Karl Marx, Friedrich Engels, Vladimir Lenin, Joseph Stalin, Enver Hoxha 5 Classics of Marxism Comintern (Stalinist-Hoxhaists) http://ciml.250x.com Georgian Section www.joseph-stalin.net SHMG Press Karl Marx Press of thè Georgian section of Comintern (SH) - Stalinist-Hoxhaists Movement of Georgia V. I. LENIN Opere complete v maggio 1901 - febbraio 1902 1958 - Editori Riuniti - Roma Traduzione di Luigi Amadesi Proprietà letteraria riservata della S. p. A. Editori Riuniti Viale Regina Margherita 290, Roma 1967 NOTA DELL'EDITORE La traduzione del presente volume, che contiene le opere scritte da Lenin tra maggio del 1901 e febbraio del 1902, è stata condotta sul quinto volume della quarta edizione delle Opere di Lenin, pubblicata a Mosca dall'Istituto M arx-En gel s -Lenin nel 1946 . Sono compresi nel volume le note e gli articoli pubblicati da Lenin «e/Hskra: Da che cosa cominciare?, Un nuovo eccidio, Una preziosa confessione, Gli insegnamenti della crisi, I feudali al lavoro, La lotta contro gli affamati, La situazione all'estero, Un colloquio con i soster nitori dell'economismo, L'inizio delle manifestazioni, L'agitazione po- litica e il « punto di vista di classe », ecc. in questi scritti Lenin esprime la sua opinione su tutte le principali vicende della vita interna della Russia, chiarisce le questioni concrete dell edificazione del partito e i compiti della lotta di classe del proletariato. Il saggio I persecutori degli zemstvo e gli Annibali del liberalismo, pubblicato nella Zarià nel dicembre 1901, è dedicato all’elaborazione della tattica del partito marxista del proletariato nei confronti della borghesia liberale . La questione agraria e i « critici di Marx » espone e sviluppa la teoria marxista della questione agraria e sottopone a critica le tesi dei revisionisti russi e internazionali . Il volume contiene anche il Che fare? (di cui si presenta qui la traduzione già pubblicata in: Lenin, Opere scelte in due volumi, Mo- sca), i cui principi teorici furono posti a fondamento dell’ideologia del partito bolscevico . Si includono per la prima volta nelle Opere complete sette scritti. Tre note scopo di conquistare non solunto singole con- cessioni, ma la stessa fortezza dell'autocrazia; però il fatto che questi individui mancano di qualunque opinione salda infirma la nostra allegria. Il Raboceie Diclo, naturalmente, si richiama invano a Liebknecht. In ventiquattr ore si può cambiare la propria tattica di agitazione in quesu o quella questione particolare, la propria unica in questo o quel particolare della struttura del partito, ma solunto individui senza prin- cipi possono cambiare in ventiquattrore, o anche in ventiquattro mesi, le proprie idee sulla necessità — in generale cosunte ed asso- luta — di un'organizzazione di lotta e di un’agitazione politica tra le masse. È ridicolo richiamarsi alla diversa situazione, al succedersi dei periodi: si deve lavorare per creare un’organizzazione combattiva e condurre un’agiuzione politica in qualsiasi situazione, per quanto « grigia, pacifica », in qualsiasi periodo di « declino dello spirito rivo- luzionario », anzi, proprio in quesu situazione e in questi periodi è particolarmente necessario tale lavoro, poiché nei momenti degli scoppi e delle esplosioni non si farebbe in tempo a creare un'organizzazione; essa deve essere pronta per poter sviluppare subito la sua attività. «Cambiare tattica in ventiquattro ore»! Ma per poter cambiare tat- tica bisogna innanzi tutto avere una tattica, e se non esiste una salda organizzazione, preparata alla lotta politica in ogni momento e in tutte le situazioni, non si può parlare di quel piano sistematico d’a- zione, illuminato da principi fermi e rigorosamente applicato, che è l'unico che meriti il nome di tattica. Vedete, infatti, come stanno le cose : ci si dice già che il « momento storico » ha posto davanti al par- tito un problema « completamente nuovo », il terrorismo. Ieri « comple- tamente nuovo » era il problema deH'organizzazione politica e della agitazione, oggi è quello del terrorismo. Non è forse strano sentire uo- mini dimentichi a tal punto della loro parentela ragionare su un radi- cale cambiamento della tattica ? Fortunatamente, il Raboceie Dielo ha torto. Il problema del terrò- DA CHE. COSA COMINCIARE? II rismo non è affatto nuovo, e a noi basta ricordare brevemente le opi- nioni che sono venute formandosi nella socialdemocrazia russa. In linea di principio, noi non abbiamo mai rinunciato e non pos- siamo rinunciare al terrorismo. È un operazione militare che può per- fettamente servire, ed essere perfino necessaria, in un determinato mo- mento della battaglia, quando le truppe si trovano in una determinata situazione ed esistono determinate condizioni. Ma la sostanza del problema è precisamente che oggi il terrorismo non viene affatto pro- posto come un operazione deiresercito operante, strettamente legata e adeguata a tutto il sistema di lotta, ma come un mezzo di attacco singolo, autonomo e indipendente da ogni esercito. E quando manca un’organizzazione rivoluzionaria centrale e quelle locali sono deboli, il terrorismo non può essere niente altro. Ecco perchè dichiariamo de- cisamente che nelle circostanze attuali questo mezzo di lotta è intem- pestivo, inopportuno, in quanto distoglie i combattenti più attivi dal loro vero compito, più importante per tutto il movimento, e disorga- nizza non le forze governative, ma quelle rivoluzionarie. Ricordate gli ultimi avvenimenti: davanti ai nostri occhi larghe masse di operai urbani e di «popolani» vogliono gettarsi nella lotta, e i rivoluzionari sono privi di uno stato maggiore di dirigenti e di organizzatori. In queste condizioni, non si corre forse il pericolo che, se i rivoluzionari più energici passano all’attività terroristica, s’indeboliscano quegli unici reparti di combattimento, sui quali si possono fondare serie speranze? Non si corre forse il pericolo che si spezzi il legame tra le organizzazioni rivoluzionarie e le masse disperse dei malcontenti, che protestano e sono pronte alla lotta, ma sono deboli appunto perchè sono disperse? Eppure questo legame è l’unica garanzia del nostro suc- cesso. Lungi da noi il pensiero di negare ogni importanza alle azioni eroiche isolate, ma abbiamo il dovere di mettere energica- mente in guardia dal lasciarsi esaltare dal terrorismo, dal ricono- scerlo come principale e fondamentale mezzo di lotta, cosa a cui moltissime persone propendono oggi. Il terrorismo non potrà mai diventare un’ordinata azione militare: nel migliore dei casi, può ser- vire soltanto come uno dei metodi di assalto decisivo. Ci si domanda se nel momento attuale possiamo fare appello a questo assalto. Il Ra- boceie Dielo , a quanto pare, ritiene di sì. Per lo meno esclama: « Alli- neatevi in colonne d’assalto! ». Ma, ancora una volta, molto zelo e poco senno. La massa fondamentale delle nostre forze militari è com- 12 LENIN posta dai volontari e dagli insorti. Abbiamo soltanto alcuni piccoli reparti di truppe permanenti, e anche questi non sono mobilitati, non sono collegati fra di loro, non sono addestrati, in generale, ad allinearsi in colonne militari e meno che mai in colonne d’assalto. In queste condizioni a chiunque, capace d’intravvedere le condizioni generali della nostra lotta senza dimenticarle ad ogni € svolta » del corso storico degli avvenimenti, deve apparir chiaro che la nostra parola d’ordine, in questo momento, non può essere « andare all’assalto », ma deve es- sere «organizzare un regolare assedio della fortezza nemica ». In altre parole: il compito immediato del nostro partito non può essere quello di chiamare tutte le forme ora disponibili all’attacco, ma quello di pro- muovere la formazione di un organizzazione rivoluzionaria, capace di unire tutte le forze e di dirigere il movimento non soltanto di nome, ma di fatto, di essere cioè sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze militari che possono servire per la battaglia decisiva. La lezione degli avvenimenti di febbraio e marzo 1 è tanto sugge- stiva che è dubbio si possano sentire obiezioni di principio contro questa conclusione. Però noi oggi dobbiamo risolvere il problema non in linea di principio, ma praticamente. Dobbiamo non soltanto chiarire a noi stessi quale organizzazione precisamente occorra, e per quale lavoro precisamente: dobbiamo elaborare un determinato piano di or- ganizzazione affinchè da ogni parte ci si accinga a costruirla. Consi- derata l’urgenza del problema, ci decidiamo, da parte nostra, a sotto- porre all’attenzione dei compagni l’abbozzo di un piano, che abbiamo sviluppato in modo più particolareggiato in un opuscolo in corso di preparazione per la stampa. A parer nostro, il punto di partenza della nostra attività, il primo passo pratico per creare l’organizzazione che vogliamo, il filo condut- tore, infine, seguendo il quale potremo incessantemente sviluppare, approfondire e allargare quest’organizzazione, dev’essere la fondazione di un giornale politico per tutta la Russia. Ci occorre innanzi tutto un giornale; senza un giornale è impossibile condurre sistematicamente quella propaganda e quell’agitazione multiformi e conseguenti che co- stituiscono il compito permanente e principale della socialdemocrazia in generale, e il compito particolarmente urgente del momento attuale, in cui l’interesse per la politica, per le questioni del socialismo, si è destato nei più larghi strati della popolazione. E mai si è sentita con DA CHE COSA COMINCIARE ? 3 tanta forza come oggi l’esigenza di completare l’agitazione dispersa, svolta attraverso l’azione personale, i giornaletti locali, gli opuscoli, ecc., con quell’agitazione generalizzata e regolare che si può svolgere soltanto per mezzo della stampa periodica. Non credo sia esagerato affermare che la maggiore o minore frequenza e regolarità dell’uscita (e diffusione) del giornale potrà essere l’indice più esatto della solidità con la quale saremo riusciti a organizzare questo settore, che è il più elementare e il più importante della nostra attività militare. Inoltre, quel che ci occorre è precisamente un giornale per tutta la Russia. Se non sapremo e fino a quando non sapremo unificare la nostra influenza sul popolo e sul governo mediante la parola stampata, sarà un’utopia pensare di poter unificare altri mezzi d’influenza più complessi, più difficili e al tempo stesso più decisivi. Il nostro movimento, sia dal punto di vista ideologico che da quello pratico, organizzativo, soffre sempre di più a causa del suo frazionamento, dato che Tenorme maggioranza dei socialdemocratici è quasi completamente assorbita dal lavoro puramente locale, che restringe il suo orizzonte, l’ampiezza della sua attività, la sua esperienza clandestina e la sua prepara- zione. Appunto in questo frazionamento si debbono cercare le radici più profonde di quell’instabilità e di quella titubanza di cui abbiamo parlato sopra. E il primo passo avanti per sbarazzarsi di questo di- fetto, per trasformare alcuni movimenti locali in un unico movimento nazionale russo deve essere l’organizzazione di un giornale per tutta la Russia. Infine, ci occorre assolutamente un giornale politico. Nel- l’Europa moderna senza un organo di stampa politico è inconcepibile un movimento che meriti di essere chiamato politico. Senza un organo di stampa politico è assolutamente impossibile adempiere il nostro compito di concentrare tutti gli elementi di malcontento e di protesta politica, di fecondare con essi il movimento rivoluzionario del prole- tariato. Abbiamo fatto il primo passo, abbiamo destato nella classe operaia la passione delle denunce « economiche », di fabbrica. Dob- biamo compiere il passo successivo : destare in tutti gli strati del popolo più o meno coscienti la passione delle denunce politiche. Se le voci che si levano per smascherare il regime sono oggi così deboli, rare e timide, non dobbiamo impressionarcene. Ciò non è affatto dovuto alla rasse- gnazione generale agli arbitri polizieschi. È dovuto al fatto che gli uo- mini capaci di fare delle denunce, e pronti a farle, non hanno una tribuna dalla quale poter parlare, non hanno un pubblico che ascolti e ‘4 LENIN approvi appassionatamente gli oratori; al fatto che essi non vedono da nessuna parte nel popolo una forza alla quale valga la pena di rivol- gersi per protestare contro IV onnipotente » governo russo. Ma oggi tutto ciò si va modificando con straordinaria rapidità. Questa forza esiste, è il proletariato rivoluzionario; esso ha già dimostrato di essere pronto non soltanto ad ascoltare e sostenere l’appello alla lotta politica, ma anche a gettarsi coraggiosamente nella lotta. Abbiamo oggi la pos- sibilità e il dovere di creare una tribuna da cui tutto il popolo possa denunciare il governo zarista, e questa tribuna deve essere un gior- nale socialdemocratico. La classe operaia, a differenza delle altre classi e degli altri ceti della società russa, mostra un costante interesse per le cognizioni politiche, chiede continuamente (e non soltanto nei periodi di particolare fermento) pubblicazioni illegali. Quando esistono tali richieste delle masse, quando già stanno formandosi dirigenti rivolu- zionari provati, e il concentramento della classe operaia rende quest’ul- tima di fatto padrona nei quartieri operai della grande città, nei vil- laggi dove ci sono fabbriche, nei sobborghi industriali, la fondazione di un giornale politico è cosa che il proletariato è perfettamente in grado di fare. E attraverso il proletariato il giornale penetrerà nelle file della piccola borghesia urbana, degli artigiani rurali e dei conta- dini e diventerà un vero giornale politico popolare. Un giornale, tuttavia, non ha solo la funzione di diffondere idee, di educare politicamente e di conquistare alleati politici. Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo. Sotto questo ultimo aspetto lo si può pa- ragonare alle impalcature che rivestono un edificio in costruzione ma ne lasciano indovinare la sagoma, facilitano i contatti tra i costruttori, li aiutano a suddividersi il lavoro e a rendersi conto dei risultati ge- nerali ottenuti con il lavoro organizzato. Attraverso il giornale e con il giornale si formerà un'organizzazione permanente, che si oc- cuperà non soltanto del lavoro locale, ma anche del lavoro generale sistematico, che insegnerà ai suoi membri a seguire attentamente gli avvenimenti politici, a valutarne l’importanza e Finfluenza sui diversi strati della popolazione, a elaborare quei metodi che permettono al partito rivoluzionario di esercitare la sua influenza sugli stessi avveni- menti. Lo stesso compito tecnico di assicurare al giornale un regolare rifornimento di materiale e una regolare diffusione costringerà a creare una rete di fiduciari locali del partito unico, fiduciari che do- DA CHE COSA COMINCIARE? 15 vranno mantenersi in contatto vivo gli uni con gli altri, dovranno conoscere la situazione generale, abituarsi ad eseguire regolarmen- te una parte del lavoro per tutta la Russia, a saggiare le loro forze organizzando ora questa ora quell’azione rivoluzionaria. Questa rete di fiduciari # sarà l'ossatura delPorganizzazione che precisamente ci occorre: abbastanza grande per abbracciare tutto il paese; abba- stanza ampia e multiforme per effettuare una rigorosa e particola- reggiata divisione del lavoro; abbastanza temprata per saper com- piere inflessibilmente il suo lavoro in tutte le circostanze, in tutte le « svolte » e in tutti gli imprevisti; abbastanza duttile per sapere, da una parte, evitare la battaglia in terreno scoperto con un nemico di forze superiori, che ha concentrato le sue forze in un solo punto e, dall’altra, approfittare dell’incapacità di manovra del nemico per piombargli addosso nel luogo e nel momento in cui meno se lo aspetta. Oggi davanti a noi si pone un compito relativamente facile: sostenere gli studenti che manifestano nelle piazze delle grandi città. Domani potrebbe porsi un compito più difficile, per esempio so- stenere il movimento dei disoccupati in un determinato rione. Do- podomani dovremo forse trovarci al nostro posto per partecipare in modo rivoluzionario a una sommossa contadina. Oggi dobbiamo utilizzare Tinasprimento della situazione politica che il governo ha provocato con la crociata contro lo zemstvo. Domani dovremo appog- giare l’indignazione della popolazione contro questo o quello sbirro zarista scatenato e aiutare, mediante il boicottaggio, la denuncia, le manifestazioni, ecc., a impartirgli una lezione tale da costringerlo a un’aperta ritirata. Tale grado di preparazione alla lotta si può for- mare soltanto con un’attività continua che impegni le truppe regolari. E se noi uniremo le nostre forze per far uscire un giornale su scala na- zionale, tale lavoro preparerà e farà emergere non soltanto i propagan- disti più abili, ma anche gli organizzatori più provetti, i capi politici più capaci che sappiano lanciare al momento giusto la parola d’ordine della lotta decisiva e dirigere questa lotta. Per concludere, poche parole per evitare un possibile equivoco. Ab- 4 È ovvio che tali fiduciari potranno lavorare con successo soltanto se manterranno strettissimi contatti con i comitati locali (gruppi, circoli) del nostro partito. Natural- mente, tutto il piano da noi tracciato può, in generale, essere realizzato soltanto se avrà il più attivo appoggio dei comitati, che hanno fatto più di una volta dei passi per l’unificazione del partito e che, ne siamo certi, otterranno questa unificazione se non oggi domani, se non in una forma in un'altra. 1 6 LENIN biamo sempre parlato soltanto di una preparazione sistematica, piani- ficata, ma con questo non volevamo affatto dire che l’autocrazia potrà cadere esclusivamente in seguito a un regolare assedio o a un assalto organizzato. Non vogliamo scivolare in un assurdo dottrinarismo. Al contrario, è pienamente possibile e storicamente molto più probabile che l’autocrazia cada sotto la pressione di una di quelle esplosioni spontanee o di quelle complicazioni politiche imprevedibili che minac- ciano continuamente da tutte le parti. Ma nessun partito politico può, senza cadere nelPavventurismo, impostare la sua attività facendo asse- gnamento su esplosioni e complicazioni. Noi dobbiamo seguire la no- stra strada, svolgere instancabilmente il nostro lavoro sistematico, e quanto meno faremo affidamento sugli imprevisti tanto maggiori sa- ranno' le probabilità di non lasciarci prendere alla sprovvista A a nessuna « svolta storica ». Mw, n. 4 , maggio 1901. UN NUOVO ECCIDIO A quanto pare» stiamo attraversando un periodo in cui il nostro movimento operaio porta di nuovo, con forza irresistibile, a quei con- flitti esacerbati che tanta paura fanno al governo e alle classi abbienti e l tanto incoraggiano e confortano i socialisti. Sì, ci incoraggiano e ci confortano questi conflitti, nonostante il numero enorme di vittime della repressione militare, perchè la classe operaia con la sua resistenza dimostra di non volersi rassegnare al suo stato, di non voler restare schiava, di non sottomettersi in silenzio alla violenza e all’arbitrio. L’ordine attuale, sempre e inevitabilmente, anche quando le cose pro- cedono nel più tranquillo dei modi, impone alla classe operaia innu- merevoli sacrifici. Migliaia, decine di migliaia di uomini che hanno lavorato tutta la vita a creare l’altrui ricchezza periscono per fame e continua denutrizione, muoiono prematuramente per le malattie pro- vocate dalle infami condizioni di lavoro, dal misero stato delle abita- zioni, dalla mancanza di riposo. E merita cento volte di essere chia- mato eroe colui che preferisce morire nella lotta aperta contro i difensori e i protettori di questo abietto regime piuttosto che morire della lenta morte della brenna oppressa, strapazzata e rassegnata. Non vogliamo affatto dire che la lotta corpo a corpo con la polizia è la migliore forma di lotta. Al contrario, abbiamo sempre fatto osser- vare agli operai che è nel loro stesso interesse rendere la lotta più calma e controllata, sforzarsi di orientare ogni malcontento in appoggio alla lotta organizzata del partito rivoluzionario. Ma la principale fonte che alimenta la socialdemocrazia rivoluzionaria è precisamente quello spirito di protesta delle masse operaie, che nell’atmosfera di op- pressione e di violenza che circonda gli operai non può non prorom- pere di tanto in tanto in esplosioni disperate. Queste esplosioni destano LENIN ]tf alla vita cosciente i più larghi strati degli operai oppressi dal bisogno e dall’ignoranza, diffondono tra di essi il nobile spirito dell’odio verso gli oppressori e i nemici della libertà. Ed ecco perchè la notizia di un massacro come quello che è avvenuto, per esempio, il 7 maggio nel- l’officina Obukhov ci induce ad esclamare : « L’insurrezione operaia è stata repressa, evviva l’insurrezione operaia! ». Vi fu un tempo, relativamente molto recente, in cui le insurre- zioni operaie erano rare eccezioni, provocate soltanto da certe condi- zioni particolari. Adesso non è più così. Alcuni anni or sono attra- versavamo un periodo di prosperità industriale, in cui il commercio era molto animato e grande era la domanda di operai. E tuttavia gli operai organizzarono numerosi scioperi chiedendo migliori condizioni di lavoro: essi avevano capito che non dovevano lasciarsi sfuggire il momento, che dovevano utilizzare proprio il periodo in cui i profitti degli industriali erano particolarmente alti ed era più facile costringerli a far concessioni. Ma poi alla prosperità segue la crisi: le merci resta- no agli industriali, i loro profitti diminuiscono, aumenta il numero dei fallimenti, le fabbriche riducono la produzione, licenziano gli operai che in massa si trovano sul lastrico senza un tozzo di pane. Gli operai debbono lottare accanitamente non più per migliorare, ma per con- servare la loro situazione, per diminuire quelle perdite che l’industriale fa ricadere su di loro. Cosi, il movimento operaio si approfondisce e si allarga; all’inizio la lotta viene condotta solo in casi eccezionali, poi diventa una lotta tenace e ininterrotta durante la ripresa dell’industria e il rifiorire del commercio, e infine la stessa lotta tenace continua durante la crisi. Oggi possiamo già dire che il movimento operaio è diventato un fenomeno permanente della nostra vita e che si svilupperà in tutte le condizioni. Ma il succedersi delle crisi ai periodi di ripresa industriale non soltanto insegnerà agli operai che la lotta unitaria è diventata per loro una necessità permanente, ma distruggerà anche le nocive illusioni che già avevano cominciato a nutrire nel periodo di prosperità indu- striale. Qua e là gli operai erano riusciti, con relativa facilità, a strap- pare concessioni ai padroni mediante gli scioperi, e si era cominciato a esagerare l’importanza di questa lotta «economica», si era cominciato a dimenticare che le unioni professionali (corporative) degli operai e gli scioperi potevano solo riuscire, nel migliore dei casi, a imporre condizioni di vendita un po’ più vantaggiose di una merce, la forza- UN NUOVO ECCIDIO ! 9 lavoro. Le unioni professionali e gli scioperi non giovano quando, a causa della crisi, questa « merce » non viene richiesta, e non riescono a modificare le condizioni che trasformano la mano d opera in merce, che condannano le masse lavoratrici alla più nera miseria e alla disoc- cupazione. Per modificare queste condizioni è necessaria la lotta rivo- luzionaria contro tutto il regime sociale e politico attuale, e la crisi industriale costringerà moltissimi operai a convincersi di questa verità. Torniamo all’eccidio del 7 maggio. Pubblichiamo più sotto le noti- zie che abbiamo sugli scioperi di maggio e sulle agitazioni degli operai di Pietroburgo*. Qui invece esamineremo il comunicato della polizia sul massacro del 7 maggio. Negli ultimi .tempi ci siamo un po’ assue- fatti ai comunicati governativi (cioè della polizia) sugli scioperi, le manifestazioni, i conflitti con le truppe; abbiamo già ora un cospicuo materiale per poter giudicare del grado di veridicità di tali comunicati, possiamo talvolta indovinare dal fumo delle menzogne poliziesche il fuoco deirindignazione popolare. « Il 7 maggio corrente — dice il comunicato ufficiale — nelle accia- ierie Obukhov, di Alexandrovsk, villaggio sito sulla strada di Schlies- selburg, dopo l’intervallo di mezzogiorno circa 200 operai di vari re- parti hanno interrotto il lavoro e, nel corso di un colloquio con il vice direttore dell’officina, tenente colonnello Ivanov, hanno presentato di- verse rivendicazioni infondato. Se gli operai hanno interrotto il lavoro senza un preavviso di due settimane — ammesso che la cessazione del lavoro non sia stata pro- vocata dalle illegalità padronali, come avviene molto spesso — , ciò, anche secondo la legislazione russa (che negli ultimi tempi è stata siste- maticamente completata e aggravata a danno degli operai), costituisce una semplice trasgressione di un regolamento poliziesco, di compe- tenza del giudice di pace. Ma il governo russo con i suoi rigori cade in una situazione sempre più ridicola : da un lato, si emanano leggi che stabiliscono nuovi reati (per esempio, rifiuto arbitrario di lavorare o partecipazione a un assembramento che danneggi la proprietà altrui o in cui si resista con la violenza alle forze armate), si aggravano le pene per gli scioperi, ecc.; dall’altro lato, si perde la possibilità fisica e politica di applicare queste leggi e di infliggere le pene da esse pre- viste. È fisicamente impossibile deferire al tribunale migliaia e decine di migliaia di persone per aver esse rifiutato di lavorare, per aver scio- perato, per aver formato « assembramenti ». È politicamente impossi- 20 LENIN bile imbastire un processo per ognuno di questi casi poiché, per quanto si possa manipolare la composizione del tribunale, per quanto si cerchi di non rendere pubblico il processo, rimarrà pur sempre l’ombra di un processo e, naturalmente, di un « processo » non contro gli operai, ma contro il governo. Ed ecco le leggi pei reati comuni emanate allo scopo ben determinato di facilitare la lotta politica del governo contro il proletariato (e in pari tempo di celarne il carattere politico me- diante considerazioni « statali » sull’« ordine pubblico », ecc.) e che vengono implacabilmente respinte in secondo piano dalla lotta vera- mente politica, dal conflitto aperto di strada. La « giustizia » getta la maschera dell’imparzialità e della solennità e si rende latitante la- sciando libero campo alla polizia, ai gendarmi, ai cosacchi che ven- gono presi a sassate. Ricordate, infatti, il riferimento del governo alle « rivendicazioni » degli operai. Dal punto di vista della legge, la cessazione del lavoro è una infrazione della legge, quali che siano le rivendicazioni operaie. Ma il governo ha già appunto perduto la possibilità di rimanere sul terreno della stessa legge che ha così di recente emanato e tenta « con i suoi mezzi » di giustificare la repressione, dichiarando che le rivendi- cazioni degli operai erano infondate. Ma chi era il giudice in questa questione? Il tenente colonnello Ivanov, vice direttore dell’officina, cioè la stessa direzione della quale gli operai si lagnavano! Non c’è da stu- pirsi se a tali spiegazioni del potere degli abbienti gli operai rispondono a sassate! Ed ecco incominciare una vera battaglia non appena gli operai scendono tutti in piazza, fermando il movimento della tranvia a ca- valli. Gli operai si sono battuti, a quanto pare, con tutte le loro forze perchè sono riusciti per due volte a respingere l’attacco della polizia, dei gendarmi, della guardia a cavallo e della guardia armata dell’of- ficina *, e ciò nonostante che l’unica arma degli operai fossero i sassi. È vero — se si presta fede al comunicato della polizia — che « alcuni * A proposito. Il comunicato governativo dice che la «guardia annata deirofficina » era già pronta nel conile dell’« officina », mentre i gendarmi, la guardia a cavallo c i poliziotti sono stati chiamati solo in un secondo tempo. Da quando in qua e perchè si teneva pronta nel cortile dell’officina la guardia armata? Dal primo maggio forse? Si attendevano forse delle manifestazioni operaie? Non lo sappiamo, ma è fuori dubbio che il governo nasconde scientemente i dati di fatto in suo possesso; esso non vuole che si sappiano le cause che hanno provocato c accresciuto il malcontento e il fermento tra gli operai. UN NUOVO ECCIDIO 21 spari » sarebbero partiti dalla folla, ma questi spari non hanno ferito nessuno. Invece i