisione si ritorce davvero contro di lui. Con zelo degno di miglior causa P. Kievski cita piu volte Marx e Engels per dimostrare che non si devono « inventare di testa pro- pria, ma scoprire con la propria testa, nelle condizioni materiali esi- stenti », i mezzi per liberare l’umanità dalle diverse calamità sociali. Nel leggere queste reiterate citazioni, non posso non ricordare quegli « economisti » di triste memoria che rimasticavano, quanto noiosa- mente!, la loro «nuova scoperta» della vittoria del capitalismo in Russia. P. Kievski tenta di « colpirci » con queste citazioni, dal mo- mento che noi escogitiamo di testa nostra le condizioni per applicare l’autodecisione nell’epoca imperialistica! Ma nell’articolo dello stesso Kievski leggiamo la seguente « incauta ammissione »: «Il solo fatto che siamo contrari [il corsivo è dell’autore] a di- fendere la patria dice con la massima chiarezza che resisteremo attiva- mente a ogni tentativo di schiacciare l’insurrezione nazionale, perché in tal modo combatteremo contro il nostro nemico mortale, l’imperia- lismo » (capitolo II, paragrafo c dell’articolo di P. Kievski). Non si può criticare un autore, non si può rispondergli , senza citare per intero almeno le tesi principali del suo scritto. Ma, non appena si cita per esteso una sola tesi di P. Kievski, risulta che in ogni sua frase vi sono due o tre errori o malintesi che snaturano il marxismo. 1) P. Kievski non ha notato che l’insurrezione nazionale è anche « difesa della patria »! Eppure, un briciolo di riflessione convince chiunque che le cose stanno cosi, perché ogni « nazione insorta » si « difende » contro la nazione che la opprime, e quindi difende la sua lingua, la sua terra, la sua patria. INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 53 Ogni oppressione nazionale suscita una resistenza nelle grandi masse del popolo, e la tendenza di ogni resistenza della popolazione op- pressa è appunto l’insurrezione nazionale. Se osserviamo non di rado (soprattutto in Austria e in Russia) che la borghesia delle nazioni op- presse si limita soltanto a parlare di insurrezione nazionale, mentre di fatto, alle spalle del suo popolo e contro di esso, scende a compromessi reazionari con la borghesia del paese oppressore, in simili casi la cri- tica dei marxisti rivoluzionari deve rivolgersi non contro il movimento nazionale, ma contro ciò che lo infirma, lo avvilisce, lo snatura ridu- cendolo a un meschino litigio. In proposito, moltissimi socialdemocra- tici austriaci e russi dimenticano questo fatto e tramutano il loro le- gittimo odio contro le piccole, volgari, misere beghe nazionali (come le liti e le discussioni per stabilire quale lingua debba stare sopra e quale sotto nelle targhe che indicano il nome delle strade), tramu- tano il loro legittimo odio contro queste cose nel rifiuto di sostenere la lotta nazionale. Noi non « sosterremo » la farsa della repubblica in un qualche principato di Monaco o le avventure « repubblicane » dei « generali » nei piccoli Stati delPAmerica del sud o in qualche isola del Pacifico; ma da ciò non consegue che sia lecito dimenticare la pa- rola d’ordine della repubblica nei movimenti democratici e socialisti seri. Noi deridiamo e dobbiamo deridere le meschine beghe nazionali e i mercanteggiamenti tra le nazioni in Russia e in Austria, ma da ciò non consegue che sia lecito rifiutare l’appoggio alPinsurrezione nazio- nale o a qualsiasi grande lotta popolare contro l’oppressione nazionale. 2) Se le insurrezioni nazionali sono impossibili nell’« epoca im- perialistica », P. Kievski ha torto di parlarne. Se invece sono possibili, tutte le sue interminabili frasi sul « monismo », sulle nostre « conget- ture » intorno a esempi di autodecisione sotto l’imperialismo, ecc., tutto questo va a pezzi. P. Kievski non fa che colpire sé stesso. Se « noi » « resistiamo attivamente alla repressione » dell’insurre- zione nazionale, — caso che lo «stesso» P. Kievski ritiene possi- bile, — che cosa ciò significa? Significa che Yazione è duplice, « dualistica », se si vuole usare a sproposito, come fa il nostro autore, questo termine filosofico. Per- ché l’azione consiste: ai nelP« azione » del proletariato e dei contadini nazionalmente oppressi insieme con la borghesia nazionalmente op- pressa contro il paese oppressore; b) nell’« azione » del proletariato 60 LENIN — o della parte cosciente del proletariato — della nazione dominante contro la borghesia della nazione dominante e contro tutti gli elementi che la seguono. Le interminabili proposizioni di P. Kievski contro il « blocco na- zionale », contro le « illusioni » nazionali, contro il « veleno » del na- zionalismo, contro T« esasperazione dell’odio nazionale » e via dicendo sono risultate vuote chiacchiere, perché Fautore, consigliando al pro- letariato dei paesi oppressori (non si dimentichi che egli considera que- sto proletariato come una forza importante) di « resistere attivamente al tentativo di reprimere l’insurrezione nazionale », esaspera in tal modo Todio nazionale e appoggia il « blocco » degli operai delle nazioni oppresse con la « borghesia ». 3) Se nell’epoca dell’imperialismo sono possibili le insurrezioni nazionali, sono altresì possibili anche le guerre nazionali. Sul piano politico non corre alcuna differenza profonda tra le une e le altre, Gli storici militari sono nel giusto quando annoverano le insurrezioni tra le guerre. P. Kievski ha colpito, senza avvedersene, non solo sé stesso, ma anche Junius e il gruppo « International », che negano la possibilità di guerre nazionali nell’epoca imperialistica. Questa nega- zione è Tunico fondamento teorico concepibile della posizione che nega l’autodecisione delle nazioni nell’epoca dell’imperialismo. 4) Che cos’è, in ultima istanza, un’« insurrezione » nazionale? È un’insurrezione che tende a dare l’indipendenza politica alla nazione oppressa, che tende cioè a costituire uno Stato nazionale autonomo. Se il proletariato della nazione dominante è una forza importante (come l’autore suppone e deve supporre per l’epoca deH’imperialismo), la sua decisione di « resistere attivamente al tentativo di reprimere l’insurrezione nazionale » non è forse un contributo alla costi- tuzione di uno Stato nazionale autonomo? Senza dubbio. Il nostro intrepido negatore della « realizzabilità » dell’autodeci- sione è giunto a dichiarare che il proletariato cosciente dei paesi piu progrediti deve sostenere l’attuazione di questo « irrealizzabile » prov- vedimento! 5) Perché mai dobbiamo « resistere attivamente al tentativo di reprimere l’insurrezione nazionale »? P. Kievski adduce un unico argo- mento: « Perché in questo modo combatteremo contro il nostro ne- INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 61 mico mortale, l’imperialismo ». Tutta la forza di quest’argomentazione si riduce alla parola forte: « mortale »; e, in generale, l’autore sosti- tuisce sempre alla forza delle argomentazioni parole forti e reboanti, il proposito di « impalare il corpo palpitante della borghesia » e altre simili perle alla guisa di Alexinski. Ma l’argomentazione di Kievski è sbagliata. L’imperialismo è no- stro nemico « mortale » quanto il capitalismo. Proprio cosi. Nessun marxista dimenticherà che il capitalismo è progressivo rispetto al feu- dalesimo, e l’imperialismo è progressivo rispetto al capitalismo pre- monopolistico. Dunque noi non dobbiamo appoggiare ogni lotta contro l’imperialismo. Non sosterremo la lotta delle classi reazionarie contro l’imperialismo; non sosterremo l’insurrezione delle classi reazionarie contro l'imperialismo e il capitalismo. Se quindi l’autore ammette la necessità di appoggiare l’insurre- zione delle nazioni oppresse (« resistere attivamente al tentativo di re- primere » significa sostenere l’insurrezione), con questo riconosce il carattere progressivo dell’insurrezione nazionale, il carattere progressivo della nascita, nel caso del buon esito dell’insurrezione, di un nuovo Stato autonomo e della creazione di nuovi confini, ecc. L’autore non riesce a sviluppare con coerenza nemmeno uno dei suoi ragionamenti politici! L’insurrezione irlandese del 1916, avvenuta dopo la pubblicazione delle nostre tesi nel n. 2 del Vorbote , ha dimostrato, è il caso di dirlo, che non avevamo parlato a vanvera della possibilità di insurrezioni na- zionali persino in Europa! 6. Le altre questioni politiche affrontate e travisate da P. Kievski Abbiamo dichiarato nelle nostre tesi che la liberazione delle co- lonie non è altro che autodecisione delle nazioni. Gli europei dimenti- cano spesso che anche i popoli coloniali sono nazioni, ma tollerare una simile « dimenticanza » significa tollerare Io sciovinismo. P. Kievski « obietta ». Nelle colonie di tipo puro « non esiste il proletariato nell’acce- zione propria del termine » (fine del paragrafo c del cap. 2). « Per chi allora rivendicare 1*« autodecisione »? Per la borghesia coloniale? 62 LENIN Per i fellah? Per i contadini? No di certo. Nei confronti delle colonie è assurdo che i socialisti [il corsivo è di P. Kievski] formulino la pa- rola d’ordine deH’autodecisione, perché è in generale assurdo enunciare le parole d’ordine del partito operaio nei paesi in cui non ci sono operai. » Per quanto sia terribile la collera di Kievski, che dichiara « as- surda » la nostra posizione, osiamo tuttavia fargli rispettosamente rile- vare che le sue conclusioni sono sbagliate. Solo gli « economisti » di triste memoria potevano credere che le « parole d’ordine di un par- tito operaio» vengono formulate esclusivamente per gli operai*. No, queste parole d’ordine riguardano tutta la popolazione lavoratrice, tutto il popolo. Con la parte democratica del nostro programma — sul cui significato « in generale » P. Kievski non ha meditato — ci rivol- giamo specificamente a tutto il popolo e quindi, in questa parte, par- liamo del « popolo » **. Tra i popoli coloniali e semicoloniali abbiamo compreso mille milioni di uomini, e P. Kievski non si è dato la pena di smentire que- sta nostra indicazione concreta. Su mille milioni piu di settecento (Cina, India, Persia, Egitto) vivono in paesi in cui gli operai esistono. Ma anche per le colonie in cui non vi sono operai, in cui vi sono soltanto gli schiavi e i proprietari di schiavi, ecc., ogni marxista non solo può, ma deve parlare di « autodecisione ». Se avesse riflettuto un po’, P. Kievski se ne sarebbe forse reso conto, cosi come si rende conto che T« autodecisione » viene sempre enunciata « per » due nazioni: quella oppressa e quella che opprime. Seconda « obiezione » di P. Kievski: « Nei confronti delle colonie ci limitiamo pertanto a una parola d’ordine negativa, cioè alla rivendicazione posta dai socialisti ai loro governi: “Fuori dalle colonie!”. Questa rivendicazione, che non è realizzabile nell’ambito del capitalismo, acuisce la lotta contro l’im- perialismo, ma non contraddice al progresso, poiché la società socia- lista non possiederà colonie ». * Consigliamo a P. Kievski di rileggersi gli scritti di Martynov e soci del periodo 1899-1901. Vi troverà molte delle «sue» argomentazioni. ** Certi curiosi avversari delT« autodecisione delle nazioni » ci obiettano che le « nazioni » sono divise in classi! A questi marxisti da caricatura facciamo per solito rilevare che nella parte democratica del nostro programma si parla di « autocrazia del popolo ». INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 63 L'incapacità o il rifiuto dell'autore di riflettere sul contenuto teo- rico delle parole d’ordine politiche sono qui lampanti! Cambiano forse le cose perché in luogo di un termine politico teoricamente esatto usiamo una frase agitatoria? Dire « fuori dalle colonie » significa ap- punto trovar riparo dall'analisi teorica trincerandosi dietro una frase agitatoria! Ogni propagandista del nostro partito, parlando delPUcrai- na, della Polonia, della Finlandia, ecc., ha diritto di dire allo zarismo (al «proprio governo»): «Fuori dalla Finlandia, ecc.! », ma il pro- pagandista intelligente capisce che non si possono lanciare parole d'or- dine, rie positive né negative, solo per « esacerbare ». Soltanto uomini del genere di Alexinski hanno potuto sostenere che la parola d’ordine « negativa »: « Abbasso la Duma nera! » si giustificava con Ispira- zione a « esacerbare » la lotta contro quel male. L’inasprirsi della lotta è una frase vuota da soggettivisti, dimen- tichi del fatto che il marxismo impone per ogni parola d’ordine Pana- tisi puntuale della realtà economica , della situazione politica e del significato politico di questa parola d’ordine. È assurdo rimasticare que- ste cose, ma che potete fare, quando vi ci costringono? Interrompere una discussione teorica su un problema teorico con strepiti agitatori è un metodo alla Alexinski, a cui siamo abituati, ma è un metodo pessimo. Il contenuto economico e politico della pa- rola d’ordine: « Fuori dalle colonie » è uno solo: libertà di separa- zione per le nazioni coloniali, libertà di costituire uno Stato indipen- dente! Se le leggi generali dell’imperialismo ostacolano, come ritiene P. Kievski, l’autodecisione delle nazioni, tramutandola in utopia, illu- sione, ecc., ecc., come si può concepire, senza aver meditato, un’ecce- zione per la maggior parte delle nazioni di tutto il mondo? È evidente che la « teoria » di P. Kievski è solo una caricatura della teoria. La produzione mercantile e il capitalismo, i mille fili del capitale finanziario esistono nella stragrande maggioranza dei paesi coloniali. Come si possono invitare gli Stati, i governi dei paesi imperialistici ad « andarsene dalle colonie », se, sotto il profilo della produzione mer- cantile, del capitalismo e delFimperialismo, questa è una rivendica- zione « non scientifica », « utopistica », « confutata » dallo stesso Lensch, da Cunow, ecc.? Nei ragionamenti del nostro autore non v’è nemmeno l’ombra di un pensiero ! 64 LENIN L'autore non ha pensato che la liberazione delle colonie è « ir- realizzabile » unicamente nel senso che è « irrealizzabile senza una serie di rivoluzioni ». Non ha pensato che essa è realizzabile in rap- porto alla rivoluzione socialista in Europa. Non ha pensato che « la società socialista non possiederà » non soltanto colonie t ma nemmeno nazioni oppresse in genere. Non ha pensato che nella questione da noi considerata non esiste alcuna differenza economica o politica tra il « possesso » della Polonia o quello del Turkestan da parte della Russia. Non ha pensato che la « società socialista » vuole «ritirarsi dalle colonie » unicamente nel senso di garantire loro il diritto di separarsi liberamente, ma non già nel senso di consigliar loro di separarsi. Per questa discriminazione tra il diritto di separazione e Fin- vito a separarsi, P. Kievski ci ha tacciato di « prestigiatori » e, per dare una « motivazione scientifica » del suo giudizio dinanzi agli ope- rai, ha scritto: « Che cosa dovrà pensare l'operaio che interroghi il propagan- dista su come dovrà contenersi il proletario nella questione del par- ticolarismo [cioè dell’autonomia politica dell'Ucraina], quando si sen- tirà rispondere: i socialisti lottano pr il diritto di separazione e svol- gono l'agitazione contro la separazione? ». Credo di poter dare una risposta abbastanza precisa su questo problema. Suppongo infatti che ogni operaio intelligente penserà che P. Kievski non sa pensare. Ogni operaio intelligente «penserà»: lo stesso P. Kievski ci insegna a strillare: « Fuori dalle colonie! ». E quindi noi, operai grandi-russi, dobbiamo rivendicare dal nostro governo che se ne vada dalla Mongolia, dal Turkestan, dalla Persia; gli operai inglesi devono esigere che il loro governo si ritiri dall’Egitto, dall’India, dalla Persia, ecc. Ma significa questo che noi proletari vogliamo separarci dagli operai e dai fellah egiziani, dagli operai e dai contadini mongoli, turkestani o indiani? Significa questo che noi consigliamo alle masse lavoratrici delle colonie di « separarsi » dal proletariato cosciente eu- ropeo? Tutt’altro. Noi abbiamo sempre sostenuto, sosteniamo e so- sterremo la più profonda unità e la fusione degli operai coscienti dei paesi progrediti con gli operai, con i contadini, con gli schiavi di tutti i paesi oppressi. Noi abbiamo sempre consigliato e consiglieremo sem- INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 65 pre a tutte le classi lavoratrici di tutte le nazioni oppresse, comprese le colonie, di non separarsi da noi, ma anzi di unirsi più strettamente e di fondersi con noi. Se dai nostri governi rivendichiamo che se ne vadano dalle colo- nie, ossia, per usare non un grido agitatorio, ma una precisa locuzione politica, che garantiscano alle colonie la piena libertà di separazione, il reale diritto di autodecisione , se noi stessi attueremo obbligatoriamente questo diritto e assicureremo questa libertà, una volta conquistato il potere, noi avanziamo questa rivendicazione nei confronti del governo attuale e la tradurremo in atto quando saremo divenuti governo, non già per « consigliare » la separazione, ma, viceversa, per agevolare e acce- lerare l’unità e la fusione democratica delle nazioni. Noi faremo tutti gli sforzi per unirci e fonderci con i mongoli, i persiani, gli indiani, gli egiziani, e questo, oltre che un dovere, è secondo noi nel nostro inte- resse , perché altrimenti il socialismo sarà instabile in Europa. Noi ci adopereremo per dare a questi popoli più arretrati e oppressi di noi un « disinteressato aiuto culturale », secondo la bella espressione dei socialdemocratici polacchi, li aiuteremo cioè a usare le macchine, ad agevolare il proprio lavoro, a realizzare la democrazia e il socialismo. Se rivendichiamo la libertà di separazione per i mongoli, per i persiani, per gli egiziani e per tutte le nazioni oppresse e dipendenti senza eccezione, non lo facciamo affatto perché siamo favorevoli alla loro separazione , ma solamente perché sosteniamo una unità e fusione libera , volontaria , non coattiva. E solamente per questo! In tal senso, l’ unica differenza tra il contadino e operaio mongolo o egiziano e il contadino e operaio polacco o finlandese è che questi ul- timi sono molto evoluti, più esperti politicamente dei grandi-russi, più preparati economicamente, ecc., e quindi essi convinceranno molto presto i loro popoli — che detestano oggi con piena ragione i grandi- russi per la loro funzione di boia — che è irragionevole estendere que- st’odio agli operai socialisti e alla Russia socialista, che il calcolo eco- nomico e, insieme, Tistinto e la coscienza dell’internazionalismo e della democrazia impongono la più rapida unità e fusione di tutte le nazioni nella società socialista. E, poiché i polacchi e i finlandesi sono molto evoluti, è assai probabile che essi si convinceranno presto che questo ragionamento è giusto, e la separazione della Polonia e della Finlandia potrà protrarsi solo per poco tempo dopo la vittoria del socialismo. I 66 LENIN fellah, i mongoli, i persiani, che sono molto meno evoluti, potranno separarsi per un piu lungo periodo di tempo, ma noi, come si è detto, cercheremo di abbreviarlo con il nostro disinteressato aiuto culturale. In tal senso, non c’è e non può esserci altra differenza riguardo ai polacchi e ai mohgoli. Non c’è e non può esserci alcuna « contraddi- zione » tra la propaganda della libertà di separazione e il fermo convin- cimento di attuare questa libertà, una volta divenuti governo, da un lato, e la propaganda dell’unità e fusione delle nazioni, dall’altro lato. Ecco che cosa « penserà », a nostro giudizio, ogni operaio intelli- gente, ogni vero socialista, ogni vero internazionalista della nostra po- lemica con P. Kievski *. Tutto lo scritto del fòevski è percorso come da un filo rosso da un fondamentale malinteso: perché predicare e — una volta al potere — realizzare la libertà di separazione delle nazioni, se tutto lo sviluppo tende verso la loro . fusione ? E allora perché predichiamo e, quando saremo al potere, realizzeremo la dittatura del proletariato, se tutto lo sviluppo tende verso la soppressione di ogni dominio coercitivo di una parte della società sull’altra? La dittatura è il dominio di una parte della società su tutta la società e, per giunta, un dominio fon- dato immediatamente sulla violenza: La dittatura del proletariato, quale unica classe coerentemente rivoluzionaria, è indispensabile per rove- sciare la borghesia e far fallire i suoi tentativi controrivoluzionari. Il problema, della dittatura del proletariato assume tale importanza che non può esserci alcun iscritto al partito socialdemocratico che la neghi * P. Kievski si è evidentemente contentato di ripetere , sulle orme di alcuni marxisti tedeschi e olandesi, la parola d’ordine: « Fuori dalle colonie! », senza riflettere non solo sul significato e sul contenuto teorico di questa parola d’or- dine, ma nemmeno sulle concrete particolarità della Russia. È scusabile — al- meno fino ad un certo punto — che un marxista olandese o tedesco si limiti alla parola d’ordine « fuori dalle colonie », anzitutto, perché per la maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale il caso tipico deìloppressione nazionale è ap- punto l’oppressione delle colonie, e, inoltre, perché nei paesi europei occidentali il concetto di « colonia » è particolarmente chiaro, lampante, concreto. Ma in Russia? La Russia presenta proprio questo di particolare che tra le « nostre » « colonie » e le « nostre » nazioni oppresse la differenza è astratta, 'confusa, inerte. Ora, se in un marxista che scriva, poniamo, in tedesco si può scusare che egli tralasci questa particolarità della Russia, la stessa cosa non ,si può perdo- nare a P. Kievski. Un socialista russo che non voglia solo ripetere , ma anche pensare y . deve capire che sarebbe assurdo, nel caso della Russia, stabilire una dif- ferenza seria tra nazioni oppresse e colonie. INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 67 0 l’accetti soltanto a parole. Ma non si può negare che in singoli casi, come eccezione, per esempio in un piccolo Stato dopo che il suo grande vicino ha compiuto la rivoluzione sociale, la borghesia possa cedere pacificamente il potere, quando si convinca che la sua resistenza è senza prospettive e preferisca salvare là pelle. È assai più probabile, naturalmente, che anche nei piccoli Stati il socialismo non si realizzerà senza guerra civile, e quindi V unico programma della socialdemocrazia internazionale deve essere il riconoscimento di questa guerra civile, anche se nei nostri ideali non c’è posto per la violenza contro gli uo- mini, Lo stesso, mutatis mutandìs (con le relative modifiche), si dica delle nazioni. Noi siamo per la loro fusione, ma oggi non può realiz- zarsi il trapasso dalla fusione coercitiva, dall’annessione, alla fusione libera e volontaria, senza libertà di separazione. Noi riconosciamo — e del tutto giustamente — il primato del fattore economico, ma interpretare questo primato à la P t Kievski significa fare ima caricatura del marxismo. Persino i trusts, persino le banche, pur essendo ugualmente inevitabili in un capitalismo evoluto, assumono nell’epoca dell’imperialismo moderno forme concrete diverse nei di- versi paesi. Tanto più risultano dissimili, nonostante la loro sostan- ziale omogeneità, le forme politiche dei paesi imperialistici progre- diti, d’America, d’Inghilterra, di Francia e di Germania. Un’analoga varietà si avrà riguardo al cammino che l’umanità compirà dall’odierno imperialismo alla rivoluzione socialista di domani. Tutte le nazioni giun- geranno' al socialismo, è inevitabile, ma non vi giungeranno tutte allo stesso modo, ognuna darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o quella variante di dittatura del pro- letariato, a questo o quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale. Niente è più meschino teoricamente e ridi- colo praticamente che dipingere, « in nome del materialismo storico », questo aspetto dell'avvenire con una tinta grigia e uniforme; sarebbe un imbratto di Suzdal, niente di più. E, se anche la realtà mostrasse che prima della prima vittoria del proletariato socialista si emancipa e si separa solo la cinquecentesima parte delle nazioni oggi oppresse, che prima dell’ultima vittoria del proletariato socialista sulla terra (os- sia durante le vicende della già iniziata rivoluzione socialista) si se- para solo la cinquecentesima parte delle nazioni oppresse, e per po- chissimo tempo, anche in questo caso sul piano teorico e sul piano 68 LENIN pratico-politico avremmo ragione di consigliare agli operai di non aprire le porte dei loro partiti socialdemocratici a quei socialisti dei paesi oppressori* che non accettano e non propagandano la libertà di separazione di tutte le nazioni oppresse. Poiché in pratica non sappiamo e non possiamo sapere quante nazioni oppresse avranno necessità della separazione per recare il proprio apporto alla varietà di forme della democrazia e delle forme di transizione al socialismo. Ma sappiamo bene, vediamo e tocchiamo con mano quotidianamente, che la nega- zione della libertà di separazione è oggi un colossale errore teorico e un servigio pratico reso agli sciovinisti dei paesi oppressori. « Sottolineiamo — scrive P. Kievski in una nota al brano da noi riportato — che sosteniamo in pieno la rivendicazione: “Contro tutte le annessioni coercitive”, » Ma l’autore non risponde affatto alla nostra concreta e precisa dichiarazione che questa « rivendicazione » consiste nell’ accettazione deirautodecisione, che non si può formulare una definizione corretta del concetto di « annessione », se non lo si riduce all’autodecisione! Egli pensa, forse, che per discutere basti enunciare tesi e rivendicazioni, senza dimostrarle! « ... In generale noi accettiamo in pieno, — egli prosegue, — nella loro formulazione negativa , una serie di rivendicazioni, che acuiscono la coscienza del proletariato contro l’imperialismo; del resto, non vi è alcuna possibilità di accogliere le relative formulazioni positive , rima- nendo sul terreno debordine vigente. Contro la guerra, ma non a favore di una pace democratica... » Tutto sbagliato, dalla prima all’ultima parola. L’autore ha letto la nostra risoluzione II pacifismo e la parola d'ordine della pace (pp. 44-45 dell’opuscolo II socialismo e la guerra) 33 e, a quanto sem- bra, l’ha persino approvata, ma non l’ha capita affatto. Noi siamo per la pace democratica, ma mettiamo in guardia gli operai contro l’illu- sione che essa sia possibile con gli attuali governi borghesi, senza « una serie di rivoluzioni », come detto nel nostro testo. Noi abbiamo dichiarato che predicare una pace « astratta », che non tiene conto cioè della reale natura di classe, o meglio della natura imperialistica, de- gli attuali governi dei paesi belligeranti, significa ingannare gli operai. Abbiamo detto chiaramente nelle tesi del Sotsialdemokrat (n. 47) che il nostro partito, se la rivoluzione lo conducesse al potere durante INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 69 la guerra in corso, proporrebbe immediatamente la pace democratica a tutti i paesi belligeranti 34 . Ma P. Kievski, persuadendo sé stesso e gli altri che egli è sfavorevole « solo » all’autodecisione, e non già alla democrazia in genere, è giunto ad affermare che « non siamo favorevoli ad una pace democratica ». Non è forse curioso? Non occorre soffermarsi su ognuno degli esempi di Kievski, per- ché non mette conto sprecare spazio per confutare errori logici tanto ingenui, che suscitano nel lettore solo un sorriso. La socialdemocrazia non ha né può avere una sola parola d’ordine « negativa », che serva soltanto ad « acuire la coscienza del proletariato contro Pimperiali- smo », senza fornire in pari tempo una risposta positiva sul modo come la socialdemocrazia risolverà il problema in causa, una volta che sia andata al potere. Una parola d’ordine « negativa », non legata a una precisa soluzione positiva, non « acuisce », ma ottunde la coscienza, perché è una parola vuota, un puro grido, una declamazione senza contenuto. La differenza tra le parole d’ordine « che negano » o condannano le calamità politiche e quelle economiche non è stata avvertita da P. Kievski. Questa differenza consiste nel fatto che determinate tare economiche sono proprie del capitalismo in generale, qualunque sia la sovrastruttura politica, che è economicamente impossibile sopprimere queste tare, senza sopprimere il capitalismo, e die non si può citare un solo caso in cui questo sia avvenuto. Viceversa, le tare politiche consistono in deviazioni dalla democrazia, che sul piano economico è assolutamente possibile nell’ambito dell’« ordine vigente », ossia del capitalismo, e che sotto forma di eccezione viene realizzata nei singoli Stati in modi diversi. Di nuovo l’autore non ha capito affatto le con- dizioni generali per l’attuazione della democrazia in genere! Lo stesso si dica per la questione del divorzio. Rammentiamo al lettore che la prima a sollevare questo problema, nel dibattito sulla questione nazionale , è stata Rosa Luxemburg. L’autrice ha enundato la giusta opinione che noi, difendendo l’autonomia all’interno dello Stato (della regione o del territorio, ecc.), dobbiamo sostenere, in quanto socialdemocratici centralisti, la soluzione dei principali pro- blemi politici, compresi quelli relativi alla legislazione del divorzio , da parte del potere statale, da parte del parlamento centrale. L’esempio 70 LENIN del divorzio mostra all'evidenza che non si può essere democratici e socialisti, se non si rivendica subito la piena libertà di divorzio, poiché l'assenza di questa libertà è una forma di superoppressione della donna, del sesso oppresso, anche se non è difficile capire che riconoscere la libertà di lasciare, il marito non significa invitare tutte le donne a farlo! P. Kievski « obietta »; « Come si presenterebbe questo diritto [di divorziare] se in questi casi [quando cioè la moglie vuole lasciare il marito] la moglie non potesse realizzarlo? O se la sua attuazione dipendesse dalla volontà di terzi o, peggio, dalla, volontà di chi pretende alla sua “mano”? Cercheremmo di proclamare questo diritto? No di certo! ». Quest*obiezione rivela la più radicale incomprensione del rapporto esistente tra la democrazia in generale e il capitalismo. In regime ca- pitalistico si danno per solito, non come casi isolati ma come feno- meni tipici, condizioni tali che le classi oppresse non possono « esercitare » i propri diritti democratici. Il diritto al divorzio rimane, nella stragrande maggioranza dei casi, inattuato sotto il capitalismo, perché il sesso, oppresso è schiacciato economicamente, perché la don- na continua a essere in ogni democrazia capitalistica una « schiava domestica », confinata nella stanza da letto, nella camera dei bambini, in cucina. Anche il diritto di eleggere « propri » giudici popolari, funzionari, insegnanti, giurati, ecc. è, nella stragrande maggioranza dei casi, irrealizzabile in regime capitalistico, a causa deiroppressione economica degli operai e dei contadini. Lo stesso si dica per la repubblica democratica: il nostro programma la « proclama », come « governo del popolo », benché tutti i socialdemocratici sappiano molto bene che, sotto il capitalismo, la repubblica più democratica conduce soltanto alla corruzione dei funzionari da parte della borghesia e alla alleanza tra la Borsa e il governo. Solo chi è assolutamente incapace di riflettere o chi ignora del tutto il marxismo può trarre da questo la conclusione che la repub- blica, la libertà di divorziare, la democrazia e l'autodecisione delle na- zioni non giovino a niente! I marxisti sanno invece che la democrazia non distrugge l'oppressione di classe, ma rende Solo più pura, più ampia, più aperta e più energica la lotta di classe: ed è quanto ci occorre. Quanto più completa è la libertà di divorziare, tanto più chiaro risulta per la donna che la fonte della sua « schiavitù domestica » va ricercata INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO lì nel capitalismo, e non già nella mancanza di diritti. Quanto piu democra- tica è la struttura statale, tanto più risulta chiaro per Toperaio che la radice del male è il capitalismo, non la mancanza di diritti. Quanto più integrale è la parità giuridica delle nazioni (ed essa è incompleta senza libertà di separazione), tanto più risulta chiaro per gli operai della nazione oppressa che il male è nel capitalismo, non nella man- canza di diritti. E cosi via. Lo ripetiamo, è sciocco rimasticare l’abbiccì del marxismo, ma che fare, se P. Kievski lo ignora? Kievski ragiona intorno al divorzio allo stesso modo in cui ne ragionava (se ben ricordo, nel Golos di Parigi) uno dei segretari esteri del Comitato di organizzazione 35 , Sernkovski. È vero, argomentava Sem- kovski, la libertà di divorziare non equivale all’invito a lasciare il proprio marito, ma, signori, se si dimostra a una moglie che tutti i mariti sono migliori del suo, il risultato è lo stesso!! Cosi argomentando, Sernkovski dimenticava che la stravaganza non è una trasgressione dei propri doveri di socialista e di democratico. Se Sernkovski si accingesse a persuadere una donna che tutti i mariti sono migliori . del suo, nessuno l’accuserebbe di esser venuto meno ai suoi doveri di democratico; forse gli direbbero: non esiste un grande partito che manchi di grandi stravaganti! Ma, se Sernkovski pensasse di sostenere e considerare democratico chi negasse la libertà di divor- ziare, ricorrendo, per esempio, al tribunale, alla polizia o alla Chiesa contro la moglie che si è separata dal marito, siamo persuasi che per- sino la maggior parte dei colleghi del segretariato estero di Sernkovski, pur essendo pessimi socialisti, gli rifiuterebbero ogni solidarietà. Sia Sernkovski che Kievski « hanno ciarlato » sul divorzio, hanno dato prova di non capire la questione e ne hanno eluso la sostanza: il diritto al divorzio, come tutti i diritti democratici senza eccezione, può essere attuato in regime capitalistico difficilmente, in modo conven- zionale, limitato, angusto e formale, e tuttavia nessun socialdemocratico onesto potrà considerare non solo socialista, ma neppure democratico, chi neghi questo diritto. Sta qui l’essenza del problema. Tutta la « de- mocrazia » consiste nella proclamazione e nell’attuazione di « diritti » realizzati assai poco e assai convenzionalmente sotto il capitalismo, ma il socialismo è inconcepibile senza questa proclamazione, senza la lotta 11 LENIN per realizzare questi diritti immediatamente, senza Teducazione delle masse nello spirito di questa lotta. Non essendosi reso conto di ciò, P. Kievski ha eluso nel suo scritto la questione principale concernente il suo tema specifico, la questione cioè del modo come noi socialdemocratici aboliremo Top- pressione nazionale. P. Kievski si è trastullato con frasi generiche sul mondò « bagnato di sangue », ecc. (che non hanno niente a che vedere col problema). E, in sostanza, è rimasta una sola affermazione: la rivoluzione socialista risolverà tutto! O, come dicono talvolta i sostenitori della posizione di P. Kievski, Tautodecisione è impossibile in regime capitalistico, superflua in regime socialista. Si tratta di una concezione teoricamente assurda e sciovinistica sul piano pratico politico. Essa equivale alTincomprensione del signi- ficato della democrazia. Il socialismo è inconcepibile senza democrazia in due sensi: 1) 11 proletariato non può realizzare la rivoluzione so- cialista, se non si prepara ad essa con la lotta per la democrazia; 2) il socialismo vittorioso non potrà consolidare la sua vittoria e con- durre Tumanità verso l’estinzione dello Stato, se non avrà realizzato integralmente la democrazia. E pertanto quando si dice che Tautode- cisione è superflua in regime socialista si cade nella stessa assurda e impotente confusione di chi sostiene che la democrazia è superflua in regime socialista. L'autodecisione non è piu inconcepibile, in regime capitalistico, della democrazia in generale, ed è altrettanto superflua nel socialismo quanto la democrazia. La rivoluzione economica crea le premesse indispensabili per abo- lire tutte le forme di oppressione politica. Appunto per questo è illo- gico e sbagliato invocare la rivoluzione economica, quando si pone il problema del modo di distruggere Toppressione nazionale. È impos- sibile abolire tale oppressione senza la rivoluzione economica. Questo è incontestabile. Ma limitarsi a questa affermazione significa cadere nel ridicolo e miserevole « economismo » imperialistico. Bisogna attuare Y uguaglianza giuridica delle nazioni; bisogna pro- clamare, formulare e realizzare gli uguali « diritti » di tutte le nazioni. Su questo concordano tutti t tranne forse il solo P. Kievski. Ma qui si pone un interrogativo che viene invece eluso: la negazione del INTORNO A UNA CARICATURA DEL MARXISMO 73 diritto a costituire un proprio Stato nazionale non è forse negazione delPuguaglianza giuridica? È naturale che lo sia. E la democrazia conseguente, vale a dire Socialista, proclama, formula e realizza questo diritto, senza il quale non si può progredire verso la completa e libera unità e fusione delle nazioni. 7. Conclusione. I metodi di Alexinski Abbiamo sin qui analizzato solo alcuni dei ragionamenti di P. Kievskì. Esaminarli tutti avrebbe significato scrivere un articolo cinque volte piu lungo, perché nel nostro autore non c’è un solo ragionamento corretto. Corretta in lui — se non vi sono errori nelle cifre — è solamente la nota che riferisce i dati sulle banche. Tutto il resto è una sorta di impossibile groviglio di idee confuse, condite con propo- sizioni come « impalare il corpo palpitante », « gli eroi vittoriosi non solo li giudicheremo, ma li condanneremo a morire e a scomparire », « tra atroci convulsioni nascerà un mondo nuovo », « non si parlerà di principi e di diritti, né di proclamare la libertà dei popoli, ma di istituire rapporti realmente liberi, di annientare la secolare schiavitù, di distruggere Poppressione sociale in genere e l’oppressione nazionale in specie », ecc. Queste proposizioni nascondono e rivelano due « cose »: la prima è che sono fondate suir« idea » dell’ economismo imperialistico , ossia su una caricatura altrettanto mostruosa del marxismo e su un’incom- prensione altrettanto totale dei rapporti tra socialismo e democrazia quanto Y« economismo » di triste memoria del periodo 1894-1902. La seconda è che in tali proposizioni ravvisiamo a occhio nudo una ripetizione dei metodi di Alexinski; e su questo è bene soffer- marsi, perché Kievski ha scritto un intero paragrafo del suo articolo (capitolo 2, paragrafo e: La situazione particolare degli ebrei ) esclu- sivamente con questi criteri. Già al congresso di Londra del 1907 i bolscevichi si allontana- vano da Alexinski, quand’egli, in risposta a determinate tesi- teoriche, assumeva la posa dell’agitatore e cominciava a. urlare, del tutto a spro- 74 LENIN posito, frasi altisonanti contro ogni forma di sfruttamento e di oppres- sione. «Ecco, cominciano gli strepiti! », dicevano allora i nostri dele- gati. Ma gli « strepiti » non portarono fortuna ad Alexinski. Gli stessi « strepiti » si possono ritrovare in P. Kievski. Non sapendo che rispondere a una serie di questioni e considerazioni teo- riche formulate nelle nostre tesi, egli assume la posa deiragitatore e comincia a urlare frasi contro [oppressione degli ebrei, sebbene ogni individuo capace di pensare veda bene che la questione degli ebrei in genere e tutti gli « urli » di P. Kievski non hanno il minimo rap’ porto con il tema. I metodi di Alexinski non gli porteranno fortuna, Scritto fra agosto e ottobre del 1916. Pubblicato per la prima volta in Zvìezdà, 1924, nn. 1 e 2. Firmato; V. Lenin. IL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE PROLETARIA 36 In Olanda, in Scandinavia, in Svizzera, fra i socialdemocratici rivo- luzionari che combattono la menzogna socialsciovinistica della « difesa della patria » nella guerra imperialistica attuale, si odono voci che pro- pongono di sostituire al vecchio paragrafo del programma minimo socialdemocratico: «milizia o armamento del popolo», un paragrafo nuovo: «disarmo». La Jugend-Internationale ha aperto una discus- sione su questo problema e nel suo n. 3 ha pubblicato un editoriale in favore del disarmo. Purtroppo, anche nelle recenti tesi 37 di R. Grimm troviamo una concessione all’idea del « disarmo ». Nelle riviste Neues Leben e Vorbote la discussione è in corso. I Ecco l'argomento essenziale: la rivendicazione del disarmo è l’espressione piu chiara, risoluta e conseguente della lotta contro ogni militarismo e contro ogni guerra. Ma proprio in quest’argomento essenziale risiede l’errore fonda- mentale dei fautori del disarmo. I socialisti, a meno che cessino di essere socialisti, non possono essere contro qualsiasi guerra. In primo luogo, i socialisti non sono mai stati e non potranno mai essere avversari delle guerre rivoluzionarie. La borghesia delle « grandi » potenze imperialistiche è diventata profondamente reaziona- ria, e la guerra che questa borghesia oggi conduce è da noi considerata una guerra reazionaria, schiavistica e criminale. Ma che dire di una guerra diretta contro questa borghesia? Di una guerra, ad esempio. 76 LENIN dei popoli oppressi da questa borghesia, dei popoli a essa soggetti, dei popoli coloniali per la loro liberazione? Nelle tesi del gruppo « Internazionale», al paragrafo. 5, si legge: «In quest’epoca di impe- rialismo sfrenato non possono piu esservi guerre nazionali »: il che è evidentemente falso. La storia del secolo ventesimo, di questo secolo di « sfrenato imperialismo », è piena di guerre coloniali. Ma ciò che noi europei, oppressori imperialisti della maggioranza dei popoli del mondo, chia- miamo, con l’odioso sciovinismo europeo che ci è proprio, « guerre coloniali » sono spesso guerre nazionali o insurrezioni nazionali di questi popoli oppressi. Una delle proprietà fondamentali deH’imperia- lismo è quella di accelerare lo sviluppo del capitalismo nei paesi piu arretrati e di estendere cosi e inasprire la lotta contro l’oppressione nazionale. Questo è un fatto. Ne consegue inevitabilmente che Pimpe- rialismo deve in molti casi generare delle guerre nazionali. Junius , che difende nel suo opuscolo le « tesi » ricordate sopra, dice che, nel- l’epoca dell’imperialismo, qualsiasi guerra nazionale contro una delle grandi potenze imperialistiche provoca l’intervento di un’altra grande potenza, rivale della prima e anch’essa imperialistica: cosi, ogni guerra nazionale si trasforma in guerra imperialistica. Anche quest’argomento è falso. Cosi può accadere, ma non accade sempre cosi. Molte guerre coloniali tra il 1900 e il 1914 hanno seguito una strada diversa. E sarebbe semplicemente ridicolo affermare che la guerra in corso, per esempio, se si concluderà con l’esaurimento estremo dei paesi belli- geranti, « non potrà » esser seguita da « nessuna » guerra nazionale, progressiva, rivoluzionaria, condotta, poniamo, dalla Cina in alleanza con l’India, la Persia, il Siam, ecc. contro le grandi potenze. Negare ogni possibilità di guerre nazionali nell’epoca dell’imperia- lismo è teoricamente sbagliato; storicamente è un errore evidente; praticamente equivale allo sciovinismo europeo: noi, che apparteniamo a nazioni che opprimono centinaia di milioni di uomini in Europa, in Africa, in Asia, ecc., dovremmo dichiarare ai popoli oppressi che la loro guerra contro le « nostre » nazioni è « impossibile »! In secondo luogo, anche le guerre civili sono guerre. Chi riconosce la lotta di classe non può non accettare le guerre civili, che, in ogni società divisa in classi, sono il prolungamento, lo sviluppo, l’aggrava- mento naturale e, in certe circostanze, inevitabile della lotta di classe. IL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE 77 Tutte le grandi rivoluzioni lo confermano. Negare le guerre civili o dimenticarle significherebbe cadere neiropportunismo estremo e rinun- ciare alla rivoluzione socialista. In terzo luogo, la vittoria del socialismo in un solo paese non esclude affatto, e di colpo, tutte le guerre. Al contrario, le presuppone. Lo sviluppo del capitalismo avviene nei diversi paesi in modo estre- mamente ineguale. E non potrebbe essere diversamente in regime di produzione mercantile. Di qui l'inevitabile conclusione: il socialismo non può vincere simultaneamente in tutti i paesi. Esso vincerà dapprima in uno o in alcuni paesi, mentre gli altri resteranno, per un certo periodo, paesi borghesi o preborghesi. Questo fatto provocherà non solo attriti, ma anche Paperta tendenza della borghesia degli altri paesi a schiacciare il proletariato vittorioso dello Stato socialista. In tali casi la guerra da parte nostra sarebbe legittima e giusta. Sarebbe una guerra per il socialismo, per Pemancipazione degli altri popoli dall'oppressione della borghesia. Engels aveva perfettamente ragione quando, nella sua lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, riconosceva nettamente la possibilità di « guerre difensive » del socialismo già vittorioso . Egli si riferiva precisamente alla difesa del proletariato vitto- rioso contro la borghesia degli altri paesi. Solo dopo che avremo rovesciato, definitivamente vinto ed espro- priato la borghesia in tutto il mondo, e non soltanto in un paese, le guerre diventeranno impossibili. Anche dal punto di vista scientifico sarebbe assolutamente sbagliato e non rivoluzionario eludere o atte- nuare la cosa più importante: la repressione della resistenza della bor- ghesia, che è la cosa più difficile e che richiede la lotta più intensa durante il passaggio al socialismo. I preti « sociali » e gli opportunisti sono sempre disposti a sognare sul pacifico socialismo dell’avvenire, ma essi si distinguono dai socialdemocratici rivoluzionari proprio per- ché non vogliono riflettere e ragionare sull'implacabile lotta di classe e sulle guerre di classe per realizzare questo meraviglioso avvenire. Non dobbiamo permettere che ci traggano in inganno con le parole. Il concetto di « difesa della patria », per esempio, è per molti detestabile perché gli opportunisti dichiarati e i kautskiani se ne ser- vono per camuffare e velare la menzogna della borghesia nella pre- sente guerra di rapina. È un fatto* Ma da esso non consegue che noi dovremmo smettere di meditare sul significato delle parole d’ordine 78 LENIN politiche. Ammettere la « difesa della patria » nella guerra in corso significa considerarla una guerra «giusta», conforme agli interessi del proletariato, e nulla piu, assolutamente nulla, poiché nessuna guerra esclude Tinvasione. Sarebbe semplicemente sciocco negare la « difesa della patria » da parte dei popoli oppressi nella loro guerra contro le grandi potenze imperialistiche o da parte del proletariato vittorioso nella sua guerra contro un qualsiasi Galliffet di uno Stato borghese. Sul piano teorico sarebbe un grave errore dimenticare che ogni guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi; la guerra imperialistica in corso è la continuazione della politica imperialistica di due gruppi di grandi potenze; e questa politica è generata e ali- mentata dalPinsieme dei rapporti esistenti nell'epoca dell'imperialismo. Ma questa stessa epoca deve di necessità generare e alimentare anche la politica di lotta contro l'oppressione nazionale e la politica di lotta del proletariato contro la borghesia; essa deve quindi rendere possibili e inevitabili, anzitutto, le insurrezioni e le guerre nazionali rivolu- zionarie, inoltre, le guerre e le insurrezioni del proletariato contro la borghesia, infine, la fusione di queste due forme di guerra rivolu- zionaria, ecc. II A questo si aggiunge la seguente considerazione di ordine ge- nerale. Una classe oppressa che non cercasse d'imparare a maneggiare le armi, che non tendesse a possederle, meriterebbe di essere trattata da schiava. Non possiamo dimenticare, a meno di diventare dei paci- fisti borghesi o degli opportunisti, che viviamo in una società divisa in classi, dalla quale non si esce e non si può uscire altrimenti che con la lotta di classe. In ogni società di classe — sia essa fondata sulla schiavitù, sul servaggio o, come oggi, sul lavoro salariato — la classe degli oppressori è armata. Ai giorni nostri non solo l’esercito perma- nente ma anche la milizia — persino nelle repubbliche borghesi piu democratiche come la Svizzera — costituiscono la forza armata della borghesia contro il proletariato, È questa una verità tanto elementare che non v'è quasi bisogno di illustrarla particolarmente. Basti ricor- TL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE 79 dare l’impiego dell’esercito contro gli scioperanti in tutti i paesi ca- pitalistici. L’armamento della borghesia contro il proletariato è uno dei fatti piu importanti, salienti e fondamentali della moderna società capitalistica. Dinanzi a questo fatto, si propone ai socialdemocratici rivoluzionari di formulare la « rivendicazione » del « disarmo »l Ciò equivale a rinnegare integralmente il punto di vista della lotta di classe, a rinunciare del tutto all’idea della rivoluzione. La nostra parola d’ordine deve essere: armare il proletariato per vincere, espropriare e disarmare la bogrhesia. È questa la sola tattica possibile per una classe rivoluzionaria, una tattica che scaturisce da tutto lo sviluppo oggettivo del militarismo capitalistico e che è imposta da questo svi* luppo. Solo dopo aver disarmato la borghesia il proletariato potrà buttare tra i ferri vecchi, senza tradire la sua funzione storica mon- diale, tutte le armi, ed esso non mancherà di farlo, ma solo allora , e in nessun caso prima. Se la guerra attuale provoca nei socialisti cristiani reazionari, nei piccoli borghesi piagnucoloni soltanto orrore e paura, soltanto avver- sione per Limpiego delle armi, per il sangue, la morte, ecc., noi dob- biamo dire che la società capitalistica è stata e sarà sempre un orrore senza fine , E, se oggi la guerra, la più reazionaria di tutte le guerre, prepara a questa società una fine piena d } orrore } non abbiamo alcun motivo di abbandonarci alla disperazione. Eppure, per il suo significato oggettivo, la « rivendicazione » del disarmo — o meglio il sogno del disarmo — altro non è che un segno di disperazione in un’epoca in cui, sotto gli occhi di tutti, la borghesia stessa prepara con le sue forze la sola guerra legittima e rivoluzionaria, cioè la guerra civile contro la borghesia imperialistica, A coloro i quali diranno che questa è una teoria staccata dalla vita ricorderemo due fatti di portata storica mondiale: da un lato, la funzione dei trusts e del lavoro delle donne nelle fabbriche; dal- l’altro, la Comune del 1871 e Pinsurrezione del dicembre 1905 in Russia, È affare della borghesia sviluppare i trusts, cacciare le donne e i ragazzi nelle fabbriche, martirizzarli, corromperli, condannarli alla estrema miseria. Noi non « rivendichiamo » un simile sviluppo, non lo « sosteniamo », lo combattiamo Ma in che modo ? Sappiamo bene 80 LENIN cbe i trust s e il lavoro delle donne nelle fabbriche rappresentano un progresso. Non vogliamo tornare indietro, alPartigianato, al capitali- smo premonopolistico, al lavoro delle donne a domicilio. Avanti, per mezzo dei trusts, ecc., e più oltre, verso il socialismo! Questo ragionamento è valido, con le debite modifiche, anche per Fattuale militarizzazione del popolo. Oggi la borghesia imperialistica militarizza non solo tutto il popolo ma anche i giovani. Domani, forse, si accingerà a militarizzare le donne. Tanto meglio! — dobbiamo dire a questo proposito. Si affretti a farlo! Perché, quanto prima essa lo farà, tanto più sarà vicina Pinsurrezione armata contro il capitalismo. Come possono i socialdemocratici lasciarsi spaventare dalla militariz- zazione dei giovani, ecc., se nella loro memoria è presente Pesempio della Comune? Non è una « teoria staccata dalla vita », non è un sogno, ma un fatto. E sarebbe davvero una sventura, se i socialdemo- cratici, a dispetto di tutti i fatti econòmici e politici, cominciassero a mettere in dubbio che l’epoca dell’imperialismo e le guerre imperiali- stiche devono inevitabilmente condurre alla ripetizione di questi fatti. Un osservatore borghese della Comune scriveva, nel maggio del 1871, in un giornale inglese: « Se la nazione francese fosse composta soltanto di donne, che orribile nazione sarebbe! ». Durante la Comune le donne e i ragazzi, da tredici anni in su, si batterono a fianco degli uomini. Non potrà accadere diversamente nelle future battaglie per rovesciare la borghesia. Le donne proletarie non saranno passive spettatrici, quando la borghesia bene armata sparerà sugli operai male armati o inermi. Esse impugneranno le armi, come nel 1871, e dalle nazioni oggi terrorizzate — più esattamente dall’attuale movimento operaio disorganizzato dagli opportunisti più che dal governo — sor- gerà senza dubbio, presto o tardi, ma ineluttabilmente, l’alleanza in- temazionale delle « orribili nazioni » del proletariato rivoluzionario. La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale. L’imperiali- smo è la lotta accanita delle grandi potenze per la divisione e la ripar- tizione del mondo: esso deve quindi estendere inevitabilmente la militarizzazione a tutti i paesi, non esclusi i paesi neutrali e le piccole nazioni. Come reagiranno a questo le donne proletarie? Si limiteranno a maledire tutte le guerre e tutto ciò che riguarda la guerra, rivendi- cando il disarmo? Le donne di una classe oppressa veramente rivolu- zionaria non accetteranno mai una funzione cosi vergognosa. Esse di- IL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE 81 ranno ai loro figli: « Presto sarai cresciuto. Ti daranno un fucile. Prendilo e impara a maneggiar bene le armi. È una scienza necessaria ai proletari: no, non per sparare sui tuoi fratelli, sugli operai degli altri paesi, come accade in questa guerra e come ti consigliano di fare i traditori del socialismo, ma per combattere contro la borghesia del tuo paese, per mettere fine allo sfruttamento, alla miseria e alle guerre, non con le pie intenzioni, ma piegando la borghesia e disarmandola ». Se ci si rifiuta di fare questa propaganda, e di farla proprio in legame con la guerra in corso, è meglio astenersi del tutto dalle grandi frasi sulla socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale, sulla rivolu- zione socialista, sulla guerra alla guerra. Ili I fautori del disarmo si dichiarano contrari al paragrafo del pro- gramma suir« armamento del popolo » anche perché, fra l’altro, questa rivendicazione indurrebbe facilmente a concessioni nei confronti del- Topportunismo. Abbiamo esaminato sopra l’essenziale, cioè il rapporto tra il disarmo, la lotta di classe e la rivoluzione sociale. Esaminiamo adesso il rapporto tra la rivendicazione del disarmo e Topportunismo. Una delle ragioni principali per cui questa rivendicazione è inaccetta- bile è il fatto che essa e le illusioni che ne derivano indeboliscono e debilitano inevitabilmente la nostra lotta contro Topportunismo. Questa lotta . è, senza dubbio, la questione oggi più importante dellTnternazionale. La lotta contro Timperialismo, se non è stretta- mente collegata alla lotta contro Topportunismo, è una frase vuota o un inganno. Uno dei principali difetti di Zimmerwald e di Kienthal 3B , una delle cause fondamentali del possibile fiasco di questi germi della III Internazionale, consiste appunto nel fatto che la questione della lotta contro l’opportunismo non è stata, non dico, risolta nel senso della necessità di rompere con gli opportunisti, ma neppure posta aper- tamente. L'opportunismo ha vinto — per ora — nel movimento ope- raio europeo. In tutti i grandi paesi si sono delineate due gradazioni principali di opportunismo: da un lato, il socialimperialismo aperto, cinico e quindi meno pericoloso dei signori Plekhanov, Scheidemann, Legien, Albert Thomas e Sembat,. Vandervelde, Hyndman, Hender- son, ecc.; dalTaltro, quello velato, kautskiano di Kautsky-Haase e del 82 LENIN « Gruppo socialdemocratico del lavoro » 39 in Germania, di Longuet, Pressemane, Mayéras, ecc. in Francia, di Ramsay MacDonald e degli altri capi del Partito laburista indipendente in Inghilterra, di Martov, Ckheidze, ecc. in Russia, di Treves e altri cosiddetti riformisti di si- nistra in Italia. L'opportunismo dichiarato è apertamente e nettamente contrario alla rivoluzione e ai nascenti movimenti e scoppi rivoluzionari, si allea apertamente con i governi, quali che siano le forme di questa intesa, dalla partecipazione ai ministeri fino alla partecipazione ai comitati del- l’industria di guerra 40 (in Russia). Gli opportunisti mascherati, i kaut* skiani, sono molto più nocivi e pericolosi per il movimento operaio, perché nascondono con altisonanti frasi « marxiste » e con parole d’or- dine pacifistiche la difesa della propria alleanza con gli opportunisti dichiarati. La lotta contro queste due forme deH’opportunismo domi- nante deve essere condotta in tutti i campi della politica proletaria: parlamento, sindacati, scioperi, settore militare, ecc. La caratteristica principale di queste due forme di opportunismo è che esse tacciono, eludono o trattano con circospezione, in rapporto ai divieti polizieschi, la questione concreta del nesso tra la guerra attuale e la rivoluzione e insieme le altre questioni concrete della rivoluzione. E questo, benché prima della guerra si sia infinite volte sottolineato, non ufficial- mente e ufficialmente nel manifesto di Basilea 41 , il nesso tra questa guerra, che si stava allora approssimando, e la rivoluzione proleta- ria. Ma il difetto principale della rivendicazione del disarmo è che in essa si eludono tutte le questioni concrete della rivoluzione. A meno che i fautori del disarmo non propugnino un tipo assoluta- mente inedito di. rivoluzione, la rivoluzione inerme! Proseguiamo. Noi non siamo affatto contrari alla lotta per le riforme. Non vogliamo ignorare la triste eventualità che il genere umano subisca — nella peggiore delle ipotesi — una seconda guerra imperialistica, se, nonostante le numerose esplosioni di fermento e di malcontento tra le masse, nonostante i nostri sforzi, dalla guerra attuale non sorgerà la rivoluzione. Noi sosteniamo un programma di riforme che è anch’esso diretto contro gli opportunisti. Questi tali sarebbero ben felici, se noi lasciassimo loro in esclusiva la lotta per le riforme e, fuggendo la triste realtà, trovassimo riparo sopra le nuvole, sulle cime d’un qualsiasi « disarmo ». Il v « disarmo » è appunto la fuga dalla deplorevole realtà e non un mezzo per combatterla. IL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE 83 Ecco che cosa diremmo» approssimativamente, nel nostro pro- gramma: « La parola d'ordine e l’accettazione della difesa della patria nella guerra imperialistica del 1914-1916 sono soltanto una forma di corruzione del movimento operaio mediante la menzogna borghese », Questa risposta concreta a domande concrete sarebbe piu giusta sul piano teorico, molto più utile per il proletariato e più insopportabile per gli opportunisti» che non la rivendicazione del disarmo e la nega- zione di « qualsiasi » difesa della patria. E noi potremmo aggiungere: « La borghesia di tutte le grandi potenze imperialistiche: Inghilterra, Francia, Germania, Austria, Russia, Italia, Giappone, Stati Uniti, è diventata talmente reazionaria ed è posseduta a tal punto dal desi* derio di dominare il mondo che qualsiasi guerra scatenata dalla borghe- sia di questi paesi non può non essere reazionaria. Il proletariato deve non soltanto opporsi a ogni guerra di tal natura, ma anche desiderare la disfatta del “proprio” governo e approfittarne per scatenare l’insur- rezione rivoluzionaria, ove non riesca l’insurrezione per impedire la guerra ». Sul problema della milizia dovremmo dire: non siamo favorevoli alla milizia borghese, ma soltanto alla milizia proletaria. Quindi « né un soldo né un uomo », non soltanto per l’esercito permanente, ma neanche per la milizia borghese, sia pure in paesi come gli Stati Uniti o la Svizzera, la Norvegia, ecc. Tanto più che persino nelle repub- bliche più libere (in Svizzera, per esempio) la milizia si prussianizza sempre più, soprattutto nel 1907 e nel 1911, e viene prostituita in vista della mobilitazione delPesetcito contro gli scioperanti. Noi possia- mo rivendicare l’elezione degli ufficiali da parte del popolo, l’aboli- zione di qualsiasi giustizia militare, l’uguaglianza di diritti per gli operai immigrati e del luogo (questo punto è particolarmente impor- tante per quegli Stati imperialistici che, come la Svizzera, sfruttano con cinismo sempre più sfrontato un numero sempre più alto di operai stranieri, senza concedere loro alcun diritto), inoltre, il diritto per ogni cento abitanti, poniamo, di un dato paese di costituire libere associazioni per lo studio dell’arte militare, di eleggere liberamente istruttori, che dovrebbero essere retribuiti dallo Stato, ecc. Solo in queste condizioni il proletariato potrebbe apprendere l’arte militare realmente per sé e non per coloro che Io tengono in schiavitù: e gli interessi del proletariato esigono imperiosamente che esso si dedichi 84 LENIN a questo studio. La rivoluzione russa ha dimostrato che ogni successo, anche solo parziale, del movimento rivoluzionario — per esempio, la conquista di una città, di un sobborgo industriale, di una unità del- Pesercito — costringerà inevitabilmente il proletariato vittorioso a realizzare proprio questo programma. È, infine, evidente che non si può combattere Popportunismo con la semplice redazione dei programmi, ma solo controllando infles- sibilmente che vengano realizzati in concreto. L'errore più grave, quel- lo decisivo, della fallita II Internazionale fu che i suoi atti non corri- spondevano alle parole, che in essa si era radicata l'abitudine all'ipo- crisia e alla fraseologia rivoluzionaria senza scrupoli (si veda l'orienta- mento attuale di Kautsky e soci riguardo al manifesto di Basilea). Il disarmo come idea sociale — cioè come idea generata da ima situa- zione sociale, invece di restare un'ubbia individuale — è palesemente il prodotto delle particolari, eccezionalmente « tranquille », condizioni di vita di alcuni piccoli Stati, che sono rimasti abbastanza a lungo e sperano di restare lontani dal sanguinoso cammino mondiale delle guerre. Per convincersene, basta ricordare, ad esempio, le argomenta- zioni dei fautori norvegesi del disarmo: « Siamo un piccolo paese — essi dicono — il nostro esercito è debole, siamo impotenti di fronte ai grandi paesi » (siamo quindi impotenti anche se ci viene imposta per forza un'alleanza imperialistica con l J uno o l'altro gruppo di grandi potenze), « noi vogliamo starcene in pace nel nostro cantuccio e pro- seguire una politica di campanile, rivendicare il disarmo, l'arbitrato obbligatorio, la neutralità permanente, ecc. » (« permanente », forse, come quella del Belgio?). La meschina tendenza dei piccoli Stati a rimanere in disparte, il desiderio piccolo-borghese di restare estranei alle grandi battaglie della storia mondiale e di approfittare di una posizione di relativo monopolio per continuare a vivere in uno stato di passività abitudinaria: ecco la situazione sociale oggettiva che può garantire all’idea del disarmo un certo successo e una certa diffusione in alcuni piccoli Stati. Benin- teso, questa tendenza è reazionaria e riposa esclusivamente su illu- sioni, perché in un modo o nell'altro P imperialismo trascina anche i piccoli Stati nel vortice dell'economia e della politica mondiali. La condizione imperialistica della Svizzera, per esempio, impone oggettivamente al suo movimento operaio due linee: gli opportunisti, IL PROGRAMMA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE 85 in alleanza cori la borghesia,* tendono a fare della Svizzera una federa- zione democratica repubblicana, che monopolizzi i profitti del turismo della borghesia imperialistica e sfrutti questa « tranquilla » posizione di monopolio nel modo piu proficuo e tranquillo. I veri socialdemocratici svizzeri cercano invece di avvalersi della relativa libertà e della posizione « internazionale » della Svizzera per contribuire alla vittoria dell’unità degli elementi rivoluzionari dei par- titi operai d’Europa. Grazie a dio, la Svizzera non parla una lingua « sua propria », ma tre lingue mondiali, che sono appunto quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Se i ventimila iscritti al partito svizzero versassero ogni setti- mana, come « imposta straordinaria di guerra », due centesimi, avrem- mo in un anno ventimila franchi: una cifra piu che sufficiente per riuscire, nonostante i divieti degli stati maggiori generali, a diffondere periodicamente in tre lingue, fra gli operai e i soldati dei paesi belli- geranti, pubblicazioni in cui si dica la verità sull’indignazione che co- comincia a manifestarsi fra gli operai, sulla loro fratemizzazione nelle trincee, sulla loro speranza di impiegare a fini rivoluzionari le armi contro la borghesia imperialistica dei « loro » paesi, ecc. Tutto questo non è nuovo. Già svolgono tale lavoro i giornali migliori, la Sentinelle , il Volksrecht, la Berner Tagwacht , anche se, purtroppo, in misura insufficiente. Solo per mezzo di questo lavoro la bella risoluzione del congresso di Aarau 41 potrà diventare qualcosa di piu di una bella deliberazione. La questione che oggi ci interessa è questa: corrisponde la riven- dicazione dei disarmo all’orientamento rivoluzionario dei socialdemo- cratici svizzeri? Evidentemente no. Il « disarmo » è oggettivamente il programma più nazionale, piu specificamente nazionale, dei piccoli Stati, ma non è in nessun caso il programma internazionale della social- democrazia rivoluzionaria internazionale. Scritto nel settembre 1916. Pubblicato in tedesco nel giornale Jugend-Internationale , 1917, nn. 9 e 10. Firmato: N. Lenin. Pubblicato per la prima volta in russo nel v. XIX delle Opere di Lenin, 1929, AFFOGATI IN UN BICCHIER D’ACQUA In una lettera di un bundista di Pietroburgo, datata 26 febbraio 1916 e riprodotta nel n. 1 del Bollettino del Bund 4S (settembre 1916), leggiamo: « La difficoltà di adottare la formula della difesa della patria è per noi notevolmente aggravata dal fatto cbe non possiamo comun- que passar sotto silenzio la questione polacca, come invece fanno tut- tora i nostri compagni russi » {non si dimentichi che i « compagni » di questo signore sono Potresov e soci). « La circostanza che persino i difensisti della nostra cerchia si rifiutino di applicare nei confronti della Russia la formula “senza annessioni 11 è per coloro che non accet- tano oggi psicologicamente la difesa della patria una vigorosa argo- mentazione contro tale difesa, poiché essi domandano con ironia: che cosa dunque difendete? Tuttavia, l’idea dell’indipendenza della Polo- nia gode dell’ approvazione dei dirigenti » (non si sa bene di quali). Quando, nella risoluzione del 1905, dichiarammo che nel Bund prevaleva lo sciovinismo germanofilo 44 , i signori Kosovski e compagnia seppero replicare soltanto con delle ingiurie. Oggi, nel loro organo di stampa, un loro collega di partito conferma la nostra dichiarazione! Se infatti i « difensisti » del Bund si rifiutano di applicare la formula « senza annessioni » « nei confronti della Russia » (si noti che non si fa cenno della Germania!), in che cosa questa posizione differisce, per la sostanza, dallo sciovinismo germanofilo? Se i bundisti volessero e sapessero ragionare, vedrebbero che si sono lasciati fuorviare nel problema delle annessioni. Dagli errori e dalla confusione si può uscire in un solo modo: accettando il pro- gramma che è stato da noi precisato fin dal 1913 45 . Cioè: per realiz- zare in modo intelligente e onesto una politica che respinga le annes- AFFOGATI IN UN BICCHIER D’ACQUA 87 sioni, i socialisti e i democratici delle nazioni oppresse devono, in tutta la loro propaganda e agitazione, qualificare come furfanti quei socialisti dei paesi oppressori (poco importa che si tratti dei grandi- russi, dei tedeschi o dei polacchi nei confronti degli ucraini, ecc.) che non si battano con coerenza e senza riserve per la libertà di separa- zione delle nazioni oppresse (o tenute soggette con la forza) dalla loro stessa nazione . Se i bundisti non accettano, né oggi né in futuro, questa con- clusione, il solo motivo è il loro rifiuto di bisticciare con i Potresov in Russia, con i Legien, i Sudekum e persino i Ledebour (i quali ultimi sì oppongono alla libertà di separazione dell’Alsazia-Lorena) in Germa- nia, con i nazionalisti, o meglio i socialsciovinisti, in Polonia, ecc. Un motivo plausibile, non c’è che dire! Scritto nel settembre-ottobre 1916. Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931, SALUTO AL CONGRESSO DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO 48 Cari compagni, a nome del CC del Partito operaio socialdemo- cratico di Russia saluto il congresso del Partito socialista italiano e gli auguro successo nel suo lavoro. Il Partito socialista italiano, primo tra i partiti socialisti dei paesi belligeranti, è riuscito a fare ciò che avrebbero potuto e dovuto fare tutti i partiti socialisti di questi paesi, se non avessero tradito il so- cialismo e non fossero passati dalla parte della borghesia, cioè: riunire il loro congresso, la loro conferenza o assemblea fuori del tiro della « patria » censura militare, delle autorità militari, in un paese, libero, dove si possa discutere liberamente, e assumere un atteggiamento socia- lista verso la guerra, Mi sia consentito esprimere la speranza che il congresso del Partito socialista italiano, liberato dai patriottici bavagli, riesca a fare altrettanto, se non piu, di quanto ha fatto finora tutto il Partito socialista italiano, nella lotta contro il tradimento del sociali- smo da parte di quasi tutti i partiti socialisti europei. I rappresentanti del nostro partito hanno lavorato insieme con i rappresentanti del vostro a Zimmerwald e a Kienthal. E Punico serio dissenso che ci ha diviso concerneva Pinevitabilità e la necessità di rompere con i socialsciovinisti, cioè con i socialisti a parole e scio- vinisti nei fatti, e precisamente con tutti coloro che rappresentano o giustificano la « difesa della patria » nella guerra imperialistica in corso, che direttamente o indirettamente appoggiano il « proprio » governo, la « propria » borghesia in questa guerra reazionaria e bri- gantesca, combattuta per spartirsi le colonie e conquistare l’egemonia sul mondo. Noi consideriamo la scissione dai socialsciovinisti storica- mente inevitabile e necessaria ai fini di una lotta sincera, non circo- SALUTO AL CONGRESSO DEL PSI 89 scritta alle proteste verbali, rivoluzionaria del proletariato per il so- cialismo. I rappresentanti del vostro partito erano deiropinione che si potesse ancora contare sulla vittoria del proletariato ai danni dei socialsciovinisti sema scindersi da essi. Vogliamo sperare che lo sviluppo degli avvenimenti nel socia- lismo mondiale riduca sempre più il terreno stesso del nostro dissenso. Da una parte, in tutto il mondo, non solo nei paesi belligeranti, ma anche nei principali paesi neutrali, per esempio in un paese capi- talistico come gli Stati Uniti d’America, il movimento operaio di fatto •si divide sempre più in sostenitori e avversari della « difesa della pa- tria » in questa e nelle successive guerre imperialistiche, che tutta la politica di tutte le cosiddette « grandi » potenze del nostro tempo pre- parerà e farà maturare. Dairaltra parte, poco tempo fa abbiamo letto con vero piacere nell’ Avanti !„ organo centrale del partito socialista, un articolo di fondo intitolato: La chiusura della conferenza socialista tedesca Questa conferenza del partito socialista tedesco è uno degli avvenimenti sa- lienti nel socialismo mondiale degli ultimi mesi, poiché in essa si sono scontrate le tre principali correnti, nov solo del socialismo tedesco, ma del socialismo mondiale', in primo luogo, la corrente dei socialscio- vinisti dichiarati, come Legien, David e soci in Germania, Plekhanov, Potresov, Ckhenkeli in Russia, Renaudel e Sembat in Francia, Bissolati e il suo partito in Italia; in secondo luogo, la corrente che condivide l’idea fondamentale del socialsciovinismo, cioè l’idea della « difesa della patria » nella guerra attuale, e che vuole conciliare quest’idea con il socialismo e l’internazionalismo genuini, la corrente Haase- Kautsky; in terzo luogo, la corrente realmente socialista e internazio- nalistica del gruppo « Internazionale » e dei « socialisti internaziona- listi » 4 ® in Germania. Valutando queste tre tendenze nell’articolo citato (n. 269, 27 set- tembre 1916), V Avanti! scriveva: « ... Il proletariato tedesco finirà indubbiamente per trionfare contro i Legien, gli Ebert ed i David, che hanno preteso di compro- mettere la sua azione di classe nei tristi patteggiamenti con i Beth mann-Hollweg e gli altri fautori della guerra. Di questo noi abbiamo la più schietta certezza ». Noi abbiamo la medesima certezza. 90 LENIN « Piuttosto — prosegue Y Avanti! — la conferenza dei socialisti tedeschi ci lascia incerti circa l’atteggiamento prossimo di una parte dell’opposizione, quella che ebbe per esponente principale l’Haase. «Il gruppo' “Internazionale’ con Liebknecht, con Mehring, con Clara Zetkin, con Rosa Luxemburg, con tutti gli altri “sabotatori e traditori della patria” è perfettamente a posto. «Meno conseguente ci è parso H a a s e .» 40 E Y Avanti! spiega che Y« inconseguenza » di Haase e del suo gruppo, che noi chiameremo nella nostra stampa la tendenza kautskiana del socialismo mondiale, è da ravvisare, nel fatto che «essi non accettano le logiche e naturali conseguenze a cui sono giunti Liebknecht e compagni»* 0 . Cosi scrive V Avanti! Noi salutiamo di tutto cuore queste dichiarazioni deìYAvanti! Siamo persuasi che il Vorwàrts , organo centrale dei socialdemocratici tedeschi e organo principale della tendenza kautskiana, sia in errore quando, nel numero del 7 ottobre 1916, cosi commenta le parole del V Avanti!: « dass der Avanti! ùber die Parteiverhaltnisse und Parteivorgange in Deutschland nicht ganz zutreffend informiert ist » 51 . Noi siamo persuasi che Y Avanti! sia informato « ganz zutreffend » e che non giudichi per caso che il gruppo di Haase ha torto e il gruppo di Liebknecht ragione. Noi speriamo pertanto che il Partito socialista italiano possa occupare un posto importante nel socialismo internazionale con la sua difesa dei principi e della tattica di Liebknecht. Il nostro partito si trova in condizioni incomparabilmente più difficili del partito italiano. Tutta la nostra stampa è stata soffocata. Ma anche dalPemigrazione siamo riusciti ad appoggiare la lotta dei nostri compagni in Russia. Che questa lotta contro la guerra, com- battuta dal nostro partito in Russia, sia veramente la lotta degli operai più avanzati e delle masse operaie è dimostrato da due fatti: in primo luogo, i deputati operai del nostro partito, eletti dagli operai nelle province più industriali della Russia, Petrovski, Sciagov, Badaiev» Sa- moilov e Muranov, sono stati deportati in Siberia dal governo zarista per aver svolto propaganda rivoluzionaria contro la guerra 52 ; in se- condo luogo, molto tempo dopo la loro deportazione, gli operai avan- SALUTO AL CONGRESSO DEL PSI 91 zatì di Pietroburgo aderenti al nostro partito si sono rifiutati energi- camente di partecipare ai comitati dell’industria di guerra. In gennaio del 1917 si riunirà la conferenza degli Entente- Sozialisten 53 . Abbiamo già fatto una volta l’esperimento di partecipare a una conferenza del genere a Londra ma si è tolta la parola al nostro rappresentante, non appena si è arrischiato a dire la verità sul tradimento dei socialisti europei. Pensiamo dunque che- in simili con- ferenze ci sia posto soltanto per i signori Bissolati, Plekhanov, Sembat e tutti quanti 55 . Abbiamo perciò intenzione di rifiutarci di partecipare alla conferenza e di indirizzare una lettera a tutti gli operai europei per denunciare come i socialsciovinisti ingannano il popolo. Saluto ancora una volta il congresso del Partito socialista italiano e gli esprimo i miei auguri di successo nel suo lavoro. Scritto nella prima metà dell’ottobre 1916. Pubblicato per la prima volta in Miscellanea ài Lenin, -XVII, 1931, SULLA PAROLA D’ORDINE DEL « DISARMO » In molti paesi, e soprattutto nei piccoli Stati non coinvolti nella presente guerra, in Svezia, per esempio, in Norvegia, in Olanda, in Svizzera, si odono voci che propongono di sostituire al vecchio para- grafo del programma minimo socialdemocratico: « milizia » o « arma- mento del popolo », un paragrafo nuovo: « disarmo ». La Jugend - Internationale , organo di stampa dell’organizzazione internazionale del- la gioventù, ha pubblicato nel suo n. 3 un editoriale in favore del disarmo. Nelle « tesi » di R. Grimm sulla questione militare, redatte per il congresso del Partito socialdemocratico svizzero, troviamo una concessione all’idea del « disarmo ». Nella rivista svizzera Neues Leben, nel corso del 1915, Roland-Holst, dando a vedere di voler « conci- liare » le due rivendicazioni, si è pronunciata in concreto per la stessa concessione. L’organo della sinistra internazionale, il V orbate , ha pub- blicato nel suo n. 2 un articolo del marxista olandese Wijnkoop in cui si riprende la vecchia rivendicazione delParmamento del popolo. La sinistra scandinava, come risulta dagli articoli pubblicati più avan- ti 56 , accetta il « disarmo », pur riconoscendo che esso contiene un ele- mento di pacifismo. Esaminiamo da vicino la posizione dei fautori del disarmo. I Una delle premesse fondamentali in favore del disarmo è una considerazione che non viene sempre enunciata con franchezza: noi siamo contrari alla guerra, a qualsiasi guerra, e l’espressione piu SULLA PAROLA D’ORDINE DEL « DISARMO » 93 chiara, precisa e inequivocabile di questa nostra concezione è la parola d’ordine del disarmo. SulPerroneità di questa considerazione ci siamo già soffermati in un articolo dedicato all’opuscolo di Junius a cui rinviamo il lettore 57 . I socialisti, a meno che cessino di essere socialisti, non possono essere contro qualsiasi guerra. Non bisogna farsi accecare dall’attuale guerra imperialistica. Nell’epoca dell’imperialismo sono appunto tipiche le guerre tra le « grandi » potenze, ma non sono affatto impossibili le guerre democratiche e le insurrezioni dei popoli oppressi, per esempio, che lottano per emanciparsi dai loro oppressori. Le guerre civili del proletariato contro la borghesia e per il socialismo sono ine- vitabili. Sono altresì possibili le guerre del socialismo vittorioso in un solo paese contro altri paesi borghesi o reazionari. Il disarmo è l’ideale del socialismo. Nella società socialista non vi saranno più guerre, quindi in essa si realizzerà il disarmo. Ma non è un socialista chi spera di realizzare il socialismo facendo a meno della rivoluzione sociale e della dittatura del ptoletariato. La dittatura è un potere statale che poggia direttamente sulla violenza . La violenza, nel ventesimo secolo, come del resto in generale nell’epoca della ci- viltà, non è il pugno o il randello, ma Yesercito. Inserire nel programma il « disarmo » significa pertanto dichiararsi contrari alPimpiego delle armi. In questo non c’è più nemmeno l'ombra del marxismo, è come se dicessimo che siamo contrari all'impiego della violenza! Osserviamo che la discussione internazionale su questo problema è stata condotta prevalentemente, se non esclusivamente, in lingua tedesca. E in tedesco si usano due termini 58 di cui non è facile ren- dere la differenza in russo. L'uno significa propriamente « disarmo » e viene usato, ad esempio, da Kautsky e dai kautskiani per indicare la riduzione degli armamenti. L’altro significa propriamente « soppres- sione degli armamenti » e viene usato di preferenza dalla sinistra per indicare Pabolizione del militarismo e dì ogni sistema militaristico. Nel presente articolo ci riferiamo alla seconda rivendicazione, che è la più diffusa tra alcuni socialdemocratici rivoluzionari . La predicazione kautskiana del « disarmo », indirizzata ai governi attuali delle grandi potenze imperialistiche, è la forma più abietta di opportunismo, di pacifismo borghese, e serve di fatto — nonostante le « pie intenzioni » dei nostri melliflui kautskiani — a distogliere 94 LENIN gli operai dalla lotta rivoluzionaria. In effetti, per mezzo di questa predicazione, si inculca negli operai l’idea che gli attuali governi bor- ghesi delle potenze imperialistiche non siano legati per mille fili al capitale finanziario e vincolati dalle decine e centinaia di trattati se- greti (briganteschi, predoneschi, che preparano la guerra imperialistica) conclusi tra loro. II Una classe oppressa che non cercasse d’imparare a maneggiare le armi, che non tendesse a possederle, meriterebbe di essere trattata da schiava. Non possiamo dimenticare, a meno di diventare dei paci- fisti borghesi o degli opportunisti, che viviamo in una società divisa in classi, dalla quale non si esce e non si può uscire altrimenti che con la lotta di classe e con il rovesciamento del potere della classe dominante. In ogni società di classe — sia essa fondata sulla schiavitù, sul servaggio o, come oggi, sul lavoro salariato — la classe degli oppres- sori è annata. Ai giorni nostri non solo l’esercito permanente ma an- che la milizia — persino nelle repubbliche borghesi più democratiche come la Svizzera — costituiscono la forza armata della borghesia contro il proletariato. £ questa una verità tanto elementare che non v’è quasi bisogno di illustrarla particolarmente. Basti ricordare Tim- piego dell’esercito (nonché della milizia democratica repubblicana) con- tro gli scioperanti: un fenomeno comune a tutti i paesi capitalistici senza eccezione. L’armamento della borghesia contro il proletariato è uno dei fatti più importanti, salienti e fondamentali della moderna società capitalistica. Dinanzi a questo fatto, si propone ai socialdemocratici rivoluzio- nari di formulare la * rivendicazione » del « disarmo »! Ciò equivale a rinnegare integralmente il punto di vista della lotta di classe, a rinunciare del tutto all’idea della rivoluzione. La nostra parola d’ordine deve essere: armare il proletariato per vincere, espropriare e disar- mare la borghesia. È questa la sola tattica possibile per una classe rivoluzionaria, una tattica che scaturisce da tutto lo sviluppo ogget- tivo del militarismo capitalistico c che è imposta da questo sviluppo. SULLA PAROLA D’ORDINE DEL « DISARMO » 95 Solo dopo aver- disarmato la borghesia il proletariato potrà buttare tra i ferri vecchi, senza tradire la sua funzione storica mondiale, tutte le armi, ed esso non mancherà di farlo, ma solo allora, e in nessun caso prima. Se la guerra attuale provoca nei socialisti cristiani reazionari, nei piccoli borghesi piagnucoloni soltanto orrore e paura, soltanto avver- sione per Timpiego delle armi, per il sangue, la morte, ecc., noi dob- biamo dire che la società capitalistica è stata e sarà sempre un orrore senza fine. E, se oggi la guerra, la piu reazionaria di tutte le guerre, prepara a questa società una fine piena d'orrore , non abbiamo alcun motivo di abbandonarci alla disperazione, Eppure, per il suo significato oggettivo, la « rivendicazione » del disarmo — o meglio il sogno del disarmo — altro non è che un segno di disperazione in un’epoca in cui, sotto gli occhi di tutti, la borghesia stessa prepara con le sue forze la sola guerra legittima e rivoluzionaria, cioè la guerra civile contro la borghesia imperialistica. A coloro i quali diranno che questa è una teoria staccata dalla vita ricorderemo due fatti di portata storica mondiale: da un lato, la funzione dei trusts e del lavoro delle donne nelle fabbriche; dall’altro, la Comune del 1871 e l'insurrezione del dicembre 1905 in Russia. È affare della borghesia sviluppare i trusts, cacciare le donne e i ragazzi nelle fabbriche, martirizzarli, corromperli, condannarli alla estrema miseria. Noi non « rivendichiamo » un simile sviluppo, non lo « sosteniamo », lo combattiamo. Ma in che modo ? Sappiamo bene che i trusts e il lavoro delle donne nelle fabbriche rappresentano un pro- gresso. Non vogliamo tornare indietro, all’artigianato, al capitalismo premonopolistico, al lavoro delle donne a domicilio. Avanti, per mezzo dei trusts, ecc., e piu oltre, verso il socialismo! Questo ragionamento, che tiene conto del corso oggettivo dello sviluppo sociale, è valido, con le debite modifiche, anche per Fattuale militarizzazione del popolo. Oggi la borghesia imperialistica militarizza non solo tutto il popolo ma anche i giovani. Domani, forse, si accin- gerà a militarizzare le donne. Tanto meglio! — dobbiamo dire a questo proposito. Si affretti a farlo! Perché, quanto prima essa lo farà, tanto piu sarà vicina Finsurrezione armata contro il capitalismo. Come pos- sono i socialdemocratici lasciarsi spaventare dalla militarizzazione dei giovani, ecc., se nella loro memoria è presente l’esempio della Co- 96 LENIN mune? Non è una « teoria staccata dalla vita », non è un sogno, ma un fatto. E sarebbe davvero una sventura, se i socialdemocratici, a dispetto di tutti i fatti economici e politici, cominciassero a mettere in dubbio che l’epoca deirimperialismo e le guerre imperialistiche devono inevitabilmente condurre alla ripetizione di questi fatti. Un osservatore borghese della Comune scriveva, nel maggio del 1871, in un giornale inglese: «Se la nazione francese fosse compo- sta di sole donne, che orribile nazione sarebbe! ». Durante la Comune le donne e i ragazzi, da tredici anni in su, si batterono a fianco degli uomini. Non potrà accadere diversamente nelle future battaglie per rovesciare la borghesia. Le donne proletarie non saranno passive spet- tatrici, quando la borghesia bene armata sparerà sugli operai male armati o inermi. Esse impugneranno le armi, come nel 1871, e dalle nazioni oggi terrorizzate — piu esattamente dall’attuale movimento operaio disorganizzato dagli opportunisti piu che dal governo — sor- gerà senza dubbio, presto o tardi, ma ineluttabilmente, l’alleanza internazionale delle « orribili nazioni » del proletariato rivoluzionario. La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale. L’imperiali- smo è la lotta accanita delle grandi potenze per la divisione e la ripartizione del mondo: esso deve quindi estendere inevitabilmente la militarizzazione a tutti i paesi, non esclusi i paesi neutrali e le piccole nazioni. Come reagiranno a questo le donne proletarie? Si limiteranno a maledire tutte le guerre e tutto ciò che riguarda la guerra, rivendi- cando il disarmo? Le donne di una classe oppressa veramente rivolu- zionaria non accetteranno mai una funzione cosi vergognosa. Esse di- ranno ai loro figli: « Presto sarai cresciuto. Ti daranno un fucile. Prendilo e impara a maneggiar bene le armi. È una scienza necessaria ai proletari: no, non per sparare sui tuoi fratelli, sugli operai degli altri paesi, come accade in questa guerra e come ti consigliano di fare i traditori del socialismo, ma per combattere contro la borghesia del tuo paese, per mettere fine allo sfruttamento, alla miseria e alle guerre, non con le pie intenzioni, ma piegando la borghesia e disarmando/^ ». Se ci si rifiuta di fare questa propaganda, e di farla proprio in legame con la guerra in corso, è meglio astenersi del tutto dalle grandi frasi sulla socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale, sulla rivolu- zione socialista, sulla guerra alla guerra. SULLA PAROLA D’ORDINE DEL «DISARMO» 97 III I fautori del disarmo si dichiarano contrari al paragrafo del pro- gramma suir« armamento del popolo » anche perché, fra T altro, questa rivendicazione indurrebbe facilmente a concessioni nei confronti del- ropportunismo. Abbiamo esaminato sopra Tessenziale, cioè *il rapporto tra il disarmo, la lotta di classe e la rivoluzione sociale. Esaminiamo adesso il rapporto tra la rivendicazione del disarmo e Topportunismo, Una delle ragioni principali per cui questa rivendicazione è inaccetta- bile è il fatto che essa e le illusioni che ne derivano indeboliscono e debilitano inevitabilmente la nostra lotta contro l’opportunismo. Questa lotta è, senza dubbio, la questione oggi piu importante delPInternazionale. La lotta contro l’imperialismo, se non è stretta* mente collegata alla lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota o un inganno. Uno dei principali difetti di Zimmerwald e di Kienthal, urta delle cause fondamentali del possibile fiasco (insuccesso, falli’ mento) di questi germi della III Internazionale, consiste appunto nel fatto che la questione della lotta contro l’opportunismo è stata, non dico, risolta nel senso della necessità di rompere con gli opportunisti, ma neppure posta apertamente. L’opportunismo ha vinto — per ora — nel movimento operaio europeo. In tutti i grandi paesi si sono deli- neate due gradazioni principali di opportunismo: da un lato, il social- imperialismo aperto, cinico e quindi meno pericoloso dei signori Ple- khanov, Scheidemann, Legien, Albert Thomas e Sembat, Vandervelde, Hyndman, Henderson, ecc.; dall’altro, quello velato, kautskiano di Kautsky-Haase e del « Gruppo socialdemocratico del lavoro » in Ger- mania, di Longuet, Pressemane, Mayéras, ecc. in Francia, di Ramsay MacDonald e degli altri capi del Partito laburista indipendente in Inghilterra, di Martov, Ckheidze, ecc. in Russia, di Treves e altri cosiddetti riformisti di sinistra in Italia. L’opportunismo dichiarato è apertamente e nettamente contrario alla rivoluzione e ai nascenti movimenti e scoppi rivoluzionari, si allea apertamente con i governi, quali che siano le forme di questa intesa, dalla partecipazione ai ministeri fino alla partecipazione ai comitati delLindustria di guerra. Gli opportunisti mascherati, i kaut- skiani, sono molto più nocivi e pericolosi per il movimento operaio, perché nascondono con altisonanti frasi « marxiste » e con parole d'or- A — 2617 98 LENIN dine pacifistiche la difesa della propria alleanza con gli opportunisti dichiarati. La lotta contro queste due forme dell’opportunismo domi- nante deve essere condotta in tutti i campi della politica proletaria: parlamento, sindacati, scioperi, settore militare, ecc. In che cosa consiste la caratteristica principale di queste due forme dell’opportunismo dominante? Nel tacere, eludere o trattare con circospezione, in rapporto ai divieti polizieschi, la questione concreta del nesso tra la guerra attuale e la rivoluzione e insieme le altre questioni concrete della rivolu- zione. E questo, benché prima della guerra si sia infinite volte sotto- lineato, non ufficialmente e ufficialmente nel manifesto di Basilea, il nesso tra questa guerra, che si stava allora approssimando, e la rivo- luzione proletaria. Ma il difetto principale della rivendicazione del disarmo è che in essa si eludono tutte le questioni concrete della rivoluzione. A meno che i fautori del disarmo non propugnino un tipo assolutamente ine- dito di rivoluzione, la rivoluzione inerme! IV Proseguiamo. Noi non siamo affatto contrari alla lotta per le riforme. Non vogliamo ignorare la triste eventualità che il genere umano subisca — nella peggiore ipotesi — una seconda guerra impe- rialistica, se, nonostante le numerose esplosioni di fermento e di malcontento tra le masse, nonostante i nostri sforzi, dalla guerra attuale non sorgerà la rivoluzione. Noi sosteniamo un programma di riforme che è anch’esso diretto contro gli opportunisti. Questi tali sarebbero ben felici, se noi lasciassimo loro in esclusiva la lotta per le riforme e, fuggendo la triste realtà, trovassimo riparo sopra le nuvole, sulle cime d’un qualsiasi «disarmo». Il «disarmo» è appunto la fuga dalla deplorevole realtà e non un mezzo per com- batterla. A questo proposito, uno dei difetti più gravi del modo in cui alcuni uomini di sinistra impostano, ad esempio, la questione della difesa della patria consiste appunto nell’ insufficiente concretezza della risposta. Dire che, nella presente guerra imperialistica, la difesa della SULLA PAROLA D'ORDINE DEL « DISARMO » 99 patria è solo un inganno borghese reazionario è molto più giusto teoricamente e infinitamente più importante sul piano pratico che non formulare una tesi « generale » contro « qualsiasi » difesa della patria. Questa tesi è sbagliata e non « colpisce » il nemico imme- diato degli operai airinterno dei partiti operai, Topportunismo. Sul problema della milizia, se vogliamo dare una risposta con- creta e praticamente indispensabile, dobbiamo affermare che non siamo favorevoli alla milizia borghese, ma soltanto alla milizia proletaria. Quindi « né un soldo né un uomo », non soltanto per l’esercito per- manente, ma neanche per la milizia borghese, sia pure in paesi come gli Stati Uniti o la Svizzera, la Norvegia, ecc. Tanto più che persino nelle repubbliche più libere (in Svizzera» per esempio) la milizia si prussianizza sempre più e viene prostituita in vista della mobilita- zione deiresercito contro gli scioperanti. Noi possiamo rivendicare reiezione degli ufficiali, l'abolizione di qualsiasi giustizia militare, l’uguaglianza di diritti per gli operai immigrati e del luogo (questo punto è particolarmente importante per quegli Stati imperialistici che, come la Svizzera, sfruttano con cinismo sempre più sfrontato un numero sempre più alto di operai stranieri, senza concedere loro alcun diritto), inoltre, il diritto per ogni cento abitanti, poniamo, di un dato paese di costituire libere associazioni per lo studio dell'arte militare, di eleggere liberamente istruttori, che dovrebbero essere retri- buiti dallo Stato, ecc. Solo in queste condizioni il proletariato potrebbe apprendere l’arte militare realmente per sé e non per coloro che Io tengono in schiavitù: e gli interessi del proletariato esigono imperio- samente che esso si dedichi a questo studio. La rivoluzione russa ha dimostrato che ogni successo, anche solo parziale, del movimento rivo- luzionario — per esempio, la conquista di una città, di un sobborgo industriale, di una unità dell’esercito — costringerà inevitabilmente il proletariato vittorioso a realizzare proprio questo programma. È, infine, evidente che non si può combattere l’opportunismo con la semplice redazione di programmi, ma solo controllando inflessi- bilmente che vengano realizzati in concreto. L’errore più grave, quello decisivo, della fallita II Internazionale fu che i suoi atti non corri- spondevano alle parole, che in essa si era radicata l’abitudine alla fra- seologia rivoluzionaria senza scrupoli ( si veda l’orientamento attuale di Kautsky e soci riguardo al manifesto di Basilea). Se consideriamo 100 LENIN sotto questo profilo la rivendicazione del disarmo, dobbiamo porci anzitutto il problema del suo significato oggettivo. Il disarmo come idea sociale — cioè come idea generata da una situazione sociale determinata e suscettibile di operare su un determinato ambiente sociale, invece di restare un’ubbia individuale — è palesemente il pro- dotto delle particolari, eccezionalmente « tranquille », condizioni di vita di alcuni piccoli Stati, che sono rimasti abbastanza a lungo e spe- rano così di restare lontani dal sanguinoso cammino mondiale delle guerre. Per convincersene, basta ricordare, ad esempio, le argomenta- zioni dei fautori norvegesi del disarmo: « Siamo un piccolo paese, — essi dicono, — il nostro esercito è debole, siamo impotenti di fronte ai grandi paesi » (siamo quindi impotenti anche se ci viene imposta per forza un’alleanza imperialistica cori l’uno o l’altro gruppo di grandi potenze!), « noi vogliamo starcene in pace nel nostro cantuccio e pro- seguire una politica di’ campanile, rivendicare il disarmo, l’arbitrato obbligatorio, la neutralità permanente, ecc. » («permanente», forse, come quella del Belgio?). La meschina tendenza dei piccoli Stati a rimanere in disparte, il desiderio piccolo-borghese di restare estranei alle grandi battaglie della storia mondiale e di approfittare di una posizione di relativo mono- polio per continuare a vivere ini uno stato di passività abitudinaria: ecco la situazione sociale oggettiva che può garantire all’idea del di- sarmo un certo successo e una certa diffusione in alcuni piccoli Stati. Beninteso, questa tendenza è reazionaria e riposa esclusivamente su illusioni, perché in un modo o nell’altro l’imperialismo trascina anche i piccoli Stati nel vortice dell’economia e della politica mondiali. Consideriamo l’esempio della Svizzera. La condizione imperiali- stica di questo paese impone oggettivamente al suo movimento operaio due linee. Gli opportunisti, in alleanza con la borghesia, tendono a fare della Svizzera una federazione democratica repubblicana, che mono- polizzi i profitti del turismo della borghesia imperialistica e sfrutti questa « tranquilla » posizione di monopolio nel modo più proficuo e tranquillo. In concreto, questa politica è una politica di alleanza tra un esiguo strato di operai privilegiati in un paese che gode di una situazione privilegiata e la borghesia di questo paese contro le masse del proletariato. I veri socialdemocratici svizzeri cercano invece di avvalersi della relativa libertà e della posizione « internazionale » della SULLA PAROLA D’ORDINE DEL « DISARMO » lOt Svizzera (la sua vicinanza a paesi di alta civiltà e il fatto che, grazie a dio, la Svizzera non parla una lingua « sua propria », ma tre lingue mondiali) per estendere, rinsaldare e rafforzare l’alleanza rivoluzio- naria degli elementi rivoluzionari del proletariato di tutt’Europa. Aiu- tiamo la nostra borghesia a conservare il più a lungo possibile questa situazione di monopolio che le permette di sfruttare commercial- mente con la massima tranquillità il fascino delle Alpi, e vedrete che toccherà anche a noi una piccola percentuale: ecco il contenuto ogget- tivo della politica degli opportunisti svizzeri. Diamo il nostro contri- buto all'unione del proletariato rivoluzionario francese, tedesco e ita- liano per rovesciare la borghesia: ecco il contenuto oggettivo della politica dei socialdemocratici rivoluzionari svizzeri. Purtroppo, questa politica viene ancora realizzata dalla « sinistra » in maniera insuffi- ciente, e la bella risoluzione del congresso di Aarau del 1915 (in cui si riconosce la lotta rivoluzionaria di massa) rimane tuttora sulla carta. Ma non è questo il punto. La questione che oggi ci interessa è di accertare se la rivendica- zione del disarmo corrisponda alPorientamento rivoluzionario dei social- democratici svizzeri. La risposta è evidentemente negativa. La « riven- dicazione » del disarmo corrisponde oggettivamente alla linea opportu- nistica del movimento operaio, ad una linea angustamente nazionale e circoscritta agli orizzonti di un piccolo Stato. Il « disarmo » è oggetti- vamente il programma più nazionale, più specificamente nazionale, dei piccoli Stati, ma non è in nessun caso il programma internazionale della socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale. P.S. NelPultimo numero di The socialist review (settembre 1916), organo dell'opportunistico Partito laburista indipendente, troviamo, a p. 287, una risoluzione che è stata approvata da questo partito nella conferenza di Newcastle e in cui si esprime il rifiuto di appoggiare una qualsiasi guerra condotta da un qualsiasi governo, anche se « no- minalmente » dovesse trattarsi di una guerra « difensiva ». A p. 205, in un articolo redazionale, troviamo la seguente dichiarazione: « Noi non approviamo l’insurrezione dei Sinn-feiners » (cioè l’insurrezione irlandese del 1916), « non approviamo nessuna insurrezione annata, come non approviamo nessun’altra forma di militarismo e di guerra ». 