sassi « grandinavano » e gli operai hanno dato prove non solo di tenacia nella resistenza, ma anche di inventiva, di capacità di adeguarsi immediatamente alla situazione e di saper scegliere la for- ma migliore di lotta. Hanno occupato i cortili circostanti e diretto con- tro gli sbirri zaristi una fitta sassaiola, riparandosi dietro gli steccati , di modo che, perfino dopo tre scariche di fucileria che hanno ucciso un operaio (proprio solo uno?) e ne hanno feriti otto (?) (uno dei quali è morto il giorno dopo), la battaglia è continuata, e anche dopo che la folla si era data alla fuga i reparti del reggimento di fanteria di Omsk, chiamati d’urgenza, hanno dovuto « rastrellare gli operai s> nei cortili vicini. Il governo ha vinto. Ma ognuna di queste vittorie avvicinerà ine- vitabilmente la sua definitiva sconfitta. Ogni battaglia contro il popolo aumenterà il numero degli operai indignati e pronti a combattere, farà emergere i dirigenti più esperti e meglio armati, che agiscono con più coraggio. In base a quale piano debbono cercare di agire i dirigenti, abbiamo già avuto occasione di dirlo. La necessità assoluta di una forte organizzazione rivoluzionaria Tabbiamo già indicata più volte. Ma quando si parla di avvenimenti come il conflitto del 7 maggio oc- corre anche non dimenticare quanto segue. Negli ultimi tempi si è detto più volte che la lotta di strada contro gli eserciti moderni è impossibile e disperata; hanno particolarmente insistito su ciò quei « critici » sapientoni che facevano passare il vecchio ciarpame deirerudizione borghese per nuove scoperte della scienza imparziale, travisando così le parole di Engels il quale parlava, e per di più facendo delle riserve, solo della tattica contingente dei social- democratici tedeschi 3 . Noi vediamo, dall’esempio anche di un solo con- flitto, che tutte queste chiacchiere sono completamente assurde. La lotta di strada è possibile, e disperata non è la situazione dei combat- tenti, ma quella del. governo se avrà contro di sè gli operai non di una sola officina. Nel conflitto del 7 maggio gli operai erano armati solo di sassi, e, naturalmente, non sarà certo un divieto del governatore a im- pedire loro, alla prossima occasione, di procurarsi altre armi. Gli ope- rai non erano preparati, ed erano solo 3.500, e tuttavia hanno respinto alcune centinaia di guardie a cavallo, gendarmi, poliziotti e fanti. Ricordate che non fu facile per Ia«polizia dar l’assalto a una casa al nu- meno 63 della via Schhesselburg 4 ! Riflettete, non sarà facile « rastrel - 22 LENIN lare gli operai » non solo in due o tre cortili e case, ma in interi quartieri operai di Pietroburgo! Non si dovrà forse, quando si arriverà alla lotta decisiva, « rastrellare » nelle case e nei cortili della capitale non solo gli operai, ma anche tutti coloro che non hanno dimenticato l’in- fame massacro del 4 marzo °, che non si sono conciliati col governo di polizia, ma ne hanno soltanto paura e non credono ancora nelle proprie forze? Compagni, cercate di raccogliere i nomi di tutti gli uccisi e feriti del 7 maggio. Tutti gli operai della capitale ne onorino la memoria e si preparino a una nuova lotta risoluta contro il governo di polizia, per la libertà del popolo! ìslya, n. 5, giugno icioi. I PERSECUTORI DEGLI ZEMSTVO E GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO Scritto nel giugno 1901. Pubblicato per la prima volta nel dicembre 1901, nella Zarià , n. 2-3. Firmato: T. P. Se si è detto del contadino russo che egli è soprattutto povero della coscienza della propria povertà, del piccolo borghese o del cittadino russo sì può dire che egli, essendo povero di diritti civili, è partico- larmente povero della coscienza della propria mancanza di diritti. Come il contadino è abituato alla sua disperata miseria, è abituato a vivere senza riflettere sulle cause che la generano e sulla possibilità di eliminarla, così il piccolo borghese russo è in generale abituato alla onnipotenza del governo, è abituato a vivere senza riflettere se questa onnipotenza può continuare a reggersi e se non si manifestano vicino ad essa dei fenomeni che corrodono il decrepito regime politico. Un « antidoto » particolarmente efficace contro rincoscienza e il letargo politico è costituito dai consueti « documenti segreti » *, i quali provano che non soltanto qualche testa calda disperata o i nemici preconcetti del governo, ma gli stessi membri del governo, ministri e zar compresi, riconoscono l’instabilità della forma autocratica di governo e cercano in tutti i modi di migliorare la loro posizione, che non li soddisfa per nulla. Uno di questi documenti è il promemoria di Witte, il quale, es- sendosi bisticciato col ministro degli interni Goremykin circa la costi- tuzione di istituti degli zemstvo nelle regioni periferiche, ha deciso di dar prova in modo particolare della propria perspicacia e fedeltà alla autocrazia redigendo un atto d’accusa contro lo zemstvo**. Allo zemstvo si muove l’accusa di essere incompatibile con l’auto- crazia, di essere costituzionale per il suo stesso carattere, di provocare inesorabilmente, per il solo fatto di esistere, attriti e urti tra i rappre- sentanti della società e il governo. L’atto d’accusa è redatto sulla base * Parlo, s'intende, solo di quel genere di « antidoto », ben lontano dall’essere runico e dall'essere particolarmente « efficace *, che è la parola stampata. •* L'autocrazia c lo zemstvo. Promemoria confidenziale del ministro delle finanze S. I. Witte, con prefazione e note di R. N. S. Pubblicato dalla Zana. Stuttgart, Verlag von J. H. W. Dietz Nachf. 1901, pp. XLIV + 212. i6 LENfNF di un materiale molta (relativamente) vasca e discretamente elaborata, e siccome è un atto d'accusa su una questione politica (e per giunta ab- bastanza originale)* si può essere certi che .sarà Ietto con non meno interesse e non meno profitto degli atti d’accusa dei processi politici che vengono talvolta pubblicati dai nostri giornali. I Proviamoci dunque od esaminare se i fatti giustificano Pifferala- zione che il nostro zemstvo è cMtìiuziooak e* in caso affermativo, in quale misura e in che senso precisamente lo è In questa questione ha un’importanza paitkoknncnte grande Pe- ptica in cui furono costituiti gh zemstvo . La caduta della servitù della gleba fu un rivolgimento storico così grande che doq poteva non lacerare anche il velo poliziesco che copriva le contraddizioni fra le classi. La classe più compatta, più coita e più abituata ai pv t ere politico — la nobiltà — espresse nel modo più netto raspila- zione a limitare il potere assoluto mediante istituti rappresentativi. Che questo fatto venga menzionato nel promemoria Witte è cosa estremamente significativa. « Dichiarazioni sulla necessità di una rT rap- presentanza ” generale della nobiltà, sul ” diritto della terra russa di avere i propri rappresentanti eletti nel consiglio del potere supremo " vennero fatte già nelle assemblee dei nobili degli anni 1859-60 *. « Si pronunciò perfino la parola ” Costituzione ” » *. « La necessita di chia- mare la società a partecipare al governo era indicata anche da alcuni comitati governatoriali per gli affari contadini e da membri dei co- mitati chiamati a far parte delle commissioni redazionali. "I deputati aspirano in modo indubbio alla Costituzione ", scriveva nel 1859 nd suo diario Nikitenko >. < Quando, dopo la promulgazione del regolamento del 19 febbraio 1861, apparve chiaro che le speranze riposte nell'autocrazia erano ben lungi dall’essersi realizzate, e per di più gli elementi più ” radicali ” della * Dragomanov, Il liberalismo e gli zemstvo in Russia, p. 4. L’autore dd preme moria , signor Witte, spesso non indica che ricopia Dragomanov (cfr., per esempio. Promemoria , pp. 36-37 e l’articolo citato, pp. 55-56) benché in altri punti egli ri faccia riferimento. GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO -/ stessa amministrazione (come N. Miliutin) vennero esclusi dalFattività che si doveva svolgere per applicare questo regolamento, il movimento a fa- vore della ” rappresentanza ” diventò unanime. Esso si espresse nelle pro- poste presentate in molte assemblee della nobiltà, nel 1862, e in appelli lan- ciati da queste assemblee a Novgorod, Tuia, Smolensk, Mosca, Pietrobur- go, Tver. Tra gli appelli il più degno di nota c quello di Mosca, il quale chiedeva l’autonomia locale, la procedura giudiziaria pubblica, il riscatto obbligatorio delle terre contadine, la pubblicità del bilancio, la libertà di stampa e la convocazione a Mosca della Duma degli zemstvo di tutte le classi per preparare un progetto organico di riforme. Più recisi di tutti furono le decisioni e Fappello della nobiltà di Tver (2 febbraio) sulla ne- cessità di una serie di riforme civili ed economiche (per esempio, Fegua- glianza giuridica dei ceti, il riscatto obbligatorio delle terre contadine) e ” della convocazione dei deputati di tutto il popolo russo come unico mezzo per giungere ad una soluzione soddisfacente delle questioni sol- levate ma non risolte dal regolamento del 19 febbraio”*. Nonostante le pene amministrative e giudiziarie che furono inflitte agli iniziatori delFappello di Tver ** — continua Dragomanov — (tra Faltro, non proprio per Fappello, ma per l’aspra motivazione delle dimissioni col- lettive dalla carica di giudici di pace), dichiarazioni ad esso ispirate fu- rono fatte, nel 1862 e all’inizio del 1863, in diverse assemblee di nobili nelle quali in pari tempo si elaborarono anche dei progetti di autonomia locale. In quel periodo il movimento costituzionalista si sviluppava anche tra i " raznocintsy ” e trovava qui la sua espressione in società segrete e in ma- nifesti più o meno rivoluzionari: il Veli\oruss (dalFagosto al novembre 1861; vi collaborarono degli ufficiali, come Obrucev e altri), ” La Duma de- gli zemstvo ” (1862), "Terra e libertà ” (1862-1863)... Apparve anche, edito dal Veliì(aruss , un progetto di indirizzo, che doveva essere presentato al so- • Dragomanov, p. 5. Resoconto sommario nel Promemoria, p. 64, con riferimento non a Dragomanov ma alle riviste citate da Dragomanov, Kolo^ol, n. 126 c Revue des deux Monda , 1862, 15 giugno. •• A proposito. Recentemente (il 19 aprile di quest'anno, cioè del 1901) è morto nella sua tenuta paterna, nel governatorato di Tver, uno di questi iniziatori, Nikolai Alexandrovic Bakunin, fratello minore del famoso M. A. Bakunin. Nikolai Àlexandrovic insieme al fratello minore Alexei e ad altri giudici firmò l’appeUo del 1862. Quest’ap- pello — comunica l’autore della nota su N. A. Bakunin in un nostro giornale — pro- vocò la punizione dei firmatari. Dopo un anno di arresto nella fortezza di Pietro e Paolo i detenuti furono liberati, ma a N. A. e suo fratello Alexei non venne condonata la pena (non firmarono la domanda di grazia), ragion per cui non si permise loro di avere cariche pubbliche. Dopo di ciò N. A. non si presentò più, e del resto non poteva' più. presentarsi, sull’arena pubblica... Ecco in che modo il nostro governo regolava i conti, nel periodo delle più « grandi riforme *, con i nobili proprietari fondiari che agivano legalmente! E questo avveniva nel 1862, prima della insurrezione polacca, quando per- fino Katkov 7 proponeva di convocare lo zemshj sobor di tutta la Russia. 28 LENIN vrano, come molti dicevano, per la celebrazione del millennio della Russia neiragosto 1862* In questo progetto di indirizzo, tra l’altro, si diceva: ” Ab- biate la benevolenza, Sire, di convocare in una capitale della nostra patria russa, a Mosca o a Pietroburgo, i rappresentanti della nazione russa affin- chè essi redigano una Costituzione per la Russia... ” » *. Se ricordiamo anche il proclama della «Giovane Russia»", gli in- numerevoli arresti e le punizioni draconiane dei criminali « politici » (Obrucev, Mikhailov e altri), coronati dalla condanna illegale e in- giusta di Cernyscevski ai lavori forzati, diventa per noi chiara la situa- zione sociale che generò la riforma degli zemstvo . Dicendo che « Tidea della creazione degli istituti degli zemstvo era indiscutibilmente poli- tica », che le sfere dirigenti « tenevano indiscutibilmente conto » degli stati d animo liberali e costituzionalistici della società, il Promemoria di Witte riconosce soltanto metà della verità. Le idee burocratiche, da funzionario, sui fenomeni sociali che rivela ovunque l’autore del Pro- memoria si manifestano anche qui, si manifestano allorquando ignora il movimento rivoluzionario e dissimula le misure draconiane di re- pressione con le quali il governo si difendeva dall’attacco del « partito » rivoluzionario. E’ vero, a noi sembra oggi strano che agli inizi degli anni sessanta si parli di un «partito» rivoluzionario e di un suo attacco. L’esperienza di quarantanni di storia ci ha reso molto più esi- genti in fatto di movimenti rivoluzionari e attacchi rivoluzionari. Ma non bisogna dimenticare che a quei tempi, dopo i trentanni di regime di Nicola I, nessuno poteva ancora prevedere il corso che avreb- bero preso gli avvenimenti, nessuno poteva determinare l’effettiva capacità di resistenza del governo, l’effettiva forza della ribellione po- polare. La ripresa del movimento democratico in Europa, il fer- mento fra i polacchi, il malcontento in Finlandia, la richiesta di ri- forme politiche da parte di tutta la stampa e di tutta la nobiltà, la diffusione del Kolo^ol in tutta la Russia, la possente propaganda di Cernyscevski che riusciva, anche con gli articoli sottoposti alla censura, a educare dei veri rivoluzionari , la comparsa di proclami, il fermento fra i contadini contro i quali « molto spesso » ** si dovette • Cfr. V. Burtsev, In cento unni, p. 39. ** L. Panteleiev, Dai ricordi degli anni sessanta , p. 315 della miscellanea Al po- sto d’onore . In questo articoletto sono raggruppati alcuni fatti molto interessanti sull’ef- fervescenza rivoluzionaria che regnava nel 1861-1862 e sulla reazione poliziesca... «Al- l'inizio del 1862 nel paese l'atmosfera era tesa aU’esiremo; la più piccola circostanza poteva bruscamente spingere il corso delle cose in una direzione o nell’altra. Questa fun- GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 2 9 ricorrere alla forza armata per costringerli , spargendo il loro sangue, ad accettare il «regolamento» che li spogliava di tutto, i rifiuti col- lettivi dei giudici di pace nobili di applicare tale «regolamento», i disordini studenteschi erano condizioni tali che il politico più pru- dente e sobrio avrebbe dovuto riconoscere che era possibile uno scoppio rivoluzionario e che si correva il serio pericolo di un’insurrezione con- tadina. In tali condizioni il governo autocratico, che vedeva la sua suprema missione, da una parte, nel difendere a qualsiasi costo l’on- nipotenza e l’irresponsabilità della camarilla di corte e dell’esercito di avidi funzionari e, dall’altra, nel sostenere i peggiori rappresentanti delle classi sfruttatrici, non poteva fare altro che annientare implaca- bilmente singoli individui, nemici coscienti e inflessibili della tirannide e dello sfruttamento (cioè i « capibanda » del « partito rivoluzionario ») e intimidire e corrompere con piccole concessioni la massa dei mal- contenti. I lavori forzati a chi preferiva tacere piuttosto di effondersi in lodi stupide o ipocrite alla «grande emancipazione», le riforme ( in- nocue per V autocrazia e per le classi sfruttatrici) a chi andava in SOÌlll- zione l’ebbero gli incendi del maggio 1862 a Pietroburgo», Cominciarono il 16 maggio, infierirono particolarmente il 22 e il 23: in quel giorno vi furono cinque incendi, il 28 maggio prese fuoco il palazzo di Apraxin e all’intorno, su un’immensa superficie, tutto andò in fiamme. Tra il popolo cominciò a circolare la voce che erano stati gli studenti ad appiccare gli incendi c queste voci furono riprese dai giornali. Il proclama della «Giovane Russia j> che chiamava a una lotta cruenta contro tutto il regime esistente c giustificava tutti i mezzi, veniva considerato come una conferma delle voci sugli incendi appiccati. «Subito dopo il 28 maggio a Pietroburgo fu proclamato qualcosa di simile a uno stato d'assedio». Un comitato appositamente costituito fu incaricato di prendere misure straordinarie per la difesa del capitale. La città fu divisa in tre settori comandati da go- vernatori militari. Fu istituito un tribunale militare per i processi agli incendiari. Furono sospesi per otto mesi il Sovremiennti{ e il Russinole Sloro , fu soppresso il Dien di Axa- kov, vennero annunciate rigorose norme provvisorie sulla stampa (approvate fin dal 12 maggio, cioè prima degli incendi. Di conseguenza il « corso delle cose» veniva bru- scamente spinto dalla parte della reazione, e indipendentemente dagli incendi, nono- stante l’opinione del signor Panteleicv) c norme sulla sorveglianza delle tipografie, segui- rono numerosi arresti di carattere politico (Cernyscevski, N. Serno-Soloviovic, Ryniarenko c altri), vennero chiuso le scuole festive e le sale di lettura popolari, furono limitati i permessi di tenere conferenze pubbliche a Pietroburgo, fu chiusa la seconda sezione presso il Fondo letterario, venne chiuso perfino il circolo scacchistico. La Commissione d’inchiesta non scopri nessun legame tra gli incendi e la politica. Un membro della commissione, Stolbovski, raccontava al signor Panteleicv « come gli fosse riuscito nella commissione di smascherare i principali falsi testimoni che, a quanto pare, erano sem- plici strumenti degli agenti di polizia » (pp. 325-326). Quindi, vi è ogni ragione di credere che le voci sugli studenti 'incendiari fossero diffuse dalla polizia. Per calun- niare i rivoltosi che protestavano, sì speculava nel modo più infame sull’ignoranza del popolo, anche durante c al culmine dell‘« epoca delle grandi riforme ». 3 ° LENIN chero per il liberalismo del governo e si entusiasmava per l’era del progresso. Non vogliamo dire che di questa tattica poliziesco-reazionaria pre- meditata si rendessero pienamente conto tutti o anche soltanto alcuni membri della cricca dirigente e che fosse da essi sistematicamente per- seguita. Alcuni fra questi, certo, potevano, data la loro limitatezza, non riflettere su questa tattica nel suo complesso ed entusiasmarsi inge- nuamente del « liberalismo » senza notarne l’involucro poliziesco. Ma in generale è certo che l’esperienza collettiva e Tabito mentale collettivo dei dirigenti li spingeva a perseguire inflessibilmente questa tattica. Non per nulla la maggioranza degli alti dignitari e funzionari erano stati per lungo tempo al servizio di Nicola I, erano passati per un tiro- cinio poliziesco, e ne avevano viste, si può dire, di tutti i colori. Ricor- davano che i monarchi in un certo periodo avevano civettato con il liberalismo, in un altro erano stati i carnefici dei Radisrcev* e avevano «sguinzagliato» gli Arakceiev* contro i fedeli sudditi; ricordavano il 14 dicembre 1825 w e continuavano a adempiere la funzione di gen- darmi dell’Europa che il governo russo aveva esercitato nel 1848-1849’*, L’esperienza storica dell’autocrazia non soltanto spingeva il governo a seguire la tattica dell’intimidazione e della corruzione, ma induceva anche molti liberali indipendenti a raccomandare questa tattica al governo. Per dimostrare quanto giusta sia quest’ ultima opinione, ecco le considerazioni di Koscelev e di Kavelin. Net suo opuscolo* La Co- stituzione, l autocrazia e la Duma degli zemstvo (Lipsia, 1862), A. Ko- scelev si pronuncia contro la Costituzione, per una Duma consultiva degli zemstvo e prevede la seguente obiezione : « Convocare la Duma degli zemstvo significa condurre la Russia alla rivoluzione, ossia ripetere da noi gli Etats généraux , che si trasformarono nella Convenzione e conclusero la loro attività con gli avvenimenti del 1792, con le proscrizioni, la ghigliottina, le noyades , ecc. ». « No! signori — risponde Koscelev — non è la convocazione della Duma degli zemstvo che apre, prepara il terreno alla rivoluzione, come voi la intendete; ma la suscitano in modo ben più rapido e sicuro fazione indecisa e contraddit- toria del governo, i passi avanti e indietro, le imposizioni e le leggi irrea- lizzabili, il bavaglio imposto al pensiero e alla parola, la sorveglianza (aperta e ancor peggio segreta) della polizia sull’operato dei ceti e dei pri- vati, le meschine persecuzioni contro alcuni individui, le dilapidazioni del- l’erario, le sue esagerate e irragionevoli spese e ricompense, l’incapacità GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 3 1 degli uomini di governo e la loro estraniazione dalla Russia, ecc. ecc. An- cora più sicuramente possono portare alla rivoluzione (di nuovo nel signi- ficato che voi le date), in un paese che si è appena destato da un oppres- sione secolare, le pene corporali neiresercito, le prigioni e le* deportazioni: poiché le antiche ferite sono incomparabilmente più sensibili e irritabili di quelle nuove. Ma non temete: la rivoluzione provocata, come voi rite- nete, in Francia dai pubblicisti e da altri scrittori, da noi non ci sarà. Spe- riamo anche che in Russia non si costituirà (benché sia più difficile rispon- derne) una società di teste calde, disperate, che scelgano Tassassimo come mezzo per il raggiungimento dei loro scopi. Ma è assai più probabile e pericoloso che sorga, senza che la polizia degli zemstvo , cittadina e se- greta se ne accorga, sotto Tinfluenza della scissione, raccordo fra i conta- dini e i ceti urbani, ai quali si uniranno giovani e non giovani, redattori e sostenitori del Veliforuss, della ” Giovane Russia ” ecc. Tale accordo, che distruggerebbe tutto e predicherebbe Teguaglianza non davanti alle legge ma malgrado la legge [quale impareggiabile liberalismo! Noi, s’intende, siamo per Teguaglianza ma per Teguaglianza non malgrado la legge, che distrugge Teguaglianza!], non Yobstcina popolare, storica, ma la sua pro- genie malaticcia, e il potere non della ragione, di cui tanta paura hanno certi faccendieri di Stato, ma il potere della forza bruta alla quale essi stessi così volentieri ricorrono, quest’accordo, ripeto, da noi é molto più possi- bile e può essere molto più forte delTopposizione al governo, moderata, benpensante e indipendente, che tanto ripugna ai nostri burocrati e che essi in tutti i modi perseguitano e tentano di soffocare. Non pensate che il partito della stampa interna, segreta, anonima sia poco numeroso e debole, e non illudetevi di averne afferrato i rami e le radici; no! Dall’interdizione la gioventù imparerà; elevando le monellerie al grado di delitti di Stato, e con tutte le meschine persecuzioni e sorveglianze voi avete decupli- cato la forza di questo partito, lo avete disseminato e moltiplicato in tutto l’impero. Se d’un tratto avverrà questo accordo, a che cosa ricorreranno i nostri uomini di governo? Alla forza armata? Ma si potrà contare con si- curezza su di essa? » (pp. 49-51). Dalle frasi ampollose di questa tirata non scaturisce forse con evi- denza la tattica : sterminare le « teste calde » e i sostenitori dell’« ac- cordo fra i contadini e i ceti urbani » e soddisfare, invece, e dividere con delle concessioni «l’opposizione benpensante moderata»? Tut- tavia il governo si dimostrò più intelligente e astuto di quanto s’im- maginavano i signori Koscelev e se la cavò con concessioni meno im- portanti della Duma « consultiva » degli zemstvo . Ed ecco una lettera privata di K. D. Kavelin a Herzen, in data 6 3 * LENIN agosto 1862: « ... Le notizie dalla Russia, a mio avviso, non sono così cattive. È stato arrestato non Nikolai ma Alexandr Soloviovic. Gli arresti non mi sorprendono e, lo ammetto, non mi sembrano scanda- losi. Il partito rivoluzionario ritiene utili tutti i mezzi per rovesciare il governo, e il governo si difende con tutti i mezzi. Altra cosa erano gli arresti e le deportazioni durante il regno dell’odiato Nicola I. La gente veniva rovinata per le sue idee, le sue convinzioni, la sua fede e le sue parole. Vorrei che ti trovassi al posto del governo, e vorrei allora vedere come agiresti contro partiti che segretamente e apertamente la- vorano contro di te. Amo Ccrnyscevslci, lo amo tanto, ma un uomo così brouillon [attaccabrighe, litigioso, non socievole, che semina di- scordie], così privo di tatto, presuntuoso, non Pho visto mai. Rovinarsi per nulla, ma proprio per nulla! Che gli incendi e i proclami siano conseguenza gli uni degli altri ora è fuori di dubbio• **. Ecco un piccolo esempio di servile e professorale profondità di pensiero! Col- pevoli di tutto sono questi rivoluzionari, tanto presuntuosi da fischiare i liberali parolai, tanto dispettosi da lavorare segretamente e aperta- mente contro il governo, così privi di tatto da finire nella fortezza di Pietro e Paolo. Con gente simile, anche lui, il professore liberale, la farebbe finita « con tutti i mezzi », se fosse al potere. II Dunque, la riforma degli zemstvo fu una di quelle concessioni che londata delPeffervescenza sociale e della pressione rivoluzionaria strappò al governo autocratico. Ci siamo particolarmente soffermati a esprimere il nostro giudizio su questa pressione per completare e correggere Pesposizione del Promemoria , il cui burocratico autore ha lasciato nell’ombra la lotta che ha dato origine a questa concessione. Ma il carattere indeciso, codardo di questa concessione è abbastanza chiaramente delineato anche dal Promemoria : c All’inizio, quando ci si era appena accinti alla riforma degli zemstvo , è indubbio che si intendeva fare il primo passo verso la costituzione di isti- • Citiamo secondo la traduzione tedesca d coedizione fatta da Dragomanov del carteggio di K. D. Kavelin c 1 . S. Turgheniev con A. I. Hcrzen: Bibliothek russischcr Denkwurdigkeiten, heranagegeben von T. Schiemann, Bd 4, S. 65-66, Stuttgart, 1894. GLI ANNIBALI DF.L LIBERALISMO 33 tuti rappresentativi # , ma poi, quando il conte Lanskoi e N. A. Miliutin furono sostituiti dal conte Valuiev, si manifestò molto chiaramente il de- siderio, non negato neppure dallo stesso ex ministro degli interni, di agire con spirito ” conciliativo ”, con ” dolcezza e ambiguità ” Lo stesso go- verno non ha chiarito a se stesso le proprie intenzioni ”, diceva allora Valuiev. In una parola, fu fatto il tentativo — che, purtroppo, assai spesso ripetono gli uomini di governo e che dà sempre dei risultati negativi per tutti — di agire in modo ambiguo fra due opinioni opposte e di man- tenere, pur soddisfacendo le aspirazioni liberali, lordine esistente ». Divertente questo farisaico « purtroppo»! Il ministro di un governo di polizia presenta qui come fortuita la tattica che questo governo deve necessariamente seguire , quella che ha applicato nelPemana- zione delle leggi sull'ispezione di fabbrica, della legge sulla riduzione della giornata lavorativa (2 giugno 1897), e che applica anche adesso (1901) mediante il civettare del generale Vannovski con la «società». « Da un lato, nella glossa del regolamento per gli istituti degli zem- stvo si diceva che il compito della legge progettata era lo sviluppo possi- bilmente completo e conseguente del principio dell’autonomia locale, che l’amministrazione degli zemstvo è solo un organo particolare dello stesso potere statale... L’allora organo del ministero degli interni, la Sievernaia Poeta , nei suoi articoli indicava molto chiaramente che gli istituti che sa- rebbero stati costituiti sarebbero stati una scuola di preparazione per gli organi rappresentativi. Dall’altro lato... gli istituti degli zemstvo vengono chiamati nella glossa istituti privati e pubblici, che si debbono subordinare alle leggi ge- nerali alla stessa stregua delle singole società e dei privati. Tanto le decisioni stesse del regolamento del 1864 quanto, in partico- lare, tutti i successivi provvedimenti del ministero degli interni relativi agli istituti degli zemstvo attestano abbastanza chiaramente che si temeva molto V” autonomia" degli istituti degli zemstvo , e si temeva di dare loro il dovuto sviluppo, comprendendo perfettamente a che cosa essi avrebbero condotto ». (Il corsivo è dappertutto nostro) « ... È fuori dubbio che coloro i quali dovettero portare a termine la riforma degli zemstvo, la fecero soltanto quale concessione all opinione pubblica , allo scopo, come specificava la • « È indubbio » che l’autore del Promemoria, il quale ripete le parole di Leroy- Beaulieu, cade nel l’abituale esagerazione burocratica. « È indubbio » che nè Lanskoi nè Miliutin in realtà non avevano in mente nulla eli preciso, ed c ridicolo prendere per un « primo passo » le frasi ambigue di Miliutin (« per principio è fautore della Costi- tuzione. ma ritiene che la sua applicazione sìa prematura »). 