102 LENIN Occorre forse dimostrare che questi « antimilitaristi », questi fau- tori del disarmo non in un piccolo paese ma in una grande potenza, sono opportunisti della peggior specie? E tuttavia hanno pienamente ragione, sul piano teorico, quando considerano Tinsurrezione armata come « una forma » di militarismo e di guerra. Scritto nell ottobre 1916. Pubblicato per la prima volta In Sbornik Sotsialdemokrata , n. 2, dicembre 1916. Firmato: N. Lenin. L’IMPERIALISMO E LA SCISSIONE DEL SOCIALISMO Esiste un legame fra l’imperialismo e la vittoria mostruosamente ignobile riportata dairopportunismo (in veste di socialsciovinismo) sul movimento operaio in Europa? Questo è il problema fondamentale del socialismo contemporaneo. E, dopo che nella stampa del nostro partito abbiamo completamente stabilito: anzitutto, il carattere imperialistico della nostra epoca e del- Tattuale guerra e, inoltre, l’indissolubile legame storico del socialscio- vinismo con l’opportunismo, nonché il loro identico contenuto ideolo- gico e politico, si può e si deve passare all’analisi di questa questione fondamentale. È necessario cominciare dalla definizione più precisa e completa possibile deirimperialismo. L’imperialismo è uno stadio storico parti- colare del capitalismo. Questa particolarità ha tre aspetti: l’imperiali- smo è 1) il capitalismo monopolistico; 2) il capitalismo parassitario o in putrefazione; 3) il capitalismo agonizzante. La sostituzione del monopolio alla libera concorrenza è il tratto economico fondamentale, l'essenza deirimperialismo. Il monopolismo si manifesta sotto cinque aspetti principali: 1) i cartelli, i sindacati e i trusts; la concentrazione della produzione ha raggiunto il grado che genera questi gruppi mono- polistici di capitalisti; 2) la situazione monopolistica delle grandi ban- che: da tre a cinque banche gigantesche dirigono tutta la vita eco- nomica dell’America, della Francia, della Germania; 3) la conquista delle fonti di materie prime da parte dei trusts e dell’oligarchia finan- ziaria (il capitale finanziario è il capitale industriale monopolistico che si è fuso con il capitale bancario); 4) la spartizione (economica) del mondo tra i cartelli internazionali è cominciata. Questi cartelli internazionali che posseggono tulio il mercato mondiale e se lo spar- 104 LENIN tiscono « amichevolmente » — finché una guerra non lo ridivida — sono già più di cento] L’esportazione del capitale, come fenomeno particolarmente caratteristico, a differenza dell’esportazione delle merci nell’epoca del capitalismo non monopolistico, è legata strettamente alla spartizione economica e politico-territoriale del mondo; 5) la sparti- zione territoriale del mondo (colonie) è terminata. L’imperialismo, come fase suprema del capitalismo, in America e in Europa, e in seguito anche in Asia, si è formato completamente tra il 1898 e il 1914. Le guerre ispano-americana (1898), anglo-boera (1899-1902), russo-giapponese (1904-1905) e la crisi economica del- PEuropa (nel 1900): ecco le pietre miliari più importanti, della nuova epoca della storia mondiale. Che l’imperialismo sia il capitalismo parassitario o in putrefazione appare, in primo luogo, nella tendenza all’imputridimento che distingue ogni monopolio in regime di proprietà privata dei mezzi di produzione. La differenza tra la borghesia imperialistica democratica repubblicana e quella reazionaria monarchica scompare appunto perché tanto l’una che l’altra imputridiscono ancor prima di morire (il che non esclude affatto lo sviluppo sorprendentemente rapido del capitalismo in singoli rami dell’industria, in singoli paesi, in singoli periodi). In secondo luogo, Timputridimento del capitalismo si manifesta con la formazione di un enorme strato di rentier r, di capitalisti che vivono del « taglio delle cedole ». In quattro paesi imperialistici progrediti: Inghilterra, America del nord, Francia e Germania, il capitale in titoli giunge a 100-150 miliardi di fianchi: il che significa un reddito annuo non infe- riore ai 5-8 miliardi per ciascun paese. In terzo luogo, l’esportazione del capitale è parassitismo elevato al quadrato. In quarto luogo, « il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà ». La rea- zione politica su tutta la linea è propria dell’imperialismo. Venalità, cor- ruzione in proporzioni gigantesche, truffe di ogni genere. In quinto luogo, lo sfruttamento delle nazioni oppresse, indissolubilmente legato alle annessioni, e particolarmente lo sfruttamento delle colonie, da parte di un pugno di « grandi » potenze, trasforma sempre più il mondo « civile » in un parassita che vive sul corpo di centinaia di milioni di uomini dei popoli non civili. Il proletariato di Roma antica viveva a spese della società. La società odierna vive a spese del prole- tariato contemporaneo. Marx ha dato particolare rilievo a questa prò- l’imperialismo e la scissione del socialismo 105 fonda osservazione di Sismondi L’imperialismo muta alquanto le cose. Lo strato privilegiato del proletariato delle potenze imperialistiche vive parzialmente a spese di centinaia di milioni di uomini dei popoli non civili. Si comprende allora perché l’imperialismo sia il capitalismo ago- nizzante, che trapassa nel socialismo: il monopolio, che sorge dal capitalismo, è già l’agonia del capitalismo, è l’inizio del suo trapasso in socialismo. La gigantesca socializzazione del lavoro da parte del- l’imperialismo (che gli apologeti, gli economisti borghesi, chiamano « integrazione ») ha lo stesso significato. Nel dare questa definizione delPimperialismo, ci mettiamo in com- pleta contraddizione con K. Kautsky, il quale si rifiuta di vedere nel- l’imperialismo una « fase del capitalismo » e definisce l’imperialismo come la politica « preferita » dal capitale finanziario, come la ten- denza dei paesi « industriali » ad annettere i paesi « agricoli » *. Que- sta definizione di Kautsky è teoricamente del tutto falsa. La partico- larità delPimperialismo è proprio il dominio non del capitale indu- striale, ma di quello finanziario; è proprio la tendenza all’annessione non soltanto dei paesi agricoli, ma di qualsiasi paese. Kautsky stacca la politica delPimperialismo dalla sua economia, stacca il monopoli- smo nella politica dal monopolismo nelPeconomia, per sgomberare la via al suo triviale riformismo borghese del genere del « disarmo », dell’« ultraimperialismo » e altre sciocchezze simili. Il senso e lo scopo di questa menzogna teorica consistono unicamente nel nascondere le più profonde contraddizioni delPimperialismo e nel giustificare in que- sto modo la teoria dell’« unità » con gli apologeti delPimperialismo, con i socialsciovinisti e opportunisti dichiarati. Di questa rottura di Kautsky col marxismo abbiamo già parlato a sufficienza sia nel Sotsialdemokrat che nel Kommunist. I nostri kautskiani russi, i fautori del Comitato di organizzazione, capeggiati da Axelrod e Spectator, non esclusi Martov e in gran parte Trotski, hanno preferito passare sotto silenzio la questione del kautskismo come tendenza. Essi non hanno osato difendere quello che Kautsky ha scritto * « L/imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale altamente svi- luppato. Esso consiste nella tendenza di ogni nazione industriale capitalistica a soggiogare e annettersi una quantità sempre piu grande di regioni agricole , senza considerare quale sia la nazione che li popola» (Kautsky, nella Neue Zeit, li set- tembre 1914). 106 LENIN durante 1? guerra; se la sono cavata ora con la pura e semplice esalta- zione di Kautsky (Axelrod, nel suo opuscolo tedesco, che il Comitato d'organizzazione aveva promesso di pubblicare in russo), ora con la citazione di lettere private di Kautsky (Spectator), dov’egli afferma di appartenere all’opposizione e cerca gesuiticamente di ridurre al nulla le sue dichiarazioni sciovinistiche. Notiamo che, nella sua « concezione » deirimperialismo, — che equivale al suo abbellimento, — Kautsky fa un passo indietro non soltanto rispetto al Capitale finanziario di Hilferding (per quanto lo stesso Hilferding cerchi attualmente di difendere a spada tratta sia Kautsky che l’« unità » con i socialsciovinisti! ), ma anche nei confronti del social-liberale J.A. Hobson. Quest’economista inglese, che non ha la minima pretesa al titolo di marxista, dà una definizione dell’impe- rialismo molto piu profonda e ne svela le contraddizioni in un suo libro del 1902 *. Ecco che cosa scrive quest’autore (nel quale si pos- sono trovare quasi tutte le banalità pacifistiche e « conciliatrici » di Kautsky) sulla questione particolarmente importante del carattere paras- sitario dell’imperialismo. Secondo Hobson, due ordini di circostanze indebolivano la potenza degli imperi antichi: 1) il «parassitismo economico» e 2) il recluta- mento degli eserciti tra le popolazioni soggette. « La prima circostanza rientra nei costumi del parassitismo economico, per cui lo Stato domi- nante sfrutta le sue province, le sue colonie e i paesi soggetti per arric- chire la classe dominante e corrompere le proprie classi inferiori, tenen- dole cosi a freno. » Sulla seconda circostanza Hobson scrive: « Uno dei sintomi piu singolari della cecità dell’imperialismo [sulle labbra del social-liberale Hobson questo ritornello sulla « cecità » degli impe- rialisti suona meglio che su quelle del « marxista » Kautsky] è l’avven- tatezza con cui la Gran Bretagna, la Francia e altre nazioni imperiali- stiche si mettono su questa via. In essa l’Inghilterra si è inoltrata piu di ogni altra. La maggior parte delle battaglie con cui conquistammo l’impero indiano furono combattute da eserciti formati da indigeni. In India, e ultimamente anche in Egitto, i grandi eserciti permanenti sono comandati da inglesi; quasi tutte le guerre per la conquista del- l'Africa, fatta eccezione per la parte meridionale, sono state combattute, per noi, dagli indigeni ». * J A. Hobson, Imperialism , London, 1902. l’imperialismo e la scissione del socialismo 107 La prospettiva della spartizione della Cina dà origine al seguente apprezzamento economico di Hobson: « La maggior parte dell’Europa occidentale potrebbe allora assumere l’aspetto e il carattere ora posse- duti soltanto da alcuni luoghi, cioè ringhilterra meridionale, la Riviera e le località dell’India e della Svizzera più visitate dai turisti e abitate da gente ricca. Si avrebbe un piccolo gruppo di ricchi aristocratici, che traggono le loro rendite e i loro dividendi dal lontano Oriente, accanto a un gruppo alquanto più numeroso di impiegati e commer- cianti e ad un gruppo ancora maggiore di domestici, lavoratori dei trasporti e operai delle industrie per la lavorazione dei manufatti. Al- lora scomparirebbero i più importanti rami di industrie, e gli alimenti e i semilavorati affluirebbero come tributo dall’Asia o dall’Africa ». « Ecco quale possibilità sarebbe offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali, da una federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo non spingerebbe innanzi l’opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il gravissimo pericolo di un parassitismo occi- dentale, quello di permettere l’esistenza di un gruppo di nazioni indu- striali più progredite, le cui classi elevate riceverebbero, dall’Asia e dall’Africa, enormi tributi e, mediante questi, si procurerebbero grandi masse di impiegati e di servitori, che non sarebbero occupati nella produzione in grande di derrate agricole o di articoli industriali, ma nel servizio personale o in lavori industriali di second’ordine, sotto il controllo della nuova aristocrazia finanziaria. Coloro per i quali queste teorie [bisognava dire: prospettive] sono da ritenersi come indegne di essere prese in considerazione dovrebbero meditare di più sulle condizioni economiche e sociali di quelle zone dell’odierna Inghilterra meridionale che già sono cadute in questo stato. Essi dovrebbero immaginarsi quale immensa estensione acquisterebbe tale sistema, quando la Cina fosse assoggettata al controllo economico di analoghi gruppi di finanzieri, di “investitori di capitale 1 ' [rentiers] e dei loro impie- gati politici, industriali e commerciali, intenti a pompare profitti dal più grande serbatoio potenziale che mai il mondo abbia conosciuto, per consumarli in Europa. Certo la situazione è troppo complessa e il giuoco delle forze mondiali è troppo difficile perché questa o una qualsiasi altra previsione del futuro, in un senso unico, possa essere considerata come la più probabile. Ma le tendenze che dominano attual- mente l’imperialismo dell’Europa occidentale agiscono nel senso anzi- 108 LENIN detto e, se non incontrano una forza opposta che le avvii verso un’altra direzione, lavorano appunto perché il processo abbia lo sbocco ac- cennato. » Il social -liberale Hobson non vede che questa « resistenza » può essere opposta soltanto dal proletariato rivoluzionario e soltanto sotto forma di una rivoluzione sociale. Non per nulla è un social-liberale! Ma fin dal 1902 ha affrontato in modo del tutto giusto anche la questione delPimportanza degli « Stati Uniti d’Europa » (ne prenda nota il kautskiano Trotski!) e di tutto quello che i kautskiani ipocriti dei diversi paesi cercano di velare, cioè: che gli opportunisti (i social- sciovinisti) collaborano con la borghesia imperialistica proprio nello sforzo che tende a creare un’Europa imperialistica sulle spalle del- l’Asia e dell’ Africa; che gli opportunisti rappresentano oggettivamente una parte della piccola borghesia e di alcuni strati della classe ope- raia, comprati con i mezzi del sovrapprofitto imperialistico e trasfor- mati in cani dt guardia del capitalismo, in corruttori del movimento operaio. Abbiamo accennato più volte, non soltanto in articoli, ma anche in risoluzioni del nostro partito, a questo profondissimo legame eco- nomico tra la borghesia imperialistica e l’opportunismo che oggi ha vinto (ma resisterà a lungo?) nel movimento operaio. Da questo ab- biamo dedotto, fra l’altro, Pinevitabilità della scissione con il socialscio- vinismo. I nostri kautskiani hanno preferito eludere l’argomento! Mar- tov, ad esempio, già nelle sue conferenze ha messo in circolazione un sofisma, che nelle Izvestìa zagranicnovo sekretariata OK (n. 4, 10 aprile 1916) è espresso nella seguente forma: « ...La situazione della socialdemocrazia rivoluzionaria sarebbe molto brutta, anzi addirittura disperata, se i gruppi di operai, che più si avvicinano agli “intellettuali” per il loro sviluppo intellettuale e che sono i più qualificati, si allontanassero fatalmente dalla social- democrazia per andare verso Topportunismo... ». Per mezzo della sciocca parolina « fatalmente » e di un certo « giochetto » si elude il fatto che determinati strati di operai sono passati all’opportunismo e alla borghesia imperialistica! Ma i sofisti del Comitato d’organizzazione non cercano che di eludere questo fatto! Essi tentano di cavarsela con l’« ottimismo ufficiale », di cui oggi fanno pompa il kautskiano Hilferding e molti altri: le condizioni og- L J IMPERIAL1SM0 e la scissione del socialismo 109 gettive, si dice, garantiscono Punita del proletariato e la vittoria della tendenza rivoluzionaria! Noi, si dice, siamo «ottimisti» nei riguardi del proletariato! Ma in realtà tutti questi kautskiani, Hilferding, i fautori del Co- mitato d’organizzazione, Martov e soci sono ottimisti... nei riguardi dell’ opportunismo. Sta qui la sostanza! Il proletariato è una creatura del capitalismo, del capitalismo mondiale, e non soltanto europeo, non soltanto imperialistico. Su scala mondiale, cinquantanni prima o cinquant anni dopo, — su questa scala la questione è secondaria, — il « proletariato » « sarà » certa- mente unito, e nelle sue file trionferà « inevitabilmente » la socialdemo- crazia rivoluzionaria. Non si tratta di questo, signori kautskiani, ma del fatto che voi ora, nei paesi imperialistici dell’Europa, vi compor- tate da lacchè degli opportunisti, i quali sono estranei al proletariato come classe, i quali sono i servi, gli agenti, i veicoli deH’influenza bor- ghese; e, se il movimento operaio non se ne libererà , resterà un movi- mento operaio borghese . La vostra predica sull’« unità » con gli oppor- tunisti, con i Legien e i David, i Plekhanov o i Ckhenkeli e i Potresov, ecc. tende oggettivamente ad asservire gli operai alla borghesia impe- rialistica per mezzo dei suoi migliori agenti nel movimento operaio. La vittoria della socialdemocrazia rivoluzionaria su scala mondiale è assolutamente inevitabile, ma essa prosegue e proseguirà, si ha e si avrà soltanto contro di voi, segnerà il trionfo su di voi. Le due tendenze, direi perfino i due partiti, del movimento operaio contemporaneo, che si sono cosi palesemente scisse in tutto il mondo dal 1914 al 1916, furono già studiate da Engels e da Marx in Inghilterra per decine di anni, all’incirca dal 1859 al 1892. Né Marx né Engels sono vissuti fino all’epoca imperialistica del capitalismo mondiale, che comincia non prima del 1898-1900. Ma, già a partire dalla seconda metà del secolo XIX, la particolarità dell’Inghil- terra era che in essa si trovavano per Io meno due tratti caratteristici fondamentali delPimperialismo: 1) colonie sterminate e 2) profitti mo- nopolistici (per effetto della posizione monopolistica dell’ Inghilterra sul mercato mondiale). Sotto entrambi gli aspetti la Gran Bretagna era allora un’eccezione fra i paesi capitalistici; Engels e Marx, analizzando questa eccezione, dimostrarono in modo assolutamente chiaro e preciso il suo no LENIN legame con la vittoria (temporanea) dell’opportunismo nel movimento operaio inglese. Nella sua lettera a Marx del 7 ottobre 1858 Engels parla del- P« effettivo progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la piu borghese di tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un’aristocrazia borghese e un prole- tariato borghese accanto alla borghesia. In una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile » 60 . Nella lettera a Sorge del 21 settembre 1872 Engels comunica che Hales ha sollevato un grande scandalo nel Consiglio federale dell’Internazionale e ha fatto dare un voto di biasimo a Marx perché questi aveva detto che « i capi del movimento operaio inglese si sono venduti ». Marx scrive a Sorge il 4 agosto 1874: « Per quanto riguarda gli operai delle città di qui [d’Inghilterra], non ci resta che da dolerci che tutta la banda dei capi non sia capitata in parlamento. Questa sarebbe la giusta via per liberarsi di tale canaglia ». Engels nella lettera a Marx dell’ll agosto 1881 parla delle « pessime trade unions inglesi, che si lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati da essa » 61 . Nella lettera a Kautsky del 12 settembre 1882 Engels scrive: « Mi chiedete che cosa pensano gli operai inglesi sulla politica coloniale? Lo stesso di quel che pensano sulla pplitica in generale. Qui non c’è un partito operaio; ci sono soltanto conservatori e liberal-radicali, e gli operai usufruiscono tranquillamente con essi del monopolio coloniale dell’In- ghilterra e del suo monopolio sul mercato mondiale ». IL7 dicembre 1889 Engels scrive a Sorge: « ...Quel che c’è qui [in Inghilterra] di piu ripugnante è “la rispettabilità” [ respectability ] borghese penetrata nella carne e nel sangue degli operai. Perfino Tom Mann, ch’io considero il migliore fra di loro, ama raccontare che andrà a colazione dal lord mayor. E soltanto paragonandoli coi francesi ci si può convincere quanto sia benefica l’influenza della rivoluzione ». Nella lettera del 19 aprile 1890 scrive: « Il movimento [della classe operaia in Inghilterra] marcia in avanti sotto la superficie, abbraccia strati sempre piu vasti, e anzitutto fra la massa piu oscura [corsivo di Engels] che finora non sera mossa; non è ormai lontano il giorno in cui questa massa ritroverà sé stessa , in cui le sarà chiaro che appunto essa rappre- senta la massa colossale in moto ». Il 4 marzo 1891 : « Con l’insuccesso del sindacato dei lavoratori del porto, che si è sciolto, le “vecchie” l'imperialismo e la scissione del socialismo 111 trade unions conservatrici, ricche e appunto per ciò pusillanimi, restano sole sul campo di battaglia ». Il 14 settembre 1891: al congresso delle trade unions tenutosi a Newcastle sono stati battuti i vecchi membri delle trade unions, nemici della giornata di otto ore, « ed i giornali borghesi riconoscono la sconfitta del partito operaio borghese » (il cor- sivo è sempre di Engels). Che questi pensieri di Engels, ripetuti per decine d’anni, fossero espressi da lui anche pubblicamente, nella stampa, lo dimostra la sua prefazione alla seconda edizione della Situazione della classe operaia in Inghilterra (1892) 62 . Qui si parla dell’« aristocrazia della classe ope- raia », della « minoranza privilegiata degli operai » in contrapposizione alla « vasta massa operaia ». Soltanto una « piccola minoranza privile- giata e protetta » della classe operaia otteneva « vantaggi durevoli » dalla posizione privilegiata deiringhilterra nel periodo dal 1848 al 1868; « la grande massa nel migliore dei casi ottenne soltanto un migliora- mento transitorio ». « Con il crollo del monopolio [industriale del- l’Inghilterra], la classe operaia inglese perderà la sua posizione privilegiata. » I membri delle « nuove » trade unions, dei sindacati degli operai non qualificati, hanno un « vantaggio incommensurabile: i loro spiriti sono ancora terreno vergine, completamente liberi dai "rispetta- bili” pregiudizi borghesi tradizionali, che confondono la mente dei “vecchi unionisti” meglio sistemati ». Quelli che « in Inghilterra riu- scivano fino a ieri a spacciarsi per rappresentanti degli operai » sono coloro « ai quali si perdona la loro qualità di operai perché essi stessi sarebbero ben lieti di affogarla neiroceano del loro liberalismo ». Abbiamo riportato di proposito stralci abbastanza ampi di dichia- razioni fatte direttamente da Marx e da Engels, affinché i lettori possano studiarle nel loro complesso . È necessario studiarle, vale la pena di medi- tarci sopra attentamente. Poiché sta qui il nocciolo della tattica del movimento operaio che ci viene dettata dalle condizioni oggettive dell’epoca deirimperialismo. Kautsky anche qui ha tentato « d’intorbidare le acque » e di so- stituire al marxismo l’idillica conciliazione con gli opportunisti. Nella polemica con i socialimperialisti aperti e ingenui (del genere di Lensch), che giustificano la guerra condotta- dalla Germania poiché porta alla distruzione del monopolio deH’Inghilterra, Kautsky « corregge » questa evidente falsità per mezzo di un’altra, non meno evidente. Al posto della 112 LENIN falsità cinica ne mette una melliflua! Il monopolio industriale del- l’Inghilterra è stato spezzato già da molto tempo, egli dice, è stato distrutto già da molto tempo; in esso non vi è piu nulla da distruggere. In che consiste la falsità di quest’argomento? In primo luogo si passa sotto silenzio il monopolio coloniale del- l’Inghilterra, Eppure, come abbiamo visto, fin dal 1882, 34 anni or sono, Engels l’indicò in modo del tutto chiaro! Se il monopolio industriale dell’Inghilteria è distrutto, il problema del monopolio colo- niale non soltanto è rimasto, ma si è straordinariamente complicato, poiché tutta la terra è stata già divisa! Per mezzo della sua soave men- zogna, Kautskv fa passare di contrabbando la meschina idea pacifistica, borghese, filistea, opportunistica secondo la quale « non vi è alcuna ragione di far guerra ». Al contrario, ora i capitalisti non soltanto hanno una ragione per far la guerra, ma non possono non farla , se vogliono conservare il capitalismo, poiché senza una spartizione forzata delle colonie i nuovi paesi imperialistici non possono avere quei privilegi dei quali usufruiscono le potenze imperialistiche piu vecchie (e meno forti). In secondo luogo, perché il monopolio dell’Inghilterra spiega la vittoria (temporanea) dell’opportunismo in Inghilterra? Perché il mono- polio dà un sovrapprofitto, cioè un’eccedenza di profitto, superiore al profitto capitalistico abituale, normale in tutto il mondo. Di questo sovrapprofitto i capitalisti possono sacrificare una piccola parte (e persino assai considerevole!) per corrompere i propri operai, per creare una specie di alleanza (ricordate le famose « alleanze » delle trade unions inglesi con i loro padroni, descritte dai Webb), un’unione degli operai di una data nazione con i propri capitalisti contro gli altri paesi. Il mo- nopolio industriale dell’Inghilterra è stato distrutto già alla fine del XIX secolo. Questo è incontestabile. Ma come è avvenuta questa distru- zione? Forse in modo che sia sparito ogni monopolio? Se cosi fosse, la « teoria » conciliatrice (con Popportunismo) di Kautsky potrebbe avere una certa giustificazione. Ma l’importante è che le cose non stanno cosi. L’imperialismo è il capitalismo monopolistico. Ogni cartello, ogni trust, ogni sindacato, ogni banca di proporzioni gi- gantesche è un monopolio. Il sovrapprofitto non è sparito, ma è rimasto. Lo sfruttamento di tutti gli altri paesi da parte di un paese privilegiato, ricco finanziariamente, è rimasto e si è rafforzato. Un pugno di paesi ricchi, — sono quattro in tutto, se si parla di una ricchezza « moderna », l'imperialismo e la scissione del socialismo 113 indipendente e veramente gigantesca: l’Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti d’America e la Germania, — questo pugno di paesi ha sviluppato i monopoli in proporzioni immense; esso riceve sovrapponili che am- montano a centinaia di milioni, se non di miliardi; « vive alle spalle » di centinaia di milioni di abitanti degli altri paesi; lotta nel proprio seno per la spartizione di un bottino particolarmente ricco, particolarmente grasso, particolarmente tranquillo. È questa l’essenza economica e politica delPimperialisrao, le cui pro- fondissime contraddizioni sono da Kautsky offuscate, invece di esser messe a nudo. La borghesia di una « grande » potenza imperialistica può corrom- pere economicamente gli strati superiori dei « propri » operai, sacrifi- cando a questo scopo anche piu d’un centinaio di milioni di franchi aU’anilo, poiché il jofttzpprofitto ammonta, probabilmente, a circa un miliardo. E la questione di sapere come viene divisa questa piccola elemosina tra gli operai-ministri, gli « operai-deputati » (si ricordi la me- ravigliosa analisi di questo concetto fatta da Engels), gli operai che partecipano ai comitati dell'industria di guerra, gli operai-funzionari, gli operai organizzati in ristretti sindacati di categoria, gli impiegati, ecc. ecc. è già una questione secondaria. Dal 1848 al 1868, e anche piu tardi, la sola Inghilterra usufruiva del monopolio; è per ciò che in essa per decine d’anni l’opportunismo potè vincere; non esistevano altri paesi che possedessero colonie ricchis- sime o che disponessero del monopolio industriale. L’ultimo trentennio del XIX secolo segnò il passaggio alla nuova epoca dèli’ imperialismo. Del monopolio usufruisce il capitale finanziario non di una, ma di alcune grandi potenze, il cui numero è limitatissimo. (In Giappone e in Russia il monopolio della forza militare, il territorio immenso o il particolare vantaggio di predare le altre nazionalità, la Cina, ecc. in parte completano e in parte sostituiscono il monopolio del capitale finanziario contemporaneo.) Deriva da questa differenza che il monopolio dell’Inghilterra sia riuscito a rimanere incontestato per de- cenni. Il monopolio del capitale finanziario viene oggi rabbiosamente conteso: è cominciata Tepoca delle guerre imperialistiche. Una volta la classe operaia di un solo paese poteva venir comprata, corrotta per de- cine d’anni. Ora questo sarebbe inverosimile e perfino impossibile; però, strati meno numerosi (di quelli delLInghiherra del 1848*1868) della 114 LENIN « aristocrazia operaia » possono essere e sono corrotti da ogni « grande » potenza imperialistica. A quei tempi, un « partito operaio borghese », se- condo l’espressione veramente profonda di Engels, poteva formarsi in un solo paese, poiché un solo paese aveva il monopolio, ma in compenso per lungo tempo. Oggi, il « partito operaio borghese » è inevitabile e tipico di tutti i paesi imperialistici; e tuttavia, a causa della loro lotta accanita per la spartizione del bottino, è improbabile che un tale partito possa trionfare a lungo in una serie di paesi. Infatti, i trusts, l’oligarchia finanziaria, il carovita, ecc., mentre permettono di corrompere piccoli gruppi di aristocrazia operaia, d’altra parte opprimono, schiacciano, rovi- nano, torturano sempre piu la massa del proletariato e del semipro- letariato. Da un lato, c’è la tendenza della borghesia e degli opportunisti a trasformare un pugno di nazioni più ricche e privilegiate in « eterni » parassiti sul corpo della rimanente umanità, a « riposare sugli allori » dello sfruttamento dei negri, degli indiani, ecc., tenendoli sottomessi con l’aiuto del militarismo più moderno, dotato di un’eccellente tecnica di sterminio. Dall’altro lato, c’è la tendenza delle masse , che sono oppresse più di prima e subiscono tutti i tormenti delle guerre impe- rialistiche, a liberarsi da questo giogo, ad abbattere la borghesia. Nella lotta fra queste due tendenze si svolgerà ora inevitabilmente la storia del movimento operaio, poiché la prima tendenza non è casuale, ma economicamente « motivata ». La borghesia ha già generato, nutrito, si è assicurati i « partiti operai borghesi » dei socialsciovinisti in tutti i paesi. La differenza tra un partito del tutto formato, come ad esempio quello di Bissolati in Italia, che è un vero partito socialimperialistico, e, diciamo, il quasi partito, semiformato, dei Potresov, Gvozdev, Bulkin, Ckheidze, Skobelev e soci, è una differenza inessenziale. L’importante è che la scissione economica, che separa lo strato dell’aristocrazia operaia per avvicinarlo alla borghesia, è maturata e si è avverata; quanto alla forma politica, questo fatto economico, questo spostamento nei rapporti fra le classi, la troverà senza particolare « fatica ». Sulla base economica qui indicata le istituzioni politiche del capi- talismo contemporaneo — la stampa, il parlamento, le associazioni, i congressi, ecc. — creano per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corri- spondenti alle elemosine e ai privilegi economici. Posticini redditizi e l'imperialismo e la scissione del socialismo 115 tranquilli in un ministero e nel comitato deH’industria di guerra, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni di « solidi » gior- nali legali o nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e « obbedienti alla borghesia »: ecco con che cosa la borghesia impe- rialistica attira e premia i rappresentanti e i seguaci dei « partiti operai borghesi », Il meccanismo della democrazia politica agisce nella medesima di- rezione. Nel nostro secolo non si può fare a meno delle elezioni, non si può fare a meno delle masse; e nelPepoca della stampa e del parla- mentarismo è impossibile trascinare le masse al proprio seguito senza un sistema largamente ramificato, metodicamente applicato, solida- mente attrezzato, di lusinghe, menzogne, truffe, di giochetti con paro- line popolari e alla moda, di promesse — fatte a destra e a sinistra — di ogni sorta di riforme e di ogni sorta di benefici per gli operai, purché essi rinuncino alla lotta rivoluzionaria per abbattere la borghesia. Defi- nirei lloydgeorgiano questo sistema, dal nome di uno dei suoi più avan- zati e abili rappresentanti nel paese classico del « partito operaio bor- ghese », dal nome del ministro inglese Lloyd George. Uomo d’affari di prim’ordine, nella sua qualità di borghese, vecchio filibustiere della politica, oratore popolare capace di tenere qualsiasi discorso, perfino r-r-rivoluzionario, ad un pubblico di operai e capace di far approvare considerevoli elemosine agli operai obbedienti sotto forma di riforme sociali (assicurazioni, ecc. ), Lloyd George serve magnificamente la borghesia *, e la serve appunto fra gli operai, esercita la sua influenza appunto fra il proletariato, là dove è più necessario e più difficile sotto- mettere moralmente le masse. Ma è forse grande la differenza tra Lloyd George e gli Scheide- mann, i Legien, gli Henderson e gli Hyndman, i Plekhanov, i Renaudel, ecc.? Si obietterà che, fra gli ultimi, alcuni torneranno al socialismo rivoluzionario di Marx. Questo è possibile. Ma si tratta di un’infima differenza di grado, se si considera la questione sul piano politico, cioè su una scala di massa. Singole persone tra gli attuali capi del socialscio- vinismo possono ritornare al proletariato. Ma la corrente socialsciovi- * Poco tempo fa, in una rivista inglese, ho letto l'articolo di un tory avver- sario politico di Lloyd George: Lloyd George visto da un tory. La guerra ha aperto gli occhi a questo avversario, facendogli capire quale ottimo commesso della borghesia sia questo Lloyd George! E i tories si sono riconciliati con lui! 116 LENIN nistica o (che è lo stesso) opportunistica non può né sparire né « ri- tornare » al proletariato rivoluzionario. Là dove il marxismo è popolare tra gli operai questa corrente politica, questo « partito operaio borghe- se », giurerà e spergiurerà nel nome di Marx. Non si può proibirglielo, come non si può proibire a una ditta commerciale di adoperare una qualsiasi etichetta, una qualsiasi insegna, un mezzo pubblicitario qual- siasi. Nel corso della storia si è sempre visto che i nemici hanno ten- tato, dopo la morte dei capi rivoluzionari, popolari tra le classi oppresse, di appropriarsi i loro nomi per ingannare queste classi, È un fatto che i « partiti operai borghesi », come fenomeno politico, sono stati già creati in tutti i paesi capitalistici progrediti, che senza una lotta decisa e implacabile, su tutta la linea, contro questi partiti o — fa lo stesso — gruppi, correnti, ecc. non si può neanche parlare di lotta contro Pimperialismo, di marxismo, di movi- mento operaio socialista. Il gruppo Ckheidze flS , il Nasce diélo> il Golos trudà in Russia e quelli del Comitato d'organizzazione all’estero non sono che varianti di uno di tali partiti. Non abbiamo alcuna ragione di credere che questi partiti possano scomparire prima della rivoluzione sociale. Al contrario, quanto piu questa rivoluzione sarà vicina, quanto piu potentemente essa divamperà, quanto più bruschi e vigorosi saranno i passaggi e gli sbalzi nel suo processo di sviluppo, tanto più grande sarà la funzione che assumerà nel movimento operaio l'impeto del torrente rivoluzionario di massa contro quello opportunistico piccolo- borghese. Il kautskismo non è una tendenza indipendente, perché non ha radici nella massa o nello strato privilegiato passato alla borghesia. Ma il pericolo del kautskismo consiste nel fatto che esso, utilizzando P ideologia del passato, si studia di rappacificare il proletariato e di- fendere la sua unità con il « partito operaio borghese », di accrescere cosi il prestigio di questo partito. Le masse non seguono già più i social- sciovinisti dichiarati: Lloyd George è stato fischiato in Inghilterra nelle assemblee operaie, Hyndman ha abbandonato il partito, i Renaudel e gli Scheidemann, i Potresov e i Gvozdev sono protetti dalla polizia. La difesa velata dei socialsciovinisti da parte dei kautskiani è quanto ce di più pericoloso. Uno dei sofismi più diffusi del kautskismo è quello di riferirsi alle « masse ». Noi, vedete, non vogliamo staccarci dalle masse e dalle organizzazioni di massa! Ma riflettete al modo in cui Engels ha impo- L1MPERIAL1SM0 e la scissione del socialismo 117 stato questo problema. Le « organizzazioni di massa » delle trade unions inglesi del XIX secolo seguivano il partito operaio borghese. Ma non per questo Marx e Engels cercavano un’intesa con questo partito e, anzi, lo smascheravano. Essi non dimenticavano, in primo luogo, che le organizzazioni delle trade unions abbracciavano direttamente solo una minoranza del proletariato. Sia neiringhilterra d’allora che nella Germania d’oggi non piu di un quinto del* proletariato è iscritto alle organizzazioni. Non si può pensare seriamente che in regime capita- listico sia possibile far entrare nelle organizzazioni la maggioranza dei proletari. In secondo luogo, — ed è questo Pessenziale, — non si tratta tanto del numero dei membri dell’organizzazione, quanto dell’importanza reale, oggettiva della sua politica: rappresenta essa le masse, serve le masse, tende cioè a liberarle dal capitalismo, o rappresenta invece gli interessi della minoranza, la sua conciliazione con il capitalismo? Proprio quest’ultima conclusione era vera per l’Inghilterra del XIX secolo, ed è vera oggi per la Germania e altri paesi. Engels distingue tra il « partito operaio borghese » delle vecchie trade unions, la minoranza privilegiata, e la « massa inferiore », la maggioranza effettiva; rivolge ad essa, che non è contagiata dalla « ri- spettabilità borghese », i suoi appelli. Ecco qual è il fondo della tattica marxista! Non possiamo — e nessuno lo può — calcolare quale sia preci- mente la parte del proletariato che segue e seguirà ancora i socialscio- vinisti e gli opportunisti. Questo lo dimostrerà soltanto la lotta, Io deciderà definitivamente soltanto la rivoluzione socialista. Ma sappiamo con precisione che i « difensori della patria » nella guerra imperialistica rappresentano solamente una minoranza. E perciò il nostro dovere, se vogliamo rimanere socialisti, è di andare piu in basso e piu in profon- dità , verso le masse reali: ecco l’importanza della lotta contro Topportu- nismo e tutto il contenuto di questa lotta. Smascherando gli opportunisti e i socialsciovinisti, che in realtà tradiscono e fanno mercato degli interessi delle masse, che difendono i privilegi temporanei della mino- ranza degli operai, che propagano l’influenza e le idee borghesi, che sono in realtà gli alleati e gli agenti della borghesia, noi educhiamo le masse a conoscere i loro veri interessi politici, a lottare per il socia- lismo e per la rivoluzione, attraverso tutte le lunghe e tormentose peri- pezie delle guerre e delle tregue imperialistiche. 118 LENIN Spiegare alle masse l’inevitabilità e la necessità della scissione dall’opportunismo, educarle alla rivoluzione con la lotta implacabile contro di esso, tener conto dell’esperienza della guerra per svelare tutte le turpitudini della politica operaia nazional-liberale e non per nascon- derle; ecco l’unica linea marxista del movimento operaio mondiale. In un prossimo articolo cercheremo di condensare i principali tratti caratteristici di questa lin^, opponendola al kautskismo. Scritto nell’ottobre 1916. Pubblicato per la prima volta in Sbornik Solsialdemokrata, n. 2, dicembre 1916. Firmato: N. Lenin, DISCORSO AL CONGRESSO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO 64 4 novembre 1916 Il Partito socialdemocratico svizzero ha avuto recentemente l’onore di attirarsi le ire del signor ministro Stauning, capo del partito social- democratico ufficiale di Danimarca. Questo tale, in una lettera indi- rizzata il 15 settembre u.s. a Vandervelde, un ministro altrettanto pseu- dosocialista, ha dichiarato con fierezza: «Noi [il partito danese] abbia- mo ripudiato in maniera netta e categorica l’attività scissionistica, dannosa all’organizzazione, svolta per iniziativa dei partiti italiano e svizzero dal cosiddetto movimento di Zimmerwald ». Salutando qui a nome del CC del POSDR il congresso del Partito socialdemocratico svizzero, voglio sperare che questo partito continuerà a sostenere l’unificazione internazionale dei socialdemocratici rivoluzio- nari, che si è iniziata a Zimmenvald e che dovrà concludersi con la completa rottura tra il socialismo e i suoi traditori ministeriali e socialpatriottici. Questa scissione sta maturando in tutti i paesi di capitalismo progredito. In Germania, il compagno Otto Riihle, che condivide le posizioni di Karl Liebknecht, ha subito gli attacchi degli opportunisti e del cosiddetto centro allorché ha dichiarato, nelForgano centrale del partito tedesco (Vorwàrts, 12 gennaio 1916), che la scissione è diven- tata inevitabile. Ma i fatti confermano sempre piu chiaramente che il compagno Rùhle ha ragione, che in Germania esistono di fatto due partiti: l’uno aiuta la borghesia e il governo a condurre una guerra di rapina; l’altro, che svolge la sua attività in modo prevalentemente ille- gale, diffonde appelli realmente socialisti tra le vere masse, organizza manifestazioni di massa e scioperi politici. In Francia, il « Comitato per il ripristino delle relazioni interna- zionali » 65 ha pubblicato recentemente un opuscolo: I socialisti di 120 LENIN Zimmerwald e la guerra, dove si legge che in seno al partito francese si sono delineati tre indirizzi principali. Il primo, a cui appartiene la maggioranza, è stigmatizzato neiropuscolo come la tendenza dei sociali- sti-nazionalisti, dei socialpatrioti, che hanno realizzato F« unione sacra » con i nostri nemici di classe. La seconda corrente è costituita, secondo i dati dell’opuscolo, dalla minoranza: sono i seguaci dei deputati Lon- guet e Pressemane, che nelle questioni piu importanti si associano alla maggioranza e inconsapevolmente portano acqua al suo mulino, racco- gliendo attorno a sé tutti gli scontenti, di cui assopiscono la coscienza, socialista, e costringendoli ad accodarsi alla politica ufficiale del partito. L’opuscolo ravvisa il terzo indirizzo negli zimmerwaldiani. Questi ultimi riconoscono che la Francia è stata trascinata nel conflitto non perché la Germania le abbia dichiarato guerra, ma perché essa stessa ha condotto una politica imperialistica che Tha legata alla Russia con trattati e pre- stiti. La terza tendenza proclama senza equivoci che * la difesa della patria non è affare dei socialisti ». In sostanza, questi tre indirizzi si sono sviluppati anche da noi, in Russia, nonché in Inghilterra e nei neutrali Stati Uniti d’America, in breve, in tutto il mondo. La lotta tra queste tendenze deciderà delle sorti del movimento operaio nell’immediato futuro. Mi sia consentito trattare rapidamente ancora un punto, di cui si fa un gran parlare in questi giorni e a proposito del quale noi, socialde- mocratici russi, abbiamo accumulato un'esperienza singolarmente ricca. Mi riferisco alla questione del terrorismo. Non abbiamo ancora informazioni precise sui socialdemocratici ri- voluzionari austriaci: ve ne sono certo anche in Austria, ma le notizie di cui disponiamo al riguardo sono in generale molto scarse. Non sappia- mo pertanto se l’uccisione di Stiirgkh da parte del compagno Fritz Adler sia un esempio di terrorismo, in quanto tattica consistente nell’orga- nizzare metodicamente omicidi politici senza collegarsi con la lotta rivo- luzionaria delle masse, o se si tratti invece di un’iniziativa sporadica nel passaggio dalla tattica opportunistica, non socialista, connessa con la difesa della patria, dei socialdemocratici autriaci ufficiali alla tattica dell’azione rivoluzionaria di massa. Probabilmente, la seconda ipotesi si adegua meglio alle circostanze, e pertanto il saluto a Fritz Adler, proposto dal Comitato centrale del partito italiano e pubblicato nel- V Avanti! del 29 ottobre, merita tutta la nostra simpatia. DISCORSO AL CONGRESSO DEL PSS 121 Siamo comunque persuasi che l’esperienza della rivoluzione e della controrivoluzione in Russia abbia confermato la giustezza della lotta più che ventennale combattuta dal nostro partito contro il terro- rismo in quanto tattica. Non bisogna però dimenticare che questa lotta è stata combattuta in stretta connessione con una lotta inesorabile contro l'opportunismo, il quale era propenso a ripudiare qualsiasi im- piego della violenza da parte delle classi oppresse contro gli oppressori. Noi siamo sempre stati favorevoli a impiegare la violenza sia nella lotta delle masse che in relazione con questa lotta. Abbiamo inoltre associato la lotta contro il terrorismo con una lunga opera di propa- ganda, cominciata molto tempo prima del dicembre 1905, a favore del- l'insurrezione armata. Per noi l’insurrezione armata non è soltanto la migliore risposta del proletariato alla politica del governo, ma anche il risultato inevitabile dello sviluppo della lotta di classe per il socia- lismo e la democrazia. Infine, non ci siamo limitati a riconoscere su un piano di principio l’impiego della violenza e a far propaganda a favore dell’insurrezione armata. Già quattro anni prima della rivolu- zione abbiamo sostenuto l’impiego della violenza da parte delle masse contro i loro oppressori, soprattutto nel corso delle manifestazioni di ■strada. Ci siamo sforzati di far assimilare da tutto il paese gli insegna- menti derivanti da ognuna di queste manifestazioni. Ci siamo sempre più impegnati a organizzare la decisa e sistematica resistenza delle masse alla polizia e all'esercito, a trascinare mediante questa resistenza la maggior parte deH'esercito nella lotta tra il proletariato e il governo, a far partecipare consapevolmente a questa lotta i contadini e i soldati. Ecco la tattica che abbiamo applicato nella lotta contro il terrorismo e che, ne siamo profondamente convinti, è stata coronata da successo. Concludo, compagni, rinnovando il mio saluto al congresso del Partito socialdemocratico svizzero e augurando successo al vostro lavoro. Pubblicato in tedesco nel 1916 nel libro: Protokoll iiber die Verhandlungen des Parteitages der Sozialdemokratischen Partei der Schweiz vom 4 . und 5. November 1916, abgehalten im Gesellschaftshaus « z. Kaufleuten » in Ziirich. Pubblicato per la prima volta in russo in Proletari kaia revoliutsia , 1924, n. 4. SULLA PACE SEPARATA La Russia e la Germania stanno conducendo trattative per una pace separata. Le trattative sono ufficiali, e nelle grandi linee le due potenze si sono già accordate. Questa notizia è apparsa recentemente su un giornale socialista di Berna 66 , che si è servito di alcune informazioni in suo possesso. E, quando Tambasciata russa di Berna si è affrettata a rendere nota una smentita ufficiale, mentre gli sciovinisti francesi attribuivano la propa- lazione di queste voci alP« infamia del tedesco », il giornale socialista si è rifiutato di prestare il minimo credito alla smentita e ha conva* lidato la propria informazione, aggiungendo che alcuni « uomini di Stato » tedeschi (Bulow) e russi (Sturmer, Giers, un diplomatico venu- to dalla Spagna) si trovano attualmente in Svizzera e che i circoli com- merciali svizzeri dispongono di notizie attendibili, dello stesso tenore, provenienti dai circoli commerciali russi. Naturalmente, un inganno può essere perpetrato tanto dalla Russia, che non può confessare i propri negoziati per una pace separata, quanto dalla Germania, che non può rinunciare a metter la Russia contro lTnghilterra, indipendentemente dalle trattative e dal loro esito. Per orientarci nella questione della pace separata, non dobbiamo muovere dalle voci e dalle informazioni, sostanzialmente incontrolla- bili, su quanto avviene oggi in Svizzera, ma dai fatti irrefutabilmente accertati che si connettono con la politica degli ultimi decenni. Si facciano pure in quattro i signori Plekhanov, Ckhenkeli, Potresov e soci, che recitano oggi la parte dei lacchè o dei buffoni travestiti da marxisti al cospetto di Purisckevic e Miliukov, per dimostrare la « col- pevolezza della Germania » e il « carattere difensivo » della guerra conv battuta dalla Russia; tanto, gli operai coscienti non hanno dato e non SULLA PACE SEPARATA 123 daranno mai ascolto a questi pagliacci! La guerra è il prodotto dei rapporti imperialistici tra le grandi potenze, cioè della lotta per spartirsi il bottino, per stabilire chi divorerà queste o quelle colonie, questi o quei piccoli Stati. Inoltre, nella guerra in corso, emergono in primo piano due conflitti. Il primo, tra l’Inghilterra e la Germania. Il secondo, tra la Germania e la Russia. Queste tre grandi potenze, questi tre briganti di strada maestra, sono i rivali piu importanti della guerra attuale, gli altri sono semplici alleati privi di autonomia. I due conflitti sono stati preparati da tutta la politica svolta da queste potenze nei decenni che hanno preceduto la guerra. L’Inghilterra combatte per rapinare le colonie della Germania e mandare in malora il suo principale concorrente, che 1* ha inesorabilmente sconfitta con la propria superiorità tecnica, con la propria organizzazione, con la propria energia commerciale, che l’ha sconfitta e sgominata a tal segno che senza la guerra l’Inghilterra non avrebbe potuto salvaguardare la pro- pria supremazia mondiale. La Germania combatte perché i suoi capi- talisti ritengono — molto giustamente — di avere il « sacrosanto » di- ritto borghese al primato mondiale nel predare le colonie e i paesi dipendenti; in particolare, fa la guerra per asservire i Balcani e la Tur- chia. La Russia combatte per impadronirsi della Galizia, di cui ha parti- colarmente bisogno per soffocare il popolo ucraino (fuori della Galizia, questo popolo non ha né può avere un rifugio per la sua libertà, rela- tiva, naturalmente), dell’Armenia e di Costantinopoli, nonché per sotto- mettere i paesi balcanici. Accanto al conflitto tra gli « interessi » predoneschi della Russia e della Germania esiste un conflitto non meno — se non piu — pro- fondo tra la Russia e ITnghilterra. L’obiettivo della politica imperia- listica russa, determinato dalla secolare rivalità e dagli oggettivi rapporti internazionali tra le grandi potenze, può esser definito in breve come segue: sconfiggere la Germania in Europa, con l’aiuto dell’Inghilterra e della Francia, per depredare l’Austria (sottraendole la Galizia) e la Turchia (sottraendole l’Armenia e soprattutto Costantinopoli). Quindi, con l’aiuto del Giappone e della stessa Germania, sconfiggere l’Inghil- terra in Asia, per toglierle tutta la Persia, portare a termine la sparti- zione della Cina, ecc. Lo zarismo aspira da secoli a conquistare Costantinopoli e una parte sempre piti vasta deH’Asia, orientando sistematicamente la propria 124 LENIN politica in questa direzione e sfruttando a tale scopo tutti i contrasti e i conflitti tra le grandi potenze, L’Inghilterra si è opposta piu a lungo, con maggiore tenacia e caparbietà della Germania, a queste aspirazioni, Dal 1878, quando l’esercito russo giunse in prossimità di Costantino- poli e la flotta inglese comparve nei Dardanelli minacciando di aprire il fuoco sui. russi, se fossero entrati a « Tsargrad » 67 , fino al 1885, quando la Russia fu sull’orlo di una guerra con la Gran Bretagna per la spartizione del bottino nell’Asia Centrale (Afghanistan; la penetra- zione dell’esercito russo nell’Asia Centrale minacciava la dominazione inglese in India), e al 1902, quando l’Inghilterra si alleò con il Giap- pone, preparandolo alla guerra contro la Russia: in tutto questo lungo periodo l’Inghilterra è stata l’avversaria più vigorosa della politica di brigantaggio della Russia, perché minacciava di scalzare il dominio dell’Inghilterra su molti popoli. E oggi? Si veda che cosa succède nella guerra in corso. È intolle- rabile che dei « socialisti », i quali dal proletariato sono passati alla borghesia, vengano a parlarci di « difesa della patria » da parte della Russia in questa guerra o di « salvezza del paese » (Ckheidze). È intolle- rabile che il soave Kautsky e i suoi soci vengano a parlarci di una pace democratica, come se i governi attuali e in genere i governi borghesi potessero concluderla. In effetti, questi governi sono impaniati nella rete dei trattati segreti che hanno stipulato fra loro, con i loro alleati e contro i loro alleati; inoltre, il contenuto di questi trattati non è dettato soltanto dalla « cattiva volontà », ma dipende da tutto l’anda- mento e lo sviluppo della politica èstera imperialistica. I « socialisti » che annebbiano gli occhi e le menti degli operai con frasi triviali sulle belle cose in genere (difesa della patria, pace democratica), senza de- nunciare i trattati segreti dei loro governi sul saccheggio df altri paesi, questi « socialisti » tradiscono in pieno il socialismo. I governi tedesco, inglese e russo hanno ogni interesse a sentir risuonare tra i socialisti discorsi inneggianti a una buona pace, anzi- tutto, perché essi fanno sperare nella possibilità di questa pace sotto i governi attuali e, inoltre, perché distolgono l’attenzione dalla politica brigantesca di questi stessi governi. La guerra è la continuazione della politica. E la politica « conti- nua » anche in tempo di guerra! La Germania è legata alla Bulgaria e all’Austria da trattati segreti sulla spartizione del bottino e continua SULLA PACE SEPARATA 125 a condurre negoziati in questo senso. La Russia è legata all’Inghilterra, .alla Francia, ecc. da trattati segreti, che riguardano tutti la rapina e il brigantaggio , la spoliazione delle colonie della Germania, il saccheggio dell’Austria, la spartizione della Turchia, ecc. Un « socialista » che, in questa situazione, parli ai popoli e ai go- verni d’una buona pace sarebbe in tutto simile a quel pop che, vedendo davanti a sé in chiesa, ai posti d’onore, la tenutaria d’una casa di tolle- ranza e il commissario di polizia che lavorano di comune accordo, « predichi » a questi tali e al popolo l’amore del prossimo e l’osser- vanza dei precetti cristiani. Tra la Russia e l’Inghilterra esiste senza dubbio un accordo segreto che riguarda, tra l’altro, la questione di Costantinopoli. È noto che la Russia spera di ottenere la città e che l’Inghilterra non vuole cedergliela; è noto che, se lTnghilterra cederà, cercherà in seguito di rimangiarsi la « concessione » oppure porrà condizioni molto onerose per la Russia. Non si conosce il testo dell’accordo segreto; tuttavia, che la lotta tra l’Inghilterra e la Russia verta proprio su questo problema non è solo risaputo, ma anche assolutamente indubbio. Si sa in pari tempo che la Russia e il Giappone, a integrazione dei loro trattati precedenti (del trattato del 1910, per esempio, che accordava al Giappone il diritto di « divorarsi » la Corea e alla Russia quello dì divorarsi la Mongolia), hanno stipulato nel corso della guerra attuale un nuovo trattato segreto, che non è diretto soltanto contro la Cina, ma anche , in una certa misura , contro V Inghilterra. Questo è un fatto, benché si ignori il testo dell’accordo. Nel 1904-1905, con l’aiuto del- l’Inghilterra, il Giappone ha sconfitto la Russia e ora si prepara cauta- mente all’eventualità di sconfiggere l’Inghilterra con l’aiuto della Russia. Nelle « sfere dirigenti » russe — in seno alla banda dei cortigiani di Nicola il sanguinario, in seno alla nobiltà, all’esercito, ecc. — esiste un partito germanofilo. Negli ultimi tempi, in Germania, si è delineata su tutta la linea una svolta della borghesia ( e, sulle sue orme, dei so- cialsciovinisti), che sta diventando russofila e cerca la pace separata con la Russia per rabbonirla e scagliare tutte le sue forze contro l’In- ghilterra. Riguardo alla Germania, questo piano è evidente e non solle- va dubbi. Riguardo alla Russia, la situazione è tale che lo zarismo, naturalmente, preferirebbe sgominare prima la Germania per « arraffa- re » quanto piu può tutta la Galizia, tutta la Polonia, tu tra l’Armenia, 126 LENIN Costantinopoli, per « dare il colpo di grazia » all’Austria, ecc. Allora, sarebbe piu facile, con l’aiuto del Giappone, rivolgersi contro l’Inghil- terra. Ma, evidentemente, la Russia non ha le forze per far questo. Proprio qui sta il punto. Quando l’ex socialista, signor Plekhanov, presenta la situazione come se i reazionari russi volessero in generale la pace con la Germa- nia, mentre la « borghesia progressista » vorrebbe la distruzione del « militarismo prussiano » e l’amicizia con l’Inghilterra « democratica », non fa che raccontare una fiaba adattata alla mentalità di chi in po- litica è ancora un bambino. In effetti, e lo zarismo e tutti i reazionari russi e tutta la borghesia «progressista» (gli ottobristi, i cadetti) vogliono una. sola cosa: predare la Germania, l’Austria e la Turchia in Europa, sconfiggere l’Inghilterra (e prendere tutta la Persia, tutta la Mongolia, tutto il Tibet, ecc.). La lotta tra questi « cari amici » verte solo sul quando e sul come passare dalla guerra contro la Ger- mania alla lotta contro lTnghilterra. Non si tratta che di questo: quando e come! Senonché, la soluzione di questo problema, che è l’unico motivo di contrasto tra i cari amici, dipende da considerazioni diplomatiche e militari che soltanto il governo zarista conosce per intero, mentre i Miliukov e i Guckov ne conoscono solo la quarta parte. Strappare tutta la Polonia alla Germania e all’Austria! Lo zarismo lo vuole , ma avrà la forza di farlo? e potrà lTnghilterra consentir- glielo? Conquistare Costantinopoli e gli Stretti! Colpire a morte e smem- brare l’Austria! Lo zarismo non chiede altro. Ma avrà la forza di farlo? e potrà lTnghilterra consentirglielo? Lo zarismo sa esattamente quanti milioni di soldati 'siano stati sacrificati e quanti altri possa ancora reclutarne tra la popolazione, quanti proiettili abbia consumato e quanti ancora possa ottenerne (nel caso tremendo e del tutto possibile di una guerra con la Cina il Giappo- ne non fornirà più munizioni!). Lo zarismo sa come si sono svolti e come si stiano svolgendo i negoziati segreti con lTnghilterra su Costanti- nopoli, sull’entità delle forze inglesi di stanza a Salonicco, in Meso- potamia, ecc. Lo zarismo sa tutto questo, ha tutte le carte in mano e calcola con precisione, nella misura in cui può in genere concepirsi lina cognizione esatta in un campo dove la funzione del dubbio, del- SULLA PACE SEPARATA 127 l’incertezza, la funzione della « fortuna delle armi » è molto rilevante. Riguardo ai Miliukov e ai Guckov, quanto meno sanno, tanto' più gettano parole al vento. E i Plekhanov, i Ckhenkeli, i Potresov, che ignorano tutto dei compromessi segreti dello zarismo, che hanno persino dimenticato quel che un tempo sapevano, che non studiano ciò che si può apprendere dalla stampa straniera, che non s’interes- savano al corso della politica estera zarista prima della guerra e non ne seguono gli sviluppi oggi durante la guerra, di fatto possono recitare una sola parte, quella dei socialisti imbecilli. Se lo zarismo si è convinto che, pur con il completo sostegno della società liberale, con tutto lo zelo dei comitati dell’industria di guerra, con tutto l’aiuto recato alla nobile causa della moltiplicazione dei proiettili dai signori Plekhanov, Gvozdev, Potresov, Bulkin, Cir- kin, Ckheidze (la «salvezza del paese», non si scherza!), Kropotkin e da tutto il restante servidorame; che, pur con tutto questo e nel- l’attuale stato delle forze militari (o delPimpotenza militare) di tutti gli alleati che potevano essere e che sono stati trascinati in guerra, non è possibile ottenere di più, vibrare un colpo più decisivo alla Germania, se non si vuole che il prezzo sia troppo alto (bisognerebbe perdere, ad esempio, altri dieci milioni di soldati russi, per la cui mobilitazione, addestramento ed equipaggiamento sarebbero ancora necessari vari miliardi e alcuni anni di guerra); allora lo zarismo non può non cercare la pace separata con la Germania. Se « noi » aspiriamo a un bottino troppo grande in Europa, rischiamo di esaurire definitivamente le « nostre » risorse militari, di non ottenere quasi niente in Europa e compromettere la possibilità di ottenere « quel che ci spetta » in Asia: cosi ragiona lo zarismo, e il suo ragionamento è corretto dal punto di vista degli interessi imperialistici. Più corretto di quello dei ciarlatani borghesi e oppor- tunisti come i Miliukov, i Plekhanov, i Guckov, i Potresov. Se non possiamo arraffare di più in Europa, neanche dopo l’in- tervento della Romania e della Grecia (a cui abbiamo preso tutto ciò che potevamo), prenderemo quel che capiterà! Per il momento l’In- ghilterra non può darci niente. La Germania, forse, ci restituirà la Curlandia e una parte della Polonia e ci restituirà senza dubbio la Galizia orientale (che è « per noi » particolarmente importante per soffocare il movimento ucraino, l’aspirazione alla libertà e alla fin- 128 LENIN gua nazionale di un popolo di vari milioni di uomini, che è stato finora assopito storicamente), nonché PArmenia turca. Prendendo que- sto subito , potremo uscire dalla guerra rinvigoriti ; cosi, domani, con l'aiuto del Giappone e della Germania, a patto di realizzare una poli- tica astuta e con Pulteriore sostegno dei Miliukov, dei Plekhanov, dei Potresov nel « salvare >> la « patria » tanto amata, potremo far guerra agli inglesi e arraffare un bel pezzo di Asia (tutta la Persia e il golfo Persico, che si apre sulPoceano e non è come Costantinopoli che sbocca soltanto nel Mediterraneo e attraverso isole di cui Plnghilterra può impadronirsi facilmente per fortificarle, privandoci cosi di ogni accesso al mare aperto), ecc. Cosi ragiona lo zarismo e, lo ripetiamo, ragiona correttamente, non solo da un punto di vista strettamente monarchico, ma anche dal punto di vista generale dell'imperialismo. Lo zarismo è piu informato e vede piu lontano dei liberali, dei Plekhanov e dei Potresov, È quindi assolutamente possibile che domani o dopodomani ci accolga, al nostro risveglio, un manifesto dei tre monarchi: « Sensi- bili alla voce dei nostri amati popoli, abbiamo deciso di elargire loro i benefici della pace, di firmare un armistizio e convocare un congresso europeo della pace ». I tre monarchi potranno persino mot- teggiare argutamente, riprendendo qualche brano delle frasi di Van- dervelde, di Plekhanov, di Kautsky: noi « promettiamo » — le pro- messe sono Tunico articolo che si venda a buon mercato persino in un periodo di vertiginoso rincaro della vita — di dibattere il problema della riduzione degli armamenti e della pace « perpetua », ecc. Van- dervelde, Plekhanov e Kautsky si affretteranno servilmente a indire un loro congresso di « socialisti » nella stessa città in cui si terrà il congresso della pace: buoni propositi, frasi melliflue, dichiarazioni sulla necessità di « difendere la patria » saranno effusi senza fine e in tutte le lingue. Si avrà una discreta messinscena per occultare il passaggio dall’alleanza imperialistica anglo-russa contro la Germania all’alleanza imperialistica russo-germanica contro Plnghilterra. Comunque sia } che cioè la guerra attuale si concluda al più pre- sto in questo modo o che la Russia « persista » nel suo proposito di sconfiggere la Germania e saccheggiare più a fondo e più a lungo SULLA PACE SEPARATA 129 l’Austria o che le trattative per una pace separata siano un’abile forma di ricatto {lo zarismo mostrerà all’Inghilterra un progetto di trattato con la Germania, dicendo: o mi dai tanti miliardi di rubli e queste concessioni e garanzie, oppure, domani stesso, firmerò questo trattato!), comunque sia, la guerra imperialistica non potrà conclu- dersi in altro modo che con una pace imperialistica, a meno che la guerra in corso non si trasformi nella guerra civile del proletariato contro la borghesia per il socialismo. In ogni caso, se si eccettua l’ultima soluzione, la guerra imperialistica finirà per rafforzare l’una o l’altra delle tre maggiori potenze imperialistiche, l’Inghilterra o la Germania o la Russia, a danno dei paesi più deboli (Serbia, Turchia, Belgio, ecc.); e non è affatto da escludere che tutti e tre i briganti escano rinvigoriti dalla guerra, dopo essersi spartito il bottino (le colonie, il Belgio, la Serbia, PArmenia), e che tutta la controversia si riduca alle percentuali di spartizione di questo bottino. In ogni caso, ne usciranno indubbiamente e inevitabilmente scor- nati e coperti di vergogna tanto i soci alsciovinis ti dichiarati e tutti d’un pezzo, cioè gli individui che accettano apertamente la « difesa della patria » in questa guerra, quanto i socialsciovinisti camuffati, indecisi, cioè i kautskiani, che predicano la « pace » in generale , « senza vincitori né vinti », ecc. Una qualsiasi pace, stipulata dagli stessi governi borghesi che hanno scatenato la guerra, o da altri governi ugualmente borghesi, mostrerà chiaramente a tutti i popoli quale funzione di valletti dell’imperialismo svolgano questi socialisti. Qualunque sia l’esito della guerra attuale, avrà ragione solo chi sostiene che Punico modo socialista per uscire dalla guerra può con- sistere nella guerra civile del proletariato per il socialismo. Avranno ragione i socialdemocratici russi i quali dicono che la sconfitta dello zarismo, la sua completa disfatta militare, è « comunque » il minor male. La storia infatti non segna il passo, ma continua ad andare avanti anche nel corso di questa guerra: e, se il proletariato europeo non può avanzare oggi verso il socialismo, se non può scuotersi di dosso il giogo dei socialsciovinisti e dei kautskiani durante la prima guerra imperialistica, l’Europa orientale e l’Asia potranno avanzare con passi da gigante verso la democrazia solo nel caso della completa disfatta 5 — 2617 130 LENIN militare dello zarismo, che perderà cosi ogni possibilità di realizzare una politica imperialistica di tipo semifeudale. La guerra distruggerà e spazzerà via tutto ciò che è debole, non esclusi il socialscioviuismo e il kautskismo. La pace imperialistica renderà ancor più evidenti, vergognose e ripugnanti queste debolezze. Sotsialdemokrat, 6 novembre 1916, n. 56. UNA BUONA DECINA DI MINISTRI « SOCIALISTI » Il segretario dell’Ufficio socialsciovinista internazionale ee , Huys- mans, ha indirizzato un telegramma di congratulazioni al ministro senza portafoglio di Danimarca Stauning, capo del presunto partito « socialdemocratico » danese: « Apprendo dai giornali la sua nomina a ministro. I miei più cordiali rallegramenti. Abbiamo ormai, in tutto il mondo, una decina di ministri. Le cose vanno avanti! Con i migliori saluti ». Le cose vanno avanti, è vero. La II Intemazionale avanza rapidamente verso la completa fusione con la politica nazional-liberale. La voce del popolo di Chemnitz, organo di lotta degli ultraopportu- nisti e socialsciovinisti tedeschi, riproducendo questo telegramma, os- serva non senza veleno: « Il segretario dell’Ufficio socialista interna- zionale si congratula senza riserve con un socialdemocratico che ha accettato di diventare ministro. Ma ancora alla vigilia della guerra tutti i congressi di partito e tutte le conferenze nazionali e intemazio- nali si erano pronunciati categoricamente contro questo fatto! I tempi cambiano, cambiano le opinioni: anche su questo punto ». I Heilmann, i David, i Sudekum hanno tutto il diritto di batter sprezzantemente la mano sulla spalla dei Huysmans, dei Plekhanov, dei Vandervelde... Stauning ha appena pubblicato una sua lettera a Vandervelde, nella quale trova espressione il suo sarcasmo di socialsciovinista ger- manofilo nei confronti del socialsdovinismo francese. Nella lettera Stauning osserva tra l’altro con fierezza: «Noi [il partito danese] abbiamo ripudiato in maniera netta e categorica l’attività scissionistica, dannosa all’organizzazione, svolta per iniziativa dei partiti italiano e svizzero dal cosiddetto movimento di Zimmerwald ». Testuale! 132 LENIN La formazione dello Stato nazionale danese risale al secolo XVI. Le masse popolari di Danimarca hanno già portato a termine da molto tempo il moto di emancipazione borghese. La popolazione è composta per il 96 per cento di danesi nati in Danimarca. In Germania i danesi sono circa duecentomila. (La Danimarca conta due milioni e nove- centomila abitanti.) Si può quindi capire che grossolano inganno bor- ghese siano i discorsi della borghesia danese sullo « Stato nazionale indipendente » come problema del giorno! Cosi parlano, nel ventesimo secolo, i borghesi e i monàrchici di Danimarca, che possiedono colonie , la cui popolazione è quasi uguale al numero dei danesi residenti in Germania e su cui il governo danese sta oggi trafficando . Chi ha detto che ai nostri giorni non si commercia più in uomini? Si commercia, e come! La Danimarca sta vendendo all* Ame- rica per vari milioni (non si sono ancora accordate) tre isole, tutte po- polate, si capisce! La caratteristica specifica dell’imperialismo danese consiste nella sua possibilità di ottenere sovrapprofitti per effetto della propria po- sizione monopolistica sul mercato dei latticini e delle carni: la vendita viene effettuata per via marittima, che è la meno costosa, in direzione di Londra, cioè del maggiore mercato mondiale. In tal modo la bor- ghesia e i ricchi contadini danesi (borghesi perfetti, nonostante le amene storielle dei populisti russi) sono divenuti i «fiorenti» paras- siti della borghesia imperialistica inglese e partecipano ai suoi pro- fitti particolarmente lauti e sicuri. Il partito « sorìaldemocratico » di Danimarca, che ha sostenuto e sostiene a spada tratta Pala destra, Pala opportunistica della social- democrazia tedesca, si è adattato senza riserve a questa situazione in- temazionale. I socialdemocratici danesi hanno votato i crediti richiesti dal governo monarchico-borghese «per tutelare la neutralità », come si è detto eufemisticamente. Al congresso del 30 settembre 1916 una maggioranza di nove decimi si è dichiarata per la partecipazione al gabinetto, per il compromesso con il governo! Il corrispondente di un giornale socialista di Berna informa che Popposizrone al ministe- rialismo è rappresentata in Danimarca da Gerson Trier e dal giornalista Y. P. Sundbo. Il primo ha difeso in un brillante discorso le concezioni marxiste rivoluzionarie e, quando il partito ha deciso di partecipare al ministero, si è dimesso dal Comitato centrale e dal partito, dichia- UNA BUONA DECINA DI MINISTRI 133 rando che si rifiutava di aderire ad un partito borghese. Negli ultimi anni il partito « socialdemocratico » di Danimarca non si è distinto in nulla dal radicalismo borghese. Il nostro saluto al compagno G. TrierJ « Le cose vanno avanti », Huysmans ha ragione, vanno avanti verso la delimitazione netta, chia- ra, politicamente onesta e indispensabile al socialismo, tra i marxisti rivoluzionari, che rappresentano le masse del proletariato rivoluzionario, e gli alleati e agenti della borghesia imperialistica alla Plekhanov- Potresov-Huysmans, che hanno dalla loro una maggioranza di « capi » e che tuttavia non rappresentano gli interessi delle masse oppresse, ma una minoranza di operai privilegiati passati dalla parte della borghesia. Gli operai coscienti di Russia, coloro che hanno eletto i deputati oggi deportati in Siberia, coloro che hanno votato contro la parteci- pazione ai comitati dell'industria di guerra, creati in appoggio alla guerra imperialistica, vorranno adesso far parte dell'* Intemazionale » dei dieci ministri ? Deirintemazionale degli Stauning? Dell'Interna- zionale da cui escono i Triérì Sotskldemokrat , 6 novembre 1916, n. 36. I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI SINISTRA NEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO 69 Il congresso di Zurigo del Partito socialdemocratico svizzero (4-5 novembre 1916) ha dimostrato in maniera definitiva che la decisione di questo partito di aderire a Zimmerwald e riconoscere la lotta rivo- luzionaria di massa (risoluzione del congresso di Aarau, 1915) è rima- sta sulla carta e che alPinterno del partito si è ormai costituito un « centro », cioè una tendenza corrispondente a quella di Kautsky- Haase e dell ’ Arbeitsgemeinschaft in Germania, di Longuet-Pressemane e soci in Francia. Questo « centro », capeggiato da R. Grimm, associa dichiarazioni « di sinistra » ad una prassi « di destra », cioè oppor- tunistica. Gli zimmerwaldiani di sinistra del Partito socialdemocratico sviz- zero hanno quindi il compito di riunire subito e senza esitazioni le proprie forze e premere sistematicamente sul partito perché la deci- sione del congresso di Aarau non resti lettera morta. Questa concen- trazione di forze degli zimmerwaldiani di sinistra è ancor più neces- saria e incalzante oggi proprio perché i congressi di Aarau e di Zurigo non lasciano sussistere alcun dubbio sulle simpatie rivoluzionarie e internazionalistiche del proletariato svizzero. Non basta votare risolu- zioni di solidarietà nei confronti di Liebknecht, bisogna considerare con tutta serietà la sua parola d'ordine, secondo cui gli odierni partiti socialdemocratici hanno bisogno di una rigenerazione (Regeneration) 70 . Ecco quale dovrebbe essere, in linea approssimativa, la piatta- forma degli zimmerwaldiani di sinistra nel Partito socialdemocratico svizzero. COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI SINISTRA 135 1, Atteggiamento verso la guerra e il governo borghese in generale 1. Nella guerra imperialistica in corso, come nelle nuove guerre imperialistiche in preparazione, la « difesa della patria », per ciò che concerne la Svizzera, è solo un inganno del popolo ad opera della borghesia, perché di fatto la partecipazione della Svizzera alk guerra attuale e ad ogni altra guerra analoga altro non sarebbe che la parte- cipazione a una guerra reazionaria di rapina, a fianco 71 di una delle coalizioni imperialistiche, e non ad una guerra per la « libertà », per la « democrazia », per l’« indipendenza », ecc. 2. L’atteggiamento del Partito socialdemocratico svizzero verso il governo borghese e verso tutti i partiti borghesi della Svizzera deve essere un atteggiamento di completa sfiducia. Questo governo infatti: a) è strettamente legato sul piano economico e finanziario ed è in uno stato di totale soggezione alla borghesia delle « grandi » potenze im- perialistiche; b) si è orientato già da tempo e su tutta la linea verso una politica di reazione negli affari interni e internazionali (polizia politica, servilismo nei confronti della reazione e delle monarchie euro- pee, ecc); c) ha dimostrato con tutta la sua politica degli ultimi anni (riorganizzazione militare del 1907, ecc.; «affari» Egli, de Loys 7Z , ecc.) che sta diventando sempre più una pedina dell’ultrareazionario partito della guerra e della cricca militare svizzera. 3. Pertanto, il compito più urgente del partito socialdemocratico in Svizzera consiste nel denunciare la reale natura di questo governo che si fa schiavo della borghesia imperialistica e del militarismo, nel mostrare come esso inganni il popolo con le sue vuote frasi sulla democrazia, ecc., nel chiarire che questo governo (con il consenso di tutta la borghesia che dirige la Svizzera) è assolutamente disposto a vendere gli interessi del popolo svizzero alluna o all’altra delle coali- zioni imperialistiche. 4. Nel caso in cui la Svizzera sia coinvolta nella guerra in corso è dovere dei socialdemocratici condannare senza riserve la « difesa della patria » e denunciare l’inganno teso al popolo con questa parola d’or- dine. Gli operai e i contadini si farebbero uccidere in questa guerra non per i loro interessi o per la democrazia, ma per gli interessi della borghesia imperialistica. I socialisti svizzeri, come quelli degli 136 LENIN altri paesi progrediti, possono e devono accettare la difesa militare della patria solo dopo che questa patria sia stata trasformata in senso socialista, cioè possono e devono accettare la difesa della rivoluzione proletaria, socialista, contro la borghesia. 5. Il partito socialdemocratico e i suoi deputati, non devono votare in nessun caso, né in tempo di pace né in tempo di guerra, i crediti militari, nonostante gli ingannevoli discorsi sulla « difesa della neutralità », ecc. con cui si giustifichi un tale voto. 6. Il proletariato deve rispondere alla guerra con la propaganda, la preparazione e la realizzazione di azioni rivoluzionarie di massa al fine di rovesciare il dominio della borghesia, di conquistare il potere politico e instaurare il regime socialista, il solo che libererà Tumanità dalle guerre e di cui si può affermare che la volontà di realizzarlo sta maturando con incredibile rapidità nella coscienza degli operai di tutti i paesi. 7. Le azioni rivoluzionarie devono comprendere le manifestazioni e gli scioperi di massa, ma in nessun caso il rifiuto di prestare servi- zio militare. Infatti, non il rifiuto di imbracciare le armi, ma solo il loro impiego contro la propria borghesia può rientrare nei compiti del proletariato e corrispondere alle parole d'ordine dei migliori esponenti deirinternazionalismo, come, ad esempio, K. Liebknecht. 8. Alla vigilia o nel corso della guerra, anche il minimo tentativo del governo di abolire o restringere le libertà politiche deve indurre gli operai socialdemocratici a creare organizzazioni clandestine intese a svolgere in maniera sistematica, tenace, senza arretrare dinanzi ai sacrifici, la propaganda della guerra alla guerra e a spiegare alle masse il reale carattere della guerra. IL II rincaro della vita e V insostenibile situazione economica delle masse 9. Non solo nei paesi belligeranti, ma anche in Svizzera, la guerra ha provocato l’inaudito e scandaloso arricchimento di un pugno di ricchi e ridotto le masse a uno stato d’incredibile miseria per effetto del rincaro della vita e della penuria di derrate alimentari. È com- I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI SINISTRA 137 pito fondamentale del partito socialdemocratico combattere questo fla- gello con una lotta rivoluzionaria, non riformistica, con un'azione me- todica e tenace di propaganda e preparazione di questa lotta, senza arretrare dinanzi alle inevitabili difficoltà e sconfitte momentanee. 10. In risposta ai tanti progetti borghesi di riforma finanziaria, il partito socialdemocratico deve proporsi il compito essenziale di sma- scherare i tentativi della borghesia di far ricadere sugli operai e sui contadini poveri tutto l’onere della mobilitazione e della guerra. La socialdemocrazia non può accettare in nessun caso e con nessun pretesto le imposte indirette. La decisione del congresso di Aarau (1915) é la risoluzione Huber-Grimm approvata al congresso di Zu- rigo (1916), le quali prevedono che la socialdemocrazia consenta alle imposte indirette, devono essere abrogate. Tutte le organizzazioni so- cialdemocratiche devono impegnarsi subito nella piu attiva prepara- zione del congresso del partito, che si terrà a Berna nel febbraio 1917, ed eleggere solo quei delegati che siano favorevoli alLannullamento di queste decisioni. Spetta ai funzionari liberali, e in nessun caso alla socialdemocrazia rivoluzionaria, aiutare il governo borghese a uscire dalle odierne diffi- coltà, mantenendo il regime capitalistico, perpetuando cioè la miseria delle masse. 11. I socialdemocratici devono propagandare nel modo piu ampio tra le masse l'urgente necessità di un'imposta federale unica sul patri- monio e sui redditi, con aliquote alte e progressive, non inferiori alle seguenti: Patrimonio Reddito Aliquota di imposta 20.000 fr. 5.000 fr. esenzione 50.000 » 10.000 » 10% 100.000 » 25.000 » 40% 200.000 » 60.000 » 60% Imposta sui pensionati: fino a 4 franchi al giorno esenzione su 5 » » » 1% » 10 * » » 20% » 20 » » » 25% 138 LENIN 12. I socialdemocratici devono battersi implacabilmente contro la menzogna borghese, diffusa anche nel partito socialdemocratico da molti opportunisti, secondo la quale sarebbe « non pratico » esigere aliquote elevate e rivoluzionarie dell’imposta patrimoniale e sul red- dito. È questa invece l’unica politica pratica e socialdemocratica, poi- ché, in primo luogo, non dobbiamo adattarci a ciò che è « accettabile » per i ricchi, ma fare appello alle grandi masse dei poveri e dei non abbienti, la cui indifferenza o sfiducia verso la socialdemocrazia dipende in larga misura dal carattere riformistico e opportunistico del partito. In secondo luogo, il solo modo di strappare concessioni alla borghesia è quello di non fare con essa « transazioni », di non « adattarsi » ai suoi interessi o pregiudizi e di preparare invece contro di essa le forze rivoluzionarie delle masse. Quanto piu sarà ampia la massa di popolo che avremo convinto delle giustezza di applicare aliquote d’imposta elevate e rivoluzionarie e della necessità di ottenerle con la lotta, tanto più rapidamente la borghesia farà concessioni, e noi utilizzeremo ogni minima concessiorie per lottare senza sosta fino alla completa espropriazione della borghesia. 