34 LENIN glossa, di ” porre un limite alle irrealizzabili aspettative e alle libere aspi- razioni dei diversi ceti sorte a proposito della costituzione degli istituti degli zemstvo ; nello stesso tempo costoro la [? riforma?] comprende- vano chiaramente e si sforzavano di non dare allo zemstvo il dovuto svi- luppi >, di attribuirgli un carattere privato, di limitarne le competenze, ecc. Tranquillizzando i liberali con la promessa che il primo passo non sarebbe stato Tultimo, dicendo o, meglio, ripetendo ai seguaci della tendenza libe- rale che era necessario investire gli istituti degli zemstvo di un potere reale e autonomo, il conte Valuiev già durante l’elaborazione del regolamento del 1864 si sforzava in tutti i modi di limitare questo potere e di sotto- porre gli istituti degli zemstvo a una rigorosa tutela amministrativa ... Non compenetrate da nessuna idea direttiva, essendo frutto di un com- promesso tra due tendenze opposte, gli istituti degli zemstvo , nella forma in cui li creò il regolamento del 1864, dimostrarono, quando cominciarono a funzionare, di non rispondere nè all’idea fondamentale deirautonomia, posta alla loro base, nè al sistema amministrativo nel quale furono mec- canicamente inseriti e che, per giunta, non* venne riformato e neppure ade- guato alle nuove condizioni di vita. Con il regolamento del 1864 si tentò di conciliare cose inconciliabili e soddisfare così contemporaneamente i fautori e gli avversari delFautonomia degli zemstvo, At primi si offriva una forma vuota di contenuto e la speranza nell’ avvenire; per accontentare 1 secondi la competenza degli istituti degli zemstvo era stabilita in modo estremamente elastico ». Come sanno talvolta inavvertitamente colpire nel segno i nostri mi- nistri quando vogliono dare lo sgambetto a qualche collega e mostrare la loro sagacia, e come sarebbe utile a tutte le belle anime farisee russe e a tutti gli ammiratori delle grandi « riforme » attaccare al muro di casa in una cornice dorata i grandi comandamenti della saggezza poliziesca: «tranquillizzare i liberali con la promessa che il primo passo non sarà Tultimo», «offrire» loro «una forma vuota di con- tenuto » e « la speranza nell’avvenire »! Soprattutto in questo momento sarebbe utile consultare questi precetti quando si leggono gli articoli o le note di giornale sull’* amorevole tutela» del generale Vannovski. Quindi, lo zemstvo fu fin dall’inizio condannato a essere la quinta ruota del carro deiramministrazione statale russa, una ruota ammessa dalla burocrazia solo nella misura in cui la sua onnipotenza non ve- niva intaccata, e la funzione dei rappresentanti del popolo venne limi- tata alla nuda pratica, alla semplice esecuzione tecnica di certi compiti sempre tracciati dagli stessi funzionari. Gli zemstvo non avevano prò- GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 35 pri organi esecutivi, dovevano agire tramite la polizia; gli zmestvo non erano collegati gli uni con gli altri e vennero immediatamente sot- toposti al controllo delle autorità. E, dopo aver fatto una concessione per esso cosi innocua, il governo airindomani stesso della costituzione dello zemstvo si mise sistematicamente a vessarlo e a limitarne i poteri : l’onnipotente cricca dei funzionari non poteva andare d accordo con la rappresentanza elettiva di tutti i ceti e si mise a perseguitarla in tutti i modi. I dati raccolti su questa persecuzione, sebbene siano eviden- temente incompleti, costituiscono una parte molto interessante del Promemoria. Abbiamo visto con quale codardia e mancanza di discernimento agirono i liberali nei confronti del movimento rivoluzionario airinizio degli anni sessanta. Invece di sostenere « laccordo dei ceti urbani e dei contadini con i fautori del Vehforitss », essi ebbero paura di quest’accordo e se ne servirono per spaventare il governo. Invece di sollevarsi in difesa dei capi del movimento democratico perseguitati dal governo se ne lavarono farisaicamente le mani e giustificarono il governo. E vennero giustamente puniti per questa politica da traditori, politica fatta di chiassosa retorica e di vergognosa freddezza. Tolti di mezzo gli uomini capaci non solo di parlare ma anche di lottare per la libertà, il governo si sentì forte abbastanza da sloggiare i liberali anche dalle posizioni modeste e secondarie che essi avevano oc- cupato « con l’autorizzazione delle autorità ». Fino a quando esistette la seria minaccia di un « accordo dei ceti urbani e dei contadini » con i rivoluzionari, lo stesso ministero degli interni veniva biascicando di una « scuola di preparazione per gli organi rappresentativi », ma quando gli schiamazzatori e gli « attaccabrighe » « privi di tatto e pre- suntuosi » vennero tolti di mezzo, gli « scolari » furono fatti rigar dritto senza cerimonie. Incomincia un’epopea tragicomica: lo zemstvo sol- lecita l’estensione dei suoi diritti, mentre gli vengono incessantemente tolti, uno dopo l’altro, tutti i diritti, e alle sue sollecitazioni viene ri- sposto con « paternali » edificanti. Ma lasciamo parlare le date storiche, pur limitandoci a quelle citate nel Promemoria. Il 12 ottobre 1866 una circolare del ministero degli interni pone gli impiegati degli zemstvo alla completa dipendenza degli organismi go- vernativi. Il 21 novembre 1866 esce una legge che limita il diritto degli zemstvo di imporre tributi alle aziende commerciali e industriali. Nel- l’assemblea dello zemstvo di Pietroburgo del 1867 si critica aspramente 3 * LENIN questa legge e si approva (su proposta del conte A. P. Sciuvalov) la decisione di far istanza al governo affinchè le questioni contemplate da questa legge siano esaminate e trattate « dalle forze unite deirammini- strazione centrale e dello zemstvo ». A questa istanza il governo ri- sponde con la soppressione degli istituti dello zemstvo di Pietroburgo e con repressioni: il presidente del consiglio dello zemstvo di Pietro- burgo, Kruze, viene mandato a Orenburg, il conte Sciuvalov a Parigi, il senatore Liubostcinski riceve l’ordine di rassegnare le dimissioni. L’organo del ministero degli interni, la Sievemaia Poeta , pubblica un articolo nel quale « si spiega questa rigorosa misura punitiva col fatto che anche le assemblee dello zemstvo , appena venivano aperte le sedute, agivano in contrasto con la legge » (con quale legge? e perchè i trasgressori non erano perseguiti a termine di legge ? ma non era stato appena istituito un tribunale rapido, giusto e clemente?) «e, invece di sostenere le assemblee degli zemstvo degli altri governatorati, ser- vendosi dei diritti loro elargiti dall’autorità suprema perchè tutelassero efficacemente gli interessi economici dello zemstvo locale loro affidato [ossia invece di obbedire umilmente e di non staccarsi dalle « vedute * della burocrazia], mostravano continuamente la tendenza, con deluci- dazioni inesatte e con errate interpretazioni delle leggi, a eccitare i sentimenti di diffidenza e di irriverenza verso il governo ». Non c’è da stupirsi se dopo tale lezione « gli altri zemstvo non appoggiarono quello di Pietroburgo, benché la legge del 21 novembre 1866 avesse suscitato un forte malcontento; nelle assemblee molti dicevano che essa equivaleva alla distruzione degli zemstvo ». 11 16 dicembre 1866 appare un « chiarimento » del Senato che con- ferisce ai governatori il diritto di non ratificare la nomina di tutti co- loro che, pur essendo stati eletti dairassemblea dello zemstvo , sono stati dichiarati persone sospette dal governatore. Il 4 maggio 1867 ab- biamo un altro chiarimento del Senato: non è conforme alla legge la comunicazione dei progetti degli zemstvo a tutti gli altri governatorati, poiché gli istituti degli zemstvo debbono gestire gli affari locali. Il 13 giugno 1867 si ebbe il parere del Consiglio di Stato, ratificato dalla massima autorità, che vietava di pubblicare, senza il permesso delle autorità governatoriali locali, le decisioni che erano state prese nelle pubbliche assemblee degli zemstvo , di città e di ceto, i verbali delle GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 37 sedute, il dibattito nelle assemblee, ecc. Inoltre, la stessa legge amplia il potere dei presidenti delle assemblee degli zemstvo t conferendo loro il diritto di sciogliere le assemblee, e impone, minacciando misure pu- nitive, di sciogliere le assemblee nelle quali si prendano in esame que- stioni in contrasto con la legge. L’opinione pubblica accoglie questa misura con molta ostilità e la considera come una seria limitazione delTattività degli zemstvo . « Tutti sanno — scriveva nel suo diario Ni- kitenko — che la nuova legge, in forza della quale i presidenti delle assemblee e i governatori hanno ricevuto un potere pressoché illimi- tato sullo zemstvo , lega lo zemstvo mani e piedi ». La circolare dell’8 ottobre 1868 fa obbligo di richiedere Pautorizzazione dei governatori per la pubblicazione dei verbali anche dei consigli degli zemstvo e limita i contatti fra gli zemstvo . Nel 1869 si istituiscono gli ispettori delle scuole elementari al fine di sottrarre allo zemstvo l’effettiva dire- zione dell’istruzione elementare. Un regolamento del Comitato dei mi- nistri, ratificato dalla massima autorità il 19 settembre 1869, riconosce che « gli istituti degli zemstvo , tanto per la loro composizione quanto per i principi fondamentali su cui poggiano, non sono autorità gover- native ». La legge del 4 luglio e la circolare del 22 ottobre 1870 confer- mano e rafforzano la dipendenza degli impiegati degli zemstvo dai go- vernatori. Nel 1871 un’istruzione agli ispettori delle scuole elementari autorizza questi ultimi a licenziare i maestri ritenuti sospetti, a sospen- dere ogni decisione del consiglio della scuola deferendo la soluzione della questione al provveditore. Il 25 dicembre 1873 Alessandro II, in un rescritto diretto al ministro dell’istruzione pubblica, esprime il ti- more che l’istruzione elementare per insufficiente sorveglianza possa essere trasformata « in uno strumento di corruzione morale del popolo, di cui già si sono notati alcuni tentativi », e ordina ai marescialli della nobiltà di contribuire con il loro personale intervento a garantire Pin- fluenza morale di queste scuole. In seguito, nel 1874 esce un nuovo re- golamente sulla scuola elementare che mette tutti i poteri di direzione di questa scuola nelle mani dei direttori. Lo zemstvo « protesta », se si può senza ironia chiamare protesta l’istanza (presentata dallo zemstvo di Kazan nel 1874) che chiede una revisione della legge a cui parteci- pino i rappresentanti dello zemstvo. L’istanza, naturalmente, viene re- spinta. Ecc. ecc. 38 LENIN III Queste furono le prime lezioni impartite ai cittadini russi nella « scuola di preparazione per gli organi rappresentativi * organizzata dal ministero degli interni. Fortunatamente, oltre agli scolari politici, — i quali a proposito delle dichiarazioni costituzionalistc degli anni sessanta scrivevano: «È ora di finirla con le sciocchezze e di comin- ciare a fare sul serio; e il serio oggi e negli istituti degli zemstvo e in nessuno altro posto » * — vi erano in Russia anche degli « attaccabri- ghe » che non si accontentavano di questa « tattica » e che andavano tra il popolo a far propaganda rivoluzionaria. Nonostante che essi marciassero sotto la bandiera di una teoria che in sostanza non era ri- voluzionaria, la loro propaganda destava pur sempre un sentimento di malcontento e di protesta in larghi strati della gioventù colta. Nono- stante la teoria utopistica, che negava la lotta politica, il movimento portò allo scontro disperato di un pugno di croi col governo, alla lotta per la libertà politica. Grazie a questa lotta, e solo grazie ad essa, le cose cambiarono ancora una volta, il governo fu ancora una volta co- stretto a fare delle concessioni, e la società liberale dimostrò ancora una volta la propria immaturità politica, Tincapacità di appoggiare i com- battenti e di esercitare una vera pressione sul governo. Le aspirazioni costituzionaliste dello zemstvo si rivelarono chiaramente, ma furono uno * slancio » impotente. Eppure lo stesso liberalismo degli zemstvo aveva fatto un notevole passo avanti dal punto di vista politico. Par- ticolarmente degno di nota il suo tentativo di costituire un partito clandestino e di fondare un suo proprio organo politico. Il Prome- moria Wittc raggruppa i dati di alcune opere illegali (Kennan, Dra- gomanov, Tikhomirov) per caratterizzare la « via sdrucciolevole » (p. 98) sulla quale si erano messi gli zemstvo. Alla fine degli anni set- tanta si tennero alcuni congressi dei liberali degli zemstvo in cui si decise di « prendere delle misure per far cessare almeno temporanea- mente la deleteria attività del partito rivoluzionario estremo, poiché si era convinti che non si sarebbe potuto ottenere nulla coi mezzi pa- cifici se i terroristi avessero continuato a irritare e allarmare il governo con minacce e atti di violenza » (p. 99). Quindi, invece di preoccuparsi * Lettera di Kavelin ai familiari (1865), a proposito dell’istanza della nobiltà moscovita che chiedeva di «convocare un’assemblea generale di rappresentanti della terra russa per esaminare 1 bisogni comuni a tutto lo Stato». CU ANNIBALI DEL LIBERALISMO 39 di allargare la lotta, di far appoggiare i rivoluzionari isolati da uno strato sociale più o meno largo, di organizzare in qualche modo un attacco comune (sotto forma di manifestazioni, di rifiuto degli zemstvo di effettuare le spese obbligatorie, ecc.), i liberali ricominciano sem- pre con lo stesso «tatticismo»: «non irritare» il governo! ottenere « con mezzi pacifici », i quali mezzi pacifici avevano brillantemente dimostrato la loro inconsistenza negli anni sessanta *! Si capisce che i rivoluzionari non accettarono nessuna cessazione o interruzione delle operazioni militari. I fautori degli zemstvo formarono allora una « lega degli elementi di opposizione », trasformatasi poi in « Società dell’u- nione degli zemstvo e dell’autonomia », oppure « Unione degli zem- stvo ». Il programma delF« Unione degli zemstvo » chiedeva : i) libertà di parola e di stampa; 2) immunità della persona e 3) convocazione dell'Assemblea costituente. Il tentativo di pubblicare opuscoli illegali in Galizia non riuscì (la polizia austriaca confiscò i manoscritti e ar- restò le persone che intendevano pubblicarli), e organo dell’« Unione degli zemstvo » diventò nell'agosto 1881 la rivista Volnoie Slovo che uscì a Ginevra sotto la direzione di Dragomanov (ex professore del- l’Università di Kiev). « In fin dei conti — scriveva lo stesso Drago- manov nel 1888 — ... la pubblicazione del Volnoie Slovo come organo degli zemstvo non è stata un’esperienza fortunata, anche per il solo motivo che in realtà i materiali degli zemstvo cominciarono ad arri- vare regolarmente alla redazione solo alla fine del 1882, e nel maggio 1883 la pubblicazione era già cessata » (< op . cit. y p. 40). L’insuccesso del l’organo liberale fu il naturale risultato della debolezza del movimento liberale. Il 20 novembre 1878 a Mosca Alessandro II, in un discorso ai rappresentanti dei ceti, espresse la speranza che essi avrebbero « con- tribuito a riportare sulla giusta via la gioventù fuorviata da uomini so- spetti ». Più tardi anche nel Pr avitei stvenny Viestnik, (1878, n. 186) fu pubblicato un appello che sollecitava il contributo della « società ». Cin- que assemblee di zemstvo (di Kharkov, Póltava, Ccrnigov, Samara e * Diceva giustamente Dragomanov: « Insomma, metodi interamente pacifici il li- beralismo russo non può averne, perche ogni dichiarazione che auspichi un cambiamento dell’amministrazione superiore è da noi vietato dalle leggi. I liberali degli zemstvo avrebbero dovuto passare decisamente oltre questo divieto e, almeno in questo modo, dar prova della loro forza sia di fronte al governo che di fronte ai terroristi. Siccome i liberali degli zemstvo non dettero prova di possedere questa forza, fecero in tempo a vedere le intenzioni del governo di eliminare anche i già ridotti istituti degli zemstvo » {op. rr/., pp. 41-42). Tver) risposero affermando la necessità di convocare lo zemsfy sobor. « Si può anche pensare — scrive l'autore del Promemoria Witte, dopo aver esposto in maniera particolareggiata il contenuto di questi indi' rizzi, tre dei quali soltanto poterono essere interamente pubblicati dalla stampa — che le dichiarazioni degli zemstvo sulla convocazione dello zemskj sobor sarebbero state molto più numerose se il ministero degli interni non avesse tempestivamente preso delle misure per impedire tali dichiarazioni: ai marescialli della nobiltà, che presiedevano le as- semblee governatoriali degli zemstvo , fu inviata una circolare affinchè non permettessero nemmeno la lettura di simili indirizzi nelle as- semblee. In alcuni luoghi dei consiglieri furono arrestati e deportati, e a Cernigov la sala delle sedute venne fatta sgombrare dai gendar- mi » (p. 104). Le riviste e i giornali liberali appoggiavano questo movimento e una petizione di « venticinque notabili di Mosca » a Loris-Melikov au- spicava che si convocasse un'assemblea indipendente di rappresentanti degli zemstvo e che si proponesse a questa assemblea di partecipare alla direzione del paese. E la nomina di Loris-Melikov a ministro degli interni fu, apparentemente , una concessione del governo. Ma apparen- temente, appunto, perchè non solo non venne compiuto nessun passo decisivo, ma non furono fatte nemmeno dichiarazioni precise, che non potessero dar luogo a dubbie interpretazioni. Loris-Melikov con- vocò i redattori delle pubblicazioni periodiche di Pietroburgo ed espose loro il « programma » : conoscere i desideri, i bisogni, ecc. della popo- lazione, dare la possibilità allo zemstvo ecc. di godere dei diritti che la legge gli conferiva (un programma liberale che garantisce agli zem- stvo i 4 diritti » che la legge limita loro sistematicamente!), ecc. L'au- tore del Promemoria scrive: «Attraverso i suoi interlocutori — è a questo scopo che essi erano stati invitati — il ministro fece conoscere a tutta la Russia il suo pro- gramma, che, in sostanza, non prometteva nulla di preciso. Ognuno poteva dedurne quel che voleva, cioè tutto o niente. Aveva ragione a modo suo [solo « a modo suo », e non assolutamente, « in tutti i modi »?] un foglio clandestino del tempo, in cui si diceva che nel pro- gramma si può scorgere e " il dimenio della coda della volpe ” e il " di- grignar di denti del lupo ”, Tale attacco all’indirizzo del programma e del suo autore è tanto più comprensibile in quanto, nel comunicarlo ai rappresentanti della stampa, il conte aveva loro raccomandato con GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 41 insistenza di ” non turbare e non agitare inutilmente le menti della * società * con fantastiche illusioni ” ». Ma i liberali degli zemstvo non diedero retta a questa verità del foglio clandestino e presero il dimenio della « coda della volpe » per un « nuovo corso », cui si poteva prestar fede. « Lo zemstvo aveva fiducia e simpatia per il governo — dice il Promemoria Witte ripetendo le parole delPopuscolo clandestino Le opinioni delle assemblee degli zemstvo sull* attuale situazione della Russia — e sembrava avesse paura di andare troppo avanti, di chieder troppo ». È caratteristica l’opinione liberamente espressa dai sostenitori degli zemstvo : l’c Unione degli zemstvo » aveva appena deciso, nel congresso del 1880, « di ottenere una rappresentanza popolare centrale a una condizione imprescindibile: Camera unica e suffragio universa- le»; e questa decisione si cerca di attuarla con la tattica del « non andar troppo avanti », dell \aver fiducia e simpatia » in dichiarazioni ambigue e per nulla impegnative! Con un’ingenuità imperdonabile i membri degli zemstvo immaginavano che presentare petizioni signifi- casse « ottenere », e le petizioni degli zemstvo piovevano in abbondan- za. Loris- Melikov il 28 gennaio 1881 presentò allo zar, esprimendogli la sua profonda devozione, un rapporto in cui proponeva la formazione di una commissione di deputati degli zemstvo , col solo diritto di voto consultivo, per la elaborazione dei progetti di legge che « la volontà so- vrana» le avrebbe indicato. Una conferenza convocata da Alessandro II approvò questa misura; le conclusioni della conferenza del 17 feb- braio 1881 furono ratificate dallo zar, il quale approvò anche il testo del comunicato governativo proposto da Loris-Melikov. « È indubbio — scrive l’autore del Promemoria Witte — che l’isti- tuzione di una commissione puramente consultiva non creava ancora la Costituzione ». Ma — egli prosegue — non si può negare che ciò era un altro passo avanti (dopo le riforme degli anni sessanta) verso la Costituzione, e solo verso la Costituzione. E l’autore ripete la notizia apparsa sulla stampa estera secondo cui Alessandro II avrebbe detto a proposito del rapporto di Loris-Melikov : « Ma si tratta degli Etats généraux »... « Quel che ci propongono non è altro che Tassemblea dei notabili di Luigi XVI ». Da parte nostra rileviamo che la realizzazione del progetto di Lo- ris-Melikov avrebbe potuto essere, in certe condizioni, un passo verso la Costituzione, ma avrebbe anche potuto non esserlo. Tutto dipen- deva da chi avrebbe avuto il sopravvento: la pressione del partito ri- LENIN il voluzionario e della società liberale o la resistenza del partito degli inflessibili fautori dell’autocrazia, molto potente, compatto e senza scrupoli nella scelta dei mezzi? Se si parla non di quello che avrebbe potuto esservi, ma di quello che vi fu, bisogna costatare il fatto indi- scutibile che il governo esitava. Gli uni erano per una lotta risoluta contro il liberalismo, gli altri per le concessioni. Ma — e ciò è parti- colarmente importante — anche questi ultimi esitavano, perchè non avevano nessun programma ben definito ed erano rimasti al livello di burocrati-affaristi. « Il conte Loris-Melikov — dice l’autore del Promemoria Witte — sembrava temesse di guardare le cose in faccia, di definire con assoluta precisione il suo programma, e continuava — in un’altra direzione, è vero — la precedente politica ambigua che già il conte Valuiev aveva se- guito verso gli istituti degli zemstvo. Come era stato giustamente rilevato anche nella stampa legale di allora, lo stesso programma annunciato da Loris-Melikov si distingueva per una grande incertezza. Questa incertezza si vede anche in tutti gli atti e le pa- role del conte che seguirono. Da un lato, egli dichiarava che l’autocrazia ”è staccata dalla popolazione”, che ” essa considera sua forza principale” l’appoggio della ” società che la riforma progettata ” non era da essa ritenuta come qualche cosa di definitivo, ma solo un primo passo ”, ecc. In pari tempo, dall’altro lato, il conte dichiarava ai rappresentanti della stam- pa che ” ... le speranze suscitate nella ’ società 1 non erano che fantastiche illusioni... ”, e nel deferentissimo rapporto presentato al sovrano dichiarava categoricamente che lo zemskj sobor sarebbe stato una ” pericolosa espe- rienza di ritorno al passato». ”, che la misura da lui progettata non avrebbe affatto significato una limitazione dell’autocrazia, poiché non aveva nulla in comune con le forme costituzionali dell’Occidente. In generale, secondo la giusta osservazione di L. Tikhomirov, il rapporto stesso si distingueva per la sua forma straordinariamente confusa » (p. 117). Nei confronti, poi dei combattenti per la libertà Loris-Melikov, questo famigerato eroe delia « dittatura del cuore * spinse « la sua crudeltà sino al punto di far condannare a morte un giovane diciasset- tenne trovato in possesso di un manifestino, fatto questo mai verifi- catosi, nè prima nè dopo di lui. Loris-Melikov non dimenticò i più remoti angoli della Siberia per peggiorare le condizioni delle persone che erano state punite per propaganda » (V. Zasulic, nel n. 1 del So- ziaUDemokraty p. 84). Nel momento in cui il governo era preso da tali GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 43 esitazioni, soltanto una forza capace di condurre una lotta seria avrebbe potuto ottenere la Costituzione, ma questa forza non esisteva: i rivolu- zionari .si erano esauriti con il i° marzo, tra la classe operaia non vi era nè un largo movimento, nè una forte organizzazione, la società liberale si dimostrò, anche allora, ancora cosi arretrata politicamente da limitarsi, anche dopo l’uccisione di Alessandro III, a presentare delle istanze. Presentavano istanze gli zemstvo e le città, ne presentava la stampa liberale (il Poriado^ la Stranà, il Golos\ ne presentavano — in una forma particolarmente ossequiente, sofisticata e nebulosa — gli autori liberali delle relazioni (marchese Velepolski, prof. Cicerin e prof. Gradovski; il Promemoria Witte ne espone il contenuto secondo l’opuscolo londinese*: La Costituzione del conte Loris-Melikjov , Fon- do della stampa russa libera, Londra, 1893), escogitando « ingegnosi tentativi per far passare al monarca la sospirata linea senza che se ne accorgesse». Tutte queste prudenti istanze e ingegnose invenzioni, non appoggiate da nessuna forza rivoluzionaria, non servirono natu- ralmente a nulla, e il partito dell’autocrazia vinse; vinse nonostante che 1*8 marzo 1881 al consiglio dei ministri la maggioranza (sette con- tro cinque) si pronunciasse a favore del progetto di Loris-Melikov. (Così dice lopuscolo, ma l’autore del Promemoria Witte, che copia dall’opuscolo con tanto zelo, chissà perchè dichiara qui : « Non si sa con precisione cosa avvenne in quella riunione — dell’8 marzo — e a quali conclusioni essa giunse; basarsi sulle voci giunte alla stampa estera sarebbe imprudente », p. 124). Il 29 aprile 1881 uscì il manifesto, chiamato da Katkov « manna celeste », sulla conferma e la salvaguar- dia deirautocrazia. Per la seconda volta dopo l’emancipazione dei contadini l’ondata rivoluzionaria fu respinta, e al movimento liberale seguì quindi per la seconda volta la reazione che, naturalmente, fece versare amare lacri- me alla società progressiva russa. Noi siamo veri maestri nel piangere : piangiamo per la mancanza di tatto e la presunzione dei rivoluzionari quando questi se la prendono col governo; piangiamo per l’indecisione del governo quando questi, non vedendo davanti a sè una vera forza, •L’autore del Promemoria ricopia, in generale, con la massima accuratezza, come abbiamo visto, gli opuscoli illegali e riconosce che « dai loro punti di vista la stampa clandestina e le pubblicazioni estere davano una valutazione abbastanza giusta dello stato delle cose » (p. 91). Il dotto « statalista ^ russo di originale ha solo qualche materiale grezzo, e deve prendere in prestito dalle pubblicazioni clandestine tutte le principali idee sulle questioni politiche in Russia. 44 LENIN* fa delle pseudoconcessioni e, dando con una mano, toglie con l’altra; piangiamo per « i tempi senza principi e senza ideali », quando il go- verno, dopo aver fatto i conti con i rivoluzionari non sostenuti dal po- polo, cerca di riguadagnare il perduto e raccoglie le forze per una nuova lotta. IV L’epoca della « dittatura del cuore », come venne chiamata l’epoca del ministero Loris-Melikov, dimostrò ai nostri liberali che persino il «costituzionalismo» di un ministro, sia pure di un primo ministro, anche quando il governo ha un atteggiamento del tutto indeciso e la maggioranza del Consiglio dei ministri approva il « primo passo verso la riforma », non garantisce assolutamente nulla se non vi è una forza sociale seria capace di costringere il governo a cedere. È inoltre inte- ressante il fatto che lo stesso governo di Alessandro III, persino dopo l’emanazione del manifesto sul mantenimento dell’autocrazia, non fece subito vedere tutti gli artigli, ma ritenne necessario fare il tenta- tivo di prendere in giro per qualche tempo la «società». Dicendo « prendere in giro » non intendiamo attribuire alla politica del governo nessun piano machiavellico di questo o quel ministro, dignitario, ecc. Non si insiste mai abbastanza sul fatto che il sistema delle pseudo- concessioni e di alcuni passi apparentemente importanti per « venire incontro » all’opinione pubblica era entrato nella carne e nel sangue di ogni governo moderno, quello russo compreso, giacche anche il go- verno russo già da generazioni aveva capito la necessità di tener conto in un modo o nell’altro dell’opinione pubblica, già da generazioni aveva educato statisti raffinati nell’arte della diplomazia interna. Uno di questi diplomatici, che ebbe il compito di coprire la ritirata del go- verno verso la reazione aperta, fu il conte Ignatiev, ministro degli interni che sostituì Loris-Melikov. Ignatiev agì più di una volta da perfetto demagogo e imbroglione, cosicché l’autore del Promemoria Witte manifesta non poca « benevolenza poliziesca » definendo il pe- riodo del suo ministero un « tentativo mal riuscito di creare un’am- ministrazione autonoma locale della terra, con lo zar autocratico alla testa ». È vero che questa « formula » fu lanciata, precisamente in quel tempo, da I. S. Axakov, che il governo se ne servì per le sue manovre, e fu criticata da Katkov, il quale dimostrò in modo circostanziato che GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 45 esiste un inevitabile legame fra l’autonomia locale e la Costituzione. Ma sarebbe indizio di miopia il voler spiegare una determinata tat- tica del governo di polizia (tattica che gli è propria, per la sua stessa natura) con il sopravvento in quel periodo di questa o quella conce- zione politica. Ignatiev in una sua circolare promise che il governo «avrebbe senza indugio preso misure per fissare i giusti metodi che possono as- sicurare il massimo successo all’effettiva partecipazione degli espo- nenti locali airesecuzione delle direttive deirautorità suprema». Gli zemstvo risposero a questo « appello » presentando istanze per la « convocazione dei deputati del popolo » (dalle memorie di un consi- gliere dello zemstvo di Cerepoviets; dell’opinione di un consigliere dello zemstvo di Kirillov il governatore non permise nemmeno la pubblicazione). Il governo ordinò ai governatori di « non inoltrare » queste istanze, « e nello stesso tempo furono, a quanto pare, prese mi- sure affinchè simili istanze non fossero avanzate in altre assemblee ». Venne compiuto il famoso tentativo di convocare, a scelta dei ministri, dei « competenti » (per esaminare le questioni della riduzione delle quote per il riscatto, della disciplina delle migrazioni interne, della ri- forma deiramministrazione locale, ecc.). « I lavori delle commissioni di esperti non suscitarono simpatie nell’opinione pubblica e, nonostante tutte le misure preventive , provocarono perfino l’aperta protesta degli zemstvo . Dodici assemblee degli zemstvo chiesero in un’istanza che membri degli zemstvo venissero invitati a partecipare all’attività legi- slativa non in casi singoli e su nomina del governo, ma in modo per- manente, e che fossero eletti dagli zemstvo ». Nello zemstvo di Samara questa proposta fu bocciata dal presidente, « dopo di che l’assemblea si sciolse in segno di protesta » (Dragomanov, op. cit., p. 29; Promemo- ria, p. 131). Che il conte Ignatiev ingannasse i membri degli zemstvo risulta per esempio da questo fatto: «Il maresciallo della nobiltà di Poltava, signor Ustimovic, autore del progetto dell’indirizzo costitu- zionale del 1879, dichiarò pubblicamente all’assemblea governatoriale della nobiltà di aver ricevuto dal conte Ignatiev Y assicurazione posi- tiva [sic\] che il governo avrebbe chiamato i rappresentanti del paese a partecipare al lavoro legislativo » (Dragomanov, ivi). Il mascheramento del deciso passaggio del governo a un nuovo corso ebbe fine con queste manovre di Ignatiev, e il ministro degli interni D. A. Tolstoi, nominato il 30 maggio 1882, non per nulla si 4 6 LENIN meritò il titolo di «ministro della lotta». Persino le istanze degli zemstvo per ['organizzazione di qualche congresso su temi particolari venivano respinte senza cerimonie, e in seguito a lagnanze del gover- natore per la « sistematica opposizione » dello zemstvo (di Cerepoviets) vi fu perfino un caso di sostituzione del consiglio con una commis- sione governativa e di deportazione amministrativa dei membri del consiglio. D. A. Tolstoi, fedele discepolo e seguace di Katkov, decise di intraprendere direttamente una vera « riforma » degli istituti degli zemstvo , partendo dall’idea fondamentale (effettivamente confermata, come abbiamo visto, dalla storia) che « l’opposizione al governo si è solidamente annidata nello zemstvo » (p. 139 del Promemoria : dal progetto iniziale di riforma degli zemstvo). D. A. Tolstoi aveva in mente di sostituire ai consigli degli zemstvo degli uffici dipendenti dal governatore e di sottoporre tutte le decisioni delle assemblee degli zemstvo alla ratifica del governatore. Sarebbe stata effettivamente una riforma « radicale », ma è estremamente interessante il fatto che pro- prio questo discepolo di Katkov, « ministro della lotta », « non venne meno — secondo l’espressione dello stesso autore del Promemoria — all’abituale politica del ministero degli interni verso gli istituti degli zemstvo. Nel suo progetto egli non espresse apertamente il suo pen- siero: liquidare in sostanza lo zemstvo ; patrocinando un giusto svi- luppo dei principi dell’autonomia locale egli desiderava lasciare a que- st’ultima la forma esteriore, svuotandola però di ogni contenuto ». Al Consiglio di Stato questa saggia politica statale della « coda di volpe » fu ancora completata e sviluppata, e il regolamento degli zemstvo del 1890 « risultò quindi una nuova mezza misura nella storia degli istituti degli zemstvo. Esso non liquidò lo zemstvo , ma lo spersonalizzò e lo appiattì; non abolì nemmeno il principio di rappresentanza di tutti i ceti, ma gli diede una sfumatura di casta : ... non rese gli istituti degli zemstvo organi reali del potere... ma fece maggiormente pesare su di essi la tutela dei governatori... rafforzò il diritto di protesta del gover- natore». «Il regolamento del 12 luglio 1890 fu, nelle intenzioni di chi lo compilò, un passo sulla via della liquidazione degli istituti de- gli zemstvo , e in nessun caso una trasformazione radicale dell’auto- nomia dello zemstvo ». La nuova « mezza misura » — come si dice più avanti nel Prome- moria — non liquidò l’opposizione al governo (e naturalmente sa- rebbe stato impossibile liquidare l’opposi zione a un governo reazio- GLI ANNI BALI DEL LIBERALISMO 47 nario, accentuando questo carattere reazionario); non fece altro che indurla a mascherare alcune sue manifestazioni. L’opposizione, in pri- mo luogo, si rivelò nel fatto che alcune leggi anti zemstvo, se è lecito esprimersi così, incontrarono una resistenza e de facto non vennero applicate; in secondo luogo, si manifestò di nuovo nelle istanze costitu- zionaliste (o per lo meno aventi un sentore di costituzionalismo). Il primo tipo di opposizione lo incontrò, per esempio, la legge del io giu- gno 1893, che sottometteva a una minuziosa regolamentazione l’orga- nizzazione dell’attività sanitaria dello zemstvo. « Gli istituti dello zemstvo opposero una resistenza concorde al ministero degli interni, il quale cedette. Si dovette sospendere l’applicazione dello statuto già pronto, accantonare il testo fino allemanazione di un codice generale ed elaborare un nuovo progetto basato su principi completamente op- posti (cioè più favorevoli agli zemstvo) >. La legge dell’8 giugno 1893 sulla valutazione dei beni immobiliari, che istituiva, anch’essa, il prin- cipio della regolamentazione e restringeva i diritti degli zemstvo nel campo della imposizione tributaria, fu pure accolta con ostilità, e in un gran numero di casi « in pratica non fu applicata La forza delle isti- tuzioni sanitarie e statistiche, create dallo zemstvo e dimostratesi di considerevole utilità (se le si compara con la burocrazia, s’intende) per la popolazione, era sufficiente per paralizzare gli statuti fabbricati nelle cancellerie di Pietroburgo. Il secondo tipo di opposizione si espresse anche nel nuovo zemstvo del 1894, quando gli indirizzi degli zemstvo a Nicola II accennarono nuovamente, e in modo del tutto preciso, alla rivendicazione di esten- dere l’autonomia e provocarono le « famose * parole sulle fantastiche illusioni. Le « tendenze politiche * degli zemstvo non scomparvero, con rac- capriccio dei signori ministri. L’autore del Promemoria riporta le amare rimostranze del governatore di Tver (relazione per il 1898) a proposito del « circolo compatto di uomini d’orientamento liberale » che concentravano nelle loro mani la direzione di tutti gli affari dello zemstvo del governatorato. « Dalla relazione dello stesso governatore per il 1895 risulta che la lotta contro l’opposizione dello zemstvo co- stituisce un compito difficile per le autorità locali e che ai marescialli della nobiltà, che presiedono le assemblee degli zemstvo , occorre tal- volta anche del ” coraggio civile” [guarda un pò !] per applicare le circolari confidenziali del ministero degli interni sulle cose di cui gli 4 8 LENIN istituti degli zemstvo non devono occuparsi ». E si racconta poi come il maresciallo della nobiltà del governatorato abbia ceduto, prima del- l’assemblea, la sua carica al maresciallo distrettuale (di Tver), e come questi Tabbia ceduta al maresciallo della nobiltà di Novotorgiok; che a sua volta, caduto anch’egli ammalato, cederle la presidenza al ma- resciallo della nobiltà di Staritsa. Dunque, anche i marescialli della no- biltà si dànno alla fuga, non volendo eseguire mansioni poliziesche! « Con la legge del 1890 — lamenta l’autore del Promemoria — è stata data allo zemstvo una sfumatura di casta, è stato rafforzato nelle as- semblee l’elemento governativo, nelle assemblee governatoriali degli zemstvo sono stati inclusi tutti i marescialli distrettuali della nobiltà e gli zems\ic nacialnify, e se questo zemstvo spersonalizzato, burocra- tico, di casta, continua nondimeno a manifestare una tendenza poli- tica, la cosa è da meditare »... « La resistenza non è eliminata : un sordo malcontento, un’opposizione silenziosa esistono indubbiamente ed esi- steranno finche non scomparirà lo zemstvo di tutti i ceti ». Ecco l’ul- tima parola della saggezza burocratica: se la rappresentanza limitata provoca malcontento, l’eliminazione di ogni rappresentanza — se- condo la semplice logica umana — accrescerà ancora questo mal- contento e l’opposizione. Il signor Witte immagina che, se si chiude uno degli istituti dai quali scaturisce sia pure un minimo di mal- contento, il malcontento scomparirà! Voi ritenete forse che Witte proponga perciò qualche cosa di definitivo come la soppressione degli zemstvo ? No, niente affatto. Lo stèsso Witte, attaccando la politica ambigua per amore delle belle frasi, non fa che proporre questa stessa politica; e null’altro può proporre se non vuole uscire dalla sua pelle di ministro di un governo autocratico. Witte balbetta qualcosa di per- fettamente assurdo sulla « terza via » : nè dominio della burocrazia, nè autonomia, ma una riforma amministrativa «che organizzi in modo giusto » « la partecipazione degli elementi sociali agli organismi governativi ». Dire questa sciocchezza è facile, però oggi assoluta- mente nessuno — dopo tutte le esperienze fatte con i « competenti » — si lascerà più ingannare da questa trovata : è troppo evidente che senza una Costituzione ogni « partecipazione degli elementi sociali » sarà una finzione, sarà una subordinazione della « società » (di questi o quegli «eletti» della «società») alla burocrazia. Criticando una mi- sura parziale del ministero degli interni — l’istituzione dello zemstvo nelle regioni periferiche — , Witte non può offrire assolutamente nulla GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 49 di nuovo sulla questione generale, da lui stesso sollevata, e si limita a riproporre i vecchi metodi delle mezze misure, delle pseudoconces- sioni, delle promesse di ogni bene e del non mantenimento di nessuna promessa. Non si sottolinea mai abbastanza che nella questione gene- rale dell’« orientamento della politica interna » JVitte e Goremykin sono la stessa cosa, e il contrasto tra di essi è un contrasto tra gente della stessa risma, una lite in famiglia alFinterno della stessa cricca. Da una parte, anche Witte si affretta a dichiarare: « Io non proponevo e non propongo nè la soppressione degli istituti degli zemstvo nè alcun rivolgimento dell’ordine esistente... nelle condizioni attuali non si può parlare della loro soppressione [degli zemstvo esistenti] ». Witte, dal canto suo, ritiene che, con la creazione di un forte potere governativo locale, sarà possibile avere un atteggiamento di grande fiducia verse) gli « zemstvo » ecc. Dopo aver creato un forte contrappeso burocratico all’autonomia locale (ossia dopo averla resa impotente), si potrà avere più «fiducia» in essa. Il signor Witte teme soltanto gli «istituti di tutti i ceti », egli « non intende alludere all’attività di ogni genere di corporazioni, di associazioni, di unioni di ceto o professionali, attività che non considera pericolosa per l’autocrazia ». Per esem- pio, il signor Witte non teme affatto che le «comunità contadine» costituiscano un pericolo per l’autocrazia, perchè sono « inerti ». « Dato che nelle campagne predominano i rapporti inerenti alla terra e i relativi interessi, la popolazione rurale ha particolarità mo- rali tali che la rendono indifferente a tutto ciò che esce dai limiti della politica del proprio campanile... Il nostro contadino è impegnato nelle riunioni per la ripartizione dei tributi..., per la divisione dei lotti, ecc. Inoltre, è analfabeta o semianalfabeta: che politica vi può essere quii ». Il signor Witte è molto sensato, come vedete. Circa le associa- zioni di ceto egli dichiara che per il pericolo che possono rappresentare per il potere centrale « ha un’importanza sostanziale la divergenza dei loro interessi. Il governo, approfittando di questa divergenza, può sem- pre trovare, contro le pretese politiche di un ceto, un appoggio e un contrappeso negli altri». Anche il «programma» di Witte non costi- tuisce nienfaltro che uno degl’infiniti tentativi del governo di polizia eli «dividere» la popolazione: «partecipazione equamente organiz- zata degli elementi sociali agli organismi governativi ». D’altra parte, anche lo stesso signor Goremykin, con il quale il si- gnor Witte polemizza con tanta foga, conduce un’identica sistematica 50 LENIN politica di divisione e di persecuzione. Egli dimostra (nel suo prome- moria, al quale risponde Witte) la necessità di creare nuove cariche per i funzionari destinati a sorvegliare gli zemstvo , è contrario a per- mettere anche i semplici congressi locali degli esponenti degli zemstvo^ difende a spada tratta il regolamento del 1890, che è un passo verso la soppressione degli zemstvo , teme che nei programmi dei lavori di ac- certamento tributario gli zemstvo includano « questioni tendenziose teme le statistiche degli zemstvo in generale, è dell’opinione che biso- gna togliere la scuola elementare dalle mani dello zemstvo e passarla sotto la direzione degli organi governativi, sostiene che gli zemstvo non sanno dirigere gli approvvigionamenti (gli esponenti degli zem- stvo — guardate un po’ — « danno delle calamità e dei bisogni delle popolazioni colpite dalla carestia una rappresentazione esagerata»!!) e difende le norme sul limite dei tributi che gli zemstvo possono im- porre, « allo scopo di salvaguardare gli agricoltori dall’eccessivo au- mento delle imposte riscosse dagli zemstvo ». Witte ha quindi perfet- tamente ragione quando dichiara: « Tutta la politica del ministero de- gli interni nei confronti dello zemstvo consiste nel minarne lenta- mente, ma costantemente, gli organi, nello sminuirne gradualmente l’importanza e nel concentrare a poco a poco le loro funzioni nelle mani degli organismi governativi. Si può dire senza tema di esagerare che quando " i provvedimenti indicati nel promemoria [di Goremy- kin] ”, presi negli ultimi tempi allo scopo di regolare singole branche deireconomia e deiramministrazione degli zemstvo , saranno con- dotti a buon fine, da noi non esisterà effettivamente nessuna autono- mia e degli istituti degli zemstvo resteranno soltanto l’idea e l’involu- cro esteriore, senza nessun contenuto reale ». La politica di Goremykin (e ancor più quella di Sipiaghin) e la politica di Witte conducono quindi allo stesso risultato, e la controversia sulla questione dello zem- stvo e del costituzionalismo non va al di là, ripetiamo, di una lite in famiglia. Chi si berteggia si vagheggia. Tale è il bilancio della « lotta » tra i signori Witte e Goremykin. Quanto alle nostre conclusioni sulla questione generale dell’autocrazia e dello zemstvo , sarà meglio tirarle quando esamineremo la prefazione del signor R.N.S. *. • Pseudonimo del signor Struve [Nota dell’autore all’edizione de! 1007 (N. ti. R.)\ GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO V La prefazione del signor R.N.S. è molto interessante. In essa ven- gono toccati i più larghi problemi, come quelli della trasformazione pò- litica della Russia, dei vari metodi per operare questa trasformazione, deirimportanza di queste o quelle forze tendenti alla trasformazione. D’altra parte, il signor R.N.S., che è evidentemente in stretti rapporti con i circoli liberali in generale e con i circoli liberali degli zemstvo in particolare, rappresenta senza dubbio qualcosa di nuovo nel coro delle nostre pubblicazioni « clandestine ». Perciò, anche per chiarire una questione di principio, quella del valore politico dello zemstvo , e per conoscere lo spirito e..., non dirò le correnti, ma gli stati d’animo dei circoli vicini ai liberali, vale la pena di soffermarsi in maniera un po’ più particolareggiata su questa prefazione, di analizzarla per scorgere se quel nuovo è positivo o negativo, in quale misura è positivo e in quale misura e in che cosa è negativo. La particolarità essenziale delle concezioni del signor R.N.S. con siste in quanto segue. Come risulta da moltissimi passi del suo arti- colo che citeremo più avanti, egli è un sostenitore dello sviluppo pa- cifico, graduale, rigorosamente legale. D’altra parte, egli insorge con tutto Tanimo contro l’autocrazia ed è assetato di libertà politica. Ma l’autocrazìa è autocrazia appunto perchè vieta e perseguita ogni « svi- luppo » verso la libertà. Di questa contraddizione è permeato tutto l’articolo del signor R.N.S., il che rende le sue considerazioni estrema- mente incoerenti, incerte, irresolute. SÌ può essere per il costituziona- lismo e preoccuparsi nello stesso tempo che lo sviluppo della Russia autocratica sia rigorosamente legale soltanto se si suppone o per lo meno si ammette che lo stesso governo autocratico capirà, si stancherà, cederà, ecc. E al signor R.N.S. capita realmente di cadere dall’altezza del suo sdegno civile fino a questo volgare punto di vista del più arre- trato liberalismo. Ecco un esempio. Il signor R.N.S. dice di se: « Noi, che vediamo nella lotta per la libertà politica il giuramento di Anni- baie degli uomini coscienti della Russia odierna, giuramento altrettanto sacro come era sacra una volta la lotta per l’emancipazione dei conta- dini condotta negli anni quaranta »... e continua... « per quanto sia dif- ficile per noi, uomini che abbiamo prestato il ” giuramento di Anni- baie ”, lottare contro l’autocrazia », ecc. È detto bene, con forza! Que 52 LENIN ste forti parole farebbero onore all’articolo se esso fosse tutto per- vaso dallo stesso spirito di lotta inflessibile, intransigente (« il giu- ramento di Annibaie >). Queste forti parole — proprio perchè così forti — suoneranno in modo falso se accanto ad esse balenerà una nota artificiale di conciliazione e di acquietamento e il tentativo di far pas- sare, anche a prezzo di stiracchiature d’ogni genere, la concezione dello sviluppo pacifico, rigorosamente legale. E disgraziatamente, in quel che scrive il signor R.N.S., di queste note e di questi tentativi ce ne sono anche troppi. Egli dedica, per esempio, ben una pagina e mezza alla «motivazione» particolareggiata dell’idea che «la poli- tica statale durante il regno di Nicola 11 merita una condanna ancor più severa [il corsivo è nostro |, dal punto di vista morale e politico, che la revisione in senso reazionario delle riforme di Alessandro II du- rante il regno di Alessandro III ». E perchè una condanna più severa 3 A quanto pare, per il fatto che Alessandro III lottò contro la rivolu- zione, e Nicola II lotta contro «le aspirazioni legali della ” società” russa»; il primo lottò contro forze sociali politicamente coscienti, il secondo lotta « contro forze sociali completamente pacifiche che spesso agiscono perfino senza alcun chiaro pensiero politico » (« perfino senza rendersi ben conto che il loro cosciente lavoro culturale mina il regime statale »). Di fatto, in misura molto notevole ciò è falso, come si vedrà più avanti. Ma anche astraendo (fa questo, è impossibile non rilevare la stranezza del modo stesso di ragionare dell’autore. Egli condanna Tautocrazia, e di due autocrati ne condanna maggiormente uno, non per il carattere della sua politica, che è rimasta quella di prima, ma perchè non ha di fronte a se (a quanto pare) degli « attaccabrighe » che provochino « naturalmente > una brusca reazione, e non vi è quin- di motivo per perseguitarli. Non trapela forse dal fatto stesso che viene usato un simile argomento un’evidente concessione aH’affermazione dei sudditi devoti, secondo cui il nostro piccolo padre, lo zar, non ha nulla da temere dalla convocazione dei sudditi prediletti, perchè tutti questi sudditi prediletti non hanno mai pensato di far qualcosa che esca dai limiti delle pacifiche aspirazioni e della rigorosa legalità? Non ci meraviglia vedere simile « modo di ragionare » (o questo modo di mentire) nel Promemoria del signor Witte, il quale scrive: « Parrebbe che là dove non ci sono nè partiti politici nè rivoluzioni, dove nessuno contesta i diritti del potere supremo, non si possa contrapporre Tarn- GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 5i ministrazione al popolo o alla ” società ”... » *, ecc. Simile ragionamen- to non ci meraviglia se lo fa il signor Cicerin, il quale, nel promemoria dato a Miliutin- dopo il i° marzo 1881, dichiarava che « al potere oc- corre innanzi tutto dimostrare la sua energia, dimostrare che non ha ammainato la bandiera davanti alle minacce », che « lordine monar- chico è compatibile con i liberi istituti solo quando essi sono il frutto del pacifico sviluppo, della tranquilla iniziativa dello stesso potere su- premo », e consigliava di creare un potere « forte e liberale * che agisse per mezzo di « un organo legislativo rafforzato e rinnovato dall’ele- mento elettivo » **. Sarebbe perfettamente naturale che il signor Cice- rin riconoscesse meritevole di una maggiore condanna la politica di Nicola II, perchè sotto il suo regno il pacifico sviluppo e la tranquilla iniziativa dello stesso potere supremo potrebbero portare i liberi isti- tuti. Ma è naturale, è decente che simili considerazioni siano sulle lab- bra di chi ha giurato come Annibaie di consacrarsi alla lotta? E di fatto il signor R.N.S. ha torto. « Oggi — dice egli, para- gonando il regno dell’attuale zar a quello precedente, — ... nessuno pensa seriamente a quel rivolgimento violento al quale pensavano gli uomini della ” Volontà del popolo ” » u . Parlez pour vous, monsieur ! Parlate solo per voi! Noi invece sappiamo per certo che il movimento rivoluzionario in Russia sotto il regno deH’ultimo zar non solo non è morto e non si è indebolito rispetto al regno precedente, ma è, anzi, rinato e si è di molto sviluppato. E che movimento « rivoluzionario» sarebbe mai se nessuno di quelli che vi prendono parte pensasse seria- mente a un rivolgimento violento? Forse ci si obietterà che nel passo citato il signor R.N.S. ha in mente non un rivolgimento violento in generale, ma un rivolgimento del tipo di quello a cui aspiravano gli uomini della «Volontà del popolo», cioè un rivolgimento al tempo stesso politico e sociale, un rivolgimento che tenda non solo ad abbat- tere l’autocrazia, ma anche a conquistare il potere. Tale obiezione sa- rebbe infondata perchè, in primo luogo, per l’autocrazia come tale (cioè per il governo autocratico e non per la « borghesia » o per la « società ») non è affatto importante il motivo per cui la si vuole rovesciare, ma il fatto che la si voglia rovesciare. E, in secondo luogo, anche gli uo- * P. 205. «È perfino sciocco», osserva il signor R.N.S. nella nota a questo brano. Ma forse che le suindicate considerazioni del signor R.N.S. a pp. XI-XII della sua prefazione non .sono impastate della stessa argilla r ## Promemoria Witte, pp. 122-123. Lo Costituzione del conte ì .ons-Mehkov, p. 24. 