13. Bisogna fissare un limite massimo di stipendio, di 5 o 6.000 franchi annui, in rapporto al numero dei familiari, per tutti gli im- piegati e funzionari senza eccezione, per i Bundesràte, ecc. Vietare il cumulo di altri redditi sotto minaccia di reclusione e di confisca di tali redditi. 14. Espropriare le fabbriche e le officine — anzitutto quelle ne- cessarie per garantire i mezzi di sussistenza alla popolazione — e tutte le imprese agricole con più di 15 ettari (più di 40 « Jucharten »; tali imprese sono in Svizzera 22.000 su un totale di 252.000, cioè meno di un decimo del complesso delle aziende agricole). Applicare, sulla base di queste riforme, misure sistematiche intese ad accrescere la produ- zione di derrate alimentari e a fornire alla popolazione prodotti a basso costo. 15. Espropriare subito, a vantaggio dello Stato, tutte le risorse idriche della Svizzera, applicando anche in questo, come negli altri casi di espropriazione, le aliquote d’imposta sopra indicate sul patri- monio e sui redditi. I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI Di SINISTRA 139 IIL Le riforme democratiche piu urgenti e V utilizzazione della lotta politica e del parlamento 16. Utilizzare la tribuna parlamentare e il diritto d’iniziativa e di referendum non in modo riformistico, cioè per difendere le riforme « accettabili » per la borghesia e quindi incapaci di eliminare i mali piu gravi e profondi delle masse, ma ai fini della propaganda in favore della trasformazione socialista della Svizzera, trasformazione che è pienamente realizzabile sul piano economico e che diventa sempre più urgente a causa delPinsostenibile rincaro della vita e dell’oppres- sione del capitale finanziario nonché in forza delle relazioni interna- zionali create dalla guerra, che spingono il proletariato di tutta l’Europa sulla via della rivoluzione. 17. Abolire assolutamente tutte le restrizioni dei diritti politici delle donne in relazione ai diritti degli uomini. Spiegare alle masse restrema urgenza di questa riforma nel momento in cui la guerra e il carovita agitano le grandi tnasse popolari e suscitano in maniera accentuata l’interesse e l’attenzione delle donne per la politica. 18. Introdurre la naturalizzazione obbligatoria e gratuita degli stranieri residenti in Svizzera (Zwangseinburgerung). Ogni straniero che risieda in Svizzera da tre mesi diventa cittadino svizzero, a meno che, per ragioni plausibili, non abbia sollecitato una proroga massiina di tre mesi. Chiarire alle masse la particolare urgenza di questa rifor- ma per la Svizzera, non solo sotto il profilo democratico generale, ma anche perché la condizione imperialistica ha fatto della Svizzera lo Stato europeo con la più alta percentuale di stranieri. I nove decimi di questi stranieri parlano una delle tre lingue del paese. La mancanza di diritti politici degli operai stranieri e il loro isolamento rafforzano la già crescente reazione politica e indeboliscono la solidarietà intemazio- nale del proletariato. 19. Iniziare subito il lavoro di agitazione affinché i candidati del partito socialdemocratico alle elezioni del Nationalrat del 1917 siano designati dopo un’ampia discussione della piattaforma politica da parte degli elettori, soprattutto per ciò che riguarda l’atteggiamento verso la guerra e la difesa della patria, nonché la questione della lotta riformi- stica o rivoluzionaria contro il rincaro della vita. 140 LENIN IV. I compiti immediati della propaganda , dell* agitazione e delVorga - nizzazione del partito 20. È impossibile realizzare praticamente la decisione di Aarau sulla lotta rivoluzionaria delle masse, senza un lavoro metodico e tenace che miri a estendere l’influenza della socialdemocrazia sulle masse, senza far aderire al movimento nuovi strati della massa lavora- trice e sfruttata. La propaganda e l’agitazione in favore della rivolu- zione sociale devono assumere un carattere piu concreto, piu chiaro, più immediatamente pratico, in modo da riuscire comprensibili non soltanto agli operai organizzati, che in regime capitalistico saranno sempre una minoranza del proletariato e delle classi oppresse in gene- rale, ma anche alla maggioranza degli sfruttati, che Poppressione spa- ventosa del capitalismo rende incapace di organizzarsi sistematicamente. 21. Per estendere la sua influenza sulle grandi masse il partito deve pubblicare più regolarmente e distribuire gratuitamente dei mani- festini in cui si spieghi alle masse che il proletariato rivoluzionario combatte per la trasformazione socialista della Svizzera, trasformazione necessaria ai nove decimi della popolazione e conforme ai loro in- teressi. Bisogna organizzare una pubblica emulazione fra tutte le se- zioni del partito e, in particolare, fra le organizzazioni giovanili per la diffusione di questi manifestini, per Pagitazione da condurre nelle strade e nelle case; bisogna dedicare più attenzione ed energia alla agitazione tra gli operai agricoli, i braccianti, i giornalieri, nonché tra i contadini più poveri, che non sfruttano mano d'opera salariata e non si arricchiscono con il rincaro della vita, ma soffrono per causa sua. I rappresentanti parlamentari del partito (National-, Kantons-, Gross- e altri Rate) sono tenuti ad avvalersi della loro posizione politica particolarmente vantaggiosa non tanto per il vaniloquio riformistico in parlamento, che suscita legittimamente noia e sfiducia tra gli operai, quanto invece per propagandare la rivoluzione socialista tra gli strati piu arretrati del proletariato e del semiproletariato nelle città e soprat- tutto nelle campagne. 22. Romperla definitivamente con la teoria della « neutralità » delle organizzazioni economiche della classe operaia, degli impiegati, ecc. I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIÀNI DI SINISTRA 141 Spiegare alle masse questa verità, ribadita con particolare evidenza dalla guerra; cioè che la cosiddetta « neutralità » è un inganno o una ipocrisia horghese, che essa significa in concreto subordinazione passiva alla borghesia e alle sue imprese più ignobili, come la guerra impe- rialistica, Intensificare Fazione socialdemocratica nelle associazioni di ogni genere della classe operaia e degli strati piu poveri della piccola borghesia o degli impiegati, costituire speciali gruppi di socialdemo- cratici in seno a queste associazioni, preparare metodicamente uno stato di cose che permetta alla socialdemocrazia rivoluzionaria di conquistare la maggioranza in tutte queste associazioni e di assumerne la direzione, Spiegare alle masse la particolare importanza di questa condizione per il buon esito della lotta rivoluzionaria. 23. Estendere e intensificare il lavoro socialdemocratico nell’eser- cito prima che i giovani vengano reclutati e durante il servizio militare. Costituire gruppi socialdemocratici in tutte le unità dell'esercito. Spie- gare che l'impiego delle armi è storicamente inevitabile e legittimo, dal punto di vista del socialismo, nell'unica guerra legittima, cioè nella guerra del proletariato contro la: borghesia per l'emancipazione della umanità dalla schiavitù salariata. Far propaganda contro gli attentati isolati al fine di collegare la lotta della parte rivoluzionaria dell'esercito al largo movimento del proletariato e degli sfruttati in generale. Inten- sificare la propaganda di quel paragrafo della risoluzione di Olten che raccomanda ai soldati la disobbedienza quando l'esercito viene im- piegato contro gli scioperanti e che sottolinea la necessità di non limi- tarsi alla disobbedienza passiva n . 24. Chiarire alle masse il legame indissolubile che unisce l'atti- vità pratica, intesa in un senso socialdemocratico rivoluzionario con- seguente, come si è indicato sopra, e la lotta sistematica di principio fra le t r e tendenze principali del movimento operaio contempo- raneo, quali si sono costituite in tutti i paesi civili e definitivamente af- fermate anche in Svizzera (soprattutto al congresso di Zurigo del 1916). Queste tre tendenze sono: 1) 1 socialpatrioti, che ammettono aperta- mente la « difesa della patria » nella guerra imperialistica attuale, nella guerra 1914-1916. Questa è la tendenza opportunistica degli agenti della borghesia in seno al movimento operaio; 2) gli zimmerwaldiani 142 LENIN di sinistra, che respingono in linea di principio la « difesa della patria » nella guerra imperialistica, che sono favorevoli alla scissione dai social- patrioti, in quanto agenti della borghesia, e alla lotta rivoluzionaria delle masse in vista della completa riorganizzazione della tattica social- democratica per la propaganda e la preparazione di questa lotta; 3) il cosiddetto « centro » (Kautsky-Haase e Arbeitsgemeinschaft in Germania, Longuet-Pressemane in Francia) *, che è favorevole all’unità delle altre due correnti. Questa unità può solo legare le mani alla socialdemocrazia rivoluzionaria, impedendole di svolgere la sua azione e corrompendo le masse in assenza di un legame profondo e indisso- lubile tra i principi del partito e la sua attività pratica. Nel 1916, a Zurigo, al congresso del Partito socialdemocratico svizzero, nei tre discorsi di Platten, Naine e Greulich sulla National- ratsfraktion, la lotta tra le diverse tendenze della politica socialdemo- cratica in seno al partito è stata riconosciuta con particolare evidenza come un fatto acquisito ormai da tempo. Il consenso della maggio- ranza si è riversato su Platten, allorché egli ha sottolineato la neces- sità di operare coerentemente nello spirito della socialdemocrazia rivo- luzionaria. Naine ha dichiarato in modo netto, franco e categorico che alPintemo della Nationalratsfraktion si scontrano senza posa due ten- denze e che le organizzazioni operaie devono tendere a inviare al Nationalrat dei sostenitori della tendenza rivoluzionaria che siano real- mente solidali fra di loro. Quando Greulich ha affermato che il partito ha abbandonato i suoi vecchi « beniamini » (Lieblinge) per sceglierne dei nuovi, ha per ciò stesso riconosciuto la presenza e il conflitto di diverse tendenze. Ma nessun operaio cosciente e riflessivo potrà accettare la « teoria dei beniamini ». E perché la lotta inevitabile e necessaria tra le diverse correnti non degeneri in rivalità di « benia- mini », in conflitti personali } in piccoli scandali e meschini sospetti, tutti i membri del partito socialdemocratico sono tenuti a controllare che si svolga apertamente una lotta di principio tra i diversi indirizzi della politica socialdemocratica. 25. Lottare più energicamente, sul piano dei principi , contro il * Nella stampa socialdemocratica tedesca il « centro » viene talvolta iden- tificato, e ben a ragione, con l’ala destra degli « zimmemaldiani ». I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDlANl DI SINISTRA 143 Grtitli-Verein 7 \ in quanto manifestazione evidente, sul terreno sviz- zero, delle tendenze della politica operaia borghese : opportunismo, riformismo, socialpatriottismo, corruzione delle masse con illusioni de- mocratico-borghesi. Spiegare alle masse, mediante l’esempio dell’atti- vità concreta del Griitli-Verein, quanto sia sbagliata e dannosa la poli- tica del socialpatriottismo e del « centro ». 26. Iniziare subito la preparazione delle elezioni per il congresso del partito a Berna (febbraio 1917), controllando che queste elezioni si effettuino sulla base della discussione, in ogni organizzazione di partito, delle piattaforme teoriche e politiche concrete. La presente piattaforma dovrà essere la piattaforma dei socialdemocratici interna- zionalisti rivoluzionari conseguenti. Le elezioni dei candidati a tutti i posti di direzione del partito, alla Presskommission, a tutti gli organismi rappresentativi, a tutti i comitati direttivi, ecc. devono essere effettuate sulla base della discus- sione delle piattaforme. Ogni organizzazione locale eserciterà un controllo attento sull’orga- no di stampa locale del partito per accertare che vengano applicate le tesi e la tattica non solo della socialdemocrazia in genere, ma anche di una piattaforma esattamente determinata della politica socialde- mocratica. V. I compiti internazionali dei socialdemocratici svizzeri 27. Perché il riconoscimento deirinternazionalismo da parte dei socialdemocratici svizzeri non resti una vuota formula non impegnativa — quella vuota formula a cui si limitano sempre i fautori del « centro » e, in generale, i socialdemocratici del periodo della II Internazionale — bisogna, in primo luogo, lottare con coerenza e inflessibilità per riunire e fondere nelle stesse associazioni gli operai stranieri e gli operai sviz- zeri e assicurar loro la completa uguaglianza (civile e politica). Il tratto specifico dell’imperialismo in Svizzera consiste nel crescente sfrutta- mento degli operai stranieri privi di diritti da parte della borghesia 144 LENIN svizzera, che ripone tutte le sue speranze nella divisione tra queste due categorie di operai. In secondo luogo, bisogna moltiplicare gli sforzi per costituire tra gli operai tedeschi, francesi e italiani della Svizzera una tendenza internazionalistica realmente unica in tutta Fattività pratica del movi- mento operaio, che si batta con la stessa energia e fedeltà ai principi contro il socialpatriottismo francese (nella Svizzera romanza), tedesco e italiano. La presente piattaforma deve servire di base alla piatta- forma unica e generale degli operai delle tre nazioni o gruppi linguistici principali della Svizzera. Senza questa fusione degli operai di tutte le nazionalità schierati con la socialdemocrazia rivoluzionaria, Tinternazio- nalismo è una parola vuota. Per agevolare la realizzazione di questa fusione bisogna ottenere da tutti i giornali socialdemocratici della Svizzera (e da tutti gli organi di stampa delle associazioni economiche degli operai, degli impiegati, ecc.) che pubblichino nelle tre lingue dei supplementi (almeno setti- manali, o mensili, e di sole due pagine all'inizio) intesi a sviluppare, in rapporto alla politica del giorno, la presente piattaforma. 28. I socialdemocratici Svizzeri devono appoggiare in seno a tutti gli altri partiti socialisti soltanto gli internazionalisti rivoluzionari ade- renti alla sinistra di Zimmerwald. Quest'appoggio non deve essere pla- tonico. È particolarmente importante ristampare in Svizzera, tradurli nelle tre lingue e diffonderli nelle file del proletariato svizzero e di tutti i paesi vicini gli appelli antigovemativi pubblicati clandestina- mente in Germania, in Francia e in Italia. 29. Il Partito socialdemocratico svizzero deve non solo decidere al congresso di Berna (febbraio 1917) di aderire, e senza riserve, alle risoluzioni della conferenza di Kienthal, ma esigere, per parte sua, l'immediata e completa scissione organizzativa dall’ISB deH'Àja, che è il baluardo dell’opportunismo e del socialpatriottismo, irriducibilmente ostili agli interessi del socialismo. 30. Il Partito socialdemocratico svizzero, che si trova in condi- zioni eccezionalmente favorevoli per tenersi al corrente degli sviluppi del movimento operaio nei paesi progrediti d’Europa e per unificare gli elementi rivoluzionari del movimento operaio europeo, non deve I COMPITI DEGLI ZIMMERWÀLDIANI DI SINISTRA 145 aspettare passivamente che la lotta si sviluppi nel suo seno, ma deve porsi alla testa di questa lotta. Esso deve seguire la via indicata dalla sinistra di Zimmerwald, la cui giustezza viene confermata con evidenza ogni giorno crescente dagli sviluppi del socialismo in Germania, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e, in generale, in tutti i paesi civili. Scritto tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1916. Pubblicato per la prima volta in francese in un opuscolo edito nel 1918. Pubblicato per la prima volta in russo in Proletarskaia revoliutsia , 1924, n. 4. TESI SULL’ATTEGGIAMENTO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO VERSO LA GUERRA 75 1. La guerra mondiale in corso è una guerra imperialistica com- battuta in vista dello sfruttamento politico ed economico del mondo, per i mercati di sbocco, per le fonti di materie prime, per nuove zone d’investimento del capitale, per l’oppressione dei popoli deboli, ecc. Le frasi delle due coalizioni belligeranti sulla « difesa della pa- tria » altro non sono che un inganno della borghesia a danno dei popoli. 2. Il governo svizzero è l’incaricato d’affari della borghesia sviz- zera, la quale dipende per intero dal capitale finanziario internazionale ed è legata nel modo piu stretto alla borghesia imperialistica delle grandi potenze. Non è quindi affatto un caso, ma il risultato inevitabile di questi fatti economici, che il governo svizzero conduca — ormai da decenni — una politica e un’azione diplomatica segreta ogni giorno più reaziona- rie, restringa e violi le libertà e i diritti democratici del popolo, strisci dinanzi alla cricca militare e sacrifichi sistematicamente e con cinismo gli interessi delle masse popolari agli interessi di un pugno di magnati della finanza. La Svizzera può essere coinvolta da un momento all’altro nella guerra in corso, a causa della soggezione del suo governo borghese agli interessi dell’oligarchia finanziaria e dietro la forte pressione del- l’una o dell’altra coalizione di potenze imperialistiche. 3. Pertanto, anche in Svizzera, la « difesa della patria » è oggi soltanto una frase ipocrita, perché in realtà non si tratta di difendere la democrazia, l’indipendenza, gli interessi delle grandi masse po- polari, ecc., ma si tratta invece di mandare al massacro gli operai e i TESI SULL'ATTEGGIAMENTO DEL PSS VERSO LA GUERRA 147 piccoli contadini per conservare i monopoli e i privilegi della borghesia, si tratta di rafforzare il dominio dei capitalisti e la reazione politica. 4. Sulla base di questi fatti, il Partito socialdemocratico svizzero respinge in linea di principio la « difesa della patria », esige Timme- diata smobilitazione, chiama la classe operaia a rispondere ai prepa- rativi di guerra compiuti dalla borghesia svizzera e alla guerra stessa, se scoppierà, con i mezzi più energici della lotta di classe proletaria. Tra questi mezzi sono da segnalare i seguenti. a) Niente pace sociale; accentuare la lotta di principio contro tutti i partiti borghesi e contro la Lega di Gnidi, in quanto centro di agenti della borghesia in seno al movimento operaio, nonché contro le ten- denze griitliane all’interno del pardto socialista. b) Bocciare tutti i crediti militari, in tempo di pace come in tempo di guerra, qualunque sia il pretesto con cui vengono richiesti. c) Appoggiare tutti i movimenti rivoluzionari e tutte le batta- glie della classe operaia dei paesi belligeranti contro la guerra e contro i rispettivi governi. d) Contribuire alla lotta rivoluzionaria di massa in Svizzera, agli scioperi, alle manifestazioni e all’insurrezione armata contro la borghesia. e) Svolgere un’azione sistematica di propaganda nell’esercito, co- stituendo a tale scopo speciali gruppi socialdemocratici nei reparti militari e tra le giovani reclute. /) La classe operaia deve creare di propria iniziativa organizza- zioni clandestine in risposta a qualsiasi restrizione o soppressione delle libertà politiche da parte del governo. g) Attraverso un’opera metodica di chiarificazione tra gli operai, preparare sistematicamente una situazione tale che la direzione di tutte le organizzazioni di operai e impiegati, senza eccezioni, passi nelle mani di elementi che accettino e sappiano condurre la lotta contro la guerra. 5. Il partito pone alla lotta rivoluzionaria di massa, già ricono- sciuta nel congresso di Aarau del 1915, l’obiettivo della rivoluzione socialista. Questo rivolgimento può essere realizzato fin da ora sul piano economico. È questo il solo mezzo efficace per liberare le masse 148 LENIN dagli orrori del carovita e della Fame. Il rivolgimento socialista si presenta come il risultato della crisi in cui si dibatte attualmente tutta l’Europa: esso è assolutamente necessario per la completa liquidazione del militarismo e di tutte le guerre. ■Il partito dichiara che tutte le frasi pacifistiche, borghesi e socia- liste, contro il militarismo e le guerre, se non riconoscono questo obiet- tivo e i mezzi rivoluzionari per raggiungerlo, sono semplici illusioni o menzogne, che condurranno soltanto a distogliere la classe operaia da ogni lotta efficace contre le basi stesse del capitalismo. Sènza interrompere la lotta per migliorare la situazione degli schiavi salariati, il partito incita la classe operaia e i suoi rappresen- tanti a porre alPordine del giorno la propaganda in favore della tra- sformazione socialista immediata della Svizzera, servendosi dell’agita- zione di massa, degli interventi parlamentari, delle proposte d’inizia- tiva, ecc., dimostrando la necessità di sostituire il governo borghese con un governo proletario che poggi sulla massa della popolazione non abbiente, spiegando l’imperiosa necessità di misure come l’espropria- zione delle banche e delle grandi imprese, l’abolizione di tutte le im- poste indirette, l’introduzione di un’imposta diretta unica con aliquote elevate e rivoluzionarie per i grandi redditi, ecc. Scrìtte in tedesco ai primi di dicembre del 1916. Pubblicate per la prima volta in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL PROBLEMA DELLA GUERRA Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato o, quanto meno, i suoi elementi migliori sono orientati contro questo principio. Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in parti- colare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente. Non c’è in realtà la minima chiarezza — e ancor meno unità — di idee sul fatto che nel pronunciarsi negativamente sulla difesa della patria si pongono per ciò stesso esigenze eccezionalmente alte tanto alla coscienza quanto alTazione rivoluzionaria del partito che pro- clama questa parola d'ordine, a patto, s’intende, che non si tratti d’una frase vuota. Quando infatti ci si limita a enunciare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implichi, senza capire che tutta la propaganda , l'agitazione, V organizzazione, in breve, tutta l’atti- vità del partito deve essere radicalmente rinnovata, « rigenerata » (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivolu- zionari di ordine piu alto, una tale enunciazione diventa una frase vuota. Per comprendere esattamente che cosa significhi rifiutarsi di di- fendere la patria, bisogna considerare questo rifiuto come una parola d’ordine politica da prendere sul serio e da realizzare in concreto. 150 LENIN In primo luogo, noi proponiamo ai proletari e agli ■ sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra di respingere la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di alcuni paesi belligeranti, sappiamo con assoluta precisione che cosa significhi in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Signi- fica negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente, non solo in teoria, non solo « in generale », ma nella pratica, immediatamente, oggi stesso. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi alla sola condizione di non essere giunti soltanto al saldissimo convincimento teorico che il capita- lismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di ritenere realizzabile in pratica, immediatamente, subito, questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista? Eppure, proprio questo punto viene quasi sempre perduto di vista, quando si parla del rifiuto di difendere la patria. Nel migliore dei casi si è disposti a riconoscere « teoricamente » che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nem - meno sentir parlare dell immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito nello spirito della rivoluzione socialista imminente ! Il popolo non sarebbe ancora preparato! Ma qui l’incoerenza sfocia nel ridicolo. Delle due l’una. O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria, oppure dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il « popolo » è « impreparato » sia al rifiuto di difendere la patria che alla rivoluzione socialista, ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni — due anni! — l’inizio delia preparazione sistematica della rivoluzione! In secondo luogo, che cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le « azioni rivoluzionarie di massa », come ha riconosciuto la risolu- zione del congresso di Aarau del 1915. Si tratta, senza dubbio, dì una risoluzione eccellente, ma... ma la storia del partito dopo quel con- gresso e la sua politica effettiva dimostrano che essa è rimasta sulla cartai Quale è lo scopo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente POSIZIONI DI PRINCIPIO 151 il partito non ha detto niente al riguardo, e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si rico* nosce aper tarsiente che questo scopo è il « socialismo ». Al capitalismo (o all’ imperialismo) si contrappone il socialismo. Ma questa posizione è sommamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo gene- rica, troppo vaga. Attualmente, non solo i kautskiani e i socialsciovi- nisti, ma anche numerosi uomini politici borghesi ravvisano nel « so- cialismo » in generale uno scopo da contrapporre al capitalismo (o all’imperialismo). Oggi però non si tratta di opporre genericamente i due sistemi sociali, si tratta invece di opporre lo scopo concreto della concreta « lotta rivoluzionaria delle masse » ad un male concreto , cioè slVodierno rincaro della vita, all 'odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso. Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il so- cialismo in generale al capitalismo e proprio per questa « generalizza- zione » troppo generica ha fatto fallimento. Essa ha ignorato in effetti il male specifico della sua epoca, che, quasi trentanni or sono, il 10 gennaio 1887, Fr. Engels cosi caratterizzava: « ... Un certo socialismo piccolo-borghese è rappresentato nel seno dello stesso partito socialdemocratico, e perfino nel suo gruppo parla- mentare. E invero esso si esprime di guisa che si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo e l’esigenza del trapasso alla pro- prietà sociale di tutti i mezzi di produzione, ma si dichiara possibile la loro realizzazione soltanto in un 1 e poca lontana e pratica- mente non calcolabile. In tal maniera si indirizzano gli uomini, per il presente, a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale ... » (La questione delle abitazioni , pre- fazione) 7e . Lo scopo concreto della « lotta rivoluzionaria di massa » può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista e non nel « socialismo » in genere. Ma quando si chiede di definire esattamente queste misure concrete, — come hanno fatto i compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916): an- nullamento dei debiti statali, espropriazione delle banche, espropria- zione di tutte le grandi imprese, — se si propone di inserire queste 152 LENIN misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente attraverso Tagitazione e la propaganda quotidiana del partito nelle assemblee, negli interventi parlamentari, nelle proposte d’iniziativa popolare, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria o elusiva, sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora prepara- to, ecc.! Bene, il compito è di iniziare subito questa preparazione e di por- tarla avanti inflessibilmente! In terzo luogo, il partito ha « riconosciuto » la lotta rivoluzio- naria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di operare in questa direzione? Si sta preparando? Studia questi problemi, raccoglie tutto il materiale necessario, crea organizzazioni e organismi adeguati , di- scute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo? Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere per la sua vecchia carreggiata esclusiva- mente parlamentare, tradunionistica, riformistica, legalitaria. Il par- tito continua a essere notoriamente incapace di stimolare e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa, ed è risaputo che non si prepara affatto a questo compito. La vecchia routine impera, e le parole « nuove * (rifiuto di difendere la patria, lotta rivoluzionaria di massa) restano semplici parole ! Ma gli elementi di sinistra non ne hanno coscienza e non uniscono in maniera sistematica e perseverante le proprie forze, dappertutto, in tutti i campi di attività del partito, per combattere questo male. Non si può non stringersi nelle spalle quando, ad esempio, nelle tesi di Grimm sulla questione della guerra, si legge la seguente (ulti- ma) frase: « Gli organi del partito, in accordo con le organizzazioni sinda- cali del paese, devono prendere in questo caso [cioè se, dinanzi al pericolo di guerra, chiamino i ferrovieri allo sciopero di massa, ecc.] tutte le misure necessarie ». Le tesi di Grimm sono state rese pubbliche nel corso di questa estate, ma il 16 settembre, nella Scbweizeriscbe Metallarbeiterzeitung , diretta da O. Schneeberger e da K. Diirr, si poteva leggere la seguente frase (stavo per dire: la seguente risposta ufficiale alle tesi o alle pie intenzioni di Grimm): « ... È di pessimo gusto... Tespressione *T operaio non ha patria’'... POSIZIONI DI PRINCIPIO 153 nel momento in cui gli operai di tutt’Europa, nella lorp stragrande maggioranza, combattono da due anni contro i “nemici” della loro patria a fianco della loro borghesia, e coloro che sono rimasti a casa desiderano “tener duro”, nonostante la miseria e le privazioni. Nel caso d’ un attacco straniero alla Svizzera ve- dremmo senza dubbio lo stesso spettacolo »!!! Non si realizza forse una politica « kautskiana », una politica fondata sulle frasi impotenti, sulle declamazioni di sinistra e sulla pratica opportunistica, quando, da un lato, si propone un documento in cui si dice che il partito, « in accordo con le organizzazioni sinda- cali », deve chiamare agli scioperi rivoluzionari di massa, e, dall'altro, non si combatte in alcun modo contro la tendenza grùtliana , che è socialpatriottica, riformistica e puramente legalitaria, e contro i suoi fautori nel partito e nei sindacati? Si « educano » le masse o sì tende invece a disgregarle e a demo- ralizzarle, quando non si dice loro e non si dimostra quotidianamente che i compagni « dirigenti » O. Schneeberger, K. Diirr, P. Pfliiger, H. Greulich, Huber e molti altri ancora si attengono alle stesse conce- zioni socialpatriottiche e svolgono la stessa politica socialpatriottica che Grimm denuncia e fustiga « arditamente ».., quando si tratta dei tedeschi che vivono in Germania e non degli svizzeri? Ingiuriare gli stranieri e proteggere i « propri connazionali »: non è questo un atto «internazionalistico»? e «democratico»? Hermann Greulich ha delineato come segue la situazione degli operai svizzeri, la crisi del socialismo svizzero e la sostanza della poli- tica griitliana in seno al partito socialista: « Il tenore di vita è stato migliorato molto poco e solo per gli strati superiori [udite! udite!] del proletariato. La massa degli operai vive, come prima, in uno stato di miseria, tra preoccupazioni e disagi. Perciò di tanto in tanto si dubita che la strada seguita fino a questo momento sia giusta. I critici cercano nuove strade e ripongono le loro speranze nelle azioni piu energiche. In questa direzione si fanno ten- tativi che, di regola [?], non riescono [??] e che inducono con forza rinnovata a ritornare alla vecchia tattica » (il desiderio non è anche qui padre dell’idea?). « Ed ecco la guerra mondiale... Il grave peggiora- mento del tenore di vita, che diviene miseria persino negli strati che un tempo menavano un’esistenza sopportabile, rinvigorisce lo spirito 134 LENIN rivoluzionario» (udite! udite!). «In effetti, la direzione del partito non è stata all’altezza dei suoi compiti e si è arresa [??] troppo alla influenza delle teste calde [davvero? davvero?]... Il Comitato centrale della Lega di Gnidi cerca, per parte sua, di realizzare una “politica nazionale pratica", che esso vuole condurre fuori del partito... Perché non la realizza airinterno del partito?» (udite! udite!). «Perché lascia quasi sempre a me Pincombenza di combattere gli ultraradicali? » (Lettera aperta alla Lega griitliana di Gottinga , 26 settembre 1916). Ecco che cosa dice Greulich. Non si tratta quindi (come pensano in segreto o dicono allusivamente sulla stampa i grutliani che militano nel partito e come affermano apertamente i grutliani che sono fuori delle sue file) di alcuni « stranieri male intenzionati », i quali, in un accesso d’impazienza personale, desidererebbero trapiantare lo spirito rivoluzionario in un movimento operaio che essi vedono con « occhiali stranieri ». Oh, no! È proprio Hermann Greulich — la cui funzione politica equivale di fatto a quella di un ministro borghese del lavoro in una piccola repubblica democratica — a informarci che solo gli strati superiori del proletariato godono di un qualche migliora- mento del tenore di vita, mentre la massa degli operai continua a versare in uno stato di miseria, e che « il rinvigorirsi dello spirito rivo- luzionario » non deriva dai maledetti « sobillatori » stranieri, ma dal « grave peggioramento del tenore di vita ». E allora? Allora sarà assolutamente giusto dire che: o il popolo svizzero patirà la fame, una fame ogni settimana più terribile, e correrà quotidianamente il rischio di essere coinvolto nella guerra imperialistica, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti, oppure esso seguirà il con- siglio della parte migliore del suo proletariato, radunerà tutte le sue energie e realizzerà la rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una possibilità di un’« epoca lontana e praticamente non calcolabile »! Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. Non bisogna farsi stordire né spaventare dalle parole. Quasi tutti sono pronti ad accettare la lotta rivoluzionaria contro, la POSIZIONI DI PRINCIPIO 155 guerra, ma si deve pur cercare d'immaginare l’immensità del compito di mettere fine a questa guerra mediante la rivoluzione! No, non è un’utopia! La rivoluzione sta avanzando in tutti i paesi, e oggi non si tratta più di sapere se bisognerà continuare a vivere in maniera tran- quilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di sapere se bisogna morire di fame e andare al massacro per interessi estranei , per interessi di altri , o se bisogna fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità. La rivoluzione socialista sarebbe un’utopia! Ma il popolo sviz- zero, grazie a dio, non parla una lingua « autonoma », « indipenden- te », parla tre lingue mondiali, che sono quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Non può quindi stupire che il popolo svizzero sappia molto bene che cosa accade in questi paesi. In Germania si è giunti a diri- gere da un unico centro la vita economica di se s sant asei milioni di uomini , a organizzare attraverso questo centro l’economia nazionale di sessantasei milioni di cittadini, a imporre sacrifici immani alla stra- grande maggioranza del popolo, e tutto questo perché « trentamila privilegiati » possano intascare i miliardi dei profitti di guerra e milioni di uomini siano mandati al macello a vantaggio degli esponenti « mi- gliori e più nobili » della nazione. Dinanzi a questi fatti , di fronte a questa esperienza , si vorrebbe considerare « utopistico » che un piccolo popolo, senza monarchia e senza Junker, con un capitalismo molto evoluto, organizzato in associazioni di vario genere forse meglio che in qualsiasi altro paese capitalistico, pur di sfuggire alla fame e al pericolo di guerra , faccia la stessa cosa che è stata sperimentata prati- camente in Germania, con la sola differenza, beninteso, che in Germa- nia si mandano a morte e si rendono invalidi milioni di uomini per far arricchire pochi privilegiati, per assicurarsi Bagdad, per conquistare i Balcani, mentre in Svizzera basta espropriare al massimo trentamila borghesi, cioè non condurli a morte, ma condannarli al « terrificante » destino di avere un reddito di « soli » 6.000-10.000 franchi e conse- gnare il resto al governo operaio socialista, al fine di tutelare il popolo dalla fame e dal pericolo di guerra. Si, tuttavia, le grandi potenze non tollererebbero in nessun caso una Svizzera socialista, e i primi germi della rivoluzione socialista sarebbero soffocati dalla schiacciante preponderanza di forze di tali potenze! 156 LENIN Le cose andrebbero innegabilmente così, se, da un lato, una ri- voluzione potesse aver inizio in Svizzera senza suscitare un movimento di solidarietà di classe nei paesi vicini, e se, dall’altro lato, le grandi potenze non si trovassero nel vicolo cieco d’una « guerra di logora- mento », che ha ormai esaurito quasi del tutto anche la pazienza dei popoli più pazienti. Oggi, l’intervento militare delle grandi potenze, tra loro ostili, sarebbe soltanto il prologo allo scoppio della rivoluzione in tutta l’Europa. Credete forse che io sia tanto Ingenuo da pensare di poter risol- vere « con la persuasione » un problema come quello della rivoluzione socialista? No. Intendo fare qui solo un esempio , riferendomi, per di piu, ad una questione specifica ; quali cambiamenti bisogna operare in tutta la propaganda del partito, se si vuole affrontare con serietà il pro- blema del rifiuto di difendere la patria} Voglio solo illustrare una questione specifica, non pretendo di più. Sarebbe assolutamente sbagliato pensare che la lotta immediata in favore della rivoluzione socialista ci imponga o ci dia la possibilità di. accantonare la lotta per le riforme. Tutt’altro! Non possiamo sapere in anticipo quanto tempo sarà necessario per avere la meglio, quando cioè le condizioni oggettive consentiranno l’avvento di questa rivolu- zione. Dobbiamo quindi sostenere ogni minimo miglioramento, ogni miglioramento effettivo della situazione economica e politica delle masse. La differenza tra noi e i riformisti (cioè, in Svizzera, i griitliani) non sta nel fatto che noi siamo contrari e loro sono favorevoli alle riforme. Non è questo il punto. In effetti, essi si limitano alle riforme e si degradano quindi alla semplice funzione di « infermiere del capi- talismo », secondo la puntuale espressione di un (raro!) collaboratore rivoluzionario della Schweizerische Metallarbeiterzeitung (n. 40). Noi invece diciamo agli operai: votate pure per la proporzionale, eoe., ma non limitate a questo la vostra attività, mettete piuttosto in primo piano la propaganda sistematica dell’idea della rivoluzione socialista immediata, preparatevi a questa rivoluzione e operate a tale scopo i cambiamenti profondi che si rendono necessari in tutta l’attività del partito! Le condizioni della democrazia borghese ci costringono troppo spesso ad assumere questa o quella posizione su tutta una serie di POSIZIONI DI PRINCIPIO 157 piccole e minuscole riforme, ma bisogna saper prendere o imparare a prendere posizione a favore delle riforme in modo tale che — se, per essere più chiari, vogliamo dirla in termini alquanto semplificati — in ogni nostro discorso della durata di mezz'ora si dedichino cinque mi- nuti alle riforme e venticinque alla rivoluzione imminente. La rivoluzione socialista non può essere realizzata, se non si com- batte un’accanita lotta rivoluzionaria di massa, una lotta che costa molti sacrifici. Ma sarebbe incoerente accettare la lotta rivoluzionaria di massa, riconoscere l’aspirazione a metter fine subito alla guerra e respingere al tempo stesso la rivoluzione socialista immediata! La prima è soltanto un puro suono senza la seconda! Non si può, d’altra parte, evitare di combattere duramente al- l'interno del partito. Saremmo solo smielati e ipocriti e faremmo la politica filistea dello struzzo, se pensassimo alla possibilità di far re- gnare, in generale, la « pace interna » nel Partito socialdemocratico svizzero. Non si tratta di scegliere tra la « pace interna » e la « lotta intestina ». Basta scorrere la lettera di Hermann Greulich citata più sopra e rievocare le vicende del partito negli ultimi anni per scorgere l’assoluta erroneità di questa ipotesi. In realta, la questione si pone in termini diversi: o le forme attuali , che sono camuffate e demoralizzano le masse, o invece una lotta aperta, di principio, tra la tendenza internazionalistica rivoluzionaria e la tendenza griitliana all’interno del partito e fuori delle sue file. Una « lotta intestina » in cui H. Greulich si avventi sugli « ultra- radicali » o sulle « teste calde », senza chiamare per nome questi mostri e senza definire esattamente la loro politica, mentre R. Grimm pubblica nella Berner Tagwacht articoli assolutamente incomprensibili per il 99 per cento dei lettori, articoli pieni di allusioni e di ingiurie contro gli « occhiali stranieri » o i « reali ispiratori » dei progetti di risoluzione sgraditi a Grimm, una tale lotta interna demoralizza le masse, che vi ravvisano o intuiscono una sorta di « rissa tra i capi », senza com - prendere di che cosa si tratti nella sostanza . Ma una lotta in cui la tendenza griitliana alVinterno del partito — ben più importante e pericolosa di quella che opera fuori delle sue file — sia costretta a contrastare apertamente la sinistra, una lotta in cui le due tendenze intervengano in ogni occasione con le loro po- 158 LENIN sizioni autonome e con la loro politica e si scontrino sul terreno dei principi , demandando realmente alla massa dei compagni di partito, e non solo ai « capi », la soluzione delle principali questioni di prin^ cipio, una tale lotta è necessaria e utile, in quanto sviluppa nelle masse lo spirito di autonomia e la capacità di assolvere la propria funzione storica rivoluzionaria. Scritto in tedesco nel dicembre 1916. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931 PER L’IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA DELLA DIFESA DELLA PATRIA La borghesia e i suoi sostenitori nelle file del movimento operaio impostano di solito il problema in questi termini: o noi riconosciamo in linea di principio il dovere di difendere la patria oppure lasciamo indifesa la nostra patria. Una simile impostazione è radicalmente sbagliata. In effetti, il problema si pone come segue: o noi ci faremo massacrare nell’interesse della borghesia impe- rialistica oppure prepareremo metodicamente la maggioranza degli sfrut- tati e noi stessi a impadronirci delle banche e ad espropriare la bor- ghesia, a prezzo di minori sacrifici, per metter fine in generale al carovita e alla guerra. La prima impostazione del problema è interamente borghese, non socialista. Essa non tiene conto del fatto che viviamo nell’epoca del- l’imperialismo, che la guerra in corso è una guerra imperialistica, che la Svizzera, quali che siano le condizioni, non si schiererà in questa guerra contro Timperialismo, ma dalla parte dell’una o dell’altra coali- zione di potenze imperialistiche, divenendo cioè di fatto la complice di queste o quelle grandi potenze brigantesche, che la borghesia sviz- zera è già da molto tempo legata per mille fili agli interessi imperiali- stici, comunque ciò si realizzi: attraverso la rete dei rapporti e della « compartecipazione » tra le grandi banche, attraverso l’esportazione di capitali, attraverso l’industria connessa con il turismo, che deve la propria esistenza ai miliardari stranieri, attraverso lo sfruttamento vergognoso degli operai stranieri privi di diritti, ecc. 160 LENIN In breve, in questa impostazione si dimenticano tutte le tesi fon- damentali del socialismo e tutte le idee socialiste, la guerra imperiali- stica di rapina viene abbellita, la « propria » borghesia viene dipinta come un agnellino innocente e gli. infami direttori di banca della Svizzera odierna vengono presentati come eroici Guglielmi Teli; in pari tempo, si chiudono gli occhi sugli accordi segreti tra i banchieri e i diplomatici del proprio e degli altri paesi, e tutto quest'incredi- bile ammasso di menzogne borghesi viene camuffato con la bella for- mula « popolare » e mistificatrice di « difesa della patria »! Scritto in tedesco nel dicembre 1916. Pubblicato per la prima volta in russo nella Pravda, 1 agosto 1929, n. 174, L'INTERNAZIONALE GIOVANILE Nota Con questo titolo si pubblica in Svizzera dal 1° settembre 1915, in lingua tedesca, l'« organo di lotta e di propaganda dell'Unione in- ternazionale delle organizzazioni giovanili socialiste ». Sono già com- parsi in tutto sei numeri di questo giornale, che deve essere in gene- rale segnalato e raccomandato vivamente alrattenzione di tutti i membri del nostro partito che riescono ad avere contatti con i partiti social- democratici esteri e con le organizzazioni della gioventù. La maggior parte dei partiti socialdemocratici ufficiali d'Europa si è attestata oggi sulle posizioni del socialsciovinismo e dell'opportu- nismo piu basso e pusillanime. È questo il caso dei partiti tedesco e francese, fabiano e « laburista » in Inghilterra, svedese, olandese (par- tito di Troelstra), danese, austriaco, ecc. Nel partito socialdemocratico della Svizzera, sebbene gli ultraopportunisti (con grande vantaggio per il movimento operaio) abbiano costituito fuori del partito la « Lega di Griitli », è rimasto un buon numero di capi opportunisti, socialscio- vinisti e kautskiani, che esercitano tuttora un'influenza enorme sulla attività del partito. Data questa situazione in Europa, spetta all'Unione delle organiz- zazioni giovanili socialiste il compito importante e gradito — ma anche difficile — di lottare per l'internazionalismo rivoluzionario, per il vero socialismo, contro l'opportunismo dominante, che si è schierato a fianco della borghesia imperialistica. L ' Internazionale giovanile ha pub- blicato una serie di buoni articoli in difesa delPinternazionalismo rivo- luzionario, e tutto il giornale è imbevuto di un eccellente spirito di odio profondo per i traditori del socialismo che « difendono la patria » nella guerra in corso, è animato dalla piu sincera volontà di epurare 6 — 2617 162 LENIN il movimento operaio internazionale dallo sciovinismo e dall'opportu- nismo che lo stanno corrodendo. Naturalmente, non c’è ancora e forse non potrà esserci mai in questo giornale chiarezza e fermezza teorica, perché esso è l’organo di stampa di una gioventù ardente, impetuosa e avida di ricerche. Tut- tavia, l’insufficiente chiarezza teorica di questi giovani deve indurci ad assumere una posizione molto diversa da quella che assumiamo — e che dobbiamo assumere — verso la confusione ideale regnante nei cer- velli e l’assenza di coerenza rivoluzionaria regnante nei cuori dei nostri fautori del « Comitato d’organizzazione », dei « socialisti-rivoluzionari », dei tolstoiani, degli anarchici e dei kautskiani (dei « centristi ») di tutta l’Europa, ecc. Una cosa sono gli adulti che ingannano e sviano il proletariato e pretendono di guidare e di educare gli altri: contro di essi bisogna condurre una lotta inesorabile . Un’altra cosa sono le organizzazioni della gioventù , le quali dichiarano francamente di dover ancora studiare e si assegnano come obiettivo principale la forma- zione di militanti per i partiti socialisti. Dobbiamo aiutare in ogni modo questi giovani, essere il più possibile pazienti verso i loro errori, studiandoci di correggerli pian piano e soprattutto con la persuasione , non con la lotta. Non è raro che i rappresentanti delle generazioni mature o anziane non sappiano trattare come sarebbe necessario questa gioventù, che è costretta, dalla forza stessa delle cose, ad avvicinarsi al socialismo per vie , in forme e in condizioni diverse da quelle dei padri. Tra l’altro, dobbiamo quindi essere favorevoli senza riserve alVautonomia organizzativa dell’Unione della gioventù, non solo perché gli opportunisti la temono, ma anche per ragioni di principio. Infatti, senza una completa autonomia, la gioventù non potrà educare nelle sue file dei buoni socialisti e non potrà prepararsi a far progredire il socialismo. Siamo dunque per l’autonomia più completa deU’Unione della gioventù, ma anche per la massima libertà di criticare fraternamente i suoi errori. Non bisogna adulare i giovani. Tra gli errori del giornale, che abbiamo sopra definito eccellente, dobbiamo segnalarne soprattutto tre. 1# Nella questione del disarmo (o della « distruzione degli arma- menti ») si è presa una posizione sbagliata, da noi criticata sopra, in un articolo a sé 7 \ C’è ragione di credere che l’errore deriv* soltanto l’internazionale giovanile 163 dal lodevole desiderio di sottolineare la necessità di orientarsi verso la « completa distruzione del militarismo » (il che è giustissimo), dimen- ticando però la funzione delle guerre civili nella rivoluzione socialista, 2. Nella questione relativa alla' differenza tra l’atteggiamento dei socialisti e degli anarchici verso lo Stato, l'articolo del compagno Nota-bene (n. 6) cade in un errore molto grave (il che si può dire anche per altre questioni, come, ad esempio, per il problema della motivazione della nostra lotta contro la parola d'ordine della « difesa della patria »). L'autore si propone di dare « un’idea chiara dello Stato in generale » (accanto al concetto dello Stato imperialistico bri- gantesco), Dopo aver citato alcuni passi di Marx e di Engels, giunge, tra Paltro, alle seguenti due conclusioni: ù ) « È assolutamente sbagliato cercare la differenza tra i socia- listi e gli anarchici nel fatto che i primi sono fautori e i secondi avver- sari dello Stato. La differenza sta in realtà nel fatto che la socialde- mocrazia rivoluzionaria vuole organizzare una nuova produzione so- ciale centralizzata, cioè tecnicamente piu progredita, mentre la produ- zione anarchica decentrata sarebbe soltanto un passo indietro verso la vecchia tecnica e la vecchia forma delle imprese ». Non è esatto. L'autore pone il problema del diverso atteggiamento assunto dai socia- listi e dagli anarchici verso lo Stato , ma poi, invece di dare unà risposta a qu**sto problema, risponde a un 'altra questione, a quella del modo di concepire la base economica della società futura. Si tratta, benin- teso, di una questione molto importante, che non può essere elusa. Ma non deriva di qui che si possa trascurare V essenziale nel diverso atteggiamento dei socialisti e degli anarchici verso lo Stato, I socia- listi vogliono utilizzare lo Stato moderno e le sue istituzioni nella lotta per l'emancipazione della classe operaia e affermano altresì la necessità di utilizzare lo Stato nella forma originale che esso assume durante il passaggio dal capitalismo al socialismo. Questa forma di transizione, che è anche uno Stato, è la dittatura del proletariato. Gh anarchici vogliono « abolire » lo Stato, « farlo saltare » («sprengen »), secondo l’espressione usata a un certo punto dal com- pagno Nota-bene, che attribuisce erroneamente ai socialisti questa con- cezione. I socialisti — ma, purtroppo, l’autore cita qui molto lacunosa- mente le paro e di Engels in proposito — riconoscono P« estinzione », 164 LENIN il graduale « deperimento » dello Stato dopo l’espropriazione della borghesia. b) « La socialdemocrazia, che è o almeno deve essere Peducatrice delle masse, è tenuta, oggi più che mai, a sottolineare la propria oppo- sizione di principio allo Stato... La guerra attuale ha mostrato quanto profonde siano le radici che Pidea di Stato ha messo nello spirito degli operai. » Cosi scrive il compagno Nota-bene. Ma, per « sottolineare » P« opposizione di principio allo Stato », bisogna averne una compren- sione realmente « chiara », ed è proprio la chiarezza che fa difetto all’autore. La frase sulle « radici dell’idea di Stato » è del tutto con- fusa, non marxista, non socialista. Non è P« idea di Stato » a cozzare contro la negazione dello Stato, ma è invece la politica opportunistica (cioè Patteggiamento opportunistico, riformistico, borghese verso lo Stato) a cozzare contro la politica socialdemocratica rivoluzionaria (cioè contro Patteggiamento socialdemocratico rivoluzionario verso lo Stato borghese e la sua utilizzazione contro la borghesia per rovesciarla). Sono cose radicalmente diverse. Speriamo di poter ritornare in un articolo a parte su questo problema che assume un rilievo straor- dinario 3. Nella Dichiarazione di principio dellVnione internazionale del- le organizzazioni giovanili socialiste , pubblicata nel n. 6, come « pro- getto della segreteria », sono contenute molte inesattezze e manca la cosa essenziale: un confronto chiaro fra le tre tendenze fondamentali (sodalsciovinismo, « centro », « sinistra ») che si scontrano oggi nel movimento socialista di tutto il mondo. Lo ripeto, bisogna correggere questi errori e spiegarli, cercando con tutte le forze un contatto e un avvicinamento con le organizza- zioni giovanili, aiutandole con tutti i mezzi; bisogna però saperle avvicinare con intelligenza . Pubblicato per la prima volta in Sbornii r Sotsuddemokrata t dicembre 1916, n. 2. Firmato; N. Lenin. VANI TENTATIVI DI SCAGIONARE L’OPPORTUNISMO Il parigino Nasce slovo, interdetto recentemente dal governo francese, che è sempre disposto a render servigi allo zarismo (il pre- testo del divieto è che si sono scoperte alcune copie del Nasce slovo tra i soldati russi ribellatisi a Marsiglia!), si è indignato per la «de- plorevole » funzione svolta dal deputato Ckheidze, Questo tale, con il permesso delle autorità, ha preso la parola nel Caucaso, in pubbli- che assemblee, per incitare la popolazione a non fomentare « torbidi » (con saccheggio dei negozi, ecc.), ma a costituire delle cooperative, ecc. Davvero bello il viaggio di questo presunto socialdemocratico, viaggio « organizzato sotto l'egida del governatore, del colonnello, del prete e del commissario di polizia » ( Nasce slovo , n. 203)! L. Martov si affretta adesso a protestare nobilmente, nel Bol- lettino dei bundisti, contro « questo modo di presentare Ckheidze co- me una specie» (?? non «come ima specie», ma «tale quali sono tutti i liquidatori ») « di soffocatore del nascente spirito rivoluzio- nario ». Martov difende Ckheidze su due piani: su quello dei fatti e su quello dei principi. L’obiezione di fatto è che il Nasce slovo cita un giornale cento- nero del Caucaso e che gli oratori intervenuti con Ckheidze erano: Mikoladze, cioè un ufficiale a riposo «noto nel suo distretto per le sue tendenze radicali », e il prete Khundadze, «incriminato nel 1905 per aver preso parte al movimento socialdemocratico » (« com’è risa- puto, — aggiunge Martov, — la partecipazione dei preti di campagna al movimento socialdemocratico georgiano è un fenomeno abbastanza frequente »). Cosi Martov « difende » Ckheidze. Ma questa difesa non vale nulla. Perché, se è stato un giornale centonero a parlare dell’intervento L66 LENIN di Ckheidze a fianco di un prete, il folto non viene per questo smen- tito, e lo stesso Martov riconosce che quei discorsi sono stati pro- nunciati. Che Khundadze sia stato * incriminato nel 1905 » non prova un bel niente, perché a quel tempo anche Gapon e Alexinski sono stati « incriminati ». Se Martov, invece di « fare l’ azzeccagarbugli », volesse cercare la verità, dovrebbe appurare a quale partito aderiscano o per quale partito simpatizzino oggi Khundadze e Mikoladze, se non siano ad esempio dei difensisti. « Noto nel suo distretto per le sue tendenze radicali » quest’espressione designa di solito, nella nostra stampa, un semplice proprietario fondiario liberale. Strepitando che il Nasce slovo fornisce « un quadro assolutamente falso », Martov cerca di occultare quella verità che non smentisce di un solo iota. Ma non sta qui 1* essenziale. Il peggio deve ancora venire. Senza aver smentito con la sua obiezione di fatto la natura « deplorevole » del comportamento di Ckheidze, Martov la conferma con la sua difesa di principio. « Resta innegabile — scrive Martov — che il compagno [ ? ? di Potresov e soci?] Ckheidze ha ritenuto necessario intervenire non solo contro il carattere reazionario assunto dalle agitazioni nel Caucaso, nella misura in cui esso è caduto [? esse sono cadute?] sotto Tinfluenza dei centoneri, ma anche contro le forme devastatrici (saccheggio dei negozi, violenza contro i commercianti) in cui può in generale mani' f estarsi ogni malcontento popolare, indipendentemente dalle influenze reazionarie. » Si noti: « Resta innegabile »! Nei suoi gorgheggi di usignolo Martov non ha niente da invi- diare a V. Maklakov 79 : impotenza, dispersione, « smarrimento e debole coscienza » delle masse... « Questo genere di rivolte non conduce allo scopo ed è, in definitiva, dannoso agli interessi del proletariato... » Da un lato, « è ben incapace quel partito rivoluzionario che volga la schiena ad un movimento incipiente, col pretesto che ad esso si ac- compagnano eccessi spontanei e non producenti »; dall’altro lato, « è ben incapace quel partito die consideri come un suo dovere rivolu- zionario il rifiuto di combattere questi eccessi, come manifestazioni inopportune... » « Poiché da noi in Russia... non è ancora comin- ciata [?] una campagna bene organizzata di lotta contro la guerra, VANI TENTATIVI 167 poiché la dispersione degli elementi coscienti del proletariato non consente di paragonare la nostra situazione, non solo a quella del 1904-1905, ma nemmeno a quella del 1914-1915 [?], le agitazioni popolari esplose a causa del carovita, ecc., pur essendo sintomi molto importanti, non possono [?] dar vita direttamente [?] al movimento in cui consiste la nostra missione. Per “utilizzarle” efficacemente biso- gna incanalare il malcontento che in esse erompe nell’alveo duna qual- siasi lotta organizzata, fuori della quale le masse non possono nemmeno pensare di proporsi obiettivi rivoluzionari. Quindi, persino [!] l’inci- tamento a costituire cooperative, a premere sulle Dume municipali per ottenere una tassazione sui prezzi e a strappare altri palliativi della stessa natura, che poggiano sullo spirito d’iniziativa delle masse, è un atto piu rivoluzionario [ah-ah!] e fecondo che non il civettare... le speculazioni frivole sono “palesemente delittuose” », ecc. È difficile conservare la calma quando si leggono testi cosi ripu- gnanti. Là stessa redazione del Bund sembra aver intuito la truffa di Martov e ha corredato il suo articolo dell’ambigua promessa di « ritornare sull’argomento »... Ma la questione è chiarissima. Ammettiamo pure che Ckheidze si sia imbattuto in agitazioni che egli considerava non producenti. Evidentemente, era un suo diritto e un suo dovere di rivoluzionario lottare contro questa forma non producente . In nome di che cosa? In nome d’un’azione rivoluzionaria adeguata allo scopo o in nome di una lotta liberale conforme al fine? Ecco il punto! Ma proprio qui Martov ingarbuglia le cose! Il signor Ckheidze « ha incanalato » il « malcontento delle masse » che assumeva forme rivoluzionarie « nell'alveo » della lotta liberale (cooperative esclusivamente pacifiche, pressione esclusivamente le- gale, approvata dal governatore, sulle Dume municipali, ecc.) e non in quello della lotta rivoluzionaria adeguata allo scopo. È questo il fondo della questione; Martov invece difende e porta acqua al mulino della politica liberale! Un socialdemocratico rivoluzionario direbbe: non è producente saccheggiare i negozi, organizziamo piu seriamente le nostre manifesta- zioni, insieme con gli operai di Bakù, di Tiflis, di Pietrogrado, con- centriamo il nostro odio sul governo, trasciniamo con noi quella parte dell’esercito che vuole la pace! Son forse queste le parole del signor 168 LENIN Ckheidze? No, egli ha incitato a una « lotta » accettabile per i liberala Martov ha sottoscritto una « piattaforma » che raccomanda le «azioni rivoluzionarie di massa » 80 (bisogna pur mostrarsi rivolu- zionari davanti agli operai!), ma, quando in Russia si giunge ai primi germi di queste azioni, Martov comincia a « difendere » con tutti i mezzi, leciti e illeciti, il liberale « di sinistra » Ckheidze. « In Russia non è ancora cominciata una campagna bene organiz- zata di lotta «Mitro la guerra... » Anzitutto, non è vero. Questa lotta è cominciata, almeno a Pietrogrado, con appelli, comizi, scioperi, ma- nifestazioni. Inoltre, se non è ancora cominciata in provincia, bisogna cominciarla , e invece Martov spaccia per « più rivoluzionaria » la cam- pagna liberale « cominciata » dai signor Ckheidze. Non significa questo riabilitare r infamia opportunistica? Pubblicato per la prima volta in Sbornik Sotsialdemokrata, dicembre 1916, n. 2. Firmato: N. Lenin IL GRUPPO CKHEIDZE E LA SUA FUNZIONE Abbiamo sempre sostenuto che i signori Ckheidze e soci non rappresentano il proletariato socialdemocratico e che un partito operaio realmente socialdemocratico non si accorderà e non si unirà mai con questo gruppo. Le nostre considerazioni poggiavano su fatti inoppu- gnabili: 1) la formula della « salvezza del paese », usata da Ckheidze, non si distingue nella sostanza dal difensismo; 2 ) il gruppo di Ckheidze non ha mai preso posizione contro i signori Potresov e soci, nemmeno quando Martov è intervenuto contro di loro; 3) il gruppo non si è mai pronunciato — fatto decisivo — contro la partecipazione ai comi- tati dell'industria di guerra. Nessuno ha mai tentato di contestare questi fatti. I seguaci di Ckheidze si limitano a ignorarli. Il Nasce slovo e Trotski, pur accusandoci di « frazionismo », sotto la pressione dei fatti si stanno avvicinando alla determinazione di lot- tare contro il Comitato di organizzazione e contro Ckheidze. Tuttavia, solo per questa « pressione » (della nostra critica e della critica dei fatti) i fautori del Nasce slovo hanno ceduto una posizione dopo Paltra, che non hanno pronunciato ancora la parola decisiva. Unità o rottura con il gruppo Ckheidze? Essi non osano ancora riflettere sino in fondo! Il n. 1 del Bollettino del Comitato estero del Bund (settembre 1916) reca una lettera da Pietrogrado in data 26 febbraio 1916. Si tratta di un documento prezioso, che conferma interamente la nostra valutazione. L’autore della lettera riconosce schiettamente che « una crisi esiste senza dubbio nel campo dei menscevichi » e, inoltre, — fatto 170 LENIN particolarmente caratteristico, — non parla per niente dei menscevichi ostili alla partecipazione ai comitati dell’industria di guerra! Non li ha mai visti in Russia e non ne ha mai sentito parlare! L’autore afferma che tre membri del gruppo Ckheidze su cinque sono contrari alla «posizione difensistica» (nonché al Comitato di organizzazione) e due sono favorevoli. « Coloro che lavorano per il gruppo — egli scrive — non riescono a smuovere la maggioranza dalla posizione assunta. La maggioranza del gruppo è sostenuta dal locale “gruppo d’iniziativa” 8l , che respinge la posiziona difensistica. » Coloro che lavorano per il gruppo sono i signori intellettuali liberali del tipo Potresov, Maslov, Ortodox e soci, che si dicono social- democratici. Quello che abbiamo detto piu volte, cioè che questo gruppo di intellettuali è uno dei « focolai » delPopportunismo e della politica operaia liberale, viene adesso confermato da un bundista. Egli scrive piu avanti: «La vita [non sono stati Purisckevic e Guckov?] ha creato un nuovo organo, un gruppo operaio, che diviene sempre più il centro del movimento operaio » (l’autore parla del movi- mento operaio guckoviano o, per usare un vecchio termine, stolypi- niano: non ne conosce altri!). « Durante le elezioni del gruppo si è concluso un compromesso: niente difesa della patria né autodifesa, ma salvezza del paese ; il che implica qualcosa di piu ampio. » Ecco come il bundista smaschera Ckheidze e svela le menzogne di Martov! Ckheidze e il Comitato di organizzazione, durante l’elezione delle creature di Guckov (Gvozdev, Breido, ecc.) nei comitati dell’in- dustria di guerra, hanno concluso un compromessa. La formula usata da Ckheidze è un compromesso con i Potresov e i Gvozdev! Martov ha nascosto e continua a nascondere questo fatto. Ma il compromesso non finisce qui. Per suo mezzo è stata ela- borata una dichiarazione che il bundista caratterizza come segue: « È svanita ogni chiarezza... I rappresentanti della maggioranza del gruppo di Ckheidze e del “gruppo d’iniziativa” sono insoddisfatti perché questa dichiarazione segna comunque un grande passo avanti verso la formula della difesa della patria ». « Il compromesso riproduce IL GRUPPO DI CKHEIDZE 171 nella sostanza la posizione della socialdemocrazia tedesca t adattata però alla Russia. » Cosi scrive il bundista. Non è forse tutto chiaro? C’è un partito che unisce il Comitato d’organizzazione, i seguaci di Ckheidze e quelli di Potresov. Due cor- renti si scontrano in esso e si accordano concludendo un compromesso e rimanendo nello stesso partito. Il compromesso viene realizzato sulla base della partecipazione ai comitati dell’industria di guerra. La di- scussione verte soltanto sulla formulazione dei « motivi » (cioè sul modo di ingannare gli operai). Per effetto del compromesso si assume « nella sostanza la posizione della socialdemocrazia tedesca ». Ebbene, non avevamo noi ragione di dire che il partito del Comitato d’organizzazione è un partito socialsciovinistico? Che il Co- mitato d’organizzazione e Ckheidze, in quanto partito, sono l’equiva- lente dei Siidekum in Germania? Persino un bundista è costretto a riconoscere la loro identità con i Siidekum! Ckheidze e soci e il Comitato d’organizzazione, pur essendo « insoddisfatti » del compromesso, non lo hanno attaccato mai e in nessun luogo. Questa era la situazione in febbraio del 1916, ma in aprile Martov è arrivato a Kienthal con un mandato del « gruppo d’iniziativa » e per rappresentare tutto il Comitato d’organizzazione, il Comitato d’or- ganizzazione nel suo insieme. Non è questo un inganno nei confronti dell’Internazionale? Vediamo a che punto siamo arrivati oggi. Potresov, Maslov e Ortodox fondano un loro organo di stampa, il Dielo , francamente difensistico, invitano a collaborarvi Plekhanov, raggruppano i signori Dmitriev, Cerevanin, Maievski, Gr. Petrovic, ecc., tutta la brigata degli intellettuali che erano stati i pilastri del liquidatorismo, Ciò che, a nome dei bolscevichi, ho affermato in maggio del 1910 {Diskussionny listok) 8 \ a proposito della definitiva costituzione del gruppo degli indipendentisti legalitari , viene convalidato integralmente. Il Dielo assume una posizione cinicamente sciovinistica e riformi- stica. Basta vedere come la signora Ortodox falsifichi Marx, facen- 172 LENIN done con raiuto di qualche taglio Talleato di Hindenburg (e ricorrendo a motivazioni «filosofiche», c’è poco da scherzare!); come il signor Maslov difenda (soprattutto nel n. 2 del Dielo) il riformismo su tutta la linea; come il signor Potresov accusi Axelrod e Martov di « massi- malismo » e anarco-sindacalismo; come tutta la rivista spacci il dovere di difendere la patria per un compito « democratico », eludendo discre- tamente la questione spinosa di appurare se lo zarismo conduca o no per fini di rapina la guerra reazionaria in corso, volta a strangolare la Galizia, TArmenia, ecc. Il gruppo Ckheidze e il Comitato di organizzazione non aprono bocca. Skobelev invia un saluto « ai Liebknecht di tutti i paesi », benché T autentico Liebknecht abbia smascherato inesorabilmente e condannato i propri Scheidemann e i propri kautskiani, mentre Sko- belev è Talleato e Tamico fedele tanto degli Scheidemann (Potresov e soci, Ckhenkeli, ecc.) quanto dei kautskiani (Axelrod, ecc.) russi. Nel n. 2 del Golos (Samara, 20 settembre 1916) Martov si rifiuta, a nome suo e dei suoi amici alTestero, di collaborare al Dielo , ma in pari tempo cerca di scagionare Ckheidze, in pari tempo ( Izvestia , n. 6, 12 settembre 1916) assicura ai suoi lettori di aver rotto con Trotski e con il Nasce slovo a causa dell’idea « trotskiana » della nega- zione della rivoluzione borghese in Russia, quando tutti sanno che si tratta di una menzogna, che Martov ha abbandonato il Nasce slovo> perché questo giornale non poteva tollerare che Martov riabilitasse il Comitato di organizzazione! Nelle stesse Izvestia Martov difende il suo atteggiamento, che ha indignato persino la Roland-Holst e che con- siste nelTaver ingannato i lettori tedeschi mediante la pubblicazione in tedesco di un opuscolo B3 , dove viene omessa proprio quella parte della dichiarazione dei menscevichi di Pietrogrado e di Mosca in cui si parla del loro consenso a partecipare ai comitati dell’industria di guerra! Si ricordi la polemica fra Trotski e Martov, nel Nasce slovo , prima che il secondo si dimettesse da redattore. Martov rimproverava a Trotski di non sapere ancora se nel momento decisivo avrebbe seguito Kautsky. Trotski diceva a Martov che la sua funzione era quella di « allettare » e « adescare » gli operai rivoluzionari verso il IL GRUPPO DI CKHEIDZE 173 partito sciovinistico e opportunistico dei Potresov e, poi, del Comitato d'organizzazione, ecc. I due avversari ripetevano le nostre argomentazioni. E avevano entrambi ragione. Comunque si cerchi di nasconderla, la verità su Ckheidze e soci finisce per venire alla luce. Ckheidze ha là funzione di stipulare com- promessi con i Potresov, occultando dietro frasi vaghe o quasi « di sinistra » una politica sciovinistica e opportunistica. E Martov ha la • funzione di scagionare Ckheidze. Pubblicato per la prima volta in Sbornik Sotsialdemokrata, dicembre Ì916, n. 2. Firmato: N. Lenin. PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA u Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin, II, 1924. ARTICOLO (O CAPITOLO) I UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE Alcuni sintomi mostrano che tale svolta è già avvenuta o sta per avvenire: la svolta, appunto, dalla guerra imperialistica alla pace imperialistica. I sintomi principali sono: il grave e incontestabile logoramento delle due coalizioni imperialistiche; la difficoltà di continuare la guerra; la difficoltà, per i capitalisti in genere e per il capitale finanziario in particolare, di strappare ai popoli qualche altra cosa, dopo aver tolto loro la prima e la seconda pelle con gli scandalosi profitti « di guerra »; la saturazione del capitale finanziario dei paesi neutrali: Stati Uniti, Olanda, Svizzera, ecc., il quale ha assunto dimensioni gigantesche per mezzo della guerra e non può portare avanti quest’affare « redditizio » a causa della penuria di materie prime e di derrate alimentari; i rinno- vati tentativi della Germania di separare l’uno o l’altro alleato dal suo principale avversario imperialistico, l’Inghilterra; i discorsi di pace del governo tedesco e, sulle sue orme, di altri governi dei paesi neutrali. Vi è qualche probabilità che la guerra si concluda al piu presto? È molto difficile rispondere affermativamente a questa doman- da. A nostro giudizio, due possibilità si delineano con una certa precisione. La prima è la conclusione di una pace separata tra la Germania e la Russia, anche se non nella solita forma di un trattato formale scritto. La seconda è che questa pace non venga conclusa, che Tlnghil- terra e i suoi alleati siano realmente in condizione di resistere ancora un anno, due, ecc. Nel primo caso la guerra finirà inevitabilmente, non subito, ma in un prossimo avvenire, e non si possono attendere cam- 178 LENIN biamenti importanti nel suo andamento. Nel secondo caso la guerra può prolungarsi indefinitamente. Soffermiamoci sulla prima eventualità. Non può mettersi in dubbio che tra la Germania e la Russia si siano svolte recentemente trattative per una pace separata, che lo stesso Nicola II o la cricca molto influente della corte sostenga questa pace, che nella politica mondiale si sia delineata una svolta dall’allean- za imperialistica della Russia e dell’Inghilterra contro la Germania all’alleanza non meno imperialistica della Russia e della Germania contro l’Inghilterra. La sostituzione di Stiirmer con Trepov, la dichiarazione pubblica dello zarismo che il « diritto » della Russia su Costantinopoli è rico- nosciuto da tutti gli alleati, la costituzione di uno Stato polacco a sé stante da parte della Germania; tutti questi fatti sembrano rivelare che le trattative per una pace separata sono fallite. Può lo zarismo aver intavolato questi negoziati soltanto per ricattare l’Inghilterra, per ottenere da essa il riconoscimento formale e inequivocabile dei « di- ritti » di Nicola il sanguinario su Costantinopoli e. alcune serie « garan- zie » di questi diritti? Poiché il contenuto essenziale, fondamentale della presente guerra imperialistica è la spartizione del bottino fra i tre principali concorrenti imperialistici, fra i tre predoni, Russia, Germania e Inghilterra, questa ipotesi è tutt’altro che inverosimile. D’altra parte, quanto più si delinea per lo zarismo l’effettiva im- possibilità militare di riprendere la Polonia, di conquistare Costanti- nopoli, di spezzare il ferreo fronte tedesco, che la Germania raddrizza, accorcia e consolida meravigliosamente con le sue recenti vittorie in Romania, tanto più lo zarismo è costretto a concludere una pace sepa- rata con la Germania, cioè a passare dall’alleanza imperialistica con l’Inghilterra contro la Germania all’alleanza imperialistica con la Ger- mania contro l’Inghilterra. Perché no? La Russia è stata sul punto di far questa guerra agli inglesi a causa della concorrenza imperialistica tra le due potenze per la spartizione del bottino nell’Asia centrale! E nel 1898 l’Inghilterra e la Germania hanno svolto trattative per allearsi contro la Russia, accordandosi segretamente nella stessa occa- sione per dividersi le colonie del Portogallo, « nel caso » che quest’ul- timo non facesse fronte ai propri impegni finanziari! PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 179 Già da alcuni mesi si è profilata in Germania un’accentuata ten- derla dei circoli dirigenti imperialistici ad allearsi con la Russia contro Tlnghilterra. Base dell'alleanza sarà, evidentemente, la divisione della Galizia (per lo zarismo è molto importante soffocare il centro della agitazione e della libertà ucraina), dell'Armenia e, forse , della Romania ! Un giornale tedesco ha già fatto un « accenno » alla possibilità di spartire la Romania tra l'Austria, la Bulgaria e la Russia! La Germania potrebbe acconsentire a qualche altra « piccola concessione » allo za- rismo, pur di realizzare l'alleanza con la Russia, e forse anche con il Giappone, contro l'Inghilterra. La pace separata potrebbe essere conclusa segretamente tra Ni- cola II e Guglielmo II. Nella storia della diplomazia non mancano gli esempi di trattati segreti ignorati da tutti, persino dai ministri, fuori che da due o tre persone. Nella storia della diplomazia non mancano gli esempi di « grandi potenze » presentatesi a un congresso « di tutta l'Europa » dopo essersi segretamente accordate tra loro, che erano le rivali più importanti, sulle questioni fondamentali (per esem- pio, Taccordo segreto tra la Russia e l'Inghilterra per il saccheggio della Turchia prima del congresso di Berlino del 1878). Non ci sarebbe affatto da stupirsi se lo zarismo respingesse una pace separata formale, tra l'altro perché nella situazione attuale della Russia potrebbero andare al governo Miliukov e Guckov o Miliukov e Kerenski, e al tempo stesso stipulasse con la Germania un trattato segreto, non formale, ma non meno « saldo », in base al quale le due « alte parti contraenti » sosterrebbero concordemente una data linea al futuro congresso della pace! Non si può dire se quest'ipotesi sia o non sia verosimile. Ma, in ogni caso, contiene mille volte più verità e caratterizza l 'effettiva situazione mille volte meglio di tutte le infinite frasi dolciastre sulla pace che i governi attuali e, in genere, i governi borghesi conclude- rebbero sulla base del rifiuto delle annessioni, ecc. Queste frasi altro non sono che pii desideri o ipocrisia e menzogna con cui si occulta la verità. La verità del nostro tempo, della guerra in corso, degli attuali tentativi di concludere la pace consiste nella spartizione del bottino imperialistico . Sta qui la sostanza, e la politica socialista ha il compito essenziale di comprendere e proclamare questa verità, di « dire come 180 LENIN stanno le cose », a differenza della politica borghese, per la quale l’essenziale è di nascondere e velare questa verità. Entrambe le coalizioni imperialistiche hanno predato una parte del bottino, e proprio i due briganti principali e più forti, la Germania e Tlnghilterra, hanno rubato di più. L’Inghilterra non ha perduto neanche un pollice del suo territorio e delle sue colonie, ma ha « acqui- stato » le colonie tedesche e una parte della Turchia (la Mesopotamia). La Germania ha perduto quasi tutte le colonie, ma ha acquistato terri- tori incomparabilmente più preziosi in Europa, occupando il Belgio, la Serbia, la Romania, una parte della Francia, una parte della Russia, ecc. Si tratta di dividere questo bottino, e l’« ataman » di ognuna di queste bande di briganti, cioè Tlnghilterra e la Germania, deve risarcire in qualche modo i suoi alleati, che, ad eccezione della Bulgaria e in minor misura dell’Italia, hanno perduto moltissimo. Gli alleati più deboli hanno perduto di più: nella coalizione inglese sono stati schiac- ciati il Belgio, la Serbia, il Montenegro, la Romania; in quella tedesca la Turchia, che ha perduto TArmenia e una parte della Mesopotamia. Finora il bottino della Germania è innegabilmente molto più ricco di quello delTInghilterra. Fino a questo momento la Germania ha vinto, rivelandosi incomparabilmente più forte di quanto si potesse supporre prima della guerra. È quindi comprensibile che alla Germania con- verrebbe concludere la pace al più presto, dato che il suo avversario potrebbe ancora, nel caso per lui piu vantaggioso (benché poco vero- simile), far scendere in campo una cospicua riserva di reclute, ecc. Tale è la situazione oggettiva. Tale Todiema fase della lotta per la spartizione del bottino imperialistico. È assolutamente naturale che questa fase abbia suscitato aspirazioni pacifistiche, prese di posizione e discorsi pacifistici, soprattutto nelle file della borghesia e in seno ai governi della coalizione tedesca e dei paesi neutrali. È altrettanto naturale che la borghesia e i suoi governi siano costretti a tentare con tutte le forze di ingannare i popoli, coprendo la ripugnante nudità della pace imperialistica, la spartizione del bottino, con frasi assoluta- mente ipocrite sulla pace democratica, sulla libertà dei piccoli popoli, sulla riduzione degli armamenti, ecc. Ma, se la volontà di ingannare i popoli è naturale per la borghesia, come assolvono il loro dovere i socialisti? Ne parleremo nel prossimo articolo (o capitolo). ARTICOLO (O CAPITOLO) II IL PACIFISMO DI KAUTSKY E DI TURATI Kautsky è il teorico piu autorevole della II Intemazionale, il capo più illustre del cosiddetto «centro marxista» in Germania, il rappresentante dell’opposizione che ha costituito al Reichstag un pro- prio gruppo, il « Gruppo socialdemocratico del lavoro » (Haase, Lede- bour e altri). Parecchi giornali socialdemocratici tedeschi pubblicano attualmente articoli di Kautsky sulle condizioni di pace, in cui viene parafrasata la dichiarazione ufficiale del « Gruppo socialdemocratico del lavoro » a proposito della nota con la quale il governo tedesco propone trattative di pace. Questa dichiarazione, che esige dal governo la pro- posta di concrete condizioni di pace, contiene tra l’altro una propo- sizione Caratteristica come la seguente: « ... Perché questa nota [del governo tedesco] conduca alla pace, è necessario che in tutti i paesi sia nettamente respinta l’idea di annet- tersi territori stranieri, di subordinare sul piano economico, politico o militare un qualsiasi popolo a un altro potere statale... ». Parafrasando e concretando questa tesi, Kautsky « dimostra » circostanziatamente nei suoi articoli che Costantinopoli non deve appar- tenere alla Russia e che la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un qualsiasi altro Stato. Consideriamo piu attentamente queste parole d’ordine e queste argomentazioni di Kautsky e dei suoi seguaci. Quando è in Causa la Russia, cioè la concorrente imperialistica della Germania, Kautsky mette avanti non un’esigenza astratta, « gene- rale », ma un’esigenza assolutamente concreta, precisa, definita: Costan- tinopoli non deve appartenere alla Russia. Quando è in causa la Ger- mania, cioè il paese in cui la maggioranza del partito che annovera 182 1ENIN Kautsky tra i suoi iscritti (e che lo ha nominato direttore del suo organo teorico principale, determinante, la Neue Zeit) aiuta la borghesia e il governo a condurre la guerra imperialistica, Kautsky non denuncia i concreti propositi imperialistici del suo governo, ma si limita ad un augurio o ad una tesi « generale»: la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un qualsiasi altro Stato! In che cosa si distingue allora, per il suo contenuto effettivo, la politica di Kautsky rispetto a quella dei socialsciovinisti (cioè socialisti a parole e sciovinisti nei fatti), per cosi dire militanti, di Francia e dTnghilterra, i quali denunciano decisamente i concreti atti imperia- listici della Germania, ma si limitano ad auguri o tesi « generali » quando si tratta dei popoli e dei paesi conquistati dallTnghilterra e dalla Russia e, mentre strepitano contro Poccup azione del Belgio e della Serbia, non fanno parola dell’occupazione della Galizia, delT Arme- nia e delle colonie africane? Di fatto tanto la politica di Kautsky quanto quella di Sembat- Henderson aiutano i loro rispettivi governi imperialistici, facendo con- vergere l’attenzione sugli intrighi del rivale o del nemico e gettando un velo di frasi nebulose e generiche e di pii desideri sugli atti altret- tanto imperialistici della « loro » borghesia. E noi non saremmo più marxisti e, in generale, non saremmo più socialisti, se ci limitassimo, per cosi dire, alla contemplazione cristiana delle buone frasi generiche, senza svelarne Yeffettivo significato politico. Non vediamo forse con- tinuamente la diplomazia di tutte le potenze imperialistiche far pompa di frasi « generali » e dichiarazioni « democratiche » magniloquenti, occultando il saccheggio, la violazione e il soffocamento dei piccoli popoli? « La Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un qualsiasi altro Stato. » Se dico soltanto questo sono apparentemente un fautore della completa libertà della Turchia. Ma, di fatto, ripeto solo una frase pronunciata di solito dai diplomatici tedeschi, i quali mentono e fanno gli ipocriti a ragion veduta , per nascondere con questa frase il fatto che la Germania ha oggi trasformato la Turchia in un suo vassallo sia finanziario che militare. E, se io sono un socialista tedesco, le mie frasi « generali » riescono utili soltanto alla diplomazia tedesca, perché il loro significato effettivo consiste nell ’ abbellire l’imperialismo tedesco. PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 183 « ... È necessario che in tutti i paesi sia nettamente respinta Tidea di annettersi... e di subordinare sul piano economico... un qualsiasi popolo... » Che magnanimità! Gli imperialisti « respingono » mille volte P« idea » di annettersi e subordinare finanziariamente i popoli deboli, ma non è forse necessario opporre alle parole i fatti , da cui risulta che ogni grande banca di Germania, d’Inghilterra, di Francia, degli Stati Uniti tiene «in soggezione» i piccoli popoli? Può un governo borghese di un paese ricco del nostro tempo respingere nei fatti le annessioni e la subordinazione economica dei popoli stranieri, quando miliardi e miliardi vengono investiti nelle ferrovie e nelle altre imprese dei popoli deboli? Chi si batte realmente contro le annessioni, ecc.? Colui che getta al vento frasi magnanime, il cui significato oggettivo è assolutamente identico al potere dell’acqua santa cristiana che asperge i briganti coronati e capitalisti? O colui che dimostra agli operai l’impossibilità di metter fine alle annessioni e allo strangolamento finanziario senza rovesciare la borghesia imperialistica e i suoi governi? Ecco ora un esempio italiano del pacifismo predicato da Kautsky. Nell'organo centrale del Partito socialista italiano, l 5 Avanti! , del 25 dicembre 1916, il noto riformista Filippo Turati ha pubblicato un articolo che si intitola; Abracadabra . Il 22 novembre 1916, egli scrive, il gruppo parlamentare socialista italiano ha presentato in parlamento una mozione per la pace, nella quale, « constatato l'accordo dì massima fra i principi proclamati dai rappresentanti delle maggiori potenze nemiche come basi di pace possibile, invita il governo a promuovere le trattative giovandosi della mediazione degli Stati Uniti d'America e degli altri Stati neutrali ». Cosi espone il contenuto della mozione socialista lo stesso Turati. Il 6 dicembre 1916 la Camera « seppellisce » la mozione socia- lista, « aggiornandone » la discussione. Il 12 dicembre il cancelliere tedesco propone al Reichstag, a proprio nome, ciò che volevano i socialisti italiani. Il 22 dicembre Wilson interviene con una nota, « pedissequa parafrasi — come dice Turati — dei motivi e dei con- cetti della mozione socialista ». Il 23 dicembre altri Stati neutrali entrano in scena parafrasando la nota di Wilson. Ci accusano di esser venduti alla Germania, esclama Turati. Non saranno venduti alla Germania anche Wilson e gli Stati neutrali? 184 LENIN Il 17 dicembre Turati tiene in parlamento un discorso che, in un punto, produce una straordinaria — e meritata — sensazione. Eccone il brano, secondo il resoconto Aó3l Avanti!: «... Supponiamo che una discussione come quella che vi propone la Germania sia atta a risolvere facilmente solo talune questioni nelle loro grandi linee, come la evacuazione del Belgio, della Francia, la restaurazione della Romania, della Serbia e, se vi piace, del Monte- negro; ed io vi aggiungo una rettificazione del confine italico per ciò che è indiscutibilmente italiano e risponde a garanzie di carattere stra- tegico... ». A questo punto la Camera borghese e sciovinistica inter- rompe Turati; da ogni parte si grida: « Benissimo! Dunque volete anche voi tutto questo! Viva Turati! Viva Turati! ». Turati, sentendo che evidentemente qualche cosa non va in questi trasporti della borghesia, tenta di « correggersi » o dì « spie- garsi »: « Signori, — egli dice, — non giuochiamo di piccole abilità. Altro è ammettere Topportunità e il diritto dell’unttà nazionale, da noi sempre propugnato, ed altro invocare o giustificare la guerra per questo scopo ». Ma le « spiegazioni » di Turati, gli articoli Adi' Avanti! in sua difesa, la lettera di Turati del 21 dicembre, lo scritto di un certo « b. b. » nel Volksrecht di Zurigo non « correggono » minimamente la situazione e non cancellano il fatto che Turati si è tradito ! O, meglio, non si è tradito Turati, ma tutto il pacifismo socialista rappre- sentato anche da Kautsky e, come vedremo piu avanti, dai « kaut- skiani » francesi. La stampa borghese italiana ha avuto ragione d’im- padronirsi di questo passo del discorso di Turati e di giubilarne. Il predetto « b. b. » si studia di difendere Turati, affermando che egli avrebbe parlato soltanto del « diritto di autodecisione delle nazioni ». Pessima difesa! Che c’entra qui il « diritto di autodecisione delle nazioni », quando tutti sanno che, nel programma dei marxisti, esso riguarda — come nel programma della democrazia internazionale ha sempre riguardato — la difesa dei popoli oppressi? Che c’entra questo diritto nella guerra imperialistica, cioè nella guerra per la spartizione delle colonie, per V oppressione dei paesi stranieri, nella guerra che i PACIFISMO BORGHESE £ PACIFISMO SOCIALISTA 185 paesi oppressori e rapinatori combattono tra di loro per sapere chi opprimerà un maggior numero di popoli stranieri? Invocare l'autodecisione delle nazioni per giustificare una guerra imperialistica, non nazionale, è forse diverso dal contrapporre, come fanno Alexinski, Hervé, Hyndman, la repubblica in Francia alla monar- chia in Germania, benché tutti sappiano che la guerra in corso non è un conflitto tra il principio repubblicano e quello monarchico, ma un conflitto per la spartizione delle colonie, ecc. tra due coalizioni im- perialistiche? Turati ha cercato di spiegarsi e di scagionarsi dicendo che non intendeva « giustificare » affatto la guerra. Prestiamo fede al riformista Turati, al Turati sostenitore di Kautsky, quando dice che non era sua intenzione giustificare la guerra. Ma chi ignora che in politica non contano le intenzioni ma gli atti? non i pii desideri ma i fatti? non l’immaginario ma il reale? Turati non avrà voluto giustificare la guerra, e Kautsky non avrà voluto giustificare la trasformazione della Turchia in Stato vassallo dell'imperialismo tedesco. Ma nei fatti i due ottimi pacifisti sono giunti proprio a giustificare la guerral Ecco il punto. Se Kautsky, non in una rivista tanto noiosa che nessuno la legge, ma dalla tribuna parla- mentare, dinanzi a un pubblico borghese vivace, impressionabile, con un temperamento meridionale, avesse pronunciato una frase come: «Costantinopoli non deve appartenere alla Russia, la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un qualsiasi altro Stato », non sarebbe stato affatto sorprendente che i borghesi piu arguti escla- massero: « Benissimo! Perfetto! Viva Kautsky! ». Turati si è posto di fatto — l'abbia voluto o no, ne abbia avuto o no coscienza — dal punto di vista di un sensale borghese che proponga un'amichevole transazione fra predoni imperialistici. La « liberazione » delle terre italiane appartenenti all’Austria sarebbe di fatto una ricompensa camuffata, concessa alla borghesia italiana per aver preso parte alla guerra imperialistica al fianco di una potente coa- lizione imperialistica, sarebbe un'aggiunta trascurabile alla spartizione delle colonie in Àfrica, alla delimitazione delle sfere d’influenza in Dalmazia e in Albania, È forse naturale che il riformista Turati si allinei con la posizione borghese, ma in concreto Kautsky non si di- stingue affatto da Turati. 186 LENIN Per non abbellire la guerra imperialistica, per non aiutare la bor- ghesia a spacciare falsamente questa guerra come una guerra nazionale, di liberazione dei popoli, per non trovarsi sulle posizioni del riformi- smo borghese, si sarebbe dovuto parlare, non come Kautsky e Turati, ma come Karl Liebknecht, si sarebbe dovuto dichiarare alla propria borghesia che essa fa l’ipocrita quando parla di liberazione nazionale, che la guerra in corso non può concludersi con una pace democratica, se il proletariato non « rivolge le armi » contro i propri governi. Questa e solo questa poteva essere la posizione di un vero mar- xista, di un vero socialista e non di un riformista borghese. Lavora realmente per la pace democratica non chi ripeta i pii propositi del pacifismo, che non dicono niente e a niente impegnano, ma chi denunci il carattere imperialistico della guerra in corso e della pace che essa prepara, chi chiami i popoli alla rivoluzione contro i governi criminali. Qualcuno cerca a volte di difendere Kautsky e Turati dicendo che legalmente non si poteva andare più in là di un « accenno » contro il governo e che un tale « accenno » pur esiste nei pacifisti di questo genere. Conviene replicare che, in primo luogo, l’impossibilità di dire la verità legalmente non depone in favore dell’ occultamento della ve- rità, ma esige invece che si crei un’organizzazione e una starppa ille- gale, libera cioè dalla politica e dalla censura; che, in secondo luogo, vi sono momenti storici nei quali un socialista è tenuto a rompere con ogni legalità; che, in terzo luogo, persino nella Russia feudale, Dobroliubov e Cernyscevski seppero dire la verità o tacendo sul ma- nifesto del 19 febbraio 1861 o dileggiando e svergognando i liberali di quel tempo, che facevano esattamente gli stessi discorsi di Turati e di Kautsky. Nel prossimo articolo passeremo al pacifismo francese, che ha trovato espressione nelle risoluzioni di due recenti congressi di orga- nizzazioni operaie e socialiste in Francia. ARTICOLO (O CAPITOLO) III IL PACIFISMO DEI SOCIALISTI E DEI SINDACALISTI FRANCESI Proprio in questi giorni sono terminati i congressi della CGT (Confédération generale du travail) francese e del partito socialista di Francia. Il reale significato e l’effettiva funzione del pacifismo so- cialista nel momento presente si sono delineati con singolare chiarezza in questi congressi. Ecco la risoluzione del congresso sindacale, approvata all’unani- mità, cioè tanto dalla maggioranza degli sciovinisti arrabbiati, capeg- giati dal tristemente famoso Jouhaux, quanto dall’anarchico Brout- choux e dallo... « zimmerwaldiano » Merrheim: « La conferenza delle federazioni corporative nazionali, delle unio- ni sindacali e delle Camere del lavoro, prendendo atto della nota del presidente degli Stati Uniti, che “invita tutte le nazioni belligeranti a esporre pubblicamente le loro opinioni sulle condizioni alle quali la guerra potrebbe aver termine”; « chiede al governo francese di accettare questa proposta; « invita il governo a prendere l’iniziativa di un intervento analogo presso i suoi alleati per affrettare l’ora della pace; « dichiara che la federazione delle nazioni, che è una delle ga- ranzie per una pace definitiva, può essere realizzata soltanto se vengano assicurate l’indipendenza, l’inviolabilità territoriale e la libertà eco- nomica e politica di tutte le nazioni piccole e grandi. « Le organizzazioni rappresentate alla conferenza si impegnano a sostenere e a diffondere quest’idea tra le masse operaie per mettere fine ad una situazione incerta ed equivoca, vantaggiosa soltanto per la diplomazia segreta, contro la quale è sempre insorta la classe operaia ». Ecco un modello di pacifismo « puro », di spirito completamente kautskiano: questo pacifismo è staio approvato da una organizzazione 188 LENIN ufficiale di operai che non ha niente da spartire con il marxismo e che è composta, in maggioranza, da sciovinisti. Siamo qui in presenza di un documento importante, che merita la massima attenzione e che attesta 1* unificazione politica degli sciovinisti e dei kautskiani sulla piattaforma della vuota fraseologia pacifistica. Se neH'articolq prece- dente abbiamo cercato di mostrare quale sia il fondamento teorico dell unità di opinioni tra gli sciovinisti e i pacifisti, tra i borghesi e i socialisti riformisti, ora vediamo come questa unità si sia realizzata praticamente in un altro paese imperialistico. Alla conferenza di Zimmetwald (5-8 settembre 1915) Merrheim ha dichiarato: « Le parti, les Jouhaux, le gouvernement, ce ne sont que trois tètes sous un bonnet » (« Il partito, i Jouhaux, il governo non sono che tre teste sotto un solo berretto », sono cioè tutt’una cosa). Alla conferenza della CGT (26 dicembre 1916) Merrheim vota insieme con Jouhaux la risoluzione pacifistica. Il 23 dicembre 1916 la Volksstimme di Chemnitz, uno degli organi più sinceri e più estre- mistici dei socialimperialisti tedeschi, pubblica un editoriale inti- tolato: La disgregazione dei partiti borghesi e la restaurazione delVunità socialdemocratica. Naturalmente, l'articolo esalta il pacifismo di Sii- dekum, Legien, Scheidemann e soci, di tutta la maggioranza del partito socialdemocratico tedesco, nonché del governo di Germania, e proclama che « il primo congresso del partito, convocato dopo la fine della guerra, dovrà restaurare l'unità del partito, con l’espulsione d'un grup- petto di fanatici che si rifiutano di pagare le loro quote [cioè dei seguaci di Karl Liebknecht!] e sulla base della politica svolta dalla dirczióne del partito, dal gruppo socialdemocratico al Reichstag e dai sindacati ». Nel modo più chiaro viene qui espressa l'idea e proclamata la politica deU'« unità » dei socialsciovinisti dichiarati della Germania con Kautsky e soci, con il « Gruppo socialdemocratico del lavoro »; del- l'unità fondata sulla fraseologia pacifistica; deir« unità » realizzata in Francia il 26 dicembre 1916 tra Jouhaux e Merrheim! In una nota redazionale del 28 dicembre 1916 V Avanti! y organo ^centrale del Partito socialista italiano, scrive: « Se Bissolati e Sudekum-, Bonomi e Scheidemann, Sembat e David, Jouhaux e Legien sono passati nel campo del nazionalismo borghese ed hanno tradito quella unità ideale internazionalista alla PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 189 quale avevano promesso fede, noi siamo invece, proprio come allora, coi nostri compagni tedeschi, come Liebknecht, Ledebour, Hoffmann, Meyer, e coi nostri compagni francesi, come Merrheim, Blanc, Brizon, Raffin-Dugens, che non hanno mutato né pencolato ». Guardate che confusione! Bissolati e Bonomi sono stati espulsi dal Partito socialista ita- liano come riformisti sciovinisti ancor prima della guerra. \J Avanti! li mette sullo stesso piano di Sudekum e di Legien, e certo a piena ragione, ma Sudekum, David e Legien sono a capo del partito pseudo- socialdemocratico tedesco, che è di fatto un partito socialsciovinistico, e tuttavia lo stesso Avanti ! protesta contro la loro espulsione, contro la rottura con essi, contro la creazione della III Internazionale. \J Avanti dichiara, e ben a ragione, che Legien e Jouhaux sono passati nel campo del nazionalismo borghese e oppone loro Liebknecht e Ledebour, Merrheim e Brizon. Ma noi vediamo che Merrheim vota insieme con Jouhaux , e Legien, per bocca della Volksstimme di Chem- nìtz, si dice persuaso della ricostituzione delPunità del partito, con Pespulsione dei soli seguaci di Liebknecht, e cerca quindi l’« unità » con il « Gruppo socialdemocratico del lavoro » (compreso Kautsky), al quale appartiene Ledebour! Questa confusione è dovuta al fatto che Y Avanti! non fa distin- zione tra il pacifismo borghese e l’internazionalismo socialdemocratico rivoluzionario, mentre quei politicanti esperti che sono Legien e Jou- haux hanno capito benissimo Y identità del pacifismo socialista e di quello borghese. Come potrebbero infatti non esultare il signor Jouhaux e il suo giornale sciovinistico, La baiatile , per P« unanimità » tra Jpuhaux e Merrheim, se nella risoluzione approvata all’unanimità e da me riportata integralmente non c’è dì fatto altro che un insieme di frasi pacifisti- che borghesi, non c’è neanche l'ombra di una coscienza rivoluzionaria, non ce una sola idea socialista? Non è forse ridicolo parlare di « libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi », quando non si dice che, se i governi bor- ghesi non saranno rovesciati e se la borghesia non sarà espropriata, questa « libertà economica » servirà solo a ingannare il popolo, come le frasi sulla « libertà economica » dei cittadini in genere , dei piccoli 190 LENIN contadini e dei ricchi, degli operai e dei capitalisti nella società moderna? La risoluzione per la quale hanno votato unanimi Jouhaux e Merrheim è tutta imbevuta delle idee del « nazionalismo borghese » che Y Avanti! rileva giustamente in Jouhaux ma non riesce stranamente a scorgere in Merrheim. I nazionalisti borghesi hanno sempre e dappertutto fatto sfoggio di frasi « generali » sulla « federazione delle nazioni » in genere , sulla « libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi ». I socialisti, a differenza dei nazionalisti borghesi, hanno detto e dicono: è cosa disgu- stosamente ipocrita far discorsi sulla « libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi », fino a che alcune nazioni (per esempio, Tlnghilterra e la Francia) investono attesterò, prestano cioè a interesse usuraio alle piccole nazioni arretrate, decine e decine di miliardi di franchi e asservono cosi i paesi piccoli e deboli. Dei veri socialisti non avrebbero potuto far passare senza una energica protesta una sola frase della risoluzione per cui Jouhaux e Merrheim hanno votato unanimi. Essi, in aperto contrasto con la risoluzione, avrebbero affermato che Tintervento di Wilson è una palese menzogna e un’ipocrisia, perché Wilson rappresenta una bor- ghesia che ha accumulato miliardi con la guerra ed è a capo di un governo che ha intensificato freneticamente il riarmo degli Stati Uniti in vista, evidentemente, di una seconda grande guerra imperialistica; avrebbero affermato che il governo francese, legato mani e piedi al capitale finanziario, di cui è lo schiavo, e vincolato da trattati segreti imperialistici, briganteschi e reazionari al 1* Inghilterra, alla Russia, ecc., non può dire o far nulla se non mentire sulla pace « equa » e demo- cratica; avrebbero affermato che la lotta per una pace simile non con- siste nel ripetere frasi pacifistiche melliflue, generiche, vuote, che non dicono niente e a niente impegnano e che di fatto imbellettano la lordura imperialistica, ma nel dire ai popoli la verità e, precisamente, nel dir loro che per conquistare una pace equa e democratica bisogna rovesciare i governi borghesi di tutti i paesi belligeranti e giovarsi a tale scopo dell’ armamento di milioni di operai e del generale mal- contento delle masse popolari a causa del carovita e degli orrori della guerra imperialistica. PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 191 Ecco che cosa avrebbero dovuto dire dei socialisti, invece di approvare la risoluzione di Jouhaux e Merrheim. Il partito socialista francese, nel suo congresso di Parigi, che si è svolto contemporaneamente a quello della CGT, non solo non ha detto queste cose, ma ha approvato una risoluzione anche peggiore con 2.838 voti contro 109 e 20 astenuti, cioè con il blocco dei social- sciovinisti (Renaudel e soci, i cosiddetti « maggioritari » o seguaci della maggioranza) e dei longuettisti (sostenitori di Longuet, kautskiani francesi)!! Persino lo zimmerwaldiano Bourderon e il kienthaliano (partecipante alla conferenza di Kienthal) Raffin-Dugens hanno votato a favore della risoluzione!! Non ne riprodurremo qui il testo, perché è troppo lungo ed è tutt’altro che interessante: frasi melliflue e dolciastre sulla pace sono in esso mescolate con Timpegno di continuare a sostenere in Francia la cosiddetta « difesa della patria », cioè la guerra imperialistica che la Francia sta combattendo in alleanza con briganti ancor pili grandi e forti come l’Inghilterra e la Russia. L’unificazione dei socialsciovinisti con i pacifisti (o kautskiani) e con una parte degli zimmerwaldiani è quindi un fatto compiuto in Francia, non soltanto nella CGT, ma anche nel partito socialista. ARTICOLO (O CAPITOLO) IV ZIMMERWALD AL BIVIO II 28 dicembre sono arrivati a Berna i giornali francesi con il resoconto del congresso della CGT; il 30 dicembre i giornali socialisti di Berna e di Zurigo hanno pubblicato il nuovo appello dell’ISK (Internationale Sozialistische Kommission) di Berna, cioè delia Com- missione socialista internazionale, organo esecutivo dell’unione di Zimmerwald. In quest’appello, che reca la data della fine di dicembre del 1916, si parla delle proposte di pace della Germania, nonché di Wilson e di altri paesi neutrali, e tutti questi interventi governativi vengono definiti — senza dubbio con piena ragione — come « la commedia della pace », come « un giuoco per imbrogliare i popoli », come « ipocrite gesticolazioni pacifistiche dei diplomatici ». A questa commedia e a questa menzogna si oppone, come « unica forza» capace di assicurare la pace, ecc., la «salda volontà» del proletariato internazionale di « volgere le armi non contro i propri fratelli, ma contro il nemico interno del proprio paese ». Queste citazioni ci mostrano nitidamente l’esistenza di due poli- tiche radicalmente diverse che sono fino ad ora coesistite in seno alla unione di Zimmerwald e che si separano oggi in maniera definitiva. Da un lato, Turati dice con chiarezza, e molto giustamente, che la proposta della Germania, di Wilson, ecc. è soltanto una « para- frasi » del pacifismo « socialista » italiano; inoltre, la dichiarazione dei socialsciovinisti tedeschi e la votazione dei francesi dimostrano che gli uni e gli altri hanno ottimamente apprezzato l’utilità di una copertura pacifistica della loro politica. Dall’altro lato, l’appello della Commissione socialista interna- zionale definisce commedia e ipocrisia il pacifismo di tutti i governi belligeranti e neutrali. PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 193 Da un lato, Jouhaux si allea con Merrheim; Bourderon, Longuet e Raffin-Dugens si alleano con Renaudel, Sembat e Thomas; e i social- sciovinisti tedeschi Sudekum, David, Scheidemann proclamano la pros- sima « ricostituzione dell’unità socialdemocratica » con Kautsky e con il « Gruppo socialdemocratico del lavoro ». DalPaitro lato, Pappello della Commissione socialista internazio- nale incita le « minoranze socialiste » a combattere energicamente i « propri governi » e « i loro mercenari (Soldlinge) socialpatriottici ». Delle due l’una. Denunciare l’inconsistenza, l’assurdità, Pipocrisia del pacifismo borghese o « parafrasarlo » invece nel pacifismo « socialista »? Com- battere i Jouhaux, i Renaudel, i Legien, i David come « mercenari » dei loro governi o unirsi invece a loro nelle vuote declamazioni paci* fistiche di stampo francese o tedesco? Lungo questa linea passa oggi lo spartiacque tra la destra zim- merwaldiana, che si è sempre opposta con tutte le forze alla scissione dai socialsciovinisti, e la sinistra zimmerwaldiana, che, già a Zimmer- wald, si era adoperata non senza ragione per separarsi pubblicamente dalla destra, prendendo posizione alla conferenza e, dopo di essa, sulla stampa con una sua piattaforma particolare. L’approssimarsi della pace o, per lo meno, l’intensificarsi delle discussioni sulla pace in deter- minati ambienti borghesi ha provocato necessariamente, non per caso, una frattura molto netta tra l’una e l’altra politica. Infatti, i pacifisti borghesi e i loro imitatori e portavoce « socialisti » hanno sempre concepito la pace come un qualcosa di distinto nel suo stesso principio, nel senso che l’idea: « La guerra è la continuazione della politica di pace, e la pace è la continuazione della politica di guerra » è sempre rimasta incompresa per i pacifisti delle due sfumature. Tanto i bor- ghesi quanto i socialsciovinisti non hanno mai voluto convenire che la guerra imperialistica del 1914-1917 è la continuazione della poli- tica imperialistica del periodo 1898-1914, se non di un periodo piu lungo. Tanto i borghesi quanto i socialsciovinisti non vogliono con- venire che, se i governi borghesi non saranno rovesciati mediante la rivoluzione, la pace potrà essere soltanto una pace imperialistica in quanto continuazione della guerra imperialistica. E, come per valutare la guerra attuale si è ricorsi a frasi assurde, volgari, filistee sull’aggressione e sulla difesa in generale, cosi per 194 LENIN valutare la pace si ricorre agli stessi luoghi comuni filistei, dimenti- cando la situazione storica concreta e la concreta realtà della lotta tra le potenze imperialistiche. È naturale che i socialsciovinisti, che sonò gli agenti della borghesia e dei governi nelle file dei partiti operai, si aggrappino particolarmente alla pace che si avvicina, o anche solo ai discorsi sulla pace, per occultare la profondità del loro riformismo e opportunismo messa a nudo dalla guerra, per riconquistare la loro vacillante influenza sulle masse. Per questa ragione, come si è visto, i socialsciovinisti rinnovano in Germania e in Francia i loro tentativi di « unificazione » con la parte pacifistica, esitante e senza principi, delF« opposizione ». Anche nelPunione di Zimmerwald si tenterà, probabilmente, di attenuare la divergenza tra le due linee politiche inconciliabili. Si possono prevedere due generi di tentativi. La conciliazione « pratica » consisterà semplicemente nel collegare in modo meccanico una fraseo- logia rivoluzionaria altisonante (come, ad esempio, quella della Com- missione socialista internazionale) con un'azione pacifistica e opportu- nistica. Si faceva cosi nella II Intemazionale. Le frasi arcirivoluzio- narie degli appelli di Huysmans e di Vandervelde e di alcune risolu- zioni congressuali servivano soltanto a camuffare Fazione arcioppor- tunistica della maggior parte dei partiti socialisti europei, senza modi- ficarla, senza scalzarla, senza combatterla. È dubbio che questa tattica possa di nuovo aver successo in seno alFunione di Zimmerwald. Coloro che cercheranno « una conciliazione in nome dei principi » si studieranno di proporre una falsificazione del marxismo, ricorrendo, ad esempio, a questo ragionamento: le riforme non escludono la rivo- luzione; una pace imperialistica, che implichi certe « correzioni » dei confini nazionali o del diritto internazionale o delle spese di bilancio per gli armamenti, ecc., può coesistere con il movimento rivoluzionario, in quanto « fase di sviluppo » di questo movimento e cosi via. Sarebbe una falsificazione del marxismo. Naturalmente, le riforme non escludono la rivoluzione. Tuttavia, non di questo si tratta oggi, ma di fare in modo che i rivoluzionari non si escludano davanti ai riformisti, cioè che i socialisti non sostituiscano al proprio lavoro rivo- luzionario un’azione riformistica. L'Europa sta vivendo una situazione rivoluzionaria, che è aggravata dalla guerra e dal carovita. Non è detto che il passaggio dalla guerra alla pace metta necessariamente fine a PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA 195 questa situazione, perché niente induce a pensare che i milioni di operai, i quali hanno oggi nelle loro mani un magnifico armamento, si faranno senza meno e a colpo sicuro « disarmare docilmente » dalla borghesia, invece di seguire il consiglio di Liebknecht e rivolgere le armi contro la propria borghesia. La questione non sta come la pongono i pacifisti, i kautskiari: o la campagna politica riformistica, o la rinuncia alle riforme. Questo è un modo borghese di porre la questione. In effetti, il problema si pone in questi termini: o la lotta rivoluzionaria, che — nel caso di un successo incompleto — dà come prodotto secondario le riforme (tutta fa storia delle rivoluzioni in tutto il mondo lo dimostra), o niente altro che chiacchiere e promesse di riforma. Il riformismo di Kautsky, Turati, Bourderon, che si manifesta oggi nella forma del pacifismo, non solo accantona il problema della rivoluzione (e questo è già un tradimento del socialismo), non solo rinuncia in pratica ad ogni attività rivoluzionaria, sistematica e per* severante, ma giunge anche ad affermare che le manifestazioni di strada sono avventure (Kautsky nella Neue Zeit del 26 novembre 1915), giunge fino a difendere e a realizzare Punita con avversari dichiarati e risoluti della lotta rivoluzionaria come i Sudekum, i Legien, i Renau- del, i Thomas, ecc. Questo riformismo è assolutamente incompatibile con il mar- xismo rivoluzionario, che è tenuto a utilizzare in tutti i modi la presente situazione rivoluzionaria in Europa per la propaganda aperta della rivoluzione, per il rovesciamento dei governi borghesi, per la conquista del potere da parte del proletariato in armi, senza rinunciare minimamente a trarre profitto dalle riforme nello sviluppare la lotta per la rivoluzione e nel corso stesso della rivoluzione. L’imminente avvenire ci mostrerà come in generale si svilupperà la situazione in Europa e come in particolare si svolgerà la lotta del riformismo-pacifismo contro il marxismo rivoluzionario, e quindi anche la lotta tra le due ali dell’unione di Zimmerwald. Zurigo, 1° gennaio 1917 LETTERA APERTA A BORIS SOUVARINE 85 Il cittadino Souvarine dichiara che la sua lettera si rivolge anche a me. Mi è ancor più gradito rispondergli proprio perché il suo scritto solleva le questioni più importanti del socialismo intemazionale. Souvarine considera « apatriottico » il punto di vista di chi ritiene che la « difesa della patria » sia incompatibile con il socialismo. Da parte sua, egli « sostiene » il punto di vista di Turati, Ledebour, Brizon, che, pur votando contro i crediti di guerra, si dichiarano fa- vorevoli alla « difesa della patria », sostiene cioè il punto di vista della tendenza a cui si dà la denominazióne di « centro » (ma io direi piuttosto « palude ») o kautskismo, dal nome del suo principale esponente teorico, Karl Kautsky. Rileverò, di sfuggita, che Souvarine ha torto quando afferma che « essi [cioè i compagni russi, che parlano di fallimento della II Internazionale] identificano uomini come Kaut- sky, Longuet, ecc. con nazionalisti come Scheidemann e Renaudel ». Né io né il partito al quale aderisco (CC del POSDR) abbiamo mai identificato le posizioni dei socialsciovinisti con quelle del « centro ». Nelle dichiarazioni ufficiali del nostro partito, nel manifesto del CC pubblicato il 1° novembre 1914 e nelle risoluzioni adottate nel marzo 1915 86 (i due documenti sono riprodotti in extenso nel nostro opu- scolo Il socialismo e la guerra , che Souvarine conosce) abbiamo sempre distinto i socialsciovinisti dal « centro ». A nostro giudizio, i primi sono passati dalla parte della borghesia. E contro di loro non chiediamo sol- tanto la lotta, ma anche la scissione. I fautori del « centro » sono invece irresoluti, oscillanti e, con i loro sforzi di unire le masse socialiste ai capi sciovinisti, procurano il massimo danno al proletariato. LETTERA APERTA A BORIS 50UVARINE 197 Souvarine dice di voler « considerare i fatti dal punto di vista marxista ». Senonché, per il marxismo, le formule generali e astratte come F« apatriottismo » non hanno il minimo .valore. La patria, la nazione sono categorie storiche. Se, in una guerra, si tratta di difendere la democrazia o di lottare contro il giogo che opprime la nazione, non sono affatto contrario a una simile guerra e non ho paura dì parole come « difesa della patria », quando si riferiscono a una guerra di questo genere o airinsurrezione. I socialisti si schierano sempre con gli oppressi e non possono, quindi, avversare una guerra che abbia per scopo la lotta democratica o socialista contro l’oppressione. In tal senso, sarebbe addirittura ridicolo negare la legittimità delle guerre del 1793, delle guerre della Francia contro le monarchie reazionarie europee, o delle guerre garibaldine, ecc. Ma sarebbe altrettanto ridicolo negare la legittimità delle guerre dei popoli oppressi contro i loro oppressori che potrebbero divampare nel presente, come, ad esempio, l’insurrezione degli irlandesi contro l’Inghilterra, l’insurrezione del Marocco contro la Francia, delPUcraina contro la Russia, ecc. Dal punto di vista del marxismo, bisogna determinare in ogni singolo caso, per ogni singola guerra, il suo contenuto politico. Ma come definire il contenuto politico di una guerra? La guerra è soltanto la continuazione della politica. Ora, quale politica viene continuata dalla guerra in corso? La politica del prole- tariato, che tra il 1871 e il 1914 è stato l’unico rappresentante del socialismo e della democrazia in Francia, in Inghilterra e in Germania, o, piuttosto, la politica imperialistica, la politica della rapina colo- niale e dell’oppressione dei popoli deboli da parte della borghesia reazionaria, che volge al tramonto e sta per soccombere? Basta porre il problema in modo preciso e corretto per avere una risposta assolutamente chiara: la guerra in corso è una guerra imperialistica; è una guerra fra schiavisti, che si contendono il be- stiame da lavoro e vogliono consolidare e perpetuare la schiavitù. È la guerra di « brigantaggio capitalistico » di cui parlava Jules Guesde nel 1899, condannando in' anticipo il suo futuro tradimento. Guesde diceva allora: «Ci sono anche altre guerre... che scoppiano ogni giorno: sono le guerre per i mercati di sbocco, In tal senso, la guerra non solo 198 1ENIN non scompare, ma minaccia di diventare permanente, è la guerra capi- talistica per eccellenza, la guerra per il profitto fra i capitalisti di tutti i paesi, che si contendono, a prezzo del nostro sangue, il mercato mondiale. Ebbene, ve l’immaginate, nel governo capitalistico di ciascun paese d’Europa, un socialista che capeggia questa sorta di massacro a fini di rapina? Ve li figurate, accanto al Millerand francese, un Millerand inglese, un Millerand italiano e un Millerand tedesco che trascinano i proletari gli uni contro gli altri in questo brigantaggio capitalistico? Lo chiedo a voi, compagni, che cosa resterebbe della solidarietà internazionale operaia? Il giorno in cui il caso Millerand sarà divenuto un fenomeno generale bisognerà dire “addio” a qualsiasi internazionalismo e diventare quei nazionalisti che né io né voi accet- teremo mai di essere» (cfr. En garde! di Jules Guesde, Paris, 1911, pp. 175-176). Non è vero che nella guerra del 1914-1917 la Francia lotti per la libertà, per l’indipendenza nazionale, per la democrazia, ecc. Essa lotta per conservare le proprie colonie, per conservare le colonie del- V Inghilterra, sulle quali la Germania avrebbe assai più diritti: dal punto di vista del diritto borghese, si capisce. La Francia lotta per assicurare alla Russia Costantinopoli, ecc. In questa guerra non è impegnata la Francia democratica e rivoluzionaria, la Francia del 1792 e del 1848, la Francia della Comunè. In essa è impegnata la Francia borghese, la Francia reazionaria, alleata e amica dello zarismo, la Francia « usuraia del mondo » (Tespressione non è mia, ma di Lysis, collaboratore dell* Humanité), che difende il suo bottino, il suo « sacro diritto » alle colonie e alla « libertà » di sfruttare il mondo intero con i miliardi dati in prestito alle nazioni deboli o meno ricche. Non venite a dire che è difficile distinguere le guerre rivolu- zionarie dalle guerre reazionarie. Volete che, oltre al criterio scienti- fico che ho qui delineato, ne indichi anche uno puramente pratico e accessibile a tutti? Eccolo: ogni guerra di qualche importanza viene preparata in un certo numero di anni. Quando si prepara una guerra rivoluziona- ria, i democratici e i socialisti non hanno paura di dichiarare in anti- cipo che essi sono favorevoli alla « difesa della patria », in un con- flitto di questo genere. Ma, quando si prepara una guerra reazionaria, LETTERA APERTA A BORIS SOUVARINE 199 nessun socialista deciderà in anticipo , cioè prima che la guerra venga dichiarata, di schierarsi per la « difesa della patria », Marx e Engels non ebbero timore di chiamare il popolo tedesco alla guerra contro la Russia nel 1848 e nel 1859. E invece, nel 1912, a Basilea, i socialisti non hanno osato par- lare di « difesa della patria » per la guerra di cui già prevedevano lo scoppio e che, in effetti, è scoppiata nel 1914. Il nostro partito non ha paura di dichiarare pubblicamente che accoglierà con simpatia le guerre o le insurrezioni che Plrlanda po- trebbe intraprendere contro l’Inghilterra; il Marocco, l'Algeria e la Tunisia contro la Francia; Tripoli contro l'Italia; l'Ucraina, la Persia e la Cina contro la Russia, ecc. E i socialsciovinistì? E i « centristi »? Hanno essi il coraggio di dichiarare apertamente e ufficialmente che sono o saranno per la « di- fesa della patria » nel caso, ad esempio, in cui scoppi una guerra fra il Giappone e gli Stati Uniti, guerra imperialistica per eccellenza, che minaccia centinaia di milioni di uomini e viene ormai preparata da decenni? Si arrischino a farlo! Sono pronto a scommettere che non lo faranno, perché sanno troppo bene che, facendolo, diventerebbero lo zimbello delle masse operaie, sarebbero da esse fischiati e verrebbero espulsi dai partiti socialisti. Ecco perché i socialsciovinistì e i «cen- tristi » eviteranno in proposito ogni dichiarazione precisa e continue- ranno a menare il can per l'aia, a mentire, a ingarbugliare la matassa, a trarsi d'impaccio con sofismi come quello adottato nel 1915, dal- l’ultimo congresso del partito francese: « Un paese aggredito ha diritto di difendersi ». Come se la sostanza tosse di sapere chi abbia attaccato per primo e non di determinare le cause della guerra, i finì che essa st propone e le classi che la conducono. Si può, ad esempio, concepire che dei socialisti sani di mente riconoscessero all’Inghilterra il diritto di « difendere la patria » nel 1796, quando cioè le armate rivoluzionarie francesi stavano per fraternizzare con gli irlandesi? Eppure, in quel momento, era proprio la Francia ad aggredire l'Inghilterra, e un'armata francese si preparava a sbarcare in Irlanda. E si potrebbe, domani, riconoscere il diritto di « difendere la patria » alla Russia e all'In- ghilterra, se, dopo le lezioni ricevute dalla Germania, fossero attac- cate dalla Persia alleata con l’India, con la Cina e con altri popoli 2Q0 LENIN rivoluzionari dell’Asia, impegnati a realizzare il loro 1789 e il loro 1793? È questa la mia risposta alla ridicola accusa che ci è stata mossa di condividere le idee di Tolstoi. Dichiarando che i socialisti devono tendere a trasformare la guerra in corso in guerra civile del proleta- riato contro la borghesia e per il socialismo, il nostro partito ha ripu- diato sia la dottrina tolstoiana che il pacifismo. Se mi direte che si tratta di un’utopia, vi replicherò che, eviden- temente, la borghesia francese, inglese, ecc. non condivide la vostra opinione, poiché in effetti non avrebbe cominciato a recitare la sua odierna commedia abietta e ridicola, giungendo a imprigionare o a mobilitare i « pacifisti », se non presentisse e non prevedesse l’inar- restabile e incessante ascesa della rivoluzione e la sua esplosione imminente. Veniamo cosi al problema della scissione, sollevato anche da Souvarine. Scissione! È Io spauracchio con cui i capi socialisti cer- cano di spaventare gli altri, ma di cui hanno essi stessi una gran paura! « A che gioverebbe oggi — dice Souvarine — creare una nuova Internazionale, la cui azione sarebbe affetta da sterilità, a causa della sua debolezza numerica? » Eppure, proprio l’« azione » di Pressemane e Longuet in Francia, di Kautsky e Ledebour in Germania, come confermano i fatti di tutti i giorni, è affetta da sterilità e appunto perché essi hanno paura della scissione ! E, proprio perché, in Germania, K. Liebknecht e O. Rùhle non hanno avuto paura della scissione, ne hanno proclamato aperta- mente la necessità (cfr. la lettera di Riihle al Vorwàrts del 12 gennaio 1916) e non hanno esitato a realizzarla, la loro azione assume grande importanza per il proletariato, nonostante la loro debolezza numerica. Liebknecht e Riihle sono 2 contro 108. Ma questi due rappresentano milioni di uomini, le masse sfruttate, la stragrande maggioranza della popolazione, il futuro dèirumanità, la rivoluzione che avanza e matura di giorno in giorno. I 108 rappresentano invece lo spirito servile di un piccolo pugno di lacchè della borghesia in seno al proletariato. L’azione di Brizon è affetta da sterilità, quando egli partecipa della debolezza del centro o palude. Ma la sua azione non è più sterile, organizza il proletariato, lo risveglia e lo scuote, quando Brizon spezza nei fatti l’« unità » e quando in parlamento urla con coraggio « ab- LETTERA APERTA A BORIS SOUVAR1NE 201 basso la guerra! » o quando proclama in pubblico la verità, dicendo che gli alleati combattono per dare Costantinopoli alla Russia. Gli internazionalisti veramente rivoluzionari sono numericamente deboli? Discutiamone! Prendiamo come esempi la Francia del 1870 e la Russia del 1900. I rivoluzionari coscienti e risoluti, che nel primo caso erano i rappresentanti della borghesia, — la classe rivolu- zionaria dell'epoca, — mentre nel secondo caso erano i rappresentanti del proletariato, — la classe rivoluzionaria del nostro tempo, — erano numericamente molto deboli. Erano dei singoli, che costituivano al massimo la diecimillesima o persino la centomillesima parte della pro- pria classe. Ma dopo qualche anno quegli stessi individui, quella stessa minoranza cosi insignificante a prima vista, trascinarono con sé le masse, milioni e decine di milioni di uomini. Perché? Perché quella minoranza rappresentava i reali interessi delle masse, aveva fiducia nelPimminente rivoluzione, era pronta a servirla con coraggio. Debolezza numerica? Ma da quando in qua i rivoluzionari fareb- bero dipendere la loro politica dal fatto di essere in maggioranza o in minoranza? Quando, nel novembre 1914, il nostro partito pro- clamò la necessità della scissione dagli opportunisti ® 7 t dichiarando che una tale scissione sarebbe stata Tunica risposta giusta e degna al loro tradimento delTagosto 1914, questa dichiarazione sembrò a molti solo una stravaganza settaria di gente che aveva perduto ogni contatto con la vita e con la realtà. Sono passati due anni, e potete ben vedere quel che succede. In Inghilterra la scissione è un fatto compiuto; il socialsciovinista Hyndman ha dovuto lasciare il partito. In Germania la scissione si sviluppa sotto gli occhi di tutti. Le organizzazioni di Berlino, di Brema e di Stoccarda hanno avuto perfino Tonore di essere espulse dal partito... dal partito dei lacchè del Kaiser, dal partito dei Renaudel, dei Sembat, dei Thomas, dei Guesde tedeschi. E in Fran- cia? Da un Iato, il partito di questi signori afferma che continuerà a sostenere la « difesa della patria »; dall’altro, gli zimmerwaldiani, nelPopuscolo intitolato I socialisti di Zitntnerwald e la guerra , dichia- rano che nori è da socialisti « difendere la patria ». Non è questa una scissione? E come potrebbero lavorare coscienziosamente Tuno accanto al- Taltro, nello stesso partito, uomini che, dopo due anni di crisi, della piu grande crisi mondiale, rispondono in maniera diametralmente oppo- 202 LENIN sta alla questione più importante della tattica attuale del proletariato? Date uno sguardo all’America, cioè ad un paese che è oltretutto neutrale. Non è forse cominciata anche là una scissione? Mentre, da una parte, Eugene Debs, il « Bebel americano », afferma sulla stampa socialista che riconosce un solo genere di guerra, la guerra civile per la vittoria del socialismo, e che preferirebbe essere fucilato anziché votare anche un solo cent per le spese di guerra deirAmerica (cfr. Appeal to reason , n. 1032, 11 settembre 19*15); dall’altra parte, i Renaudel e i Sembat americani proclamano la « difesa della patria » e si dichiarano « pronti alla guerra ». I Longuet e i Pressemane ame- ricani fanno tutto il possibile — poverini! — per conciliare i social- sciovinisti con gli internazionalisti rivoluzionari. Esistono già due Internazionali. Quella di Sembat-Sudekum-Hynd- man-Plekhanov, ecc., e quella di K. Liebknecht, di MacLean (maestro scozzese, condannato ai lavori forzati dalla borghesia inglese per aver appoggiato la lotta di classe degli operai), di Hòglund (deputato sve- dese, che è stato uno dei fondatori della « sinistra di Zimmerwald », condannato ai lavori forzati per la sua agitazione rivoluzionaria contro la guerra), dei cinque deputati alla Duma di Stato, condannati alla deportazione perpetua in Siberia per la loro agitazione contro la guerra, ecc. C’è, da una parte, l’Internazionale di coloro che aiutano i propri governi nella guerra imperialistica , e, dall’altra, l’Internazio- nale di coloro che guidano la lotta rivoluzionaria contro questa guerra . E l’eloquenza dei ciarlatani parlamentari o la « diplomazia » degli « uomini di Stato » del socialismo non potranno comunque unificare le due Internazionali. La II Internazionale ha fatto il suo tempo. La III Internazionale è già nata. E, se non è stata ancora consacrata dai gran sacerdoti e pontefici della II Internazionale, ma semmai maledetta (si vedano i discorsi di Vandervelde e di Stauning), questo non le impedisce di acquistare ogni giorno forze nuove, La III Inter- nazionale darà modo al proletariato di liberarsi degli opportunisti e guiderà le masse alla vittoria nella rivoluzione sociale che sta matu- rando e si approssima. Prima di concludere, devo dire qualcosa sugli aspetti personali della polemica di Souvarine. Egli chiede (ai socialisti residenti in Svizzera) di moderare le critiche personali nei confronti di Bernstein, Kautsky, Longuet, ecc. Per parte mia, devo dichiarare che non posso LETTERA APERTA A BORIS SOUVARINE 203 accedere a una tale richiesta. E, prima di tutto, farò rilevare a Souvarine che, quando polemizzo con i « centristi », non faccio una critica alle persone, ma solo una critica politica. L’ascendente dei signori Siide- kum, Plekhanov, ecc. sulle masse non può piu essere assicurato: il loro prestigio è ormai cosi compromesso dappertutto che la polizia deve accorrere per proteggerli. Ma i « centristi », con la loro propaganda dell’« unità » e della « difesa della patria », con il loro desiderio di conciliazione, con i loro tentativi di mascherare verbalmente le diver- genze piu profonde, danneggiano seriamente il movimento operaio, ritardando il crollo definitivo deirautorità morale dei socialsciovinisti, prolungando la loro influenza sulle masse, rianimando il cadavere degli opportunisti della II Internazionale. Per tutte queste considerazioni ritengo che la lotta contro Kautsky e gli altri esponenti del « centro » sia per me un dovere socialista. Souvarine rivolge, tra gli altri, il suo « discorso a Guilbeaux, a Lenin e a tutti quelli che godono del privilegio di trovarsi al di sopra della mischia, un privilegio che spesso consente di giudicare sanamente gli uomini e le cose del socialismo, ma che comporta, forse, qualche inconveniente ». L’allusione è chiarissima. Ledebour manifestò a Zimmerwald la stessa opinione con minori tortuosità, accusando gli « zimmerwaldiani di sinistra » di lanciare dall’estero i propri appelli rivoluzionari alle masse. Darò al cittadino Souvarine la stessa risposta che ho dato a Ledebour durante la conferenza di Zimmerwald. Sono trascorsi ven- tinove anni dal giorno del mio arresto in Russia. E in questi ventinove anni non ho smesso un istante di lanciare appelli rivoluzionari alle masse. L’ho fatto dal carcere, dalla Siberia e, piu tardi, dall’estero. Mi è capitato .spesso di trovare nella stampa rivoluzionaria, come nelle requisitorie dei procuratori zaristi, « allusioni » alla mia mancanza di onestà, per il fatto di lanciare dall’estero appelli rivoluzionari alle masse della Russia. Queste « allusioni » da parte dei procuratori za- risti non possono stupire. Confesso, tuttavia, che mi aspettavo altri argomenti da parte di Ledebour. Forse, Ledebour ha dimenticato che- anche Marx e Engels, scrivendo nel 1847 il celebre Manifesto dei' partito comunista , lanciavano dallestero appelli rivoluzionari agli ope- rai tedeschi! La lotta politica è spesso impossibile senza remigrazione dei rivoluzionari. La Francia l’ha sperimentato piu di una volta. E il 204 LENIN cittadino Souvarine avrebbe fatto meglio a non imitare il cattivo esem- pio di Ledebour e... dei procuratori zaristi. Souvarine dice inoltre che Trotski, « che noi [minoritari francesi] consideriamo uno degli elementi più estremisti delPestrema sinistra dell’Internazionale, viene da Lenin tacciato di sciovinismo. Si vorrà convenire che si tratta di un’esagerazione ». Sf, è vero, « si tratta di un’esagerazione »; solo che non viene da me, ma da Souvarine. Io, infatti, non ha mai tacciato di sciovinismo la posizione di Trotski. La sola cosa che gli ho rimproverato è di aver rappresentato troppo spesso, in Russia, la politica del « centro ». Ecco i fatti. Dal gennaio 1912 la scissione del POSDR è ufficiale M . Il nostro partito (che si raggruppa attorno al CC) accusa di opportu- 1 nismo l’altro gruppo, quello del Comitato d’organizzazione, i cui diri- genti più illustri sono Martov e Axelrod. Trotski aderisce al partito di Martov e ne esce soltanto nel 1914. Scoppia la guerra. Il gruppo della nostra corrente alla Duma, composto di cinque deputati (Mura- nov, Petrovski, Sciagov, Badaiev, Samoilov), viene deportato in Si- beria. A Pietrogrado i nostri operai votano contro la partecipazione ai comitati dell’industria di guerra (che è per noi la questione pratica più importante; in Russia tale questione è altrettanto importante quanto quella della partecipazione al governo in Francia). In pari tempo, i pubblicisti più noti e autorevoli del Comitato d’organizzazione — Po- tresov, Zasulic, Levitski e altri - — si pronunciano per la « difesa della patria » e la partecipazione ai comitati dell’industria di guerra. Martov e Axelrod protestano e si dichiarano contrari alla partecipazione a questi comitati, ma non rompono con il loro partito, anche se una sua frazione, divenuta sciovinistica, accerta tale partecipazione. Cosi, a Kienthal, rimproveriamo a Martov di voler rappresentare tutto il Comitato d’organizzazione, mentre di fatto ne può rappresentare sol- tanto una frazione. La rappresentanza di questo partito alla Duma (Ckheidze, Skobelev e altri) si divide. Una parte di deputati è favo- revole alla « difesa della patria », l’altra è contraria. Ma tutti i depu- tati accettano la partecipazione ai comitati' dell’industria di guerra e usano l’ambigua formula della necessità di « salvare la patria », che è in sostanza, pur se espressa diversamente, la parola d’ordine della « difesa della patria » di Sudekum e di Renaudel. Per di più essi non protestano affatto contro la posizione di Potresov (che è di fatto LETTERA APERTA A BORIS SOUVARINE 205 analoga a quella di Plekhanov; Martov protesta pubblicamente contro Potresov e si rifiuta di collaborare alla sua rivista, perché questi ha invitato a colJaborarvi Plekhanov). E Trotski? Pur avendo rotto col partito di Martov, continua ad accusarci di scissionismo. Si sposta pian piano verso sinistra e propone perfino di romperla con i capi dei socialsciovinisti russi, ma non ci dice una volta per tutte se voglia Tunità o la scissione con il gruppo Ckheidze. Senonché, la questione è molto importante. Se domani si farà la pace, dopodomani avremo nuove elezioni per la Duma. E dovremo decidere subito se marciare con Ckheidze o contro di lui. Noi siamo contrari a tale alleanza. Martov è favorevole. E Trotski? Non si sa. Nei suoi 500 numeri il giornale russo di Parigi, il Nasce slovo } della cui redazione fa parte anche Trotski, non ha ancora detto la parola decisiva. Ecco perché non c'intendiamo con Trotski. Del resto, non siamo solo noi in causa. A Zimmerwald Trotski si è rifiutato di unirsi alla « sinistra ». Trotski e la compagna Roland Holst rappresentavano a Zimmerwald il « centro Ed ecco che cosa scrive oggi la compagna Roland-Holst nel giornale socialista olandese Tribune (n. 159 del 23 agosto 1916): «Coloro che, come Trotski e il .suo gruppo, vogliono condurre una lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo devono superare le conseguenze dei dissensi propri del- l’emigrazione, che sono in gran parte di carattere personale e dividono l'estrema sinistra, e devono unirsi ai leninisti. Un “centro rivoluzio- nario v è impossibile ». Chiedo scusa per aver parlato cosi a lungo dei nòstri rapporti con Trotski e Martov, ma la stampa socialista francese ne discorre abbastanza spesso e le informazioni che fornisce ai suoi lettori sono spesso molto inesatte. È indispensabile che i compagni francesi siano me- glio informati sulle vicende del movimento socialdemocratico in Russia. Scritta nella seconda metà del dicembre 1916. Pubblicata per la prima volta in francese, con tagli, nel giornale La vérité, n. 48, 27 gennaio 1918. Pubblicata per la prima volta in russo, integralmente, in Proletarskaia revoliutsia, 1929, n. 7. ABBOZZO DI TESI PER UN APPELLO ALLA COMMISSIONE SOCIALISTA INTERNAZIONALE E A TUTTI I PARTITI SOCIALISTI l# 1. Alla svolta prodottasi nella politica mondiale, dalla guerra im- perialistica alle pubbliche prese di posizione di parecchi governi in favore di una pace imperialistica, corrisponde attualmente una svolta nello sviluppo del socialismo mondiale. 2. La prima svolta provoca un diluvio di frasi pacifistiche, smie- late e sentimentali, di mezze parole, di promesse, con le quali la borghesia e i governi imperialistici si studiano di turlupinare i popoli e di indurli « pacificamente » a pagare con docilità le spese per la guerra di rapina, si studiano di disarmare pacificamente milioni di proletari e di camuffare con mezze concessioni i compromessi che si stanno approntando per la spartizione delle colonie e per il soffoca- mento finanziario (e, all’occasione, anche politico) delle nazioni deboli, compromessi che costituiscono l’essenza della futura pace imperialistica e la continuazione diretta dei briganteschi trattati segreti ora esistenti, e specialmente di quelli conclusi durante la guerra, fra tutte le potenze delle due coalizioni imperialistiche. 3 *. La seconda svolta consiste nella « conciliazione » tra la ten- denza dei socialsciovinisti, che hanno tradito il socialismo e sono passati al nazionalismo borghese o alPimperialismo, e Vaia destra degli zìm - merwaldiant , rappresentata da Kautsky e soci in Germania, da Turati e soci in Italia, da Longuet, Pressemane e Merrheim in Francia, ecc. Incontrandosi sul terreno delle vuote frasi pacifistiche, che non dicono niente e a niente impegnano, che mascherano in realtà la politica e la pace imperialistica, abbellendole invece di denunciarle, queste due ten- * Fondere con il § 4. ABBOZZO DI TESI 207 denze compiono un passo decisivo verso la piu grande turlupinatura degli operai, verso il consolidamento, in seno al movimento operaio, della politica operaia borghese, rivestita di frasi socialiste, cioè della politica di quei capi e di quegli strati privilegiati della classe operaia che hanno aiutatori governi e la borghesia a fare una guerra imperiali- stica di rapina, dandole il nome di « difesà della patria ». 4. La politica socialpacifietica, o politica della fraseologia social- pacifistica, che prevale oggi nei partiti socialisti dei principali paesi europei (si vedano: la presa di posizione di Kautsky con i cinque articoli pacifistici apparsi nella stampa socialdemocratica tedesca e la simultanea dichiarazione, sulla Chemnitzer V olksstimme , dei capi del socialimperialismo che si dichiarano assolutamente pronti alla conci- liazione e allunità con i kautskiani sulla base delle formule pacifisti- che; il manifesto pacifistico delPopposizione kautskiana tedesca del 7 gennaio 1917; il voto unanime dei longuettisti e di Renaudel e soci al congresso del partito socialista in Francia; il voto di Jouhaux e Merrheim, nonché di Broutchoux, al congresso della Confédération générale du travati , a favore di risoluzioni consistenti in frasi pacifi- stiche volte a ingannare il popolo; il discorso di Turati del 17 dicembre 1916, improntato alla stessa specie di pacifismo, e la difesa della sua posizione da parte di tutto il Partito socialista italiano), questa poli- tica, quali che siano le condizioni della pace che si sta preparando fra i governi attuali, cioè borghesi , di ambedue le coalizioni imperia- listiche, indica che le organizzazioni socialiste e sindacali (Jouhaux e Merrheim) si sono trasformate in uno strumento degli intrighi dei governi e della diplomazia imperialistica segreta. 5. Le eventuali condizioni della pace, che viene oggi preparata dai governi borghesi delle due coalizioni imperialistiche, sono di fatto determinate dai mutamenti nei rapporti di forza che la guerra ha già prodotto e può ancora operare. Indichiamo qui a grandi linee questi mutamenti: a) la coalizione imperialistica tedesca si è rivelata fino ad oggi molto più forte della sua rivale, e i territori occupati dall’eser- cito tedesco e dai suoi alleati sono una garanzia di cui la Germania dispone in quella nuova spartizione imperialistica del mondo (colonie, paesi deboli, sfere d’influenza del capitale finanziario, ecc.) che la pace dovrà solo convalidare formalmente; b) la coalizione imperialistica in- glese spera di migliorare in primavera la propria situazione militare; 208 LENIN c) il logoramento causato dalla guerra e, soprattutto, la difficoltà per Poliarchia finanziaria di depredare i popoli più di quanto abbia già fatto con gli incredibili « profitti di guerra » suscitano in alcuni circoli borghesi, in rapporto con la paura della rivoluzione proletaria, l’aspi- razione a concludere al piu presto la guerra mediante un compromesso fra i due gruppi di briganti dell’imperialismo; d) nella politica mon- diale si registra una svolta dalla coalizione anglo-russa contro la Ger- mania ad una coalizione (di carattere altrettanto imperialistico) russo- germanica contro l’Inghilterra, dato che lo zarismo non è in condizione di conquistare Costantinopoli, che gli è stata promessa nei trattati segreti con. la Francia, l’Inghilterra, l’Italia, ecc., e ambisce a com- pensare le sue perdite con la spartizione della Galizia, dell’Armenia e, forse, della Romania, ecc., nonché mediante un’alleanza antinglese con la Germania per depredare l’Asia; e) un’altra grande svolta nella politica mondiale è segnata dal gigantesco arricchimento, a spese del- l’Europa, del capitale finanziario degli Stati Uniti d’America, che negli ultimi tempi ha accresciuto i propri armamenti (come ha fatto, del resto, l’imperialismo giapponese, pur essendo tuttavia molto piu de- bole) in una misura mai vista prima d’ora e che è ben felice di distogliere da tali armamenti l’attenzione dei « propri » operai con frasi pacifistiche a buon mercato a proposito... delVEuropaì 6. Temendo la rivoluzione proletaria, la borghesia è costretta a tentare in tutti i modi di velare e abbellire questa situazione politica oggettiva, questa realtà imperialistica, di stornare da essa l’attenzione degli operai, di abbindolarli, e il mezzo migliore sono le frasi che non impegnano a nulla, le frasi ipocrite abituali per una diplomazia, tutta fatta di menzogne, sulla pace « democratica », sulla libertà dei piccoli popoli « in generale », sulla « riduzione degli armamenti », ecc. Una tale turlupinatura dei popoli è tanto più facile per la borghesia imperialistica, poiché, parlando, per esempio, di « pace senza annes- sioni », ogni borghesia si riferisce alle annessioni della propria rivale e « tace modestamente » sulle annessioni che essa stessa ha già operato. I tedeschi « dimenticano » che, di fatto i le loro annessioni non com- prendono soltanto Costantinopoli, Belgrado, Bucarest, Bruxelles, ma anche l’Alsazia-Lorena, una parte della Slesia, la Polonia prussiana, ecc. Lo zarismo e i suoi lacchè, i borghesi imperialisti di Russia (compresi Plekhanov. Potresov e soci, cioè la maggioranza del partito del Co- ABBOZZO DI TESI 209 mitato di organizzazione), « dimenticano » che la Russia non si è annessa soltanto Erzerum e una parte della Galizia, ma anche la Fin- landia, TUcraina, ecc. I borghesi di Francia « dimenticano » di aver predato, insieme con gli inglesi, le colonie della Germania. I bor- ghesi d’Italia « dimenticano » che stanno saccheggiando Tripoli, la Dalmazia, l’Albania, e cosi via all’infinito. 7. In questa situazione oggettiva, è compito evidente e imperioso di ogni politica sinceramente socialista, di ogni onesta politica prole- taria {per non dire di una politica marxista cosciente) denunciare innanzitutto, in modo conseguente, metodico, coraggioso e senza riserve, V ipocrisia pacifistica e democratica del proprio governo e della propria borghesia. Senza di che le frasi sul socialismo, sul sindaca- lismo, suirinternazionalismo sono tutte, dalla prima all’ultima, trappole per il popolo, poiché la denuncia delle annessioni dei propri concorrenti imperialisti (siano essi espressamente nominati o tacitamente indicati con frasi contro le annessioni « in generale » e con altri travestimenti « diplomatici » dei propri pensieri) presenta un interesse diretto ed è un buon affare per tutti i giornalisti prezzolati, per tutti gli imperia- listi, compresi quelli che si travestono da socialisti, come Scheidemann e soci, Sembat e soci, Plekhanov e soci, ecc. 8. Ma Turati e soci, Kautsky e soci, Longuet e Merrheim e soci, che rappresentano tutta una corrente del socialismo internazionale e che di fatto , oggettivamente , — anche se animati dalle migliori in- tenzioni, — aiutano la « loro » borghesia imperialistica a ingannare i pòpoli, ad abbellire i suoi fini imperialistici, non hanno capito in alcun modo questo dovere immediato. Questi socialpacifisti, cioè so- cialisti a parole e portatori dell’ipocrisia pacifistica borghese nei fatti, svolgono oggi esattamente la stessa funzione che i preti cristiani hanno svolto per secoli, abbellendo con frasi sull’amore del prossimo e sugli insegnamenti di Cristo la politica delle classi che opprimevano il popolo, dei proprietari di schiavi, dei feudatari e dei capitalisti, e mirando a riconciliare le classi oppresse con i loro dominatori. 9. Una politica che non inganni gli operai, ma apra loro gli occhi, deve essere cosi concepita: a ; In ciascun paese, proprio oggi che la questione della pace è all’ordine del giorno, il socialista è tenuto a denunciare piu energica- 210 LENIN mente del solito il proprio governo e la propria borghesia, a* denun- ciare i trattati segreti che essi hanno stipulato o stanno per concludere con i loro alleati imperialisti sulla spartizione delle colonie e delle sfere d'influenza, sulle imprese finanziarie condotte in comune in altri paesi, sull’incetta delle azioni, sui monopoli, sulle concessioni, eccetera. Infatti, questo e soltanto questo è il fondamento reale, effettivo, autentico, l’essenza della pace imperialistica in preparazione, e tutto il resto è solo una mistificazione del popolo. Non vuole una pace democratica, senza annessioni, ecc. chi giura- e spergiura ripetendo queste parole, ma solo chi strappa di fatto la maschera alla propria borghesia, che distrugge, con i suoi atti y questi grandi principi del vero socialismo e della vera democrazia. Infatti, ogni parlamentare, redattore, segretario di un sindacato operaio, pubblicista, militante può sempre raccogliere la documenta- zione, tenuta nascosta dal governo e dai magnati della finanza, che contiene la verità sui fondamenti reali dei compromessi imperialistici, e i socialisti che non adempiono questo dovere tradiscono il socia- lismo. È indubbio che non un solo governo permetterà, proprio oggi, che si pubblichino liberamente dei testi di denuncia della sua politica effettiva, dei suoi trattati, delle sue transazioni finanziarie, ecc. Ma non è questa una ragione per fare a meno di denunciare il governo. È semmai una ragione per liberarsi dalla servile soggezione alla cen- sura e ricorrere a un’editoria libera, cioè non soggetta a censura, cioè illegale. Infatti, un socialista straniero non può denunciare il governo e la borghesia dello Stato che è in guerra contro la « propria » na- zione, non solo perché ignora la lingua, la storia, le particolarità di quel popolo, ecc., ma anche perché una simile denuncia avrebbe piu dell'intrigo imperialistico che non del dovere internazionalistico . Non è internazionalista chi giura e spergiura di esserlo, ma solo chi lotta realmente da internazionalista contro la propria borghesia, contro i propri socialsciovinisti, contro i propri kautskiani. b) In ciascun paese, il socialista deve oggi sottolineare prima di tutto, nella sua agitazione, la necessità di assumere un atteggia- mento di totale sfiducia verso ogni frase politica non solo del proprio ABBOZZO DI TESI 211 governo, ma anche dei propri socialsciovinisti, che sono di fatto as- serviti a questo governo. c) In ciascun paese, il socialista deve spiegare prima di tutto alle masse l’incontestabile verità che una pace realmente duratura e democratica (senza annessioni, ecc. ) può essere stipulata oggi alla sola condizione che a stipularla non siano i governi attuali, e in gene- rale i governi borghesi , ma dei governi proletari , che abbiano rove- sciato il dominio della borghesia e iniziato la sua espropriazione. La guerra ha dimostrato con singolare evidenza e, inoltre, sul piano pratico una verità che, prima della guerra, veniva ripetuta da tutti i capi del socialismo, passati oggi dalla parte della borghesia, e cioè che la moderna società capitalistica, soprattutto 90 nei paesi pro- grediti, è pienamente matura per il passaggio al socialismo. Se, allo scopo di mobilitare le forze del popolo per la guerra di rapina, la Germania, per esempio, ha dovuto far dirigere tutta la vita economica di 66 milioni di abitanti da un 'istituzione centrale unica } nell’interesse di qualche centinaio di magnati della finanza, di nobili, della monar- chia, ecc., le masse non abbienti potranno fare benissimo la stessa cosa , nell’interesse dei nove decimi della popolazione, se saranno gli operai coscienti, liberatisi dall’influenza dei socialimperialisti e dei so- cialpacifisti, a dirigere la lotta. Tutta l’agitazione per il socialismo da astratta e generica deve diventare concreta e immediatamente pratica: espropriando le banche, e agendo nel loro interesse, fate la stessa cosa che la WUMBA 91 fa in Germania. d) In ciascun paese, il socialista deve spiegare alle masse la verità incontestabile che, se si prendessero sul serio, sinceramente e con onestà, le parole sulla « pace democratica », invece di usarle come una frase cristiana menzognera, per mascherare una pace impe- rialìstica , gli operai avrebbero un solo mezzo per realizzare di fatto una tale pace sin da ora : rivolgere le armi contro il proprio governo (seguire cioè il consiglio di Karl Liebknecht, che è stato condannato ai lavori forzati per questo motivo e che ha espresso con altre parole ciò che il nostro partito, nel manifesto del l tì novembre 1914, ha chiamato trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile del proletariato contro la borghesia per il socialismo 82 ). 212 LENIN Il manifesto di Basilea del 24 novembre 1912, sottoscritto da tutti i partiti socialisti e in riferimento alla stessa guerra che stava per scoppiare, quando minacciò ai governi la « rivoluzione proleta- ria * ►, richiamandosi alla Comune di Parigi, disse una verità che i tra- ditori del socialismo oggi vilmente rinnegano. Se infatti nel 1871 gli operai parigini poterono impiegare le ottime armi, che Napoleo- ne III aveva fornito loro per i suoi fini cesaristici, allo scopo di fare un tentativo eroico e acclamato dai socialisti di tutto il mondo, il tentativo cioè di rovesciare la borghesia e conquistare il potere per realizzare il socialismo, oggi che un numero molto più alto di operai meglio organizzati e più coscienti di vari paesi dispone di un arma- mento notevolmente migliore e che le masse vengono sempre più illu- minate e conquistate alle idee rivoluzionarie dallandamento della guerra, un simile tentativo è mille volte più realizzabile e destinato al successo. Il principale ostacolo che si frappone oggi, ih tutti i paesi, allo sviluppo di una propaganda e di un’agitazione sistema- tiche in questo spirito non consiste affatto nella « stanchezza delle masse », alla quale si richiamano ipocritamente gli Scheidemann e in- sieme i Kautsky, ecc.; le «masse» non sono ancora stanche di spa- rare e spareranno ancora di più in primavera, se i loro nemici di classe non si accorderanno sulla spartizione della Turchia, della Roma- nia, delTArmenia, dell’Africa, ecc.; Tostacolo principale consiste in- vece nella fiducia che una parte degli operai coscienti concede ai socialimperialisti e ai socialpacif isti ; e quindi il compito più impor- tante dell’ora è di minare ogni fiducia in queste correnti, idee e posi- zioni politiche . Per accertare in che misura possa realizzarsi un simile tentativo, in relazione agli stati d'animo delle grandi masse, bisogna lanciare nel modo più risoluto, generale ed energico una campagna di agitazione e propaganda, bisogna sostenere sinceramente e senza riserve tutte le testimonianze rivoluzionarie del crescente malcontento delle masse, gli scioperi e le manifestazioni che costringono i rappresentanti della borghesia russa ad ammettere francamente che la rivoluzione sta avan- zando e che hanno costretto Helfferich a dire al Reichstag: « Meglio tenere in prigione i socialdemocratici di sinistra che veder dei cada- veri sulla piazza di Potsdam », a confessare cioè che l’agitazione delle sinistre trova un terreno favorevole tra le. masse. ABBOZZO DI TESI 213 In ogni caso l’alternativa che i socialisti devono porre chiara- mente alle masse è questa: o continuare a uccidersi l’un Paltro per i profitti dei capitalisti e sopportare il carovita, la fame, il peso di miliardi di debiti, la commedia di un armistizio imperialistico camuf- fato con promesse democratiche e riformatrici, o insorgere invece contro la borghesia. Un partito rivoluzionario che apertamente, dinanzi a tutto il mondo, abbia minacciato ai governi la « rivoluzione proletaria » nel caso di una guerra come quella che è poi scoppiata, si condannerebbe al suicidio morale, se non consigliasse agli operai e alle masse di orien- tare tutti i loro propositi e sforzi verso Pinsurrezione, nel momento in cui le masse sono ottimamente armate, addestrate stupendamente alParte militare e tormentate dalla coscienza delPassurdità criminosa della carneficina imperialistica a cui continuano a partecipare. e ) I socialisti devono mettere a base del loro lavoro la lotta contro il riformismo, che ha sempre corrotto il movimento operaio rivoluzionario con idee borghesi e che ha preso oggi una forma al- quanto particolare. Esso « si adagia » cioè sulle riforme che la bor- ghesia dovrà realizzare dopo la guerra! E pone il problema come se noi, predicando la rivoluzione socialista del proletariato, facendone la propaganda, preparandola, « perdessimo di vista » la « pratica », « ci lasciassimo sfuggire » la buona occasione delle riforme. Questo modo di porre il problema, comune tanto ai socialscio- vinisti quanto ai seguaci di Kaursky, il quale ha potuto qualificare come « avventura » le manifestazioni dì strada, è radicalmente anti- scientifico, falso, borghesemente menzognero. Durante la guerra il capitalismo mondiale ha compiuto un passo in avanti non solo verso la concentrazione in generale, ma anche verso la trasformazione dei monopoli in capitalismo di Stato , su una scala ancora piu ampia che in passato. Le riforme economiche sono in tal senso inevitabili. Sul piano politico, la guerra imperialistica ha dimostrato che, dal punto di vista degli imperialisti, è talvolta molto piu vantaggioso avere come alleato una piccola nazione politicamente indipendente, ma dipendente finanziariamente, anziché rischiare durante la guerra « in- cidenti » come quelli irlandesi o cechi (cioè delle sommosse o il pas- saggio di interi reggimenti al nemico). È quindi del tutto possibile 214 LENIN che, insieme con la politica del soffocamento puro e semplice delle piccole nazioni, a cui non potrà mai rinunciare completamente, l’im- perialismo pratichi una politica di alleanza « volontaria » (determinata cioè dal soffocamento finanziario) con nuovi piccoli Stati nazionali o con aborti di Stati come la Polonia. Di qui non deriva affatto che i socialdemocratici, senza cessare di esserlo, possano « votare » o associarsi a queste « riforme » degli imperialisti. Soltanto i riformisti borghesi, sulle cui posizioni sono passati, in sostanza , Kautsky, Turati, Merrheim, pongono il problema cosi: o si rinuncia alla rivoluzione, e allora si hanno le riforme, oppure niente riforme. Tutta l’esperienza della storia mondiale, anche quella della rivo- luzione russa del 1905, ci insegna appunto il contrario: o la lotta di classe rivoluzionaria, che ha sempre come prodotto accessorio le riforme ( in caso di successo incompleto della rivoluzione ) , oppure niente riforme. Infatti, r unica forza reale che imponga dei mutamenti è l’energia rivoluzionaria delle masse; non quella, però, che rimane soltanto sulla carta, com’è avvenuto nella II Intemazionale, ma quella che conduce alla multiforme propaganda rivoluzionaria, all’agitazione e all’organiz- zazione delle masse per opera dei partiti che marciano alla testa e non alla coda della rivoluzione. Solo proclamando apertamente la rivoluzione, allontanando dai partiti operai tutti i nemici e gli « scettici », solo imprimendo un impulso rivoluzionario a tutto il lavoro di partito, la socialdemocrazia può garantire alle masse, in epoche « critiche » della storia mondiale come la presente, o il pieno successo della loro azione, nel caso del- l’appoggio della rivoluzione da parte delle grandi masse, o le riforme, cioè le concessioni della borghesia, nel caso di un successo incompleto della rivoluzione. Altrimenti, con la politica degli Scheidemann e dei Kautsky, non ce nessuna garanzia che le riforme non siano ridotte a 2 ero o applicate con tali restrizioni poliziesche e reazionarie da escludere per il proleta- riato la possibilità di poggiare su di esse nel riprendere in seguito la lotta per la rivoluzione f) I socialisti devono applicare seriamente la parola d’ordine ABBOZZO DI TESI 215 di Karl Liebknecht. La simpatia delle masse per questo nome è una garanzia della possibilità e fecondità delazione rivoluzionaria. L’atteg- giamento di Scheidemann e soci, di Kautsky e soci di fronte a questo nome è un modello d’ipocrisia, in quanto essi a parole salutano i « Liebknecht di tutti i paesi », ma nei fatti lottano contro la tattica di Liebknecht. Liebknecht ha rotto non solo con gli Scheidemann (i Renaudel, i Plekhanov, i Bissolati), ma anche con la corrente di Kautsky (Longuet, Axelrod, Turati). Già nella lettera del 2 ottobre 1914 al Partei vorstand Liebknecht proclamava: « Ich habe erklàrt, dass die deutsche Partei, nach meiner innersten Ueberzeugung, von der Haut bis zum Mark regeneriert werden muss, wenn sie das Recht nicht verwirken will, sich sozialdemokratisch zu nennen, wenn sie sich jetzt griindlich verscherzte Achtung der Welt wiedererwerben will » ( Klassenkampf gegen den Kriegì Material zum « Vali Liebknecht ». Sei te 22). (Geheim gedruckt in Deutschland: « Als Manuskript gedruckt ») 93 . Tutti i partiti devono aderire a questa parola d’ordine di Lieb- knecht, e sarebbe naturalmente ridicolo pensare alla possibilità di ap- plicarla, senza espellere dal partito gli Scheidemann, i Legien, i Renau- del, i Sembat, i Plekhanov, i Vandervelde e soci, senza farla finita con la politica di concessioni alla tendenza di Kautsky, Turati, Longuet, Merrheim. 10. Chiediamo pertanto la convocazione di una conferenza degli zimmerwaldiani, alla quale sottoponiamo le seguenti proposte: 1) Respingere recisamente e senza riserve, in quanto riformismo borghese (in base alle tesi suesposte), il pacifismo socialista di una corrente ben definita, quella di Longufet-Merrheim, Kautsky, Turati, ecc.; pacifismo che è stato già respinto in linea di principio a Kienthal e che deve esserlo ora nella forma concreta in cui lo difendono i rap- presentanti di tale corrente. 2) Proclamare una rottura altrettanto risoluta con il socialsciovi- nismo anche nel campo organizzativo. 3) Additare alla classe operaia i suoi compiti rivoluzionari imme- diati e urgenti in rapporto con l’esaurirsi della pazienza delle masse per effetto della guerra e delle ipocrite frasi pacifistiche della borghesia. 216 LENIN 4) Denunciare e condannare apertamente la completa rottura con 10 spirito e con tutte le decisioni di Zimmerwald e di Kienthal che si registra tanto nella politica del Partito socialista italiano, che si è messo sulla strada del pacifismo, quanto in quella del Partito social- democratico svizzero, che ha accettato a Zurigo, il 4 novembre 1916, 11 principio delle imposte indirette, che ha fatto approvare, il 7 gen- naio 1917, grazie all’intesa fra il «centrista» R. Grimm e i social- patrioti Greulich, G. Muller e soci, il rinvio a tempo indeterminato del congresso straordinario del partito, già fissato per 1*11 febbraio 1917, per deliberare sulla questione della guerra, e che ora subisce in silenzio il puro e semplice ultimatum dei capi socialpatriottici che minac- ciano apertamente di rassegnare i propri mandati, se il partito respin- gerà la difesa della patria. La triste esperienza della II Internazionale ha dimostrato a suffi- cienza il grave danno che deriva dall’associare di fatto alle risolu- zioni rivoluzionarie « generali », formulate con frasi generiche, una prassi riformistica; dal proclamare rinternazionalismo, mentre ci si rifiuta di esaminare in comune , in uno spirito realmente internaziona- listico, le questioni fondamentali della tattica di ciascun partito che aderisce alTassociazione internazionale. Già alla conferenza di Zimmerwald, e ancora prima, il nostro partito ha ritenuto di dover portare a conoscenza dei compagni la nostra irrevocabile condanna del pacifismo e dell’astratta predicazione della pace, in quanto mistificazione borghese (mozione del nostro par- tito, distribuita a Zimmerwald, in tedesco, nell’opuscolo II socialismo e la guerra e, in francese, in un foglio in cui erano tradotte le riso- luzioni 94 ). La sinistra di Zimmerwald , alla cui formazione abbiamo dato il nostro apporto, si è organizzata separatamente, nel corso della conferenza, appunto per dimostrare che noi sosteniamo l’unione di Zim- merwald nella misura in cui lotta contro il socialsciovinisrno. Ma proprio oggi si è chiarito in maniera definitiva — ne siamo profondamente convinti — che la maggioranza di Zimmerwald, o destra zimmerwaldiana, si è orientata interamente non verso la lotta contro il socialsciovinisrno, ma verso la resa a discrezione, verso la fusione con il socialsciovinisrno, sulla piattaforma di una vuota fraseologia pacifistica. E noi consideriamo nostro dovere dichiarare apertamente ABBOZZO DI TESI 217 che, in queste condizioni, si reca il massimo danno al movimento ope- raio alimentando le illusioni sulla unità di Zimmerwald e sulla sua lotta per la III Internazionale. Non per «minacciare» o presentare un « ultimatum », ma per far conoscere pubblicamente la nostra deci- sione, dichiariamo che, se tale situazione resterà immutata, noi usci- remo dairunione di Zimmerwald. Scritto prima del 25 dicembre 1916 (7 gennaio 1917). Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. A V. A. KARP1NSKI 05 Cari compagni, vi comunico una notizia importantissima. Esaminatela voi stessi e trasmettetela quindi a Brilliant e a Guil- beaux: si vedrà adesso a favore di chi sono e che cosa sono: dei vigliac- chi o degli uomini capaci di lottare. Tutta la lotta si sposterà ormai su questo punto. Informatemi sul loro atteggiamento e sulla possibilità di pubbli- care una protesta o una lettera aperta. Bisogna sfruttare la circostanza che Naine è un’autorità indiscussa nella Svizzera francese. Con i migliori saluti vostro Domenica, 7 gennaio 1917, si è tenuta a Zurigo una riunione della direzione (Parteivorstand) del partito socialista svizzero. È stata approvata l’infame decisione di rinviare a tempo indeter- minato il congresso del partito, già convocato per l’il febbraio 1917, a Berna, per discutere specificamente la questione della guerra. Le motivazioni: bisogna lottare contro il carovita; gli operai non sono preparati; in sede di commissione non si è raggiunta Tunanimità, ecc.; le motivazioni sono assolutamente derisorie nei confronti del partito. (La commissione aveva già preparato e stampato in via confidenziale due progetti: uno di Affolter, Nobs, Schmid, Naine e Graber contro la difesa della patria; l'altro di G. Muller, Pfluger, Huber e Kloti per la difesa della patria.) La seduta del 7 gennaio è stata molto tempestosa. Grimm vi ha capeggiato la destra, cioè gli opportunisti, i nazionalisti, gridando A V A. KARPINSKI 219 frasi infami contro gli « stranieri », contro i giovani e muovendo ac- cuse di « scissionismo » (!!!), ecc. Naine, Platten, Nobs, Miinzenberg sono intervenuti energicamente contro il rinvio del congresso. Naine ha detto francamente a Grimm che si stava screditando come « segretario intemazionale »! La decisione adottata significa che Grimm è un traditore e che i capi opportunisti, i socialnazionalisti, si prendono giuoco del partito . Un pugno di capi (Grimm compreso), che minacciano di rassegnare il loro mandato (sic!), se ci si rifiuterà di difendere la patria, e che hanno deciso di non far discutere il problema dalla « plebaglia » del partito sino alla fine della guerra, ha trasformato tutta l’unione di Zimmerwald-Kienthal e la sua azione in vuota fraseologia. Il Grutlia - ner (del 4 e dell’8 gennaio) dice la verità , prendendo a schiaffi un tale partito. Tutta la lotta della sinistra, tutta la lotta per Zimmerwald e Kienthal si sposta oggi su un altro piano: è la lotta contro questa cricca di capi che hanno disonorato il partito. Bisogna riunire dap- pertutto gli elementi di sinistra e discutere sui mezzi di lotta. Mettetevi subito al lavoro! Il miglior mezzo di lotta (non c’è un minuto da perdere) non consisterà forse nel far approvare immediatamente risoluzioni di pro- testa a La Chaux de Fonds e a Ginevra, nel redigere lettere aperte a Naine e nel pubblicarle subito? Senza dubbio, i « capi » faranno di tutto per impedire che le proteste appaiano sui giornali. Nella lettera aperta bisogna esporre francamente tutto quello che si è detto qui e formulare con nettezza alcune domande: 1) può Naine smentire questi fatti? 2) ritiene ammissibile che in un partito democratico di socialisti una decisione congressuale venga annullata da una decisione della direzione? 3) ritiene ammissibile che si tenga il partito all’oscuro delle votazioni e dei discorsi pronunciati nella seduta del 7 gennaio 1917 dai traditori del socialismo? 4) ritiene am- missibile che si tolleri un presidente deirintemationale Sozialistische Kommission (Grimm) il quale, mentre pronuncia frasi di sinistra, aiuta i nazionalisti svizzeri, i nemici di Zimmerwald, i « difensori della pa- tria » Pfluger, Huber e soci nel sabotaggio pratico delle decisioni di Zimmerwald? 