54 LENIN mini della «Volontà del popolo fin dalPinizio del regno di Alessandro III « offrirono » al governo proprio la stessa alternativa che la social- democrazia pone davanti a Nicola II: o la lotta rivoluzionaria o la rinuncia all’autocrazia (cfr. lettera del Comitato esecutivo della «Vo- lontà del popolo» ad Alessandro III del io marzo 1881, la quale pone due condizioni: i) amnistia generale per tutti i reati politici e 2) convocazione dei rappresentanti di tutto il popolo russo eletti a suf- fragio universale e libertà di stampa, di parola, di riunione). D’al- tronde, lo stesso signor R.N.S. sa perfettamente che al rivolgimento vio- lento « pensano seriamente » molti uomini non solo dell’ambiente intellettuale, ma anche dell’ambiente della classe operaia: date un’oc- chiata a p. XXXIX e seguenti del suo articolo dove si parla della so- cialdemocrazia rivoluzionaria, alla quale sono assicurate « una base di massa e forze intellettuali », la quale va verso « una risoluta lotta po- litica», verso «una cruenta lotta della Russia rivoluzionaria contro il regime autocratico-burocratico » (XLI). Non vi è nessun dubbio quindi che i « discorsi ben intenzionati » del signor R.N.S. costitui- scono solo un metodo particolare, un tentativo per influenzare il governo (o « lopinione pubblica ») assicurandolo della propria (o altrui) modestia. Il signor R.N.S. ritiene, tra Taltro, che il concetto di lotta si presti a interpretazioni molto late. « La soppressione dello zemstvo — egli scrive — darà in mano alla propaganda rivoluzionaria una potentis- sima carta; noi diciamo questo nel modo più obiettivo [sic!], senza provare nessuna repulsione per quella che si usa chiamare attività rivo- luzionaria, ma anche senza entusiasmarci e infatuarci proprio di questa forma [sic!] di lotta per il progresso politico e sociale». Questa tirata è molto significativa. Quando si guardi sotto la formula pseudoscien- tifica, che fa sfoggio del tutto a sproposito di « obiettività » (visto che lo stesso autore pone la questione della sua preferenza per questa o quella forma d’attività o di lotta, parlare in pari tempo di obiettività della sua posizione è lo stesso che paragonare un’operazione aritme- tica a una candela stearica), fa capolino la vecchia e stantia argomen- tazione: se vi metto in guardia contro la rivoluzione, mi potete cre- dere, signori governanti, poiché il mio animo non propende affatto per essa. Il riferimento all’obiettività non è nient’altro che una foglia di fico per nascondere l’antipatia soggettiva verso la rivoluzione e Fat- tività rivoluzionaria. E il signor R.N.S. deve nasconderla perchè simile GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 55 antipatia è assolutamente incompatibile con il giuramento di Anni- baie di consacrarsi alla lotta. Del resto non ci sbagliamo forse a proposito dello stesso Annibaie? In realtà il giuramento ch’egli fece fu un giuramento di lotta contro i romani o soltanto di lotta per il progresso di Cartagine, progresso che in ultima analisi sarebbe stato esiziale per Roma? Non si può com- prendere il termine lotta in senso « più lato? Il signor R.N.S. ritiene che si possa. La lotta contro l’autocrazia — così risulta dal confronto del giuramento di Annibaie con il testo della tirata che abbiamo ci- tato — si manifesta in varie « forme » ; una forma è la lotta rivolu- zionaria, clandestina, un’altra è « la lotta per il progresso politico e sociale » in generale, cioè in altre parole, l’attività pacifica, legale che diffonde la cultura nei limiti permessi dall’autocrazia. Non du- bitiamo affatto che anche sotto l’autocrazia sia possibile un’attività legale che imprima un moto propulsore al progresso russo: in alcuni casi esso spingerà avanti abbastanza rapidamente il progresso tecnico; in pochi casi, e in modo del tutto insignificante, il progresso sociale, in casi assolutamente eccezionali, e in proporzioni addirittura minime, il progresso politico. Si può discutere sulla precisa importanza e sulla possibilità di questo progresso minimo, nella misura in cui i casi iso- lati di tale progresso possono paralizzare l’opera di corruzione politica generale della popolazione che l’autocrazia compie dovunque e di continuo. Ma far rientrare, sia pure indirettamente, l’attività legale pacifica nel concetto di lotta contro l’autocrazia significa contribuire a questa corruzione, significa indebolire nel piccolo borghese russo la coscienza già così infinitamente debole della propria responsabilità, come cittadino, per tutto ciò che fa il governo. Putroppo, il signor R.N.S. non è il solo tra gli scrittori illegali che tenti di cancellare la differenza fra lotta rivoluzionaria e azione culturale pacifica. Egli ha un predecessore, il signor R. M., autore del- l’articolo La nostra realtà , pubblicato sul famoso Supplemento alla Rabociaia Mysl ” (settembre 1899). Egli obiettava ai socialdemocra- tici rivoluzionari : « Ma anche la lotta per l’autonomia dello zem- stvo e della città, la lotta per la scuola pubblica, la lotta per il tribunale popolare, la lotta per l’assistenza pubblica alla popolazione colpita dalla carestia, ecc. non è forse una lotta contro l’autocrazia?... Questa lotta sociale, che, chissà per quale strano malinteso, non attira l’atten- zione favorevole di molti scrittori rivoluzionari russi, come abbiamo 56 LENIN visto, viene già condotta dalla ” società ” russa, e non da ieri... Come questi singoli strati sociali... possono condurre con maggiore successo questa lotta contro l’autocrazia ?... Qui sta il problema... Ma per noi la questione principale è come debbano condurre questa lotta sociale contro l’autocrazia i nostri operai, il cui movimento è ritenuto dai nostri rivoluzionari come il migliore mezzo per rovesciare l’autocra- zia* (pp. 8-9). Come vedete, il signor R. M. non ritiene nemmeno necessario nascondere la propria antipatia per i rivoluzionari; egli proclama apertamente che la lotta contro l’autocrazia deve consistere nell’opposizione legale e nel lavoro pacifico c arriva persino a ritenere come questione principale quella del modo come gli operai debbano condurre « questa * lotta. Il signor R.N.S. è lungi dall’essere così pri- mitivo e così franco, ma l’affinità tra le tendenze politiche del nostro liberale e quelle del massimo sostenitore del movimento operaio puro trapela abbastanza chiaramente*. Quanto all’* obiettivismo » del signor R.N.S., dobbiamo rilevare che talvolta egli l’abbandona senz’altro. Resta «obiettivo* quando parla del movimento operaio, del suo sviluppo organico, delTimmi- nente ineluttabile lotta della socialdemocrazia rivoluzionaria contro l’autocrazia, del fatto che l’organizzazione dei liberali in partito clan- destino sarà il risultato inevitabile della soppressione degli zemstvo . Tutto ciò è esposto in modo molto sensato e molto sobrio, tanto sobrio che c’è da rallegrarsi della diffusione negli ambienti liberali di una giusta comprensione del movimento operaio in Russia. Ma quando il signor R.N.S. comincia a parlare non della lotta contro il nemico, ma della possibilità che il nemico « si rassegni », perde di colpo il suo «obiettivismo*, esprime i suoi sentimenti, passa perfino dal modo indicativo aH’imperativo. * « Le organizzazioni economiche degli operai — dice il .signor R.N.S. in un altro punto — saranno una scunla di reale educazione politica delle masse operaie ». Consiglieremmo all’autore di usare con maggiore prudenza questa paroletta «reale», logorata dai paladini dell’opportunismo. È innegabile ’ che in determinate condizioni anche le organizzazioni economiche degli operai pnssano dare molto per educarli politicamente (come è innegabile che in altre condizioni possano dare qualcosa anche per corromperli politicamente). Ma soltantn la partecipazione multiforme delle masse operaie al movimento rivoluzionario, compresa la lotta aperta di strada, la guerra civile contro i fautori della schiavitù politica ed economica, può dare loro una reale educazione politica. GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 57 « Le cose non arriveranno a una lotta finale e sanguinosa della Russia rivoluzionaria contro il regime autocratico-burocratico solo nel caso in cui tra i detentori del potere vi siano persone che trovino il coraggio di rasse- gnarsi davanti alla storia e di far .sottomettere ad essa l’autocrate... È certo che nell’alta burocrazia vi sono persone che non sono favorevoli alla politica reazionaria... Esse, le uniche persone che hanno accesso al trono, non si decidono mai a esprimere ad alta voce le loro convinzioni... Può darsi, tut- tavia, che lo spettro pauroso deirinevitabile nemesi storica, Io spettro dei grandi eventi susciterà esitazioni neirambiente governativo e distruggerà il ferreo regime della politica reazionaria. Per ottenerlo ora occorre relativa- mente poco... Forse esso [il governo] capirà non troppo tardi il fatale pe- ricolo in cui incorre salvaguardando con tutti i mezzi il regime autocratico. Può darsi che, ancor prima di scontrarsi con la rivoluzione, esso si stanchi della sua lotta contro lo sviluppo naturale, storicamente necessario, della libertà e esiti nel continuare nella sua politica ” intransigente ”. Dopo aver cercato di essere conseguente nella sua lotta contro la libertà, sarà costretto a spalancarle sempre più le porte. Può darsi... no, non soltanto può darsi, ma così sarà » (Il corsivo è dell’autore). Amen! ci resta soltanto da esclamare per questo elevato monologo da benpensante. Il nostro Annibaie progredisce tanto rapidamente da presentarci una terza forma: prima forma, lotta contro l’autocrazia; seconda, diffusione della cultura; terza, appelli alla rassegnazione del nemico e tentativi di impaurirlo con uno « spettro ». Che paura! Siamo completamente d’accordo con l’egregio signor R.N.S. che proprio gli « spettri » impauriranno più di ogni cosa al mondo i baciapile del governo russo. E immediatamente prima di questa evocazione degli spettri, il nostro autore, dopo aver osservato che le forze rivoluzionarie crescono e l’esplosione rivoluzionaria è imminente, aveva esclamato: « Con profondo cordoglio prevediamo i terribili sacrifici di uomini e di forze culturali che costerà questa folle politica conservatrice e aggres- siva, che non ha nè un senso politico nè un’ombra di giustificazione morale ». Quale infinito abisso di dottrinarismo e di untuosità spalanca questo finale delle argomentazioni sull’esplosione rivoluzionaria! Lo autore non comprende minimamente quale gigantesca importanza sto- rica avrebbe il fatto che il popolo della Russia desse almeno una volta una buona lezione al governo. Invece di parlare dei « terribili sacrifici » offerti ieri e oggi dal popolo all’assolutismo per suscitare l’odio e l’indi- gnazione, per far divampare la volontà e la passione della lotta, invece di farlo vi riferite ai futuri sacrifici per incutere il timore della lotta. Eh* LENIN 5L_ signori! Meglio sarebbe stato non ragionare affatto sulla «esplosione rivoluzionaria » piuttosto che guastare questo ragionamento con un simile finale. Voi evidentemente non volete fare i « grandi eventi », ma soltanto discorrere dello « spettro dei grandi eventi » e per giunta di- scorrerne con le sole « persone che hanno accesso al trono ». Anche la nostra stampa legale, come noto, è piena zeppa di questo genere di discorsi con gli spettri e sugli spettri. E per dare agli spettri una parvenza reale si è presa l’abitudine di citare come esempio le « grandi riforme » e di cantar loro un alleluia pieno di menzogne con- venzionali. A uno scrittore che deve fare i conti con la censura è im- possibile non perdonare talvolta queste menzogne, poiché egli non può esprimere diversamente la propria aspirazione alle trasformazioni po- litiche. Ma il signor R.N.S. non doveva fare i conti con la censura. « Le grandi riforme — egli scrive — non furono pensate per il maggior trionfo della burocrazia». Considerate fino a che punto è ambigua questa frase apologetica. Da chi «furono pensate»? Da Herzen, da Cernyscevski, da Unkovski e da quelli che erano con loro? Ma questi uomini chiedevano incomparabilmente di più di quello che le « ri- forme» realizzarono, e per le loro rivendicazioni furono perseguitati dal governo che procedeva alle « grandi » riforme. Dal governo e da coloro che, incensandolo ciecamente, lo seguivano mostrando i denti agli « attaccabrighe » ? Ma il governo fece il possibile e l’impossibile per concedere quanto meno poteva, per ridurre all’osso le rivendi- cazioni democratiche, e precisamente « per il maggior trionfo della bu- rocrazia ». Il signor R.N.S. conosce benissimo tutti questi fatti storici e U dissimula solo perchè essi smentiscono in pieno la sua bonaria teo- ria sulla possibilità che l’autocrate « si rassegni ». In politica non vi è posto per la rassegnazione, e solo un’illimitata semplicità (santa e ma- liziosa) può prendere per rassegnazione l’antico metodo poliziesco: divide et impera, dividi e impera, concedi il secondario per conservare l’essenziale, dà con la mano sinistra per togliere con la destra. « ... 11 governo di Alessandro II, pensando e realizzando le ” grandi riforme ”, non si poneva nello stesso tempo lo scopo cosciente di sbarrare a qualunque costo al popolo russo ogni via legale verso la libertà politica, non soppesava da questo punto di vista ogni suo passo, ogni articolo di legge ». Ciò è falso . Il governo di Alessandro II « pensando » le ri- forme e realizzandole si pose fin dairinizio uno scopo del tutto co- sciente: non cedere di fronte alla rivendicazione della libertà politica GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 59 proprio allora proclamata. Fin dall’inizio e fino airultimo esso sbarrò ogni via legale verso la libertà, poiché rispose con le repressioni anche a semplici istanze, poiché non permise mai nemmeno di parlare libe- ramente della libertà. Per smentire gli incensamenti del signor R.N.S. è più che sufficiente riferirsi ai fatti esposti nel Promemoria Witte, che abbiamo citato sopra. Sulle persone che componevano il governo di Alessandro III lo stesso Witte, per esempio, si esprime così : « Bisogna rilevare che gli eminenti uomini di Stato degli anni sessanta, i cui nomi gloriosi saranno ricordati anche dai posteri riconoscenti, fecero nei loro tempi tante cose grandi quante non ne fecero i loro successori e lavorarono al rinnovamento del nostro regime statale e sociale se- condo le loro sincere convinzioni, con devota fedeltà al loro sovrano e non contro le sue aspirazioni » (p. 67 del Promemoria). Quel ch’è vero è vero: secondo le loro sincere convinzioni, con devota fedeltà al sovrano, che era alla testa della banda poliziesca... Dopo quanto già esposto non ci deve più meravigliare che il signor R.N.S. parli pochissimo della questione più importante, quella della funzione dello zemstvo nella lotta per la libertà politica. Oltre agli abituali riferimenti all’opera «pratica» e «culturale» dello zemstvo, egli accenna di sfuggita alla sua « importanza politica ed educativa », dice che « lo zemstvo ha un’importanza politica », che esso, come vede chiaramente il signor Witte, « è pericoloso [per lordine esistente] sol- tanto a causa della tendenza storica del suo sviluppo, in quanto em- brione della Costituzione». E a conclusione di queste osservazioni, lasciate cadere come per caso, ecco l’attacco ai rivoluzionari: « Noi ap- prezziamo lo scritto del signor Witte non solo per le verità sull’auto- crazia che esso contiene, ma anche perchè è un prezioso attestato po- litico rilasciato allo zemstvo dalla burocrazia stessa. Questo attestato è un’eccellente risposta a tutti coloro che per insufficiente maturità poli- tica o per amore della vuota frase rivoluzionaria [sic!] non volevano e non vogliono vedere la grande importanza politica dello zemstvo russo e della sua attività culturale legale ». Chi ha dimostrato insuffi- ciente maturità e amore per la vuota frase? Dove e quando? Con chi e perchè è in disaccordo il signor R.N.S.? Queste domande non trovano risposta, e l’attacco dell’autore non può essere considerato che una di- chiarazione di antipatia per i rivoluzionari, antipatia che già conoscia- mo da altri brani del suo articolo. Non chiarisce per nulla il problema una osservazione ancor più strana : « Con queste parole non vogliamo 6o LENJN [?!j affatto offendere i militanti rivoluzionari, dei quali non si può non apprezzare innanzi tutto il coraggio morale nella lotta contro l’ar- bitrio ». Perchè queste parole? A quale scopo? Che relazione c'è tra il coraggio morale e ('incapacità di valutare lo zemstvo ? Il signor R. N. S. si è corretto andando veramente di male in peggio: all’inizio egli « ha offeso » i rivoluzionari con un’accusa gratuita e « anonima * (mossa, cioè, non si sa a chi) di ignoranza e vuota fraseologia, ed ora li « offende » ancora una volta pensando che li si possa costringere a ingoiare la pillola dell’accusa d’ignoranza indorandola col ricono- scimento del loro coraggio morale. Per rendere ancora meno chiara la questione, il signor R.N.S. contraddice se stesso dichiarando — quasi all’unisono con « coloro che amano la vuota frase rivoluzio- naria » — che « l’attuale zemstvo russo... non è una grandezza politica la quale possa con la sua forza immediata imporre alcunché a qual- cuno, possa far paura a qualcuno... Esso salvaguarda a stento la sua modesta posizione»... «Questi istituti [come lo zemstvo]... possono di per sè presentare un pericolo per questo regime [autocratico] sol- tanto in un lontano futuro e solo in relazione allo sviluppo di tutta la cultura del paese ». VI Tentiamo ora di raccapezzarci in questa questione, di cui il signor R.N.S. parla in modo così rabbioso e inconsistente. I fatti da noi già citati dimostrano che l’« importanza politica > dello zemstvo , ossia la sua importanza come fattore della lotta per la libertà politica, consiste soprattutto in quanto segue. In primo luogo, questa organizzazione dei rappresentanti delle nostre classi abbienti (e particolar mente della nobiltà terriera) contrappone continuamente gli organismi elettivi alla burocrazia, suscita continui conflitti tra di essi, dimostra ad ogni passo che la burocrazia zarista, la quale non risponde di fronte a nessuno, ha un carattere reazionario, alimenta il malcontento e l’opposizione al governo autocratico*. In secondo luogo, gli zemstvo , aggiunti come una quinta ruota al carro della burocrazia, si sforzano di consolidare la * Cfr. la spiegazione straordinariamente circostanziata di questo aspetto della que- stione nell'opuscolo di P. B. Axelrod: La situazione storica e il rapporto reciproco fra la democrazia liberale e quella socialista in Russia (Ginevra, 1898), e particolarmente le PP’ 5, 8» 1 1 -12, 17-19. GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO ÒI loro posizione, di estendere la loro funzione, si muovono — e perfino, secondo l’espressione di Witte, « si muovono inconsciamente » — verso la Costituzione, presentando istanze in questo senso. Si dimostrano quindi dei cattivi alleati del governo nella lotta contro i rivoluzionari, mantengono un amichevole neutralità verso di essi e prestano loro un servizio indiscutibile, sia pure indiretto, causando, nei momenti cri- tici, esitazioni nel governo quando sta per prendere misure repressive. Si capisce che non si può vedere nè un « grande * fattore, nè in ge- nerale un fattore di lotta politica più o meno autonomo in un istituto che, nel migliore dei casi, è stato finora capace soltanto di presentare istanze liberali e di mantenere un amichevole neutralità, ma non si può negare che lo zemstvo abbia la funzione di un fattore ausiliario. In questo senso siamo disposti perfino, se volete, a riconoscere che lo zemstvo è un pezzetto di Costituzione. Il lettore probabilmente dirà: voi siete quindi d’accordo con il signor R.N.S., il quale non afferma niente di più. Niente affatto. È proprio qui che cominciano i nostri dissensi. Lo zemstvo è un pezzetto di Costituzione. E sia. Ma è precisamente quel pezzetto di Costituzione mediante il quale la «società» russa veniva distratta dalla Costituzione. È appunto questa la posizione, relativamente ben poco importante, che l’autocrazia aveva ceduto alla democrazia in ascesa per mantenere le sue posizioni principali, per dividere e disunire coloro che chiedevano trasformazioni politiche. Abbiamo visto in che modo questa operazione, condotta sul terreno della « fiducia » allo zemstvo (« embrione della Costituzione A, riuscì sia negli anni sessanta che negli anni 1880-1881. Il problema del rap- porto esistente tra lo zemstvo e la libertà politica è un caso particolare del problema generale del rapporto tra le riforme e la rivoluzione. E in questo caso particolare possiamo vedere quanto ristretta e assurda sia la teoria bernsteiniana in voga, che sostituisce alla lotta rivoluzionaria la lotta per le riforme, che proclama (per bocca, ad esempio, del signor Berdiaiev) che « il principio del progresso è: quanto meglio, tanto me- glio ». Questo principio, nella sua forma generale, è falso quanto lo è il suo contrario: quanto peggio, tanto meglio. I rivoluzionari, natural- mente, non rinunceranno mai alla lotta per le riforme, alla conquista di una posizione nemica sia pure poco importante e parziale, se questa po- sizione potrà rafforzare il loro assalto e facilitare la vittoria completa. Ma nemmeno dimenticheranno mai che ci sono dei casi in cui lo stesso Ó2 LENIN nemico cede una determinata posizione per dividere gli attaccanti e batterli più facilmente. Non dimenticheranno mai che soltanto tenendo sempre presente lo «scopo finale», soltanto valutando ogni passo del « movimento » e ogni singola riforma dal punto di vista della lotta rivoluzionaria generale si può tutelare il movimento dai passi falsi e dagli errori vergognosi. Ecco, è precisamente questo aspetto della questione — l’importanza degli zemstvo come strumento per rafforzare l’autocrazia mediante concessioni ambigue, come strumento per far avvicinare all’autocrazia una certa parte della società liberale — che il signor R.N.S. non ha as- solutamente capito. Egli ha preferito fabbricarsi uno schema dottri- nario, che pone in rapporto diretto lo zemstvo e la Costituzione, se- condo la « formula » : quanto meglio, tanto meglio. « Se voi prima sopprimete lo zemstvo in Russia — egli dice rivolgendosi a Witte — e poi amplierete i diritti della persona, vi sarete privati della migliore occasione per dare al paese una Costituzione moderata, formatasi stori- camente sulla base deH’autonomia locale con una sfumatura di casta. In ogni caso, renderete un pessimo servizio alla causa del conserva- torismo». Che bella e armonica concezione! L’autonomia locale con una sfumatura di casta, il saggio conservatore che ha accesso al trono, e una Costituzione moderata. Peccato però che, in realtà, i saggi con- servatori abbiano trovato più di una volta, grazie allo zemstvo , la «migliore occasione» per non «dare» al paese una Costituzione. La « concezione » pacifica del signor R.N.S. si è rivelata anche nella formulazione della parola d ordine con la quale egli termina l’ar- ticolo e che è stampata — proprio come parola d’ordine — su tutta una riga e in neretto: «Diritti e potere allo zemstvo panrusso! ». Bisogna riconoscere apertamente che si tratta dello stesso indegno civettare con i pregiudizi politici della grande massa dei liberali russi, del civettare che vediamo messo in opera dalla Rabocìaìa Mysl nei confronti dei pregiudizi politici della grande massa degli operai. Noi dobbiamo in- sorgere sia nel primo che nel secondo caso. È un pregiudizio credere che il governo di Alessandro II non avrebbe sbarrato la via legale verso la libertà, che l’esistenza dello zemstvo offrirebbe la migliore occasione per dare al paese una Costituzione moderata, che la parola d’ordine: « diritti e potere agli zemstvo » possa servire da bandiera non dico già al movimento rivoluzionario, ma almeno a quello costituzionale. No, questa non è una bandiera che aiuti a separare i nemici dagli al- GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 6 3 leati, che possa orientare il movimento e dirigerlo, ma è un cencio che aiuterà soltanto gli elementi più malsicuri a intrufolarsi nel mo- vimento, che ancora una volta agevolerà il tentativo del governo di cavarsela con promesse altisonanti e ambigue riforme. Sì, non oc- corre essere profeti per predirlo: il nostro movimento rivoluzionario raggiungerà il suo apogeo, il fermento liberale si decuplicherà nella « società » e compariranno nel governo nuovi Loris-Melikov e Igna- riev, i quali scriveranno sulla loro bandiera: «diritti e potere agli zemstvo ». Questa sarebbe, per lo meno, la soluzione più svantaggiosa per la Russia e più vantaggiosa per il governo. Se una parte più o meno notevole dei liberali avrà fiducia in questa bandiera e si lascerà trascinare ad aggredire alle spalle gli « attaccabrighe » rivoluzionari, questi ultimi potranno trovarsi isolati, e il governo potrà tentare di consolidare la sua posizione con concessioni minime, limitate a una qualsiasi Costituzione consultiva e nobiliare-aristocratica. Riuscirà questo tentativo? Ciò dipenderà dall’esito dello scontro decisivo tra il proletariato rivoluzionario e il governo; ma si può predire con si- curezza che i liberali rimarranno ingannati. Mediante una parola d’or- dine come quella lanciata dal signor R.N.S. («potere agli zemstvo » o « regno degli zemstvo », ecc.) il governo li distaccherà, come cuccioli, dai rivoluzionari e, dopo averli staccati, li prenderà per la collottola e li fustigherà con le verghe della cosiddetta reazione. E noi, signori, non mancheremo allora di dirvi: ben vi sta ! Perchè dunque, invece di rivendicare l’eliminazione dell’assolu- tismo, si lancia come parola d’ordine conclusiva un simile auspicio moderato e castigato? In primo luogo, per un dottrinarismo filisteo che vuol fare un « servizio al conservatorismo » ed è convinto che il governo s’intenerirà per tale moderazione e « si rassegnerà ». In se- condo luogo, per «unire i liberali». Effettivamente può darsi che la parola d’ordine « diritti e potere agli zemstvo » unirà tutti i liberali, come la parola d’ordine « un copeco per rublo » unirà (secondo gli « economisti ») tutti gli operai. Ma non costituirà tale unione una per- dita invece di un guadagno? L’unione è cosa positiva quando eleva coloro che si uniscono al livello del programma cosciente e deciso di chi li unisce. È negativa quando fa scendere coloro che si uniscono al livello dei pregiudizi delle masse. E tra la massa dei liberali russi è indubbiamente molto, molto diffuso il pregiudizio che lo zemstvo sra 64 LENIN veramente l’« embrione della Costituzione » *, frenato solo per caso, nel suo «naturale» sviluppo pacifico e graduale, dagli intrighi di qualche immorale favorito; che basteranno alcune istanze per indurre l’au- tocrate a «rassegnarsi»; che il lavoro culturale legale', in genere, e quello dello zemstvo , in particolare, hanno una « grande importanza politica-», poiché liberano coloro che sono, a parole, ostili all’autocrazia dal dovere di appoggiare attivamente, in questa o quella forma, la lotta rivoluzionaria contro l’autocrazia, ecc. ecc. ecc. L’unione dei li- berali è una cosa indubbiamente utile e auspicabile, ma solo quel- Tunione che si pone come obiettivo di lottare contro i pregiudizi inve- terati e non di civettare con essi, di elevare il livello medio del nostro sviluppo politico (o meglio: arretratezza politica) e non di sanzio- narlo, in una parola, l’unione per appoggiare la lotta clandestina e non per fare della vuota fraseologia opportunistica sulla grande impor- tanza politica dell’attività legale. Se non si può giustificare il lancio tra gli operai della parola d’ordine politica: « libertà di sciopero », ecc., precisamente allo stesso modo non si può giustificare il lancio fra i liberali della parola d’ordine: «potere agli zemstvo ». In regime au- tocratico, ogni zemstvo , sia pure il più « investito di potere », sarà in- dubbiamente un aborto incapace di sviluppo, e con la Costituzione lo zemstvo perderà di colpo la sua odierna importanza « politica». L’unione dei liberali è possibile in due forme: mediante la forma- * Circa il problema di quello che ci si può aspettare dallo zemstvo non sono privi d’interesse i seguenti giudizi del principe P. V. Dolgorukov citati dal suo Listo pubblicato negli anni sessanta (Burtsev, op. cit. t pp. 64-67): « Esaminande» 1 regola- menti fondamentali degli istituti degli zemstvo troviamo sempre la stessa idea del go- verno, che è nascosta ma tende continuamente a farsi luce, ridea di stordire con la sua magnanimità, di proclamare a gran voce: "Guardate che cosa vi regalo! In sostanza, però, dare il meno possibile e, dando il meno possibile, cercare di porre ancora ostacoli affinchè non si possa godere completamente nemmeno quello che è stato donato... At- tualmente, in regime autocratico, gli istituti degli zemstvo non saranno utili e non po- tranno esserlo, non avranno importanza e non potranno averla, ma essi sono ricchi di germi di uno sviluppo fecondo in avvenire... I nuovi organismi degli zemstvo probabilmente sono destinati dalla sorte a servire di base al futuro regime costituzionale in Russia... ma sino a che non sarà instaurata in Russia una forma costituzionale di governa, sino a quando esiste l'autocrazia e non ve libertà dì stampa, gli istituti dello zemstvo sono destinati a restare un fantasma politico, una muta adunanza dei con- siglieri degli zemstvo ». Cosi Dolgorukov anche allora, nel periodo culminante degli anni sessanta, non si lasciava andare a un eccessivo ottimismo! E dopo di allora 1 qua rant'anni che sono trascorsi ci hanno molto insegnato e. hanno dimostrato che gli zemstvo erano stati destinati dalla «sorte» (ma in parte anche dal governo) a servire come base a tutta una serie dì provvedimenti clic hanno stordito i costituzionalisti. GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO r >5 zione di un partito liberale autonomo (illegale, s’intende) e mediante l’organizzazione dell’appoggio dei liberali ai rivoluzionari. Lo stesso signor R.N.S. sceglie la prima possibilità, ma... se si riconosce questa scelta come effettiva espressione delle vedute e delle probabilità del liberalismo, essa non predispone a un particolare ottimismo. « Senza zemstvo — egli scrive — i liberali degli zemstvo saranno costretti a formare un partito liberale o a uscire dalla scena storica come forza organizzata. Siamo convinti che l’organizzazione dei liberali in un partito illegale, benché molto moderato per programma e metodi, sarà il risultato inevitabile della soppressione dello zemstvo ». Se sarà soltanto il risultato « della soppressione », si dovrà aspettare ancora a lungo, poiché anche Witt non desidera sopprimere gli zemstvo , e il governo russo si preoccupa molto, in generale, di mantenere in piedi la facciata, anche se dietro tutto è stato completamente distrutto. Che il partito dei liberali sia molto moderato è del tutto naturale, e da un movimento in seno alla borghesia (e solo su tale movimento può reg gersi il partito liberale) non si può attendere altro. Ma in che cosa comunque dovrebbero consistere l’attività di questo partito e i suoi «metodi »? Il signor R.N.S. non lo spiega. «Da solo — egli dice — il partito liberale clandestino, in quanto organizzazione composta dagli elementi più moderati e meno mobili deiropposizione, non potrà sviluppare un’attività nè particolarmente larga, nè particolarmente in- tensa »... Riteniamo che in una certa sfera, sia pure circoscritta neU’am- bito degli interessi locali, e soprattutto degli zemstvo , il partito liberale potrebbe pienamente sviluppare un’attività larga e intensa, diciamo, per esempio, nell’organizzazione delle denunce politiche... « Ma dato che questa attività viene svolta da altri partiti, e soprattutto dal partito so- cialdemocratico od operaio, il partito liberale, sia pur non stringendo un accordo diretto con i socialdemocratici, può essere un fattore molto serio »... È del tutto giusto, e il lettore aspetta naturalmente che l’au- tore parli, almeno nei tratti più generali, della funzione di questo « fat- tore ». Ma il signor R.N.S., invece di farlo, delinca lo sviluppo della socialdemocrazia e conclude: «Con l’esistenza di un movimento pò-, litico chiaro... un’opposizione liberale, anche più o meno organizzata, può adempiere una grande funzione politica: se la loro tattica è abile, i partiti moderati sono sempre avvantaggiati dall’inasprirsi della lotta fra gli elementi sociali estremi»... Ed è tutto! La «funzione» del « fattore » (che ha già finito per trasformarsi da partito in « opposi- 66 LENIN zione») consiste nell’ « essere avvantaggiato» dall’inasprirsi della lotta. Sulla partecipazione dei liberali alla lotta, silenzio completo, ma del vantaggio dei liberali si parla. È un’inavvertenza, si può dire, provvi- denziale... I socialdemocratici russi non hanno mai chiuso gli occhi sul fatto che la libertà politica, per la quale innanzi tutto essi lottano, sarà utile innanzi tutto alla borghesia. Solo un socialista immerso fino al collo nei peggiori pregiudizi deirutopismo o del populismo reazionario po- trebbe opporsi per questo motivo alla lotta contro l'autocrazia. La borghesia si servirà della libertà per dormire sugli allori; al proletariato la libertà occorre assolutamente per svolgere in tutta la sua ampiezza la lotta per il socialismo. E la socialdemocrazia condurrà inflessibil- mente la lotta liberatrice, qualunque sia latteggiamento verso questa lotta di questi o quegli strati della borghesia. Nell’interesse della lotta politica dobbiamo sostenere ogni opposizione al giogo dell'auto- crazia, quale che ne sia il motivo e in qualunque strato sociale essa si manifesti. Quindi l’opposizione della nostra borghesia liberale in gene- rale, e dei nostri fautori degli zemstvo in particolare, è ben lungi dal la- sciarci indifferenti. Se i liberali riusciranno a organizzarsi in partito il- legale, tanto meglio: noi saluteremo lo sviluppo della coscienza politica nelle classi abbienti, appoggeremo le loro rivendicazioni, cercheremo di fare in modo che le attività dei liberali e dei socialdemocratici si completino vicendevolmente *. Se non ci riusciranno, anche in questo caso (più probabile) non « lasceremo perdere » i liberali, ci sforzeremo di rinsaldare i legami con uomini singoli, di far loro conoscere il nostro movimento, di sostenerli, svelando nella stampa operaia tutte le infa- mie del governo e le manovre delle autorità locali, di portarli ad ap- poggiare i rivoluzionari. Lo scambio di servizi di tal genere fra i libe- rali e i socialdemocratici avviene anche adesso; deve soltanto essere ampliato e consolidato. Ma, pur essendo sempre disposti a questo scambio di servizi, non rinunceremo mai e in nessun caso alla lotta * Chi scrive queste righe ha avuto occasione di prendere posizione in favore del partito liberale quattro anni fa, a proposito del partito del « Diritto del popolo » 1# . Cfr. / compiti dei socialdemocratici russi (Ginevra, 1898): «...Ma se in questo partito del " Diritto del popolo ” vi sono anche dei politici non socialisti, seri e non da carnevale, se vi sono dei democratici non socialisti, allora il partito potrà recare grande utilità ado- perandosi ad avvicinare gli elementi della nostra borghesia che hanno un atteggiamento di opposizione politica...» (p. 26). [Cfr., nella presente edizione, voi. a, pp. 334-335 (N. d. R.)]. GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO &7 decisa contro le illusioni che sono tanto diffuse in generale nella società russa, politicamente arretrata, e nella società liberale russa in partico- lare. In sostanza, parafrasando la nota considerazione di Marx sulla rivoluzione del 1848, possiamo dire anche del movimento rivoluzio- nario russo che il suo progresso consisterà non nella conquista di qual- che cosa di positivo, ma nella liberazione dalle illusioni nocive 17 . Ci siamo liberati dalle illusioni dell’anarchismo e del socialismo populista, dal disprezzo per la politica, dalla fede nello sviluppo originale della Russia, dalla convinzione che il popolo sia pronto per la rivoluzione, dalla teoria della conquista del potere da parte di un gruppo eroico di intellettuali e del suo duello con l’autocrazia. Sarebbe ora che i nostri liberali si liberassero dall’illusione, che in teoria sembrerebbe la più inconsistente e che in pratica è la più vitale, secondo cui sarebbe ancora possibile parlamentare con l’autocrazia russ£, secondo cui un qualche zemstvo sarebbe l’embrione della Costi- tuzione e i sinceri fautori di quest’ultima potrebbero mantenere il loro giuramento di Annibaie mediante una paziente attività legale e pa- zienti appelli al nemico perchè si rassegni. UNA PREZIOSA CONFESSIONE Negli ultimi tempi le agitazioni operaie hanno di nuovo fatto dappertutto parlare molto di s è. Se ne sono preoccupate anche le sfere dirigenti, e se ne sono preoccupate sul serio : lo si può vedere dal fatto che hanno ritenuto necessario « punire » perfino un giornale arciben- pensante, sempre compiacente verso le autorità, come il Novoie Vre- mia> proibendone la pubblicazione per una settimana, per il suo arti-* colo A proposito dei disordini operai apparso nel numero 9051 (deli’11 maggio). Naturalmente, il giornale non è stato punito per il contenuto deirarticolo, che è animato dai migliori sentimenti verso il governo, dalla più sincera sollecitudine per i suoi interessi. È stato riconosciuto pericoloso ogni esame degli avvenimenti che « agitano la società », ogni accenno alla loro estensione e alla loro importanza. La circolare segreta (sempre dell’u maggio) 1 ®, che citiamo più sotto, la quale di- spone che si possono pubblicare articoli sui disordini nelle nostre fab- briche e officine e sul modo di comportarsi degli operai verso i padroni solo col permesso del dipartimento di polizia , dimostra, meglio di ogni considerazione, in che misura lo stesso governo sia propenso a ritenere le agitazioni operaie un avvenimento d’importanza nazionale. E Parti- colo del Novoie V remìa è particolarmente interessante appunto perchè traccia un programma completo di politica governativa che, in sostan- za, si riduce tutto al proposito di eliminare il malcontento mediante alcune misere elemosine, in parte illusorie, munite della chiassosa eti- chetta della tutela, della cordialità, ecc. e tali da offrire il pretesto per rafforzare la sorveglianza burocratica. Ma questo programma, non nuovo, è l’incarnazione, si può dire, della « massima » saggezza degli attuali uomini di Stato e perfino non della sola Russia, ma anche del- l’Occidente: in una società basata sulla proprietà privata, sull’asservi- UNA PREZIOSA CONFESSIONE 69 mento di milioni di nullatenenti e di lavoratori da parte di un pugno di ricchi, il governo non può non essere Tamico e l’alleato più fedele degli sfruttatori, il custode più fedele del loro potere. Ma ai giorni no- stri per essere un custode fidato sono insufficienti i cannoni, le baio- nette e gli scudisci: bisogna sforzarsi di far credere agli sfruttati che il governo è al di sopra delle classi, che il governo serve non gli inte- ressi dei nobili e della borghesia, ma gli interessi della giustizia, che si adopera per difendere i deboli e i poveri contro i ricchi e i forti, ecc. Napoleone III in Francia, Bismarck e Guglielmo II in Germania hanno sprecato non poca fatica a civettare in questo modo con gli operai. Ma in Europa, grazie all’esistenza di una stampa più o meno libera, di una rappresentanza popolare, di una lotta elettorale e di partiti politici già formati, tutte queste ipocrite manovre sono state sventate con estrema rapidità. In Asia, di cui anche la Russia fa parte, le masse popolari sono così oppresse e ignoranti, e così forti sono i pregiudizi che alimentano la fede nello zar-piccolo padre, che simili manovre hanno un grande successo. E questa politica negli ultimi dieci-venti anni è quindi uno degli indizi più caratteristici che anche in Russia penetra lo spirito europeo. Molte volte si è fatto ricorso a questa politica e sempre è risultato che alcuni anni dopo remanazione di qualche legge che « tutela » (per modo di dire) gli operai, le cose sono tornate ad essere come erano prima. Il numero degli operai mal- contenti aumenta, il fermento cresce, le agitazioni si intensificano: di nuovo, con chiasso e fracasso, si tira fuori la politica della « tu- tela», risuonano le frasi pompose sull’affettuosa sollecitudine per gli operai, si emana qualche legge che dà agli operai un copeco di conten- tino e un rublo di parole vuote e di menzogne, e alcuni anni dopo la vecchia storia si ripete. Il governo gira come uno scoiattolo nella ruota, si dà un gran da fare per arginare qua e là il malcontento degli operai con qualche misera elemosina, ma il malcontento erompe ancora più forte da un’altra parte. Si ricordino, infatti, le più importanti pietre miliari che segnano la storia della « legislazione operaia » in Russia. Alla fine degli anni settanta si svolgono scioperi imponenti a Pietroburgo, i socialisti ten- tano di approfittarne per intensificare l’agitazione, Alessandro III in- clude nella sua politica cosiddetta « popolare » (ma in realtà nobiliare- poliziesca) la legislazione sulle fabbriche. Nel 1882 viene istituita l’ispezione di fabbrica, che all’inizio pubblicava perfino i suoi rapporti. 7 ° LENIN Il governo, naturalmente, non li gradì e ne sospese la pubblica- zione. Le leggi sull’ispezione di fabbrica si rivelarono precisamente una misera elemosina. Si arriva al 1884-1885. La crisi neH’industria suscita un immenso movimento degli operai e una serie di tempestosi scioperi nella zona centrale (particolarmente degno di nota lo sciopero nella fabbrica Morozov). Si tira nuovamente fuori la politica della « tu- tela»; questa volta a presentarla con particolare forza è Katkov, nelle Mos\ovsì{te Viedomosti . Egli lancia fuoco e fiamme perchè gli scio- peranti della fabbrica Morozov sono stati deferiti alla Corte d’assise, elenca centouna questioni sottoposte dalla Corte ai giurati — « cento- una salve sparate in onore della questione operaia che ha fatto la sua comparsa in Russia » — ma esige nello stesso tempo che lo « Stato » in- terceda per gli operai, proibisca le multe scandalose che avevano, alla lunga, fatto sollevare i tessili di Morozov. Esce la legge del 1886 che rafforza notevolmente l’ispezione di fabbrica e proibisce le multe arbi- trarie a favore dell’industriale. Passano dieci anni e si ha una nuova esplosione di agitazioni operaie. Gli scioperi del 1895, e soprattutto l’imponente sciopero del 1896, fanno tremare il governo (particolar- mente perchè già allora i socialdemocratici marciano sistematicamente a spalla a spalla con gli operai), che con una rapidità senza precedenti emana la legge «tutelare» (del 2 giugno 1897) sulla riduzione della giornata lavorativa; nella commissione che ha esaminato questa legge i funzionari del ministero degli interni, compreso il direttore del di- partimento di polizia, gridano a gran voce: è necessario che gli operai di fabbrica vedano nel governo un difensore permanente, un protet- tore giusto e clemente (cfr. l’opuscolo Documenti segreti relativi alla legge del 2 giugno i 8 gy). E frattanto, in sordina, la legge tutelare viene con ogni mezzo mutilata e annullata dalle circolari dello stesso go- verno. Subentra una nuova crisi. industriale; per l’ennesima volta gli operai si convincono che nessuna « tutela * del governo di polizia può dar loro un serio miglioramento e la libertà di occuparsi delle proprie faccende: nuove agitazioni e battaglie di strada, nuova preoccupa- zione del governo, nuovi discorsi polizieschi sulla «tutela statale», apparsi questa volta sul giornale Novoie Vremia. Ma non vi stancate, signori, di pestar l’acqua nel mortaio ? No, il governo non si stancherà mai, naturalmente, di ripetere i suoi tentativi per intimidire gli operai intransigenti e attirare a sè con qualche piccola elemosina i più deboli, sciocchi e paurosi. Ma UNA PREZIOSA CONFESSIONE 7 [ anche noi non ci stancheremo mai di svelare il vero significato di questi tentativi, di smascherare quegli uomini « di Stato » che oggi parlano a gran voce di tutela dopo aver ordinato ieri ai soldati di spa- rare sugli operai, che ieri proclamavano di voler assicurare giustizia e tutela agli operai ed oggi ordinano che i migliori elementi operai e intellettuali vengano lasciati alla mercè della polizia, senza processo. Perciò riteniamo necessario soffermarci sul « programma statale » del Novoie Vremia prima che appaia qualche nuova legge « tutelare ». E anche soltanto le ammissioni fatte a questo proposito da un organo così « autorevole » nel campo della nostra politica interna meritano attenzione. Il Novoie Vremia è costretto a riconoscere che « i fenomeni ripro vevoli nella sfera della questione operaia» non sono casuali. Natural- mente, qui sono colpevoli anche i socialisti (il giornale evita questa terribile parola, preferendo parlare velatamente di « nocive pseudo- dottrine », di « propaganda di idee antistatali e antisociali »), ma... perchè dunque proprio i socialisti hanno successo neirambiente ope- raio? Il Novoie Vremia , naturalmente, non si lascia sfuggire locca- sione per ingiuriare gli operai: essi sono così «arretrati e ignoranti » che prestano orecchio volentieri alla propaganda dei socialisti, perico- losa per la quiete poliziesca. Colpevoli, quindi, sia i socialisti che gli operai, ed è contro questi colpevoli che i gendarmi conducono da lungo tempo una guerra spietata, riempiendo le prigioni e i luoghi di deportazione. Ma ciò non giova. Evidentemente vi sono nella situa- zione degli operai di fabbrica e di officina elementi tali che « susci- tano e alimentano il loro malcontento per la condizione attuale » e in tal modo « favoriscono il successo » del socialismo. « AlToperaio di fab- brica e d’officina, che vive in condizioni estremamente penose, il duro lavoro non fornisce più di quanto è necessario per nutrirsi finché ha le forze per lavorare; e, comunque, quando resta senza lavoro per un tempo più o meno lungo, Toperaio finisce per trovarsi in quella situa- zione disperata di cui, per esempio, si parlava giorni fa sui giornali a proposito degli operai degli stabilimenti petroliferi di Bakù ». Così, Ì fautori del governo debbono riconoscere che il successo del socialismo si spiega con la situazione veramente penosa degli operai. Ma ciò viene ammesso in modo molto vago e ambiguo, con riserve le quali mostrano con chiarezza che questa gente non ha la benché minima intenzione di toccare la « sacra proprietà » dei capitalisti che opprime 7 2 LENIN gli operai. « Purtroppo — scrive il Novoie Vremìa — noi conoscia- mo troppo poco Teffettivo stato di cose nella sfera della questione operaia qui, in Russia». Già, purtroppo! E «noi» la conosciamo poco precisamente perchè permettiamo al governo di polizia di im- bavagliare tutta la stampa, di tappar la bocca a chiunque denunci onestamente le nostre brutture. In compenso, però, « noi » ci sfor- ziamo di orientare l’odio deiroperaio non contro il governo asiatico, ma contro gli «allogeni»: il Novoie Vremìa addossa la colpa alle «amministrazioni di fabbrica allogene», le chiama «brutali e avide». Con questa trovata si possono prendere all’amo soltanto gli operai più arretrati e ignoranti, i quali pensano che la colpa sia del « tede- sco » o dell’« ebreo » e non sanno che tanto gli operai tedeschi quanto quelli ebrei si uniscono per lottare contro i loro sfruttatori tedeschi ed ebrei. E anche gli operai che non lo sanno vedono in mille casi che i capitalisti russi sono di tutti i più « avidi » e senza scrupoli, che la polizia russa e il governo russo sono di tutti i più «brutali ». È interessante anche il rammarico che il Novoie Vremia esprime per il fatto che l’operaio non è più ignorante e docile come il conta- dino. Il Novoie Vremia sparge lacrime perchè l’operaio « spezza i le- gami col suo nido rurale », perchè « nelle zone delle fabbriche e delle officine si concentrano masse eterogenee » e « il campagnuolo si stacca dal villaggio, con i suoi modesti [ecco la sostanza della cosa], ma auto- nomi interessi e rapporti economico-sociali ». Come non piangere, in verità? Il « campagnuolo» è legato al suo nido e, per il timore di per- dere questo nido, non si decide a presentare una rivendicazione al suo grande proprietario fondiario, a spaventarlo con uno sciopero, tee.; il campagnuolo non sa come vanno le cose negli altri luoghi, s’inte- ressa solo del suo paesello (i fautori del governo a questo proposito parlano di «interessi autonomi» del campagnuolo: il grillo si accon- tenta del suo focolare, e non ficca il naso nella politica. Ci può essere qualcosa di più gradito alle autorità?), e in questo paesello la san- guisuga locale, il grande proprietario o il kulak, conosce assoluta- mente tutti, e tutti, fin dai padri e dai nonni, hanno assimilato l’arte servile della sottomissione, e non c’è nessuno che possa svegliare la loro coscienza. Nella fabbrica, invece, la gente è « eterogenea », non attaccata al nido (poco importa dove si lavora), ne ha viste dogni colore, è coraggiosa, si interessa a tutto quel che accade nel mondo. Nonostante questa affliggente trasformazione del povero conta- UNA PREZIOSA CONFESSIONE 73 dino in operaio consapevole, i nostri saggi sostenitori del governo di polizia sperano ancora d’ingannare la massa operaia mediante la « sollecitudine dello Stato per il miglioramento del tenore di vita degli operai ». Il Novoie Vremia corrobora questa speranza con la seguente trita considerazione: «Fiero e onnipotente in Occidente, il capitalismo da noi è ancora un debole bimbo, capace soltanto di lasciarsi guidare, e il governo lo tiene per le dande ». Eh, via, a questa vecchia canzone dell’onnipotenza delle autorità può prestar fede soltanto, forse, un modesto contadino! L’operaio invece vede troppo spesso i capitalisti « tener per le dande » i poliziotti e il clero, le autorità militari e civili. Ed ecco — continua il Novoie Vremia — in che cosa consiste tutto il problema: il governo * insista* sul miglioramento delle condizioni di vita degli operai, cioè esiga dagli industriali questo miglioramento. Vedete come è semplice? Un ordine e tutto è fatto. Ma ciò è semplice solo a parole, perchè in pratica gli ordini delle autorità, anche i più « modesti », come l’apertura di ospedali presso le fabbriche, da de- cenni e decenni non vengono eseguiti dai capitalisti. Il governo, inol- tre, non oserà esigere alcunché di serio dai capitalisti per non violare la « sacra » proprietà privata. Il governo, poi, non vorrà un serio mi- glioramento delle condizioni di vita degli operai perchè è egli stesso in mille casi un padrone, e imbroglia e perseguita gli operai dell’of- ficina Obukhov e di altre centinaia di officine, e decine di mi- gliaia di impiegati delle poste, delle ferrovie, ecc. ecc. Anche lo stesso Novoie Vremia avverte che nessuno crede agli ordini del nostro go- verno e, a sostegno della sua argomentazione, ricorre a elevati esempi storici. Ciò deve essere fatto, egli dice circa il miglioramento delle condizioni di vita degli operai, « pressappoco come mezzo secolo fa, quando il governo prese nelle sue mani la questione contadina, lascian- dosi guidare dalla saggia convinzione che prevenire le rivendicazioni dal basso con delle riforme dall’alto è meglio che attenderle». Ecco quello che si chiama veramente un prezioso riconoscimento! Prima dell’emancipazione dei contadini lo zar segnalava ai nobili il pericolo di un’insurrezione popolare dicendo: meglio emancipare dal- l’alto che aspettare che comincino a emanciparsi dal basso. Ed ecco, oggi un giornale al servizio del governo ammette che lo stato d’animo degli operai gli incute non meno paura dello stato d’animo dei con- tadini «prima della liberazione». «Meglio dall’alto che dal basso». Si sbagliano profondamente i gazzettieri al servizio dell’autocrazia 74 LENIN quando trovano una « rassomiglianza » tra la richiesta di trasforma^ zioni fatta allora e quella fatta oggi. I contadini chiedevano l’aboli- zione della servitù della gleba senza aver nulla contro il potere zarista e avendo fede nello zar. Gli operai odiano prima di tutto e soprattutto il governo; essi vedono che per la loro mancanza di diritti davanti all’autocrazia poliziesca si trovano mani e piedi legati nella lotta con- tro i capitalisti; essi chiedono quindi la liberazione dal potere assoluto e dall'arbitrio sfrenato del governo. Anche gli operai si agitano « pri- ma della liberazione », ma questa sarà la liberazione di tutto il po- polo, che strapperà la libertà politica al dispotismo. Sapete con quale straordinaria riforma si vuole arginare il mal- contento degli operai e manifestare nei loro confronti la < tutela dello Stato » ? Se si presta fede a voci abbastanza insistenti, è in corso una lotta fra il ministero delle finanze e quello degli interni: quest'ultimo chiede che l’ispezione di fabbrica venga affidata al suo dicastero, asse- rendo che in tal modo essa favorirà meno i capitalisti e si preoccuperà maggiormente degli operai, prevenendo così le agitazioni. Si prepa- rino gli operai a una nuova graziosa concessione dello zar: gli ispet- tori di fabbrica indosseranno nuove uniformi e dipenderanno da un altro dicastero (probabilmente con un aumento di stipendio), proprio da quello stesso dicastero che da tanto tempo e così amorevolmente (specie il dipartimento di polizia) tutela gli operai. Iskray 6, luglio lyu i . GLI INSEGNAMENTI DELLA CRISI La crisi commerciale e industriale si protrae già da quasi due anni. E, a quanto sembra, si aggrava sempre più, investe nuovi rami del- l'industria, si estende a nuove zone, è acuita da nuovi fallimenti ban- cari. Il nostro giornale, a cominciare dal dicembre dell’anno scorso, in ogni numero ha messo in rilievo in un modo o nell'altro lo sviluppo della crisi e le sue nefaste conseguenze. È giunta l’ora di porre la que- stione generale delle cause e del significato di questo fenomeno, che per la Russia è relativamente nuovo, come nuovo è tutto il nostro ca- pitalismo. Nei vecchi paesi capitalistici invece — paesi nei quali la maggioranza dei prodotti viene fabbricata per la vendita e la mag- gioranza degli operai non possiede nè terra, nè strumenti di lavoro e vende la sua forza-lavoro occupandosi nelle aziende altrui, presso i proprietari ai quali appartengono la terra, le fabbriche, le macchine, ecc. — la crisi è un fenomeno vecchio, che si ripete di tanto in tanto, come gli attacchi di una malattia cronica. Le crisi possono, quindi, essere previste, e quando in Russia il capitalismo incominciò a svi- lupparsi con particolare rapidità, le pubblicazioni socialdemocratiche preannunziarono anche Fattuale crisi. Nell'opuscolo I compiti dei so- cialdemocratici russi , scritto alla fine del 1897, dicevamo: «Stiamo oggi attraversando, evidentemente, quella fase del ciclo capitalistico (ciclo nel quale si ripetono sempre gli stessi avvenimenti come si ripetono l’inverno e l’estate) nella quale l’industria ” fiorisce ”, il com- mercio si espande, le fabbriche lavorano a pieno rendimento; nella quale nuove aziende, nuove officine, società per azioni, ferrovie, ecc. ecc. si moltiplicano come i funghi dopo la pioggia. Non è necessario essere profeti per predire il crollo inevitabile, più o meno brusco, che seguirà a questa "prosperità” industriale e manderà in rovina la 76 LEN]N massa dei piccoli proprietari, getterà una massa di operai nelle file dei disoccupati » *... E il crollo è venuto, un crollo così subitaneo come la Russia non ne aveva mai visti. Da che cosa dipende questa terri- bile malattia cronica della società capitalistica, le cui ricadute sono così regolari da poter essere predette? La produzione capitalistica non può svilupparsi che a salti, due passi avanti e uno (e talvolta anche due) indietro. Come abbiamo già rilevato, la produzione capitalistica è una produzione per la vendita, una produzione di merci per il mercato. E dispongono della produ- zione i singoli capitalisti, ciascuno isolatamente, e nessuno può sapere con esattezza quanti e quali prodotti precisamente sono richiesti sul mercato. Si produce a tentoni, preoccupandosi soltanto di sorpassarsi l’un l’altro. È del tutto naturale che la quantità dei prodotti possa non corrispondere alla richiesta del mercato. E questa possibilità è particolarmente grande quando l’enorme mercato si estende improv- visamente a nuove regioni, sconosciute e sterminate. Così appunto stavano le cose quando cominciò quel periodo di « prosperità » che la nostra industria ha attraversato recentemente. I capitalisti di tutta l’Europa allungarono le grinfie su una parte del mondo abitata da cen- tinaia di milioni di uomini, l’Asia, nella quale fino allora solo l’India, e per giunta una sua piccola parte periferica, aveva stretto legami con il mercato mondiale. La ferrovia transcaspica cominciò a « scoprire >, per il capitale, l’Asia centrale, la « grande ferrovia transiberiana » (grande non solo per la sua lunghezza, ma anche per le smisurate ruberie di denaro dello Stato da parte dei costruttori, per lo smisurato sfrut- tamento degli operai che la costruirono) scoprì la Siberia; il Giappone cominciò a trasformarsi in nazione industriale e cercò di aprire una breccia nella muraglia cinese, scoprendo un boccone così prelibato che subito si precipitarono ad addentarlo i capitalisti dell’Inghilterra, della Germania, della Francia, della Russia e persino delPItalia. Co- struzione di gigantesche ferrovie, espansione del mercato mondiale, sviluppo del commercio: tutto questo provocò un’improvvisa ripresa dell’industria, la nascita di nuove aziende, una frenetica ricerca di mercati di sbocco, la corsa al profitto, la costituzione di nuove società, l’investimento nella produzione di una massa di nuovi capitali costi- tuiti in parte anche dai modesti risparmi dei piccoli capitalisti. Non Cfr., nella presente edizione, voi. 2, p. 336 (ÌV. d. £.). GLI INSEGNAMENTI DELLA CRISI 77 c’è da stupirsi se questa frenetica corsa mondiale alla conquista di mercati nuovi e sconosciuti ha portato a un enorme collasso. Per avere un’idea chiara di questa corsa bisogna considerare i co- lossi che vi hanno partecipato. Quando si dice: «aziende private» e « singoli capitalisti » spesso si dimentica che in sostanza queste espres- sioni sono inesatte. In sostanza singola e privata è rimasta solo l’ap- propriazione del profitto, mentre la produzione è diventata sociale. I giganteschi fallimenti sono stati possibili e inevitabili solo perchè una banda di ricchi, che cercano esclusivamente il lucro, ha a sua di- sposizione potenti forze produttive sociali. Spieghiamo ciò con un esempio preso dall’industria russa. Negli ultimi tempi la crisi si è estesa anche al settore petrolifero. In questa industria spadroneggiano imprese come, per esempio, la « Compagnia petrolifera fratelli Nobel ». Nel 1899 la Compagnia ha venduto 163 milioni di pud di prodotti petroliferi per la somma di 53 milioni e mezzo di rubli, e nel 1900 ha venduti altri 192 milioni di pud per la somma di 72 milioni di rubli. In un anno l’aumento della produzione in una sola impresa è stato di 18 milioni e mezzo di rubli! Questa «sola impresa» si regge sul la- voro coordinato di decine e centinaia di migliaia di operai, occupati nell’estrazione del petrolio, nella sua lavorazione, nel suo trasporto at- traverso oleodotti, ferrovie, mari e fiumi, occupati a costruire le mac- chine, i depositi, i materiali, le chiatte, i piroscafi ecc. a ciò necessari. Tutte queste decine di migliaia di operai lavorano per tutta la società, ma del loro lavoro dispone un pugno di milionari che si appropriano tutto il profitto procurato da questo lavoro organizzato delle masse. (La compagnia Nobel ha ricavato nel 1899 un profitto netto di 4 mi- lioni di rubli, nel 1900 di 6 milioni, di cui gli azionisti hanno ricevuto 1.300 rubli per ogni azione di 5.000, mentre cinque membri della dire- zione hanno avuto una gratifica di 528.000 rubli!). Se alcune di queste imprese si lanciano in una frenetica corsa per conquistarsi un posto in non si sa quale mercato, c’è da stupirsi se scoppia una crisi? Ma non basta. Se un’impresa vuole avere un profitto deve vendere le merci, trovare i compratori. E compratrice deve essere tutta la massa della popolazione, perchè immense imprese producono montagne e montagne di prodotti. Ma in tutti i paesi capitalistici, i nove decimi della popolazione sono costituiti dai poveri: dagli operai che rice- vono il più magro salario, dai contadini che, nella loro massa, vivono ancor peggio degli operai. Così, quando la grande industria nel pe- 7 » LENIN riodo di prosperità si affanna a produrre il più possibile, essa getta sul mercato una tale massa di prodotti che la maggioranza non ab- biente del popolo non è in grado di comprare. Il numero delle mac- chine, degli strumenti, dei depositi, delle ferrovie ecc. aumenta sem- pre più, ma questo aumento di tanto in tanto si interrompe, perchè la massa del popolo, per la quale in fin dei conti si sono introdotti tutti questi metodi di produzione perfezionata, rimane in uno stato di povertà che confina con la miseria. La