5) ritiene ammissibile che nella Berner Tagwacht si 220 LENIN inveisca contro i socialpatrioti tedeschi, mentre in segreto si aiutano i socialpatrioti svizzeri? ecc. Lo ripeto, non faranno uscire niente sui giornali. Questo è evi- dente. La cosa migliore è di pubblicare una lettera aperta a Naine, a nome di un gruppo qualsiasi. Se la cosa è possibile, affrettatevi e rispondete subito. Scritta il 26 dicembre 1916 (8 gennaio 1917). Pubblicata per k prima volta in Miscellanea di Lenin, XI, 1929. LETTERA APERTA A CHARLES NAINE MEMBRO DELLA COMMISSIONE SOCIALISTA INTERNAZIONALE DI BERNA Caro compagno, il discorso con cui, nella seduta della direzione del partito del 7 gennaio u.s.,. il signor consigliere nazionale Robert Grimm si è associato a tutti i socialnazionalisti e si è posto in gran parte alla loro testa, sostenendo il rinvio del congresso, è la goccia che fa traboccare il vaso della nostra pazienza e strappa definitiva- mente la maschera al consigliere nazionale R. Grimm. Il presidente della Commissione socialista internazionale eletta a Zimmerwald, il presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kien- thal, il rappresentante piu « autorevole » dell’unione zimmerwaldiana dinanzi a tutto il mondo, interviene insieme con i socialpatrioti e alla loro testa, tradendo apertamente lo spirito di Zimmerwald; interviene proponendo di non tenere un congresso di partito, che era stato già con- vocato da tempo appunto per risolvere — nel paese piu libero e, date le condizioni di tempo e di luogo, più influente d’Europa sul piano intemazionale — il problema della difesa della patria nella guerra imperialistica! Si può forse tacere? Si può forse non perdere la calma di fronte a un fatto che disonorerebbe e ridurrebbe per sempre a una pura commedia l’intero movimento zimmerwaldiano, se al consigliere na- zionale R. Grimm non venisse strappata la maschera? Tra i partiti socialisti europei il partito svizzero è il solo che abbia dato apertamente e ufficialmente la sua adesione a Zimmerwald, in un congresso pubblico, senza essere intralciato dalla censura e dalle autorità militari; è il solo che abbia sostenuto Zimmerwald e designato due membri nella Commissione socialista internazionale; è iì solo che, ad eccezione del partito italiano, postò in condizioni infinitamente più 222 LENIN difficili dallo stato di guerra, sia intervenuto dinanzi a tutto il mondo come il principale rappresentante del movimento di Zimmerwald. Eb- bene, proprio nel partito socialista svizzero, che al congresso di Zurigo, tenutosi il 4 e il 5 novembre 1916, aveva irrevocabilmente deciso (dopo lunghi indugi, provocati fra Taltro dalla lotta contro i social- patrioti dichiarati, che si erano scissi dal partito per costituire il Griitli-Verein solo nell’autunno 1916) di convocare a Berna, nel feb- braio 1917, un congresso straordinario per risolvere la questione della guerra e della difesa della patria; ebbene, proprio in questo partito si è trovata gente decisa a impedire il congresso, a farlo fallire, a non dar modo agli stessi operai di discutere e risolvere, proprio in tempo di guerra, il problema delPatteggiamento da prendere nei con- fronti del militarismo e della difesa della patria. E alla testa di questa gente, la cui politica è un insulto a tutto il movimento zimmerwaldiano, si trova adesso il presidente della Commissione socialista internazionale! Non è questo un completo tradimento di Zimmerwald? Non si sputa in tal modo su tutte le decisioni di Zimmerwald? Basta dare uno sguardo ad alcuni dei motivi con cui si giustifica ufficialmente il rinvio del congresso, per comprendere appieno il signi- ficato di questa misura. «Gli operai, lo vedete voi stessi, non sono 'ancora preparati» a risolvere questo problema! Tutti i manifesti e le risoluzioni di Zimmerwald e Kienthal ripetono piu volte che la difesa della patria in una guerra imperiali- stica, cioè in una guerra combattuta fra due coalizioni imperialistiche per predare le colonie e strangolare le nazioni deboli, è un tradimento del socialismo, sia che si tratti di « grandi potenze » o invece di piccole nazioni rimaste finora neutrali. Tutti i documenti ufficiali di Zimmer- wald e di Kienthal espongono quest’idea in decine di toni. Tutti i giornali socialisti svizzeri, e in particolare la Berner Tagwacht , diretta dal consigliere nazionale R. Grimm, hanno masticato e rimasticato quest’idea in centinaia di articoli e corsivi. Centinaia di volte si è sottolineato, nelle dichiarazioni di solidarietà con K. Liebknecht, Hò- glund, MacLean, ecc., che questi militanti, per unanime riconoscimento degli zimmerwaldiani, hanno compreso esattamente la situazione e gli interessi delle masse che la simpatia delle masse, cioè della maggio- LETTERA APERTA A CHARLES NAINE 223 ranza degli oppressi e degli sfruttati, è dalla loro parte, che dapper- tutto — tanto nella « grande » Germania belligerante quanto nella piccola Svezia neutrale — i proletari afferrano con il loro istinto di classe la verità, capiscono cioè che la difesa della patria nella guerra imperialistica è un tradimento del socialismo Ma oggi il presidente della Commissione socialista internazionale, con l’entusiastico consenso e il sostegno appassionato di tutti i rap- presentanti dichiarati del socialpatriottismo in seno al partito socialista svizzero, H. Greulich, R. Pfliiger, Huber, Manz-Schappi, ecc., ecc., difende ripocrita e falsa argomentazione secondo cui il congresso del partito verrebbe rinviato perché « gli operai non sono preparati ». Si tratta di un’ipocrisia e di una menzogna ripugnante, intolle- rabile. Tutti sanno — e il Grutl'taner scrive apertamente quest’amara verità — che il congresso viene rinviato perché i suddetti socialpa- trioti temono gli operai, temono una decisione degli operai contra- ria alla difesa della patria e minacciano di rassegnare i mandati al Nationalrat, se si deciderà di respingere la difesa della patria. I « capi » socialpatriottici del partito socialista svizzero, che sono tuttora, a due anni e mezzo dallo scoppio della guerra, favorevoli alla « difesa della patria », cioè alla difesa della borghesia imperialistica dell’una o dell’altra coalizione, hanno deciso di far fallire il congresso , di fru- strare la volontà degli operai socialisti svizzeri, di non dar loro il modo di discutere durante la guerra e di definire il proprio atteggiamento verso la guerra e i « difensori della patria », cioè verso i lacchè della borghesia imperialistica. Ecco la causa reale e ben nota del rinvio del congresso. Ecco come il presidente della Commissione socialista internazionale, passato dalla parte dei socialpatrioti del partito socialista svizzero, contro gli operai svizzeri coscienti, tradisce Zimmerwald! È questa l’amara verità già espressa dal Griitlianer , che proclama apertamente il suo socialpatriottismo, che tra l’altro è sempre perfetta- mente al corrente di ciò che pensano e fanno i capi grutlìanv. Greu- lich, Pfliiger, Huber, Manz-Schàppi e soci, in seno al partito socialista, e che, si noti, tre giorni prima della seduta del 7 gennaio 1917 scri- veva 96 : Altra motivazione « ufficiale » del rinvio del congresso: la com- missione, appositamente eletta nel dicembre o addirittura nel novem- 224 LENIN bre 1916 per la stesura delle risolu 2 Ìoni sul problema della guerra, «non è giunta a una decisione unanime»! Come se Grimm e soci già non sapessero in anticipo che, su questo problema, è impossibile realizzare l’unanimità, nel partito so- cialista svizzero, fino a che restano nelle sue file e non passano al partito socialpatriottico di Gnidi certi « capi » come Greulich, Pfliiger, G. Mùller, Manz-Schàppi, Otto Lang, ecc., i quali condividono intera- mente le posizioni socialpatriottiche della Lega di Gnidi e con la loro adesione al partito socialista non fanno che ingannare gli operai so- cialisti! Come se Grimm e soci non avessero già visto chiaramente, nel- l’estate del 1916, quando furono pubblicate le tesi socialpatriottiche di Pfliiger, G. Miiller e altri, che sulla questione della difesa della patria non esisteva e non poteva esistere unanimità; come se Grimm non avesse potuto rendersi conto migliaia di volte al Nationalrat delle concezioni socialpatriottiche di Greulich e soci, se non addirittura della maggioranza del gruppo parlamentare socialdemocratico! Grimm e soci cercano di turlupinare gli operai socialisti della Svizzera. Per questo motivo, nel designare la commissione, non hanno comunicato i nomi dei suoi componenti. Ma il G rutilane r ha detto la verità quando ha rivelato questi nomi, aggiungendo, come un trui- smo, che una commissione cosi composta non poteva giungere a una decisione unanime! Per ingannare gli operai, Grimm e soci hanno deciso di non pubblicare immediatamente le risoluzioni della commissione e di na- sconder loro la verità. Ma le risoluzioni erano pronte già da tempo ed erano s t a te addirittura stampate in via confidenziale\ Com’era da aspettarsi, i nomi di Huber, Klòti, G. Mùller figurano in calce alla risoluzione che accetta la « difesa della patria », che giu- stifica cioè il tradimento del socialismo durante una guerra di cui si è già denunciato mille volte il carattere imperialistico! I nomi di Nobs, Affolter, Schmid, Naine, Graber figurano in calce alla risolu- zione che condanna la « difesa della patria ». Potete cosi vedere con. quanta impudenza e infamia Grimm e i socialpatrioti si prendano giuoco degli operai socialisti. Gridano che gli operai non sono preparati e lo fanno nel momento LETTERA APERTA A CHARLES NAINE 225 in cui essi stessi nascondono agli operai delle risolu- zioni già pronte, che espongono chiaramente due diversi or- dini d’idee, due politiche inconciliabili: la politica socialpatriottica e la politica di Zimmenvald! Grimm e i sorialpatrioti ingannano impudentemente gli operai, perché, mentre hanno deciso di far fallire il congresso» di non pub- blicare le risoluzioni, di non dar modo agli operai di esaminare e discutere apertamente le due politiche, si mettono poi a strepitare sulla « impreparazione » degli operai! Altre argomentazioni « ufficiali » a favore del rinvio del con- gresso: bisogna lottare contro il carovita, fare la campagna eletto- rale, ecc. Queste argomentazioni sono una pura e semplice presa in giro nei confronti degli operai. Chi ignora infatti che noi socialdemocratici non siamo contrari alla lotta per le riforme, ma che, a differenza dei sorialpatrioti, a differenza degli opportunisti e dei riformisti, non ci limitiamo a questa lotta e la subordiniamo alla lotta per la rivo- luzione? Chi ignora che questa linea politica è stata enunciata esplicita- mente e più volte nei manifesti di Zimmerwald e di Kienthal? Noi non siamo contrari alle elezioni e alle riforme con cui si riduce il costo della vita, ma poniamo in primo piano il dovere di dire francamente alle masse la verità, di dire cioè che. non si può liquidare il carovita, se non si espropriano le banche e le grandi imprese, se non si realizza quindi la rivoluzione sociale. A che cosa ogni manifesto dell’unione di Zimmerwald incita il proletariato in risposta o in rapporto alla guerra? Alla lotta rivoluzionaria di massa, a rivolgere le armi contro il nemico che si annida nel proprio paese (si veda Tultimo appello del- rinternationale Sozialistische Kommission « an die Arbeiterklasse », della fine di dicembre del 1916), cioè a rivolgere le armi contro la propria borghesia, contro il proprio governo. Non è quindi evidente, per chiunque sia capace di riflettere, che la politica del rifiuto di difendere la patria è connessa con un’azione veramente rivoluzionaria e socialista contro il carovita? con Tutilizza- zione veramente socialista, e non riformistico-borghese, della campagna elettorale? Non è quindi evidente che la politica socialpatriottica, di « difesa 8-2617 226 LENIN della patria » nella guerra imperialistica, è una politica riformìstica, cioè riformistico-borghese, e n o n una politica di lotta socialista contro il carovita e di lotta nella campagna elettorale? Come si può « rinviare » un congresso chiamato a risolvere la questione della «difesa della patria» (a scegliere cioè tra una politica so cialpatriottica e una politica socialista) « col pretesto » di combattere il carovita, ecc.? Con quest’argomento falso e ipocrita Grimm e i so cialpatrioti vorrebbero nascondere agli operai la verità, cioè il loro proposito di lottare contro il carovita, fare le elezioni, ecc. nello .spirito del riformismo borghese, e non nello spirito di Zimmerwald? II 6 agosto 1916 Grimm ha preso la parola a Zurigo, davanti a 115 Arbeitervetrauensleute aus der ganzen Schweiz 97 , e ha esposto un programma riformistico-borghese, e unicamente riformistico, di lotta contro il carovita! Grimm avanza « con passo sicuro » verso la sua mèta : ravvicinamento ai socialpatrioti contro gli operai socialisti, con- tro Zimmerwald. Ma la cosa piu ripugnante è che Grimm, per dissimulare il suo passaggio ai socialpatrioti, accentri le sue invettive contro i social- patrioti non svizzeri. Ecco una delle cause più profonde del suo tra- dimento, una delle ragioni più intime di tutta la politica mistificatoria messa a nudo il 7 gennaio 1917. Si scorra la Werner Tagwacht : quali ingiurie questo giornale non ha lanciato all’indirizzo dei socialpatrioti russi, francesi, inglesi, tede- schi, austriaci, di tutti i paesi insomma.,, eccettuati gli svizzeri? Grimm è arrivato a qualificare il socialpatriota tedesco Ebert, membro della direzione del partito socialdemocratico tedesco, come un « Raussch- meisser in einem Bordell » (Berner Tagwacht , n. ... del . . Non è forse un ardimentoso questo Grimm? Che prode cavaliere! Con quanto coraggio attacca, da Berna, i socialpatrioti... di Berlino! Con quanta nobiltà tace , il nostro paladino, sui socialpiatrioti... di Berna e di Zurigol Ma in che si distingue il berlinese Ebert dai zurighesi Greulich, Manz-Schàppi, Pfluger e dai bernesi Miiller, Scbneeberget, Dùrr? Pro- prio in niente. Sono tutti socialpatrioti . Sono tutti attestati sulla stessa posizione di principio. E diffondono tra le masse non le idee socia- liste, ma le idee « griitliane », cioè riformistiche, nazionalistiche, borghesi. LETTERA APERTA A CHARLES NAINE 227 NelPestate del 1916, Grimm, concludeva le sue tesi sulla guerra, redatte in una forma intenzionalmente prolissa e confusa, con la speranza di trarre in inganno sia la sinistra che la destra e di « gio- care » sulle divergenze fra le due correnti, con la seguente proposizione: « Gli organi del partito » devono « accordarsi con le organizza- zioni sindacali del paese » (dinanzi al pericolo di guerra e alla neces- sità delle azioni rivoluzionarie di massa). Ma chi sta alla testa dei sindacati in Svizzera? Non vi sono, fra gli altri, gli stessi Schneeberger e Diirr che, nell’estate del 1916, redi- gevano la Scbtveizerische Metallarbeiterzeitung , imprimendo al giornale un orientamento reazionario, riformistico, socialpatriottico, dichiaran- dosi apertamente favorevoli alla « difesa della patria » e insorgendo apertamente contro tutta la politica di Zimmerwald? E il partito socialista svizzero, come si è accertato ancora una volta il 7 gennaio 1917, non è forse diretto dai socialpatrioti Greulich, Pflùger, Manz-Schàppi, Huber, ecc.? Quale è allora la conclusione? La conclusione è che Grimm proponeva al partito, nelle sue tesi, di affidare la direzione della lotta rivoluzionaria di massa contro la guerra proprio ai socialpatrioti Schneeberger, Durr, Greulich, Pfliiger e soci! Proprio ai nemici di questa lotta, proprio ai r i formi s t ili Oggi, dopo il 7 gennaio 1917, la « tattica » di Grimm è stata smascherata da cima a fondo. Egli vuol essere considerato il capo della sinistra, il presidente della Commissione socialista internazionale, il rappresentante e il dirigente degli zimmerwaldiani, e inganna gli operai con frasi « rrrivoluzionarie » d’ogni genere, di cui si serve in realtà per dissimulare la vecchia prassi socialpatriottica e riformistico-borghese del partito. Giura e spergiura di solidarizzare con K. Liebknecht, Hòglund, ecc., di essere un loro fautore, di seguire la loro politica. Senonché, K. Liebknecht in Germania e Hoglund nella piccola Svezia neutrale non hanno lottato contro i socialpatrioti stranieri , ma contro quelli di casa propria, hanno attaccato i riformisti e i naziona- listi a Berlino, a Stoccolma, e non in altri paesi. Con la loro implaca- bile denuncia dei socialpatrioti si sono conquistati, con onore, l’odio 8 * 228 LENIN dei Greulich, dei Pflùger, degli Schneeberger e dei Diirr di Berlino e di Stoccolma. È proprio difficile capire che, quando gli sciovinisti francesi esal- tano il tedesco Liebknecht e gli sciovinisti tedeschi Tinglese MacLean, essi agiscono da furfanti, mirando a dissimulare il proprio nazionalismo con frasi « internazionalistiche » di elogio per l’internazionalismo altrui ? È proprio difficile capire che Grimm agisce esattamente nello stesso modo, quando inveisce contro i socialpatrioti di tutti i paesi, eccettuati gli svizzeri, e che fa questo solo per dissimulare il suo passaggio nelle file dei socialpatrioti svizzeri? Grimm ha ingiuriato il socialpatriota tedesco Ebert, qualifican- dolo come un « Rausschmeisser in einem Bordell », perché Ebert ha privato gli operai tedeschi del Vorwàrls, perché, pur strepitando contro la scissione, ha espulso e continua a espellere dal partito gli elementi di sinistra. Ebbene, che altro fa Grimm in casa propria, in Svizzera, insieme con i miserevoli eroi del miserevole 7 gennaio 1917? Non ha forse privato gli operai svizzeri di un congresso straordi- nario che era stato promesso solennemente e che doveva dibattere sulla difesa della patria? E, mentre strepita contro la scissione, non si pre- para a espellere dal partito gli zimmerwaldiani? Non siamo dunque puerilmente ingenui e guardiamo in faccia la verità! Nella riunione del 7 gennaio 1917 i nuovi amici e protettori di Grimm, i socialpatrioti, hanno strepitato insieme con lui contro la scissione, accusando di attività scissionistica soprattutto l’organizza- zione giovanile, e uno di loro ha addirittura rimproverato al segretario del partito, Platten, che « er sei kein Parteisekretàr, er sei Partei- verràter ». Si può forse tacere quando si dicono di queste cose e quando i « capi » vogliono nasconderle al partito? È mai possibile che gli operai socialisti svizzeri non s’indignino per tali metodi? Qual è la colpa dell’Unione della gioventù e di Platten? Il loro unico torto è di essere sinceramente fedeli a Zimmerwald, di essere zimmerwaldiani leali, e non dei carrieristi. Il loro unico torto è di essere contrari al rinvio del congresso. E, se qualche ciarlatano va blaterando che solo gli zimmerwaldiani di sinistra, in quanto frazione. LETTERA APERTA A CHARLES NAINE 229 sono contrari al rinvio del congresso, come in generale « a sua altezza Grimm », il 7 gennaio 1917 non ha forse dimostrato che si tratta di un pettegolezzo? Non vi siete forse pronunciato contro Grimm anche voi, compagno Ch. Naine, che non avete mai aderito direttamente o indirettamente, formalmente o in via di fatto, alla sinistra di Zim- merwald? L’accusa di scissionismo: ecco la logora accusa di cui si ser- vono oggi i socialpatrioti di tutti i paesi per nascondere il fatto che sono proprio loro a espellere dal partito i Liebknecht e i Hòglund! Scritta il 26-27 dicembre 1916 (8-9 gennaio 1917). Pubblicata per la prima volta in Prolctarskaia revoliutsia, 1924, 4. AGLI OPERAI CHE SOSTENGONO LA LOTTA CONTRO LA GUERRA E CONTRO I SOCIALISTI CHE SI SONO SCHIERATI CON I LORO GOVERNI La situazione internazionale diviene sempre piu chiara e minac- ciosa, Il carattere imperialistico della guerra è stato messo a nudo con singolare evidenza, negli ultimi tempi, dalle due coalizioni belli- geranti. Le frasi pacifistiche, le frasi sulla pace democratica, sulla pace senza annessioni, ecc. vengono smascherate tanto più rapidamente in tutta la loro falsità e inconsistenza, quanto più intenso è lo zelo con cui i governi dei paesi capitalistici e i pacifisti borghesi e socia- listi le mettono in circolazione. La Germania soffoca varie piccole na- zioni, tenendole sotto il suo tallone di ferro con l’evidentissima volontà di non mollare la preda se non scambiandone una parte con gli ster- minati possedimenti coloniali, e camuffa il suo desiderio di concludere subito una pace imperialistica con ipocrite frasi pacifistiche. L'Inghilterra e i suoi alleati si tengono altrettanto saldamente le colonie tedesche di cui si sono impadroniti, una parte della Turchia, ecc., dando il nome di lotta per una pace « giusta » all’ interminabile prosecuzione della carneficina per conquistare Costantinopoli, strango- lare la Galizia, spartirsi l’Austria e depredare la Germania. La verità che all’inizio della guerra era un convincimento teorico di pochi — la verità cioè che non si può affatto parlare di lotta seria contro la guerra, di lotta per la soppressione delle guerre e l’in- staurazione di una pace durevole, senza l’azione rivoluzionaria delle masse di ciascun paese, dirette dal proletariato, contro i propri go- verni, senza il rovesciamento del dominio borghese, senza la rivo- luzione socialista — diviene ora d’una evidenza tangibile per un nu- mero sempre più grande di operai coscienti, La guerra stessa, impo- nendo ai popoli una tensione di forze che non ha precedenti, sospinge Tumanità verso quest’unico sbocco dal vicolo cieco in cui si trova, AGLI OPERAI 231 costringendola a percorrere a passi da gigante la via del capitalismo di Stato e mostrando nella pratica come si debba e si possa organizzare un’economia sociale pianificata, non neirinteresse dei capitalisti, ma espropriandoli e agendo, sotto la guida del proletariato rivoluzionario, nelPinteresse delle masse, che sono oggi vittime della fame e delle altre calamità della guerra, Quanto più questa verità diviene evidente, tanto più si approfon- disce l’abisso tra le due tendenze, le due politiche, i due indirizzi in- conciliabili delazione socialista, che abbiamo già indicato a Zimjner- wald, intervenendo separatamente come sinistra zimmerwaldiana e indirizzando, all’indomani di Zimmerwald, un manifesto della sinistra a tutti i partiti socialisti e a tutti gli operai coscienti. È l’abisso tra chi tenta di occultare il palese fallimento del socialismo ufficiale e il pas- saggio dei suoi esponenti dalla parte della borghesia e del governo, nonché di far accettare alle masse questo radicale tradimento del socia- lismo, da un lato, e chi aspira, dall’altro lato, a rivelare la profondità di questo fallimento, a denunciare la politica borghese dei « socialpa- trioti », che hanno disertato il campo del proletariato per assodarsi alla borghesia, a strappare le masse alla loro influenza, a creare la possibilità e la base organizzativa per una lotta efficace contro la guerra. La destra, che costituiva a Zimmerwald la maggioranza, ha lot- tato con tutte le sue forze contro l’idea della scissione dai socialpa- trioti, contro la creazione della III Internazionale. Da allora questa scis- sione è divenuta un fatto compiuto in Inghilterra, mentre in Germania l’ultima conferenza dell’« opposizione » (7 gennaio 1917) ha dimo- strato a chiunque non chiuda gli occhi di proposito che, in realtà, anche in questo paese operano, in direzioni diametralmente opposte, due partiti operai irriducibilmente ostili: l’uno socialista, che agisce in gran parte illegalmente e conta fra i suoi capi K, Liebknecht; l’altro interamente borghese, socialpatriottico, che si sforza di ricon- ciliare gli operai con la guerra e con il governo. Non c’è un solo paese nel mondo in cui non si sia manifestata un’analoga scissione. A Kienthal la destra di Zimmerwald non aveva già più una mag- gioranza abbastanza stabile per continuare la sua politica; essa ha vo- tato una risoluzione che condanna recisamente H soc i a lpa: riottico Ufficio sodalista internazionale e una risoluzione contro il socialpacifismo che 232 f.ENIN mette in guardia gli operai contro le menzogne delle frasi pacifistiche, comunque siano imbellettate. Il pacifismo socialista, che non svela agli operai il carattere illusorio della speranza di ottenere la pace senza abbattere la borghesia e organizzare il socialismo, non fa che ripetere il pacifismo borghese, che induce gli operai ad aver fiducia nella borghesia, abbellisce i governi imperialistici e i loro compromessi, distoglie le masse dalla rivoluzione socialista, ormai matura e posta alFordine del giorno dai fatti stessi. Ebbene, quale è la conclusione? Dopo Kienthal, in molti grandi paesi, in Francia, in Getmania, in Italia, la destra di Zimmerwald è precipitata in tutto e per tutto in quel socialpacifismo che a Kienthal era stato condannato e respinto! In Italia il partito socialista si è tacitamente adattato alla fraseologia pacifistica del gruppo parlamen- tare e del suo principale oratore, Turati, benché, proprio oggi, le stesse identiche frasi siano usate dalla Germania, dall’Intesa e dai rappresen- tanti dei governi borghesi di molti paesi neutrali, dove' la borghesia si è arricchita e continua ad arricchirsi scandalosamente in virtù della guerra, benché, proprio oggi, sia apparsa evidente la falsità di queste frasi pacifistiche, che, di fatto, servono soltanto a mascherare una nuova svolta nella lotta per la spartizione del bottino imperialistico! In Germania, Kautslcy, capo della destra di Zimmerwald, ha lan- ciato un analogo manifesto pacifistico, che non dice niente e a niente impegna, che di -fatto alimenta negli operai la fiducia nella borghesia e nelle illusioni e che i veri socialisti e internazionalisti tedeschi, il gruppo « Internazionale » e il gruppo dei « Socialisti internazionalisti di Germania », i quali applicano la tattica di Karl Liebknecht, hanno dovuto respingere ufficialmente. In Francia, Merrheim e Bourderon, che erano presenti a Zimmer- wald, e Raffin-Dugens, che ha preso parte alla conferenza di Kienthal, votano a favore di risoluzioni pacifistiche assolutamente vuote, intera- mente false, per il loro significato oggettivo, e tanto utili, nell’attuale stato di cose, alla borghesia imperialistica che vengono approvate dagli stessi Jouhaux e Renaudel, dei quali, in ogni dichiarazione di Zimmer- wald e Kienthal, si dice che tradiscono il socialismo! Il voto comune di Merrheim, Jouhaux e Bourderon e quello di Raffin-Dugens e Renaudel non sono un caso fortuito, un episodio isolato, ma un simbolo evidente della fusione , ormai matura dapper AGLI OPERAI 233 tutto, dei socialpatrioti e dei socialpacifisti contro i socialisti interna- zionalisti. Le frasi pacifistiche contenute nelle note di un buon numero di governi imperialistici, le analoghe frasi pacifistiche di Kautsky, Turati, Bourderon e Merrheim (la mano di Renaudel è amichevolmente tesa agli uni e agli altri): ecco che cosa svela la funzione del pacifismo nella politica reale, in quanto consolazione dei popoli, in quanto mezzo per agevolare ai governi la sottomissione delle masse nella carneficina imperialistica! Il completo fallimento della destra di Zimmerwald è stata ancor piu evidente in Svizzera, il solo paese d'Europa dove gli zimmerwal- diani potevano riunirsi liberamente e avere una propria base. Il partito socialista svizzero, che durante la guerra ha tenuto i suoi congressi senza alcun intralcio da parte del governo e che aveva piu d’ogni altro partito la possibilità di favorire Punita internazionale degli operai tedeschi, francesi e italiani contro la guerra, ha aderito formalmente a Zimmerwald. Ma il consigliere nazionale R. Grimm, uno dei capi del partito, presidente delle conferenze di Zimmerwald e- di Kienthal, membro e rappresentante autorevole della Commissione socialista internazionale di Berna, in una questione decisiva per un partito proletario, si è schierato con i socialpatrioti del suo paese, facendo approvare, nella seduta del 7 gennaio 1917 della direzione del partito socialista sviz- zero, una risoluzione sul rinvio a tempo indeterminato di un con- gresso appositamente convocato per risolvere il problema della difesa della patria e dell'atteggiamento da tenere verso i documenti di Kien- thal che condannavano il socialpacifismo! Nell’appello del dicembre 1916, firmato dalITnternationale Sozia- listische Kommission, Grimm definisce ipocriti i discorsi pacifistici dei governi e non fa parola del pacifismo socialista che ha riunito Merr- heim e Joùhaux, Raffin-Dugens e Renaudel. In quest’appello Grimm incita le minoranze socialiste a combattere contro i governi e contro i loro mercenari socialpatriottici, ma nello stesso tempo, d’accordo con i « mercenari socialpatriottici » del suo partito, seppellisce il con- gresso, suscitando la legittima indignazione di tutti gli operai svizzeri coscienti e sinceramente internazionalisti. Nessun pretesto può mascherare il fatto che la decisione del Par- 234 LENIN teivorstand del 7 gennaio 1917 ha il preciso significato di una vittoria completa dei socialpatrioti sugli operai socialisti svizzeri, dei nemici di Zimmerwald su Zimmerwald. Il giornale dei servi fedeli e inveterati della borghesia in seno al movimento operaio, il Grutlianer y ha detto una verità universalmente nota quando ha dichiarato che i socialpatrioti come Greulich e Pfluger, ai quali si possono e si devono aggiungere Seidel, Huber, Lang, Schneeberger, Diirr, ecc., vogliono impedire il congresso, impedire che gli operai risolvano il problema della difesa della patria, e minacciano di rassegnare i mandati qualora il congresso venga convocato e il problema sia risolto nello spirito di Zimmerwald. Grimm ha mentito in maniera nauseante e scandalosa tanto nella riunione del Parteivorstand quanto nel suo giornale, la Berner Tag - waeht , dell’8 gennaio 1917, dove ha tentato di giustificare il rinvio del congresso con l’impreparazione degli operai, con la necessità di condurre una campagna contro il carovita, con l’adesione della « sini- stra » al rinvio ", ecc. In effetti, proprio la sinistra, cioè gli zimmerwaldiani sinceri, cercando da un lato il minor male e volendo dall’altro smascherare le reali intenzioni dei socialpatrioti e del loro nuovo amico Grimm, hanno proposto un rinvio al mese di marzo , hanno votato a favore del rinvio al mese di maggio , hanno chiesto di fissare in luglio la scadenza per le direzioni cantonali; i « difensori della patria », con alla testa R. Grimm, presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, hanno respinto tutte queste proposte!! In effetti, il problema si pone precisamente in questi termini: bisogna tollerare che PInternationale Sozialistische Kommission di Berna e il giornale di Grimm coprano d’ingiurie i socialpatrioti stra- nieri e proteggano dapprima con il loro silenzio, quindi con la diser- zione di R. Grimm, i socialpatrioti svizzeri , o bisogna svolgere invece una politica internazionalistica onesta, lottando anzitutto contro i socialpatrioti del proprio paese? In effetti, il problema si pone in questi termini: bisogna occultare con una fraseologia rivoluzionaria il predominio dei socialpatrioti e dei riformisti in seno al partito svizzero, o bisogna agire invece con un programma e con una tattica rivoluzionari, tanto nella lotta contro AGLI OPERAI 235 il carovita, quanto in quella contro la guerra e nel mettere all’ordine del giorno la lotta per la rivoluzione socialista? In effetti, il problema si pone in questi termini: bisogna tollerare che Zimmerwald riprenda le peggiori tradizioni della II Intemazionale, fallita vergognosamente, che le masse operaie siano tenute all’oscuro di ciò che dicono e decidono i loro capi nel Parteivorstand e che la fraseologia rivoluzionaria copra l’immondizia socialpatriottica e rifor- mistica, o bisogna essere invece veramente internazionalisti? In effetti, il problema si pone precisamente in questi termini: bisogna volere anche in Svizzera, il cui partito socialista ha un’impor- tanza decisiva per tutta l’unione di Zimmerwald, una divisione netta, di principio, politicamente onesta, tra i socialpatrioti e gli interna- zionalisti, tra i riformisti borghesi e i rivoluzionari, tra i consiglieri del proletariato che aiutano gli operai a fare la rivoluzione socialista e gli agenti o « stipendiati » della borghesia che con le riforme e con le promesse di riforme aspirano a distogliere gli operai dalla rivoluzione, tra i grutliani e il partito socialista, o bisogna invece seminare la di- scordia e la corruzione nella coscienza degli operai, realizzando nel partito socialista la politica « griitliana » dei socialpatrioti, dei grutliani che militano in questo partito? Inveiscano pure contro gli stranieri i socialpatrioti svizzeri, questi « grutliani » che cercano di svolgere in seno al partito la politica di Griitli, cioè la politica della loro borghesia nazionale! Impediscano agli altri partiti di criticare il partito svizzero con il pretesto della sua « intangibilità »! Difendano la vecchia politica riformistico-borghese che ha condotto al fallimento del 4 agosto 1916 il partito tedesco e gli altri partiti! Noi, che sosteniamo Zimmerwald non a parole ma nei fatti, concepiamo molto diversamente Pinternazionalismo. Non siamo disposti ad accogliere in silenzio il disegno, ormai defi- nitivamente chiaro e consacrato dallo stesso presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, di lasciar tutto immutato nel putrido socialismo europeo e di eludere , mediante un’ipòcrita dichiarazione di solidarietà con K. Liebknecht, la concreta parola d’ordine di questo capo degli operai internazionalisti, il suo appello a lavorare per « rige- nerare dall’alto in basso » i vecchi partiti. Siamo convinti di avere al nostro fianco tutti gli operai coscienti, che in tutto il mondo hanno appoggiato entusiasticamente K. Liebknecht e la sua tattica. 236 LENIN Noi denunciamo pubblicamente la destra di Zimmerwald, che si è schierata sulle posizioni del pacifismo riformistico-borghese. Noi denunciamo pubblicamente il tradimento di Zimmerwald da parte di R. Grimm ed esigiamo la convocazione di una conferenza che lo destituisca da membro dell’Internationale Sozialistische Kom- mission. Zimmerwald è la parola d’ordine del socialismo internazionalistico e della lotta rivoluzionaria. Questa parola non deve servire per camuf- fare il socialpatriottismo e il riformismo borghese. Per un vero internazionalismo, il quale esige che si lotti anzi- tutto contro i socialpatrioti del proprio paese! Per una vera tattica rivoluzionaria, che non può essere applicata quando ci si accordi con i socialpatrioti contro gli operai socialisti e rivoluzionari! Scrìtto alla fine di dicembre del 1916 (metà di gennaio del 1917). Pubblicato per la prima volta in Proletarskaia revoliutsia , 1924, 5. RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 99 Giovani amici e compagni, ricorre oggi il dodicesimo anniversario della « domenica di sangue », che è considerata a piena ragione come Tinizio della rivoluzione russa. Migliaia di operai, non socialdemocratici, ma credenti e sudditi fedeli, affluivano, sotto la guida del pop Gapon, da tutti i quartieri della capitale verso il centro, verso la piazza del Palazzo d’inverno, per consegnare allo zar una petizione. Gli operai procedevano recando le sacre icone, e Gapon, il loro capo, aveva già dichiarato per iscritto allo zar che si rendeva garante della sua incolumità personale e lo pregava quindi di mostrarsi al popolo. Vennero chiamati i soldati. Gli ulani e i cosacchi caricarono la folla all’arma bianca e spararono contro gli operai inermi, che, in ginocchio, supplicavano i cosacchi di farli andare dallo zar. Secondo i rapporti di polizia si contarono piu di mille morti e più di duemila feriti. L’indignazione degli operai toccò il culmine. Questo, a grandi linee, il quadro del 22 gennaio 1905, della « domenica di sangue ». Per chiarire meglio la portata storica di questo evento, leggerò alcuni brani della petizione degli operai. Il documento si apre con queste parole: « Noi, operai, abitanti di Pietroburgo, siamo venuti da Te. Noi siamo schiavi miserabili e umiliati, oppressi dal dispotismo e dall’arbi- trio. Quando il calice della pazienza fu colmo, cessammo di lavorare e pregammo i nostri padroni di darci quel tanto senza di cui la vita è un supplizio. Ma tutto questo ci fu rifiutato, tutto questo sembrò illegittimo ai fabbricanti. Noi che siamo qui in molte migliaia, al 238 LENIN pari di tutto il popolo russo, non abbiamo nessun diritto umano. Grazie ai Tuoi funzionari, siamo diventati schiavi ». La petizione elenca le seguenti richieste: amnistia, libertà civili, salario normale, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione di un'Assemblea costituente mediante il suffragio universale e uguale, e si conclude con queste parole: « Signore! Non rif iutarTi di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che Ti divide dal Tuo popolo! Ordina e giura che i nostri voti saranno appagati e Tu renderai felice la Russia. Se non lo farai, siamo pronti a morire qui, Noi abbiamo due sole vie: o la libertà e la felicità 0 la tomba ». Si prova oggi una strana impressione nel leggere questa petizione di operai incolti e analfabeti, guidati da un prete patriarcale. Senza volerlo si è indotti a istituire un parallelo tra l'ingenua petizione e le risoluzioni odierne dei socialpacif isti, cioè di coloro che vogliono essere socialisti ma sono di fatto solo dei ciarlatani borghesi. Gli operai non coscienti della Russia prerivoluzionaria non sapevano che lo zar è il capo della classe dominante o, meglio, dei grandi proprietari fondiari, 1 quali sono già legati per mille fili con la grande borghesia e sono pronti a difendere con tutti i mezzi propri della violenza il loro mono- polio, i loro privilegi e profitti. I socialpacif isti dei nostri giorni, che — senza scherzi! — vogliono passare per uomini di « grande cultura », ignorano che è altrettanto sciocco attendersi una pace « democratica » dai governi borghesi impegnati in una guerra imperialistica di rapina quanto credere che uno zar sanguinario possa essere indotto a conce- dere riforme democratiche per mezzo di pacifiche petizioni. E tuttavia c'è una grande differenza: i socialpacif isti odierni sono, per la maggior parte, degli ipocriti, che cercano di distogliere il popolo dalla lotta rivoluzionaria, consigliandogli la calma; gli operai incolti della Russia prerivoluzionaria hanno invece dimostrato con le loro azioni di essere gente onesta, ridestatasi per la prima volta alla coscienza politica. In questo risveglio delle grandi masse popolari alla coscienza po- litica e alla lotta rivoluzionaria sta tutto il significato storico del 22 gennaio 1905. « Non c’è ancora in Russia un popolo rivoluzionario », scriveva due giorni prima della « domenica di sangue » il signor Piotr Struve, RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 239 che capeggiava allora i liberali russi e ne dirigeva un organo di stampa illegale, libero, pubblicato airesterò. A tal punto sembrava assurda a questo capo « coltissimo », presuntuoso e arcistupido dei riformisti borghesi Tidea che un paese di contadini analfabeti potesse generare un popolo rivoluzionario! A tal punto era radicata nei riformisti di allora — come in quelli di oggi — la convinzione delPimpossibilità di una vera rivoluzione! Prima del 22 gennaio (cioè prfma del 9 gennaio secondo il vecchio calendario) il partito rivoluzionario era composto di un piccolo pugno di uomini che i riformisti di allora (proprio come quelli di oggi) chiama- vano per derisione una « setta ». Alcune centinaia di organizzatori rivoluzionari, alcune migliaia di aderenti alle organizzazioni rivolu- zionarie, una mezza dozzina di fogli rivoluzionari che non uscivano piu di una volta al mese, che erano per lo più pubblicati all’estero e venivano introdotti in Russia clandestinamente, tra incredibili difficoltà e a prezzo di grandi sacrifici: tali erano prima del 22 gennaio 1905 i partiti rivoluzionari in Russia, tale era, in prima linea, la socialdemocrazia rivoluzionaria. Questo stato di cose dava in apparenza ai riformisti gretti e presuntuosi il diritto di affermare che in Russia non esisteva ancora un popolo rivoluzionario. Eppure, nello spazio di pochi mesi, il quadro mutò radicalmente. Le poche centinaia di socialdemocratici rivoluzionari divennero « di colpo » migliaia e si posero alla testa di due o tre milioni di proletari. La lotta proletaria suscitò un grande fermento e, in parte, persino un movimento rivoluzionario in una massa di cinquanta o cento milioni di contadini; il movimento contadino ebbe una ripercussione nelFeser- cito e portò a rivolte di soldati e a scontri armati tra le diverse unità. Cosi, un immenso paese di centotrenta milioni di abitanti si immise nel processo rivoluzionario; cosi, la Russia sonnolenta si trasformò nella Russia del proletariato e del popolo rivoluzionario. È indispensabile studiare questa trasformazione, comprenderne la possibilità e, per cosi dire, i metodi e le vie. Lo sciopero dì massa fu lo strumento principale della trasforma- zione. L’originalità della rivoluzione russa è da ricercare nel fatto che essa fu democratica borghese per il suo contenuto sociale, ma prole- taria per i suoi mezzi di lotta. Fu democratica borghese perché tendeva immediatamente, e poteva pervenire subito con le proprie forze, alla 240 LENIN repubblica democratica, alla giornata lavorativa di otto ore, alla con- fisca delle grandi proprietà fondiarie della nobiltà, cioè alle misure realizzate quasi per intero in Francia dalla rivoluzione borghese nel 1792 e nel 1793. La rivoluzione russa fu nello stesso tempo una rivoluzione pro- letaria, non solo perché il proletariato fu la forza dirigente, Avan- guardia del movimento, ma anche perché un mezzo di lotta specifica- mente proletario, come lo sciopero, fu lo strumento principale per scuotere le masse e Aspetto piu caratteristico dell’ondata travolgente dei fatti decisivi. Nella storia mondiale la rivoluzione russa è la prima — ma non sarà certamente Tultima — grande rivoluzione in cui lo sciopero poli- tico di massa abbia assolto una funzione eccezionalmente grande. Si può anzi affermare che non è possibile comprendere le vicende della rivoluzione russa e la successione delle sue forme politiche, se non se ne ricercano le basi nella statistica degli scioperi . So benissimo quanto Aridità delle statistiche sia poco adatta per una conferenza e pòssa intimorire l’uditorio. E tuttavia sono costretto a citare alcune cifre approssimative, perché possiate valutare il fon- damento reale oggettivo di tutto il movimento. Nei dieci anni che precedettero la rivoluzione il numero medio anrluo degli scioperanti fu in Russia di 43.000. Cioè in tutto il decennio vi furono complessi- vamente 430.000 scioperanti. In gennaio del 1905, nel primo mese della rivoluzione, il numero degli scioperanti fu di 440.000. Cioè in un solo mese piu che in tutto il decennio precedente! In nessun paese del mondo capitalistico, neanche nei paesi piu progrediti, come Tlnghilterra, gli Stati Uniti d’America, la Germania, si è mai visto sinora un movimento di scioperi cosi grandioso come quello sviluppatosi in Russia nel 1905. Il numero complessivo degli scioperanti fu, in quelAnno, pari a 2.800.000, pari cioè al doppio del numero complessivo degli operai industriali! Naturalmente, questo non significa che nelle città russe gli operai di fabbrica fossero più istruiti o più forti o più preparati alla lotta dei loro fratelli dell’Europa occidentale. È anzi vero il contrario. Questo mostra però quanto possa essere grande l’energia che sonnecchia nel proletariato. E attesta che in un periodo rivoluzionario — lo dico senza alcuna esagerazione ma in base ai dati concreti della RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 24) storia russa — il proletariato può dispiegare un’energia di lotta cento volte maggiore che in un normale periodo di quiete. Ne deriva che prima del 1905 l’umanità non sapeva ancora quanto grande possa essere, e sarà, la tensione delle forze del proletariato, quando si tratti di battersi per obiettivi realmente grandi e in modo veramente rivo- luzionario. La storia della rivoluzione russa dimostra che proprio l’avan- guardia, la parte migliore degli operai salariati ha combattuto con maggiore tenacia e abnegazione. Quanto piu grandi erano le fabbriche, tanto più ostinati e frequenti erano gli scioperi nel corso dello stesso anno. Quanto più grande era la città, tanto più importante era la funzione del proletariato nella lotta. Tre grandi città, Pietroburgo, Riga e Varsavia, dove gli operai erano più numerosi e coscienti, hanno dato, rispetto al complesso degli operai, un numero di scioperanti incom- parabilmente più alto di tutte le altre città, per non parlare delle campagne. I metallurgici sono in Russia — come probabilmente negli altri paesi capitalistici — la parte più avanzata del proletariato. Si nota qui un fatto molto istruttivo: nel 1905, su 100 operai di fabbrica si ebbero in Russia 160 scioperanti, ma su 100 metallurgici se ne ebbero 320! Secondo i calcoli fatti, in Russia ogni operaio di fabbrica ha perduto in media nel 1905, in seguito agli scioperi, 10 rubli (circa 26 franchi al corso d’anteguerra), sacrificandoli, per cosi dire, alla lotta. Ma, se consideriamo i soli metallurgici, la somma è tre volte maggiore ! Gli elementi migliori della classe operaia marciavano alla testa, trasci- nando con sé gli esitanti, risvegliando i dormienti, incoraggiando i deboli. L’intreccio degli scioperi politici coti quelli economici fu assoluta- mente originale durante la rivoluzione. Non c’è dubbio che solo lo strettissimo legame fra queste due forme di sciopero garanti grande vigore al movimento. La vasta massa degli sfruttati non sarebbe stata tra- scinata nel movimento rivoluzionario, se non avesse avuto quotidiana- mente di fronte a sé l’esempio di operai salariati dei diversi rami dell’in- dustria che strappavano ai capitalisti miglioramenti diretti e immediati delle loro condizioni. Grazie a questa lotta uno spirito nuovo animò tutta la massa del popolo russo. Per la prima volta, la Russia servile, pigra, patriarcale,, devota, sottomessa si liberò dell’antico Adamo; per la 242 LENIN prima volta, il popolo russo ricevette un’educazione veramente demo- cratica e rivoluzionaria. Quando i signori borghesi e i loro ottusi tirapiedi — i socialisti riformisti — parlano con tanta sufficienza di « educazione » delle masse, intendono riferirsi di solito a qualcosa di scolastico, di pedante, che demoralizza le masse, inculcando loro i pregiudizi borghesi. La vera educazione delle masse non può mai essere separata da una lotta politica indipendente e, soprattutto, dalla lotta rivoluzionaria delle masse stesse. Soltanto la lotta educa la classe sfruttata; soltanto la lotta le fa scoprire l’entità della sua forza, allarga i suoi orizzonti, accresce le sue capacità, illumina la sua intelligenza e tempra la sua volontà. Ecco perché gli stessi reazionari sono costretti a riconoscere che il 1905, l’anno della lotta aperta, l’« anno folle », ha seppellito definitivamente la Russia patriarcale. Esaminiamo più da vicino il rapporto fra i metallurgici e i tessili in Russia, durante gli scioperi del 1905. I metallurgici sono gli operai meglio pagati, più coscienti e più istruiti. I tessili, che erano due volte e mezzo più numerosi dei metallurgici nel 1905, sono la parte più arretrata e peggio pagata, una massa che spesso non ha ancora tagliato del tutto i suoi legami con la campagna. E qui notiamo un’importantis- sima circostanza. Fra i metallurgici, in tutto il 1905, gli scioperi politici pre- valgono su quelli economici, sebbene, all’inizio, tale prevalenza non sia ancora grande come alla fine dell’anno. Al contrario, vediamo che all’inizio del 1905 gli scioperi economici hanno, fra i tessili, una forte prevalenza e che solo verso la fine dell’anno prevalgono gli scioperi politici. È dunque perfettamente chiaro che soltanto la lotta economica, soltanto la lotta per i miglioramenti economici immediati riesce a scuotere gli strati più arretrati della massa sfruttata, a dar loro una reale educazione e — in un periodo rivoluzionario — a trasformarli nel giro di qualche mese in un esercito di combattenti politici. Naturalmente, a tale scopo era necessario che l’avanguardia della classe operaia non concepisse la lotta di classe come lotta per gli in- teressi di un esiguo strato superiore della classe, secondo ciò che i riformisti hanno consigliato molto spesso agli operai, ma che il prole- tariato intervenisse effettivamente come avanguardia della maggioranza degli sfruttati, trascinando questa maggioranza nella lòtta, com’è avve- RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 243 nuto in Russia nel 1905 e come deve avvenire, e indubbiamente av- verrà, nella futura rivoluzione proletaria in Europa. L’inizio del 1905 è segnato dalla prima grande ondata di scioperi in tutto il paese. Già nella primavera assistiamo in Russia al risveglio del primo grande movimento contadino , non solo sul piano econo- mico, ma anche su quello politico. Per comprendere tutta la portata di questa svolta storica, bisogna ricordare che i contadini russi si sono liberati dal piu duro servaggio soltanto nel 1861, che sono in maggio- ranza analfabeti e vivono in una miseria indescrivibile, oppressi dai grandi proprietari fondiari, abbrutiti dai preti e isolati Tuno dall’altro dalle enormi distanze e dalla mancanza quasi completa di strade. Nel 1825 la Russia aveva conosciuto per la prima volta un movi- mento rivoluzionario diretto contro lo zarismo e rappresentato quasi esclusivamente dai nobili. Da quel momento fino al 1881, quando Alessandro II fu ucciso dai terroristi, gli intellettuali del medio ceto furono alla testa del movimento. Essi diedero prova del piu grande spirito di sacrificio, e il loro metodo terroristico di lotta meravigliò il mondo intero. Indubbiamente, le vittime di questa lotta non sono cadute invano; indubbiamente, esse contribuirono — in maniera di- retta o indiretta — all’ulteriore educazione rivoluzionaria del popolo russo, ma non raggiunsero, e naturalmente non potevano raggiungere, il loro scopo immediato, l’esplosione di una rivoluzione popolare. Soltanto la lotta rivoluzionaria del proletariato vi riuscì. Soltanto gli scioperi di massa, che si estesero a tutta la Russia in rapporto ai terribili insegnamenti della guerra imperialistica russo-giapponese, tras- sero dal letargo le grandi masse contadine. La parola « scioperante » assunse per i contadini un significato completamente nuovo: essa de- signava una specie di ribelle, di rivoluzionario, ciò che prima si esprimeva con la parola « studente ». Ma, poiché lo « studente » appar- teneva al ceto medio, alla categoria di coloro « che studiano » e dei « signori », egli era estraneo al popolo. Al contrario, lo « scioperante » proveniva lui stesso dal popolo, apparteneva lui stesso al numero degli sfruttati. Espulso da Pietroburgo, molto spesso ritornava al villaggio, dove parlava ai suoi compaesani delhincendio che divampava nelle città, minacciando di annientare sia i capitalisti che i nobili. Nel vil- laggio russo sorse un nuovo tipo: il giovane contadino cosciente. Egli era in contatto con gli « scioperanti », leggeva i giornali, raccontava ai 244 LENIN contadini gli avvenimenti delle città, spiegava ai suoi compagni il si- gnificato delle rivendicazioni politiche, li stimolava a lottare contro la grande nobiltà fondiaria, contro i preti e i funzionari. I contadini costituivano dei gruppi, esaminavano la loro situazione e, a poco a poco, entravano nella lotta; marciavano in folla contro i grandi proprietari fondiari; ne incendiavano i palazzi e le tenute; ne sequestravano le provviste, s’impadronivano del grano e d’altri viveri; uccidevano i poliziotti ed esigevano che gli enormi possedimenti dei nobili fossero dati al popolo Nella primavera del 1905 il movimento contadino era appena all’inizio e abbracciava soltanto la minoranza, circa un settimo, dei distretti. Ma la fusione dello sciopero proletario di massa nelle città con il movimento contadino nelle campagne fu sufficiente per scuotere il più « saldo » e ultimo sostegno dello zarismo. Voglio dire l’ esercito Incominciano le rivolte militari nella marina e nell’esercito. Ogni nuova ondata di scioperi e di moti contadini nel corso della rivo- luzione è accompagnata da ammutinamenti in tutte le zone della Russia. Il più celebre è quello della corazzata Principe Potiomkin , della flotta del mar Nero, che, caduta nelle mani degli insorti, prese parte alla rivoluzione a Odessa, e, dopo la disfatta della rivoluzione e gli infruttuosi tentativi di occupare altri porti (per esempio, Feo- dosia in Crimea), si arrese alle autorità romene a Costanza. Permettetemi di soffermarmi più a lungo su un piccolo episodio dell’insurrezione della flotta del mar Nero, per darvi un quadro con- creto degli avvenimenti nel loro punto culminante. Si organizzarono assemblee di operai rivoluzionari e di marinai, che diventarono sempre più frequenti. Poiché non si permetteva ai militari di frequentare i comizi degli operai, questi ultimi cominciarono a frequentare in massa i comizi militari. Operai e soldati si riunivano a migliaia. L’idea delazione comune fu accolta con entusiasmo. Nei reparti più coscienti si elessero dei delegati. Il comando militare decise allora di prendere dei provvedimenti. I tentativi di singoli ufficiali di pronunciare discorsi « patriottici » nei comizi diedero risultati assai penosi*, i marinai, abituati alla discus- sione, costrinsero i loro superiori a una fuga ignominiosa. A causa di questi insuccessi, si decise di proibire, in generale, tutti i comizi. La RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1903 245 mattina del 24 novembre 1905, dinanzi all’ingresso della caserma della marina, fu schierata una compagnia in assetto di guerra. Il contram- miraglio Pisarevski diede ad alta voce il seguente ordine; « Nessuno esca dalla caserma! In caso d’insubordinazione, sparate! ». Dalle file usci allora il marinaio Petrov, che caricò davanti a tutti il suo fucile; con un primo colpo uccise il tenente Stein del reggimento di Bielostok e poi, con un secondo colpo, feri il contrammiraglio Pisarevski. Un ufficiale comandò: « Arrestatelo! ». Nessuno si mosse. Petrov gettò a terra il fucile: « Che fate? Prendetemi, dunque! ». Fu arrestato. I marinai, che accorrevano da tutte le parti, chiesero imperiosamente il suo rilascio, dichiarandosi garanti per lui. Il fermento era al colmo — Petrov, — domandò un ufficiale, per trovare una via d’uscita, — è vero che il colpo è partito casualmente? — Come, per caso!? Mi sono fatto avanti, ho caricato il fucile e ho mirato: tutto questo è stato un caso? — Vogliono il tuo rilascio... Petrov fu rilasciato. Ma i marinai non si accontentarono di que- sto; tutti gli ufficiali di servizio furono arrestati, disarmati, rinchiusi in un ufficio della caserma... I delegati dei marinai, circa quaranta, discussero tutta la notte. Decisero di liberare gli ufficiali e di non farli piu entrare in caserma... Quest’episodio mostra chiaramente come si siano svolti i fatti nella maggior parte delle rivolte militari. Il fermento rivoluzionario del po- polo non poteva non guadagnare anche l’esercito. È caratteristico che alla testa del movimento rivoluzionario nelPesercito e nella flotta si trovassero proprio gli elementi che provenivano dalle file degli operai industriali e per i quali si richiedeva una buona preparazione tecnica, come i genieri, per esempio. Ma le grandi masse erano ancora troppo ingenue, troppo pacifiche, troppo indulgenti, con una mentalità troppo cristiana. Esse s’infiammavano abbastanza facilmente: un’ingiustizia, Patto brutale di un ufficiale, la cattiva alimentazione, ecc., ecc. pote- vano provocare un ammutinamento. Mancava però la tenacia, la chiara consapevolezza dei propri compiti, non si comprendeva sufficientemente che solo la piu energica continuazione della lotta armata, solo la vit- toria sulle autorità militari e civili, solo il rovesciamento del governo e la conquista del potere in tutto il paese potevano garantire il suc- cesso della rivoluzione. 246 LENIN Le grandi masse dei marinai e dei soldati iniziavano con facilità una rivolta, ma con la stessa facilità commettevano l’ingenua sciocchezza di rilasciare gli ufficiali arrestati; si lasciavano convincere dalle pro- messe e dalle esortazioni dei superiori, che guadagnavano cosi un tempo prezioso, ricevevano rinforzi, dividevano le forze degli insorti, dopo di che reprimevano ferocemente il movimento e ne mandavano a morte i capi. Particolare interesse presenta il confronto tra le rivolte militari del 1905 e quella dei decabristi del 1825. La direzione del movimento politico era allora quasi esclusivamente nelle mani degli ufficiali, e so- prattutto dei nobili, che avevano subito l’influenza delle idee demo- cratiche dell’Europa durante le guerre napoleoniche. La massa dei sol- dati, composta ancora di servi della gleba, era passiva. La storia del 1905 ci offre un quadro completamente diverso. Salvo qualche eccezione, lo stato d’animo degli ufficiali è liberale bor- ghese, riformistico, o nettamente controrivoluzionario. Gli operai e i contadini in uniforme sono l’anima deirinsurrezione. Il movimento è divenuto popolare e, per la prima volta nella storia russa, abbraccia la maggioranza degli sfruttati. Manca però a questo movimento, da un lato, la tenacia, la risolutezza di masse ancora troppo affette dal morbo della credulità; manca, dall’altro, l’organizzazione degli operai socialdemocratici rivoluzionari in uniforme, che non sono ancora capaci di prendere la direzione del movimento nelle loro mani, di mettersi alla testa dell’esercito rivoluzionario e di passare all’offensiva contro il potere governativo. Notiamo in proposito che questi due difetti saranno eliminati, forse più lentamente di quanto vorremmo, ma con certezza, non sol- tanto dallo sviluppo generale del capitalismo, ma anche dalla guerra in corso... In ogni caso, la storia della rivoluzione russa, come quella della Comune di Parigi del 1871, ci offre un insegnamento inconfutabile: il militarismo non può in nessun caso essere vinto e annientato, se non con la lotta vittoriosa di una parte delPesercito contro l’altra. Non basta tuonare contro il militarismo, maledirlo, « condannarlo », criti- carlo e mostrarne la dannosità; è stolto rifiutarsi pacificamente di ser- vire nell’esercito; bisogna invece tener desta la coscienza rivoluzionaria del proletariato, e non solo genericamente, ma anche preparando con- RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 247 cretamente i suoi migliori elementi a mettersi alla testa deiresercito rivoluzionario nel momento in cui il fermento fra il popolo ha rag- giunto la massima profondità. L'esperienza quotidiana di qualsiasi Stato capitalistico ci offre lo stesso insegnamento. Ogni « piccola » crisi di uno di questi Stati ci offre in miniatura gli elementi e i tratti delle battaglie che nei periodi di grande crisi si riproducono inevitabilmente su piu larga scala. Forse che, per esempio, uno sciopero qualsiasi non è una piccola crisi della società capitalistica? Forse che non aveva ragione von Puttkamer, ministro prussiano degli affari interni, quando pronunciò il detto memorabile: « In ogni sciopero si annida ridea della rivoluzione »? Forse che l’intervento dei soldati negli scioperi in tutti i paesi capita- listici e perfino, se è lecito esprimersi cosi, nei paesi piu pacifici e piu « democratici » non ci dimostra come andranno le cose nelle crisi vera- mente gravi? Ma ritorno alla storia della rivoluzione russa. Ho tentato di mostrarvi in che modo gli scioperi degli operai scos- sero tutto il paese e i piu vasti strati arretrati degli sfruttati, come cominciò il movimento contadino e come fu accompagnato dalle rivolte militari. Nell’autunno del 1905 tutto il movimento raggiunse il punto culminante. Il 19 agosto un manifesto dello zar annunciava Tistituzione di una rappresentanza popolare. La cosiddetta Duma di Bulyghin do- veva essere creata sulla base di una legge elettorale che concedeva il diritto di voto a un numero irrisorio di elettori e attribuiva a questo originale « parlamento » dei diritti puramente consultivi e nessun di- ritto legislativo. La borghesia, i liberali, gli opportunisti erano pronti ad accogliere a braccia aperte questo « dono » dello zar impaurito. Come tutti i ri- formisti, i nostri riformisti del 1905 non seppero capire che vi sono situazioni storiche in cui le riforme, e soprattutto le promesse di ri- forme, perseguono esclusivamente lo scopo di placare il fermento po- polare e d’indurre la classe rivoluzionaria a cessare o per lo meno ad attenuare la lotta. La socialdemocrazia rivoluzionaria di Russia comprese molto bene il reale carattere della concessione di una Costituzione fantomatica nell’agosto del 1905. E, senza esitare un istante, lanciò le parole 248 LENIN d’ordine: « Abbasso la Duma consultiva! Boicottare la Duma! Ab- basso il governo dello zar! Continuare la lotta rivoluzionaria per abbattere questo governo! Non lo zar, ma il governo rivoluzionario provvisorio deve convocare la prima e genuina rappresentanza popo- lare in Russia! ». La storia ha dimostrato che i socialdemocratici rivoluzionari ave- vano perfettamente ragione, poiché la D urna di Bulyghin non fu mai convocata. L’uragano rivoluzionario la spazzò via prima che fosse con- vocata e costrinse lo zar a promulgare una nuova legge elettorale, ad aumentare sensibilmente il numero degli elettori e a riconoscere alla Duma carattere legislativo L’ottobre e il dicembre 1905 segnarono il punto culminante della linea ascendente della rivoluzione russa. Tutte le sorgenti dell’energia rivoluzionaria del popolo divennero piu copiose. Il numero degli scio- peranti, che, come ho già detto, nel gennaio del 1905 era di 440.000, nell’ottobre superò il mezzo milione (nel corso di un solo mese!). A questa cifra, che abbraccia soltanto gli operai di fabbrica, bisogna ag- giungere alcune centinaia di migliaia di operai delle ferrovie, di poste- legrafonici, ecc. Lo sciopero generale dei ferrovieri arrestò tutto il traffico ferroviario e paralizzò nel modo piu efficace la forza del governo. Le università furono aperte, e le aule dove, in tempi normali, di calma, si pensa esclusivamente a instillare nei giovani la saggezza professorale e catte- dratica, facendone i docili servi della borghesia e dello zarismo, servi- rono come luoghi di riunione a migliaia e migliaia di operai, di arti- giani e di impiegati, che vennero a discutervi liberamente e aperta- mente i problemi politici. La libertà di stampa fu conquistata. La censura fu soppressa in un modo assai semplice. Nessun editore osava più presentare alle auto- rità le copie d’obbligo, e le autorità non osavano reagire. Per la prima volta nella storia della Russia, a Pietroburgo e in altre città, i giornali rivoluzionari uscirono liberamente. Nella sola Pietroburgo apparvero tre quotidiani socialdemocratici con una tiratura di 50.000-100.000 copie. Il proletariato era alla testa del movimento. Esso si propose di conquistare per via rivoluzionaria la giornata lavorativa di otto ore. La parola d’ordine del proletariato di Pietroburgo era allora: « Giornata RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 249 di otto ore e armi ! ». Per una massa sempre piu vasta di operai di- venne evidente che soltanto la lotta armata può decidere e decide le sorti della rivoluzione. Nel fuoco della lotta si costituì un’originale organizzazione di massa: i celebri soviet dei deputati operai , assemblee di delegati di tutte le fabbriche. In alcune città della Russia, questi soviet dei deputati operai andarono sempre piu assumendo la funzione di un governo ri- voluzionario provvisorio, la funzione di organi e dirigenti dell’insurre- zione. Si tentò anche di organizzare i soviet di deputati dei soldati e ma- rinai e di unirli ai soviet dei deputali operai. In quei giorni diverse città russe diventarono piccole « repub- bliche » locali, in cui le autorità governative erano state destituite e il soviet dei deputati operai funzionava effettivamente come un nuovo potere statale. Purtroppo, questo periodo fu troppo breve, e le « vit- torie » troppo deboli e sporadiche. Il movimento contadino raggiunse nell'autunno del 1905 propor- zioni ancora maggiori. I cosiddetti « disordini contadini » e le vere insurrezioni contadine abbracciarono piu di un terzo di tutti i distretti del paese. I contadini incendiarono piu di duemila tenute signorili e si divisero i beni rubati al popolo dai predoni della nobiltà. Ma quest’azione rimase, purtroppo, alla superficie! I contadini di- strussero solo il quindici per cento delle tenute signorili, cioè solo la quindicesima parte di ciò che avrebbero dovuto distruggere per sradi- care definitivamente dalla terra russa l’ignominia della grande proprietà fondiaria feudale. Purtroppo, i contadini agirono in ordine sparso, erano troppo disorganizzati, la loro offensiva fu troppo debole, e questa è una delle cause principali della sconfitta della rivoluzione. Fra i popoli oppressi della Russia divampò il movimento di libe- razione nazionale. In Russia, piu della metà, quasi i tre quinti ( esatta- mente il 51 per cento), di tutta la popolazione subisce l’oppressione nazionale: questi popoli non hanno nemmeno la libertà di parlare la loro lingua materna e sono russificati con la violenza. I musulmani, per esempio, che sono in Russia decine di milioni, organizzarono allora con rapidità sorprendente — era il periodo del prodigioso sviluppo delle piu diverse organizzazioni — una lega musulmana. Per dare ai presenti e, soprattutto, ai giovani un’idea deH’impe- 250 LENIN tuoso sviluppo assunto dal movimento di emancipazione nazionale in rapporto al movimento operaio, citerò un piccolo episodio, Nel dicembre 1905 gli studenti polacchi, dopo aver bruciato in centinaia di scuole tutti i libri russi, i quadri e i ritratti dello zar, picchiarono e cacciarono gli insegnanti e persino i propri compagni russi al grido di: « Andatevene in Russia! ». Le rivendicazioni degli studenti medi polacchi erano, fra le altre, le seguenti: « 1) Tutte le scuole medie devono essere subordinate al soviet dei deputati operai; 2) riunioni co- muni di studenti e di operai saranno convocate nelle scuole; 3) gli studenti devono essere autorizzati a indossare la camicia rossa in segno di adesione alla futura repubblica proletaria », ecc. Quanto più le ondate del movimento salivano, tanto più la rea- zione si armava con energia e risolutezza per la lotta contro la rivolu- zione, La rivoluzione russa del 1905 ha confermato ciò che Kautsky scriveva nel 1902 nella Rivoluzione sociale (devo dire, in proposito, che egli era ancora, a quei tempi, un marxista rivoluzionario e non, come oggi, un difensore dei socialpatrioti e degli opportunisti). Egli scriveva: « ...La futura rivoluzione... somiglierà meno a un, sollevamento repentino contro il governo che a una lunga guerra civile ». Cosi è stato! E cosi sarà, senza dubbio, nell'imminente rivoluzione europea! L’odio dello zarismo si rivolse ili particblar modo contro gli ebrei. Da una parte, gli ebrei davano un’alta percentuale di dirigenti (in rap- porto al numero totale della popolazione ebraica) al movimento rivo- luzionario. Notiamo a questo proposito che, ancora oggi, gli ebrei hanno il merito di dare, in confronto alle altre nazionalità, una percentuale più elevata di internazionalisti. Dall’altra parte, lo zarismo seppe sfrut- tare molto abilmente i più infami pregiudizi antisemitici degli strati più arretrati della popolazione, per organizzare, se non per dirigere direttamente, i pogrom , questi mostruosi massacri di pacifici ebrei, delle loro mogli e dei loro bambini, che hanno suscitato tanta indigna- zione in rutto il mondo civile: in quel periodo, in cento città vi furono più di 4 000 morii e più di 10.000 mutilati. Parlo, naturalmente, dell’indignazione degli elementi realmente democratici del mondo civile, che sono esclusivamente gli operai socialisti, i proletari. RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 251 La borghesia, anche quella dei paesi piu liberi, delle repubbliche dell'Europa occidentale, sa unire fin troppo bene le frasi ipocrite sulle « atrocità russe » con i piu scandalosi affari finanziari e soprattutto con l’appoggio finanziario allo zarismo e con lo sfruttamento imperialistico della Russia mediante l'esportazione di capitali, ecc. L'insurrezione di dicembre a Mosca segnò il culmine della rivo- luzione del 1905. Un piccolo gruppo di insorti, di operai armati e orga- nizzati, — non piu di ottomila , — resistette per nove giorni al go- verno zarista, che non solo non potè fidarsi della guarnigione di Mosca, ma dovette tenerla rinchiusa nelle caserme e riuscì a soffocare l'insurre- zione solo per l’arrivo del reggimento Semionovski, richiamato da Pietroburgo. Alla borghesia piace deridere l'insurrezione di Mosca e definirla un movimento artificiale. Il prof. Max Weber, per esempio, in un ampio lavoro sullo sviluppo politico della Russia 100 — che fa parte delle cosiddette pubblicazioni « scientifiche » tedesche — ha definito « putsch » l’insurrezione di Mosca. « Il gruppo leninista — scrive que- sto “dottissimo" professore — e una parte dei socialisti-rivoluzionari preparavano già da molto tempo quest 'assurda insurrezione. » Per apprezzare nel suo giusto valore tanta saggezza professorale di una borghesia pusillanime, basta rarTimentare le aride cifre della statistica degli scioperi. Nel gennaio del 1905 vi erano 13.000 sciope- ranti in lotta per rivendicazioni puramente politiche, nell'ottobre ve ne erano 330.000 e nel dicembre si raggiunse un massimo di 370.000 in un solo mese! Si ricordino i successi della rivoluzione, le insurre- zioni dei contadini e le rivolte dei soldati, e si vedrà subito che il giudizio della « scienza borghese » sull'insurrezione di Mosca non è sol- tanto assurdo, ma è anche un sotterfugio verbale dei rappresentanti della pusillanime borghesia, che vede nel proletariato il suo piu peri- coloso nemico di classe. In effetti, tutto lo sviluppo della rivoluzione russa portava inevi- tabilmente alla lotta armata decisiva fra il governo zarista e l’avan- guardia del proletariato cosciente. Ho già indiato nella mia esposizione in che cosa consistevano le debolezze della rivoluzione russa, debolezze che ne hanno provocato la temporanea sconfitta. 252 LENIN Dopo la repressione delPinsurrezione di dicembre ha inizio la parabola discendente della rivoluzione. In questo periodo vi sono mo- menti di estremo interesse, e varrebbe la pena di ricordare i due tenta- tivi compiuti dagli elementi piu combattivi della classe operaia per porre fine alla ritirata della rivoluzione e preparare una nuova offensiva Ma il tempo concessomi è quasi trascorso e non oglio abusare della pazienza dei miei ascoltatori. Credo, del resto, di aver già esposto — nella misura in cui un tema cosi ampio può essere svolto in una breve conferenza — ciò che è essenziale per la comprensione della rivo- luzione: il suo carattere di classe, ‘le sue forze motrici, i suoi metodi di lotta. Mi resta ora da aggiungere alcune osservazioni sommarie sull’im- portanza mondiale della rivoluzione russa. Sul piano storico, economico e geografico, la Russia fa parte, ad un tempo, dell’Europa e dell’Asia. Perciò vediamo che la rivoluzione russa non è soltanto riuscita a trarre definitivamente dal suo torpore il paese più grande e arretrato d’Europa e a creare un popolo rivolu- zionario diretto dal proletariato rivoluzionario. Essa non è riuscita soltanto a questo. La rivoluzione russa ha suscitato un movimento in tutta l’Asia. Le rivoluzioni in Turchia, in Persia e in Cina dimostrano che la potente insurrezione del 1905 ha lasciato tracce profonde e che le sue conseguenze sul progresso di centinaia e centinaia di milioni di uomini sono incancellabili. Indirettamente la rivoluzione russa ha influito anche sui paesi dell’Occidente. Non dimentichiamo che il 30 ottobre 1905, quando giunse a Vienna il telegramma annunciante il manifesto costituzionale dello zar, questa notizia ebbe una parte determinante nella vittoria definitiva del suffragio universale in Austria. Il congresso della socialdemocrazia austriaca era riunito, e il com- pagno Ellenbogen — che non era ancora un socialpatriota ma un compagno — teneva un rapporto sullo sciopero politico, quando quel telegramma fu deposto sul tavolo, davanti a lui. La discussione cessò immediatamente. « Il nostro posto è nella strada! », gridarono i dele- gati della socialdemocrazia austriaca. E nei giorni successivi si ebbero grandi manifestazioni di strada a Vienna e le barricate a Praga. La vittoria del suffragio universale in Austria era ormai raggiunta. RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905 253 Molto spesso in Europa occidentale si ragiona sulla rivoluzione russa come se le vicende, i rapporti e i metodi di lotta di questo paese arretrato non avessero quasi niente di analogo ai rapporti esistenti nel- l’Europa occidentale e non potessero perciò avere nessun significato pratico. Niente è piu sbagliato di una tale opinione Senza dubbio, le forme e i moventi delle future lotte nella futura rivoluzione èuropea differiranno per diversi aspetti da quelli della rivoluzione russa. Ma la rivoluzione russa rimane tuttavia, e proprio per il suo carattere proletario, nel particolare significato che ho già indicato, il prologo dell’imminente rivoluzione europea. È indubbio che questa futura rivoluzione potrà essere soltanto proletaria, nel senso piu pro- fondo della parola, cioè proletaria, socialista anche per il suo contenuto. Questa rivoluzione dimostrerà in una misura ancora pili grande, da un lato, che soltanto delle lotte accanite, cioè le guerre civili, potranno liberare l’umanità dal giogo del capitale e, dall’altro lato, che soltanto i proletari con una coscienza di classe evoluta potranno agire e agi- ranno come capi della stragrande maggioranza degli sfruttati Il silenzio di tomba che regna oggi in Europa non deve trarci in inganno. L’Europa è gravida di rivoluzione. Gli orrori indescrivibili della guerra imperialistica, i tormenti del carovita creano dappertutto uno stato d’animo rivoluzionario; e le classi dominanti, la borghesia, e i loro commessi, i governi, si inoltrano sempre piu in un vicolo cieco dal quale non potranno uscire senza grandissimi sconvolgimenti. Come nel 1905 il popolo di Russia, diretto dal proletariato, è insorto contro il governo dello zar, per conquistare una repubblica de- mocratica, cosi nei prossimi anni, in seguito a questa guerra di rapina, i popoli d’Europa insorgeranno, diretti dal proletariato, contro il po- tere del capitale finanziario, contro le grandi banche, contro i capita- listi, e questi rivolgimenti potranno finire soltanto con l’espropriazione della borghesia e la vittoria del socialismo Noi vecchi non vedremo forse le battaglie decisive deirimminente rivoluzione Penso però di poter esprimere la fondata speranza che 254 LENIN i giovani, i quali militano cosi egregiamente nel movimento socialista della Svizzera e di tutto il mondo, avranno la fortuna non soltanto di realizzare la futura rivoluzione proletaria, ma anche di condurla alla vittoria. Scritto in tedesco prima del 9 (22) gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta nella PravJa , 1925, n. 18. Firmato; N. Lenin. DODICI BREVI TESI SULLE ARGOMENTAZIONI DI H. GREULICH A FAVORE DELLA DIFESA DELLA PATRIA 101 1. IL Greulich dichiara, all’inizio del suo primo articolo, che vi sono oggi dei « socialisti » {ma park, probabilmente, di sedicenti socia- listi) che « hanno fiducia nei governi degli Junker e della borghesia ». Quest’accusa contro una delle tendenze del « socialismo » con- temporaneo, e piu esattamente contro il socialpatriottismo, è evidente- mente fondata. Ma che cosa dimostrano i quattro articoli del compagno H. Greulich se non che lui stesso « ha una fiducia » cieca nel « go- verno borghese » della Svizzera? Greulich finisce anzi per dimenticare che quest’ultimo, in virtù delle innumerevoli relazioni del capitale finanziario svizzero, non è soltanto un « governo borghese », ma anche un governo borghese imperialistico. 2. H. Greulich ammette nel primo articolo che in seno alla social- democrazia internazionale esistono due correnti principali. E caratte- rizza giustamente una di esse (cioè, naturalmente, la corrente socialpa- triottica ), stigmatizzandone i seguaci come « agenti » dei governi bor- ghesi. Ma Greulich dimentica stranamente, in primo luogo, che anche i socialpatrioti svizzeri sono gli agenti del proprio governo borghese; in secondo luogo, che, come non si può isolare la Svizzera in genere dal mercato mondiale, Cosi non si può staccare l'odierna Svizzera bor- ghese, ricchissima e molto progredita, dalla rete dei rapporti imperiali- stici mondiali; in terzo luogo, che’ sarebbe opportuno esaminare gli argomenti prò e contro la difesa della patria neH’insieme della socialde- mocrazia internazionale e soprattutto in connessione con i rapporti im- perialistici mondiali del capitale finanziario; in quarto luogo, che è impossibile conciliare le due principali correnti della socialdemocrazia 256 LENIN internazionale e che, pertanto, il partito svizzero deve scegliere una delle due tendenze. 3. H. Greulich afferma nel secondo articolo che « la Svizzera non può condurre una guerra offensiva ». Greulich dimentica stranamente il fatto incontestabile ed evidente che la Svizzera, nei due soli casi possibili, — sia che si allei con la Germania contro l’Inghilterra, sia che si alici con l’Inghilterra contro la Germania, — prenderebbe comunque parte a una guerra imperiali- stica, a una guerra di rapina, a una guerra offensiva. La Svizzera borghese non potrebbe modificare in nessun caso il carattere della guerra in corso o condurre, in generale, una guerra antimperialistica. È forse ammissibile che Greulich abbandoni il « terreno dei fatti » (vedi il suo quarto articolo) e, invece di parlare di questa guerra, di- scorra di una guerra immaginaria? 4. H. Greulich afferma nel secondo articolo: « La neutralità e la difesa della patria sono per la Svizzera la stessa cosa. Chi respinge la difesa della patria minaccia la neutralità. Ecco il punto che bisogna aver chiaro ». Due domande molto semplici al compagno Greulich. Anzitutto, non bisogna forse aver chiaro che la fiducia nelle di- chiarazioni di neutralità e nel proposito di salvaguardarla nella guerra in corso non implica soltanto una fiducia cieca nel proprio e negli altrui « governi borghesi », ma è anche semplicemente ridicola? Non bisogna inoltre aver chiaro che, nei fatti, le cose stanno come segue? Chi accetta la difesa della patria nella guerra in corso si trasforma in complice della « propria » borghesia nazionale, che è palesemente imperialistica anche in Svizzera, in quanto è legata finanziariamente alle grandi potenze e coinvolta nella politica imperialistica mondiale. Chi respinge la difesa della patria nella guerra in corso distrugge la fiducia del proletariato nella borghesia e aiuta il proletariato interna- zionale a lottare contro il dominio della borghesia. 5. H. Greulich afferma alla fine del secondo articolo: « Sopprimendo la milizia in Svizzera, non avremo eliminato ancora le guerre tra le grandi potenze ». DODICI BREVI TESI 257 Perché mai il compagno il Greulich dimentica che i socialdemo- cratici vogliono sopprimere qualsiasi esercito (e quindi anche la milizia) solo dopo la vittoria della rivoluzione sociale? e che proprio nel mo- mento presente si tratta di lottare per la rivoluzione sociale, in alleanza con le minoranze internazionalistiche rivoluzionarie di tutte le grandi potenze? Da chi Greulich si aspetta l’eliminazione delle « guerre tra le grandi potenze »? Forse dalla milizia di un piccolo Stato borghese con quattro milioni di abitanti? Noi socialdemocratici pensiamo che le « guerre tra le grandi po- tenze » saranno eliminate daH’azioné rivoluzionaria del proletariato di tutte le potenze, grandi e piccole . 6. Nel terzo articolo Greulich sostiene che gli operai svizzeri devono « difendere » la « democrazia »! Ma ignora sul serio il compagno Greulich che nella guerra attuale nessuno Stato europeo difende o può difendere la democrazia? E che, al contrario, partecipare a questa guerra imperialistica significa per tutti gli Stati, grandi e piccoli, strangolare la democrazia, far trionfare la reazione sulla democrazia? Ignora sul serio il compagno Greulich i mille e mille esempi fomiti al riguardo dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia, ecc.? O ha egli tanta « fiducia » nel governo svizzero, cioè nel suo « governo borghese », da considerare tutti i direttori di banca e i milionari svizzeri degli autentici Guglielmi Teli? Non la partecipazione alla guerra imperialistica o ad una mobili- tazione che dovrebbe salvaguardare la neutralità, ma la lotta rivolu- zionaria contro tutti i governi borghesi, ed essa soltanto, può condurre al socialismo; e senza socialismo non c’è garanzia alcuna per la demo- crazia! 7. Il compagno Greulich scrive nel terzo articolo: « La Svizzera non si attende forse dai proletari che “si battano fra loro nelle battaglie imperialistiche”? ». Questa domanda dimostra che il compagno Greulich poggia salda- mente sul terreno nazionale; ma, purtroppo, in questa guerra, un simile terreno non sussiste affatto per la Svizzera. Non è la Svizzera ad « attendersi » questo dal proletariato, ma il capitalismo, che si è trasformato in capitalismo imperialistico in tutti 9 — 2617 258 LENIN i paesi civili, anche in Svizzera. Il dominio della borghesia « si attende » oggi dai proletari di tutti i paesi che « si battano fra loro nelle batta- glie imperialistiche »: ecco che cosa Greulich dimentica. Per reagire a questa situazione non c’è oggi altro mezzo che la lotta di classe, rivo- luzionaria e internazionalistica, contro la borghesia! Perché mai Greulich dimentica anzitutto che già il manifesto di Basilea dell 1 Internazionale riconosceva apertamente, nel 1912, che il capitalismo imperialistico avrebbe determinato il carattere fonda- mentale della guerra imminente e, inoltre, che lo stesso manifesto par- lava della rivoluzione proletaria appunto in connessione con questa guerra? 8. Greulich scrive nel terzo articolo: La lotta rivoluzionaria di massa, « invece dell’esercizio dei diritti democratici », è « un concetto molto vago ». Questo dimostra che Greulich ammette soltanto la via riformi- stica borghese, mentre respinge o ignora la rivoluzione : il che può andar bene per un griitliano, ma in nessun caso per un socialdemo- cratico. Le rivoluzioni sono impossibili senza « lotta rivoluzionaria di massa ». Tali rivoluzioni non si sono mai prodotte. Oggi, alLinizio del- Tepoca deirimperialismo, le rivoluzioni sono inevitabili anche in Europa. 9. Nel quarto articolo il compagno Greulich dichiara formalmente, come una cosa « ovvia », che rassegnerà il suo mandato al Consiglio nazionale, se il partito rigetterà in linea di principio la difesa della patria. Egli aggiunge inoltre che un tale ripudio implicherebbe « una violazione della nostra unità ». È questo. un ultimatum ben chiaro e categorico, posto dai membri socialpatriottici del Consiglio nazionale. O il partito accetta le tesi dei socialpatrioti, oppure « noi »■ (Greulich, Miiller, ecc.) rassegniamo i nostri mandati. Ma, a dire il vero, di quale « unità » si può parlare in questo caso? Evidentemente, dell’« unità » fra i capi socialpatriottici e i loro mandati di consiglieri nazionali!! L’unità proletaria, fondata sui principi, è tutt’altra cosa: i socialpa- trioti, cioè i « difensori della patria », devono « unirsi » alla Lega di Griitli, che è socialpatriottica e interamente borghese. I socialdemo- DODICI BREVI TESI 259 oratici, che respingono la difesa della patria, devono invece « unirsi » al proletariato socialista. Questo è assolutamente chiaro. Noi speriamo fermamente che il compagno Greulich non vorrà coprirsi di ridicolo cercando di dimostrare (nonostante le esperienze dell* Inghilterra, della Germania, della Svezia, ecc.) che l’« unità » dei socialpatrioti, cioè degli « agenti » dei governi borghesi, con il prole- tariato socialista può portare a qualcosa che non sia la disorganizza- zione, l’ipocrisia e la menzogna. 10. Secondo Greulich. il « giuramento » con cui i membri del Consiglio nazionale si impegnano a difendere l’indipendenza del paese è « incompatibile » con il rifiuto di difendere la patria. Benissimo! Ma c’è forse una sola attività rivoluzionaria che sia « compatibile » con il « giuramento » di salvaguardare le leggi degli Stati capitalistici?? I griitliani, cioè i servi della borghesia, riconoscono in linea di principio soltanto le vie legali. Ma fino ad oggi non c’è stato un solo socialdemocratico che abbia respinto la rivoluzione o accettato solo quelle lotte rivoluzionarie che sono « compatibili » con il « giura- mento » di salvaguardare le leggi borghesi. 11. Greulich nega che la Svizzera sia uno «Stato borghese di classe... nel senso assoluto della parola ». Egli definisce il socialismo (alla fine del quarto articolo) in modo tale che da esso scompaiono del tutto la rivoluzione sociale e qualsiasi azione rivoluzionaria. La rivoluzione sociale è un’ « utopia »: è questo, in breve, il senso di tutti i lunghi discorsi o articoli di Greulich. Molto bene! Ma questo è griitlianismo della piu bell’acqua, non è socialismo. Questo è riformismo borghese, non è socialismo. Perché il compagno Greulich non propone di cancellare le parole « rivoluzione proletaria » dal manifesto di Basilea del 1912? o le parole « azioni rivoluzionarie di massa» dal documento di Aarau del 1915? o di bruciare tutte le risoluzioni di Zimmerwald e di Kienthal? 12. Il compagno Greulich poggia saldamente sul terreno nazionale, cioè sul terreno riformistico borghese, griitliano. Egli si ostina a ignorare il carattere imperialistico della guerra attuale, nonché le relazioni imperialistiche dell’odierna borghesia sviz- zera. Ignora la scissione dei socialisti di tutto il mondo in socialpatrioti e internazionalisti rivoluzionari. 260 LENIN Dimentica che il proletariato svizzero ha in effetti dinanzi a se due sole vie. La prima è quella di aiutare la propria borghesia nazionale ad armarsi, sostenere la mobilitazione Col pretesto di difendere la neutra- lità ed esporsi quotidianamente al rischio di farsi coinvolgere nella guerra imperialistica. In caso di « vittoria » in questa guerra, soffrire la fame, registrare centomila morti, far intascare alla borghesia altri miliardi di profitti di guerra, garantirle all'estero nuovi e lucrosi investimenti di capitale e cadere in un nuovo stato di soggezione finan- ziaria nei confronti degli « alleati » imperialistici, delle grandi potenze. La seconda è quella di lottare risolutamente, in stretta alleanza con le minoranze internazionalistiche rivoluzionarie di tutte le grandi potenze, contro tutti i « governi borghesi », e prima di tutto contro il proprio , negare qualsiasi « fiducia » al proprio governo borghese in generale e ai suoi discorsi sulla difesa della neutralità, invitare garbatamente i socialpatrioti a trasferirsi nella Lega di Gnidi. In caso di vittoria, liberarsi per sempre del carovita, della fame e delle guerre e scatenare la rivoluzione socialista, insieme con gli operai francesi, tedeschi, ecc. Entrambe le vie sono difficili e impongono sacrifici. Il proletariato svizzero deve quindi scegliere se fare questi sacri- fici a vantaggio della borghesia imperialistica del suo paese e di una delle coalizioni di grandi potenze, o se farli invece per emancipare l’umanità dal capitalismo, dalla fame e dalle guerre. Il proletariato deve scegliere. Scritte in tedesco fra il 13 e il 17 (26 e 30) gennaio 1917. Pubblicate nel Volksrecbt , 1917, nn. 26 e 27 (31 gennaio e 1° febbraio). Pubblicate per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. LA DIFESA DELLA NEUTRALITÀ Se si riconosce che la guerra in corso è una guerra imperialistica, cioè una guerra fra due grandi predoni per il dominio e il saccheggio del mondo, non si dimostra ancora la necessità di respingere la difesa della patria svizzera. Noi svizzeri difendiamo appunto la nostra neutra- lità e abbiamo inviato unità militari alle nostre frontiere proprio per non prendere parte a questa guerra di rapina! Cosi dicono i socialpatrioti, i griitliani, che militano nel partito socialista e fuori delle sue file. La loro argomentazione si fonda su alcune premesse tacitamente accolte o interpolate surrettiziamente. L'acritica ripetizione di ciò che la borghesia dice e deve dire per salvare il suo dominio di classe. Una piena fiducia nella borghesia e una sfiducia radicale nel pro- letariato. L'incomprensione della situazione internazionale reale, non imma- ginaria, quale scaturisce dai rapporti imperialistici fra tutti i paesi europei e dai « legami » imperialistici della classe capitalistica svizzera. La borghesia romena e la borghesia bulgara non hanno forse assicurato per mesi e nel piu solenne dei modi che i loro preparativi di guerra avevano il « solo » scopo di difendere la neutralità? Sussistono forse dei motivi seri, scientificamente fondati, per isti- tuire al riguardo una differenza di principio fra la borghesia dei suddetti paesi e la borghesia svizzera? No di certo! Quando si osserva che in Romania e in Bulgaria la classe borghese ha una certa passione per le conquiste e le annessioni e che questo non si può dire della borghesia svizzera, non si parla 262 LENIN ancora di una differenza di principio. Gli interessi imperialistici, come tutti sanno, non si manifestano soltanto nelle acquisizioni territoriali, ma anche in quelle finanziarie. Non si deve mai dimenticare che la bor- ghesia svizzera esporta capitali per un valore minimo di tre miliardi di franchi e sfrutta quindi impcrialisticamente i popoli arretrati. È un fatto, Ed è pure un fatto che il capitale bancario svizzero è inti- mamente legato e intrecciato con il capitale bancario delle grandi potenze e che la « Fremdenindustrie »; ecc. si presenta come una ripar- tizione permanente della ricchezza imperialistica fra le grandi potenze e la Svizzera < Si aggiunga che la Svizzera è molto più evoluta in senso capitalistico della Romania e della Bulgaria; che in Svizzera non si può assolutamente parlare di movimenti popolari « nazionali », per- ché quest’epoca storica si è già conclusa per la Svizzera da molti se- coli, cosa che non si può certo dire dei due Stati balcanici. È pertanto normale che il borghese cerchi d’inculcare nel popolo, negli sfruttati, la fiducia nella borghesia e s’ingegni di mascherare con frasi appropriate l ’ effettiva politica imperialistica della « propria » borghesia. Il socialista deve assumere un atteggiamento del tutto diverso. Deve cioè denunciare implacabilmente, non tollerando nessuna illu- sione, la politica effettiva della « propria » borghesia. Che la bor- ghesia svizzera continui questa sua politica, vendendo il suo popolo all’una o all’altra coalizione di potenze imperialistiche, è molto più verosimile e « naturale » (cioè più conforme alla sua natura) che non che essa difenda la democrazia, nel vero senso della parola, contro gli interessi del profitto. « A ciascuno il suo »: che i grutliani, servi e agenti della bor- ghesia, ingannino pure il popolo con le loro frasi sulla « difesa della neutralità »! I socialisti, che combattono contro la borghesia, devono invece aprire gli occhi al popolo sul pericolo quanto mai reale, attestato da tutta la storia della politica borghese in Svizzera, di essere venduto dalla « propria » borghesia! Scritto in tedesco nel gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE Ha un’aria di festa il quartiere dei pacifisti. I bravi borghesi dei paesi neutrali esultano: « Ci siamo già fatti un discreto gruzzolo con i profitti di guerra e con il carovita. Non basta? Del resto, forse non potremo ottenere di più, e il popolo potrebbe anche perdere la pazienza... ». Come non esultare se lo « stesso » Wilson « parafrasa » la dichia- razione pacifistica del Partito socialista italiano, il quale ha appena votato a Kienthal una risoluzione solenne e ufficiale sulla radicale impo- tenza del socialpacifismo? Non c’è da stupirsi se Turati trionfa nell’ Avanti! perché Wilson ha parafrasato le proposizioni « pseudosocialiste » e pacifistiche degli italiani. Non c’è da stupirsi se i socialpacifisti e i kautskiani francesi « si uniscono » amorevolmente, nel loro Le populaire , a Turati e a Kautsky, il quale ultimo ha pubblicato nella stampa socialdemocratica tedesca cinque articoli di tendenza pacifistica singolarmente sciocchi, in cui, naturalmente, vengono « parafrasate » le chiacchiere sulla buona pace democratica messe all’ordine del giorno dagli avvenimenti. In effetti, nel momento attuale, queste chiacchiere si distinguono da quelle del passato proprio perché poggiano su un fondamento oggettivo , come risultato di una svolta nella politica mondiale: la svolta dalla guerra imperialìstica , che ha procurato ai popoli le calamità piu gravi e il gravissimo tradimento del socialismo da parte dei signori Plekhanov, Albert Thomas, Legien, Scheidemann, ecc., alia pace impe- rialistica , che deve procurare ai popoli il gravissimo inganno delle belle frasi, delle mezze riforme, delle mezze concessioni, ecc. Questa svolta è avvenuta. Non si può sapere in questo momento — e gli stessi dirigenti 264 LENIN della politica imperialistica, i re della finanza e i briganti coronati, non sono in condizione di precisare — quando appunto verrà questa pace imperialistica, quali cambiamenti si produrranno nella guerra fino ad allora, quali saranno i particolari della pace. Ma non è questo che conta. Importante è il fatto della svolta verso la pace, importante è il carattere fondamentale di tale pace, e queste due circostanze sono già sufficientemente chiarite dal precedente sviluppo degli eventi. In ventinove mesi di guerra si è ormai precisato con chiarezza di quali risorse dispongano le due coalizioni imperialistiche; tutti o quasi tutti i possibili alleati degli Stati « limitrofi » che presentino una qualche importanza sono stati coinvolti nella carneficina; le forze degli eserciti e delle flotte sono state messe alla prova, controllate, speri- mentate piu volte. Il capitale finanziario ha accumulato miliardi; la montagna dei debiti di guerra dà un’idea del tributo che il proletariato e le classi non abbienti « dovranno » pagare per decenni alla borghesia internazionale, per essersi degnata di conceder loro la possibilità di sterminare milioni di fratelli, milioni di schiavi salariati, in una guerra combattuta per la spartizione del bottino imperialistico. È forse impossibile scorticare piu a fondo, per mezzo della guerra in corso , le bestie da soma del lavoro salariato: è questa una delle cause economiche profonde della svolta che si registra oggi nella politica mondiale. È impossibile perché, in generale, stanno scemando le risorse. I miliardari americani e i loro fratelli minori dell’Olanda, della Svizzera, della Danimarca e degli altri paesi neutrali cominciano ad accorgersi che la miniera d’oro è in via di esaurimento: sta qui la sorgente del pacifismo neutrale, e non nei nobili sentimenti umani- tari, come credono gli ingenui, meschini e ridicoli Turati, Kautskv e soci. Aumenta nel frattempo il malcontento e l’indignazione delle masse. Nel numero scorso abbiamo riportato le testimonianze di Guckov e- di Helfferich 102 , da cui risulta che ì due hanno paura della rivoluzione. Non sarebbe ora di metter fine al primo massacro imperialistico? Le condizioni obiettive, che impongono la cessazione della guerra, sono cosi integrate dairistinto e dal calcolo di classe della borghesia che è gonfia di profitti di guerra. La svolta politica collegata con questa svolta economica si compie lungo due linee principali: la Germania vittoriosa strappa gli alleati UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE 265 allTnghilteria, suo nemico fondamentale, da un lato, perché i colpi piu duri sono stati (e possono essere ancora) vibrati non all'Inghil- terra ma proprio ai suoi alleati, dall'altro, perché Timperialismo tede- sco, avendo depredato molto di più, può fare delle mezze concessioni agli alleati dell' Inghilterra. È probabile che la pace separata tra la Germania e la Russia sia già conclusa . Diversa dal solito è solo la forma del compromesso poli- tico tra i due briganti. Lo zar può aver detto a Guglielmo: « Se firmo apertamente la pace separata, domani, mio augusto contraente, dovrai forse trattare con il governo di Miliukov e Guckov, se non con il governo di Miliukov e Kerenski. La rivoluzione sale, e io non rispon- do dell'esercito, i cui generali tengono un carteggio con Guckov e i cui ufficiali sono in gran parte usciti solo ieri dal liceo. Toma conto che io rischi di perdere il trono e tu di perdere un buon contraente? ». « Non torna conto, si capisce », deve aver risposto Guglielmo, se in modo esplicito o indiretto gli è stata posta la domanda. « Del re- sto, a che serve una pace separata proclamata ufficialmente o scritta sulla carta? Non si può forse ottenere lo stesso risultato con mezzi diversi, più sottili? Prometterò solennemente a tutta l'umanità di con- cederle i benefici della pace. Di nascosto farò segno ai francesi che sono disposto a restituir loro tutta o quasi tutta la Francia e il Belgio in cambio di qualche “onesta" concessione sulle loro colonie africane; e farò sapere agli italiani che possono contare sul “pezzetto" di terri- torio italiano appartenente all'Austria più qualche pezzetto nei Bal- cani. Non mi manca il modo di far conoscere ai popoli i miei piani e le mie proposte: come potranno allora gli inglesi trattenere più a lungo i loro alleati dell’Europa occidentale? Intanto noi ci sparti- remo la Romania, la Galizia, l’Armenia; Costantinopoli però, mio augusto fratello, e la Polonia non le vedrai in nessun caso, come non puoi vedere le tue orecchie! » Non si può sapere se una simile conversazione si sia svolta. Ma non è questo l’essenziale. L'essenziale è che le cose sono andate proprio cosi. Lo zar non si è arreso alle argomentazioni dei diploma- tici tedeschi, ma le « argomentazioni » dell’armata di Mackensen in Romania devono essersi rivelate più persuasive. La stampa imperialistica tedesca già parla apertamente del piano di spartizione della Romania tra la Russia e la « quadruplice alleanza » 266 LENIN (cioè gli alleati della Germania, l’Austria e la Bulgaria)! E quel chiac- chierone di Hervé già si tradisce: non potremo costringere il popolo a combattere, se esso saprà che possiamo riavere oggi stesso il Belgio e la Francia. E gli imbecilli pacifisti della borghesia neutrale sono già « al lavoro »: Guglielmo ha sciolto loro la lingua! E i... saggi pa- cifisti socialisti, Turati in Italia, Kautsky in Germania, ecc., ecc. si fanno in quattro, mettendo in opera il loro umanitarismo, la loro filantropia, la loro celeste virtù (e la loro sublime intelligenza) per abbellire Firn- minente pace imperialistica! Tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili! Noi, sovrani della finanza e briganti coronati, ci siamo invischiati nella politica del saccheggio imperialistico, abbiamo dovuto fare la guerra, e con questo? La guerra non ci arricchisce meno della pace, anzi di più! E non ci manca certo il servidorame pronto a dichiarare che la nostra è una guerra « di liberazione », non ci mancano certo questi Plekhanov, Albert Thomas, Legien, Scheidemann e soci! È ora di con- cludere una pace imperialistica? Bene, e con questo? I debiti di guerra non sono forse impegni che garantiscono il nostro sacrosanto diritto di riscuotere dai popoli un tributo cento volte più alto? E per abbel- lire questa pace imperialistica, per ingannare i popoli con discorsi mel- liflui, abbiamo tutti gli ingenui che vogliamo, come, ad esempio, Turati, Kautsky e gli altri «capi » del socialismo mondiale! II tragicomico degli interventi di Turati e di Kautsky è nel fatto che essi non capiscono la funzione politica reale , oggettiva, che stanno svolgendo: la funzione del prete che consola i popoli invece di chia- marli alla rivoluzione; la funzione del V avvocato borghese che, con frasi pompose sulle belle cose in generale e sulla pace democratica in parti- colare, attenua, copre, abbellisce e agghinda la ripugnante nudità della pace imperialistica che fa mercato dei popoli e mette a taglia i paesi. L ’ unità di principio tra i socialsciovinisti (Plekhanov e Scheide- mann) e i socialpacifisti (Turati e Kautsky) sta appunto nel fatto che gli uni e gli altri servono obiettivamente Timperialismo: gli uni lo « servono » abbellendo la guerra imperialistica con il concetto della « difesa della patria »; gli altri servono lo stesso imperialismo agghin- dando con frasi sulla pace democratica la pace imperialistica che matura e si prepara. UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE 267 La borghesia imperialistica ha bisogno dei lacchè dei due generi o sfumature: dei Plekhanov, per incoraggiare la continuazione del mas- sacro al grido di: « Abbasso i conquistatori! »; dei Kautsky, per consolare e rassicurare con il dolce canto della pace le masse troppo esasperate. Pertanto l'unificazione dei socialsciovinisti con i socialpacifisti di tutti i paesi — questo « complotto » generale « contro il socialismo », di cui parla un manifesto della Commissione socialista intemazionale di Berna 103 , questa « amnistia generale », su cui siamo ritornati piu d’una volta — non sarà il frutto del caso, ma soltanto l’espressione dell’unità di principio tra queste due tendenze dello pseudosocialismo mondiale. Non senza ragione Plekhanov, mentre strepita furiosamente contro il « tradimento » degli Scheidemann, accenna alla pace e al- l'unità con questi signori, quando sarà venuto il momento opportuno. Ma — obietterà forse il lettore — si può dopo tutto dimenticare che la pace imperialistica è « sempre migliore » della guerra imperia- listica? che, se non per intero, almeno «in parte», «nella misura del possibile », il programma della pace democratica può essere rea- lizzato? che una Polonia indipendente è da preferire alla Polonia russa? che la riunione delle terre italiane soggette all'Austria con l'Italia è un passo avanti? Dietro queste considerazioni si trincerano i difensori di Turati e di Kautsky, senza avvedersi che da marxisti rivoluzionari si trasformano cosi in volgari riformisti borghesi. È mai possibile negare, se non si è usciti di senno, che la Ger- mania bismarckiana con le sue leggi sociali « è da preferire » alla Germania anteriore al 1848? che le riforme di Stolypin « sono da preferire» alla Russia anteriore al 1905? E tuttavia hanno i social- democratici tedeschi (che a quel tempo erano ancora dei socialdemo- cratici) votato a favore delle riforme di Bismarck? E i socialdemocratici russi, se si eccettuano, naturalmente, i signori Potresov, Maslov e soci, ai quali oggi volta sprezzantemente le spalle persino Martov, che è membro del loro stesso partito , hanno forse abbellito o anche solo so- stenuto le riforme di Stolypin? La storia non segna il passo neanche nei periodi di controrivolu- zione. La storia è andata avanti nel corso stesso della carneficina im- perialistica del 1914-1916. che è la continuazione della politica impe- 268 LENIN rialistica dei decenni precedenti. Il capitalismo mondiale, che negli anni sessanta e settanta del secolo scorso era la forza avanzata e pro- gressiva della libera concorrenza e che all’inizio del nostro secolo si è sviluppato in capitalismo monopolistico , cioè in imperialismo, ha fatto durante la guerra un bel passo avanti , non solo verso una mag- giore concentrazione del capitale finanziario, ma anche verso la sua trasformazione in capitalismo di Stato. La forza del vincolo nazionale, la potenza delle simpatie nazionali sono state rivelate in questa guerra dalla condotta, per esempio, degli irlandesi in una delle due coali- zioni imperialistiche e da quella dei cechi nell’altra. I capi consa- pevoli delPimperialismo si dicono: naturalmente, non possiamo rea- lizzare i nostri disegni senza soffocare i piccoli popoli, ma vi sono due modi per strangolarli. In alcuni casi è piu sicuro — e vantag- gioso — guadagnarsi dei leali e coscienziosi « difensori della patria » nella guerra imperialistica mediante la creazione di Stati politicamente indipendenti, della cui soggezione finanziaria saremo « noi » a pren- derci cura! È piu vantaggioso (in una grande guerra tra potenze impe- rialistiche) essere gli alleati della Bulgaria indipendente, anziché i si- gnori delPIrlanda asservita! Il compimento definitivo delle riforme nazionali può a volte consolidare dall’interno la coalizione imperiali- stica, come giustamente ritiene, per esempio, uno dei servi piò abietti delPimperialismo tedesco, K. Renner, il quale, naturalmente, difende a oltranza P« unità » dei partiti socialdemocratici in generale e Punita con Scheidemann e Kautslcy in particolare. Il corso oggettivo delle cose finisce per trionfare, e, come gli strangolatori delle rivoluzioni del 1848 e del 1905 ne sono stati, in un certo senso, gli esecutori testamentari, cosi i dirigenti del massacro imperialistico sono costretti a concedere certe riforme proprie del capitalismo di Stato e certe riforme nazionali. Piccole concessioni sono del resto necessarie per placare le masse esasperate dalla guerra e dal carovita: perché non promettere (e non attuare in parte: questo non impegna a nulla!) una «riduzione degli arma- menti »? La guerra è comunque un « ramo dell’industria » molto simile alla silvicoltura: ci vogliono decine di anni prima di veder crescere alberi abbastanza grandi... insomma, prima di avere a suffi- cienza « carne da cannone » abbastanza adulta. E tra qualche decina d’anni, c’è da sperarlo, dalle file della socialdemocrazia internazionale UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE 269 « unita » sorgeranno nuovi Plekhanov, nuovi Scheidemann, nuovi soavi conciliatori come Kautsky... I riformisti e i pacifisti borghesi sono gente che viene di regola pagata , nelPuna o nell’altra forma, perché consolidi con qualche toppa il dominio del capitalismo, perché addormenti le masse popolari e le distolga dalla lotta rivoluzionaria. Quando certi « capi » del socia- lismo, come Turati e Kautsky, suggeriscono alle masse con dichiara- zioni esplicite (a Turati ne è « sfuggita » una nel suo discorso triste- mente famoso del 17 dicembre 1916) o con semplici reticenze (in cui Kautsky è un maestro) l’idea che una pace democratica può scaturire dalla presente guerra imperialistica, pur sussistendo i governi borghesi, senza l’insurrezione rivoluzionaria contro tutta la rete dei rapporti im- perialistici mondiali, noi abbiamo allora il dovere di dire che questa predicazione serve solo a ingannare il popolo, che essa non ha niente da spartire con il socialismo e finisce semplicemente per imbellettare la pace imperialistica. Noi siamo per una pace democratica. E proprio per questo non vogliamo mentire ai popoli, come fanno invece — mossi, naturalmente, dalle migliori intenzioni e dagli impulsi piu virtuosi! — Turati e Kautsky. Noi diremo la verità : non si potrà avere una pace demo- cratica, se il proletariato rivoluzionario dellTnghilterra, della Francia, della Germania e della Russia non abbatterà i governi borghesi. Noi riteniamo che i socialdemocratici rivoluzionari commetterebbero la piu grave delle sciocchezze, se rinunciassero a lottare per le riforme in genere e anche per P« organizzazione dello Stato ». Ma l'Europa sta oggi attraversando un momento in cui, piu che in qualsiasi altro pe- riodo, bisogna ricordare questa verità : che le riforme sono un risul- tato accessorio della lotta rivoluzionaria di classe . Infatti, si pone oggi all'ordine del giorno — e non per nostra volontà, non in virtù dei piani di qualcuno, ma per effetto del corso obiettivo delle cose — la soluzione dei grandi problemi storici mediante la violenza diretta delle masse, che getta nuove fondamenta, e non per mezzo di compro- messi nel quadro del vecchio regime, putrido e agonizzante. Proprio oggi, mentre la borghesia dirigente si prepara a disar- mare pacificamente milioni di proletari e a farli passare senza pericolo * — trincerandosi dietro un’ideologia seducente e aspergendoli con l’ac- qua benedetta delle smielate frasi pacifistiche! — dalle fangose, fetide 270 LENIN e infette trincee, dove si dedicavano al massacro, alle galere delle fabbriche capitalistiche, dove devono rimborsare con un « onesto la- voro » le centinaia di miliardi del debito dello Stato, proprio oggi la parola d'ordine lanciata ai popoli dal nostro partito 104 nell’autunno 1914: «Trasformare la guerra imperialistica in guerra civile per il socialismo! » assume un’importanza ancora maggiore che airinizio della guerra! Karl Liebknecht, condannato ai lavori forzati, ha fatto sua questa parola d’ordine, quando, dalla tribuna del Reichstag, ha detto: « Rivolgete le armi contro i vostri nemici di classe aH’interno del paese! ». Fino a che punto la società contemporanea sia matura per passare al socialismo lo ha dimostrato la guerra, nel momento stesso in cui la tensione delle forze del popolo ha imposto che un centro unico regolasse tutta la vita economica di oltre cinquanta milioni di uomini. Se questo è possibile sotto la direzione di un pugno di Junker, nell’interesse di pochi magnati della finanza, non lo sarà certo di meno sotto la direzione degli operai coscienti, nell’interesse dei nove decimi della popolazione, spossata dalla fame e dalla guerra. Ma, per dirigere le masse, gli operai coscienti devono capire tutta la degenerazione di alcuni capi del socialismo come Turati, Kautsky e soci. Questi signori credono di essere dei socialdemocratici rivolu- zionari e s’indignano profondamente, se qualcuno dice che il loro posto è nel partito dei signori Bissolati, Scheidemann, Legien, ecc. Ma Turati e Kautsky non capiscono affatto che solo la rivoluzione delle masse può risolvere i grandi problemi che sono alFordine del giorno; non hanno la minima fiducia nella rivoluzione; non s’interessano minima- mente al modo in cui essa sta maturando nella coscienza e nelPorien- tamento delle masse in rapporto alla guerra. La loro attenzione è completamente assorbita dalle riforme, dai compromessi tra i diversi strati delle classi dominanti, a cui essi si rivolgono con le loro « esor- tazioni » e a cui vogliono adattare il movimento operaio. L'essenziale è oggi che l’avanguardia cosciente del proletariato concentri i suoi propositi e le sue forze sulla lotta rivoluzionaria per abbattere i governi borghesi. Non esistono rivoluzioni come quelle che Turati e Kautksy sarebbero « disposti » ad accettare, rivoluzioni delle quali si possa dire in anticipo in quale momento preciso esplo- deranno e quali siano esattamente le probabilità di successo. Oggi esiste in Europa una situazione rivoluzionaria. Esiste altresì Testremo UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE 271 malcontento, il fermento e l’esasperazione delle masse. I socialdemo- cratici rivoluzionari devono utilizzare tutte le loro energie per estendere questo torrente. Dalla forza del movimento rivoluzionario dipenderà, nel caso d’un successo limitato, il grado di realizzazione pratica delle riforme « promesse » e la loro utilità per Pulteriore sviluppo della lotta di classe. Dalla forza del movimento rivoluzionario dipenderà, in caso di successo, la vittoria del socialismo in Europa e la conclu- sione, non di una tregua imperialistica nella lotta della Germania contro la Russia e l’Inghilterra e nella lotta della Russia e della Germania contro l’Inghilterra, ma di una pace realmente duratura e democratica. Sotstaldemokrat , 31 gennaio 1917, n. 58 STATISTICA E SOCIOLOGIA 105 Prefazione Alcuni dei saggi qui proposti all'attenzione del lettore sono me- diti, gli altri sono già apparsi, prima della guerra, in vari periodici. Le questioni di cui trattano — funzione e portata dei movimenti nazionali, correlazione tra momento nazionale e momento intemazio- nale — presentano oggi un interesse particolare. Molto spesso, i ragio- namenti intorno a questi problemi mancano soprattutto di prospettiva storica e di concretezza. Il contrabbando di qualsiasi merce sotto l'eti- chetta delle frasi generiche è un metodo abituale. Riteniamo quindi che un po' di statistica non sarà affatto superflua. Il raffronto tra ciò che dicevamo prima della guerra e gli insegnamenti che da essa sca- turiscono non ci sembra privo di utilità. I saggi sono tra loro con- nessi dall'unità della teoria e della prospettiva. Gennaio 1917 L’autore LA SITUAZIONE STORICA DEI MOVIMENTI NAZIONALI. I fatti sono testardi, dice un proverbio inglese. Un proverbio che torna spesso alla memoria quando si senta un autore effondersi in gorgheggi sulla nobiltà del « principio nazionale », nei suoi diversi significati c rapporti, applicandolo in genere felicemente e con lo stesso senso d'opportunità del noto eroe della fiaba popolare che, alla vista d’un corteo funebre, esclamò: « Voglia iddio che non vi manchi mai di far trasporti! ». STATISTICA E SOCIOLOGIA 273 Fatti precisi, fatti incontestabili: ecco ciò che non può tollerare questo genere di pubblicisti, ma che è invece particolarmente neces- sario, se si vuole analizzare seriamente una questione complessa e difficile, molto spesso ingarbugliata ad arte. Ma come raccogliere i fatti? Come identificare la loro connessione e interdipendenza? Nel campo dei fenomeni sociali non c’e metodo piu diffuso e inconsistente deirisolare singoli fatti senza importanza, speculando su- gli esempi. Non costa in genere alcuna fatica scegliere gli esempi, ma in compenso quest’operazione non ha alcun valore, se non puramente negativo, perché tutto dipende dalla situazione storica concreta in cui i casi particolari si inseriscono. Considerati nel loro complesso , nella loro connessione , i fatti non sono soltanto « testardi », ma anche assolutamente probanti. Senonché, quando vengano isolati dal loro complesso e dalla loro connessione e siano dei fatti slegati e scelti arbitrariamente, sono appunto un giochetto o qualcosa di peggio. Al- lorché un autore, che fu v serio in passato e che vuole tuttora passare per tale* esamina la dominazione mongola e la esibisce come un fatto esemplare per chiarire alcune vicende europee del ventesimo secolo, si può forse ritenere che si tratti soltanto di un giochetto e non invece di semplice ciarlataneria politica? La dominazione mon- gola è un fenomeno storico, indubbiamente connesso con la questione nazionale, ma nell'Europa del ventesimo secolo si registrano molti altri fenomeni innegabilmente connessi con tale questione. E tuttavia si troverà della gente — del genere di coloro che i francesi chiamano i « pagliacci nazionali » — che, avendo pretese di serietà, si servirà del « fenomeno » della dominazione mongola per illustrare quanto avviene nell'Europa del secolo ventesimo. La conclusione è evidente: sulla base di fatti precisi e inconte- stabili, bisogna tentare di istituire un principio a cui attenersi e con cui raffrontare ognuno dei ragionamenti « generali » o « esemplifi- cativi » di cui si abusa cosi smodatamente al giorno d’oggi in certi paesi. Perché si tratti realmente di un principio, bisogna scegliere non alcuni fatti isolati, ma tutto il complesso dei fatti relativi alla questione in esame, senza una sola eccezione, dato che, in caso contrario, nascerà inevitabilmente il sospetto, del tutto legittimo, che i fatti siano stati raccolti o scelti arbitrariamente, che, in luogo della connessione e inter- dipendenza oggettiva dei fenomeni storici, nel loro insieme, si offra 274 LENIN un guazzabuglio « soggettivo » per giustificare, forse, uno sporco affare. Il che succede... più spesso di quanto si creda. Sulla base di queste considerazioni, abbiamo deciso di cominciare con la statistica, pur avendo, beninteso, piena coscienza della profonda antipatia che la statistica suscita in alcuni lettori, i quali alle « umili verità » preferiscono la « menzogna che sublima », e in alcuni autori, ai quali piace far contrabbando politico con frasi « generiche » sull’in- ternazionalismo, il cosmopolitismo, il nazionalismo, il patriottismo, ecc. Capitolo primo UN PO’ DI STATISTICA 1 Per abbracciare realmente tutto il complesso dei dati relativi ai movimenti nazionali, bisogna prendere in esame tutta la popolazione del globo. Due elementi devono inoltre essere determinati con la massima precisione e indagati con la massima completezza: primo, la purezza o eterogeneità della composizione dei singoli Stati; secondo, la distinzione dei vari Stati (o delle varie formazioni statali, nel caso in cui è dubbio che si possa parlare effettivamente di Stato) in politica- mente indipendenti e politicamente soggetti. Prendiamo i dati più recenti, pubblicati nel 1916, rifacendoci a due fonti: una tedesca, le Tavole statistico-geografiche di Otto Hub- ner, e l’altra inglese, V Annuario politico ( The statesmari s yearhook). La prima fonte, essendo molto più completa riguardo alla questione che c’interessa, dovrà servirci di base; della seconda ci gioveremo invece per controllare i dati e per alcune rettifiche, in gran parte marginali. Cominciamo dagli Stati politicamente indipendenti e più «puri» nel senso della composizione nazionale. Il primo posto spetta qui al gruppo degli Stati dell’Europa occidentale, posti cioè a occidente della Russia e dell’Austria. STATISTICA E SOCIOLOGIA 275 Abbiamo in tutto 17 Stati, cinque dei quali tuttavia, pur essendo molto omogenei per la composizione nazionale, sono trascurabili per le loro dimensioni. Essi sono: il Lussemburgo, Monaco, San Marino, il Liechtenstein e Andorra. La loro popolazione complessiva è di 310.000 abitanti. E, senza dubbio, sarebbe molto più conetto escluderli dal novero degli Stati. Dei restanti 12 paesi sette hanno una composizione nazionale assolutamente pura: in Italia, infatti, in Olanda, nel Por- togallo, in Svezia e in Norvegia il 99% della popolazione appartiene a una stessa nazionalità; in Spagna e in Danimarca la percentuale è del 96%. Tre Stati hanno poi una composizione nazionale quasi pura: la Francia, Tlnghilterra e la Germania. In Francia solo Fi ,3% della popolazione è costituito di italiani, che Napoleone III si è annesso, violando e contraffacendo la volontà popolare. In Inghilterra è stata annessa l’Irlanda, la cui popolazione, di 4,4 milioni di abitanti, rappre- senta meno di un decimo della popolazione complessiva (46,8 milioni). In Germania su 64,9 milioni di abitanti l’elemento nazionalmente estraneo e quasi in pari misura oppresso, come gli irlandesi in Inghil- terra, è costituito dai polacchi (5,47%), dai danesi (0,25%), dagli alsa- ziani-lorenesi (1.870.000); ma una parte di questi ultimi (se ne ignora la percentuale esatta) gravita senza dubbio, non solo per la lingua, ma anche per i suoi interessi economici e per le sue simpatie, verso la Germania. In complesso, circa 5 milioni di abitanti della Germania appartengono a nazioni straniere, lese nei loro diritti e persino oppresse. Solo due piccoli Stati dell’Europa occidentale hanno una composi- zione nazionale mista: la Svizzera, la cui popolazione, che non rag- giunge sia pure per poco i quattro milioni, è composta per il 69% di tedeschi, per il 21% di francesi e per I’8% di italiani, e il Belgio (con meno di 8 milioni di; abitanti: all’incirca il 53% è composto di fiam- minghi e il 47% di francesi). Bisogna però rilevare che, per quanto grande sia la varietà della composizione nazionale di questi Stati, non si può parlare di oppressione nazionale. Secondo le Costituzioni dei due Stati, tutte le nazioni hanno uguali diritti; in Svizzera l’uguaglianza è stata realizzata integralmente; in Belgio, invece, i fiamminghi, pur costituendo la maggioranza della popolazione, non godono della com- pleta parità di diritti, anche se tale disuguaglianza è insignificante rispetto a quella di cui soffrono, per esempio, i polacchi in Germania o gli irlandesi in Inghilterra, per non dire di ciò che accade solita- 276 LENIN mente nei paesi che non appartengono al gruppo di Stati in esame. E quindi, fra l’altro, la formula di « Stato delle nazionalità », che è entrata nell’uso grazie alla faciloneria degli opportunisti specializzati nella questione nazionale, gli austriaci K. Renner e O. Bauer, è valida solo in un’accezione molto ristretta, solo cioè se non si dimentica, da un lato, la funzione storica particolare degli Stati di questo tipo (su cui dovremo ritornare più avanti) e non si smarrisce, dall’altro lato, la radicale differenza, occultata da questa formula, tra l’effettiva uguaglianza di diritti e l’oppressione delle nazioni. Riunendo insieme i paesi considerati, otteniamo un gruppo di dodici Stati europei occidentali con una popolazione complessiva di 24 2 milioni di abitanti. Di essi solo 9 milioni e mezzo circa, cioè solo il 4%, rappresentano delle nazionalità oppresse (in Inghilterra e in Germania). Inoltre, se si sommano le percentuali degli abitanti di questi paesi che non appartengono alla nazionalità principale dello Stato, si ha una cifra di circa 15 milioni di cittadini, pari al 6%. In linea generale, il gruppo di Stati preso in esame è caratteriz- zato dai seguenti elementi: essi sono i paesi capitalistici più progrediti, più evoluti sia sotto l’aspetto economico che sotto quello politico. Anche il grado di cultura è qui il più elevato. Sotto il profilo nazio- nale, la maggior parte di questi Stati ha una composizione assoluta- mente pura o quasi. La disuguaglianza di diritti delle nazioni, in quanto fenomeno politico particolare, vi assolve una funzione del tutto marginale. Siamo in presenza di quel tipo di « Stato nazionale » di cui tanto spesso si parla, dimenticando però, nella maggior parte dei casi, il suo carattere storicamente condizionato e transitorio nello sviluppo capitalistico generale deirumanità. Ma di questo parleremo con ric- chezza di particolari a suo luogo. Ci si domanda adesso se questo tipo di Stato sia limitato ai soli paesi delPEuropa occidentale. Evidentemente, no. Tutte le sue carat- teristiche fondamentali, economiche (sviluppo elevato e particolarmente rapido del capitalismo), politiche (regime rappresentativo), culturali, nazionali, si riscontrano anche negli Stati più progrediti dell’America e dell’Asia: negli Stati Uniti e in Giappone. La composizione nazionale di quest’ultimo paese è già da tempo cristallizzata e assolutamente pura: la sua popolazione è composta, per più del 99%, di giapponesi. Negli Stati Uniti solo l’H.1% della popolazione è costituito di negri STATISTICA E SOCIOLOGIA 277 (nonché di mulatti e indiani), che devono esser compresi tra le nazioni oppresse, poiché l’uguaglianza nazionale, conquistata con la guerra civile degli anni 1861-1865 e garantita dalla Costituzione repubblicana, ha subito di fatto restrizioni sempre piu gravi nelle principali zone di residenza dei negri (nel sud) e sotto molti rapporti, in relazione al trapasso dal capitalismo progressivo premonopolistico degli anni ses- santa-settanta al capitalismo reazionario monopolistico (imperialismo) dell’età contemporanea, che in America è delimitata con particolare nettezza dalla guerra imperialistica (provocata cioè dai contrasti per la spartizione del bottino tra i due predoni) ispano-americana del 1898. Del restante 88,7% della popolazione bianca degli Stati Uniti il 74,3% è costituito di americani e solo il 14,4% di stranieri, cioè di cittadini immigrati da altri paesi. Com'è noto, le favorevoli condizioni di sviluppo del capitalismo in America e la singolare rapidità di questo sviluppo fanno si che in nessun altro paese le grandi differenze nazio- nali si fondano, in modo altrettanto rapido e radicale come qui, nel* l’unica nazione « americana ». Se associamo gli Stati Uniti e il Giappone ai paesi dell'Europa occidentale menzionati sopra, otteniamo 14 Stati con una popolazione complessiva' di 394 milioni di abitanti, dei quali circa 26 milioni, pari al 7%, sono lesi nei loro diritti nazionali. Anticipando, diremo inoltre che proprio la maggior parte di questi 14 Stati progrediti, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, cioè ancora una volta nel periodo di trasformazione del capitalismo in imperialismo, si è inoltrata con parti- colare energia per la strada della politica coloniale, per effetto della quale questi Stati « dispongono » oggi, nei paesi dipendenti e coloniali, di oltre mezzo miliardo di uomini. 2 11 gruppo degli Stati dell’Europa orientale — la Russia, l’Austria, la Turchia (che sarebbe pili corretto considerare geograficamente uno Stato asiatico ed economicamente una « semicolonia ») e i sci piccoli Stati balcanici: Romania, Bulgaria, Grecia, Serbia, Montenegro e Al- bania — ci offre senz’altro un quadro radicalmente diverso dal prece- dente. Non un solo Stato ha una composizione nazionale pura! Soltanto 278 LENIN i piccoli Stati balcanici possono esser detti nazionali, purché non si dimentichi che anche in essi la popolazione straniera va dal 5 al 10%, che un numero considerevole (rispetto airinsieme della nazione con- siderata) di romeni e di. serbi vivono fuori dei confini del « loro » Stato, che in generale la « costruzione dello Stato », nel senso nazionale borghese, non è stata portata a termine neppure dalle guerre «di ieri», per cosi dire, cioè dalle guerre del 1911-1912. Tra i piccoli Stati balcanici non c’è un solo Stato nazionale del tipo della Spagna, della Svezia, ecc. E, in ognuno dei tre grandi Stati del- l’Europa orientale, la percentuale della popolazione della nazionalità « autoctona » e principale ascende soltanto al 43%. Piu della metà della popolazione, il 57%, appartiene ad una « nazionalità straniera » (allogena, per dirla in buon russo). Sul piano statistico, la differenza tra il gruppo di Stati dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale si può formulare come segue. Nel primo gruppo abbiamo dieci Stati nazionali, puri o quasi puri, con una popolazione di 231 milioni di abitanti, e solo due Stati «ete- rogenei » sotto l’aspetto nazionale, ma senza oppressione delle nazio- nalità, data l’uguaglianza di diritti sancita dalla Costituzione e realizzata di fatto, con una popolazione di 1 1 milioni e mezzo di abitanti. Nel secondo gruppo abbiamo sei Stati quasi puri, con una popo- lazione di 23 milioni di abitanti, e tre Stati « eterogenei » o « misti », dove non c’è uguaglianza delle nazioni, con 249 milioni di abitanti. In complesso, la percentuale della popolazione straniera (cioè non appartenente alla nazione principale * di ogni singolo Stato) costituisce nell’Europa occidentale il 6%, e, se si considerano anche gli Stati Uniti e il Giappone, il 7%. Nell’Europa orientale questa percentuale è del 53%! 109 Pubblicato per la prima volta in Bolscevik, 1935, n. 2. * In Russia i grandi-russi, in Austria i tedeschi e i magiari, in Turchia i turchi. PALUDE IMMAGINARIA O REALE? 107 In un suo articolo sulla maggioranza e la minoranza ( Berner Tag- ivacht e Neues Leben) il compagno R. Grimm asserisce che « anche da noi si è inventata » « una palude, un immaginario centro del partito ». Dimostreremo che la posizione assunta da Grimm nell’articolo indicato è una posizione tipicamente centrista. Polemizzando con la maggioranza, Grimm scrive: « Neanche uno dei partiti che accettano la piattaforma di Zim- merwald e di Kienthal ha lanciato la parola d’ordine di rifiutare il servizio militare, facendo obbligo ai suoi iscritti di tradurla in. pra- tica. Lo stesso Liebknecht ha indossato l’uniforme ed è entrato nelle file délLesercito. Il partito italiano si è limitato a respingere i crediti militari e la pace civile. La minoranza francese ha agito nello stesso modo ». Ci stropicciamo gli occhi per lo stupore. Rileggiamo ancora que- st’importante capoverso dell’articolo di Grimm e consigliamo al lettore di rifletterci sopra. È incredibile, ma vero! Per dimostrare che il centro è da noi una invenzione, il rappresentante del nostro centro mette nello stesso sacco gli internazionalisti di sinistra (Liebknecht) e gli zimmenvaldiani di destra o centro!!! Possibile che Grimm speri davvero di ingannare gli operai sviz- zeri e di convincerli che Liebknecht e il partito italiano appartengono alla stessa corrente e che fra loro non esiste proprio quella differenza che distingue la sinistra dal centro? Ecco i nostri argomenti. 280 LENIN Ascoltiamo, in primo luogo, un testimone che non appartiene né al centro né alla sinistra. Il socialimperialista tedesco Ernst Heilmann cosi scriveva il 12 agosto 1916 sulla Glocke , a p. 772: « ... Die Arbeits- gemeinschaft, o destra di Zimmerwald , che ha come suo teorico Kautsky e come capi politici Haase e Ledebour... ». Può Grimm contestare che Kautskv, Haase e Ledebour sono i rappresentanti tipici del centro? In secondo luogo, può Grimm ignorare che la destra di Zimmer- wald, o centro, prende posizione nelPodierno movimento socialista contro la rottura immediata con l’Ufficio socialista internazionale del- l’Aja, con YUfficio dei socialpatrioti} che la sinistra è per questa rot- tura? che i rappresentanti del gruppo « Internazionale » — e Liebk- necht appartiene a questo gruppo — si sono battuti contro la convo- cazione delPUfficio socialista internazionale e per la rottura con esso? In terzo luogo, ha forse Grimm dimenticato che il socialpacifismo, recisamente condannato dalla risoluzione di Kienthal, è divenuto pro- prio oggi la piattaforma del centro in Francia, in Germania e in Italia? che l’intero partito Italiano, il quale non ha protestato né contro le numerose mozioni e dichiarazioni socialpacifistiche del proprio gruppo parlamentare né contro il vergognoso discorso di Turati del 17 dicem- bre, è sulla piattaforma del socialpacifismo? che i due gruppi tedeschi di sinistra, gli ISD (Socialisti internazionalisti di Germania) e P« In- temazionale » (o gruppo « Spartaco », al quale appartiene Liebknecht), hanno respinto espressamente il socialpacifismo del centro? Non si dimentichi, inoltre, che i più nocivi socialimperialisti e socialpatrioti di Francia, con Sembat, Renaudel e Jouhaux alla testa, hanno votato anch'essi risoluzioni socialpacifistiche e che in tal modo è stato messo a nudo con singolare chiarezza il significato reale e oggettivo del socialpacifismo. In quarto luogo... ma bastai Grimm aderisce proprio alle posizioni del centro quando consiglia al partito svizzero di « limitarsi » a rifiu- tare i crediti di guerra e la pace civile, come ha fatto il partito italiano. Egli critica le proposte della maggioranza dal punto di vista del centro, perché questa maggioranza vuole avvicinarsi alla posizione di Lieb- knecht . Grimm si schiera a difesa della chiarezza, della sincerità e del- l’onestà. D’accordo! Ma queste eccellenti qualità non impongono forse di distinguere chiaramente, sinceramente e onestamente le concezioni PAI UDE IMMAGINARIA O REALK? 281 e la tattica di Liebknecht da quelle del centro e di non metterle nello stesso sacco? Essere con Liebknecht significa: 1 ) attaccare il nemico principale nel proprio paese; 2) smascherare i socialpatrioti del proprio paese (e, col vostro permesso, compagno Grimm, non solo quelli stranieri ! ), combatterli e (col vostro permesso, compagno Grimm!) non unirsi a loro contro i radicali della sinistra; 3) criticare' e denunciare aperta- mente le .debolezze non solo dei socialpatrioti, ma anche dei social- pacifisti e dei « centristi » del proprio paese; 4) servirsi della tribuna parlamentare per incitare il proletariato alla lotta rivoluzionaria, per indurlo a rivolgere le armi contro la propria borghesia; 5 J diffondere pubblicazioni illegali e organizzare riunioni clandestine; 6) organizzare manifestazioni proletarie come quella di piazza Potsdam a Berlino, dove è stato arrestato Liebknecht; 7) chiamare allo sciopero gli operai del- l’industria di guerra, come ha fatto, con i suoi appelli clandestini, il gruppo «Internazionale»; .8) dimostrare apertamente la necessità di « rinnovare » a fondo gli attuali partiti, che si limitano ad un'attività riformistica, e agire secondo l’esempio di Liebknecht; 9) respingere ca- tegoricamente la difesa della patria nella guerra imperialistica; 10) bat- tersi su tutta la linea contro il riformismo e 1 opportunismo in seno alla socialdemocrazia; 11) intervenire con altrettanta intransigenza contro i dirigenti sindacali, che in tutti i paesi, e specialmente in Germania, in Inghilterra e in Svizzera, costituiscono l’avanguardia del socialpatriot- tismo e deH’opportunismo, ecc. È chiaro che, in questo senso, si possono criticare molti punti del progetto della maggioranza. Ma di questo si può parlare soltanto in un articolo a parte. Per il momento basterà sottolineare che la maggioranza propone comunque alcuni passi in questa direzione e che Grimm l’attacca non da sinistra, ma da destra , non dalle posizioni di Liebknecht, ma da quelle del centro. Nel suo articolo Grimm confonde ad ogni passo due questioni radicalmente diverse: anzitutto il problema del quando , del preciso momento in cui questa o quella azione rivoluzionaria può essere realiz- zata. È assurdo tentare di risolvere in anticipo questo problema, e i rimproveri che Grimm rivolge in proposito alla maggioranza altro non sono che polvere gettata negli occhi degli operai. La seconda questione riguarda il modo di cambiare, di trasformare 282 LENIN il partito, attualmente incapace di condurre sistematicamente e con perseveranza una lotta realmente rivoluzionaria in qualsiasi condizione concreta, in un partito che sia capace di farlo . Sta qui lessenziale! La radice di tutta la discussione, della lotta di tendenza intorno alla questione della guerra e della difesa della patria! Ma è proprio questo il punto che Grimm passa sotto silenzio, nasconde e oscura; di piu: le sue spiegazioni finiscono per negare questo problema. Tutto rimane come prima: ecco il filo rosso che percorre Particolo di Grimm; ecco la ragione profonda che induce a ravvisare nel suo arti- colo una manifestazione di centrismo. Tutto rimane come prima: ba- sta solo rifiutare i crediti di guerra e la pace civile! Ogni borghese intelligente dovrà convenire che, in fin dei conti, la proposta non è inaccettabile per la borghesia: essa infatti non minaccia il suo domi- nio e non le impedisce di far la guerra (come « minoranza nello Stato » « noi ci subordiniamo »: queste parole di Grimm hanno un significato politico molto grande, molto più grande di quanto possa sembrare a prima vista!). Non è, del resto, un fatto di portata internazionale che nei paesi belligeranti, e anzitutto in Inghilterra e in Germania, la borghesia e i suoi governi perseguitano soltanto i fautori di Liebknecht e tollerano i sostenitori del centro? Avanti, a sinistra, anche se ciò comporta che certi capi social- patriottici se ne vadano: ecco il senso politico delle proposte della maggioranza. Indietro, rispetto a Zimmerwald, a destra, verso il socialpacifismo, verso le posizioni del centro, verso la « pace » con i capi socialpatriot- tici, niente azioni di massa, niente spirito rivoluzionario, niente rinno- vamento del partito: ecco la concezione di Grimm. C J è da sperare che essa consenta infine alla sinistra radicale della Svizzera di aprire gli occhi sulla posizione centrista di Grimm. Scritto in tedesco alla fine del gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. PROPOSTA DI EMENDAMENTI ALLA RISOLUZIONE SULLA QUESTIONE DELLA GUERRA 108 1. I rappresentanti del partito in parlamento si impegnano a respingere, esponendone i motivi, tutte le richieste e i crediti militari. Rivendicare la smobilitazione. 2. Niente pace civile; inasprimento della lotta di principio contro tutti i partiti borghesi, nonché contro le idee nazionalistiche gru diane nel movimento operaio e nel partito. 3. Propaganda rivoluzionaria sistematica neiresercito. 4. Appoggio a tutti i movimenti rivoluzionari e alla lotta contro la guerra e i propri governi in tutti i paesi belligeranti. 5. Sostenere ogni lotta rivoluzionaria di massa, scioperi, mani- festazioni, anche in Svizzera, e trasformarli in lotta armata aperta. 6. Il partito dichiara che la lotta rivoluzionaria di massa, appro- vata dal Parteitag di Aarau del 1915, si propone la trasformazione socialista della Svizzera. Questa trasformazione è Punico e più efficace mezzo per liberare la classe operaia dagli orrori del carovita e della fame. Essa è indispensabile per eliminare completamente il militarismo e la guerra. Scrìtta in tedesco fra il 21 e il 29 gennaio (9 e 11 febbraio) 1917. Pubblicata per la prima volta in russo in Miscellanea di Leniti , XVII, 1931. STORIA DI UN BREVE PERIODO DI VITA DI UN PARTITO SOCIALISTA 7 gennaio 1917. Riunione della direzione del partito socialista svizzero. Il capo del « centro » R. Grimm si unisce ai leaders social* patriottici e rinvia a tempo indeterminato il Parteitag (in cui si doveva discutere la questione della guerra e che era stato fissato per ITI febbraio 1917). Nobs, Platten, Naine e altri protestano e votano contro. Profonda indignazione contro il rinvio tra gli operai coscienti. 9 gennaio 1917. Pubblicazione delle risoluzioni della maggioranza e della minoranza. Nel progetto della maggioranza manca una qual- siasi dichiarazione aperta contro la difesa della patria (Affolter e Schmid si sono opposti); tuttavia, nel paragrafo 3, è contenuta la seguente rivendicazione: « I rappresentanti del partito in parlamento si impegnano a respingere, esponendone i motivi, tutte le richieste e i crediti militari ». È bene ricordarsene. 23 gennaio 1917. Il Volksrecbt di Zurigo pubblica la motivazione del referendum 109 , in cui il rinvio del congresso è caratterizzato, in termini bruschi ma assolutamente esatti, come una vittoria dei griit- Iiani sul socialismo. Tempesta d’indignazione dei leaders contro il referendum. Grimm sulla Berner Tagwachi, Jacques Schmid (Olten) sulla Neue Freie Zeìtung , F. Schneider sul Basler V or wàrts e, oltre a questi « centristi », il sociàlpatriota Huber sulla Volksstimme di San Gallo: tutti costoro coprono d’ingiurie e di minacce i promotori del referendum. L’immonda campagna è capeggiata da R. Grimm, che cerca so- STORIA DI UN BREVE PERIODO 285 prattutto d'intimorire P« organizzazione della gioventù » e promette di attaccarla al prossimo Parteitag. Nella Svizzera tedesca e francese centinaia e centinaia di operai firmano con zelo i fogli del referendum, Naine telegrafa a Miinzenberg che con tutta probabilità la segreteria cantonale sosterrà il referendum. 22 gennaio 1917. La Berner Tagwacbt e il Volksrecht pubblicano una dichiarazione del consigliere nazionale Gustav Miiller. Costui pone al partito un ultimatum formale, dichiarando, a nome del suo gruppo (egli scrive il « nostro gruppo »), che si dimetterà da consigliere na- zionale, perché il << rifiuto di principio dei crediti militari » è per lui inaccettabile. 26 gennaio 1917. Greulich, nel suo quarto articolo sul Volksrecht , pone al partito lo stesso ultimatum, annunciando che « ovviamente » rassegnerà il proprio mandato, se il Parteitag approverà il paragrafo 3 della risoluzione della maggioranza 110 . 27 gennaio 1917. E. Nobs dichiara, in una nota redazionale (A proposito del referendum) , che non condivide in nessun caso la motivazione del referendum m . Platten tace. 31 gennaio 1917. La segreteria delibera di convocare il Parteitag per il 2 e il 3 giugno 1917 (non si dimentichi che la segreteria aveva già deciso una prima volta di indire il congresso per 1*11 febbraio 1917, ma che la decisione era stata revocata dalla direzione del partito!). 1 febbraio 1917. Si riunisce a Olten un gruppo di zimmerwal- diani. Alla riunione intervengono i rappresentanti delle organizzazioni invitate alla conferenza dei socialisti dell'Intesa (convocata per il marzo 1917). Radek, Zinoviev, Miinzenberg e un membro del gruppo « Inter- nazionale » {il gruppo «Spartaco» a cui aderiva K. Liebknecht) sver- 286 LENIN gognano pubblicamente R. Grimm e dichiarano che la sua alleanza con i socialpatrioti contro gli operai socialisti della Svizzera fa di lui un « cadavere politico ». La stampa si ostina a mantenere il più assoluto silenzio sulla conferenza. 1 febbraio 1917. Platten pubblica il suo primo articolo sulla questione della guerra, nel quale sono da mettere in particolare risalto due dichiarazioni 112 . Anzitutto, egli scrive testualmente: « Si è sentita, naturalmente, in sede di commissione, l’assenza di una mente lucida, di un combat- tente zimmerwaldiano, coraggioso e conseguente, che sostenesse di mettere a dormire la questione della guerra sino alla fine del conflitto ». Non è difficile intuire contro chi sia rivolto quest’attacco. Inoltre, nello stesso articolo, Platten fa una dichiarazione di principio: « La questione della guerra non implica soltanto una lotta di idee intorno a questo problema, ma anche un indirizzo determinato nel futuro sviluppo del partito; implica la lotta contro l’opportunismo nel partito e una presa di posizione contro i riformisti e per la lotta rivoluzionaria di classe ». 3 febbraio 1917. Si tiene un convegno privato di centristi (Grimm, Schneider, Rimathé e altri), a cui intervengono anche Nobs e Platten. Munzenberg e il dr. Bronski sono stati invitati, ma si rifiutano di partecipare. Il convegno decide di « emendare » la risoluzione della maggio- ranza, che viene sostanzialmente peggiorata e diventa una « risoluzione centrista », soprattutto perché il paragrafo tre scompare e viene sosti- tuito con una formula assai vaga e imprecisa. 6 febbraio 1917. Assemblea generale dei membri zurighesi del partito socialdemocratico. Il punto più importante è l’elezione del comitato. STORIA DI UN BREVE PERIODO 287 I presenti sono pochi, gli operai sono in . numero insignificante. Platten propone di rinviare l'assemblea. I socialpatrioti e Nobs si oppongono. La proposta viene respinta. Comincia la votazione. Non appena si apprende che il dr. Bronski è stato eletto, il socialpatriota Baumann dichiara, a nome di quattro membri del comitato, che si rifiuta di collaborare con lui. Platten propone di accogliere Tultimatum {cioè di cedere), soste- nendo (in aperta violazione di ogni metodo democratico e del tutto illegalmente) che l’elezione è da ritenere nulla. La proposta viene accolta! ! ! 9 febbraio 1917. Viene pubblicata la «nuova» risoluzione della maggioranza. È firmata dai « centristi » Grimm, Rimathé, Schneider, Jacques Schmid, ecc. e da Nobs e Platten. Il testo è notevolmente peggiorato, e, come si è già detto, il paragrafo tre è soppresso m . Nella risoluzione manca qualsiasi accenno alla lotta contro l’oppor- tunismo e il riformismo; non si accenna alla volontà di seguire la tattica di Karl Liebknecht! È una tipica risoluzione centrista, dove predominano i bei discorsi « generici », con pretese « teoriche », ma dove le rivendicazioni pra- tiche sono formulate di proposito in termini cosi fiacchi e nebulosi da far sperare che non soltanto Grimm e G. Miiller, ma persino Bau- mann = Zurigo si degneranno di ritirare il proprio ultimatum e di... amnistiare il partito. Risultato ultimo: lo zimmerwaldismo viene seppellito solenne- mente nella « palude » dai leaders del partito svizzero. Aggiunta. II 25 gennaio 1917, nella V olksstimme di San Gallo (su cui scrive molto spesso Huber = Rorschach), si legge: «A tale impudenza [cioè alla motivazione del referendum] basta opporre il fatto che la proposta di rinvio [del 7 gennaio] è stata pre- sentata dal compagno Grimm e sostenuta energicamente anche dai compagni Manz , Greulich, Mailer, Affolter e Schmid ». 288 LENIN Il Basler Vorw'àrts del 16 gennaio 1917 comunica che la proposta di rinvio (del 7 gennaio) è stata presentata dai seguenti compagni; « Grimm, Rimathé, Studer, Miinch, Lang = Zurigo, Schneider = Basilea, Keel = San Gallo e Schnurrenberger » (sic!! È forse un refuso, invece di Schneeberger?). Gli operai hanno tutte le ragioni di esser grati ai due giornali per aver citato questi nomi \ ... Scritto in tedesco alla fine del febbraio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. ABBOZZO DI TESI DEL 4(17) MARZO 1917 1,4 Le notizie dalla Russia di cui disponiamo oggi, 17 marzo 1917, a Zurigo, sono cosi scarse, e gli avvenimenti si sviluppano nel nostro paese con tale rapidità che solo con grande cautela si può giudicare della situazione russa. I telegrammi annunciavano ieri che lo zar aveva già abdicato e che il nuovo governo ottobrista-cadetto 115 aveva già stipulato un accordo con altri esponenti della dinastia dei Romanov. Oggi si apprende dallTnghilterra che lo zar non ha ancora abdicato e che si ignora dovè attualmente si trovi! Egli cerca dunque di resistere, di organizzare un partito e, forse, un esercito per la restaurazione; non è da escludere che, se riuscirà a fuggire dalla Russia e ad ottenere l'appoggio di una parte delle forze annate, pubblicherà per ingannare il popolo un manifesto sulla pace separata con la Germania! In questa situazione il compito del proletariato è abbastanza com- plesso. Senza dubbio, esso dovrà organizzarsi nel miglior modo, rac- cogliere le proprie forze, armarsi, consolidare e sviluppare la propria alleanza con tutti gli strati della massa lavoratrice nelle città e nella campagna, allo scopo di opporre una resistenza accanita alla reazione e schiacciare definitivamente la monarchia zarista. D'altra parte, il nuovo governo, che ha preso il potere a Pietro- burgo o, piu esattamente, che l'ha strappato al proletariato uscito vin- citore da una lotta eroica e sanguinosa, è costituito di borghesi e di grandi proprietari fondiari liberali, che tengono a briglia Kerenski, portavoce dei contadini democratici e forse di quella parte di operai che, dimenticando ^internazionalismo, sono stati trascinati sulla strada della borghesia. II nuovo governo è composto di noti fautori della 10-2617 290 LENIN guerra imperialistica contro la Germania, cioè della guerra condotta a fianco dei governi imperialistici delTInghilterra e della Francia, per depredare e conquistare altri paesi: l’Armenia, la Galizia, Costan- tinopoli, ecc. Il nuovo governo non può dare ai popoli della Russia (o alle nazioni a cui la guerra ci ha legati) né la pace né il pane né la com- pleta libertà, e pertanto la classe operaia deve proseguire la sua lotta per il socialismo e per la pace, approfittando a tale scopo della nuova situazione e spiegandola alle grandi masse popolari. Il nuovo governo non .può assicurare la pace sia perché rappre- senta i capitalisti e i grandi proprietari fondiari, sia perché è legato ai capitalisti inglesi e francesi da trattati ed impegni finanziari. Per- tanto, la socialdemocrazia di Russia, fedele all’internazionalismo, deve anzitutto spiegare alle masse popolari, assetate di pace, che è impos- sibile ottenerla dal governo attuale. Nel suo primo messaggio 116 al popolo (17 marzo) questo governo non ha fatto parola della questione fondamentale e piu importante dell’ora: la pace. Esso mantiene il segreto sui trattati briganteschi che lo zarismo ha stipulato con l’In- ghikerra, la Francia, l’Italia, il Giappone, ecc. Vuole tener nascosta al popolo la verità sul suo programma militare, sulla sua intenzione di continuare la guerra fino alla vittoria sulla Germania. È incapace di fare ciò che è oggi indispensabile ai popoli: proporre immediatamente e apertamente a tutti i paesi belligeranti di firmare subito un armi- stizio e stipulare in seguito una pace che si fondi sulla completa liberazione delle colonie e di tutte le nazioni dipendenti o lese nei loro diritti. A tal fine è necessario un governo operaio che sia alleato, da una parte, con la massa piu povera della popolazione delle cam- pagne e, dall’altra, con gli operai rivoluzionari di tutti i paesi bel- ligeranti. Il nuovo governo non può dare al popolo il pane. E nessuna libertà potrà mai soddisfare le masse che patiscono la fame per mancanza di scorte, per la difettosa distribuzione dei viveri e, soprattutto, per T accaparramento delle derrate da parte dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. Per dare ai popoli il pane sono necessarie delle misure rivoluzionarie contro i grandi proprietari fondiari e i capitalisti, misure che possono essere realizzate soltanto da un governo operaio. ABBOZZO DI TESI DEL 4 MARZO 1917 291 Il nuovo governo, infine, non può dare al popolo una libertà completa, benché nel suo manifesto del 17 marzo 1917 parli esclusiva- mente della libertà politica, tacendo su altri problemi, non meno im- portanti. II nuovo governo ha già tentato di giungere a un'intesa con la dinastia dei Romanov, perché ha deciso di riconoscerla, senza tener conto della volontà del popolo, a patto che Nicola II abdichi in favore del figlio e che un membro della famiglia Romanov sia nominato reg- gente. Il nuovo governo promette nel suo manifesto tutte le libertà, ma non assolve il suo preciso e assoluto dovere di attuare subito queste libertà, di far eleggere gli ufficiali, ecc. dai soldati, di proce- dere all'elezione delle Dume municipali di Pietroburgo, di Mosca e delle altre città mediante un suffragio veramente universale, conce- dendo il diritto di voto anche alle donne, di aprire tutti gli edifici pubblici e di proprietà dello Stato alle assemblee popolari, di proce- dere alle elezioni di tutte le istituzioni locali e degli zemstvo con suffragio veramente universale, di abrogare qualsiasi restrizione del- l'autonomia locale, di revocare tutti i funzionari nominati dall’alto per controllare le amministrazioni autonome locali, di garantire non solo la libertà di culto, ma anche la libertà dalla religione, di separare immediatamente la scuola dalla Chiesa ed emanciparla dalla tutela dei funzionari, ecc. Il manifesto governativo del 17 marzo ispira la sfiducia piu completa, perché è fatto di sole promesse e non realizza immediata- mente nessuna di quelle misure piu urgenti che potrebbe e dovrebbe realizzare appieno, fin da ora. Nel suo programma il nuovo governo non fa parola della giornata lavorativa di otto ore e degli altri miglioramenti economici a favore degli operai, della terra per i contadini, cioè del trasferimento senza indennizzo ai contadini di tutte le grandi proprietà fondiarie; e, con il suo silenzio su questi problemi urgenti, rivela là sua natura di go- verno dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari. Solo un governo operaio, che poggi, da un lato, sulla stragrande maggioranza della popolazione contadina, sugli operar agricoli e sui contadini piu poveri, e, dall'altro, sull'alleanza con gli operai rivolu- zionari di tutti i paesi belligeranti, può assicurare al popolo la pace, il pane e una libertà completa. io* 292 LENIN Il proletariato rivoluzionario non può quindi considerare la rivo- luzione del V (14) marzo che come una prima vittoria, ancora tutt’altro che completa, sul grande cammino intrapreso e non può non proporsi di continuare la lotta per conquistare la repubblica democratica e il socialismo. A tale scopo il proletariato e il POSDR devono utilizzare la libertà relativa e incompleta che il nuovo governo introduce e che solo una lotta rivoluzionaria più ostinata e perseverante può garantire ed estendere. È necessario che le masse lavoratrici delle campagne e delle città, nonché l’esercito, sappiano la verità sul governo attuale e sulla sua effettiva posizione nelle questioni più urgenti. Bisogna organizzare i soviet dei deputati operai e armare gli operai; bisogna estendere le organizzazioni proletarie all’esercito (al quale il nuovo governo promette anche i diritti politici) e alle campagne; bisogna creare, in particolare, un’autonoma organizzazione di classe dei salariati agricoli. Solo se le grandi masse della popolazione saranno informate e organizzate, la completa vittoria nella futura tappa della rivoluzione e la conquista del potere da parte di un governo operaio saranno garantite. Per assolvere questo compito, che in un periodo rivoluzionario e sotto la spinta delle dure lezioni della guerra può essere fatto proprio dal popolo in uno spazio di tempo infinitamente più breve che in con- dizioni normali, bisogna assicurare l’indipendenza ideologica e organiz- zativa al partito del proletariato rivoluzionario, che è rimasto fedele alPinternazionalismo e non si è arreso alle ipocrite frasi della bor- ghesia, che inganna il popolo con i suoi discorsi sulla « difesa della patria » nell’attuale guerra imperialistica di rapina. Non solo il governo attuale, ma nemmeno un governo repubbli- cano di democrazia borghese, composto soltanto di Kerenski e degli altri socialpatrioti populisti e « marxisti », potrebbe liberare il popolo dalia guerra imperialistica e garantire la pace. Pertanto non possiamo partecipare ad alcun blocco, ad alcuna alleanza, o giungere anche solo a un’intesa con gli operai difensisti, con la tendenza Gvozdev-Potresov-Ckhenkeli-Kerenski, ecc., con gen- ABBOZZO DI TESI DEL 4 MARZO 1917 293 te che come Ckheidze, ecc. assuma, su questo problema fondamen- tale, una posizione oscillante e indeterminata. Queste intese non solo porterebbero la menzogna nella coscienza delle masse, lasciandole in balia della borghesia imperialistica russa, ma indebolirebbero e minerebbero la funzione dirigente del proletariato nella lotta per sal- vare i popoli dalle guerre imperialistiche e garantire una pace realmente duratura fra i governi operai di tutto il mondo. Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin , II, 1924. TELEGRAMMA AI BOLSCEVICHI IN PARTENZA PER LA RUSSIA 117 Nostra tattica: completa sfiducia, nessun appoggio nuovo go- verno, sospettiamo soprattutto Kerenski, armamento proletariato unica garanzia, elezioni immediate Duma piétrogradese, nessun avvicinamento altri partiti. Telegrafate questo Pietrogrado. Ulianov. Scritto in francese il 6 (19) marzo 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XIII, 1930. DICHIARAZIONE AL GIORNALE « VOLKSRECHT >> 118 Diversi giornali tedeschi hanno pubblicato, falsificandolo , il tele- gramma da me inviato il 19 marzo, in Scandinavia, ad alcuni membri del nostro partito che si recavano in Russia e che avevano chiesto un mio parere sulla tattica a cui deve attenersi la socialdemocrazia. Il telegramma diceva: « Nostra tattica: completa sfiducia, nessun appoggio nuovo go- verno, sospettiamo soprattutto Kerenski, armamento proletariato unica garanzia, elezioni immediate Duma [consiglio municipale] pietrogra- dese, nessun avvicinamento altri partiti. Telegrafate questo Pietro- grado », Ho spedito il telegramma a nome dei membri del Comitato cen- trale residenti all'estero e non dello stesso Comitato centrale. Non ho parlato di Assemblea costituente, ma di elezioni degli organi munici- pali. Le elezioni per TAssemblea costituente sono ancora soltanto una vuota promessa. Le elezioni per la Duma municipale di Pietrogrado potrebbero e dovrebbero aver luogo immediatamente , se il governo fosse realmente capace di realizzare le libertà promesse. Queste ele- zioni potrebbero aiutare il proletariato a organizzare e a consolidare la propria posizione rivoluzionaria. N. Lenin Pubblicata il 29 marzo 1917 nel n. 75 del Volksrecbt , LETTERE DA LONTANO LETTERA PRIMA 120 LA PRIMA FASE DELLA PRIMA RIVOLUZIONE La prima rivoluzione, generata dalla guerra imperialistica, è scop- piata. Questa prima rivoluzione non sarà certamente l’ultima. La prima fase di questa prima rivoluzione, cioè della rivoluzione russa del 1° marzo 1917, si è conclusa, a giudicare dai pochissimi dati di cui si dispone in Svizzera. Questa prima fase della nostra rivolu- zione non sarà certamente l'ultima . Com'è potuto accadere questo « miracolo »: che in soli otto giorni — cioè entro il termine indicato dal signor Miliukov nel suo presuntuoso telegramma a tutti i rappresentanti della Russia alPeste* ro — sia crollata una monarchia che si era mantenuta per secoli e che, nonostante tutto, aveva resistito per tre anni, dal 1905 al 1907, alle grandiose battaglie di classe di tutto il popolo? Nella natura e nella storia non accadono miracoli, ma ogni svolta storica repentina, e quindi ogni rivoluzione, offre una tale ricchezza di contenuto, sviluppa combinazioni cosi inattese e originali delle forme di lotta e dei rapporti tra le forze in lotta che molti fatti devono sembrare miracolosi ad una mentalità filistea. Perché la monarchia zarista potesse crollare in pochi giorni, è stato necessario il concorso di tutta una serie di condizioni di portata storica mondiale. Ne indichiamo qui le principali. Senza le grandiose battaglie di classe del 1905-1907, senza Pener- gia rivoluzionaria di cui diede prova il proletariato russo in quei tre anni, una seconda rivoluzione tanto rapida, nel senso che la sua fase iniziale è stata portata a termine in pochi giorni, sarebbe stata impos- sibile. La .prima rivoluzione (1905) aveva dissodato profondamente il terreno, sradicato pregiudizi secolari, ridestato alla vita e alla lotta 300 LENIN politica milioni di operai e decine di milioni di contadini, rivelato le une alle altre e al mondo intero tutte le classi (e tutti i principali partiti) della società russa nella loro vera natura, nella connessione reale dei loro interessi, delle loro forze, dei loro metodi d’azione, dei loro scopi immediati e lontani. La prima rivoluzione e il successivo periodo di controrivoluzione (1907-1914) hanno messo a nudo l'essenza della monarchia zarista, Phanno spinta al « limite estremo », hanno svelato tutta la sua putredine e infamia, tutto il cinismo e la corru- zione della banda zarista capeggiata dal mostruoso Rasputin, tutta la ferocia della famiglia dei Romanov, di questi massacratori che hanno inondato la Russia del sangue degli ebrei, degli operai, dei rivolu- zionari, di questi grandi proprietari fondiari , « primi fra uguali », che possiedono milioni di desiatine di terra e sono pronti a commettere tutte le atrocità, tutti i delitti, a rovinare e strangolare un numero qualsiasi di cittadini, pur di conservare questa « sacra proprietà » loro e della loro classe. Senza la rivoluzione del 1905-1907, senza la controrivoluzione del 1907-1914, sarebbe stata impossibile una cosi netta « autodeter- minazione » di tutte le classi del popolo russo e dei popoli che abitano la Russia, sarebbe stata impossibile una precisazione dell'atteggi amento di queste classi le une verso le altre e verso la monarchia zarista quale si è avuta negli otto giorni della rivoluzione del febbraio-marzo 1917. Questa rivoluzione di otto giorni è stata « recitata », se è consentita la metafora, dopo una decina di prove parziali e generali; gli « attori » si conoscevano tra loro, conoscevano la loro parte, il loro posto e il palcoscenico in lungo e in largo, conoscevano fin nelle minime sfuma- ture d'un qualche rilievo le tendenze politiche e i metodi d'azione. Ma, se la prima grande rivoluzione del 1905, condannata come una « grande ribellione » dai signori Guckov e Miliukov e dai loro accoliti, ha condotto dodici anni dopo alla « brillante » e « gloriosa » rivoluzione del 1917, che i Guckov e i Miliukov proclamano « glo- riosa » perché ( per il momento ) ha dato loro il potere, ad essa è stato necessario un grande, forte e onnipotente « regista », capace, da un lato, di accelerare al massimo il corso della storia universale e, dall'altro, di generare crisi mondiali di incomparabile intensità, crisi economiche, politiche, nazionali e intemazionali. Oltre alla straordinaria accelera- zione della storia universale, sono state necessarie alcune svolte parti- LETTERE DA LONTANÒ 301 colarmente brusche perché il carro insanguinato e infangato della monarchia dei Romanov potesse revesciarsi di colpo . Questo « regista » onnipotente, questo vigoroso acceleratore si è avuto nella guerra mondiale imperialistica. Ormai è indiscutibile che questa guerra è mondiale, dal momento che anche gli Stati Uniti e la Cina sono già oggi per metà coinvolti nel conflitto e lo saranno interamente domani. Ormai è indiscutibile che questa guerra è imperialistica per en- trambe le parti. Soltanto i capitalisti e i loro accoliti, i socialpatrioti e i socialsciovinisti, o — per sostituire le definizioni critiche gene- rali con nomi politici ben noti in Russia — solo i Guckov e i Lvov, i Miliukov e gli Scingarev, da un lato, e solo i Gvozdev, i Potresov, i Ckhenkeli, i Kerenski e i Ckheidze, dall’altro, possono negare o velare questo fatto. Sia la borghesia tedesca che quella anglo-francese conducono la guerra per depredare altri paesi, soffocare i piccoli popoli, dominare finanziariamente il mondo, dividere e ripartire le colonie, salvare l’agonizzante regime capitalistico, ingannando e scindendo gli operai dei diversi paesi. La guerra imperialistica doveva, per oggettiva necessità, accelerare in modo eccezionale e inasprire al massimo la lotta di classe del pro- letariato contro la borghesia, doveva trasformarsi in guerra civile tra classi nemiche. Questa trasformazione si è iniziata con la rivoluzione del feb- braio-marzo 1917, la cui prima fase ci ha mostrato anzitutto che lo zarismo è stato colpito simultaneamente da due forze: da tutta la Russia della borghesia e dei grandi proprietari fondiari, con tutti i suoi inconsapevoli sostenitori e con i suoi consapevoli dirigenti, gli ambasciatori e i capitalisti anglo-francesi, da una parte; dal soviet dei deputati operai m , che ha cominciato ad attirare a sé i deputati dei soldati e dei contadini, dall’altra parte. Questi tre campi, queste tre forze politiche fondamentali: 1) la monarchia zarista, alla testa dei grandi proprietari feudali e dei vecchi funzionari e generali; 2) la Russia ottobrista e cadetta della borghesia e dei grandi proprietari fondiari, dietro la quale si trascina la piccola borghesia (i cui principali esponenti sono Kerenski e Ckheidze); 3) il soviet dei deputati operai, che cerca i suoi alleati in tutto il prole- tariato e in tutta la massa della popolazione povera: queste tre forze 302 LENIN politiche fondamentali si sono già rivelate con la massima chiarezza durante gli otto giorni della « prima fase », tanto che può ricono- scerle persino un osservatore cosi lontano dagli avvenimenti, e costretto ad accontentarsi dei laconici telegrammi dei giornali esteri, come l’au- tore di queste righe. Ma, prima di esaminare più minuziosamente questo punto, desi- dero ritornare alla parte della mia lettera dedicata ad un fattore di prima grandezza, alla guerra imperialistica mondiale. La guerra ha legato tra loro, con catene di ferro , le potenze belli- geranti, i gruppi contendenti di capitalisti, i « padroni » del regime capitalistico, gli schiavisti della schiavitù capitalistica. Un grosso grumo di sangue ; ecco che cos’è la vita sociale e politica dell’attuale momento storico. I socialisti passati alla borghesia all’inizio della guerra, tutti questi David e Scheidemann in Germania, Plekhanov, Potresov, Gvozdev e soci in Russia, hanno urlato a lungo e a squarciagola contro le « illu- sioni » del manifesto di Basilea, contro la « ridicola chimera » della trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile. Essi hanno decantato in tutti i toni la forza, la vitalità, la capacità di adattamento di cui il capitalismo avrebbe dato prova: essi, che hanno aiutato i capitalisti ad « adattare », addomesticare, ingannare e dividere la classe operaia dei diversi paesi. Ma « riderà bene chi riderà ultimo ». La borghesia non è riuscita a rinviare di molto la crisi rivoluzionaria generata dalla guerra. Questa crisi si sviluppa con forza irresistibile in tutti i paesi, dalla Germania, la quale, secondo l’espressione di un osservatore che l’ha visitata di recente, vive in uno stato di « fame genialmente organizzata », fino all’Inghilterra e alla Francia, dove la fame si avvicina ugualmente e l’organizzazione è molto meno « geniale ». È naturale che la crisi rivoluzionaria sia esplosa, prima di tutto , nella Russia zarista, dove la disorganizzazione era la più mostruosa è il proletariato il più rivoluzionario (non in virtù di sue qualità parti- colari, ma per effetto delle vive tradizioni del 1905). Questa crisi è stata accelerata da una serie di gravissime sconfitte inferte alla Russia e ai suoi alleati. Queste sconfitte hanno sconvolto tutta la vecchia macchina governativa e tutto il vecchio regime, hanno inasprito contro di esso tutte le classi della popolazione, hanno esasperato l’esercito. I.ETTERE DA LONTANO 303 hanno distrutto in larghissima parte il vecchio corpo degli ufficiali, costituito da una nobiltà fossilizzata e da una burocrazia particolar- mente imputridita, lo hanno sostituito con elementi giovani, freschi, prevalentemente borghesi, plebei e piccolo-borghesi. I servitori dichia- rati della borghesia o gli uomini semplicemente senza carattere, che strepitavano e urlavano contro il « disfattismo », sono stati posti oggi dinanzi al fatto del nesso storico che congiunge la disfatta della monar- chia zarista piu arretrata e piu barbara con V inizio dell’incendio rivo- luzionario. Ma, se le sconfitte del periodo iniziale della guerra sono state un fattore negativo, che ha accelerato l’esplosione, il nesso tra il capitale finanziario anglo-francese, l’imperialismo anglo-francese e il capitale russo ottobrista e cadetto è stato il fattore che ha accelerato questa crisi mediante la diretta organizzazione del complotto contro Nicola Romanov. Su questo aspetto eccezionalmente importante della questione la stampa anglo-francese mantiene, per ragioni comprensibili, il silenzio piu completo, mentre la stampa tedesca lo mette malignamente in rilievo. Noi marxisti dobbiamo guardare in faccia la verità, serena- mente, senza lasciarci impressionare né dalle menzogne ufficiali e mel- liflue dei diplomatici e dei ministri del primo gruppo di imperialisti belligeranti né dalle strizzatine d’occhio e dai risolini dei loro concor- renti finanziari e militari del secondo gruppo. Tutto il corso degli avvenimenti rivoluzionari del febbraio-marzo dimostra chiaramente che le ambasciate inglese e francese, le quali da molto tempo compivano, con iToro agenti e con le loro «aderenze», gli sforzi piu disperati per ynpedire un accordo « separato » o una pace separata tra Nicola II (e ultimo, lo speriamo e faremo di tutto perché lo sia) e Guglielmo II, stavano organizzando direttamente un complotto insieme con gli ottobristi e i cadetti, insieme con una parte dei generali e degli uffi- ciali dell’esercito e della guarnigione di Pietroburgo soprattutto per destituire Nicola Romanov. Non ci facciamo illusioni. Non cadremo nelPerrore di coloro che, come certi fautori del « Comitato d’organizzazione » o « menscevichi » ondeggianti tra la tendenza di Gvozdev-Potresov e rinternazionalismo, impantanandosi troppo spesso nel pacifismo piccolo-borghese, sono pronti a esaltare l’« accordo » del partito operaio con i cadetti, l’« ap- 304 LENIN poggio » del primo ai secondi, ecc. Costoro, in ossequio alla loro vecchia dottrina imparata a memoria (e tutt’altro che marxista), get- tano un velo sul complotto ordito dagli imperialisti anglo-francesi con i Guckov e i Miliukov allo scopo di destituire il « guerriero capo » Nicola Romanov e di mettere al suo posto guerrieri pili energici, piu giovani, piu capaci, Se la .rivoluzione ha trionfato cosi rapidamente e in modo — ap- parentemente, al primo sguardo superficiale — cosi radicale, è soltanto perché una situazione storica singolarmente originale ha fuso insieme, e con un notevole grado di « coesione », correnti del tutto diverse , interessi di classe eterogenei , aspirazioni politiche e sociali del tutto opposte . Cioè, da una parte, il complotto degli imperialisti anglo-fran- cesi, che spingevano Miliukov, Guckov e soci a conquistare il potere per proseguire la guerra imperialistica , per condurla con accanimento e ostinazione ancora maggiori, per massacrare altri milioni di operai e contadini di Russia allo scopo di assicurare Costantinopoli... ai Guckov, la Siria... ai capitalisti francesi, la Mesopotamia... ai capitalisti inglesi, ecc DalPaltra parte, un profondo movimento rivoluzionario del proleta- riato e delle masse popolari (di tutta la popolazione piu povera delle città e delle campagne) per il pane , la pace , Yeffettiva libertà. Sarebbe semplicemente sciocco parlare di « appoggio » del prole- tariato rivoluzionario di Russia all’imperialismo cadetto-ottobrista, « imbastito » col denaro inglese e altrettanto detestabile dell’imperia- lismo zarista. Gli operai rivoluzionari hanno già demolito in gran parte e demoliranno dalle fondamenta l’infame monarchia zarista , senza entu- siasmarsi o indignarsi se in certi momenti storici, brevi e dovuti a una congiuntura eccezionale, interviene in loro aiuto la lotta di Bukhanan, di Guckov, di Miliukov e dei loro soci per sostituire un monarca con un altro e, di preferenza, con un Romanov! Questa e soltanto questa è la situazione. Cosi e soltanto cosi può considerarla un politico che non tema la verità, che esamini sobria- mente il rapporto delle forze sociali nella rivoluzione, che valuti ogni « momento concreto » non solo dal punto di vista della sua originalità contingente, ma anche da quello dei moventi piu profondi, dei piu profondi rapporti tra gli interessi del proletariato e della borghesia, sia in Russia che in tutto il mondo. Gli operai di Pietroburgo, come quelli di tutta la Russia, hanno LETTERE DA LONTANO 305 combattuto con abnegazione contro la monarchia zarista, per la libertà, per la terra ai contadini per la pace y contro la carneficina imperialistica. Il capitale imperialistico anglo-francese, per continuare e intensificare la carneficina, ha ordito intrighi di palazzo, tramato un complotto con gli ufficiali della guardia, spinto e incoraggiato i Guckov e i Miliu- kov, tenuto in serbo, già pronto , un nuovo governo , che ha infatti preso il potere dopo i primi colpi assestati allo zarismo dalla lotta proletaria. Questo nuovo governo in cui gli ottobristi e i « pacifici rinnova- tori » 122 Lvov e Guckov, ieri complici di Stolypin Pimpiccatore, si sono impadroniti dei posti realmente importanti, dei posti di battaglia, dei posti decisivi, delPesercito, della burocrazia, questo governo in cui Miliukov e gli altri cadetti seggono a puro scopo ornamentale, per far mostra di sé e pronunciare melliflui discorsi professorali, mentre il « trudovik » Kerenski funge da balalaika per ingannare gli operai e i contadini, questo governo non è un’accolta casuale di persone. Esso è costituito dai rappresentanti di una nuova classe, assurta al potere politico in Russia: la classe dei grandi proprietari fondiari capitalisti e della borghesia, che da molto tempo dirige economicamente il nostro paese e che, sia durante la rivoluzione del 1905-1907, sia nel periodo della controrivoluzione, tra il 1907 e il 1914, sia, infine, e con particolare rapidità, durante la guerra del 1914-1917, si è ben presto organizzata politicamente, impadronendosi delle amministrazioni locali, dell'istruzione pubblica, dei congressi d’ogni specie, della Duma, dei comitati dell’industria di guerra, ecc. Questa nuova classe era già « quasi completamente » al potere airinizio del 1917; e sono quindi bastati i primi colpi perché 1 q zarismo crollasse, cedendo il posto alla borghesia. La guerra imperialistica, imponendo un’estrema tensione di forze, ha accelerato a tal punto lo sviluppo della Russia arretrata che noi abbiamo raggiunto « di colpo » (in realtà come se fosse di colpo) l’Italia, l’Inghilterra, quasi la Francia, e ottenuto un governo « di coa- lizione », « nazionale » {adatto cioè a condurre la carneficina imperiali- stica e ad ingannare il popolo), « parlamentare ». Accanto a questo governo, — che, sotto il profilo della guerra in corso , è nella sostanza un semplice commesso della « ditta » miliar- daria « Inghilterra e Francia », — è sorto un governo operaio , che è il governo principale, non ufficiale, ancora poco sviluppato e relativa- 306 LENIN mente debole, che rappresenta gli interessi del proletariato e di tutta la parte più povera della popolazione urbana e rurale. Questo governo è il soviet dei deputati operai di Pietroburgo, che cerca legami con i soldati e i contadini, nonché con gli operai agricoli, e naturalmente con questi ultimi in particolare, in primo luogo, piu che con i con- tadini. - È questa la reale situazione politica che dobbiamo anzitutto sfor- zarci di definire con la massima precisione e obiettività, allo scopo di fondare la tattica marxista sull’unica base solida su cui deve pog- giare, sulla base dei fatti . La monarchia zarista è stata battuta, ma non ha ancora ricevuto il colpo di grazia. Il governo borghese degli ottobristi e dei cadetti, che vuol con- durre « fino in fondo » la guerra imperialistica e che è di fatto un commesso della ditta finanziaria « Inghilterra e Francia », è costretto a promettere al popolo il massimo delle libertà e concessioni compa- tibili con la conservazione del suo potere sul popolo e con la possi- bilità di continuare il massacro imperialistico. Il soviet dei deputati operai è una organizzazione di operai, l’embrione di un governo operaio, il rappresentante degli interessi di tutte le masse piu povere , cioè dei nove decimi della popolazione, che aspirano alla pace , al pane , alla libertà. La lotta tra queste tre forze determina la situazione odierna, che segna il passaggio dalla prima alla seconda fase della rivoluzione. La contraddizione tra la prima e la seconda forza non è profonda, ma momentanea, provocata soltanto dalla presente congiuntura, dalla repentina svolta delle vicende della guerra imperialistica. Tutto il nuovo governo è fatto di monarchici, perché il repubblicanesimo verbale di Kerenski non è affatto serio, è indegno di un uomo politico ed è, oggettivamente , politicantismo. Il nuovo governo non aveva ancora colpito a fondo la monarchia zarista e già cominciava a fare transazioni con la dinastia dei grandi proprietari terrieri Romanov. La borghesia di tipo ottobrista-cadetto ha bisogno della monarchia quale dirigente della burocrazia e deH’esercito, perché siano difesi i privilegi del capitale contro i lavoratori. Chi afferma (come fanno, evidentemente, i Potresov, i Gvozdev, i Ckhenkeli, ma anche Ckheidze, a dispetto della sua ambiguità ) che lettere da lontano 307 gli operai devono appoggiare il nuovo governo, nell'interesse della lotta contro la reazione zarista, è un traditore degli operai, un tradi- tore della causa del proletariato, della causa della pace e della libertà. In effetti proprio questo governo è già legato mani e piedi al capitale imperialistico, alla politica imperialistica di guerra e di rapina, ha già cominciato ad accordarsi con la dinastia (senza interpellare il popolo!), sta già lavorando per restaurare la monarchia zarista , propone come candidato al nuovo trono Michele Romanov, già si preoccupa di raf- forzare questo trono, di sostituire alla monarchia legittima (poggiante sulla vecchia legge) una monarchia bonapartista, plebiscitaria (poggiante sul suffragio popolare contraffatto). No, per combattere efficacemente la monarchia zarista, per assi* curarsi realmente la libertà, non solo a parole, non solo nelle pro- messe dei ciarlatani Miliukov e Kerenski, non sono gli operai, che devono* sostenere il nuovo governo, ma è invece il governo che deve « sostenere » gli operai! Giacché l’unica garanzia della libertà e della completa distruzione della zarismo consiste nell 'armare il proletariato , nel consolidare, estendere e sviluppare la funzione, l’importanza e la forza del soviet dei deputati operai. Tutto il resto è frase vuota e menzogna, autoinganno dei poli- ticanti del campo liberale e radicale, manovra truffaldina. Aiutate gli operai ad armarsi o almeno non ostacolateli, e la libertà sarà in Russia invincibile, la monarchia non potrà essere restau- rata e la repubblica sarà garantita. Altrimenti i Guckov e i Miliukov restaureranno la monarchia e non realizzeranno una sola , nemmeno una, delle « libertà » promesse. In tutte le rivoluzioni borghesi i politicanti della borghesia hanno « nutrito » il popolo e ingannato gli operai con le sole promesse. La nostra è una rivoluzione borghese, e quindi gli operai devono sostenere la borghesia: dicono i Potresov, i Gvozdev, i Ckheidze, come ieri diceva Plekhanov. La nostra è una rivoluzione borghese, diciamo noi marxisti, e quindi gii operai devono aprire gli occhi al popolo dinanzi alla mistifi- cazione dei politicanti borghesi, insegnargli a non credere alle pa- role, a contare soltanto sulle proprie forze, sulla propria organizza- zione, sulla propria unità, sul proprio armamento. Il governo degli ottobristi e dei cadetti, dei Guckov e dei Miliu* 308 LENIN kov, anche se lo volesse sinceramente (ma solo dei bambini possono credere alla sincerità di Guckov e di Lvov), non potrebbe dare al popolo né la pace né il pane né la libertà. Non la pace, perché è un governo di guerra, un governo di con- tinuazione del massacro imperialistico, un governo di rapina, che vuole saccheggiare l’Armenia, la Galizia, la Turchia, occupare Costantinopoli, riconquistare la Polonia, la Curlandia, la regione lituana, ecc. Questo governo è legato mani e piedi al capitale imperialistico anglo-francese. Il capitale russo è solo una succursale della « ditta » mondiale che maneggia centinaia di miliardi di rubli e reca l’insegna « Inghilterra e Francia ». Non il pane, perché è un governo borghese. Nel migliore dei casi darà al popolo, come ha già fatto la Germania, una « fame genialmente organizzata ». Ma il popolo non sopporterà la fame. Il popolo saprà, e probabilmente presto, che il pane c’è, ma che per averlo bisogna prendere misure che non s'arrestino dinanzi alla santità del capitale e della proprietà fondiaria. Non la libertà, perché è il governo dei grandi proprietari fon- diari e dei capitalisti, un governo che teme il popolo e che ha già cominciato a stipular compromessi con la dinastia dei Romanov. Parleremo in un altro articolo dei compiti tattici della nostra politica immediata nei confronti di questo governo. Mostreremo in che cosa consista l’originalità della situazione odierna — del passaggio dalla prima alla seconda fase della rivoluzione — e diremo perché la parola d’ordine di questo momento, il « compito del giorno », debba essere: « Operai , avete compiuto miracoli di eroismo proletario, popo- lare, nella guerra civile contro lo zarismo; dovete compiere adesso miracoli nell'organizzazione del proletariato e di tutto il popolo per preparare la vostra vittoria nella seconda fase della rivoluzione ». Limitandoci per il momento ad analizzare la lotta delle classi e i rapporti delle forze di classe nella presente fase della rivoluzione, dobbiamo porre ancora un problema: chi sono gli alleati del proleta- riato nella rivoluzione in atto ? Il proletariato ha due alleati: anzitutto, in Russia, la grande massa dei semiproletari e, in parte, dei piccoli contadini, che ammonta a decine di milioni e comprende la stragrande maggioranza della popo- lazione. Questa massa ha bisogno di pace, pane, terra e libertà. Essa LETTERE DA LONTANO 309 subirà inevitabilmente una certa influenza della borghesia e soprat- tutto della piccola borghesia, a cui si avvicina di più per le sue con- dizioni di esistenza, oscillando tra la borghesia e il proletariato. Le crudeli lezioni della guerra, che saranno tanto più atroci quanto più energicamente Guckov, Lvov, Miliukov e soci condurranno la guerra, spingeranno inevitabilmente questa massa verso il proletariato, co- stringendola a seguirlo. Noi dobbiamo approfittare ora della relativa libertà del nuovo regime e dei soviet dei deputati operai, cercando prima e più di tutto di illuminare e organizzare questa massa. I soviet dei deputati contadini, i soviet degli operai agricoli: ecco uno dei nostri compiti più seri. I nostri sforzi dovranno tendere non solo a far si che gli operai agricoli costituiscano i propri soviet, ma anche a far si che i contadini più poveri e non abbienti si organizzino separatamente dai contadini agiati. Dei compiti e delle forme partico- lari del lavoro di organizzazione, la cui necessità è oggi imperiosa, parleremo nella prossima lettera. Il secondo alleato del proletariato russo è il proletariato di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi in generale. Esso è oggi in gran parte schiacciato sotto il peso della guerra, e troppo spesso parlano in suo nome i sccialsciovinisti, che anche in Europa, come in Russia Plekhanov, Gvozdev e Potresov, sono passati dalla parte della borghe- sia. Ma ogni mese di guerra imperialistica è venuto emancipando il proletariato dalla loro influenza, e la rivoluzione russa accelererà inevi- tabilmente e su larga scala tale processo. Con questi due alleati il proletariato può marciare e, sfruttando le peculiarità dell'attuale periodo di transizione, marcerà prima verso la conquista della repubblica democratica e la completa vittoria dei contadini sui grandi proprietari fondiari, in sostituzione della semimo- narchia di Guckov e Miliukov, e poi verso il socialismo , che solo darà ai popoli martoriati dalla guerra la pace , il pane e la libertà. Scritta il 7 (20) marzo 1917. Pubblicata per la prima volta nella Pravda , 1917, 21 e 22 marzo, nn. 14 e 15. Firmato: N. Lenin. LETTERA SECONDA IL NUOVO GOVERNO E IL PROLETARIATO Il principale documento di cui dispongo fino ad oggi (8-21 marzo) è un numero dei piu conservatore e borghese dei giornali britannici, il Times del 16 marzo, che contiene un riassunto delle notizie relative alla rivoluzione in Russia. È chiaro che sarebbe difficile trovare una fonte meglio disposta — per dirla eufemisticamente — verso il governo di Guckov e di Miliukov. Ecco che cosa il corrispondente di questo giornale comunica da Pietroburgo, in data mercoledì 1 (14) marzo, quando era in carica solo il primo governo provvisorio cioè, il comitato esecutivo della Duma, che era composto dì tredici membri, con a capo Rodzianko, e che contava tra gli altri due « socialisti », per usare l’espressione del giornale, cioè Kerenski e Ckheidze: « Un gruppo di 22 deputati, membri del Consiglio di Stato, Guckov, Stakhovic, Trubetskoi, il professor Vasiliev, Grimm, Ver- nadski, ecc., ha indirizzato ieri un telegramma allo zar », supplican- dolo, per la salvezza della « dinastia », ecc. ecc., di convocare la Duma e di designare un capo di governo che goda della « fiducia della na- zione ». « Si ignora fino a questo momento — scrive il corrispon- dente — quale sarà la decisione dell’imperatore, che è atteso per oggi, Ma una cosa è assolutamente certa. Se sua maestà non darà immediata soddisfazione alle richieste degli elementi piu moderati tra i suoi sud- diti piu fedeli, l’influenza di cui gode oggi il comitato provvisorio della Duma di Stato passerà interamente ai socialisti, i quali vogliono instaurare la repubblica ma sono incapaci di costituire un qualsiasi governo ordinato e condannerebbero inevitabilmente il paese all’anar- chia interna e alla catastrofe esterna. » LETTERE DA LONTANO 311 Quanta saggezza politica, quanta chiarezza, non è vero? Fino a che punto il complice inglese (se non il dirigente) dei Guckov e dei Miliukov si rende conto del rapporto tra le forze e gli interessi di classe! « Gli elementi piu moderati tra i sudditi piu fedeli », cioè i grandi proprietari fondiari e i capitalisti monarchici, vogliono avere in pugno il potere, poiché sanno molto bene che altrimenti P« influen- za » passerebbe ai «< socialisti ». Ma perché proprio ai « socialisti » e non a qualcun altro? Perché il guckoviano inglese capisce alla perfe- zione che nell’arena politica non c'è e non può esserci nessun’altra forza sociale. La rivoluzione l’ha fatta il proletariato, che ha dato prova di eroismo, che ha versato il proprio sangue, che ha trascinato con sé le grandi masse della popolazione lavoratrice e piu povera. Esso rivendica il pane, la pace e la libertà, vuole la repubblica, sim- patizza per il socialismo. E intanto un pugno di grandi proprietari fondiari e capitalisti, capeggiato dai Guckov e dai Miliukov, cerca di eludere la volontà o le aspirazioni della stragrande maggioranza, stipu- lando un compromesso con la monarchia agonizzante , sostenendola e salvandola: sua maestà designi Lvov e Guckov, e noi saremo con la monarchia contro il popolo. Sta qui tutto il significato, l’essenza stessa dèlia politica del nuovo governo! Ma come giustificare questa politica che tende a ingannare il popolo, ad abbindolarlo, a violare la volontà deH’immensa maggioranza della popolazione? Per far questo bisogna calunniare il popolo: un metodo vecchio, ma eternamente nuovo, per la borghesia. E il guckoviano inglese ca- lunnia, ingiuria, sputa e sbava: «Anarchia interna e catastrofe ester- na », nessun « governo ordinato »! È falso, nostro rispettabile guckoviano! Gli operai vogliono la repubblica, e la repubblica è una forma di governo assai più « ordi- nata » della monarchia. Quale garanzia può avere il popolo che un secondo Romanov non assolderà un secondo Rasputin? Alla catastrofe può condurre soltanto la continuazione della guerra, cioè il nuovo governo. Solo una repubblica proletaria, sostenuta dagli operai agri- coli e dalla parte più povera dei contadini e della popolazione urbana, può garantire la pace, dare il pane, l’ordine, la libertà. Gli strepiti contro l’anarchia servono solo a mascherare gli in- teressi egoistici dei capitalisti, che bramano di arricchirsi con la guerra 312 LENIN e con i prestiti di guerra, che bramano di restaurare la monarchia contro il popolo. « Il partito socialdemocratico — prosegue il corrispondente — ha pubblicato ieri un appello di tono fortemente sovversivo, che è stato diffuso in tutta la città. Essi [cioè il partito socialdemocratico] sono dei puri dottrinari, ma la loro capacità di nuocere è enorme in un periodo come l’attuale . Il signor Kerenski e il signor Ckheidze, i quali comprendono come non possano sperare di sfuggire alFanarchia senza il sostegno degli ufficiali e degli elementi moderati della popo- lazione, sono costretti a fare i conti con i loro compagni meno ragio- nevoli e senz’avvedersene li spingono ad assumere posizioni che compli- cano l’opera del comitato provvisorio... » O grande diplomatico guckoviano inglese! Con quanta « irragio- nevolezza » vi siete fatto sfuggire la verità! Il « partito socialdemocratico » e i « compagni meno ragione- voli », con cui « Kerenski e Ckheidze sono costretti a fare i conti », sono senza dubbio il Comitato centrale o il comitato pietroburghese del nostro partito, che è stato ricostituito con la conferenza del gen- naio 1912 12< , sono gli stessi « bolscevichi » che i borghesi ingiuriano sempre come « dottrinari » per la loro fedeltà alla « dottrina », cioè ai principi, alla teoria, agli scopi del socialismo. Ciò che il guckoviano inglese biasima come sovversivo e dottrinario è senza dubbio P ap- pello 125 e Forientamento del nostro partito, che incita a lottare per la repubblica, per la pace, per la completa distruzione della monarchia zarista, per dare pane al popolo. Il pane per il popolo e la pace sono sovversivismo, mentre gli incarichi ministeriali per Guckov e Miliukov sono P« ordine ». Discorsi vecchi, risaputi! Ma qual è la tattica di Kerenski e di Ckheidze, secondo la defini- zione del guckoviano inglese? È una tattica oscillante: da un lato, il guckoviano li esalta, perché «comprendono» (che ragazzi saggi! e intelligenti!) che, senza il « sostegno » degli ufficiali e degli elementi piu moderati, è impossi- bile sfuggire alFanarchia (e dire che noi, in accordo con la nostra dot- trina, con la nostra teoria del socialismo, pensavamo finora e conti- nuiamo a pensare che siano proprio i capitalisti a introdurre nella società umana l’anarchia e le guerre, che solo il passaggio di tutto il LETTERE DA LONTANO 313 potere politico al proletariato e alla popolazione piu povera possa salvarci dalle guerre, dall'anarchia, dalla fame!). Dall’altro lato, essi « sono costretti a fare i conti con i loro compagni meno ragionevoli », cioè con i bolsceviche con il Partito operaio socialdemocratico di Russia, ricostituito e unificato dal suo Comitato centrale. ■Ma quale forza « costringe » Kerenski e Ckheidze a « fare i conti » con il partito bolscevico, al quale non hanno mai aderito e che essi stessi o i loro rappresentanti letterari (i « socialisti-rivoluzionari », i « socialisti populisti » ia6 , i « menscevichi del Comitato di organizza- zione », ecc.) hanno sempre ingiuriato, condannato, qualificato come un inconsistente circoletto clandestino, come una setta di dottrinari, ecc.? Dove e quando mai si è visto in un periodo rivoluzionario, allorché l’azione delle masse è prevalente, che dei politici sani di mente « facciano i conti » con i « dottrinari »? Il nostro povero guckoviano' inglese si è confuso, ha perduto le fila del discorso, non ha saputo mentire fino in fondo o dire tutta la verità e ha finito per tradirsi. Ciò che ha costretto Kerenski e Ckheidze a fare i conti con il partito socialdemocratico unificato dal Comitato centrale è la sua influenza sul proletariato, sulle masse. Il nostro partito è seguito dalle masse e dal proletariato rivoluzionario, nonostante l’arresto e la depor- tazione in Siberia dei nostri deputati fin dal 1914, nonostante le acca- nite persecuzioni e gli arresti a cui è stato sottoposto il comitato di Pietroburgo per l’attività illegale contro la guerra e lo zarismo svolta durante la guerra. i socialisti- rivoluzionari, la Nascia zana , il gruppo Ckheidze, il Comitato di orga- nizzazione, il signor Plekhanov e simili. Se in Russia trionfassero i rivoluzionari sciovinisti, noi saremmo contro la difesa della loro “pa- tria” in questa guerra. La nostra parola d’ordine è: contro gli scio- vinisti, anche se rivoluzionari e repubblicani; contro di essi e per Punione del proletariato internazionale per la rivoluzione socialista » m . Ma ritorniamo al guckoviano inglese. « ... Il comitato provvisorio della Duma di Stato, — egli con- tinua, — valutando i pericoli che lo minacciano, si è astenuto di pro- posito dal realizzare il suo primitivo progetto circa l’arresto dei mi- nistri, benché ieri si potesse attuare con assai minori difficoltà. La porta è quindi aperta a trattative, mediante le quali noi [ « noi » = il capi- tale finanziario e Y imperialismo inglese] potremo assicurarci tutti i LETTERE DA LONTANO 315 vantaggi del nuovo regime, senza passare attraverso la terribile prova della Comune e attraverso l’anarchia della guerra civile... » I guckoviani sono favorevoli alla guerra civile quando è nel loro interesse, sono contrari quando la guerra civile va a vantaggio del popolo, cioè dell’effettiva maggioranza dei lavoratori. « ...I rapporti tra il comitato provvisorio della Duma, che rap- presenta tutta la nazione [è il comitato della IV Duma, che è la Duma dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti!], e il soviet dei deputati operai, che rappresenta interessi puramente classisti [cosi parla un diplomatico che con un orecchio ha sentito ripetere dei ter- mini dotti e che aspira a nascondere il fatto che il soviet dei deputati operai rappresenta il proletariato e i poveri, cioè i nove decimi della popolazione], ma che in un periodo di crisi come l’attuale gode di un immenso potere, hanno suscitato non poche apprensioni tra le persone ragionevoli, le quali prevedono tra queste forze l’eventualità di una collisione, i cui effetti potrebbero essere davvero spaventosi. « Per fortuna, questo pericolo è stato allontanato, almeno per il momento [si noti questo «almeno»!], grazie al prestigio del signor Kerenski, un giovane avvocato dotato di grande talento oratorio, il quale comprende chiaramente [a differenza di Ckheidze, che « com- prende » anche lui, ma forse meno chiaramente, a giudizio del gucko- viano?] la necessità di agire insieme con il comitato nell’interesse dei suoi elettori operai » (cioè la necessità di fare promesse agli operai per assicurarsene i voti). « Oggi [mercoledì, 1-14 marzo] è stato con- cluso un accordo soddisfacente i38 , che permetterà di evitare ogni attrito superfluo. » Non sappiamo di che accordo si tratti, se sia stato concluso da tutto il soviet dei deputati operai, quali siano le sue clausole. Questa volta il guckoviano inglese non parla affatto Ae\Y essenziale. Sfido io! Alla borghesia non conviene che le clausole siano chiare, precise, cono- sciute da tutti, perché in quel caso le sarebbe piu difficile violarle! Avevo già scritto le righe che precedono, quando ho letto due testi molto importanti. Anzitutto, nel parigino Le temps , giornale bor- ghese e conservatore per antonomasia, del 20 marzo, il testo di un appello del soviet dei deputati operai che invita a « sostenere » il nuovo governo; inoltre, alcuni passi del discorso pronunciato da Sko- 316 LENIN belev alla Duma di Stato il 1° (14) marzo, nella versione fornita da un giornale di Zurigo (Nette Zurcber Zeitung , 1 Mit.-bl., 21-3), che cita da un giornale di Berlino (NationaLZeitung). L’appello del soviet dei deputati operai, se il testo non è stato alterato dagli imperialisti francesi, è un documento di grande rilievo, da cui risulta che il proletariato pietroburghese, almeno nel momento in cui è stato pubblicato Pappello, si trovava sotto la prevalente in- fluenza dei politici piccolo-borghesi. Ricordo che tra i politici di questo tipo, come si è già visto piu sopra, annovero uomini come Kerenski e Ckheidze. L’appello contiene due idee politiche e, rispettivamente, due parole d’ordine. Esso dice anzitutto che il (nuovo) governo è composto di « ele- menti moderati ». Definizione curiosa, tutt’altro che completa, di ca- rattere puramente liberale, nient’affatto marxista. Sono disposto a convenire che in un certo senso — dirò in una prossima lettera in che senso precisamente — ogni governo deve essere oggi, dopo il compimento della prima fase della rivoluzione, un governo « mode- rato ». Ma non si può assolutamente ammettere di nascondere a sé stessi e al popolo che Fattuale governo vuole continuare la guerra imperialistica, è un agente del capitale inglese, mira a restaurare la monarchia e a consolidare il potere dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. L’appello dichiara che tutti i democratici devono « sostenere » il nuovo governo e che il soviet dei deputati operai chiede e dà man- dato a Kerenski di far parte del governo provvisorio. Le condizioni sono: l’attuazione delle riforme promesse nel corso stesso della guerra, la garanzia del « libero sviluppo culturale » (soltanto?) per le naziona- lità (programma puramente cadetto, d’una ristrettezza tutta liberale) e la costituzione di un comitato speciale, composto di membri del soviet dei deputati operai e di « militari », che controlli l’attività del governo provvisorio 139 . Di questo comitato di sorveglianza, che riguarda le idee e le parole d’ordine della seconda categoria, parleremo specificamente più avanti. La designazione del Louis Blanc russo, Kerenski, e l'incitamento a sostenere il nuovo governo sono, per così dire, un esempio classico LETTERE DA LONTANO 317 di tradimento della causa rivoluzionaria e proletaria: un tradimento in tutto simile a quelli che fecero fallire tante rivoluzioni del secolo XIX, a prescindere dal grado di sincerità e di dedizione al socialismo degli ispiratori e dei sostenitori di una tale politica. Il proletariato non può e non deve sostenere un governo di guerra, un governo di restaurazione. Per lottare contro la reazione, per sventare gli eventuali e probabili tentativi * dei Romanov e dei loro amici di restaurare la monarchia e reclutare un esercito controrivolu- zionario, non è affatto necessario appoggiare Guckov e soci, ma bi- sogna organizzare , estendere e consolidare la milizia proletaria , armare il popolo sotto la direzione degli operai. Senza questa misura essen- ziale, fondamentale, radicale, non si può nemmeno pensare di opporre seria resistenza alla restaurazione della monarchia e ai tentativi di sopprimere o restringere le libertà promesse, non si può nemmeno pensare di avviarsi con decisione sulla strada che conduce alla con- quista del pane, della pace e della libertà. Se Ckheidze, che insieme con Kerenski ha fatto parte del primo governo provvisorio (il comitato dei tredici della Duma), non è entrato nel secondo governo provvisorio per le considerazioni di principio che si sono esposte più sopra o per ragioni analoghe, questo gesto non può che fargli onore. Bisogna dirlo con tutta franchezza. Purtroppo, quest’interpretazione è in contrasto con altri fatti e prima di tutto con il discorso di Skobelev, che ha sempre marciato a fianco di Ckheidze. Skobelev, se si deve prestar fede alla fonte ricordata più sopra, ha detto che «il gruppo sociale [? socialdemocratico, evidentemente] e gli operai hanno solo un lieve contatto con i fini del governo prov- visorio », che gli operai rivendicano la pace e che, se la guerra conti- nuerà, una catastrofe dovrà comunque prodursi in primavera; che «gli operai hanno stipulato con la società [liberale] un accordo tempo- raneo [eine Waffenfreundschaft], sebbene i loro obiettivi politici siano lontani, come il cielo dalla terra, dagli obiettivi della società », che « i liberali devono rinunciare agli assurdi [unsinnige] scopi della guerra », ecc. Questo discorso è un esempio deiratteggiamento che abbiamo definito più sopra, nella citazione tolta dal Sotsialdemokrat , come una « oscillazione » tra il proletariato e la borghesia. I liberali non possono , 318 LENIN fino a che restano liberali, « rinunciare agli assurdi » scopi della guerra, che, oltre tutto, non sono determinati da essi soltanto, ma dal capitale finanziario anglo-francese, la cui potenza mondiale è valu- tabile in centinaia di miliardi. Non si tratta di « persuadere » i liberali, ma di spiegare agli operai perché i liberali siano finiti in un vicolo cieco, perché siano legati mani e piedi, perché occultino i trattati con- clusi dallo zarismo con l’Inghilterra, ecc., le transazioni tra il capitale russo e quello anglo-francese, ecc. Se Skobelev dice che gli operai hanno stipulato con la società libe- rale un certo accordo e non protesta contro di esso, non spiega dalla tribuna della Duma quanto sia dannoso per gli operai, vuol dire che egli lo approva. Ma proprio questo non bisogna fare. L’approvazione aperta o indiretta, tacita o chiaramente espressa, dell’accordo tra il soviet dei deputati operai e il governo provvisorio rivela l’oscillazione di Skobelev verso la borghesia. La dichiarazione che gli operai vogliono la pace, che i loro obiettivi sono lontani, come il cielo dalla terra, dagli obiettivi dei liberali, rivela l!oscillazione di Skobelev verso il proletariato. Puramente proletaria, realmente rivoluzionaria e profondamente giusta per il suo significato è invece la seconda idea politica contenuta nell’appello del soviet dei deputati operai che stiamo qui esaminando, cioè l’idea di istituire un «comitato di sorveglianza» 130 (non so come si chiami in russo, traduco liberamente dal francese), attraverso il quale i proletari e i soldati controllino il governo provvisorio. Ecco una cosa ben fatta! Ecco un’iniziativa degna degli operai che hanno versato il loro sangue per la libertà, la pace, il pane! Ecco un concreto passo in avanti verso le garanzie reali contro lo zarismo, con- tro la monarchia, contro i monarchici Guckov, Lvov e soci! Ecco un segno del fatto che il proletariato russo, nonostante tutto, è già in vantaggio sul proletariato francese del 1848, che aveva « delegato i suoi poteri » a Louis Blanc! Ecco la prova che l’istinto e l’mtelligenza delle masse proletarie non si appagano di declamazioni, esclamazioni, promesse di riforme e di libertà, del titolo di « ministro delegato degli operai » e di altri simili orpelli, ma cercano un sostegno solo là dove esiste, nelle masse popolari in armi , organizzate e dirette dal proleta- riato, dagli operai coscienti. È un passo sulla buona strada, ma è soltanto un primo passo. LETTERE DA LONTANO 319 Se il « comitato di sorveglianza » sarà un istituto di tipo pura- mente parlamentare, esclusivamente politico, cioè una commissione che « porrà quesiti » al governo provvisorio e riceverà le relative ri- sposte, allora si tratterà di un giuoco e non servirà a niente. Ma, se esso condurrà a creare subito e ad ogni costo una milizia operaia , a cui partecipi effettivamente tutto il popolo, di cui facciano parte tutti gli uomini e tutte le donne, una milizia che non si limiti a sostituire la vecchia polizia dispersa e distrutta e a rendere impossi- bile la sua ricostituzione da parte d’un qualsiasi governo, monarchico- costituzionale o democratico- repubblicano, a Pietroburgo e altrove in Russia, allora gli operai avanzati della Russia muoveranno realmente verso nuove grandi vittorie, verso la vittoria sulla guerra, verso la realizzazione pratica della parola d’ordine che, come riferiscono i gior- nali, è apparsa sulle bandiere dei reggimenti di cavalleria, durante la manifestazione avvenuta a Pietroburgo sulla piazza antistante la Duma: « Viva la repubblica socialista in tutti i paesi! ». Esporrò nella prossima lettera le mie idee su questa milizia proletaria. In essa cercherò di mostrare, da un lato, che la costituzione di una milizia di tutto il popolo, diretta dagli operai, è la giusta parola d’ordine dell’ora attuale, rispondente ai compiti tattici dell’originale periodo di transizione in cui si trova oggi la rivoluzione russa (e‘ la rivoluzione mondiale); e, dall’altro lato, che per riportare successo questa milizia operaia deve essere, anzitutto, popolare, di massa, fino a divenire generale , abbracciando realmente tutta la popolazione valida dei due sessi, e deve, inoltre, associare via via non solo le funzioni puramente poliziesche, ma anche quelle relative allo Stato in genere alle funzioni militari e al controllo sulla produzione sociale e sulla distribuzione dei prodotti. Zurigo, 22 (9) marzo 1917. P.S. Ho dimenticato di datare la mia precedente lettera del 20 (7) marzo. Pubblicata per la prima volta in Bolscevik , 1924, n. 3-4. Firmata: N. Lenin. LETTERA TERZA SULLA MILIZIA PROLETARIA La conclusione a cui sono pervenuto ieri riguardo alla tattica esitante di Ckheidze è stata pienamente confermata oggi, 10 (23) marzo, da due documenti. Il primo è un estratto, trasmesso telegraficamente da Stoccolma alla Frankfurter Zeitung , del manifesto pubblicato a Pie- troburgo dal CC del nostro partito, il Partito operaio socialdemocratico di Russia. Nel documento non si parla affatto né dell’ appoggio al go- verno di Guckov né del suo rovesciamento; gli operai e i soldati ven- gono chiamati a organizzarsi attorno al soviet dei deputati operai e ad eleggervi i propri rappresentanti, al fine di lottare contro lo zarismo, per la repubblica, per la giornata lavorativa di otto ore, per la confisca delle grandi proprietà fondiarie e delle scorte di grano e, soprattutto, per la cessazione della guerra di rapina. A questo proposito appare particolarmente importante e attuale la giusta idea del nostro CC che, per ottenere la pace, bisogna entrare in contatto con i proletari di tutti i paesi belligeranti . Aspettarsi la pace dalle trattative e dai contatti tra i governi bor- ghesi significherebbe illudersi e ingannare il popolo. Il secondo documento è una nota informativa, trasmessa telegra- ficamente da Stoccolma a un altro giornale tedesco ( Vossische Zeitung ), sul convegno tenuto il 2 (15) marzo dal gruppo Ckheidze alla Duma, dal gruppo dei trudoviki (? Arbeiterfraktion), dai rappresentanti di 15 sindacati operai e sull'appello pubblicato il giorno dopo. Degli undici punti dell’appello il dispaccio ne riporta solo tre: il primo, cioè la rivendicazione della repubblica, il settimo, cioè la richiesta della pace e deH’immediata apertura di trattative di pace, il terzo, cioè la richiesta di un\< adeguata partecipazione di rappresentanti della classe operaia russa al governo ». LETTERE DA LONTANO 321 Se Pultimo punto è stato riferito esattamente, capisco bene per- ché la borghesia esalti Ckheidze. Capisco perché alle lodi, ricordate più sopra, dei guckoviani inglesi sul Times si siano aggiunti gli elogi dei guckoviani francesi nel Temps. Il giornale dei milionari e degli imperialisti francesi scrive in data 22 marzo: « I capi dei partiti operai, e in particolare il signor Ckheidze, usano tutta la loro influenza per moderare le aspirazioni delle classi lavoratrici ». In effetti, la richiesta della « partecipazione » degli operai al go- verno Guckov-Miliukov è un’assurdità teorica e politica: partecipare a questo governo in minoranza sarebbe come diventare una semplice pedina; parteciparvi « alla pari » è puramente impossibile, perché non si può conciliare l’esigenza di continuare la guerra con quella di fir- mare un armistizio e aprire trattative di pace; per « parteciparvi » in maggioranza, bisogna avere la forza di rovesciare il governo Guckov- Miliukov. In pratica rivendicare la « partecipazione » a questo governo significa assumere un atteggiamento alla Louis Blanc, nel senso peg- giore, significa dimenticare la lotta di classe e le sue condizioni reali, sedurre con vuote frasi altisonanti e illudere gli operai, perdendo nelle trattative con Miliukov o Kerenski un tempo prezioso , che bisogna impiegare per creare una forza realmente classista e rivoluzionaria, una milizia proletaria, capace di ispirare fiducia a tutti gli strati più po- veri della popolazione, cioè alla stragrande maggioranza, e di aiutarli ad organizzarsi , di aiutar /* a battersi per il pane, la pace, la libertà. Quest’errore delPappello di Ckheidze e del suo gruppo (non ac- cenno al partito del Comitato d’organizzazione, perché nelle fonti di cui posso disporre non se ne fa parola) è ancor più curioso proprio perché Skobelev, che più d’ogni altro condivide le posizioni di Ckheidze, intervenendo al convegno del 2 (15) marzo, avrebbe dichiarato, se- condo i giornali, che''« la Russia è alla vigilia d’una seconda, auten- tica [wirklich: letteralmente: reale 1 rivoluzione ». Ecco la verità da cui Skobelev e Ckheidze hanno dimenticato di trarre le conclusioni pratiche. Non posso giudicare di qui, da questa maledetta lontananza, quanto sia vicina questa seconda rivoluzione. Skobelev, essendo sul posto, può vederlo meglio. Non mi pongo per- tanto dei problemi per la cui soluzione non dispongo e non posso disporre di dati concreti. Sottolineo però che Skobelev, « testimone imparziale » v non appartenente cioè al nostro partito, conferma la con- 322 LENItf clusione di fatto a cui sono pervenuto nella prima mia lettera: la rivoluzione di febbraio-marzo è stata solo la prima fase della rivolu- zione. La Russia sta oggi vivendo il momento storico originale del passaggio alla fase successiva della rivoluzione o, come dice Skobelev, alla « seconda rivoluzione ». Se vogliamo essere marxisti e far tesoro deiresperienza delle rivoluzioni di tutto il mondo, dobbiamo sforzarci di comprendere in che cosa consista V originalità di questo periodo transitorio e quale tat- tica derivi dalle sue caratteristiche oggettive. L'originalità della situazione è nel fatto che il governo Guckov- Miliukov ha riportato la sua prima vittoria con insolita facilità, in forza di tre circostanze principali; 1) l’aiuto del capitale finanziario anglo-francese e dei suoi agenti; 2) l’aiuto di una parte dei quadri superiori dell’esercito; 3) l’organizzazione già pronta di tutta la bor- ghesia russa negli zemstvo, nelle istituzioni municipali, nella Duma di Stato, nei comitati dell’industria di guerra, ecc. Il governo Guckov è preso in una morsa: legato agli interessi del capitale, è costretto a tentare di proseguire la guerra di rapina e brigantaggio, di difendere i mostruosi profitti del capitale e dei grandi proprietari fondiari, di restaurare la monarchia. Legato alla sua ori- gine rivoluzionaria e alla necessità di un passaggio repentino dallo zarismo alla democrazia, premuto dalle masse affamate e desiderose di pace, il governo è costretto a mentire, a tergiversare, a prender tempo, a « proclamare », a promettere quanto piu può (le promesse sono la sola cosa che si venda a buon mercato persino in un periodo di vertiginoso rincaro della vita) e a realizzare quanto meno può, a dare con una mano e a riprendere con l’altra. In queste condizioni, nell’ipotesi per esso migliore, iL nuovo go- verno può solo ritardare il crack, poggiando sulle capacità organizza- tive di tutta la borghesia e degli intellettuali borghesi russi. Ma tutta- via, nemmeno in questo caso, riuscirà a evitare il fallimento, perché è impossibile sfuggire agli artigli del mostro della guerra impe- rialistica e della fame, partorito dal capitalismo mondiale, senza uscire dalPambito dei rapporti borghesi, senza realizzare misure rivoluzionarie, senza appellarsi al grande storico eroismo del proletariato russo e inter- nazionale. Deriva di qui che non potremo rovesciare di colpo il nuovo go- LETTERE DA LONTANO 323 verno o che, se potremo farlo (perché nei periodi rivoluzionari i limiti del possibile sono mille volte piu ampi), non riusciremo a conservare il potere, senza opporre all'eccellente organizzazione di tutta la bor* ghesia russa e di tutti gli intellettuali borghesi una non meno eccel- lente organizzazione del proletariato, alla testa dell'immensa massa dei poveri delle città e delle campagne, del semiproletariato e dei piccoli produttori. Poco importa che la « seconda rivoluzione >> sia già esplosa a Pietroburgo (ho detto che sarebbe del tutto assurdo voler valutare, dall'estero, il ritmo concreto della sua maturazione) o che sia differita di qualche tempo o che abbia già avuto inizio in alcune zone della Russia (come sembrano mostrare alcuni indizi): in ogni caso, la parola d'ordine del momento, alla vigilia, nel corso e all'indomani della nuova rivoluzione, deve essere la parola d'ordine de\V organizzazione proletaria . Compagni operai, ieri avete compiuto miracoli di eroismo prole- tario rovesciando la monarchia zarista! In un futuro piu o meno vicino (e forse nel momento stesso in cui scrivo queste righe) dovrete com- piere analoghi miracoli di eroismo per rovesciare il potere dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti che conducono la guerra imperia- listica. Non potrete riportare una vittoria durevole in questa seconda e « autentica » rivoluzione, se non compirete miracoli di organizzazione prole tarlai La parola d’ordine del momento è l’organizzazione. Ma limitarsi a questo non significa ancora niente, perché, da un lato, l'organizza- zione è sempre necessaria, e quindi indicare la necessità di «organiz- zare le masse » non spiega ancora un bel niente; daH'altro Iato, chi si limitasse a questa indicazione farebbe solo eco ai liberali, giacché proprio i liberali , allo scopo di consolidare il loro potere, vogliono che gli operai non vadano piu in là delle consuete organizzazioni « legali » (dal punto di vista della « normale » società borghese), cioè che gli operai si iscrivano soltanto al loro partito, al loro sindacato, alla loro cooperativa, ecc. Gli operai hanno invece capito, con il loro istinto di classe, che in un periodo rivoluzionario hanno necessità di un’organizzazione ra- dicalmente diversa, non solo consueta, e si sono messi giustamente sulla via indicata dall'esperienza della nostra rivoluzione del 1905 e della Comune del 1871: hanno creato il soviet dei deputati operai , hanno 324 LENIN cominciato a svilupparlo, estenderlo, consolidarlo, attirando i deputati dei soldati e, senza dubbio, i deputati degli operai salariati agricoli, nonché (in questa o in quella forma) i deputati di tutti i contadini poveri. La costituzione di questi organismi in tutte le località della Russia senza eccezione, per tutte le categorie e per tutti gli strati della popo- lazione proletaria e semiproletaria senza eccezione, cioè per tutti i lavoratori e gli sfruttati, se si vuole usare un’espressione economica- mente meno precisa ma piu popolare, è un compito urgente e di pri- maria importanza. Anticipando sottolineo che il nostro partito (della sua particolare funzione nelle organizzazioni proletarie di . nuovo tipo spero di parlare in una delle prossime lettere) deve incitare subito tutta la massa dei contadini a costituire i soviet dei salariati agricoli e i soviet dei piccoli agricoltori, che non vendono il loro grano, separa- tamente dai soviet dei contadini agiati: in mancanza di questa con- dizione, non si può realizzare una vera politica proletaria, in genere *, e non si può affrontare correttamente la principale questione pratica, quella da cui dipende la vita o la morte di milioni di uomini: la razionale distribuzione del grano , l'aumento della sua produzione, ecc. Ma, si chiederà, che cosa devono fare i soviet dei deputati operai? « Devono essere considerati come organi per l’insurrezione, come organi del potere rivoluzionario » 13 °, scrivevamo nel n. 47 del ginevrino Sotsialdemokrat il 13 ottobre 1915. Questa tesi teorica, desunta dall'esperienza della Comune del 1871 e della rivoluzione russa del 1905, deve essere chiarita e svolta piu concretamente, in base alle indicazioni pratiche che scaturiscono dalla presente fase della rivoluzione in Russia. Noi abbiamo necessità di un potere rivoluzionario, abbiamo neces- sità (per un determinato periodo di transizione) di uno Stato . Questo ci distingue dagli anarchici. La differenza tra i marxisti rivoluzionari e gli anarchici non sta solo nel fatto che i primi sono per la grande produzione comunista centralizzata e i secondi per la piccola produ- zione spezzettata. No, la differenza, proprio nella questione del po- * Nelle campagne si svolgerà adesso la lotta per conquistare i piccoli con- tadini e, in parte, i contadini medi. I grandi proprietari fondiari, poggiando sui contadini agiati, cercheranno di subordinare i contadini piccoli e medi alla bor- ghesia. Noi dovremo condurli, poggiando sugli operai salariati agricoli e sui con- tadini poveri, all’alleanza piu stretta con il proletariato urbano. LETTERE DA LONTANO 325 tere, dello Stato, sta nel fatto che noi siamo favorevoli e gli anar- chici sono contrari all’utilizzazicne rivoluzionaria delle forme rivoluzio- narie dello Stato nella lotta per il socialismo. Noi abbiamo necessità di uno Stato. Ma non tale quale lo ha creato dappertutto la borghesia, dalle monarchie costituzionali fino alle repubbliche più democratiche. Sta qui la differenza tra noi e gli oppor- tunisti e i kautskiani dei vecchi putrescenti partiti socialisti, che hanno snaturato o dimenticato gli insegnamenti della Comune di Parigi e Tanalisi che ne hanno fatto Marx e Engels *. Abbiamo necessità di uno Stato, ma non di quello di cui ha bisogno la borghesia e in cui gli organi del potere, la polizia, l’eser- cito, la burocrazia, sono separati dal popolo e opposti al popolo. Tutte le rivoluzioni borghesi hanno solo perfezionato questa macchina e l’hanno trasferita dalle mani di un partito in quelle di un altro partito. Il proletariato invece, se vuole salvaguardare le conquiste della presente rivoluzione e andare avanti, conquistare la pace, il pane e la libertà, deve « spezzare », per usare i termini di Marx, questa mac- china statale «già pronta» e sostituirla con una nuova, fondendo la polizia, l’esercito e la burocrazia con Yintero popolo in armi. Se- guendo la strada indicata dall’esperienza della Comune di Parigi del 1871 e della prima rivoluzione russa del 1905, il proletariato deve organizzare e armare tutti gli strati più poveri e sfruttati della popo- lazione, affinché essi stessi prendano direttamente nelle loro mani gli organi del potere statale e formino essi stessi le istituzioni di questo potere. Gli operai di Russia si sono avviati per questa strada già nella prima, fase della prima rivoluzione, in febbraio-marzo del 1917. Il problema è adesso di comprendere con chiarezza che cosa sia questa strada nuova e di percorrerla con audacia, fermezza e ostinazione. I capitalisti anglo-francesi e russi volevano « soltanto » deporre * In una delle mie prossime lettere o in un articolo a sé mi soffermerò minuziosamente su questa analisi — che si trova in particolare nella Guerra civile in Francia di Marx, nella prefazione di Engels alla terza edizione di que- st’opera, nelle lettere di Marx del 12 aprile 1871 e di Engels del 18 e del 28 marzo 1875 — e sul completo travisamento del marxismo compiuto da Kautsky nella sua polemica del 1912 contro Pannekoek a proposito della cosiddetta « di- struzione dello Stato ». 326 LENIN o forse « intimorire » Nicola II, lasciando intatta la vecchia macchina statale, la polizia, l’esercito, la burocrazia. Gli operai sono andati avanti e l’hanno spezzata. E oggi non solo i capitalisti anglo-francesi ma anche quelli tedeschi urlano di col- lera e di paura, vedendo che, ad esempio, i soldati russi fucilano i loro ufficiali, anche se si tratta di un seguace di Guckov come l’am- miraglio Nepenin. Ho detto che gli operai hanno spezzato la vecchia macchina sta- tale. Piu esattamente: hanno cominciato a spezzarla. Facciamo un esempio concreto. La polizia è in parte decimata, in parte disciolta a Pietroburgo e in molte altre località. Il governo Guckov-Miliukov non può restau- rare la monarchia e, in generale, rimanere al potere, senza ricostituire la polizia come speciale organizzazione di uomini armati, diretta dalla borghesia, separata dal popolo e ad esso opposta. Questo è chiaro come la luce del sole. D’altra parte, il nuovo governo deve fare i conti con il popolo rivoluzionario, deve nutrirlo di mezze concessioni e di promesse, deve guadagnar tempo. Escogita cosi una mezza misura: istituisce una « mi- lizia popolare » con cariche elettive (cosa terribilmente conveniente! e democratica, rivoluzionaria, splendida! ) , w a . . . m a , per un verso, la pone sotto il controllo, sotto l’egida degli zemstvo e degli organi muni- cipali, cioè dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti eletti se- condo le leggi di Nicola il sanguinario e di Stolypin l’impiccatore! E, per Taltro verso, chiamando « popolare » quésta milizia per gettar polvere negli occhi del « popolo », in concreto non sollecita Y intero popolo a farne parte e non costringe i padroni e i capitalisti a pagare agli operai e agli impiegati il loro salario normale per le ore e i giorni dedicati al servizio civile , cioè alla milizia. Ecco il punto. Con questi mezzi il governo agrario e capitalistico dei Guckov e dei Miliukov ottiene che la « milizia popolare » rimanga sulla carta, mentre di fatto si viene ricostituendo pian piano e di nascosto la milizia borghese , antipopolare, che comprende all’inizio « ottomila studenti e professori » (come dicono i giornali borghesi, descrivendo l’attuale milizia di Pietrogrado) — ma si tratta palese- mente di una cosa poco seria! — e che comprenderà in seguito la vecchia e la nuova polizia . LETTERE DA LONTANO 327 Impedire che si ricostituisca la polizia! Tenere ben saldi in pugno gli organi locali del potere! Istituire una milizia realmente popolare, che comprenda tutto il popolo e sia diretta dal proletariato! È questo il compito del giorno, la parola d’ordine dell’ora. Essa risponde in ugual misura agli interessi rettamente intensi deirulteriore lotta di classe, dello sviluppo del movimento rivoluzionario, e all’istinto demo- cratico di ogni operaio e di ogni contadino, di ogni lavoratore e di ogni sfruttato, che non può non detestare la polizia, le guardie, i sottufficiali, il gruppo di grandi proprietari fondiari e capitalisti che dirige questi uomini in armi, i quali esercitano la loro autorità sul popolo* Di quale polizia hanno bisogno essi , i Guckov e i Miliukov, i grandi proprietari fondiari e i capitalisti? Della stessa polizia che esi- steva sotto la monarchia zarista. Tutte le repubbliche borghesi e de- mocratico-borghesi del mondo, dopo brevissimi periodi rivoluzionari, hanno sempre istituito o restaurato proprio questa polizia, un’organiz- zazione speciale di uomini armati, separati dal popolo, opposti a esso, subordinati, in un modo o nell’altro, alla borghesia. Di quale milizia abbiamo bisogno noi, il proletariato, tutti i la- voratori? Di una milizia realmente popolare , che sia cioè anzitutto composta di tutta la popolazione, di tutti i cittadini adulti dei due sessi, e che inoltre riunisca in sé le funzioni dell’esercito popolare e quelle della polizia, quelle delPorgano principale e fondamentale per mantenere l’ordine pubblico e amministrare lo Stato. Per rendere piu chiare queste tesi, farò un esempio puramente schematico. Non occorre dire che sarebbe assurda l’idea di redigere un «piano» per la milizia proletaria: quando gli operai e tutta la massa del popolo si metteranno al lavoro sul piano pratico, sapranno elaborarlo e realizzarlo cento volte meglio di qualsiasi teorico. Non propongo nessun « piano », voglio solo illustrare il mio pensiero. Pietroburgo conta circa due milioni di abitanti. Oltre la metà di essi ha un’età che varia da 15 a 65 anni. Prendiamo la metà: un milione. Sottraiamone la quarta parte, cioè i malati, ecc,, che attual- mente non prendono parte al servizio civile per motivi plausibili. Restano 750.000 cittadini che, lavorando nella milizia, poniamo, un giorno su quindici {e continuando a ricevere il salario dai padroni), costituiscono un esercito di 50.000 uomini. 3 28 LENIN Di uno « Stato » di questo tipo abbiamo bisogno! Di una milizia che sia « popolare » nei fatti e non solo a parole! È questa la strada che dobbiamo percorrere perché sia impossibile ricostituire una polizia e un esercito separati dal popolo. Questa milizia sarebbe composta, per il novantacinque per cento, di operai e di contadini ed esprimerebbe realmente la ragione e la volontà, la forza e il potere della stragrande maggioranza della popo- lazione. Questa milizia armerebbe realmente e addestrerebbe alParte militare tutto il popolo, garantendoci cosi, non alla maniera di Guckov e di Miliukov, contro ogni tentativo di restaurazione reazionaria, contro ogni intrigo degli agenti zaristi. Questa milizia sarebbe Porgano ese- cutivo dei « soviet dei deputati degli operai e dei soldati », godrebbe della fiducia e del rispetto assoluti della popolazione, perché sarebbe essa stessa Porganizzazione di tutto il popolo. Questa milizia trasfor- merebbe la democrazia da una bella insegna, dietro la quale si ma- schera Passervimento del popolo ai capitalisti e Pirrisione dei capita- listi nei confronti del popolo, in una vera scuola per le masse , che verrebbero educate a partecipare a tutti gli affari pubblici. Questa milizia introdurrebbe i giovani alla vita politica, educandoli non solo con la parola, ma anche con l’azione, con il lavoro. Questa milizia svilupperebbe quelle funzioni che, per dirla in linguaggio erudito, riguardano la «polizia del benessere», l’igiene pubblica, ecc., impe- gnando in questa attività tutte le donne adulte. E non è possibile ga- rantire la vera libertà, non è possibile costruire nemmeno la democra* zia, per non dire il socialismo, se le donne non partecipano al servizio civile, alla milizia, alla vita politica, se non vengono strappate alPam- biente della casa e della cucina che le abbrutisce. Questa milizia sarebbe una milizia proletaria perché gli operai industriali delle città vi assumerebbero un’influenza determinante sulla massa dei poveri con la stessa naturalezza e inevitabilità con cui hanno assunto uan funzione dirigente in tutta la lotta rivoluzionaria del po- polo sia nel 1905-1907 che nel 1917. Questa milizia assicurerebbe un ordine assoluto e una disciplina fraterna accettata senza riserve. E al tempo stesso consentirebbe di combattere la grave cvrisi che travaglia tutti i paesi belligeranti con mezzi realmente democratici, di realizzare equamente e rapidamente la distribuzione del grano e delle altre derrate alimentari, di attuare LETTERE DA LONTANO 329 il « servizio obbligatorio del lavoro », che i francesi chiamano oggi « mobilitazione civile » e i tedeschi « obbligo del servizio civile » e senza il quale è impossibile — si è accertato che è impossibile — curare le ferite inferte dalla terribile guerra di rapina. Il proletariato di Russia ha forse versato il suo sangue solo per sentirsi ripetere altisonanti promesse di riforme democratiche esclu- sivamente politiche? Non vuole esso rivendicare e ottenere che ogni lavoratore si renda conto subito di un certo miglioramento della propria vita? che ogni famiglia riceva il pane? che ogni bambino abbia una bottiglia di buon latte e che nessun membro adulto d’una famiglia ricca osi prendere piu della sua razione di latte fino a che non sia stato garantito a tutti i bambini? che i palazzi e i ricchi appartamenti abbandonati dallo zar e dalParistocrazia non rimangano vuoti ma ser- vano di riparo ai senzatetto e ai nullatenenti? E chi può applicare queste misure, se non una milizia popolare a cui le donne partecipino allo stesso titolo degli uomini? Queste misure non sono ancora il socialismo. Riguardano la di- stribuzione dei beni di consumo, ma non toccano la riorganizzazione della produzione. Esse non sarebbero ancora la « dittatura del prole- tariato », ma solo la « dittatura democratica rivoluzionaria del pro- letariato e dei contadini poveri ». Non si tratta ora di classificarle sul piano teorico. Commetteremmo un grave errore, se ci accingessimo a stendere i compiti pratici complessi, urgenti e in rapido sviluppo della rivoluzione nel letto di Procuste di una « teoria » angustamente intesa, invece di vedere nella teoria anzitutto e soprattutto una guida per Va zio ne. Avrà la massa degli operai russi tanta consapevolezza, energia ed eroismo da compiere « miracoli di organizzazione proletaria », dopo aver compiuto nella lotta rivoluzionaria immediata miracoli di audacia, iniziativa e abnegazione? Non Io sappiamo, e sarebbe ozioso perdersi in congetture, perché soltanto la pratica potrà darci una risposta. Quel che noi sappiamo bene e che, in quanto partito, dobbiamo spiegare alle masse è che esiste un motore storico di grande potenza, che genera una crisi senza precedenti, la fame e innumerevoli cala- mità. Questo motore è la guerra che i capitalisti di entrambi i campi belligeranti combattono per scopi di rapina. Questo « motore » ha con- dotto sulPorlo dell abisso molte delle nazioni piu ricche, più libere 330 LENIN e civili. Esso costringe i popoli a tendere al massimo tutte le forze, li riduce in una condizione insostenibile, pone alPordine del giorno non l’applicazione di certe « teorie » (non di questo si tratta, e contro tali illusioni Marx ha sempre messo in guardia i socialisti), ma l’attua- zione delle estreme misure praticamente realizzabili, perché senza mi- sure estreme c’è la morte per fame, la morte repentina e inevitabile, di milioni di uomini. Non occorre dimostrare che l’entusiasmo rivoluzionario della classe d'avanguardia può molto, quando la situazione oggettiva imponga a tutto il popolo misure estreme. Questo aspetto della questione è in Russia visibile a occhio nudo e tangibile per tutti. L’importante è di capire che nei periodi rivoluzionari la situazione oggettiva cambia con la stessa rapidità e repentinità della vita in ge- nerale. E noi dobbiamo saper adattare la nostra tattica e i nostri obiet- tivi immediati alle peculiarità di ogni situazione concreta. Prima del febbraio 1917 erano alPordine del giorno l’audace propaganda rivolu- zionaria internazionalistica, l’appello e il risveglio delle masse alla lotta. In febbraio-marzo sono stati necessari l’eroismo e l’abnegazione nella lotta per schiacciare immediatamente il nemico piu diretto, lo zarismo. Oggi stiamo vivendo il periodo di transizione dalla prima alla seconda fase della rivoluzione, dall’«a corpo a corpo» con lo zarismo all’«a corpo a corpo » con l’imperialismo dei grandi proprietari fondiari e dei capi- talisti, dei Guckov e dei Miliukov. All’ordine del giorno si pone oggi il problema organizzativo , non già nel logoro senso di lavorare esclu- sivamente nelle consuete forme organizzative, ma nel senso di mobili- tare le grandi masse delle classi oppresse in una organizzazione che as- solva funzioni militari, statali ed economiche. Il proletariato si è accostato e continuerà ad accostarsi per vie diverse a questa sua originale funzione. In alcune località della Russia la rivoluzione di febbraio-marzo gli sta già consegnando quasi tutto il potere; in altre esso sta. forse creando « con la forza » ed estendendo la milizia proletaria; in altre ancora farà indire probabilmente ele- zioni immediate, a suffragio universale, ecc., per le Dume municipali e gli zemstvo, allo scopo di trasformarli in centri rivoluzionari, ecc., fino al momento in cui lo sviluppo dello spirito organizzativo proleta- rio, il ravvicinamento tra gli operai e i soldati, il movimento dei con- tadini, le delusioni di molti cittadini nei confronti del governo di LETTERE DA LONTANO 331 Guckov e Miliukov, che è il governo della guerra imperialistica, fa- ranno suonare Torà della sua sostituzione con il « governo » del soviet dei deputati operai. Non dimentichiamo, del resto, di avere in prossimità di Pietro- burgo uno dei paesi effettivamente repubblicani e piu progrediti, la Finlandia, che dal 1905 al 1917, sotto la copertura delle battaglie rivoluzionarie combattute in Russia, ha sviluppato in modo relativa- mente pacifico la sua democrazia e conquistato al socialismo la maggio- ranza del popolo. Il proletariato della Russia assicurerà alla repub- blica finlandese la completa libertà, il diritto stesso di separarsi (non c’è forse un solo socialdemocratico che possa oggi esitare su questo punto, mentre il cadetto Rodicev 131 sta indegnamente mercanteg- giando a Helsingfors su qualche mozzicone di privilegio per i grandi- russi)', e conquisterà in questo modo la piena fiducia e il fraterno ap- poggio degli operai finlandesi alla causa del proletariato di tutta la Russia. In una grande e difficile impresa gli errori sono inevitabili, e noi non li eviteremo, ma gli operai finlandesi sono eccellenti organizza- tori e ci aiuteranno in questo campo, spingendo avanti a loro modo l’instaurazione della repubblica socialista. Le vittorie rivoluzionarie in Russia, i pacifici successi organizza- tivi riportati in Finlandia al riparo di queste vittorie, Tassunzione di compiti rivoluzionari organizzativi da parte degli operai russi su una nuova scala, la conquista del potere da parte del proletariato e degli strati più poveri della popolazione, l’incoraggiamento e Io sviluppo della rivoluzione socialista in Occidente: è questa la via che ci con- durrà alla pace e al socialismo. Zurigo, Il (24) marzo 1917. Pubblicata per la prima volta in Kom munist ice ski Uitematsional , 1924, n. 3-4. Firmata: N. Lenin LETTERA QUARTA COME OTTENERE LA PACE? Ho appena finito di leggere (12-25 marzo), nella Ntue Zùrcber Zeitung (n. .517 del 24 marzo], il seguente telegramma da Berlino: « Si comunica dalla Svezia che Maxim Gorki ha indirizzato al governo e al comitato esecutivo un entusiastico messaggio di saluto. Egli saluta la vittoria del popolo sui signori della reazione e incita tutti i figli della Russia a contribuire alla costruzione del nuovo edi- ficio statale russo. Al tempo stesso invita il governo a coronare la sua opera emancipatrice mediante la conclusione della pace. Questa non dovrà essere una pace a qualsiasi costo; la Russia non ha oggi alcun motivo per volere la pace a qualsiasi prezzo. La pace deve esser tale da garantire alla Russia la possibilità di tenere con onore il suo posto tra i popoli della terra. L’umanità ha versato troppo sangue; e il nuovo governo acquisterebbe grandi meriti, non solo davanti alla Rus- sia, ma davanti a tutta l’umanità, se riuscisse a concludere rapidamente la pace ». In questi termini viene riferito il messaggio di Gorki. Si prova un senso d’amarezza nel leggere questo scritto, tutto im- bevuto di pregiudizi filistei molto diffusi. L’autore di queste righe, durante i suoi incontri con Gorki nell’isola di Capri, ha avuto modo di metterlo sull’avviso e di rimproverargli i suoi errori politici. A questi rimproveri Gorki ha opposto il suo affascinante sorriso e una dichiarazione molto sincera: « So di essere un cattivo marxista. Del resto, noi artisti siamo tutti un po’ irresponsabili ». Non è facile obiet- tare qualcosa. Gorki ha senza dubbio un talento artistico prodigioso, con cui LETTERE DA LONTANO 333 si è già reso e si renderà ancora molto utile al movimento proletario intero azionale. Ma per quale motivo deve intromettersi nella politica? A mio modo di vedere, la sua lettera dà espressione a pregiudizi che sono eccezionalmente diffusi non solo in seno alla piccola bor- ghesia, ma anche in una parte di operai che ne subiscono Pinfluenza. Tutte le forze del nostro partito, tutti gli sforzi degli operai coscienti devono essere diretti a una lotta tenace, ostinata e complessa contro questi pregiudizi. Il governo zarista ha iniziato e continuato la guerra attuale, che è una guerra imperialistica , di rapina e brigantaggio, per saccheggiare e strangolare i popoli deboli. Il governo dei Guckov e dei Miliukov è un governo di grandi proprietari fondiari e di capitalisti che deve e vuole proseguire proprio questa guerra. Proporre a questo governo la stipulazione di una pace democratica è come predicare la virtù ai tenu- tari delle case di tolleranza. Chiariamo il nostro pensiero. Che cos'è rimperialismo? Nel mio opuscolo: L imperialismo, fase suprema del capitalismo , inviato alle edizioni Parus prima della rivoluzione, da esse accettato e annunciato nella rivista Lìetopis , ho risposto a questa domanda co- me segue: « L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è comin- ciata la ripartizione del mondo fra i trusts internazionali ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici » (c. VII dell’opuscolo citato, annunciato in Lìetopis , quando esisteva ancora la censura, con il titolo: V. Ilin, Il capitalismo contemporaneo) 13J . Tutto si riduce al fatto che il capitale ha assunto dimensioni gigantesche. Le associazioni di un esiguo numero dei maggiori capi- talisti (cartelli, sindacati, trusts) maneggiano miliardi e si spartiscono tra loro tutto il mondo. Tutta la superficie terrestre è stata divisa. La guerra è provocata dal conflitto tra due gruppi potentissimi di miliar- 334 LENIN dari, il gruppo anglo-francese e il gruppo tedesco, per una nuova spar- tizione del mondo. Il gruppo capitalistico anglo-francese vuole depredare anzitutto la Germania, sottraendole le colonie (che le sono già state tolte quasi per intero), e poi la Turchia, Il gruppo capitalistico tedesco vuole arraffare per sé la Turchia e ripagarsi della perdita delle colonie con la conquista dei piccoli Stati vicini (Belgio, Serbia, Romania). È questa la verità genuina, velata con ogni sorta di menzogne borghesi sulla guerra « di liberazione », sulla guerra « nazionale », sulla « guerra per il diritto e la giustizia », e con altri orpelli di cui i capi- talisti si sono sempre serviti per ingannare il popolo. La Russia non sta facendo la guerra con i propri soldi. Il capitale russo partecipa al capitale anglo-francese. La Russia fa la guerra per saccheggiare l’Armenia, la Turchia e la Galizia. Guckov, Lvov, Miliukov, i nostri attuali ministri, non sono mi- nistri per caso. Essi rappresentano e dirigono tutta la classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. E sono legati agli interessi del capitale. I capitalisti non possono rinunciare ai propri interessi più di quanto un uomo possa sollevarsi da terra tirandosi per i capelli. Inoltre, Guckov, Miliukov e soci sono legati al capitale anglo- francese. Hanno fatto e fanno la guerra con soldi altrui. Si sono impe- gnati a pagare annualmente per i miliardi presi in prestito interessi ammontanti a centinaia di milioni e a spremere questo tributo dagli operai e dai contadini russi. Ancora, Guckov, Miliukov e soci sono vincolati direttamente, con trattati sugli scopi predoneschi della guerra in corso, allTnghilterra, alla Francia, allTtalia, al Giappone e agli altri gruppi di briganti imperia- listi. Questi trattati sono stati conclusi dallo zar Nicola IL Guckov, Miliukov e soci hanno sfruttato la lotta degli operai contro la monar- chia zarista per impadronirsi del potere, ma hanno convalidai i trattati conclusi dallo zar. Lo ha fatto il governo Guckov-Miliukov nel manifesto che l’Agen- zia telegrafica pietroburghese ha trasmesso all’estero il 7 (20) marzo: « Il governo [di Guckov e di Miliukov] sarà fedele a tutti i trattati LETTERE DA LONTANO 33 5 che ci legano alle altre potenze », è detto nel manifesto. E il nuovo ministro degli esteri, Miliukov, ha fatto una dichiarazione identica nel suo telegramma del 5 (18) marzo 1917 a tutti i rappresentanti della Russia airestero. Questi trattati sono tutti segreti , e Miliukov e soci non vogliono renderli pubblici per due ragioni: 1) perché temono il popolo, che non vuole saperne di una guerra di rapina; 2) perché sono legati al capitale anglo-francese, che impone di tenere il segreto sui trattati. Ma chi legga i giornali e abbia studiato la questione sa bene che questi trattati prevedono il saccheggio della Cina da parte del Giappone, della Persia, dell’Armenia, deila Turchia (soprattutto di Costantino- poli) e della Galizia da parte della Russia, dell'Albania da parte del- lTtalia, della Turchia e delle colonie tedesche da parte della Francia e delllnghilterra, ecc. Questa è la situazione. E quindi proporre al governo di Guckov e di Miliukov la rapida stipulazione di una pace onesta, democratica, di buon vicinato, signi- fica imitare il « buon curato » di campagna, che invita i grandi pro- prietari fondiari e i mercanti a vivere « secondo la legge divina », ad amare il prossimo e a porgere la guancia destra a chi li avrà schiaf- feggiati sulla sinistra. I grandi proprietari fondiari e i mercanti ascol- tano la predica, continuano a opprimere e a rapinare il popolo e si entusiasmano per l’abilità del « buon curato » che sa consolare e tener buoni i « mugiki ». Una parte assolutamente identica, ne abbiano o no coscienza, re- citano tutti coloro che nel corso della presente guerra imperialistica rivolgono ai governi borghesi pii discorsi di pace. A volte i governi borghesi si rifiutano di ascoltare questi discorsi e arrivano a proibirli; a volte, invece, li autorizzano, assicurando a destra e a manca che fanno la guerra solo per concludere al più presto la pace « più equa » e rigettando tutta la colpa sul loro nemico. I discorsi di pace rivolti ai governi borghesi sono di fatto una turlupinatura del popolo . I gruppi capitalistici, che hanno inondato di sangue la terra per spartirsi i mercati, i territori, le concessioni, non possono addivenire ad una pace « onorevole ». La loro può essere soltanto una pace 336 LENIN infame , una pace per la spartizione del bottino , per la spartizione della Turchia e delle colonie . Oltre a ciò, il governo Guckov-Miliukov è contrario a stipulare la pace in questo momento, perché ora otterrebbe come « bottino » « soltanto » l’Armenia e una parte della Galizia, mentre vuole impa- dronirsi anche di Costantinopoli e riprendere ai tedeschi anche quella Polonia che lo zarismo ha sempre oppresso con tanta inumanità e cinismo. Inoltre, il governo Guckov-Miliukov è in fondo solo il com- messo del capitale anglo-francese, che intende conservare le colonie strappate alla Germania e, per giunta , costringere questo paese a resti- tuire il Belgio e una parte della Francia. Il capitale anglo-francese ha aiutato i Guckov e i Miliukov a destituire Nicola II perché lo aiutino a « sconfiggere » la Germania. Che fare? Per ottenere la pace (e, tanto piu, una pace realmente demo- cratica, realmente onorevole), è necessario che il potere statale non appartenga ai grandi proprietari fondiari e ai capitalisti, ma agli operai e ai contadini poveri. I grandi proprietari fondiari e i capitalisti sono un’esigua minoranza della popolazione; e ognuno sa che i capitalisti si arricchiscono vertiginosamente con la guerra. Gli operai e i contadini poveri costituiscono Yimmensa maggio- ranza della popolazione. Non si arricchiscono con la guerra, ma vanno in rovina e patiscono la fame. Non sono vincolati né dal capitale né dai trattati conclusi tra i gruppi predoneschi del capitalismo. Possono e vogliono sinceramente metter fine alla guerra. Se il potere statale appartenesse in Russia ai soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, questi soviet e il soviet di tutta la Russia da essi eletto sarebbero in condizione e, senza dubbio, accet- terebbero di realizzare il programma di pace 133 che il nostro partito (il Partito operaio socialdemocratico di Russia) ha tracciato fin dal 13 otto- bre 1915 nel n. 47 del suo organo centrale, il Sotsialdemokrat (pubbli- cato allora, a causa della censura zarista, a Ginevra). Questo programma di pace sarebbe, senza dubbio, del seguente tenore: 1. Il soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini di LETTERE DA LONTANO 337 tutta la Russia (o il soviet di Pietroburgo che lo sostituisce provvisoria- mente) dichiarerebbe all’istante di non ritenersi vincolato ad alcun trattato sia della monarchia zarista sia dei governi borghesi. 2. Pubblicherebbe senza indugio tutti questi trattati per denun- ciare airopinione pubblica gli scopi briganteschi della monarchia zarista e di tutti i governi borghesi senza eccezione. 3- Proporrebbe immediatamente e apertamente a tutte le potenze belligeranti di firmare subito un armistizio. 4. Renderebbe subito di pubblica ragione, per informare tutto il popolo, le nostre condizioni di pace , cioè le condizioni di pace degli operai e dei contadini: liberazione di tutte le colonie, liberazione di tutti i popoli dipendenti, oppressi e lesi nei propri diritti. 5. Dichiarerebbe che non si aspetta niente di buono dai governi borghesi e inciterebbe gli operai di tutti i paesi a rovesciare i loro governi e a trasferire tutto il potere statale ai soviet dei deputati operai. 6. Dichiarerebbe che solo i signori capitalisti possono risarcire i miliardi di debiti contratti dai governi borghesi per condurre questa guerra criminale e brigantesca, ma che gli operai e i contadini non riconoscono questi debiti. Pagare gli interessi di tali prestiti signifi- cherebbe pagare per lunghi anni un tributo ai capitalisti per aver essi benignamente autorizzato gli operai a sterminarsi tra loro per la spar- tizione del bottino capitalistico. Operai e contadini, — direbbe il soviet dei deputati operai, — accettate voi di pagare annualmente centinaia di milioni di rubli ai signori capitalisti per ricompensarli di una guerra combattuta per spartirsi le colonie africane, la Turchia, ecc.? Per queste condizioni di pace il soviet dei deputati operai consen- tirebbe, secondo me, a fare la guerra a qualsiasi governo borghese e a tutti i governi borghesi del mondo, perché sarebbe una guerra real- mente giusta, perché tutti gli operai e i lavoratori di tutti i paesi contribuirebbero a garantirne il successo. L’operaio tedesco vede oggi che ad una monarchia bellicista è 338 LENIN subentrata in Russia una repubblica bellicista , una repubblica di capi- talisti che vogliono continuare la guerra imperialistica e che sanci- scono i trattati predoneschi della monarchia zarista. Giudicate voi stessi: può l’operaio tedesco aver fiducia in una simile repubblica? Giudicate voi stessi: potrà la guerra continuare, potrà perpetuarsi sulla terra il dominio dei capitalisti, se il popolo russo, sorretto oggi come ieri dal ricordo sempre vivo della grande rivoluzione del 1905, conquisterà la sua completa libertà e darà tutto il potere statale ai soviet dei deputati operai e contadini? Zurigo, 12 (25) marzo 1917. Pubblicata per la prima volta nella rivista Kommunisticeski Internatsional , 1924, n. 3-4. Firmata: N. Lenin. LETTERA QUINTA I COMPITI DELL’ORGANIZZAZIONE PROLETARIA RIVOLUZIONARIA DELLO STATO Nelle lettere precedenti, i compiti attuali del proletariato in Rus- sia sono stati formulati come segue: 1) sapersi avviare per la strada più giusta verso la fase successiva della rivoluzione o seconda rivolu- zione, che 2) deve trasferire il potere statale dalle mani del governo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti (i Guckov, Lvov, Mi- liukov, Kerenski) nelle mani del governo degli operai e dei contadini poveri. 3) Questo governo deve organizzarsi sul modello dei soviet dei deputati operai e contadini, e precisamente 4) deve abbattere e distruggere completamente la vecchia macchina statale propria di tutti gli Stati borghesi, l’esercito, la polizia, la burocrazia, sostituendo que- sta macchina 5) con una organizzazione del popolo armato tale che non abbia soltanto un carattere di massa ma comprenda tutto il po- polo. 6) Soltanto un tale governo, che è « tale » per la sua composi- zione di classe (« dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini») e per i suoi organi di amministrazione («milizia proletaria »), è in condizione di assolvere efficacemente il compito piu importante dell’ora attuale, un compito eccezionalmente difficile e asso- lutamente improrogabile, quello di ottenere la pace , e, per di più, non una pace imperialistica, non un compromesso tra potenze imperialisti- che sulla spartizione del bottino rapinato dai capitalisti e dai loro go- verni’ ma una pace realmente duratura e democratica, che non può realizzarsi, se la rivoluzione proletaria non scoppia in vari paesi. 7) La vittoria del proletariato è possibile in Russia nel più immediato futuro solo a condizione che il suo primo atto sia l’appoggio agli operai da parte della stragrande maggioranza dei contadini in lotta per la con- 340 LENIN fisca di tutte le grandi proprietà fondiarie (e la nazionalizzazione di tutta la terra, se è vero che il programma agrario dei « 104 » è tuttora, nella sostanza, il programma agrario dei contadini 134 ). 8) In rapporto con la rivoluzione contadina e sulla sua base divengono possibili e necessarie le ulteriori misure del proletariato, in alleanza con la parte più povera dei contadini, al fine di controllare la produzione e la di- stribuzione dei principali prodotti, di introdurre il « servizio obbliga- torio del lavoro », ecc. Queste misure sopo imposte con assoluta ne- cessità dalle condizioni che la guerra ha creato e che il dopoguerra potrà solo aggravare sotto molti aspetti; ma, nel loro insieme e nella loro evoluzione, queste misure significherebbero il passaggio al so- cialismo, che non può essere realizzato in Russia immediatamente, di colpo, senza misure transitorie, ma che è pienamente realizzabile e assolutamente necessario come risultato di tali misure transitorie. 9) Il compito di costituire subito nei villaggi i soviet dei deputati operai, cioè i soviet degli operai salariati agricoli, separatamente dai soviet degli altri deputati contadini, si pone oggi con estrema urgenza. Questo, in breve, il programma che abbiamo tracciato, tenendo conto delle forze di classe della rivoluzione russa e mondiale, nonché dell’esperienza del 1871 e del 1905. Cerchiamo ora di dare uno sguardo d'insieme a questo pro- gramma, soffermandoci via via sullatteggiamento assunto al riguardo da K. Kautsky, che è il massimo teorico della II Internazionale (1889-1914) e Pesponente piu illustre della tendenza, comune a tutti i paesi, del « centro » o « palude », oscillante tra i socialsciovinisti e gli internazionalisti rivoluzionari. Kautsky ha affrontato questo tema nella sua rivista ( Die ISIeue Zeit del 6 aprile 1917, nuovo calendario), in un articolo intitolato: Le prospettive della rivoluzione russa. « Dobbiamo chiarire anzitutto — scrive Kautsky — i compiti che si pongono al regime proletario rivoluzionario » (riguardo alPorganiz- zazione dello Stato). « Di due cose — prosegue l’autore — ha, estrema urgenza il pro- letariato: della democrazia e del socialismo. » Questa tesi assolutamente incontestabile Kautsky la presenta pur- LETTERE DA LONTANO 341 troppo in una forma talmente generica che in sostanza non offre e non chiarisce un bel niente. Miliukov e Kerenski, ministri di un go- verno borghese e imperialistico, non esiterebbero a sottoscrivere que- sta tesi generale, l'uno la prima parte, l’altro la seconda... 135 Scritta il 26 marzo (8 aprile) 1917. Pubblicata per la prima volta in BolsceviM, 1924, n. 3-4. AI COMPAGNI CHE SOFFRONO IN PRIGIONIA 136 Compagni, in Russia è scoppiata una rivoluzione. Gli operai di Pietrogrado e di Mosca sono stati ancora una volta volta i pionieri del grande movimento di emancipazione. Hanno pro- clamato lo sciopero politico. Sono scesi nelle strade con le bandiere rosse, Si sono battuti come leoni contro la polizia e la gendarmeria zariste, contro quell’esigua parte dell’esercito che non si è schierata subito a fianco del popolo. Nella sola Pietrogrado si contano piu di duemila morti e feriti. Gli operai russi hanno pagato con il loro sangue la libertà del nostro paese. Essi hanno rivendicato il pane , la libertà e la pace . Il pane, perché anche in Russia, come in quasi tutti i paesi che prendono parte all’attuale guerra di rapina, il popolo patisce la fame. La libertà , perché il governo zarista, approfittando della guerra, ha definitivamente trasformato tutta la Russia in un’immensa prigione. La pace , perché gli operai di Russia, come gli operai più co- scienti degli altri paesi, non vogliono più morire per gli interessi di un pugno di ricchi, non vogliono più partecipare ad una guerra cri- minale scatenata dai briganti coronati e senza corona. La maggior parte dei soldati delle guarnigioni di Pietroburgo e di Mosca si è schierata con gli operai insorti. Gli operai e i conta- dini in uniforme militare hanno teso fraternamente la mano agli operai e ai contadini senza uniforme. La parte migliore degli ufficiali ha aderito alla rivoluzione. Gli ufficiali che volevano marciare contro il popolo sono stati passati per le armi dai soldati. La rivoluzione l’hanno fatta gli operai e i soldati. Ma il potere, com’è già avvenuto in altre rivoluzioni, l’ha preso subito la borghe- AI COMPAGNI CHE SOFFRONO IN PRIGIONIA 343 sia. La Duma di Stato, dove i grandi proprietari fondiari e i capita- listi detengono la maggioranza, ha cercato con ogni mezzo di accordarsi con lo zar Nicola II. Fino airultimo, quando già nelle strade di Pietro- grado divampava la guerra civile, la Duma di Stato ha inviato allo zar telegrammi su telegrammi, supplicandolo di fare qualche piccola con- cessione, pur di salvare la corona. Non la Duma di Stato, — la Duma dei grandi proprietari fondiari e dei ricchi, — ma gli operai e i soldati insorti hanno rovesciato la zar. Tuttavia, il nuovo governo provvisorio è stato designato dalla Duma. Questo governo provvisorio è composto di rappresentanti dei ca- pitalisti e dei grandi proprietari fondiari liberali. I posti piu importanti sono stati assegnati: al principe Lvov (che è un grande proprietario terriero e un liberale molto moderato), ad A. Guckov (che fu un com- pagno d’armi di Stolypin e approvò a suo tempo i tribunali militari controrivoluzionari), a Terestcenko (che è un grande industriale dello zucchero e un ultramilionario), a Miliukov (che ha sempre sostenuto e sostiene tuttora la guerra di rapina in cui Io zar Nicola e la sua cricca hanno trascinato il nostro popolo). Il « democratico » Kerenski è stato chiamato a far parte del nuovo governo solo per date ad esso l’appa- renza di un governo « popolare » e per disporre di un buon oratore « democratico » che dica al popolo parole altisonanti ma vuote, mentre i Guckov e i Lvov svolgono la loro azione antipopolare. II nuovo governo vuole che questa guerra di brigantaggio con- tinui. Esso è un agente dei capitalisti russi, inglesi e francesi, i quali — alla pari dei capitalisti tedeschi — vogliono « battersi sino alla fine » e assicurarsi le parti migliori del bottino. Il nuovo governo non vuole e non può dare la pace alla Russia. Esso non vuole confiscare le terre dei grandi proprietari fondiari a vantaggio del popolo e non vuole far ricadere il peso della guerra sui ricchi. Pertanto, non può dare il pane al popolo. Gli operai e la popolazione povera dovranno continuare a patire la fame. Il nuovo governo è composto di capitalisti e di grandi proprietari fondiari. E non vuol dare alla Russia la libertà completa. Sotto la pressione degli operai e dei soldati insorti, ha promesso di convocare un’Assemblea costituente che deliberi sul regime da instaurare in Russia. Ma, poiché desidera prender tempo per poi ingannare il po- polo, come hanno già fatto piu d’una volta nella storia altri governi 344 LENIN di questo genere, non si decide a indire le elezioni. Esso non vuole che la Russia diventi una repubblica democratica. Vuole soltanto che, al posto del cattivo zar Nicola II, salga al trono lo zar Michele, che si presume « buono ». Non vuole che il potere appartenga in Russia al popolo, ma ad un nuovo zar associato alla borghesia. Ecco il nuovo governo. Ma a Pietrogrado, accanto a questo governo, si sta organizzando a poco a poco un altro governo. Gli operai e i soldati hanno costituito un soviet di deputati, eletti nella misura di un deputato ogni mille operai o soldati. Questo soviet, che è composto di piu di mille delegati, si riunisce ora nel palazzo di Tauride. Ed è una vera rappresentanza popolare. All’inizio questo soviet potrà commettere certi errori. Ma finirà comunque per rivendicare a voce alta e in tono perentorio il pane, la pace e la repubblica democratica. 11 soviet dei deputati degli operai e dei soldati si batte per la convocazione immediata delPAssemblea costituente e la partecipazione dei soldati alle elezioni e alla soluzione del problema della guerra o della pace. Il soviet si batte perché le terre dello zar e dei grandi proprietari fondiari passino ai contadini. Il soviet si batte per la repub- blica e non vuole nemmeno sentir parlare della designazione di un nuovo zar « buono ». Il soviet esige il suffragio universale e uguale per tutti gli uomini e per tutte le donne. Il soviet ha ottenuto l’arresto dello zar e della zarina. Il soviet vuol costituire un comitato di sor- veglianza che controlli ogni atto del nuovo governo e che si trasformi in pratica nel governo. Il soviet cerca di allearsi con gli operai di tutti gli altri paesi, per attaccare in comune i capitalisti. Numerosi operai rivoluzionari sono stati mandati al fronte per accordarsi, approfittando della libertà, con i soldati sull’azione da condurre per mettere fine alla guerra, garantire i diritti del popolo e consolidare la libertà in Russia. A Pietrogrado esce di nuovo il giornale socialdemocratico, la Pravda , che aiuta gli operai ad assolvere i loro grandi compiti. È questa, compagni, la situazione attuale. Voi che soffrite in prigionia non potete restare indifferenti. Do- vete prepararvi ad assolvere prestò anche voi un compito importante, I nemici della libertà della Russia fanno talvolta assegnamento su di voi. Essi dicono: nei campi di prigionia vi sono circa due milioni Al COMPAGNI CHE SOFFRONO IN PRIGIONIA 345 di soldati; se essi, una volta tornati in patria, si schiereranno con lo zar, potremo rimettere sul trono Nicola o farvi salire il suo « amato * fratellino. Nella storia già altre volte il nemico di ieri, dopo essersi riconciliato con il re abbattuto, gli ha consegnato i prigionieri di guerra perché lo aiutassero a lottare contro il suo popolo 1S7 ... Compagni, discutete, dovunque ne abbiate la possibilità, i grandi avvenimenti che si compiono nella nostra patria. Dichiarate ad alta voce che voi, insieme con la parte migliore dei soldati russi, non volete lo zar, ma esigete una libera repubblica, la distribuzione gratuita delle terre dei grandi proprietari fondiari ai contadini, la giornata lavorativa di otto ore, l’immediata convocazione dell’Assemblea costituente. Di- chiarate che siete dalla parte del soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado, che, una volta ritornati in Russia, vi leverete non in difesa dello zar, ma contro lo zar, non in difesa dei grandi proprietari fondiari e dei ricchi, ma contro di loro. Dovunque ne abbiate la possibilità, organizzatevi, votate risolu- zioni in questo senso, spiegate ai compagni meno evoluti quale grande evento si sia verificato nel nostro paese. Avete sofferto abbastanza prima della guerra, durante la guerra e in prigionia. Ci attendono adesso giorni migliori. L’alba della libertà si è levata. Al vostro ritorno in Russia siate l’esercito della rivoluzione, l’eser- cito del popolo e non dello zar. Anche nel 1905 i prigionieri di guerra, al loro ritorno dal Giappone, diventarono i migliori combattenti della libertà. Al vostro ritorno in patria, vi disperderete in tutto il paese. Por- tate dunque in ogni piu remota località, in ogni villaggio russo che ha sofferto per la fame, le esazioni e gli oltraggi, la buona novella della libertà. Illuminate i fratelli contadini: disperdete le tenebre, chiamate i contadini poveri a sostenere gli operai delle città e gli operai agricoli nella loro grande lotta. Dopo aver conquistato la repubblica, gli operai di Russia si uni- ranno agli operai di tutti gli altri paesi e condurranno audacemente l’umanità verso il socialismo , verso un sistema in cui non vi saranno piu né ricchi né poveri, in cui un pugno di ricchi non potrà piu tra- sformare in propri schiavi salariati milioni di uomini. Compagni, non appena possibile, ci affretteremo a ritornare in 3*46 LENIN Russia, per partecipare alla lotta dei nostri fratelli operai e soldati. Ma nemmeno in patria ci dimenticheremo di voi. Dalla libera Russia cercheremo di spedirvi libri, giornali e informazioni su quanto accade nel nostro paese. Chiederemo che vi mandino denaro e pane in quan- tità sufficiente. E agli operai e ai soldati insorti diremo che possono fare assegnamento sui loro fratelli che soffrono in prigionia: sono figli del popolo e si batteranno al nostro fianco per la libertà, per la repub- blica, contro lo zar La redazione del « Sotsialdemokrat » LA RIVOLUZIONE IN RUSSIA E I COMPITI DEGLI OPERAI DI TUTTI I PAESI Compagni operai, le previsioni dei socialisti che sono rimasti fedeli al socialismo e non si sono lasciati inebriare dai sentimenti bellicisti, selvaggi e bestiali, si sono avverate. La prima rivoluzione, nata dalla guerra universale di brigantaggio tra i capitalisti dei diversi paesi, è scoppiata. La guerra imperialistica, che è la guerra per la spartizione del bottino tra i capi- talisti, per il soffocamento dei popoli deboli, ha cominciato a trasformarsi in guerra civile, cioè nella guerra degli operai contro i capi- talisti, nella guerra dei lavoratori e degli oppressi contro i loro oppresso- ri, contro gli zar e i re, contro i grandi proprietari fondiari e i capita- listi per la completa emancipazione dell’umanità dalle guerre, dalla miseria delle masse, dall’oppressione delPuomo suH’uomo! Agli operai russi sono toccati l’onore e la fortuna di iniziare per primi la rivoluzione, cioè la grande guerra degli oppressi contro gli oppressori, l’unica guerra legittima e giusta. Gli operai pietroburgheSi hanno sconfitto la monarchia zarista. Dopo essere insorti senza armi contro le mitragliatrici, in una lotta eroica contro la polizia e l’esercito dello zar, gli operai hanno con- quistato alla loro causa la maggior parte dei soldati della guarnigione di Pietroburgo. Lo stesso è accaduto a Mosca e in altre città. Abban- donato dal proprio esercito lo zar è stato costretto ad arrendersi: e ha firmato l’abdicazione .al trono per sé e per suo figlio. Ha proposto di far salire al trono suo fratello Michele. Data Testrema rapidità della rivoluzione, in virtù dell’appoggio dei capitalisti anglo-francesi e della debole coscienza della massa ope- raia e popolare di Pietroburgo nel suo insieme, nonché per effetto 348 LENIN dell’organizzazione e della preparazione dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti russi, questi ultimi si sono impadroniti del potere. I posti piu importanti del nuovo governo russo, del « governo provvi- sorio », la presidenza, il ministero degli interni e quello della guerra, sono stati affidati agli ottobristi Lvov e Guckov, che con tutte le loro fòrze aiutarono Nicola il sanguinario e Stolypin l’impiccatore a soffocare la rivoluzione del 1905 , a fucilare e impiccare gli operai e i contadini che avevano combattuto per la terra e per la libertà. I mini- steri meno importanti sono stati assegnati ai cadetti: gli esteri a Mi- liukov, la pubblica istruzione a Manuilov, l’agricoltura a Scingarev. Un piccolo posto, del tutto trascurabile, il ministero della giustizia, è toccato al trudovik Kerenski, un buon oratore di cui i capitalisti hanno bisogno per rassicurare il popolo con vane promesse, per rimbecillirlo con frasi altisonanti e fargli « accettare » il governo dei grandi proprie- tari fondiari e dei capitalisti, che, in alleanza con i capitalisti d’Inghil- terra e di Francia, vuole continuare la guerra di brigantaggio per con- quistare l’Armenia, Costantinopoli, la Galizia, una guerra che si com- batte perché i capitalisti anglo-francesi conservino il bottino che hanno già strappato ai capitalisti tedeschi (tutte le colonie dei tedeschi in Africa) e sottraggano ai capitalisti tedeschi il bottino arraffato da questi predoni (una parte della Francia, il Belgio, la Serbia, la Romania, ecc.). È evidente che gli operai non potevano aver fiducia in un simile governo. Essi hanno rovesciato la monarchia zarista, combattendo per la pace, per il pane , per la libertà. E hanno capito subito perché Guckov, Miliukov e soci siano riusciti a sottrarre la vittoria al popolo lavora- tore. I grandi proprietari fondiari e i capitalisti russi erano ben pre- parati e organizzati; avevano dalla loro la forza del capitale, la ricchezza dei capitalisti inglesi e francesi, che sono i piu ricchi del mondo. Gli operai hanno capito subito che per lottare per la pace, per il pane e per la libertà le classi lavoratrici, gli operai, i soldati e i contadini, de- vono organizzarsi , serrare le file, unirsi autonomamente dai capitalisti e contro di loro. Cosi, vinta la monarchia zarista, gli operai di Pietroburgo hanno creato immediatamente la propria organizzazione, il soviet dei deputati operai , si sono accinti a consolidarla e ad estenderla, costituendo dei soviet autonomi di deputati dei soldati e contadini. Alcuni giorni dopo la rivoluzione, il soviet dei deputati degli operai e LA RIVOLUZIONE IN RUSSIA 349 dei soldati di Pietroburgo già contava piu di 1.500 deputati operai e contadini in uniforme militare. Questo soviet godeva a tal punto della fiducia dei ferrovieri e di tutta la popolazione lavoratrice che ha co- minciato a trasformarsi in un vero e proprio governo popolare . E persino i piu fedeli amici e i protettori di Guckov e Miliukov, persino i piu fedeli cani di guardia del brigantesco capitalismo anglo- francese, Robert Wilson, collaboratore del Times , il più ricco giornale dei capitalisti inglesi, e Charles Rivet, collaboratore del Temps , il più ricco giornale dei capitalisti francesi, persino loro, pur coprendo di violente ingiurie il soviet dei deputati operai, sono stati tuttavia co- stretti a confessare che la Russia ha due governi. Il primo, riconosciuto da «tutti » (cioè, di fatto, da tutti i ricchi ), è il governo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, dei Guckov e dei Miliukov. L’altro, che non viene riconosciuto da « nessuno » (in seno alle classi ricche), è il governo degli operai e dei contadini: il soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietroburgo, che si sforza di costituire in tutta la Russia soviet di deputati operai e soviet di deputati contadini. Vediamo che cosa dicono e fanno i due governi. 1. Che fa il governo dei grandi proprietari fondiari e dei capita- listi , il governo Lvov-Guckov-Miliukov? Dispensa a destra e a manca le promesse più allettanti. Promette al popolo russo la libertà più completa. Promette di convocare una Assemblea costituente di tutto il popolo che stabilisca la forma di governo della Russia. Kerenski e i leaders cadetti si proclamano fau- tori della repubblica democratica. Quanto a teatralità rivoluzionaria, i Guckov e i Miliukov sono insuperabili. La pubblicità lavora a tutto spiano, Ma quali sono i fatti? Pur promettendo la libertà, il nuovo governo ha in realtà con- dotto trattative con la famiglia imperiale, con la dinastia, sulla restau- razione del potere monarchico. Ha proposto a Michele Romanov di diventare reggente, cioè zar provvisorio. La monarchia sarebbe già stata restaurata in Russia dai Guckov e Miliukov, se non si fossero opposti gli operai, organizzando cortei nelle strade di Pietroburgo, scrivendo sulle proprie bandiere: « Terra e libertà! Morte ai tiranni! », radunandosi, insieme con i reparti di cavalleria, dinanzi alla Duma e spiegando bandiere su cui si leggeva: «Viva la repubblica socialista 350 LENIN in tutti i paesi! ». L’alleato dei Guckov e dei Miliukov, Michele Ro- manov, ha intuito che, in quella situazione, era più saggio rinunciare al trono fino alle decisioni dell’Assemblea costituente. Cosi la Russia continua a essere — per il momento — una repubblica. Il governo aveva lasciato l’ex zar in libertà. Gli operai ne hanno ottenuto l’arresto. Il governo voleva conferire il comando supremo deU’esercito a Nikolai Nikolaievic Romanov. Gli operai ne hanno otte- nuto la destituzione. È chiaro che, se non ci fosse il soviet dei deputati degli operai e dei soldati, i grandi proprietari fondiari Lvov e Guckov se l’intenderebbero subito con i Romanov o con un altro grande proprie- tario fondiario. Il governo ha dichiarato, nel suo manifesto al popolo e nel tele- gramma di Miliukov a tutti i rappresentanti della Russia all'estero, che resterà fedele a tutti i trattati internazionali stipulati dalla Russia. Questi trattati sono stati conclusi dallo zar deposto. Il governo non osa renderli pubblici, da un lato, perché è legato mani e piedi al capi- tale russo, inglese e francese, e, dall’altro, perché ha paura del popolo, che farebbe scempio dei Guckov e dei Miliukov, se sapesse che i capi- talisti vogliono lasciar massacrare in guerra altri cinque o dieci milioni di operai e contadini russi per conquistare Costantinopoli, strangolare la Galizia, ecc. Che cosa valgono, dunque, le promesse di libertà, se il popolo non può conoscere la verità sui trattati conclusi dallo zar, grande proprie- tario fondiario, e in base ai quali i capitalisti vogliono far spargere nuovo sangue ai soldati? Che cosa vale la promessa di concedere tutte le libertà e persino la repubblica democratica, se il popolo è minacciato dalla fame e se si tenta di condurlo al macello, a occhi bendati, perché i capitalisti russi, inglesi e francesi possano rapinare i capitalisti tedeschi? Al tempo stesso, il governo dei Guckov e dei Miliukov reprime con la forza ogni tentativo degli operai russi di accordarsi con i loro fratelli, con gli operai degli altri paesi: il 'governo non fa uscire dalla Russia né la Pravda , che è riapparsa a Pietroburgo dopo la rivoluzione, né il manifesto che il Comitato centrale del Partito operaio socialde- mocratico di Russia ha pubblicato a Pietroburgo, né gli appelli del deputato Ckheidze e del suo gruppo!! Operai e contadini, potete star tranquilli: vi hanno promesso la LA RIVOLUZIONE IN RUSSIA 351 libertà, la libertà per i morti, per chi è stato falciato dalla fame e dalla guerra!! Nei suoi programmi, il nuovo governo non ha fatto parola né della terra per i contadini né di un aumento dei salari operai. Nessun termine è stato fissato per la convocazione delFAssemblea costituente. Non si prevedono elezioni per la Duma municipale di Pietroburgo. La milizia popolare viene posta alle dipendenze degli zemstvo e delle am- ministrazioni municipali, gli uni e le altre eletti, in base alla legge Stolypin, soltanto dai capitalisti e dai proprietari fondiari piu ricchi. I governatori vengono designati fra i grandi proprietari fondiari: ecco la « libertà »! 2. Che cosa fa e che cosa deve fare il governo degli operai e dei contadini? 138 Scritto il 12 (25) marzo 1915. Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin , II. 1924. SUI COMPITI DEL POSDR NELLA RIVOLUZIONE RUSSA 139 Resoconto dell'autore La relazione di Lenin, che è durata due ore e mezza, si è articolata in due parti. Nella prima Lenin ha dato un abbozzo delle- condizioni storiche che potevano e dovevano suscitare un « miracolo » come quello della caduta della monarchia zarista in otto giorni. La principale di queste condizioni è stata la «grande ribellione» del 1905-1907., cosi calunniata oggi dai padroni della situazione, dai Guckov e Miliukov, i quali vanno in visibilio per la « gloriosa rivoluzione » del 1917. Ep- pure, se la rivoluzione realmente profonda del 1905 non « avesse dissodato il terreno », rivelando gli uni agli altri, nel fuoco dell'azione, le classi e i partiti, mettendo a nudo la cricca zarista in tutta la sua ferocia e barbarie, la rapida vittoria del 1917 non sarebbe stata possibile. Un concorso assolutamente eccezionale di circostanze ha permesso, nel 1917, di far convergere nello stesso punto i colpi sferrati contro lo zarismo dalle forze sociali piu diverse. In primo luogo, nel 1905, il capitale finanziario anglo-francese, che piu di ogni altro domina il mondo e lo saccheggia, era contrario alla rivoluzione e aiutò lo zarismo (prestito del 1906) a soffocarla. Oggi invece ha partecipato diretta- mente alla rivoluzione e in modo molto attivo, organizzando il com- plotto dei vari signori Guckov e Miliukov e di una parte dei quadri superiori dell’esercito per destituire Nicola II o costringerlo a qualche concessione. Sotto il profilo della politica mondiale e del capitale finan- ziario internazionale, il governo Guckov-Miliukov è un semplice com- messo della banca « Inghilterra e Francia », uno strumento per conti- nuare il massacro imperialistico dei popoli. In secondo luogo, i rovesci della monarchia zarista hanno spazzato via i vecchi quadri dell'esercito SUI COMPITI DEL POSDR 353 e li hanno sostituiti con quadri nuovi, giovani e di provenienza bor- ghese. In terzo luogo, tutta la borghesia russa, che si è organizzata attivamente dal 1905 al 1914 e ancor più in fretta dal 1914 al 1917, si è associata ai grandi proprietari fondiari nella lotta contro la putrida monarchia zarista, al fine di arricchirsi con il saccheggio deir Armenia, di Costantinopoli, della Galizia, ecc. In quarto luogo, a queste forze di carattere imperialistico si è sommato un poderoso e profondo movi- mento proletario. Senza aver niente da spartire con la borghesia impe- rialistica, il proletariato ha fatto la rivoluzione rivendicando la pace , il pane , la libertà e ha trascinato con sé la maggioranza dell’esercito, composto di operai e contadini. La trasformazione della guerra impe- rialistica in guerra civile è cominciata . Di qui la contraddizione fondamentale di questa rivoluzione, che fa di essa solo la prima fase della prima rivoluzione nata dalla guerra. Il governo Guckov-Miliukov, governo di grandi proprietari fondiari e di capitalisti, non’ può dare al popolo né il pane né la pace né la libertà. È il governo della continuazione della guerra di rapina, che si è dichiarato apertamente fedele ai trattati internazionali conclusi dallo zarismo, cioè a trattati puramente briganteschi. Nel migliore dei casi, questo governo potrà differire la crisi, ma non potrà salvare il paese dalla fame. Nonostante le sue « promesse » (le promesse costano poco), non potrà dare nemmeno la libertà, poiché è legato agli interessi della grande proprietà fondiaria e del capitale e ha già cercato il cow- promesso con la dinastia per restaurare il potere monarchico. La più stolta delle tattiche è quindi quella di « appoggiare » il nuovo governo per condurre una presunta « lotta contro la reazione ». Per questa lotta bisogna armare il proletariato : è questa Tunica garanzia seria e reale sia contro lo zarismo che contro la volontà dei Guckov e dei Miliukov di restaurare la monarchia. Ha quindi ragione il deputato Skobelev, quando dice che la Russia « è alla vigilia di una seconda, autentica (wirklich) rivoluzione ». E Torganizzazione popolare per questa rivoluzione esiste e si svi- luppa. È il soviet dei deputati degli operai e dei soldati, che gli agenti del capitale anglo-francese, i corrispondenti del Times e del Temps, hanno tutti i motivi di diffamare. Analizzando le notizie fornite dalla stampa sul soviet dei deputati operai, Lenin può concludere che in esso esistono tre correnti. La 12 — 2617 354 LENIN prima è molto vicina ai socialpatrioti. E ha fiducia in Kerenski, che è l’eroe della frase vuota, una marionetta nelle mani di Guckov e Miliukovj il peggiore esponente dello spirito di Louis Blanc, che nutre gli operai di vuote promesse, pronuncia frasi altisonanti nello stile dei socialpatrioti e dei socialpacifisti europei à la Kautsky e soci, ma che in concreto « fa accettare » agli operai la continuazione di questa guerra di rapina. Per tocca di Kerenski la borghesia imperialistica russa dice alPoperaio: noi ti daremo la repubblica e la giornata lavo- rativa di otto ore (che è stata già introdotta a Pietroburgo) e ti pro- mettiamo tutte le libertà: tutto questo, però, a condizione che tu ci aiuti a saccheggiare la Turchia e l’Austria, a riprendere alPimperialismo tedesco il suo bottino e a far conservare il suo alPimperialismo anglo- francese. s La seconda corrente è quella del OC del nostro Partito operaio socialdemocratico di Russia. I giornali hanno riportato un estratto {Auszug) del « manifesto » del nostro Comitato centrale, pubblicato a Pietroburgo il 18 marzo e in cui sono formulate le seguenti rivendi- cazioni: repubblica democratica, giornata lavorativa di otto ore, confisca delle grandi proprietà fondiarie a vantaggio dei contadini, confisca delle scorte di grano, apertura immediata di trattative di pace non da parte del governo Guckov-Miliukov, ma da parte del soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Questo soviet, proclama il manifesto, è il vero go- verno rivoluzionario. (Lenin ha aggiunto che anche il corrispondente del Times parla dell’esistenza di due governi in Russia.) Le trattative per la pace immediata devono essere condotte non coi governi borghesi, ma con i proletari di tutti i paesi belligeranti. 11 manifesto invita tutti gli operai, i contadini e i soldati a eleggere propri delegati al soviet dei deputati operai. È questa l’unica tattica realmente rivoluzionaria e socialista. La terza corrente è quella di Ckheidze e dei suoi amici. Costoro esitano , cpme risulta chiaramente dai giudizi del Times e del Temps , che a volte elogiano Ckheidze e a volte lo insultano. Rifiutandosi di entrare nel secondo governo provvisorio e dichiarando che la guerra è imperialistica in entrambi i campi, ecc. Ckheidze conduce una politica proletaria. Ma, quando entra nel primo governo provvisorio « comitato della Duma »), quando chiede, nel § 3 del suo appello, una « ausrei- chende Teilnahme der Vertreter der russischen Arbeiterschaft an der SUI COMPITI DEL POSDR 355 Regierung » uo (la partecipazione degli internazionalisti al governo della guerra imperialistica!!), quando (insieme con Skobelev) invita questo governo imperialistico ad avviare trattative di pace (invece di spiegare agli operai la verità, e cioè che la borghesia è legata mani e piedi agli interessi del capitale finanziario, che non può sfuggire alPimperialismo), quando i suoi amici, Tuliakov e Skobelev, per incarico del governo van- no a « placare » i soldati insorti contro i generali liberali (uccisione di Nepenin [Admiral Nepenin], rimpianto persino dagli imperialisti tede- schi!!), allora Ckheidze e i suoi amici si comportano come il Louis Blanc della peggiore specie, fanno la politica della borghesia , recano danno alla causa della rivoluzione. Lenin ha attaccato inoltre l’appello socialpacifistico di Gorki, rammaricandosi che un grande artista si dia alla politica ripetendo i pregiudizi della piccola borghesia. Nella seconda parte Lenin si è proposto di precisare quale debba essere la tattica del proletariato. Egli ha delineato l’originale situazione storica del periodo attuale come periodo di transizione dalla prima alla seconda fase della rivoluzione, dall’insurrezione contro lo zarismo alla insurrezione contro la borghesia, contro la guerra imperialistica, o alla Convenzione, quale può diventare l’Assemblea costituente, se il governo manterrà la « promessa » di convocarla. Il compito specifico del momento, in rapporto a questa situazione transitoria , è P organizzazione del proletariato . Non la vecchia organiz- zazione di cui si contentano i traditori del socialismo, i socialpatrioti'e gli opportunisti di tutti i paesi, nonché i kautskiani, ma un'organizza- zione rivoluzionaria , che deve, da un lato, riunire tutto il popolo e as- sociare, dall’altro, le funzioni militari e politiche . Gli opportunisti, che dettavano legge nella II Internazionale, han- no travisato la dottrina di Marx e di Engels sullo Stato del periodo rivoluzionario. Anche Kautsky, nella sua polemica con Pannekoek (1912), ha abbandonato la posizione di Marx. Facendo un bilancio dell’esperienza della Comune del 1871, Marx ci insegna che «die Ar- beiterklasse nicht die fertige Staatsmaschine einfach in Besitz nehmen und sie fiir ihre eigenen Zwecke in Bewegung setzen kann ». Das Pro- letariat soli (muss?) diese Maschine (Armee, Polizei, Bureaukratie) zerbrechen . Das ist es, was die Opportunisten ( Sozialpatrioten ) und Kautskyaner (Sozialpazifisten) entweder bestreiten oder vertuschen. 12 * 356 LENIN Das ist die wichtigste praktische Lehre der Pariser Kommune und der russischen Revolution von 1905. Wir unterscheiden uns von den Anarchisten dadurch, dass wir die Notwendigkeit des Staates fur die revolutionàre Umwàlzung anerken- nen. Wir unterscheiden uns aber von den Opportunisten und Kaut- skyanern dadurch, dass wir sagen: wir brauchen nicht die « fertige » Staatsmaschinerie, wie sie in den demokratischen burgerlichen Repu- bliken existiert, sondern unmittelbare Macht bewajfneter und organi - sìerter Arbeiter. Das ist der Staat, den wir brauchen. Das sind, ihrém Wesen nach, die Kommune von 1871, und die Arbeiterdelegier- tenr'àte von 1905 und 1917. Auf diesem Fundament mùssen wir weiter- bauen 14 \ Non permettere che la polizia si riorganizzi! Fare della mi- lizia popolare una vera milizia di tutto il popolo, diretta dal proleta- riato, cioè il « nostro Stato », si che i capitalisti siano tenuti a pagare agli operai i giorni dedicati al servizio nella milizia. Integrare i « miracoli di eroismo proletario », che il proletariato ha compiuto ieri nella lotta contro lo zarismo e che compirà domani nella lotta contro i Guckov e i Miliukov, con « miracoli di organizzazione proletaria ». Ecco la parola d'ordine del momento! Ecco la garanzia del successo! Sono le condizioni oggettive a spingere gli operai su questa via: la fame, la necessità di distribuire il pane, Tinevitabilità della « Zivil - dienstpflicht », la necessità ‘di ottenere la pace. Le nostre condizioni di pace, ha detto Lenin, sono: 1) il soviet dei deputati operai, in quanto governo rivoluzionario, dichiarerebbe subito di non ritenersi vinco- lato da nessun trattato dello zarismo o della borghesia; 2) pubblichereb- be subito questi trattati infami e briganteschi; 3) proporrebbe aper- tamente a tutti i belligeranti un armistizio immediato; 4) proporrebbe la pace a condizione che siano emancipati tutte le colonie e tutti i popoli lesi nei loro diritti; 5) dichiarerebbe di non aver fiducia nei governi borghesi e chiamerebbe gli operai di tutti i paesi a rovesciarli; 6) affermerebbe che i debiti di guerra sono stati contratti dalla bor- ghesia: siano dunque i capitalisti a pagarli! Ecco la politica che conquisterebbe al soviet dei deputati operai la maggioranza degli operai e dei contadini piu poveri. La confisca delle grandi proprietà fondiarie sarebbe garantita. Ma questo non sarebbe ancora il socialismo . Sarebbe una vittoria degli operai e dei contadini più poveri che garantirebbe la pace, la libertà e il pane. Per queste con- SUI COMPITI DEL POSDR 35 7 dizioni di pace siamo pronti, anche noi , a combattere un guerra rivo - luzionarìal Lenin ha ricordato di aver sostenuto, nel n. 47 del So- tsialdemokrat (13 ottobre 1915), che la socialdemocrazia non rinuncia affatto ad una guerra rivoluzionaria di questo genere U2 . L'aiuto del pro- letariato socialista di tutti i paesi sarebbe garantito. I pusillanimi ap- pelli dei socialpatrioti (come la vergognosa lettera di Guesde: « Prima la vittoria, poi la repubblica ») svanirebbero come fumo. Viva la rivoluzione russa! — ha concluso il relatore. — Viva la rivoluzione operaia mondiale, che è già cominciatal Scritto il 15-16 (28-29) marzo 1917. Pubblicato nel Volksrecht , 1917, nn. 77 e 78 (31 marzo e 2 aprile). Pubblicato per la prima volta in russo in Proletarskaia revoliutsia . 1929, 10. LE PICCOLE ASTUZIE DEGLI SCIOVINISTI REPUBBLICANI 143 30 marzo 1917. Ho appena letto sulla Nette Zurcher Zeitung di oggi» n. 557, prima edizione del mattino, quanto segale: « Milano , 29 marzo. Il nostro corrispondente da San Pietroburgo c’informa dell’arresto di un certo Cernomazov, direttore del giornale socialista Pravda, che ha iniziato le sue pubblicazioni nel corso della rivoluzione. Sotto il vecchio regime Cernomazov era un agente della polizia segreta e riceveva un mensile di 200 rubli. Il giornale da lui diretto esigeva la repubblica socialista e attaccava violentemente il go- verno provvisorio con il palese scopo di fare il giuoco della reazione. In linea di massima, l’agitazione dei circoli irresponsabili contro il go- verno fa nascere il sospetto d’una collusione con il vecchio regime e con il nemico. Persino il soviet dei deputati degli operai e dei soldati, le cui posizioni, rispetto a quelle del governo provvisorio, sono decisamente radicali, ha voltato le spalle a questi circoli ». Questo dispaccio è la parafrasi di un telegramma riportato nel Corriere delta sera , giornale sciovinistico italiano, in data 29 marzo e spedito a Milano da Pietroburgo il 26 marzo alle 22,30. Per chiarire ai lettori in che cosa consista, questa volta, la « falsificazione », del resto abituale fra gli sciovinisti, devo rifarmi un po’ indietro nel tempo. La Pravda , quotidiano socialdemocratico, usci a Pietroburgo « sot- to il vecchio regime », e precisamente dall’aprile del 1912 al luglio del 1914. Di fatto, questo giornale era l’organo di stampa del Comi- tato centrale del nostro Partito operaio socialdemocratico di Russia. LE PICCOLE ASTUZIE 359 Da Cracovia, dove vivevo a quel tempo come emigrato politico, scrivevo quasi ogni giorno per il nostro quotidiano. I deputati socialdemocra- tici alla Duma, che aderivano al nostro partito e che lo zar ha fatto de- portare in Siberia per la loro agitazione contro la guerra imperialistica, Badaiev, Muranov, Petrovski, Sciagov, Samoilov (fino all'estate del 1914 anche Malinovski faceva parte del gruppo), venivano spesso a Cracovia, dove ci consultavamo sull'orientamento del giornale. Naturalmente, il governo zarista non solo faceva di tutto per cir- condare di spie la Pravda , che aveva allora una tiratura di 60.000 copie, ma cercava anche di immettere qualche provocatore nella sua redazione. Tra di essi vi era Cernomazov, che nei circoli di partito si faceva chia- mare « Miron ». Costui riuscì a carpire la nostra buona fede e, nel 1913, diventò segretario della Pravda. Un esame dell’attività di Cemomazov, svolto insieme con il grup- po dei deputati, ci indusse a concludere che egli, da un lato, compro- metteva nei suoi articoli la nostra tendenza ed era, dall’altro, di dubbia onestà politica. Ma non era facile trovargli un sostituto, tanto piu che il collega- mento tra il gruppo dei deputati e Cracovia era tenuto clandestina- mente o per mezzo di viaggi degli stessi deputati, e tali viaggi non po- tevano essere molto frequenti. Infine, nella primavera del 1914, riu- scimmo a trasferire a Pietroburgo Rosenfeld (Kamenev), che poco dopo, alla fine del 1914, fu fatto deportare in Siberia dallo zar, insieme con i nostri deputati. Rosenfeld (Kamenev) aveva l’incarico di escludere Cernomazov da qualsiasi, attività e, infatti, Io escluse . Cernomazov fu richiamato, e il nostro CC apri un inchiesta circa i sospetti che gravavano su di lui; ma non si riuscì a raccogliere dati precisi, tanto che i compagni di Pie- troburgo non osarono dichiararlo un provocatore. Ci si dovette conten- tare di allontanarlo dalla Pravda. È fuori di dubbio che Cernomazov e, naturalmente, altri provoca- tori aiutarono Io zar a far deportare in Siberia i nostri deputati. Il 13 novembre del 1916 U« Ufficio del Comitato centrale» del nostro partito ci segnalò da Pietroburgo che Cernomazov tentava d'in- 360 LENIN trufolarsi nuovamente nell’organizzazione clandestina, che PUfficio ave- va espulso « Miron » e un altro individuo a lui legato e che « avrebbe agito nello stesso modo con chiunque continuasse ad avere rapporti con lui ». Naturalmente, rispondemmo che la presenza di Cernomazov nel partito era inammissibile, poiché ne era stato allontanato in base a una decisione presa dal Comitato centrale insieme con il gruppo dei depu- tati ricordati sopra. Ecco la storia della vecchia Pravda , che usciva sotto il vecchio regime zarista e che fu soppressa dallo zar alla vigilia della guerra, nel luglio 1914. Ci si può domandare se Cernomazov abbia cominciato a collaborare, in forma diretta o indiretta, alla nuova Pravda , riapparsa a Pietroburgo dopo la rivoluzione. Non ho notizie in proposito, perché il governo Guckov-Miliukov, da quando è scoppiata la rivoluzione, non fa passare i miei telegrammi alla Pravda o i telegrammi che il giornale mi spedisce. Ignoro, d’altra parte, se TUfficio del CC sia sopravvissuto, se abbiano fatto ritorno a Pietroburgo Kamenev e i deputati che conoscono bene Miton e l’allontanerebbero subito, se si fosse di nuovo intrufolato nel- l’organizzazione, approfittando del cambiamento dei funzionari 144 . Un giornale socialsciovinistico francese, l 'Humanité, riporta in data 28 marzo un telegramma che il Petit parisien avrebbe ricevuto da Pie- troburgo e in cui Cernomazov viene definito « ex redattore del gior- nale socialdemocratico estremista, la Pravda ». Il lettore si renderà conto adesso, voglio sperarlo, della perfidia e della bassezza dei metodi di lotta del governo Guckov-Miliukov e dei suoi amici, che vogliono gettare un’ombra sul nostro partito, accusan- dolo di collusione con il vecchio regime e con il nemico. Questo go- verno e i suoi amici detestano il nostro partito e lo calunniano perché fin dal 13 ottobre 1915, nel n. 47 del nostro giornale, il Sotsìaldemo - krat (di Ginevra), ci eravamo proclamati avversari irriducibili della guer- ra imperialistica, persino nel caso in cui questa guerra fosse stata con- dotta non dal governo zarista, ma da un governo russo sciovinistico * rivoluzionario , scìovinistico-repubblicano 145 . LE PICCOLE ASTUZIE 361 E il governo Guckov-Miliukov è proprio un governo di questo genere , perché ha convalidato i trattati briganteschi stipulati dallo zari- smo con Pimperialismo anglo-francese e perché nella guerra in corso persegue fini briganteschi (conquista dell’Armenia, della Galizia, di Costantinopoli, ecc.). (Invierò domani questa nota al Volksrecht e all 'Avanti!) Pubblicato il 5 aprile 1917 nel Volksrecht , n. 81. Firmato: N. Lenin. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , II, 1924. DELIBERAZIONE DELLA SEZIONE ESTERA DEL CC DEL POSDR 146 La Sezione estera del Comitato centrale del POSDR delibera di ac* cogliere la proposta del compagno Robert Grimm circa il rientro in Russia, attraverso la Germania, degli emigrati che desiderano ritornare in patria U7 . La Sezione estera del CC constata: 1) che il compagno R. Grimm ha condotto trattative con un componente del governo di un paese neutrale, ministro Hoffmann, il quale non ha ritenuto possibile un passo ufficiale della Svizzera per la sola ragione che il governo inglese lo avrebbe indubbiamente interpre- tato come una violazione della neutralità, dato che ITnghilterra non vuole far transitare gli internazionalisti; 2) che la proposta di R. Grimm è pienamente accettabile, per- ché la libertà di transito viene garantita indipendentemente dalle posi- zioni politiche e dall’atteggiamento assunto verso la « difesa della pa- tria », la continuazione della guerra o la conclusione della pace da parte della Russia, ecc.; 3) che questa proposta si basa su un piano per lo scambio degli emigrati russi con i tedeschi internati in Russia e che, pertanto, gli emi- grati non hanno alcun motivo per rifiutarsi di sostenere in Russia uno scambio di tal genere; 4) che il compagno R. Grimm ha trasmesso questa proposta ai rappresentanti di tutte le tendenze dell’emigrazione politica, dichiaran- do per suo conto che, nella situazione presente, questa soluzione non è solo l’unica possibile ma è anche pienamente accettabile; 5 ) che, da parte nostra, abbiamo fatto di tutto per convincere i DELIBERAZIONE DEL CC DEL POSDR 363 rappresentanti delle diverse tendenze che è necessario accogliere la proposta ed è assolutamente inammissibile qualsiasi dilazione; 6) che i rappresentanti di alcune tendenze sono, purtroppo, fa- vorevoli a ulteriori rinvìi e che noi non possiamo non ritenere profon- damente sbagliata e gravemente nociva per il movimento rivoluziona- rio in Russia una simile decisione. Sulla base di queste considerazioni, la Sezione estera del CC decide di informare tutti gli iscritti al partito delPaccettazione della proposta e della nostra partenza immediata, invitandoli a prender nota di tutti coloro che desiderano partire e ad inviare una copia della presente deli- berazione ai rappresentanti delle altre tendenze. Zurigo, 31 marzo 1917. Pubblicata nel 1917 nel volantino: Verbale dell'assemblea dei membri del POSDR, diretto dal Comitato ventrale, dell’S aprile 1 917, LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI 148 Compagni operai svizzeri, nel partire dalla Svizzera per la Russia, allo scopo di continuare nel nostro paese il lavoro rivoluzionario internazionalistico, noi, iscritti al Partito operaio socialdemocratico di Russia, diretto dal Comitato centrale (a differenza dell 'altro partito, che porta lo stesso nome, ma è diretto dal Comitato d’organizzazione), vi inviamo un fraterno saluto e l’espressione della nostra profonda e fraterna riconoscenza per il vostro comportamento fraterno verso gli emigrati. Se i sodalpatrioti e gli opportunisti dichiarati , i grutliani svizzeri, sono passati, come i sodalpatrioti di tutti i paesi, dal campo del prole- tariato a quello della borghesia, se costoro vi hanno apertamente invi- tati a combattere la nociva influenza degli stranieri sul movimento ope- raio svizzero, se i sodalpatrioti e gli opportunisti mascherati , che sono la maggioranza fra i capi del partito sodalista svizzero, hanno condotto in forma mascherata la stessa politica, noi dobbiamo dichiarare che fra gli operai rivoluzionari socialisti svizzeri, i quali sono su posizioni inter- nazionalistiche abbiamo trovato una viva simpatia e che il fraterno con- tatto con loro ci è stato di grande utilità. Noi siamo sempre stati particolarmente cauti nel prendere posi- zione su quelle questioni del movimento svizzero la cui conoscenza esi- ge un lungo lavoro nel movimento locale. Ma quelli di noi — forse non più di dieci o quindici — che sono stati membri del partito socialista svizzero hanno considerato come loro dovere di sostenere risoluta- mente il nostro punto di vista, e cioè quello della « sinistra di Zimmer- wald », sulle questioni generali e fondamentali del movimento socialista internazionale e di combattere con decisione non soltanto il socialpa- LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI 365 triottismo, ma anche la tendenza cosiddetta del centro, cui appartengono R. Grimm, F. Schneider, Jacques Schmid e altri in Svizzera, Kautsky, Haase, T« Arbeitsgemeinschaft » in Germania, Longuet, Pressemane e altri in Francia, Snowden, Ramsay MacDonald e altri in Inghilterra, Turati, Treves e i loro amici in Italia, e il partito, sopra menzionato, del « Comitato d’organizzazione » ( Axelrod, Martov, Ckheidze, Skobelev e altri) in Russia. Noi abbiamo lavorato in pieno accordo con i socialdemocratici ri- voluzionari della Svizzera, che in parte sono raggruppati intorno alla rivista Freie Jugend , che hanno redatto e divulgato (in tedesco e in francese) i punti del referendum per la convocazione d’un congresso del partito nelFaprile 1917 al fine di decidere la questione dell’atteg- giamento di fronte alla guerra, che hanno proposto al congresso del cantone di Zurigo a Tòss la risoluzione dei giovani e della « sinistra » sulla questione della guerra Me , che, nel marzo 1917, hanno stampato e diffuso in qualche località della Svizzera francese un manifestino in te- desco e in francese intitolato Le nostre condizioni di pace , ecc. Inviamo un saluto fraterno a questi compagni, con i quali abbiamo concordemente lavorato fianco a fianco. Per noi non era e non è affatto dubbio che il governo imperiali- stico inglese non permetterà a nessun costo il ritorno degli internazio- nalisti russi, avversari irriducibili del governo imperialistico di Guckov- Miliukov e soci, avversari irriducibili della continuazione della guerra imperialistica da parte della Russia. A questo proposito, dobbiamo brevemente soffermarci sulla nostra concezione dei compiti della rivoluzione russa. Stimiamo tanto più ne- cessario far questo, in quanto, per tramite degli operai svizzeri, pos- siamo e dobbiamo rivolgerci agli operai tedeschi, francesi, italiani che parlano la stessa lingua della popolazione svizzera, la quale, finora, ha approfittato' dei benefici della pace e di una libertà politica relativa- mente maggiore. Noi restiamo incondizionatamente fedeli alla dichiarazione 350 che abbiamo pubblicato il 13 ottobre 1915, nel n. 47 dellorgano centrale del nostro partito, il Solsialdemokrat , che si pubblicava a Ginevra. Di- cevamo allora che, se la rivoluzione avesse dovuto trionfare in Russia e se al potere fosse giunto un governo repubblicano , desideroso di con- tinuare la guerra imperialistica , la guerra insieme con la borghesia impe- 366 LENIN rialistica inglese e francese, la guerra per la conquista di Costantinopoli, dell'Armenia, della Galizia, ecc., ecc., Aoi saremmo stati avversari riso- luti di un tale governo, noi saremmo stati contro la « difesa della pa- tria » in una simile guerra. È ora avvenuto qualcosa del genere. 11 nuovo governo della Rus- sia, che ha condotto trattative col fratello di Nicola II per la restaura- zione della monarchia in Russia e in cui i posti principali, decisivi sono occupati dai monarchici Lvov e Guckov, tenta di ingannare gli operai russi con la parola d’ordine: « I tedeschi devono rovesciare Gugliel- mo » (giusto! ma perché non aggiungere che anche gli inglesi, gli ita- liani, ecc. devono rovesciare i loro re, e i russi i loro monarchici Lvov e Guckov??). Per mezzo di questa parola d’ordine e non pubblicando i trattati imperialistici, briganteschi, conclusi dallo zarismo con la Fran- cia, l’Inghilterra, ecc. e confermati dal go v er n o Guckov - M il i u k o v-K e r e n s k i t il governo tenta di gabellare la guerra imperialistica contro la Germania per una « guerra difensiva » ( e cioè giusta e legittima anche dal punto di vista del proletariato), di gabel- lare per « difesa » della repubblica russa (che non esiste ancora in Rus- sia e che i Lvov e i Guckov non hanno ancora neppur promesso di instaurare! ) la difesa delle mire piratesche, imperialistiche, brigantesche del* capitale russo, inglese, ecc. . Se è vero, come dicono le ultime informazioni telegrafiche, che, sulla base della parola d’ordine: « Fino a quando i tedeschi non avran- no rovesciato Guglielmo, la nostra sarà una guerra di difesa », si è giunti a una specie di avvicinamento fra i socialpatrioti russi dichiarati (come Plekhanov, Zasulic, Potresov, ecc.) e il partito del « centro », il partito del « Comitato d’organizzazione », il partito di Ckheidze, Sko- belev, ecc.; se questo è ver il combattente d’avanguardia del proletariato rivoluzionario di tutto il mondo. La Russia è un paese contadino, uno dei paesi piu arretrati dell’Eu- ropa. Il socialismo non vi può vincere direttamente e immediatamente . Ma il carattere contadino del paese, data l’immensa estensione delle terre appartenenti alla nobiltà fondiaria, stando alla esperienza del 1905, può dare alla rivoluzione democratica borghese in Russia un’ampiezza formidabile e far si che la nostra rivoluzione sia il prologo della rivolu- zione socialista mondiale, sia un passo verso di essa. Il nostro partito s’è formato lottando per queste idee, pienamente confermate dall’esperienza del 1905 e della primavera 1917, combatten- do accanitamente tutti gli altri partiti, e per queste idee noi continue- remo a batterci anche nel futuro. Il socialismo non può vincere direttamente e immediatamente in Russia. Ma la massa contadina può condurre la rivoluzione agraria, ine- vitabile e matura, fino alla confisca di tutto l’incommensurabile posses- so dei grandi proprietari fondiari. Noi abbiamo sempre sostenuto que- sta paròla d’ordine, e la sostengono oggi a Pietroburgo il Comitato cen- trale e il giornale del nostro partito, la Pravda. Per questa parola d’or- dine il proletariato combatterà senza nascondersi affatto la inevitabilità di accaniti conflitti di classe fra gli operai salariati agricoli e i contadini poveri a essi vicini, da una parte, e i contadini agiati , rafforzati dalla «riforma» agraria di Stolypin (1907-1914), dall’altra parte. Non si deve dimenticare che 104 deputati contadini hanno presentato alla pri- ma (1906) e alla seconda (1907) Duma un progetto agrario rivoluzio- nario in cui si chiedeva la nazionalizzazione di tutte le terre, che dove- vano essere messe a disposizione dei contadini attraverso i comitati locali eletti su una base del tutto democratica. Un simile rivolgimento, di per sé, non sarebbe ancora affatto so- cialista. Ma esso darebbe un impulso prodigioso al movimento operaio mondiale. Esso consoliderebbe straordinariamente le posizioni del prò- LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI 369 Ietariato socialista in Russia e la sua influenza sugli operai agricoli e sui contadini più poveri. Esso darebbe al proletariato urbano la possibi- lità di sviluppare, poggiando su questa influenza, organizzazioni rivolu- zionarie come quella dei « soviet dei deputati operai », di sostituire cor esse i vecchi strumenti d’oppressione degli Stati borghesi (esercito, po- lizia, burocrazia), d’applicare — sotto la pressione della durissima guer- ra imperialistica e delle sue conseguenze — una serie di misure rivolu- zionarie per il controllo sulla produzione e sulla distribuzione dei prodotti. Con le sue sole forze, il proletariato russo non può condurre vitto- riosamente a termine la rivoluzione socialista, ma può dare alla rivolu- zione russa un’ampiezza che crei per essa le migliori condizioni, e, in una certa misura, la inizi. Può rendere piu facili le condizioni per Pin- tervento del suo principale , più fedele e sicuro collaboratore, il proletariato socialista , europeo e americano, nelle battaglie decisive. Le persone di poca fede possono anche disperare a causa della temporanea vittoria, in seno al socialismo europeo, di quei ripugnanti servitori della borghesia imperialistica che sono Scheidemann, Legien, David e soci in Germania, Sembat, Guesde, Renaudel e soci in Francia, i fabiani e i laburisti in Inghilterra. Noi siamo fermamente convinti che le onde della rivoluzione spazzeranno via rapidamente questa su- dicia schiuma del movimento operaio mondiale. In Germania le masse proletarie, che tanto hanno già dato all’uma- nità e al socialismo con un lavoro organizzativo tenace, costante e osti- nato nel corso dei lunghi decenni di « tregua » europea, dal 1871 al 1914, sono già in ebollizione . L’avvenire del socialismo tedesco non è rappresentato dai traditori Scheidemann, Legien, David e soci, né dai politicanti ondeggianti, senza carattere, come Haase, Kautsky e i loro simili, aggrappati alla routine del periodo « pacifico ». Quest’avvenire appartiene alla corrente che ha dato Karl Lieb- knecht, che ha creato il « gruppo Spartaco » e svolge la sua propaganda nélYArbeiterpolitik di Brema. Le condizioni obiettive della guerra imperialistica ci danno la garanzia che la rivoluzione non si limiterà alla prima fase della rivolu- zione russa, che la rivoluzione non si limiterà alla Russia. Il proletariato tedesco e l'alleato più si- 370 LENIN curo , piu fedele della rivoluzione proletaria russa e internazionale . Quando, nel novembre 1914, il nostro partito lanciò la parola d’ordine della « trasformazione della guerra imperialistica in guerra ci- vile » degli oppressi contro gli oppressori, per il socialismo, essa fu ac- colta con sarcasmo ostile e maligno dai socialpatrioti e con silenzio in- credulo e scettico, diffidente e abulico dai socialdemocratici del « cen- tro ». Il socialsciovinista, il socialimperialista tedesco David la chiamò « insensata »; il portavoce del socialsciovinismo russo (e anglo-francese), che è socialismo a parole e imperialismo nei fatti, il signor Plekhanov, la chiamò « una cosa tra il sogno e la commedia » (Mittelding zwischen Traum und Komòdie). E i rappresentanti del « centro » tacquero o si abbandonarono a piacevolezze sulla « linea retta tracciata nello spazio etereo ». Oggi, dopo il marzo 1917, soltanto un cieco può non vedere che questa parola d’ordine è giusta. La trasformazione della guerra imperia- listica in guerra civile sta diventando un fatto. Viva la rivoluzione proletaria che è cominciata in Europa! Per incarico dei compagni partenti, membri del Partito operaio socialdemocratico di Russia (diretto dal Comitato centrale), che hanno approvato questa lettera nella loro riunione dell’8 aprile 1917, N. Lenin Scritta il 26 marzo (8 aprile) 1917. Pubblicata il 1° maggio 1917 in Jugend-lntertiationale, n. 8. NOTE 1 L’opuscolo a cui Lenin si riferisce è una ristampa, a cura del comitato socialdemocratico di Kiev, di un articolo di A.A. Sanin, Chi realizzerà la rivoluzione politica? , contenuto nella raccolta Proletarskaia torba (n. 1), edita nel 1899 dal « Gruppo socialdemocratico degli Urali ». L’autore vi sostiene le posizioni del- l'« economismo », opponendosi alla creazione di un partito politico autonomo della classe operaia, negando la necessità della rivoluzione politica e affermando che la trasformazione socialista della Russia può compiersi subito e attraverso lo scio- pero generale. 2 Cioè F« economismo imperialistico » del gruppo Bukharin-Piatakov-Bosc, contro cui sono diretti questo e i due successivi scritti di Lenin ( Risposta a P. Kievski e Intorno a una caricatura del marxismo e all' « economismo imperia- listico »). Il gruppo si costituì nel corso della preparazione della rivista Kom- munist (di cui usci un solo numero) nella primavera del 1915. Le posizioni del gruppo furono illustrate da Radek nell’articolo Venticinque anni di sviluppo del - V imperialismo {di cui apparve la prima parte nel numero doppio di Kommunist) e nelle tesi Sulla parola d’ordine del diritto delle nazioni all' autodecisione , sotto- scritte da Bukharin, da Piatakov e da Bosc e nelle quali si criticava la teoria leniniana della rivoluzione socialista, si respingeva la necessità di lottare per la democrazia nell’epoca delTimperialismo, si esigeva il ripudio della parola d’ordine dell’autodecisione. Scrive Lenin, nel marzo 1916, ad A.G. Scliapnikov che, se il gruppo Bukharin-Piatakov-Bosc insisterà nelle sue posizioni, « di questo passo si arriverà a una polemica sulla stampa; e allora sarò costretto a chiamarli “eco- nomisti imperialistici**, a rivelare la loro completa vacuità, la loro assoluta man- canza di serietà e di riflessione » (cfr. v. 35, p. 146; ma si vedano anche le lettere successive a Zinoviev, Scliapnikov, Bukharin). L’occasione immediata del- l'articolo di Lenin Sulla tendenza nascente dell'« economismo imperialistico » (che fu pubblicato soltanto nel 1929) furono le osservazioni di Bukharin alle tesi La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni (cfr. v. 22 della presente edizione). 3 L'autore si riferisce alla conferenza delle sezioni estere del POSDR che ebbe luogo a Berna dal 27 febbraio al 4 marzo 1915 e assunse il carattere di una conferenza di tutto il partito, la cui convocazione era resa impossibile dalla guerra. Alla conferenza parteciparono i rappresentanti del CC del POSDR, del Sotsialdemokraty dell’organizzazione femminile e delle sezioni estere. TI tema principale deH’incontro fu la questione della guerra e dei compiti del partito, su cui Lenin presentò un suo rapporto, approvato da tutti i partecipanti. II solo 37 A NOTE Bukliiirin continuò a polemizzare contro il diritto di autodecisione e, in generale, contro il programma minimo, asserendo che esso era in contrasto con la rivo- luzione socialista. Per le risoluzioni della conferenza si veda il v. 21 della pre- sente edizione. 4 Come si è detto, le tesi Sulla parola d'ordine del diritto delle nazioni all'autodecisione furono redatte da Bukharin (nel novembre 1915) e sottoscritte da G L. Piatakov e da EB. Bosc. 5 Cioè il progetto di programma dei socialdemocratici di sinistra olandesi, redatto da H. Roland-Holst e pubblicato il 29 febbraio 1916 nel Bulletin (n, 3) della Commissione socialista internazionale di Berna. c Cfr. La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni, v. 22 della presente edizione. 7 La « sinistra di Zimmerwald » si costituì per iniziativa di Lenin alla conferenza socialista internazionale di Zimmerwald nel settembre 1915. Essa creò un proprio ufficio, del quale fecero parte Lenin, Zinoviev e Radek, e un proprio organo di stampa, il Vorbote . Questo gruppo lottò a fondo contro la maggioranza centrista della conferenza e si conquistò ben presto un notevole prestigio, tanto che alla conferenza di Kienthal (24-30 aprile 1916) ottenne rile- vanti successi nelle votazioni, benché non fossero cambiati nella sostanza i rap- porti di forza. Il nucleo della « sinistra di Zimmerwald » fu Tembrione della III Internazionale. Sul carattere e sulla funzione di questo gruppo si vedano gli scritti di Lenin: Il primo passo e I marxisti rivoluzionari alla conferenza socia- lista internazionale del 5-8 settembre 1915 (v. 21 della presente edizione). fl La conferenza della Commissione socialista internazionale allargata si tenne a Berna dal 5 al 9 febbraio 1916. Essa approvò, con vari emendamenti proposti dai bolscevichi, un Rundsckreiben an alle angescblossenen Parteien und Gruppen , in cui si condannavano la partecipazione dei socialisti ai governi borghesi, la- parola d’ordine della « difesa della patria » nella guerra imperialistica, la vota- zione dei crediti di guerra, e si sosteneva la necessità di appoggiare il movi- mento operaio e organizzare azioni rivoluzionarie di massa contro la guerra in corso. Tuttavia, l’appello non poneva l’esigenza di lottare contro il social- sciovinismo e l’opportunismo. 9 Sul diritto di autodecisione delle nazioni , 3. v. 20 della presente edizione. )0 Cioè i programmi del Partito operaio francese del 1880 e della social- democrazia tedesca del 1875 (Gotha) e del 1891 (Erfurt). n Cfr. Conferenza delle sezioni estere del POSDR (v. 21 della presente edizione). 12 II socialismo e la guerra nel v. 21 della presente edizione. 13 Cioè la dichiarazione della delegazione dei socialdemocratici polacchi (PSD) alla conferenza di Zimmerwald (1915), in cui si protestava contro il fatto che i governi tedesco e austriaco considerassero le regioni polacche come una colonia conquistata con le armi e privassero il popolo polacco della possibilità di decidere da sé del suo destino. 14 Lenin scrisse questa Risposta come replica a un articolo redatto da G.L. Piatakov (Iu. Piatakov, P Kievski) nell’agosto 1916*. il proletariato e il «diritto delle nazioni all’ autodea sìone » nell’epoca del capitale finanziario. I due testi sarebbero dovuti uscire nel n. 3 dello Sbornik Sotsialdemokrata, che non vide mai la luce. Scrive Lenin a Ines Armand: « Dopo che ci è stato inviato Tarticolo NOTE 375 di Iuri Piatakov e questi ha accettato (ha accettato! ha do-vu-to accettare) la mia risposta* la loro opera come “gruppo*’ è terminata » (cfr. v. 35, p. 179). 15 Lenin si riferisce all’articolo Miliz oder Abrustung? della socialdemocratica olandese di sinistra H. Roland-Holst, pubblicato in Neues Leben , 1915, nn. 10-11 e 12. Quanto ai giovani svizzeri, allude al redazionale Volksheer oder Enttvaff- nung?, pubblicato nei n. 3, 1916, di Jugend-Iniernationale, La posizione della sinistra scandinava (svedesi e norvegesi) fu illustrata negli articoli di K. Kilbom La socialdemocrazia svedese e la guerra mondiale e di A. Hansen Alcuni aspetti del movimento operaio contemporaneo in Norvegia, pubblicati nel n. 2 dello Sbornik Sotsialdemokrata. Sul « disarmo » si vedano, nel presente volume, gli articoli: Il programma militare della rivoluzione proletaria e Sulla parola d’ordine del « disarmo ». 16 Con quest’articolo, molto più ampio, Lenin pensava di sostituire la Ri- sposta a P. Kievski nel n. 3 dello Sbornik Sotsialdemokrata . Ma il fascicolo non potè uscire per mancanza di fondi. Tuttavia Intorno a una caricatura del marxismo circolò abbastanza largamente tra Ì bolscevichi che vivevano fuori della Russia e tra alcuni socialdemocratici di sinistra. 17 II 6 (19) agosto furono pubblicati il manifesto dello zar, il progetto di legge sull’istituzione della Duma di Stato e il regolamento per le elezioni (i due ultimi documenti furono elaborati da una commissione presieduta dal ministro degli interni Bulyghin). I bolscevichi incitarono gli operai e i contadini a boicot- tare attivamente la Duma di Bulyghin e lanciarono le seguenti parole d’ordine: insurrezione armata, esercito rivoluzionario, governo rivoluzionario provvisorio. Le elezioni per la Duma non si tennero, e il governo non riuscì a convocarla, perché sopraggiunse la rivoluzione. 18 Riferimento agli « otzovisti » e agli « ultimatati ». I primi furono un gruppo opportunistico costituitosi nelle file bolsceviche (ne fecero parte: A.A. Bogdanov, G.A. Alexinski, A.V. Lunaciarski, M.N. Liadov, ecc.) nel 1908. Gli « otzovisti » esigevano il « richiamo » (dal verbo « otozvat » = richiamare) dei deputati socialdemocratici dalla III Duma (1907-1912) e la rinuncia a svolgere qualsiasi azione nella Duma, nei sindacati, nelle cooperative e nelle altre orga- nizzazioni di massa legali e semilegali. Gli « ultimatisti » si distinsero dagli « otzovisti » solo per la forma: essi pretendevano che il partito ponesse ultima- tivamente al gruppo socialdemocratico della Duma la richiesta di subordinarsi incondizionatamente alle decisioni del Comitato centrale. La politica dei due gruppi recò grave danno al POSDR, perché tese a isolarlo dalle masse e a farne un’organizzazione settaria, chiusa in sé stessa, incapace di raccogliere le forze per l'azione rivoluzionaria., 19 Cfr. Conferenza delle sezioni estere del POSDR, risoluzione Sulla parola d’ordine della «difesa della patria », v. 21, della presente edizione. 30 Ibidem, Il pacifismo e la parola d’ordine della pace. 21 Cfr. Il socialismo e la guerra , c. I, Differenze tra guerra offensiva e di- fensiva (v. 21 della presente edizióne). 22 II gruppo « International » fu costituito aH’inizio della prima guerra mon- diale dai socialdemocratici tedeschi di sinistra K. Liebknecht, Rosa Luxemburg, F. Mehring, C. Zetkin e altri. Neiraprile del 1915 la Luxemburg e Mehring fondarono la rivista Die Internationale , attorno a cui si riunì il nucleo dei social- democratici tedeschi di sinistra. Come piattaforma il gruppo accettò nel 1916 le tesi redatte da R. Luxemburg con la collaborazione di K. Liebknecht, Mehring 376 NOTE e C. Zetkin. Dal 1916 il gruppo pubblicò le Lettere politiche (che uscirono re- golarmente fino all’ottobre 1918) a firma Spartaco (di qui la sua denominazione come gruppo «Spartaco»), Gli «spartachisti» svolsero propaganda rivoluzionaria contro la guerra e organizzarono azioni di massa, scioperi, manifestazioni, denun- ciando il carattere imperialistico della guerra e il tradimento dei leaders oppor- tunisti della socialdemocrazia. Come ebbe a scrivere Lenin, che polemizzò con il gruppo « International » su alcune questioni (guerre di liberazione nazionale nel- I’epoca deH'imperialismo, trasformazione della guerra imperialistica in guerra ci- vile, funzione del partito come avanguardia della classe operaia, ecc.), questo gruppo, conducendo una « propaganda rivoluzionaria sistematica nelle condizioni piu difficili, ha salvato l’onore del socialismo e del proletariato tedesco ». Nell’aprile 1917 gli spartachisti entrarono nel partito socialdemocratico indi- pendente di Germania, di tendenza centristica, ma se ne separarono nel novem- bre 1918 e il 1° gennaio 1919 fondarono il Partito comunista di Germania. 23 Nell’articolo A proposito dell'opuscolo di ]unius (cfr. v. 22 della presente edizione). 24 Cfr. La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni, 6, v. 22 della presente edizione. 25 Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato r Roma, Editori Riuniti, 1963, p, 203. 26 Cfr. Sul diritto di autodecisione delle nazioni , 6, v. 20 della presente edizione. - 27 Friedkjch Engels, Antidiihring , Roma, Edizioni Rinascita, 1930, p. 31. 28 Cfr. La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni , 2. v. 22 della presente edizione. 29 « Fraki » {«frazione rivoluzionaria»), ala destra del Partito socialista polacco, fondato nel 1892. Questo partito, capeggiato da Pilsudski, svolse una intensa propaganda separatistica tra gli operai polacchi. Durante la prima guerra mondiale e dopo di essa i « fraki », che si erano costituiti in organizzazione indi- pendente nel 1906, dopo la scissione del Partito socialista polacco, assunsero una posizione sciovinistica. 30 Cfr. La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni , 1, v. 22 della presente edizione. 31 Ibidem , 6. 32 Si tratta della lettera inviata da Engels a Kautsky il 12 settembre 1882, citata da Lenin in Bilancio di una discussione sull'autodecisione (cfr. v. 22 della presente edizione). L’articolo di Lenin apparve nel n. 1 dello Sbornik Sotsial- demokrata . 33 Cfr. Conferenza delle sezioni estere del POSDR , v. 21 della presente edizione. 34 Cfr. Alcune tesi , v. 21 della presente edizione. 35 Comitato di organizzazione, centro dirigente dei menscevichi, costituito nel 1912 alla conferenza d’agosto dei liquidatori. Durante la prima guerra mon- diale il Comitato dì organizzazione si schierò sulle posizioni del socialsciovinismo. Oltre al Comitato di organizzazione (che funzionò sino alle elezioni del Comi- tato centrale del partito menscevico nell’agosio 1917), operava fuori della Russia un segretariato estero del Comitato di organizzazione (P.B. Axelrod, I.S. Astrov- Poves. Iu O. Martov, A.S Martynov, S.Iu. Semkovski), che pubblicò dal feb- NOTB 377 braio L915 al marzo 1917 un proprio organo di stampa, assumendo posizioni affini al « centro ». ■L’articolo di Semkovski a cui fa riferimento Lenin, Lo sfacelo della Russia ?, apparve il 21 marzo 1915 nel giornale Nasce slovo (n. 45). 36 Quest’articolo fu Scritto in tedesco e doveva apparire sui giornali social- democratici svizzeri, svedesi e norvegesi, dove tuttavia non usci. Poco dopo Lenin rielaborò l'articolo in russo con il titolo Sulla parola d'ordine del « disarmo » (cfr. nel presente volume) e lo inserì nel n. 2 dello Sbornik Sotsialdemokrata. II primitivo testo tedesco fu pubblicato dalla Jugend Internationale, 1917, nn. 9 e 10, e il titolo è da attribuire alla redazione: Das -Militar program m der profeta- rischen Revolution. 37 Riferimento alle « tesi sulla questione della guerra » redatte da Robert Grimm e pubblicate nei nn. 162 e 164 del Griìtlianer (del 14 e del 17 luglio) 1916. Dinanzi all’eventualità che anche la Svizzera fosse coinvolta nel conflitto, la direzione del Partito socialdemocratico svizzero invitò alcuni Ieaders (Grimm, Miiller, Naine, Pfliiger, eoe.) a illustrare le proprie posizioni sul problema della guerra. I loro articoli (o le loro tesi) vennero pubblicati nei giornali Berner Tagwacht , Volksrecht, Griìtlianer e furono esaminati da Lenin con particolare attenzione. Si vedano questi materiali in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. 38 Cioè delle conferenze socialiste internazionali di Zimmerwatd (5*8 settem- bre 1915) e di Kienthal (24-30 aprile 1916). Alla prima conferenza, a cui pre- sero parte i rappresentanti dei socialisti di undici paesi europei, la delegazione russa fu capeggiata da Lenin, che, insieme con un gruppo di socialdemocratici di sinistra di. vari paesi (la « sinistra di Zimmerwald »), lottò a fondo contro la maggioranza centrista kautskiana. La conferenza approvò un manifesto-appello, Ai proletari d'Europa , che definiva la guerra in corso come una guerra imperia- listica, condannò i socialisti che avevano votato i crediti di guerra ed erano entrati nei governi borghesi, chiamò gli operai a lottare per la pace. Alla conferenza di Kienthal, o seconda conferenza socialista internazionale, parteciparono 43 delegati di dieci paesi. La «sinistra di Zimmenvald » vi con- solidò le proprie posizioni, ottenendo su alcuni problemi Tappoggio di una ven- tina di delegati. La conferenza approvò un manifesto-appello ai popoli europei e una risoluzione in cui si criticava il socia Ipaci fi smo e l’attività opportunistica dell’Ufficio socialista internazionale. Lenin valutò le decisioni di Kienthal come un passo in avanti verso l’unità degli internazionalisti nella lotta contro la guerra imperialistica. 30 Cioè r« Arbeitsgemeinschaft », organizzazione dei centristi tedeschi, fondata nel marzo 1916 dai deputati del Reichstag che erano usciti dal gruppo parlamen- tare socialdemocratico. L’organizzazione fu capeggiata da H. Haase e G. Lede- bour ed ebbe come proprio organo centrale i Mitteilungsbldtter. L’« Arbeitsge- meinschalt » fu il nucleo del Partito socialdemocratico indipendente di Germa nia, che si costituì nell’aprile 1917 e si batté per l’unità con i socialsciovinisti. 40 I comitati dell’industria di guerra furono creati nel maggio 1915 dal Consiglio dei congressi dei rappresentanti del commercio e dell'industria per la distribuzione delle commesse militari tra le varie imprese. La presidenza del Comitato centrale dell’industria di guerra fu data al leader ottobrista A.I Guckov. Allo scopo di far aumentare la produttività del lavoro nelle fabbriche dell’indù- stria di guerra e per mostrare che in Russia regnava ormai la pace tra le classi, la grande borghesia imperialistica decise di istituire ncllambito dei comitati i 378 NOTE « gruppi operai ». La sua iniziativa ebbe l’appoggio dei menscevichi e delle altre forze politiche, ma i bolscevichi si batterono energicamente, e con successo, per boicottare i comitati dell'industria di guerra: su 239 comitati le elezioni dei « gruppi operai » si tennero in 70 e solo in 36 comitati furono eletti i rappre- sentanti operai. 41 Cioè il manifesto sulla guerra approvato dal congresso straordinario della 11 Internazionale che si renne a Basilea il 24 e il 25 dicembre 1912, con la partecipazione di 555 delegati. 1 capi della II Internazionale (Kautsky, Vander- velde, ecc.) votarono al congresso a favore del manifesto, ma poi allo scoppio della guerra parvero dimenticarsene e si schierarono con i propri governi bor- ghesi imperialistici, Per il testo integrale del manifesto di Basilea si veda: Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma, Editori Riuniti, 1962, pp. 253-258. 42 L’autore sì riferisce qui al congresso del Partito socialdemocratico sviz* zero, che si tenne ad Aarau il 20-21 novembre 1915. Il congresso affrontò il problema dei rapporti tra la socialdemocrazia svizzera e l'unione fcimmerwaldiana degli internazionalisti. Su tale questione si delinearono tre posizioni principali, in rapporto alle tre tendenze della socialdemocrazia svizzera: 1) antizimmerwal- diani (Greulich, Pflìiger, ecc.); 2) sostenitori della destra di Zimmerwald (Griirun, Graber, ecc.); 3) sostenitori della sinistra di Zimmerwald (F. Platten, E. Nobs, ecc.), Grimm presentò una risoluzione in cui si proponeva al Partito socialdemo- cratico svizzero di aderire all’unione di Zimmerwald e approvare la linea politica degli zimmerwaldiani di destra. Ma i socialdemocratici di sinistra presentarono un emendamento in cui si affermava la necessità di condurre una lotta rivoluzionaria di massa contro la guerra c si dichiarava che solo la rivoluzione proletaria vittoriosa avrebbe potuto metter fine alla guerra imperialistica. L'emendamento fu prima respinto, ma, quando venne riprescntato dal bolscevico M.M. Kharitonov, Grimm c i suoi seguaci decisero di accoglierlo. Cosi, l’emendamento fu approvato a maggio- ranza (con 258 voti contro 141). 43 Unione generale degli operai ebrei della Lituania, della Polonia e della Russia. Fu costituita ufficialmente nel 1897 al congresso di Vilno e aderì nel 1898 al Partito operaio socialdemocratico di Russia, da cui usci nel 1905, per esservi riammessa nel 1906. Nelle questioni politiche il Bund si schierò in genere sulle posizioni dei menscevichi. Dopo la rivoluzione di ottobre i buddisti, eccet- tuato un piccolo gruppo, aderirono al partito bolscevico. 44 Conferenza delle sezioni estere del POSDR , risoluzione: 1 rapporti con gli altri parttti e gruppi , v. 21 della presente edizione. 45 Sul programma nazionale del POSDR , v. 19 della presente edizione. 46 11 congresso dei socialisti della Svizzera italiana, a cui Lenin recò il sa- luto del CC del POSDR, si tenne a Zurigo il 15-16 ottobre 1916. Erano all’ordine del giorno le questioni di organizzazione e propaganda tra gli operai italiani in Svizzera e i problemi della situazione internazionale. Un resoconto sommario del congresso apparve nell’ Avanti! del 18 ottobre 1916 (n. 290). Protagonisti del dibattito furono Francesco Misiano e Isacco M. Schweide, assertori dell'in- transigenza rivoluzionaria, sostenuti da Angelica Balabanov, che partecipò al congresso. Com’è noto, verso la fine del 1916, sotto l’influenza dell’ala riformi- stica, il Partito socialista italiano si orientò verso il socialpacifismo. 47 In italiano nelloriginale. La conferenza del Partito socialdemocratico te- desco ebbe luogo a Berlino il 21-23 settembre 1916. Essa accettò il manifesto che riconosceva la « difesa della patria » come un dovere della socialdemocrazia e NOTE 379 approvò il voto dei socialdemocratici per i crediti di guerra (nella seduta del Reichstag del 4 agosto 1914). * 8 O «Internationale Sozialisten Deutschlands ►>, gruppo di socialdemocratici tedeschi di sinistra (Borchardt e altri), che negli anni della prima guerra mon- diale si unirono attorno alla rivista Lkblslrablen, pubblicata a Berlino dal 1913 al 1921. Questo gruppo aderì alla sinistra di Zimmenvaid e sui problemi della rottura con gli sciovinisti e coi centristi assunse una posizione più coerente del gruppo «International». Tuttavia, i «socialisti internazionalisri »> non ave- vano solidi legami con le masse e ben presto si dissolsero come gruppo. 4H Tutto questo brano, da « II proletariato tedesco » fino a « ci è parso Haase » (esclusa la parola « prosegue »), è in italiano neHoriginale. Il corsivo spaziato è di Lenin. 50 Tutta la citazione è in italiano nell'originale. 1! corsivo spaziato è di Lenin. 51 «che l' Avanti f non è informato molto esattamente sulla vita e sulle vi- cende del partito in Germania ». Il corsivo è di Lenin. 52 I deputati bolscevichi alla IV Duma (A.E. Badaiev, M.K. Muranov, G.I. Petrovski, F.N. Samoilov e N.R. Sciagov), ispirandosi alla linea politica del par- tito, sì rifiutarono di votare i crediti di guerra al governo zarista, denunciarono il carattere imperialistico e antipopolare della guerra, incitarono gli operai a bat- tersi contro lo zarismo, la borghesia e i grandi proprietari fondiari. Per la loro attività rivoluzionaria furono processati e deportati in Siberia^ 53 La conferenza dei socialisti delllntesa fu convocata per iniziativa dei so- eialsciovinisti francesi (Thomas, Renaudel, Sembat). Su proposta di Lenin, il CC del POSDR pubblicò una dichiarazione in cui. denunciando le mire dei social- sciovinisti, incitava gli internazionalisti a non partecipare alla conferenza. La di chiarazione fu pubblicata nel n. 2 dello Sboruik Sotsialdemokrata (dicembre 1916). La conferenza venne rinviata. Si tenne a Londra il 28 agosto 1917. 54 Riferimento alla conferenza dei socialisti dei paesi della « Triplice Intesa » che ebbe luogo a Londra il 14 febbraio 1913. Vi parteciparono rappresentanti del Partito laburista indipendente, del Partito socialista britannico, del Partito laburista e della Società fabiana per lTnghilterra; del Partito socialista francese c della Confederazione generale del lavoro per la Francia; del Partito socialista belga per il Belgio; dei socialisti-rivoluzionari e del menscevico Comitato di orga- nizzazione per la Russia. I bolscevichi, pur non essendo invitati, parteciparono alla conferenza per leggervi una dichiarazione che Litvinov aveva concordato con Lenin. Nella dichiarazione si chiedeva che i socialisti uscissero dai governi bor- ghesi, rompessero ogni rapporto con gli imperialisti e condannassero le vota- zioni dei crediti di guerra. Litvinov fu più volte interrotto, mentre leggeva la dichiarazione. La presidenza gli tolse la parola. Il rappresentante bolscevico con- segnò allora la dichiarazione alla presidenza e usci. Il testo della dichiarazione apparve nel n. 40 del Sotsialdemokrat (29 marzo 1915). Si vedano gli articoli di Lenin A proposito della conferenza di Londra e Sulla conferenza dì Londra nel v. 21 della presente edizione. 53 In italiano nell'or iginale. 56 L’autore si riferisce ai già citati articoli di K. Kilbom e A. Hansen nel n. 2 dello Sborntk Sotsialdemokrata. 37 A proposito dell'opuscolo di Jumus, v, 22 della presente edizione. 380 LENIN 58 Cioè Abriistung e Entwaffnung. 59 Marx-EngelS, Il 1848 in Germania e in Francia, Roma, Edizioni Rinascita, 1948, p. 253. 60 Marx-Engels, Carteggio , Roma, Edizioni Rinascita, 1951, v. Ili, p. 238. 61 Ibidem , v. VI, p. 328. 62 Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra , Roma, Edizioni Rinascita, 1955, pp. 24-29. 83 Cioè il gruppo menscevico alla IV Duma, capeggiato da N.S. Ckheidze. Durante la prima guerra mondiale il gruppo menscevico alla Duma, assumendo posizioni centriste, appoggiò di fatto la politica dei socialsciovinisti russi. Nel 1916 il gruppo era composto da M.I. Skobelev, I.N. Tuliakov, V.I. Khaustov, N.S. Ckheidze, A.l. Ckhenkeli. 64 II congresso del Partito socialdemocratico svizzero si tenne a Zurigo il 4 e il 5 novembre 1916. Erano in discussione l'attività del gruppo parlamentare socialdemocratico, la riforma finanziaria, Patteggi amento verso la conferenza di Kienthal, i rapporti con la Lega di Griitli. Lenin pronunciò il suo discorso, a nome del CC del POSDR, in tedesco, nella seduta del 4 novembre. Le varie correnti si scontrarono su tutti i punti alPordine del giorno. Per un giudizio complessivo di Lenin sul congresso di Zurigo si veda, nel presente volume, l’in- troduzione alle tesi / compiti degli zimmerwaldiani di sinistra nel Partito social- democratico svizzero. 65 Questo « comitato » fu costituito dagli internazionalisti francesi nel gen- naio 1916 e rappresentò il primo tentativo di creare in Francia un’organizzazione socialista rivoluzionaria in opposizione alle organizzazioni socialsciovinistiche uffi- ciali. Il comitato si batté contro la guerra imperialistica, pubblicò opuscoli e vo- lantini, denunciando gli scopi reali degli imperialisti e il tradimento dei social- sciovinisti. Tuttavia, non comprese la necessità di una rottura con gli opportunisti e non elaborò un programma rivoluzionario conseguente. Nel 1920 aderì al Partito comunista di Francia. 84 L’autore si riferisce al Berner Tagtvacht , dove furono pubblicati i se- guenti articoli e note sulla pace separata tra la Russia e la Germania: Die Vorbe- reitung des Separatfriedens (nel n. 230 dell’ 11 ottobre 1916), Die Friedensge - riichte (nel n. 241 del 13 ottobre), Zum Separatfrieden (nel n. 242 del 14 ottobre). 87 O « città degli zar », antica denominazione slava di Costantinopoli. Nella letteratura nazionalistica russa con questo nome si indicava l’aspirazione al pos- sesso della città. 88 Cioè TUfficio internazionale socialista (spesso siglato come ISB = Interna^ donale Sozialistische Bureau), organo esecutivo e d’informazione della II Inter- nazionale, creato in base a una decisione dei congresso di Parigi (1900). L’Ufficio ebbe sede a Bruxelles. Era composto dai delegati dei vari paniti socialisti in numero di due per ogni paese. Si doveva riunire quattro volte l’anno. Vander- velde fu eletto presidente e Huysmans segretario dell’Ufficio. Lenin ne fece parte, come rappresentante del POSDR, -dal 1905. Nel giugno 1914, su proposta di Lenin, il POSDR fu rappresentato neirUfficio da M.M. Litvinov. All’inizio della prima guerra mondiale quest’organismo si trasformò in uno strumento dei socialsciovinisti. Venne trasferito aU’Aja, e Huysmans ne diventò il massimo dirigente NOTE 381 fi9 Durante la prima guerra mondiale, Leriin, trovandosi in Svizzera, continuò a dirigere l'attività del partito bolscevico, ma, in quanto membro del Partito socialdemocratico svizzero, contribuì attivamente anche al suo lavoro. Le tesi / compiti degli zimmerwaldiani dì sinistra nel Partito socialdemocratico svizzero furono da lui scritte in russo e in tedesco e fatte tradurre in francese. Vennero discusse dalle sezioni bolsceviche operanti in Svizzera e dai socialdemocratici sviz- zeri di sinistra. Per i lavori preliminari sulle « tesi » si veda Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. 70 Questa parola d’ordine venne formulata da Karl Liebknecht in una lettera alla direzione del Partito socialdemocratico tedesco (in data 2 ottobre 1914), con cui replicava all’accusa di aver dato informazioni sulla situazione del suo partito in Belgio e in Olanda. Lenin riporta il testo della lettera di Liebknecht nel- 1* Abbozzo di tesi per un appello alla Commissione socialista internazionale e a tutti i partiti socialisti (tradotto nel presente volume). 71 Nel manoscritto sulle parole «a fianco» è scritto «in alleanza». 72 K. Egli, vicecapo di stato maggiore dell’esercito svizzero, fu accusato di spionaggio a favore del blocco germanico. Venne processato, le accuse furono provate, ma tuttavia, per intervento della cricca militaristica svizzera, subi una semplice punizione disciplinare e fu collocato a riposo. T. Loys, alto ufficiale svizzero, propugnò nel 1916 l’entrata in guerra del suo paese; la socialdemocrazia ne chiese la collocazione a riposo, ma l’ufficiale se la cavò con una punizione disciplinare. 73 Risoluzione sulla questione della guerra, approvata dal congresso del Par- tito socialdemocratico svizzero, che si tenne a Olten il 10 e l’il febbraio 1916. 74 Lega di Griitli, organizzazione riformistica borghese, fondata nel 1838. Nel 1901 la Lega, pur conservando la propria autonomia organizzativa, aderì al Partito socialdemocratico svizzero, ebbe un proprio organo di stampa, il Grutlianer , e condusse una politica nazionalistica. Durante la prima guerra mondiale assunse un atteggiamento socialsciovinistico, e il congresso di Zurigo della socialdemo- crazia (novembre 1916) considerò incompatibile la sua azione politica con la permanenza nel Partito socialdemocratico svizzero. 75 Queste tesi e alcuni scritti contenuti nel presente volume ( Posizioni di principio sul problema della guerra , Lettera aperta a Charles Naint , Dodici brevi tesi sulle argomentazioni di H. Greulicb a favore della difesa della patria, Palude immaginaria o reale?, Proposta di emendamenti alla risoluzione sul problema della guerra, Storia di un breve periodo di vita di un partito socialista) furono da Lenin preparati in relazione al dibattito sulla questione della guerra che si svolse nel Partito socialdemocratico svizzero. Nell’agosto 1916 la direzione del partito decise di convocare un congresso straordinario per ni* 12 febbraio 1917. La de- cisione fu confermata dal congresso di Zurigo (novembre 1916), che designò una commissione per la stesura di un progetto di risoluzione per il congresso straordinario. La commissione elaborò due progetti di tesi: uno di maggioranza (Affolter, Graber, Naine, Nobs e Schmid) e uno di minoranza (Klòti, Hubèr, Miiller, Pfliiger). Il primo si ispirava alle posizioni centristiche delle tesi di Grimm. Il secondo aveva un carattere socialsciovinistico e impegnava la social- democrazia svizzera a « difendere la patria » in caso di guerra. Lenin lavorò intensamente intorno alla redazione delle sue tesi (come risulta dai materiali preliminari pubblicati in Miscellanea di Lenin , XVII. 1931) per dare così il suo apporto all’azione della sinistra socialdemocratica. 382 NOTE 78 Friedrich Engels. La questione aelle abitazioni, Roma, Edizioni Rina- scita, 1950, p. 12. II corsivo spaziato è di Lenin. ;; Cioè in Suda parola d'ordine del « disarmo » (tradotto nel presente volume). 78 Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 Lenin lavorò intensamente intorno alla questione dello Stato, studiò e raccolse tutti i passi di Marx e di Engels su questo tema, analizzò vari altri documenti. In quel periodo decise di prepa- rare per il n. 4 dello Sbornik Sotsiddemokraia un articolo intitolato Sul problema della funzione dello Stato (cfr. Miscellanea di Lenin , XXI, pp. 13-14). Ma l’arti- colo non venne mai scritto. I materiali raccolti nel quaderno II marxismo sullo Stato furono dall’autore utilizzati per la stesura di Stato e rivoluzione (scritto neU’agosto-settembre 1917). 79 V.A. Maklakov (n. nel 1870), avvocato, proprietario fondiario, deputato alla Duma per il partito dei cadetti. Dopo la rivoluzione di febbraio rappresentò il governo provvisorio a Parigi. 80 Si tratta della terza lettera del menscevico Comitato di organizzazione intitolata II proletariato e la guerra. Il documento fu firmato da cinque segre- tari del Comitato di organizzazione, compreso L. Martov. 81 1 « gruppi d’iniziativa » furono creati dai menscevichi liquidatori nel 1910 in antitesi alle organizzazioni clandestine del partito e vennero da loro considerati come l’embrione di un nuovo partito legale, capace di adattarsi al regime di Stolypin. Questi « gruppi », composti in prevalenza di intellettuali e costituiti a Pietroburgo, a Mosca, a Iekaterinoslav e Konstantinovka, durante Ja prima guerra mondiale fecero proprie le posizioni del socialsciovinismo. 82 Cfr. Note di un pubblicista. 6, Sul gruppo degli indipendentisti legalitari, v. 16 della presente edizione. 83 Riferimento all’opuscolo Knegs und Fncdensprcblcme der Arbeilerklasse, edito dai menscevichi. L’opuscolo riproduceva il progetto di risoluzione della seconda conferenza di Zimmerwald sui compiti del proletariato nella lotta per la pace, progetto presentato da P. Axelrod, S. Lapinski e L. Martov. 84 Lenin pensava di far pubblicare quest’articolo nel giornale Novy mir , edito a New York dai socialisti russi emigrati. Ma l’articolo restò inedito. I primi due paragrafi vennero rielaborati dall’autore e apparvero nel n. 58 (l’ulti- mo) del Sotsialdemokrat. il 31 gennaio 1917. con il titolo Una svolta nella poli- tica mondiale (tradotto nel presente volume). B5 Con questo scritto Lenin replicava ad una lettera aperta del socialista centrista francese Boris Souvarine (A nos amis qui sont en Suisse), pubblicata il 10 dicembre 1916 nel giornale Le populaire du centre. Nel gennaio 1918 Sou- varine trasmise l’articolo di Lenin alla redazione del giornale socialista La vérrté, dove apparve con ampi tagli e sottotitoli redazionali nel n. 48. L'articolo era .stato composto, integralmente, per il n. 45 (24 gennaio 1918), ma venne tagliato dalla censura, e il giornale usci con uno spazio bianco su cui si leggeva: Un document ìnédit. Une lettre de Léntne. 86 Cfr. La guerra e la socialdemocrazia russa e Conferenza delle sezioni estere del POSDR nel v. 21 della presente edizione. 87 Cfr. La guerra e la socialdemocrazia russa nel v. 21 della presente edizione. BR l menscevichi furono espulsi dal partito alla sesta conferenza del POSDR. che si rioni a Praga il 18-30 gennaio 1912 e delineò la linea politica e la tattica NOTE 383 de] partito bolscevico nella nuova situazione rivoluzionaria, Questa conferenza fornì agli elementi rivoluzionari degli altri partiti della II Internazionale un modello di lotta conseguente contro Topportunismo, spinta fino alla scissione organizzativa. Sulla conferenza di Praga si vedano i documenti raccolti nel v, 17 della presente edizione. 99 Quest* Abbozzo di tesi fu da Lenin composto ai primi del gennaio 1917. Senonché, Robert Grimm, presidente della Commissione socialista intemazionale, fece approvare il 7 gennaio 1917 dalla direzione del suo partito una risoluzione con cui si rinviava sine die il congresso straordinario del Partito socialdemocratico svizzero, che avrebbe dovuto affrontare la questione della guerra. Lo stesso gior- no si teneva a Berlino una conferenza dell’opposizione centrista della socialdemo- crazia tedesca, in cui veniva approvato un manifesto pacifistico redatto da Kautsky: Etti Friedensmanifest der deutschen Parteiopposition. Questi fatti mostravano con chiarezza che la destra di Zimmerwald si schierava sulle posizioni del socialscio- vinismo. Lenin fu quindi costretto a emendare il suo Abbozzo, ma poi decise di differirne la pubblicazione e annotò: « Scritto prima del 7 gennaio 1917 e quindi parzialmente invecchiato ». In seguito, sulla base di questo Abbozzo, elaborò l'appello Agli operai che sostengono la lotta contro la guerra e contro i socialisti che si sono schierati con i loro governi (tradotto nel presente volume). 90 Nel manoscritto sulla parola « soprattutto » è annotato « quanto meno ». 91 Sigla di « Waffen und Munitionbeschaffungsamt ». 92 La guerra e la socialdemocrazia russa nel v, 21 della presente edizione. 93 « Ho dichiarato che il partito tedesco deve essere, secondo la mia pro- fonda convinzione, rigenerato dairalto in basso, se non vuol perdere il diritto di chiamarsi socialdemocratico, se vuole riconquistarsi la stima del mondo, oggi gravemente compromessa» (La lotta di classe contro la guerra! Materiali sul «caso Liebknecht» > p. 22). (Pubblicato clandestinamente in Germania: «pubbli- cato come manoscritto ».) 94 Conferenza delle sezioni estere del POSDR nel v. 21 della presente edizione. 05 La lettera fu scritta a Zurigo e spedita a Karpinski a Ginevra, perché venisse discussa dalle sezioni estere del POSDR. 96 Qui, nel manoscritto, è lasciato lo spazio per la citazione. 07 L'autore si riferisce alla conferenza di 115 rappresentanti delle organizza- zioni operaie svizzere, che si tenne a Zurigo il 6 agosto 1916 per discutere sulla situazione degli operai in relazione al carovita. Grimm presentò un rapporto. La risoluzione finale e un breve resoconto sui lavori della conferenza furono pubblicati nel n. 183 (8 agosto 1916) del Volksrecht. L’appello al Consiglio na- zionale fu pubblicato dallo stesso giornale il 10 agosto (n. 185). 99 Si tratta, evidentemente, deirarticolo redazionale pubblicalo T8 gennaio 1917 (n. 6) dal Berner Tagwacht con il titolo Parteibeschlùsse. 99 Questo rapporto fu letto da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del popolo di Zurigo a un’assemblea di giovani operai svizzeri. L’autore cominciò a lavorare intorno alla sua relazione verso il 20 dicembre 1916: si veda, al riguardo, la sua lettera a Karpinski del 7 (20) dicembre 1916, nel v. 36 della presente edizione. I lavori preliminari sono raccolti in Miscellanea di Lenin , XXVI. Nel manoscritto sono cancellati i capoversi 22, 26-29, 46-48, 53-56, e nel capoverso 79 da « Credo, del resto, di aver già esposto » fino al punto. 384 NOTE 100 Max Weber, Russlands Uè ber gang zum Scbeinkonstitutiondismus in Archìv fiir Sozialwissenschaft und Soziai poli tik, Tiibingen, 1906, Bd. V, S. 165-401. 101 Quest’articolo fu scritto da Lenin in risposta a una serie di articoli del socialsciovinista svizzero H. Greulich, Zur Landesverteidigung, pubblicati nel Volksrecht , nn. 19-22, 23-26 gennaio 1917. Le tesi di Lenin, siglate « - e - », apparvero nel Volksrecht , nn. 26-27, il 31 gennaio e il 1° febbraio dello stesso anno. Il direttore del giornale, E. Nobs, premise al cognome di Greulich l’appel- lativo di « Genosse » e tagliò i seguenti brani: 1) al punto 9 tagliò il terzo, il quarto e il quinto capoverso; 2) al punto 11 il secondo capoverso; 3) al punto 12 la frase conclusiva del quinto capoverso: « invitare garbatamente i socialpa- trioti a trasferirsi nella lega di Gnidi ». Il testo fu pubblicato per la prima volta integralmente in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. 102 Si allude qui. alla lettera di A.I. Guckov dei 15 (28) agosto 1916 al capo di stato maggiore, generale M.V. Alexeiev (pubblicata nel n. 57 del SotsiaL demokrat), e ad alcuni passi del discorso di K. Helfferich, ministro degli interni tedesco, pronunciato al Reichstag in risposta a un’interpellanza dell’opposizione sull’arresto di numerosi socialdemocratici. La lettera di Guckov esprimeva il panico della borghesia russa dinanzi ali’approssimarsi della rivoluzione e la sua profonda insoddisfazione per un governo incapace di frenare lo sviluppo delle forze rivoluzionarie. Helfferich diceva, in sostanza, che era meglio scongiurare la rivoluzione, arrestandone i capi, anziché subirla. 103 Riferimento all’appello A tutti i partiti e gruppi aderenti , approvato dalla sessione allargata della Commissione socialista internazionale nel febbraio 1916. L’appello criticava a fondo la posizione socialsciovinistica dell’Ufficio socia- lista internazionale, esigeva dai socialisti che si rifiutassero di votare i crediti di guerra e li incitava a organizzare scioperi, manifestazioni, azioni di massa contro la guerra imperialistica. 104 Cfr. La guerra e la socialdemocrazia russa nel v. 21 della presente edizione. 105 . Lenin si proponeva di pubblicare questo scrìtto in opuscolo e di firmarlo con lo .pseudonimo di P. Piriucev. Ma non riuscì a portarlo a termine. Per i materiali preparatori si veda la Miscellanea di Lenin, XXX, pp. 280-300. Il titolo originale del libro di Hiibner, citato piu avanti, è: Geograpbiscb-statistischc Tabelle» aller Lander der Erde , Frankfurt aM., 1916. 106 A questo punto il manoscritto s'interrompe. 107 Con questo scritto Lenin replicava aH’articolo di Robert Grimrn, Mebrheil und Minderheit in der Militarfrage ? pubblicato nel Berner Tagwacht (23-27 gen- naio 1917) e nella rivista Neues Leben (1917, n. 1). ,oft Questa Proposta fu presentata dai socialdemocratici di sinistra al congresso cantonale dell’organizzazione di Zurigo che si tenne a Tòss 1’ 11-12 febbraio 1917. Al congresso furono sottoposti due progetti di risoluzione sul problema della guerra: 1) uno di minoranza, improntato allo spirito del socialsciovinismo, e 2) uno di maggioranza, di tendenza centristica. Il congresso approvò con 93 voti contro 65 il secondo progetto, per il quale votarono anche gli elementi della sinistra, che fecero approvare la loro « proposta di emendamenti ». Sulla lotta di corrente nel Partito socialdemocratico svizzero si veda l’articolo di Lenin Storia, di un breve periodo di vita di un partito socialista (tradotto nel presente volume!. NOTE 385 106 . L'autore si riferisce al referendum, sulla convocazione di un congresso straordinario del partito per discutere la questione della guerra, lanciato dai socialdemocratici svizzeri di sinistra in seguito alla decisione della direzione del partito di rinviare sine die il congresso, 110 Cioè il già citato articolo di H. Greulich Zur Landesverteidigung. Il testo del paragrafo 3 della risoluzione di maggioranza è stato citato sopra da Lenin. 111 La nota redazionale Zutrt Referendum fu pubblicata il 27 gennaio 1917 nel n. 23 del Volksrecht. 112 Allusione all'articolo di Fritz Platten, Die Milìtarfrage, pubblicato come editoriale nel n. 27 del Volksrecht , il 1° febbraio 1917. L'articolo continuò nei nn. 28, 30 e 31 (del 2, 5 e 6 febbraio). 113 Lenin sì riferisce alle Abanderungsantrage zu der Resolution der Mehrheit der Militarkommission, pubblicate nel n. 34 del Volksrecht , il 9 febbraio 1917. 114 Lenin redasse quest 'Abbozzo di tesi (che non era destinato alla stampa, ma ai bolscevichi in partenza per la Russia) non appena ricevette le prime notizie sulla rivoluzione di febbraio (si vedano i giornali Zùricber Post e Neue Zurcher Zeitung del 15 marzo). 115 Cioè " il governo provvisorio costituito il 2 (15) marzo 1917 in base a un accordo tra il comitato’ provvisorio della Duma e i leaders socialisti-rivolu- zionari e menscevichi del comitato esecutivo del soviet pietrogradese dei deputati degli operai e dei soldati. Di questo governo fecero parte: G.E. Lvov, presi- dente del Consiglio e ministro degli interni, P.N. Miliukov (leader dei cadetti), ministro degli esteri, A.I. Guckov (leader degli ottobristi), ministro della guerra, ecc. 1 II ministero della giustizia fu affidato al trudovik A.F. Kerenski. Il partito degli « ottobristi » (Unione del 17 ottobre) si costituì in Russia dopo la pubblicazione del manifesto zarista del 17 (30) ottobre 1905. Fu un partito controrivoluzionario, che rappresentava gli interessi della grande borghesia e dei grandi agrari. Ebbe come dirigenti il noto industriale A.I. Guckov e il grande proprietario fondiario M.Z. Rodzianko. Gli ottobristi, dopo aver appog- giato la politica zarista, passarono durante la prima guerra mondiale all’opposi- zione, esigendo un governo che godesse del pieno appoggio dei circoli borghesi. Dopo la v rivoluzione di febbraio gli ottobristi lottarono contro gli operai e i contadini rivoluzionari. Il partito dei « cadetti » o partito « costituzionale democratico » fu fondato nell’ottobre 1905, attraverso la fusione dell'« Unione per la liberazione » e dell’« Unione degli zemtsy costituzionalisti». Tra i suoi leaders ebbe P.N Miliu- kov, S.A. Muromtsev, V.A. Maklakov, A.I. Scingarev, P.B. Struve, F.I. Rodicev. In seguito il partito dei cadetti si trasformò nel partito della borghesia imperia- listica. Ebbe una funzione di primo piano nel governo provvisorio e svolse una politica antipopolare e controrivoluzionaria. I socialisti-rivoluzionari furono una formazione politica piccolo-borghese, sorta tra la fine del 1901 e l’inizio del 1902 dalla fusione di vari raggruppamenti e circoli. Le loro posizioni furono un miscuglio eclettico di populismo e revisio- nismo. Durante la prima guerra mondiale assunsero un atteggiamento socialsciovi- nistico. Furono, con i cadetti e i menscevichi, il sostegno principale del governo provvisorio. Alla vigilia della rivoluzione di ottobre questo partito si schierò apertamente con la borghesia controrivoluzionaria. Verso la fine del novembre 1917 l'ala sinistra dei socialisti-rivoluzionari creò un proprio partito e collaborò per qualche tempo con il partito bolscevico. 13 — 2617 386 NOTE I « trudoviki » o « gruppo del lavoro » furono un gruppo di democratici piccolo-borghesi, contadini e intellettuali di tendenza populistica. Il gruppo dei « trudoviki » alla Duma, composto di deputati contadini, oscillò continuamente tra i cadetti e i socialisti-rivoluzionari. Nella prima guerra mondiale assunse un atteggiamento socialsciovinistico. Dopo la rivoluzione di febbraio appoggiò attiva- mente il governp provvisorio. 110 Quest’appello venne elaborato dai menscevichi del comitato esecutivo del soviet di Pietrogrado e costituì la base dell’accordo con cui il comitato esecutivo appoggiava il governo provvisorio. Il documento fu emendato da P.N. Miliukov e fu posto a base del primo appello del governo provvisorio al popolo. 1,7 II telegramma fu spedito a Stoccolma per i bolscevichi in partenza per la 'Russia. Venne letto da E.B. Bosc il 13 (26) marzo in una riunione dell’Ufficio russo del CC del POSDR e in una riunione della commissione esecutiva del comitato pietroburghese del partito. 110 Questa dichiarazione fu pubblicata dal Volksrecbt, con il titolo Feststel- lung e dopo la seguente frase redazionale: «Il compagno Lenin ci scrive; ». 119 Le prime quattro lettere furono scritte da Lenin tra il 20 e il 25 marzo 1917; la quinta, rimasta incompiuta, fu iniziata alla vigilia della partenza dalla Svizzera il 26 marzo. Il 22 marzo le prime due lettere furono spedite ad Alexandra Kollontai a Cristiania perché le mandasse subito a Pietrogrado. Fu la stessa A. Kollontai a portarle il 1° aprile alla redazione della Pravda , di cui facevano parte a quel tempo M.K. Muranov, L.B. Kamenev e I.V. Stalin. La prima lettera uscì con ampi tagli (si veda avanti) nei nn. 14 e 15, del 21 e 22 marzo (3 e 4 aprile), del giornale, e solo nel 1949 (nel v. 23 della IV edizione russa delle Opere di Lenin) fu pubblicata integralmente. Le altre lettere furono pub- blicate nel 1924. Alcune idee della quinta vennero da Lenin riprese e svolte nelle Lettere sulla tattica e nei Compiti del proletariato nella nostra rivoluzione (nel v. 24 della presente edizione). 120 Indichiamo qui i tagli apportati dalla redazione della Pravda al testo della prima lettera. Sono stati soppressi: nel capoverso 11 da « o — per sosti- tuire » fino a « dall’altro »; nel capoverso 14 la frase tra parentesi tonde; nel capoverso 19 da « I servitori dichiarati » fino al punto; nel capoverso 20 da « mediante la diretta » fino al punto; nel capoverso 21 da « stavano organizzando direttamente » fino a « soprattutto »; nel capoverso 22 da « Non cadremo nel- l'errore » fino al punto; nel capoverso 24 da « Sarebbe semplicemente sciocco » fino a « imperialismo zarista » e la frase « e demoliranno dalle fondamenta »; nel capoverso 27 da « in cui gli ottobristi » fino a « questo governo »; nel capo- verso 29 l'espressione « che è il governo principale » e da « che cerca legami con i soldati >> fino al punto; nel capoverso 33 l’espressione « una organizzazione di operai »; i capoversi 35 e 36; nel capoverso 37 i cognomi « Miliukov e Ke- renski »; nel capoverso 38 l’espressione « manovra truffaldina »; i capoversi 40 e 41; nel capoverso 43 la frase tra parentesi tonde; neirultimo capoverso la frase « in sostituzione della semimonarchia di Guckov e Miliukov ». 121 II soviet pietroburghese dei deputati operai venne costituito nei primi giorni della rivoluzione di febbraio. Le elezioni per il soviet si svolsero dapprima in alcune fabbriche, ma si estesero rapidamente a tutte le imprese. Il 27 febbraio (12 marzo), prima che il soviet si riunisse, i menscevichi K.A. Gvozdev e B.O. Bogdanov e i membri della Duma N.S. Ckheidze, MI. Skobelev, ecc. si procla- marono comitato esecutivo provvisorio del soviet. Nella prima seduta venne eletta la presidenza: N.S. Ckheidze, A.F. Kerenski e M.I. Skobelev. Il soviet NOTE 387 si dichiarò organo degli operai e dei soldati di tutta la Russia e tale rimase fino al giugno 1917 (quando si riunì il primo congresso dei soviet). 122 Questo partito monarchico-costituzionale si formò ufficialmente nel 1906, attraverso la fusione degli « ottobristi di sinistra » e dei « cadetti di destra ». Rappresentò gli interessi della grande borghesia e dei grandi agrari. I principali leaders furono P.A. Heiden, N.N. Lvov ( P.P. Riabuscinski, M A. Stakhovic, ecc. Alla III Duma questo partito si uni al partito delle « riforme democratiche » nel gruppo dei « progressisti ». 133 II primo governo provvisorio, o comitato provvisorio della Duma di Stato, si costimi il 27 febbraio (12 marzo) 1917, quando lo zar consegnò a Rodzianko il decreto di scioglimento deila Duma. Del comitato fecero parte; V.V. Sciulghin e V.N. Lvov, gli ottobristi SI. Scidlovski, I I. Dmitriukov e M.V. Rodzianko (presidente), i « progressisti » V.A. Rgevski e A.I. Konovalov, i cadetti P.N. Miliukov e N.V. Nekrasov, il trudovik A F. Kerenski e il men- scevico N.S. Ckheidze. 124 Dell'Ufficio russo del CC del POSDR il 22 marzo 1917 facevano parte: A.I. Elizarova, K.S. Eremeev, V.N. Zalezski, P.A. Zalutiski, M.I. Kalinin, V.M. Molotov, M S. Olminski, A.M. Smirnov, E.D. Stasova, M.I. Ulianova, M.I. Kha* kh‘arev, K.M. Scvedcikov, A.G. Scliapnikov, K.I. Sciutko. Il 25 marzo furono cooptati G.I. Boki, M.K. Muranov e, con voto consultivo, I.V. Stalin. Il comitato pietroburghese fu ricostituito nella seduta del 15 marzo. La conferenza di gennaio è la conferenza di Praga del POSDR. 125 Lenin chiama appello il Manifesto del Partito operaio socialdemocratico a tutti i cittadini della Russia, pubblicato nel supplemento delle Izvestia petro • gradskovo sovieta , 1917. n. 1. Dopo aver letto alcuni passi del Manifesto , ripor. tati nel Frankfurter Zeitung del 22 marzo 1917. Lenin telegrafò alla Frauda. esprimendo i suoi rallegramenti. 126 Partito piccolo-borghese, nato nel 1906 dall’ala destra del partito dei socialisti-rivoluzionari, I socialisti-populisti si allearono con i cadetti e, negli anni della prima guerra mondiale, assunsero un atteggiamento socialsciovinistico. Dopo la rivoluzione di febbraio si fusero con i trudovikt e sostennero l’azione del governo provvisorio, 127 Cfr. Alcune tesi nel v. 21 della presente edizione. 128 Riferimento all’accordo per la formazione del governo provvisorio, sti- pulato, a insaputa dei boiscevichi, il 14 marzo 1917 dal comitato provvisorio della Duma e dai leaders menscevichi e socialisti-rivoluzionari del comitato esecu- tivo del soviet di Pietrogrado. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari consegna- rono volontariamente il potere alla borghesia, riconoscendo al comitato provvi- sorio della Duma il diritto di dar vita a un nuovo governo. 129 In base alle informazioni di cui disponeva in Svizzera, Lenin si pro- nunciò favorevolmente circa la creazione di un organo di controllo sul governo provvisorio da parte del soviet dei deputati operai. In effetti, la « commissione di contatto », istituita dal comitato esecutivo del soviet il 21 marzo, fini per aiutare il governo provvisorio nella realizzazione della sua politica antipopolare e controrivoluzionaria. Cessò di funzionare nell’aprile 1917. 130 Cfr. Alcune tesi nel v 21 della presente edizione. 131 II governo provvisorio designò l’ottobrista M.A. Stakhovic a governatore generale della Finlandia, Quale ministro per gli affari finlandesi fu nominato il cadetto F.I, Rodicev, che ottenne la parificazione giuridica dei cittadini finlan- 13 * 388 NOTE desi e russi nel campo del commercio e dell’industria (in precedenza tale parità esisteva di fatto, ma non era riconosciuta dalle leggi finlandesi). 132 Cfr. L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, c. VII, v. 22 della presente edizione. 133 Cfr. Alcune tesi nel v. 21 della presente edizione. 134 Cioè il progetto di legge agraria presentato alla I Duma il 23 maggio (5 giugno) 1906 da 104 deputati. Il progetto, formulato dai trudovikr , prevedeva la costituzione di un fondo terriero di tutto il popolo, in cui dovevano rientrare le terre della corona, degli appannaggi feudali, dei monasteri e dei grandi pro- prietari fondiari. Per il momento le piccole proprietà sarebbero rimaste ai con- tadini, ma in seguito, gradualmente,, sarebbero confluite nel fondo nazionale. La riforma agraria doveva essere effettuata da comitati contadini, eletti a suffragio universale. 135 II manoscritto s’interrompe a questo punto. 138 Nel 1915 i bolscevichi crearono a Berna una commissione per l'aiuto ai prigionieri di guerra, rinchiusi nei campi di concentramento della Germania e dell'Austria-'Ungheria. Tra l’altro, venne tenuto un fitto carteggio. Questo ap- pello fu redatto da Lenin, non appena giunsero le prime notizie sulla rivolu- zione di febbraio, e fu pubblicato come volantino. In calce al volantino era scritto: « Compagni, continuate a tenervi in contatto con la commissione per l’aiuto ai prigionieri. Indirizzo: Schweiz, Bern, Falkenweg, 9. I compagni cerche- ranno di spedirvi come in passato libri, ecc. ». 137 Lenin si riferisce alla guerra franco-prussiana del 1870-1871, allorché il governo prussiano consegnò i prigionieri di guerra francesi al governo contro- rivoluzionario di Versailles per schiacciare la Comune di Parigi. 138 II manoscritto s’interrompe a questo punto. 338 Questa conferenza fu tenuta da Lenin in tedesco il 27 marzo 1917 alla Casa del popolo di - Zurigo dinanzi a un’assemblea di operai svizzeri. Il resoconto fu redatto dallo stesso Lenin per il Volksreckt e in seguito consegnato al gior- nale Politiken, organo dei socialdemocratici di sinistra della Svezia, dove apparve nel n. 86, sotto il titolo: Lenin sulla rivoluzione russa, immediate trattative di pace tra i popoli e non tra i governi. 140 « Partecipazione adeguata dei rappresentanti degli operai russi al governo ». 141 «La classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla mac- china dello Stato bella e pronta, e metterla in moto per i propri fini » (Cfr. Marx-Engels, Il partito e l’Internazionale, Roma, Edizioni Rinascita, 1948, p. 175). Il proletariato deve spezzare questa macchina (esercito, polizia, burocrazia) (Cfr. K. Marx, Lettere a Kugelmann , Roma, Edizioni Rinascita, 1950, p. 139). Ecco ciò che gli opportunisti (socialpatrioti) e i kautskiani (socialpacifisti) contestano o mettono a tacere. È questa la lezione pratica più importante della Comune di Parigi e della rivoluzione russa del 1905. Noi ci distinguiamo dagli anatchici in quanto riconosciamo la necessità dello Stato per il rivolgimento rivoluzionario. Ma ci distinguiamo dagli opportunisti e dai kautskiani in quanto diciamo: noi abbiamo bisogno non della macchina statale « già pronta », quale esiste nelle repubbliche democratiche borghesi, ma del potere immediato degli operai armati e organizzati. È questo lo Stato di cui abbiamo bisogno noi. Tali sono, nella sostanza, la Comune del 1871 e i consigli dei deputati operai del 1905 e del 1917. È questo il fondamento su cui dobbiamo continuare a costruire NOTE 389 142 Cfr. Alcune tesi ned v. 21 della presente edizione. 143 Questa nota fu pubblicata nel n. 81 del Volksreckt il 5 aprile 1917 e» in compendio, nel V Avanti! del 10 aprile (n. 99). Lo scritto giunse a Pietrogrado il 4 aprile, ma la Pravda non lo pubblicò, forse perché la questione di Cerno- mazov era ormai chiarita. 144 II deputato bolscevico M.K. Muranov, giungendo a Pietrogrado il 25 marzo 1917, si affrettò a precisare, con una lettera alla redazione del giornale Dien> i rapporti fra Cernomazov e la Pravda. La Ietterà usci il 27 marzo. Muranov scriveva che Cernomazov aveva collaborato alla Pravda dal maggio 1913 al febbraio 1914 e che ne era stato allontanato perché si sospettava di lui come di un pro- vocatore della polizia. Cernomazov non è mai stato, concludeva Muranov, Tunico o il principale responsabile del giornale, che era diretto da un comitato reda- zionale composto di membri del CC del POSDR e di deputati socialdemocratici alla Duma. 145 Cfr. Alcune tesi nel v. 21 della presente edizione. 146 La deliberazione, oltre che da Lenin, era firmata da GE. Zinoviev, 147 Scriveva Lenin a Ines Armand il 15 marzo 1917 (cfr. v. 35, p. 211): « Sono fuori di me per l’impossibilità di andare in Scandinavia! Non riesco a perdonarmi di non essermi arrischiato ad andarci nel 1915! ». Da allora ebbero inizio i suoi ripetuti tentativi di rientrare in Russia e la lotta per superare gli ostacoli frapposti dal governo provvisorio e dai governi d’Inghilterra e di Francia al ritorno degli internazionalisti emigrati. Tra l’altro^ Lenin progettò di rientrare clandestinamente, servendosi dei documenti di Karpinski (si veda, in proposito, il suo carteggio con Karpinski e Hanecki nel v. 35 della presente edizione). Il 19 marzo Martov propose di far ritorno in Russia attraverso la Germania, mediante uno scambio tra gli emigrati russi e i tedeschi internati in Russia. Le trattative furono avviate da Robert Grimm, ma, a causa del suo atteggiamento ambiguo, i bolscevichi si videro costretti a ricorrere a Fritz Platten, che le condusse a buon fine. Il governo tedesco accettò le condizioni, elaborate da Lenin (secondo la testimonianza di Platten), che prevedevano !’« extraterritoria- lità » per il vagone su cui viaggiavano gli emigrati. Sulle condizioni del viaggio fu redatto un verbale che venne consegnato ai rappresentanti tedeschi della sinistra di Zimmerwald. Inoltre, a. nome degli internazionalisti di Francia, Svizzera, Polonia, Germania, Svezia e Norvegia, fu pubblicata, nel n. 86 di Politiken (15 aprile 1917), una dichiarazione in cui si affermava che i compagni russi non avevano soltanto il diritto ma anche il dovere di approfittare dell’occasione che gli si offriva per rientrare in Russia e battersi contro la politica imperiali- stica della borghesia russa, per remancipazione della classe operaia, per la rivolu- zione socialista. 148 Questa lettera, scritta intorno alla metà di marzo del 1917, fu rivista dopo il 1° aprile, quando i bolscevichi furono costretti a esonerare Robert Grimm dairincarico di condurre trattative per il rientro in Russia. Essa venne discussa e approvata dai bolscevichi in partenza per la Russia in un'assemblea tenuta l’8 aprile. 149 La Proposta (tradotta nel presente volume) fu scritta da Lenin. 150 Cfr. Alcune tesi nel v. 21 della presente edizione. CRONACA BIOGRAFICA ( agosto 1916 - marzo 1917) 1916 fitte di agosto - primi di settembre Lenin e M K, Krupskaia fanno ritorno da Flums a Zurìgo. agosto-settembre Lenin scrive gli articoli: Sulla tendenza nascente delV« eco - nomismo imperialistico » e Risposta a P. Kievski (lu. Piatakov). agosto-ottobre Scrive l’articolo Intorno a una caricatura del marxismo e alV« economismo imperialistico », 2 (15) settembre In una lettera a Ines Armand parla dello sviluppo delle organizzazioni giovanili in Svizzera e promette ai inviarle Tarticolo intitolato Entwaffnung. 17 (30) settembre Partecipa alla riunione della Commissione socialista inter- nazionale di Berna. 20 settembre (3 ottobre) Spedisce l'articolo intitolato Entwaffnung, perché sia pub- blicato dai giornali socialdemocratici di sinistra della Sve- zia e della Norvegia. settembre-ottobre Scrive: Affogati in un bicchier d’acqua. seconda metà di settembre ( prima metà di ottobre) Scrive il saluto de! CC del POSDR, letto nella seduta del 2 (15) ottobre, al congresso dei socialisti della Svizzera italiana. fitte di settembre « primi di ottobre In una lettera ad A.G. Scliapnikov sottolinea la necessità di giungere a un accordo su tutte le questioni principali, indicando che il « piano di lavoro generale » « si compone, in primo luogo, di una linea teorica , in secondo luogo, dei compiti tattici immediati , in terzo luogo di quelli di- rettamente organizzativi ». Dopo aver detto che si pone l’« esigenza di epurare la nostra linea dalle assurdità giunte a maturazione e da quella confusione di idee che si risolve in una negazione della democrazia (qui rientra il disarmo, Ja negazione dell’autodecisione, la negazione teoricamente 394 CRONACA BIOGRAFICA non prima di settembre 9 (22) ottobre 11 '(24) ottobre 12 (2J) ottobre erronea della difesa della patria "in generale* 1 , le oscilla- zioni nella questione relativa alla funzione e all’importanza dello Stato in generale, ecc.)», Lenin precisa che «rac- cordo teorico è davvero indispensabile per U lavoro in un periodo cosi difficile» (cfr. v. 35, pp. 160-164). In una lettera a N.D. Kiknadze, che’ si trova a Ginevra, consiglia di esigere da Lunaciarski, da Bezrabotny e soci, tesi scritte, brevi e chiare, sull’« autodecisione ». Lenin dichiara che Lunaciarski e gli altri « si impappineranno come bambini, ci scommetto. Essi non hanno capito un bel niente circa il carattere storico della “nazione 4 ’ e della “difesa della patria” » (cfr v. 35, pp. 164-165). Legge, annotando, nel n. 3 della rivista D telo, gli articoli di V. Zasulìc, Dopo la guerra , di P. Maslov, V ideologia della guerra , di A. Potresov, Politica e socialità . La Russia sdoppiata. In una lettera a M.T. Ulianova chiede notizie óeWImperia- lismo , fase suprema del capitalismo , sottolineando che at- tribuisce « un’importanza particolarmente grande a questo lavoro economico » e che vorrebbe « vederlo stampato al piu presto e integralmente ». Chiede inoltre notizie della voce Karl Mcrx da lui redatta per il dizionario enciclope- dico dei fratelli Granat. Fa alcuni estratti (in tedesco), sul problema della difesa della patria, dai giornali Belgische Arbeiterstimme (20 set- tembre e 24 ottobre 1916) e Volksstimme (23 settem- bre 1916). In una lettera al socialdemocratico di sinistra austriaco Franz Koritschonner chiede notizie particolareggiate sullo sciopero delle officine di guerra di Spira e sull’uccisione del primo ministro austriaco Sturgkh da parte di Friedrich Adler, uno dei capi della socialdemocrazia austriaca. A proposito del gesto di Adler, Lenin scrive che « gli atten* tati terroristici individuali sono mezzi di lotta politica che non raggiungono lo scopo Soltanto il movimento di massa si può considerare vera lotta politica. Soltanto in diretto, immediato legame col movimento di massa possono e debbono giovare anche gli attentati terroristici individuali. In Russia i terroristi (contro i quali abbiamo sempre lot- tato) hanno compiuto una serie di attentati individuali, ma nel dicembre 1905, quando si giunse finalmente al mo- vimento di massa, all’insurrezione, quando era necessario venire in aiuto alla massa col ricorso alla violenza, proprio allora i “ terroristi erano assenti. In ciò sta l’errore dei terroristi [...] non il terrorismo, ma il lavoro sistematico, minuto, pieno di abnegazione, della propaganda e dell’agi- tazione rivoluzionaria, delle dimostrazioni, ecc., ecc. contro il servile partito opportunistico, contro gli imperialisti, CRONACA BIOGRAFICA 395 1) (26) ottobre 21 e 22 ottobre (3 e 4 novembre) 72 ottobre (4 novembre) 24 ottobre (6 novembre) 29 ottobre (11 novembre ) ottobre fine di ottobre ■ primi di novembre 7 (20) novembre 12 (23) novembre contro i propri governi, contro ]a guerra: ecco che cosa è necessario» (cfr. v. 35, pp. 166-168). Comunica al segretario della sezione parigina del POSDR che è inopportuno pubblicare « legalmente » Io Sbornik Sotsìaldemokrata a Parigi e che occorre esaminare la pos- sibilità di un’edizione clandestina. Le lettere di Lenin a G. la. Belenki (inviate tra settembre del 1916 e febbraio del 1917) non sono state ancora rintracciate. Partecipa ai convegni dei socialdemocratici di sinistra de- legati al congresso di Zurigo del Partito socialdemocratico svizzero. Prende parte alla redazione del progetto di riso- luzione sull’atteggiamento verso le decisioni della confe- renza di Kienthal. Reca il saluto del CC del POSDR al congresso di Zurigo della socialdemocrazia svizzera. Gli articoli di Lenin Sulla pace separata e Una buona decina di ministri « socialisti » appaiono sul n. 56 del Sotsialdemokrat . Lenin ha un incontro con M.S. Olminski che si è recato a fargli visita in Svizzera. Esce il n. 1 dello Sbornik Sotsìaldemokrata , con le tesi di Lenin La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni e gli articoli: A proposito di un opuscolo di Juttius e Bilancio della discussione sull’autodecisione. Lenin scrive: Sulla parola d'ordine del «disarmo», L’im- perialismo e la scissione del socialismo e il piano dell’ar- ticolo intitolato L’imperialismo e l’atteggiamento da assu- mere nei suoi confronti Redige le tesi I compiti degli zimmerwaldiani di sinistra nel Partito socialdemocratico svizzero e si preoccupa di farle tradurre in francese. Ha un colloquio con gli zimmerwaldiani di sinistra sulle tesi da lui redatte. In una lettera ringrazia Ines Armand per la traduzione francese del testo e, dopo altre notizie, avverte: « “L'operaio non ha patria” significa che a) la sua situazione economica {le salariat ) non è nazionale, ma internazionale; b) il suo nemico di classe è internazionale; c) le condizioni per la sua liberazione idem; d) l’unità intemazionale degli operai è piti importante di quella na- zionale. Significa questo, deriva da questo che non bisogna combattere quando si tratta di abbattere il giogo straniero? S{ o no? La guerra delle colonie per la liberazione? La guerra dell’Irlanda contro l’Inghilterra? E rinsurrezione (nazionale) non è forse difesa della patria?» (cfr. v. 35, pp. 172-173). Dopo aver chiarito, in una lettera a Ines Armand, eh* 396 CRONACA BIOGRAFICA H Ofl) novembre 18 novembre (1 dicembre) fra il 18 novembre e il 5 dicembre (1-18 dicembre) novembre inizio di dicembre 3 (18) dicembre non dispone di dati sufficienti per estendere le sue « tesi » alla Francia, dichiara che i proletari non devono mai « fon- dersi » con il movimento democratico generale e precisa: « Noi socialdemocratici siamo sempre per la democrazia, non “in nome del capitalismo’ 5 , ma in nome della ne- cessità di spianare la via al nostro movimento, la qual cosa è impossibile senza lo sviluppo del capitalismo » (cfr. v. 35, pp. 173-174). Ha un secondo colloquio con gli zimmerwaldiani di sinistra sulle sue tesi e sull’atteggiamento della socialdemocrazia svizzera verso la guerra. Annota le tesi di Platten sulla questione della guerra. In un’ampia lettera a Ines Armand (cfr. v. 35, pp. 174- 180) chiarisce ulteriormente la propria posizione sul pro- blema della difesa della patria, polemizza con il gruppo Piatakov-Bukharin, denuncia gli intrighi di Radek e l’at- teggiamento conciliante di Zinoviev ed enuncia il principio metodico secondo cui « tutto lo spirito del marxismo, tutto i! suo sistema esige che ogni situazione venga esaminata soltanto a ) storicamente, 0 ) solo in connessione con le altre, T ) soltanto in connessione con l’esperienza concreta della storia ». Scrive al socialista svizzero Arthur Schmidt, proponen- dogli di emendare le tesi dei socialdemocratici svizzeri di sinistra sulla questione della guerra (cfr. v. 35, pp. 180- 182). Redige alcune osservazioni airarticolo di Bukharin Der imperialistische Raubstaat , uscito in Jugend-Internationale } 1916, n. 6. In una lettera a N.D. Kiknadze polemizza sul diritto di autodecisione e sulla trasformazione della guerra imperia- listica in guerra civile, sottolineando che opMaT 60x S6/ 18 . ByM. j] . 13. Ileq. ji. 24,18. yK 51 00 9K3. H3,aaTejibCTBO «nporpecc» rocyAapcTBeHHoro komht 0T3 CoBeTa Mhhhctpob CCCP no AeJiaM H3,uaTe./]bCTB, no.iHrpa^HH h khhjkhoS TOprODJlH. MocKBa, T-21, 3y6oBCKHft OyjibBap, 21 Op^ena TpyAOBoro Kpacnoro 3HaMeHH flepBafl Oépa340BaH THnorpaKflaHOBa Coio3nojinrpa(ì)npOMa npn rocyflapcTBeHHOM KOMHTeTe CoBeTa Mhhhctpob CCCP no AeJiaM H3AaTeflbCTB, noflHrpai)HH h khh»hoH ToproBJiH. MocKBa, M-54 , Ba^iOBaH, 28