crisi dimostra che la società moderna potrebbe produrre incomparabilmente di più per il miglio- ramento del tenore di vita di tutto il popolo lavoratore se la terra, le fabbriche, le macchine ecc. non fossero nelle mani di un pugno di proprietari privati che ricavano milioni dalla miseria del popolo. La crisi dimostra che gli operai non possono limitarsi alla lotta per strap- pare singole concessioni ai capitalisti: durante la ripresa dell’industria tali concessioni si possono ottenere (e gli operai russi con la loro ener- gica lotta hanno ottenuto più di una volta delle concessioni nel 1894-1898), ma poi viene il crollo, e i capitalisti non soltanto ritirano le concessioni fatte, ma approfittano dell’impotenza degli operai per ridurre ancora i salari. E così inevitabilmente si continuerà, finche gli eserciti del proletariato socialista non abbatteranno il dominio del capitale e della proprietà privata. La crisi dimostra quanto miopi fos- sero quei socialisti (che si definiscono « critici » probabilmente perchè fanno proprie senza discernimento critico le dottrine degli economisti borghesi) i quali due anni fa dichiararono con gran chiasso che i crolli sarebbero diventati ormai meno probabili. Gli insegnamenti della crisi, che ha rivelato quanto sia assurda la subordinazione della produzione sociale alla proprietà privata, sono così edificanti che oggi anche la stampa borghese esige che si rafforzi il controllo, per esempio, sulle banche. Ma nessun controllo impedirà ai capitalisti di fondare, durante la ripresa, aziende che poi falliranno inevitabilmente. Alcevski, l’ex fondatore, a Kharkov, delle banche fondiarie e commerciali, poi fallite, si procurava con mezzi leciti e illeciti milioni di rubli per fondare e sostenere imprese metallurgico- minerarie che promettevano montagne d’oro. E l’arresto nell’industria ha rovinato queste banche e imprese minerarie (società Iuriev nel Donets). Ma che significa questa « rovina > di imprese nella società capitalistica? Significa che i capitalisti deboli, i capitalisti di «seconda grandezza > sono messi in disparte dai milionari più solidi. Al milio- GU INSEGNAMENTI DELLA CRISI 79 nario Alcevski di Kharkov succede il milionario Riabuscinski di Mo- sca che, disponendo di capitali maggiori, potrà premere con forza ancora maggiore sull’operaio. La sostituzione di ricconi di secondo piano con altri di primo piano, l’aumento delle forze del capitale, la rovina della massa dei piccoli proprietari (per esempio, dei piccoli ri- sparmiatori, che col fallimento di una banca perdono tutti i loro averi), la terribile pauperizzazione degli operai, ecco che cosa porta con sè la crisi. Ricordiamo ancora i casi, descritti dall’/j^nz, in cui i capita- listi prolungano la giornata lavorativa e cercano di licenziare gli ope- rai coscienti sostituendoli con uomini più rozzi e docili. In Russia, in generale, gli effetti della crisi sono molto più sensibili che in qualsiasi altro paese. Ài ristagno nell’industria si accompagna da noi la fame tra i contadini. Gli operai disoccupati vengono inviati dalle città nei villaggi, ma dove si manderanno i contadini disoccu- pati? Facendo partire gli operai si vogliono allontanare dalle città gli elementi irrequieti, ma non può darsi che costoro riescano a far uscire almeno una parte dei contadini dalla loro rassegnazione secolare e a indurli a presentare non solo suppliche, ma anche rivendicazioni ? Oggi ravvicinano gli operai e i contadini non soltanto la disoccupa- zione e la fame, ma anche l’oppressione poliziesca, che toglie agli operai la possibilità d’unione e di difesa e ai contadini persino gli aiuti che inviano benevoli donatori. Il pesante tallone della polizia diventa cento volte più pesante per milioni di persone che hanno per- duto ogni mezzo di sussistenza. I gendarmi e la polizia nelle città, gli zemsì^ie nacialnikj e gli sbirri nelle campagne vedono chiaramente che l’odio contro di essi aumenta, e cominciano a temere non solo le mense di villaggio, ma anche gli annunci dei giornali sull’apertura di sottoscrizioni. Paura delle sottoscrizioni! È proprio vero, il ladro ha paura anche della sua ombra. Quando il ladro vede che un pas- sante offre un obolo aH’uomo da lui derubato, comincia a sembrargli che l’uno e l’altro si diano la mano per unire le loro forze e fare i conti con lui. ìskia, n. 7, agosto iyoi. I FEUDALI AL LAVORO È uscita la nuova legge dell’8 giugno 1901 suirassegnazione a privati di terre demaniali in Siberia. Come essa sarà applicata, lo mo- strerà Tavvenire. Ma il carattere stesso di questa legge è già talmente istruttivo, mostra con tanta evidenza l’autentica natura e le vere in- tenzioni del governo zarista che vale la pena di esaminarla nei parti- colari e di preoccuparsi di farla conoscere nella maniera più ampia alla classe operaia e ai contadini. Già da lungo tempo il nostro governo elargisce regalie ai magna- nimi nobili proprietari fondiari: ha organizzato per loro la banca della nobiltà, ha loro offerto migliaia di facilitazioni nella concessione di crediti e di proroghe nel pagamento degli arretrati, li ha aiutati a organizzare la serrata dei milionari zuccherieri per elevare i prezzi e aumentare i profitti, si è preoccupato di procurare posticini di zem- s\ie nacialni\i a nobili figli di papà, organizza ora per i nobili padroni delle distillerie una vantaggiosa vendita della vodka all’erario. Ma, con l’assegnazione di terre, non si limita a fare un dono agli sfrutta- tori più ricchi e più illustri : crea una nuova classe di sfruttatori e con- danna milioni di contadini e di operai ad essere asserviti in maniera permanente ai nuovi grandi proprietari fondiari. Consideriamo i motivi principali che hanno indotto a promulgare la nuova legge. Occorre rilevare innanzi tutto che questa legge, prima di essere portata al Consiglio di Stato dal ministro dell’agricoltura e del demanio, era stata discussa nella Conferenza straordinaria per gli affari del ceto nobiliare . Tutti sanno che attualmente i più poveri in Russia non sono gli operai e nemmeno i contadini, ma i nobili pro- prietari fondiari, e la « conferenza straordinaria » non ha tardato a trovare il modo di alleviare le loro sciagure. Le terre demaniali in Si- I FEUDALI AL LAVORO 81 beria saranno vendute e affittate a « privati » per impiantarvi « aziende private»; inoltre ai sudditi non russi e allogeni (fra gli allogeni sono inclusi anche gli ebrei) è proibito in perpetuo qualsiasi acquisto di queste terre; prender terre in affitto (come vedremo, questa è Ite- razione più vantaggiosa per i futuri grandi proprietari fondiari) è consentito esclusivamente ai nobili, « i quali — come dice la legge — per l’affidamento economico che danno, sono secondo il governo i proprietari fondiari ideali per la Siberia ». Dunque, il governo pensa appunto che la popolazione lavoratrice deve essere asservita ai nobili grandi proprietari fondiari. Quanto grandi siano lo si vede dal fatto che l’estensione degli appezzamenti venduti non deve superare, per legge, le tremila desiatine , l’estensione degli appezzamenti affittati non viene limitata in alcun modo, e il termine dell’affittanza è fissato a 99 anni\ Al grande proprietario fondiario in difficoltà occorre, secondo i calcoli del nostro governo, duecento volte più terra che al contadino al quale si danno in Siberia 15 desiatine per famiglia. E poi, quali facilitazioni ed esenzioni non prevede la legge per i grandi proprietari fondiari! L’affittuario nel corso dei primi cinque anni non paga nulla. Se compra la terra che ha affittato (e ne ha il diritto in base alla nuova legge) può pagarla ratealmente in 37 anni. Con speciale autorizzazione è ammessa anche la vendita di più di 3.000 desiatine di terra demaniale, la vendita a prezzo libero c non all’asta pubblica; una parte del pagamento può poi essere effettuata dopo un anno e persino dopo tre anni. Non bisogna dimenticare che usufruiscono in generale della nuova legge solo gli alti dignitari e le persone che hanno aderenze a Corte ecc.; a gente simile tutte queste 'facilitazioni ed esenzioni vengono concesse tra una battuta di spirito e l’altra, dopo aver scambiato quattro chiacchiere in un salotto con un governatore o un ministro. Ma ecco il guaio. Quale vantaggio trarranno dai loro fazzoletti di terra, anche di sole 3.000 desiatine, tutti questi generali proprietari se non si troverà il c mugi\ » costretto a lavorare per questi generali? Per quanto rapidamente aumenti la miseria del popolo in Siberia, il contadino locale è tuttavia incomparabilmente più indipendente di quello « russo » ed è poco abituato a lavorare a suon di bastonate. La nuova legge cerca di abituarvelo. « Le terre destinate alle aziende pri- vate devono, possibilmente, essere frammiste con i lotti ch’erano stati assegnati ai contadini », dice l’articolo 4 della legge. Il governo za- 6 - 754 82 LENIN rista si preoccupa di procurare ai contadini poveri delle « occupazioni ausiliarie ». Dieci anni fa lo stesso signor Iermolov che ora, in qualità di ministro deiragricoltura e del demanio, ha presentato al Consiglio di Stato la legge sulPassegnazione a privati di terre demaniali in Siberia, pubblicò (sotto altro nome) il volume: Carestia e calamità popolare. In quel libro egli dichiarava apertamente che non c’è motivo di permettere l’immigrazione in Siberia ai contadini che potevano tro- vare « occupazioni ausiliarie » presso i grandi proprietari fondiari del loro luogo d’origine. Gli uomini di Stato russi non si peritano d’espri- mere opinioni nettamente favorevoli alla servitù della gleba: i conta- dini sono stati creati per lavorare per i grandi proprietari fondiari, e perciò non si può loro neanche « permettere » di trasferirsi ove vogliono se ciò priva i grandi proprietari fondiari di manodopera a buon mer- cato. E quando i contadini, nonostante tutte le difficoltà, le lungaggini burocratiche e anche gli aperti divieti, hanno continuato a trasferirsi in Siberia a centinaia di migliaia, allora il governo zarista, esattamente come la guardia campestre di un vecchio signore, si è messo a inse- guirli per angariarli anche nella loro nuova residenza. Se i magri lotti e le terre contadine (le migliori delle quali sono già occupate) saranno « frammisti » con gli appezzamenti di 3.000 desiatine dei nobili pro- prietari fondiari, allora, può darsi che tra non molto diminuirà al- quanto la tentazione di trasferirsi in Siberia. Intanto le terre dei nuovi grandi proprietari fondiari aumenteranno di prezzo tanto più rapida- mente quanto più penosa diventerà la vita dei contadini delle zone circostanti. Questi contadini dovranno, da un lato, andare a lavorare per una bassa paga e, dall’altro, pagare per le terre dei grandi pro- prietari un fitto esorbitante, esattamente come in « Russia ». La nuova legge si propone senza infingimenti di creare al più presto un nuovo paradiso per i grandi proprietari fondiari e un nuovo inferno per i contadini : vi è stata inclusa una clausola speciale che riguarda preci- samente l’affittanza della terra per una semina. In generale le terre demaniali non possono essere subaffittate senza una speciale autoriz- zazione, ma il subaffitto per una semina è liberamente ammesso. Le preoccupazioni del grande proprietario fondiario si possono quindi limitare all’assunzione di un amministratore, il quale affitterà la terra per desiatine ai contadini che vivono « frammisti » alla tenuta padro- nale e invierà al signore il denaro in contanti. Tra l’altro avviene spesso che i nobili non desiderino nemmeno I FEUDALI AL LAVORO 8 3 occuparsi in questo modo della loro « azienda ». Essi possono intascare subito un bel gruzzolo rivendendo le terre demaniali a veri coltiva- tori. Non per nulla la nuova legge esce proprio nel periodo in cui in Siberia è stata costruita la ferrovia, in cui le deportazioni in Sibe- ria sono state abolite e le immigrazioni hanno raggiunto proporzioni enormi: tutto ciò provocherà inevitabilmente (e provoca già) un au- mento dei prezzi della terra. Perciò Tassegnazione ai privati di terre demaniali nel momento attuale è, in sostanza, una ruberia dei nobili a spese dellerario: le terre demaniali salgono di prezzo e vengono affittate e vendute, a condizioni particolarmente favorevoli, a generali, chiunque essi siano, i quali traggono profitto da questo aumento dei prezzi. Per esempio, nel governatorato di Ufà, in un solo distretto, nobili e funzionari hanno compiuto la seguente operazione con le terre a loro vendute (in base a tale legge): hanno versato all erario per le terre 60.000 rubli e due anni dopo le hanno rivendute per 580.000 rubli, hanno cioè guadagnato con una semplice rivendita oltre mezzo milione di rubli\ Si può immaginare in base a questo esempio quanti milioni, grazie all’assegnazione delle terre in tutta la Siberia, vanno a finire nelle tasche dei poveri grandi proprietari fondiari. Il governo e i suoi sostenitori, per coprire questa impudente rube- ria, fanno ogni sorta di elevate considerazioni. Parlano dello sviluppo della civiltà in Siberia, della grande importanza delle aziende modello. In realtà le grandi tenute, che mettono in una situazione insostenibile i contadini confinanti, possono oggi soltanto rafforzare i metodi più arretrati di sfruttamento. Le aziende modello non si creano mediante le malversazioni, e nell’assegnazione delle terre i nobili e i funzio- nari fungeranno unicamente da mediatori, oppure prospereranno i metodi asservitori e usurari di gestione. I magnanimi nobili, in al- leanza con il governo, hanno allontanato dalle terre demaniali sibe- riane gli ebrei e gli altri allogeni (che essi cercano di presentare al popolo ignorante come sfruttatori particolarmente spudorati) allo sco- po di esercitare essi stessi senza ostacoli la peggiore usura. Più avanti si parla dell’importanza politica del ceto della nobiltà terriera in Siberia: ivi fra gli intellettuali si trovano moltissimi ex de- portati, elementi infidi, e come contrapposto, si dice, bisogna creare un sicuro baluardo del potere statale, un sicuro elemento «sul posto». E in queste considerazioni è racchiusa una verità assai più grande e profonda di quanto s’immaginino il Grazdanin e le Mos\ovskte I.F.MTN u Viedomosti . Lo Stato di polizia si £a talmente odiare dalla massa della popolazione che è costretto a creare artificialmente gruppi di individui che possano servire da pilastri della patria, è costretto a creare una classe di grandi sfruttatori di tutto debitori al governo, dal cui ben- volere dipendono, che traggano enormi benefici con i più bassi metodi (mediazione, usura) e siano perciò sempre sicuri sostenitori di ogni ar- bitrio e di ogni oppressione. Il governo asiatico è costretto a puntel- larsi sulla grande proprietà fondiaria asiatica, sul sistema feudale di « concessione di feudi ». E se nel momento attuale non si possono di- stribuire dei « feudi abitati », si possono, però, distribuire feudi le cui terre siano frammiste alle terre dei contadini che si vanno impoveren- do; se non è conveniente regalare direttamente migliaia di desiatine ai leccapiatti di Corte, si può mascherare la distribuzione con la vendita e l’« affittanza » (per 99 anni), accompagnate da migliaia di facilita- zioni. Come non chiamare feudale questa politica fondiaria, se la si confronta alla politica fondiaria di paesi moderni progrediti, come per esempio 1 * America? Ivi nessuno osa abbandonarsi a considera- zioni suirautorizzazione o il divieto delle migrazioni, perchè ogni cittadino ha il diritto di trasferirsi dove gli pare. Ivi chiunque vuole dedicarsi all’agricoltura ha diritto per legge di occupare le terre libere nelle regioni periferiche dello Stato. Ivi si crea non una classe di sa- trapi asiatici, ma una classe di energici imprenditori agricoli, che hanno sviluppata tutte le forze produttive del paese. Ivi la classe ope raia, grazie aH’abbGndanza di terre libere, ha occupato il primo posto per l’alto tenore di vita. E in quale momento ha emanato il nostro governo la sua legge feudale! Durante la più forte crisi industriale, quando decine e cen- tinaia di migliaia di lavoratori non trovano un occupazione, mentre milioni di contadini sono nuovamente in preda alla carestia. Tutte le preoccupazioni del governo sono volte a impedire che « si faccia del chiasso » sulle calamità. A tale scopo ha rinviato al luogo d’ori- gine gii operai disoccupati, a tale scopo ha trasferito gli approvvigio- namenti dalle mani degli zemstvo a quelle dei funzionari di polizia, a tale scopo ha proibito ai privati di organizzare mense per gli affamati, a tale scopo ha messo il bavaglio ai giornali. E quando è cessato il «chiasso» sulla fame, sgradevole per i sazi, lo zar-piccolo padre è accorso in aiuto dei poveri proprietari fondiari e degli sfortunati gene- rali di corte. Ripetiamo: il nostro compito è ora semplicemente quello I FEUDALI AL LAVORO 85 di portare a conoscenza di tutti il contenuto della nuova legge. Una volta messi al corrente, gli strati meno progrediti degli operai, i con- tadini più arretrati e oppressi comprenderanno di chi il governo fa gli interessi e quale governo occorra al popolo. Iskra, n. 8. io settembre 1901. IL CONGRESSO DEGLI ZEMSTVO Il fermento sociale, riversatosi come un’ondata sul paese in seguito agli avvenimenti della scorsa primavera, non si placa; si fa sentire in diverse forme in tutti gli strati della società russa, la quale, ancora nel gennaio scorso, sembrava sorda ed estranea al lavoro cosciente della socialdemocrazia russa. Il governo si fa in quattro per calmare al più presto la coscienza sociale che si è agitata per le solite bolle di sapone, come il manifesto del 25 marzo suH’« amorevole tutela », co- me le cosiddette riforme Vannovski o le solenni pagliacciate dei viag- gi di Sipiaghin e Sciakhovskoi per la Russia... Alcuni ingenui piccoli borghesi russi si saranno effettivamente messi Tanimo jn pace dopo queste misure, ma non tutti, è certo. Anche ^gli attuali membri degli zemstvo , che sono per metà funzionari spauriti, cominciano, sembra, a uscire da quello stato di continua trepidazione al quale erano stati ridotti dalla funesta epoca dello « zar pacificatore », ormai passata alla storia. Sua maestà la burocrazia, liberatasi dai veli della più elementare pudicizia, suscita un sentimento d’indignazione e di repulsione anche in loro, uomini timidi, dal coraggio e dalla moralità civili quasi atro- fizzati. Ci si comunica che alla fine di giugno, nella città di N N (per prudenza non indichiamo quale), è stato organizzato un congresso de- gli esponenti degli zemstvo di alcuni governatorati. Si sono riuniti, naturalmente, non per risolvere questioni politiche, ma problemi pacifici, puramente locali; si sono riuniti «senza violare la sfera di competenza e i limiti di potere », secondo Timmaginosa espressione del regolamento dello zemstvo (art. 87); tuttavia questa riunione è stata convocata senza il permesso e all’insaputa delle au- IL CONGRESSO DEGLI ZEMSTVO «7 torità e, quindi, per esprimersi con le parole dello stesso regolamento, la riunione si è tenuta « violando la procedura degli istituti degli zemstvo »; i membri degli zemstvo poi, una volta riunitisi, sono pas- sati senza accorgersene da pacifiche e innocenti questioni alPesame dello stato generale delle cose. Tale è la logica della vita: gli scrupo- losi membri degli zemstvo , per quanto respingano talvolta il radica- lismo e il lavoro illegale, urtano per forza di cose nella necessità di organizzarsi illegalmente e di agire in modo più deciso. Certo non saremo noi a condannare questa via naturale e del tutto giusta. È tempo, finalmente, che anche gli esponenti degli zemstvo diano una risposta energica e organizzata al governo che ha perso ogni ritegno, ha liquidato lautonomia locale nelle campagne, ha snaturato quella delle città e degli zemstvo e ha alzato la scure, con la consequenzialità del somaro, sugli ultimi resti degli istituti degli zemstvo. Si dice che al congresso un vecchio e onorato esponente di uno zemstvo y dibat- tendosi il problema di come lottare contro la legge che limita i tributi imposti dallo zemstvo , abbia esclamato: «Gli uomini degli zemstvo debbono, infine, dire la loro parola, o non la diranno mai più! ». Siamo completamente d'accordo col grido dell'esponente liberale, pronto a lanciare l'appello alla lotta aperta contro l’autocrazia burocratica. Lo zemstvo è alla vigilia della bancarotta interna. E se i suoi migliori esponenti non prendono ora misure decise, se non la finiscono con la loro abitudine di comportarsi alla Manilov, con le loro questioni minute, secondarie, riguardanti la « stagnatura dei paiuoli » (come ha detto un illustre esponente degli zemstvo ), lo zemstvo si svuoterà e si convertirà in un normale « ufficio pubblico ». Questa morte ingloriosa è inevitabile, perchè non ci si può impunemente limitare per decine di anni ad aver paura, ringraziare e presentare umilmente delle istan- ze: bisogna minacciare, esigere, bisogna smetterla di gingillarsi per de- dicarsi a un vero lavoro. lsfya, n. 8, io settembre 1901. la questione agraria e I CRITICI DI MARX Scritto nel giugno-settembre 1901. I capp. I-IV furono pubblicati per la prima volta nel dicembre 1901 nella Zarià , n. 2-3, a firma: N. Lenin, 1 capp. V- 1 X nel febbraio 1906, nell’ Obrazot/anie, n. 2, con la stessa firma. « ... Dimostrare... che il marxismo dogmatico nel campo delle que- stioni agrarie è stato sloggiato dalle sue posizioni sarebbe sfondare una porta aperta »... Così dichiarava l’anno scorso il Russate Bo- gatstvo per bocca del signor V. Cernov (1900, n. 8, p. 204). Questo « marxismo dogmatico » è dotato di una strana proprietà! Già da molti anni le persone dotte e dottissime d’Europa dichiarano con aria di importanza (e i gazzettieri e i giornalisti ripetono alla lettera o con altre parole) che la « critica » ha ormai sloggiato il marxismo dalle sue posizioni; tuttavia ogni nuovo critico ricomincia daccapo ad af- faticarsi per bombardare queste posizioni che si dicono già distrutte. Il signor V. Cernov, per esempio, sia nella rivista Russ\oie Bogatstvo che nella miscellanea Al posto dottore, per ben 240 pagine « sfonda una porta aperta », « intrattenendosi » col lettore su un libro di Hertz. L’opera di Hertz (il quale, a sua volta, parla di un libro di Kautskv), così particolareggiatamente esposta, è già stata tradotta in russo. Il si- gnor Bulgakov, mantenendo la promessa di confutare lo stesso Kaut- sky, ha pubblicato un’analisi in ben due volumi. Ed ora, probabil- mente, nessuno riuscirà più a rintracciare neppure i resti del « marxi- smo dogmatico », morto schiacciato sotto queste montagne di carta stampata critica. I La « legge » della fertilità decrescente del terreno Consideriamo dapprima la fisionomia teorica generale dei critici. Il signor Bulgakov aveva già pubblicato nella rivista Nacialo un arti- colo contro La questione agraria di Kautsky, rivelando d’un tratto 9 2 LENIN tutti i suoi procedimenti «critici». Con un’asprezza inconsueta e la disinvoltura di un vero giocoliere egli aveva « demolito » Kautsky, fa- cendogli dire quel che non aveva detto, accusando proprio lui, Kaut- sky, di ignorare le circostanze e considerazioni che questi aveva invece esposto con precisione, presentando al lettore le conclusioni di Kautsky come proprie conclusioni critiche. Con l’aria dell’intenditore, il signor Bulgakov accusava Kautsky di confondere la tecnica con l’economia, laddove, invece, tradiva egli stesso non solo un’incredibile confusione, ma anche la poca volontà di leggere fino in fondo le pagine del suo avversario da lui citate. Va da sè che l’articolo del futuro professore formicolava di fruste battute contro i socialisti, contro la « teoria del crollo», l’utopismo, la fede nei miracoli, ecc.*. Ora, nella sua dis- sertazione per il dottorato ( Capitalismo e agricoltura, Pietroburgo, 1900) il signor Bulgakov ha definitivamente regolato tutti i conti col marxismo ed ha spinto la sua evoluzione « critica » al suo termine lo- gico. A fondamento della sua « teoria dello sviluppo agrario » il signor Bulgakov pone la « legge della fertilità decrescente del terreno ». Si ci- tano dei brani delle opere dei classici che stabiliscono questa « legge » (in forza della quale ogni investimento supplementare di lavoro e di capitale nella terra è accompagnato da una quantità supplementare non corrispondente, ma decrescente di prodotti). Ci si presenta un elenco di economisti inglesi che hanno riconosciuto questa legge. Ci si assicura che essa « ha una portata universale », che si tratta di « una verità del tutto evidente, che è assolutamente impossibile negare », «che basta costatare chiaramente», ecc. ecc. Quanto più le espressioni del signor Bulgakov sono recise, tanto più chiaramente si vede che egli torna indietro, verso l’economia politica borghese, che cela i rap- porti sociali dietro immaginarie « leggi eterne ». A che cosa si riduce, infatti, l’« evidenza » della famigerata « legge della fertilità decrescente del terreno»? Al fatto che, se i successivi investimenti di lavoro e di capitale nella terra dessero una quantità di prodotti non decrescente, ma eguale, non vi sarebbe più nessuna ragione di estendere la super- fide coltivata, poiché la quantità supplementare di grano potrebbe * All’articolo del signor Bulgakov pubblicato nel Nacialo ho risposto a suo tempo con un artìcolo intitolato il capitalismo nell' agricoltura. Poiché il 'Nacialo era stato sop- presso, quest’articolo venne pubblicato nella Gizn [(igoo, nn. 1 e 2. Cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 109*146). Nota dell’autore all’edizione del 1908 (N.d.R,)]. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 93 essere prodotta sulla vecchia superficie seminata, per quanto piccola essa fosse, e « Tagricoltura di tutto il globo terrestre potrebbe essere contenuta in una sola desiatina». Tale è l’argomento abituale (ed unico) a sostegno di questa legge « universale ». Ma la minima ri- flessione dimostrerà a chiunque che questo argomento rappresenta la più inconsistente delle astrazioni, che lascia da parte l’elemento prin- cipale: il livello della tecnica, lo stato delle forze produttive. In fondo, lo stesso concetto di « investimenti supplementari (o successivi) di lavoro e di capitale » implica un cambiamento dei metodi di produ- zione, una trasformazione della tecnica. Per aumentare in misura con- siderevole l'entità del capitale investito nella terra bisogna inventare nuove macchine, nuovi sistemi di coltura, nuovi metodi di alleva- mento del bestiame, di trasporto dei prodotti, ecc. ecc. Certo, in mi- sura relativamente piccola, « investimenti supplementari di lavoro e di capitale» possono avvenire (e avvengono) anche sulla base del- l'attuale, immutato livello della tecnica: in questo caso è valida, fino a un certo punto, anche la « legge della fertilità decrescente del ter- reno », valida nel senso che lo stato stazionario della tecnica lascia un margine relativamente assai ristretto agli investimenti supple- mentari di lavoro e di capitale. Invece di una legge universale, ab- biamo dunque una «legge» sommamente relativa; tanto relativa che non si può neanche parlare di una « legge », e neppure di una partico- larità essenziale deiragricoltura. Prendiamo come dato di fatto quanto segue: sistema dei tre campi, seminativi di cereali tradizionali, alleva- mento del bestiame per la produzione del letame, mancanza di prati migliorati e di attrezzi perfezionati. È chiaro che, ove questi fattori restino immutati, i limiti per gli investimenti supplementari di lavoro e di capitale sono estremamente ristretti. Ma anche nei limiti ristretti nei quali gli investimenti supplementari di lavoro e di capitale sono tuttavia possibili, non si osserverà sempre e assolutamente una dimi- nuzione di produttività ad ogni nuovo investimento supplementare. Prendiamo l’industria. Immaginiamo l’industria molitoria o la lavo- razione del ferro nell’epoca antecedente al commercio mondiale e al- l'invenzione della macchina a vapore. In questo stadio della tecnica i limiti degli investimenti supplementari di lavoro e di capitale nelle fucine a mano, nei mulini a vento e ad acqua erano estremamente ri- stretti; si doveva fatalmente costatare un’enorme diffusione delle pic- cole fucine e dei piccoli mulini prima che la radicale trasformazione 94 LENIN dei mezzi di produzione creasse una base per nuove forme di indu- stria. Così la « legge della fertilità decrescente del terreno » non si ap- plica affatto ai casi in cui la tecnica progredisce, in cui i metodi di produzione si trasformano; essa ha un’applicazione molto relativa e molto condizionata soltanto nei casi in cui la tecnica resti immutata. Ecco perchè nè Marx nè i marxisti parlano di questa « legge >, mentre attorno ad essa fanno gran chiasso soltanto i rappresentanti della scienza borghese del genere di Brentano, che non possono in nessun modo liberarsi dai pregiudizi della vecchia economia politica, con le sue leggi astratte, eterne e naturali. Il signor Bulgakov difende la « legge universale » con argomenti dei quali vale la pena di ridere: « Ciò che era un libero dono della natura deve oggi essere fatto dal- l’uomo: il vento e la pioggia rendevano soffice la terra, ricca di ele- menti nutritivi; da parte deU’uomo bastava un piccolo sforzo per ottenere il necessario. Con l’andar del tempo, una parte sempre mag- giore del lavoro produttivo spetta all’uomo; come dovunque, i processi artificiali sostituiscono sempre di più i processi naturali. Ma se nel- l’industria ciò attesta una vittoria dell’uomo sulla natura, nell’agri- coltura indica la crescente difficoltà dell’esistenza, per la quale la natura riduce i propri doni. « Nel nostro caso è indifferente che si esprima in un aumento del lavoro umano o dei prodotti di questo lavoro, per esempio degli attrezzi e concimi, ecc., la crescente difficoltà della produzione degli alimenti » (il signor Bulgakov vuol dire : è indifferente che la cre- scente difficoltà della produzione degli alimenti si esprima in un au- mento del lavoro umano o in un aumento dei prodotti di questo la- voro); « conta soltanto il fatto che essa costa sempre di più all’uomo.. In questa sostituzione del lavoro umano alle forze della natura, dei fattori artificiali ai fattori naturali della produzione, consiste appunto la legge della fertilità decrescente del terreno» (p. 16). A quanto pare, i sonni del signor Bulgakov sono turbati dagli al- lori dei signori Struvc e Tugan-Baranovski, i quali hanno scoperto che non è l’uomo a lavorare con l’aiuto della macchina, ma la mac- china con l’aiuto dell’uomo. A somiglianza di questi critici, anch’egli cade al livello dell’economia volgare, chiacchierando di sostituzione del lavoro umano alle forze della natura, ecc. Sostituire il lavoro LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 95 umano alle forze della natura è, generalmente parlando, altrettanto impossibile quanto sostituire i pud agli arscin. Neirindustria come nell’agricoltura, l’uomo può soltanto utilizzare Fazione, se la conosce, delle forze della natura e rendere più facile a se stesso questa uti- lizzazione a mezzo di macchine, di attrezzi, ecc. Che l’uomo primitivo ottenesse il necessario come libero dono della natura è una favola sciocca, per la quale persino gli studenti del primo anno potrebbero fi- schiare il signor Bulgakov. Nel passato non è mai esistita nessuna età deH’oro, e Puomo primitivo era completamente schiacciato dalle difficoltà dell’esistenza, dalle difficoltà della lotta con la natura. L’in- troduzione di macchine e di modi di produzione perfezionati ha im- mensamente facilitato all’uomo questa lotta e, in particolare, la pro- duzione degli alimenti. Non è aumentata la difficoltà di produrre gli alimenti, ma la difficoltà per l’operaio di ottenerli; è aumentata perchè lo sviluppo capitalistico ha elevato la rendita fondiaria e il prezzo della terra, ha concentrato l’agricoltura nelle mani di grandi e piccoli capi- talisti, ha concentrato ancor più le macchine, gli attrezzi, il denaro, senza i quali una buona produzione è impossibile. Spiegare questa crescente difficoltà oell’esistenza dell’operaio affermando che la natura riduce i suoi doni lignifica farsi apologeti della borghesia. « Accettando questa legge — prosegue il signor Bulgakov — noi non affermiamo affatto che la difficoltà di produrre gli alimenti cresca senza interruzione, non neghiamo affatto il progresso agricolo: af- fermare la prima cosa e negare la seconda significherebbe andare con- tro l’evidenza dei fatti. È indubbio che questa difficoltà non cresce ininterrottamente, che lo sviluppo procede a zigzag. Le scoperte agro- nomiche, i perfezionamenti tecnici rendono fertili le terre sterili e an- nullano temporaneamente la tendenza espressa dalla legge della ferti- lità decrescente del terreno > (ivi). Molto profondo, non è vero? Il progresso tecnico è una tendenza « temporanea », mentre la legge della fertilità decrescente del terreno, e cioè la diminuzione (e non sempre per giunta) della produttività degli investimenti supple- mentari di capitale sulla base di una tecnica immutata, « ha una por- tata universale»! Proprio come se si dicesse: le fermate dei treni alle stazioni sono una legge universale dei trasporti a vapore, mentre il movimento dei treni fra le stazioni è una tendenza temporanea che paralizza l’azione della legge universale dell’immobilità. 96 LENIN Infine, ci sono anche dei dati d’insieme che confutano all’evidenza l’universalità della legge della fertilità decrescente: i dati relativi alla popolazione agricola e non agricola. Il signor Bulgakov riconosce egli stesso che « la produzione degli alimenti esigerebbe un costante au- mento relativo [notate questo!] della quantità di lavoro, e quindi della popolazione agricola, se ogni paese disponesse soltanto delle sue risorse naturali » (p. 19). Se nell’Europa occidentale la popolazione agricola diminuisce, ciò si spiega col fatto che, per mezzo deH’importazione di grano, si è riusciti a evitare che operasse la legge della fertilità decre- scente. È una bella spiegazione, non c’è che dire! Il nostro dotto ha di- menticato un’inezia: che la diminuzione relativa della popolazione agricola si osserva in tutti i paesi capitalistici, tanto in quelli agricoli quanto in quelli che importano grano. La popolazione agricola dimi- nuisce relativamente in America e in Russia; in Francia diminuisce dalla fine del secolo XVIII (cfr. le cifre nell’opera dello stesso signor Bulgakov, II, p. 168); inoltre questa diminuzione relativa diviene talvolta perfino assoluta, mentre l’eccedenza dell’importazione del grano sull’esportazione già negli anni trenta e quaranta era assoluta- mente trascurabile, e soltanto a cominciare dal i 8 y 8 non si trovano più anni in cui l’esportazione superi l’importazione *. In Prussia la po- polazione rurale è diminuita relativamente dal 73,5% nel 1816 al 71,7% nel 1849 e al 67,5% nel 1871, mentre l’importazione della segala non è cominciata che all’inizio degli anni settanta (ivi, II, pp. 70 e 88). Infine, se considereremo i paesi europei che importano grano — per esempio la Francia e la Germania nell’ultimo decennio — no- teremo un progresso incontestabile dell’agricoltura a fianco di una di- minuzione assoluta del numero degli operai da essa occupati: in Fran eia questo numero è sceso da 6.913.504 nel 1882 a 6.663.135 nel 1892 (Statistique agricole, parte II, pp. 248-251), in Germania da 8.064.000 nel 1882 a 8.045.000 nel 1895 **. Si può dire quindi che tutta la storia * Statistique agricole de la rrancc. Enquéte de 1892, Paris, 1897, p. 113. •• Statisti des Deutschen Reichs. Ncuc Folge, Bd. 112: Die Landwirtschaft im Deutsehen Reieh, Berlin, 1898, p. 6. Al signor Bulgakov, si capisce, non piace questo fatto, che distrugge tutto il suo malthusianesimo: una tecnica che progredisce mentre la popolazione agricola diminuisce. Perciò il nostro « severo dotto » ricorre a questo sotterfugio: invece di prendere l’agricoltura in senso stretto (coltivazione della terra, allevamento, ecc.), prende (in base ai dati sulla crescente quantità dei prodotti agricoli per ettaro!) e l’agricoltura in senso largo», nella quale la statistica tedesca comprende anche l’agricoltura di serra e mercantile, nonché la silvicoltura e l'industria della pesca! Si ottiene così un aumento del mimerò delle persone realmente occupate € nell’agricol- LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 97 del secolo XIX dimostra irrefutabilmente, con dati d’insieme rela- tivi ai paesi più diversi, che la legge « universale > della fertilità de crescente del terreno è completamente paralizzata dalla tendenza « temporanea » del progresso tecnico, il quale permette a una popo- lazione rurale in diminuzione relativa (e talvolta anche assoluta) di produrre una quantità crescente di prodotti agricoli per la massa della popolazione in aumento. A proposito: questi dati statistici d’insieme confutano comple- tamente anche i due seguenti punti essenziali della « teoria > del si gnor Bulgakov, e cioè: in primo luogo, la sua affermazione che «alla agricoltura è assolutamente inapplicabile » la teoria secondo la quale il capitale costante (attrezzi e materiali per la produzione) aumenta più rapidamente di quello variabile (forza-lavoro). Il signor Bulgakov afferma con aria d’importanza che questa teoria è falsa, richiamandosi, a conferma della sua opinione : a) al « professor A. Skvortsov » (ce- lebre soprattutto per aver attribuito a un malvagio proposito di agita- zione la teoria di Marx del saggio medio del profitto) e b) al fatto che, con Pintensificazione delle colture, aumenta il numero degli operai per unità di superficie. Questa è una delle volute incomprensioni di ciò che ha detto Marx cui ricorrono costantemente i rappresentanti della critica alla moda. Pensate un po’: la teoria secondo cui il capitale co- stante aumenta più rapidamente di quello variabile è confutata dal fatto che il capitale variabile aumenta per unità di superficie! E il signor Bulgakov non s'accorge che i dati statistici da lui stesso citati in così gran copia confermano la teoria di Marx. Se dal 1882 al 1895 in tutta l’agricoltura tedesca il numero degli operai è sceso da 8.064.000 a 8.045.000 (e aggiungendo le persone per le quali l’agricoltura è un’oc- cupazione ausiliaria, è salito da 11.208.000 a 11.623.000, ossia è aumen- tato in tutto del 3,7%), mentre nello stesso periodo il bestiame è pas- sato da 23.000.000 a 25-400.000 di capi (calcolato in capi di bestiame grosso), cioè è cresciuto di più del 10%, il numero dei casi di im- piego delle cinque principali macchine è passato a 458.000 a 922 000, cioè è più che raddoppiato, la quantità di fertilizzanti importanti è pas- tura »it (Bulgakov, II, p. 133). Le cifre citate nel testo si riferiscono alle persone per le quali l'agricoltura è l’occupazione principale. Il numero delle persone per le quali l'agricoltura è l'occupazione ausiliaria è passato da 3.144.000 a 3.578.000. Non c completamente giusto addizionare queste cifre alle precedenti, ma anche facendo la somma non otteniamo che un piccolissimo aumento: da 11.208.000 a 11.623.000. 7 - 754 9 8 LENIN sata da 636.000 tonnellate (1883) a 1.961.000 tonnellate (1892) e quella dei sali di potassio da 304.000 a 2.400.000 *, non è evidente che il rap- porto fra capitale costante e capitale variabile è in aumento? Senza dire che questi dati globali nascondono in grandissima misura il progresso della grande produzione. Di questo parleremo più avanti. In secondo luogo, il progresso deiragricoltura, con una diminu- zione o un aumento assoluto insignificante della popolazione rurale, confuta completamente l’assurdo tentativo del signor Bulgakov di risuscitare il malthusianesimo. Fra gli « ex marxisti » russi è stato forse il signor Struve il primo a compiere, nelle sue Osservazioni critiche y questo tentativo, ma, come sempre, si è limitato ad osservazioni ti- mide, ambigue, incomplete, non approfondite e non connesse in un unico sistema. Il signor Bulgakov è più audace e più coerente: la « legge della fertilità decrescente » egli la trasforma, senza la minima esitazione, in « una delle leggi più importanti della storia della civiltà » (jzr!, p. 18). « Tutta la storia del secolo XIX... con i suoi problemi della ricchezza e della povertà sarebbe incomprensibile senza questa legge ». « Per me è assolutamente indubitabile che la questione sociale, come si pone oggi, è sostanzialmente legata a questa legge » (questo afferma il severo dotto scienziato già a p. 18 della sua «indagine»!).,. «È fuori dubbio — egli afferma alla fine della sua opera — che quando esista una sovrappopolazione, una certa parte della povertà dev’essere attribuita alla povertà assoluta, alla povertà della produzione e non della ripartizione* (II, p. 221). «Il problema della popolazione, nella particolare impostazione determinata dalle condizioni in cui avviene la • produzione agricola, costituisce, ai miei occhi, l’ostacolo principale che — presentemente almeno — sbarra la via a un’applicazione al- quanto ampia dei principi del collettivismo o della cooperazione nelle imprese agricole » (li, p. 265). « 11 passato lascia in eredità all’avvenire la questione del grano, più terribile e più ardua della questione sociale, questione di produzione e non di ripartizione » (II, p. 455), ecc. ecc. ecc. Non occorre parlare del valore scientifico di questa « teoria », dopo aver analizzato la legge universale della fertilità decrescente, alla quale essa è indissolubilmente legata. Ma che questo civettare cri- tico col malthusianesimo abbia portato, nel suo inevitabile sviluppo lo- gico, alla più volgare apologia del regime borghese, è provato, con * Sfuttsti^ da Detttschen Reichs , 112, p. 36. Bulgakov, p LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 99 una sincerità che non lascia nulla a desiderare, dalle conclusioni del signor Bulgakov da noi citate. In un saggio successivo analizzeremo i dati di alcune nuove fonti indicate dai nostri critici (che ci hanno assordato ripetendo su tutti i toni che gli ortodossi evitano di scendere ai particolari) e mostreremo che il signor Bulgakov trasforma, in generale, la paroletta « sovrap- popolazione » in una falsariga, il cui impiego lo dispensa da ogni analisi, e soprattutto dall’analisi degli antagonismi di classe fra i « con- tadini ». Per ora, limitandoci al lato teorico generale della questione agraria, dobbiamo ancora dire qualche cosa sulla teoria della rendita. « Quanto a Marx — scrive il signor Bulgakov — , nel terzo volume del Capitale , nella forma di cui oggi disponiamo, egli non aggiunge nulla che meriti attenzione alla teoria della rendita differenziale di Ricardo » (p. 87). Ricordiamo questo «nulla che meriti attenzione », e confron- tiamo questo verdetto del critico con la seguente affermazione da lui fatta precedentemente: «Malgrado la sua posizione manifestamente negativa verso questa legge [la legge della fertilità decrescente del ■ terreno], Marx fa suoi i principi fondamentali della teoria della ren- dita di Ricardo basata su di essa » (p. 13). Ne risulta, dunque, secondo il signor Bulgakov, che Marx non ha notato il nesso esistente tra la teoria della rendita di Ricardo e la legge della fertilità decrescente, e quindi è incorso in una contraddizione! A proposito di questa esposi- zione possiamo dire solo una cosa: nessuno deforma Marx quanto gli « ex marxisti », nessuno mostra tanta — come dire? — disinvoltura nel- l’attribuire allo scrittore criticato mille e un peccato mortale. L’affermazione del signor Bulgakov è una flagrante deformazione della verità. In realtà Marx non solo ha colto questo nesso tra la teoria della rendita di Ricardo e l’erronea sua dottrina della fertilità decre- scente del terreno, ma ha anche messo in luce con la massima preci- sione l’errore di Ricardo. Chiunque abbia letto con un grano d’« at- tenzione» il terzo volume del Capitale non può non aver rilevato la circostanza sommamente « degna d’attenzione » che è stato proprio Marx a liberare la teoria della rendita differenziale da ogni nesso con la famigerata « legge della fertilità decrescente del terreno ». Marx ha dimostrato che per formare la rendita differenziale è necessario e sufficiente il fatto che si abbia una diversa produttività dei diversi investimenti di capitale nella terra. Inoltre l’essenziale non è affatto che avvenga il passaggio da una terra migliore a una terra peggiore o 7* 100 LENIN viceversa, che la produttività dei capitali supplementari investiti nella terra diminuisca o aumenti. Nella realtà hanno luogo tutte le combina- zioni possibili di questi casi diversi e non è possibile ridurre queste combinazioni ad una regola generale. Così, per esempio, Marx descrive dapprima la prima forma della rendita differenziale, proveniente dalla diversa produttività degli investimenti di capitale in diversi appezza- menti di terreno, ed illustra la sua esposizione con delle tabelle (a proposito delle quali il signor Bulgakov biasima severamente « Tecces- siva propensione di Marx a rivestire le proprie idee, spesso sempli- cissime, di un complicato involucro matematico ». Questo complicato involucro matematico si limita alle quattro operazioni aritmetiche, ma il dotto professore, come vediamo, non Tha assolutamente compreso). Dopo aver analizzato queste tabelle, Marx conclude: «Cade così il primo presupposto che si attribuisce erroneamente alla rendita diffe- renziale e che domina ancora in West, Malthus, Ricardo, ossia che essa necessariamente richieda il passaggio a terreni sempre peggiori, ossia una produttività sempre decrescente deiragricoltura. Essa può, come abbiamo visto, esistere nel passaggio a terreni sempre migliori; essa può esistere quando un terreno migliore prende la posizione più bassa precedentemente occupata dal terreno peggiore; essa può essere accompagnata da un miglioramento progressivo deiragricoltura. Il suo presupposto è unicamente la disuguaglianza di diversi tipi di terreno » (Marx non parla qui della diversa produttività dei successivi investimenti di capitale nella terra, giacché ciò porta alla seconda forma della rendita differenziale, mentre in questo capitolo si tratta della prima forma di rendita differenziale). « Per quanto riguarda lo sviluppo della produttività, la rendita differenziale presuppone che Taccrescimento della fertilità assoluta della superficie complessiva non sopprima questa differenza, ma l’aumenti, la lasci stazionaria, oppure la diminuisca semplicemente » (Dos Kapital , III, 2, p. 199 fP ). Il signor Bulgakov non ha rilevato questa differenza fondamentale tra la teoria della rendita differenziale di Marx e la teoria della rendita di Ri- cardo. In compenso ha preferito andare a cercare nel terzo volume del Capitale « un brano che permette piuttosto di pensare che Marx era ben lontano dal respingere la legge della fertilità decrescente del terreno» (p, 13, nota). Chiediamo scusa al lettore di dover dare troppo spazio a un brano nient’affatto essenziale (per la questione che interessa noi e il signor Bulgakov). Ma che volete farci se gli eroi LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» jot dell’odierna critica (i quali osano ancora accusare gli ortodossi di fare gli azzeccagarbugli) snaturano il senso perfettamente chiaro della dottrina avversaria a mezzo di citazioni staccate dal contesto e di tra- duzioni storpiate? Il signor Bulgakov cita il brano da lui trovato come segue: «Dal punto di vista del modo di produzione capitalistico si verifica sempre un relativo rincaro dei prodotti (agricoli), giacche » (preghiamo il lettore di considerare con particolare attenzione le pa- role sottolineate da noi) « per ottenere il prodotto si fa una certa spesa, bisogna pagare un qualche cosa che precedentemente non si pagava». E Marx dice poi che gli elementi naturali che entrano nella produ- zione come suoi agenti, senza costare nulla, sono una gratuita forza produttiva naturale del lavoro, ma che, se per produrre un prodotto supplementare si deve lavorare senza l'aiuto di questa forza naturale, occorre spendere un nuovo capitale, ciò che porta a un rincaro della produzione. A proposito di un simile modo di « citare » dobbiamo fare tre osservazioni. In primo luogo, la paroletta « giacché », che conferisce al brano un senso assoluto, come se stabilisse una qualche « legge », è stata inserita dal signor Bulgakov di sua iniziativa. Nell' originale (Das Kapital , III, 2, pp. 277-278) ”, cè non «giacché », ma «se*. Se si deve pagare un qualche cosa che non si pagava precedentemente, si verifica sempre un rincaro relativo dei prodotti: non è forse vero che questa tesi rassomiglia al riconoscimento della « legge » della fer- tilità decrescente? In secondo luogo, la paroletta «agricoli» è stata inserita con le relative parentesi del signor Bulgakov. Nell'originale questa parola non c’è. Con la leggerezza propria dei signori critici, il signor Bulgakov ha senza dubbio deciso che Marx non poteva par- lare qui che dei prodotti agricoli e s'è affrettato a dare al lettore un « chiarimento » completamente sbagliato. In realtà Marx parla qui di tutti i prodotti in generale; il brano citato dal signor Bulgakov è pre- ceduto da queste parole di Marx : « in linea generale si deve notare quanto segue». Le forze gratuite della natura possono entrare anche nella produzione industriale — tale è l’esempio citato da Marx, nella stessa sezione dedicata alla rendita, della cascata che in una fabbrica sostituisce la forza del vapore — e se occorre produrre una quantità supplementare di prodotti senza l'aiuto di queste forze gratuite si veri- ficherà sempre un rincaro relativo dei prodotti. In terzo luogo, bisogna esaminare in quale contesto si trova questo brano. In quel capitolo 102 LENIN Marx parla della rendita differenziale ottenuta dalla peggiore terra coltivata e analizza, come sempre , due casi per lui assolutamente veri ed entrambi egualmente possibili : il primo è quello in cui la produtti- vità dei successivi investimenti di capitale è crescente (pp. 274-276) ", il secondo è quello in cui questa produttività è decrescente (276-278)* A proposito di quest’ultimo caso possibile, Marx dice : « Per quanto riguarda la produttività decrescente del terreno in successivi investi- menti di capitale, si deve consultare Liebig... Ma in linea generale [il corsivo è nostro] si deve notare quanto segue ». Segue il brano « tra- dotto » dal signor Bulgakov, in cui si dice che, se si paga ciò che pre- cedentemente non si pagava, ne risulta sempre un rincaro relativo dei prodotti. Lasciamo giudicare allo stesso lettore della probità scientifica di un critico che ha trasformato un’osservazione di Marx su uno dei casi possibili nel riconoscimento di questo caso come una specie di « legge » generale da parte di Marx. Ecco la conclusione del signor Bulgakov a proposito del brano da lui scoperto: «Questo brano, naturalmente, è oscuro»... Sfido io! Dopo che Bulgakov vi ha sostituito una parola con un’altra, questo passo è ri- sultato persino completamente privo di senso... « ma non può essere inteso se non come un riconoscimento indiretto o persino diretto » (udite!) « della legge della fertilità decrescente del terreno. Ignoro che Marx si sia pronunciato apertamente su quest’ultima in qualche altro luogo » (I, p. 14). Nella sua qualità di « ex marxista », il signor Bulga- kov « ignora » che Marx ha dichiarato assolutamente falsa la supposi- zione di West, Malthus e Ricardo, secondo cui la rendita differenziale implicherebbe il passaggio a terre peggiori o la diminuzione della fer- tilità del terreno *. Egli < ignora », che nel corso di tutta la sua am- plissima analisi della rendita, Marx sottolinea decine di volte che per lui l’aumento e la diminuzione della produttività degli investimenti supplementari di capitale sono entrambi, in tutto e per tutto, egual- mente possibili! # Questa supposizione dell’economia classica, falsa e confutata da Marx, è stata naturalmente accettata senza critica anche dal « critico » signor Bulgakov, sulle orme del suo maestro Brentano. « Condizione deirorigine della rendita — scrive il signor Bulgakov — è la legge della fertilità decrescente del terreno... » (I, p. 90). « ...La rendita inglese... di fatto distingue le successive spese di capitale con produttività diversa, generalmente decrescente » (I, p. 130). LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 103 II La teoria della rendita In generale il signor Bulgakov non ha capito la teoria della rendita di Marx. Egli è convinto di demolire questa teoria con le obiezioni: 1) Secondo Marx, il capitale agrario partecipa al livellamento del saggio del profitto, per cui la rendita è creata dal profitto supplementare che oltrepassa il saggio medio del profitto, Secondo il signor Bulgakov ciò non è esatto, giacche il monopolio della proprietà fondiaria sop- prime la libertà di concorrenza necessaria per il processo di livel- lamento del saggio del profitto. Il capitale agrario non partecipa al processo di livellamento del saggio del profitto. 2) La rendita asso- luta non è che un caso particolare della rendita differenziale e non è giusto distinguerla da quest’ultima. Questa distinzione si basa su una doppia interpretazione assolutamente arbitraria d’un solo e medesimo fatto: il possesso monopolistico di uno dei fattori della produzione. Il signor Bulgakov è così convinto della forza demolitrice dei suoi argomenti che non può risparmiarsi un torrente di parole forti contro Marx: petitio principila non-marxismo, feticismo logico, perdita da parte di Marx deiragilità di pensiero, ecc. Ciò nonostante, però, en- trambi Ì suoi argomenti sono fondati su un errore abbastanza grosso- lano. La stessa semplificazione unilaterale del tema che ha portato il signor Bulgakov ad elevare uno dei possibili casi (diminuzione della produttività degli investimenti supplementari di capitale) a legge uni- versale della fertilità decrescente lo spinge in questa questione ad ope- rare acriticamente col concetto di « monopolio », elevando anche questo concetto a qualcosa di universale, e a confondere così le conseguenze, che, data l’organizzazione capitalistica dell’agricoltura, scaturiscono, da una parte, dalla limitatezza della terra , e dall’altra, dalla proprietà privata della terra. E queste sono due cose diverse, Spieghiamoci. « La condizione , se non proprio la fonte, della rendita fondiaria — scrive il signor Bulgakov — è la stessa che ha reso possibile anche il monopolio della terra: la limitatezza delle forze produttive della terra e il bisogno illimitatamente crescente che gli uomini hanno di queste forze» (I, p. 90). Invece di «limitatezza delle forze produttive della terra» si sarebbe dovuto dire: «.limitatezza della terra ». (La limita- 104 LENIN rezza delle forze produttive della terra si riduce, come abbiamo già dimostrato, alla « limitatezza » del livello della tecnica esistente, dello stato delle forze produttive esistente.) La limitatezza della terra pre- suppone effettivamente, in una società a regime capitalistico, il mo- nopolio della terra, ma della terra come oggetto dell’economia, non della terra come oggetto del diritto di proprietà . La supposizione dell’organizzazione capitalistica deiragricoltura implica necessaria- mente quella che tutta la terra sia occupata da singole aziende private,, ma non implica affatto la supposizione che tutta la terra sia proprietà privata di questi agricoltori o di altre persone, o proprietà privata in generale. Il monopolio del possesso della terra in virtù del diritto di proprietà e il monopolio della gestione della terra sono due cose com- pletamente diverse non soltanto logicamente, ma anche storicamente. Dal punto di vista logico, possiamo benissimo concepire un’organiz- zazione puramente capitalistica dell’agricoltura nella quale la pro- prietà privata della terra manchi completamente, nella quale la terra appartenga allo Stato, alle comunità, ecc. E infatti vediamo che in tutti i paesi capitalistici progrediti tutta la terra è occupata da aziende pri- vate a sè stanti, ma queste aziende non coltivano soltanto terre loro pro- prie, ma anche terre che prendono in affitto da proprietari privati, dallo Stato e dalle comunità (per esempio in Russia, dove alla testa delle aziende private su terre delle comunità contadine si trovano, co- ni e noto, le aziende contadine capitalistiche). E non per caso Marx, fin dall’inizio della sua analisi della rendita, osserva che il modo di produzione capitalistico trova (e subordina a sè) le forme più diverse della proprietà fondiaria, dalla proprietà del clan e dalla proprietà feudale alla proprietà delle comunità contadine. Dunque, la limitatezza della terra implica necessariamente soltanto il monopolio dello sfruttamento della terra (quando domina il ca- pitalismo). Ci si domanda: quali sono le conseguenze necessarie di questo monopolio per ciò che concerne la questione della rendita? La limitatezza della terra fa sì che il prezzo del grano sia determinato dalle condizioni di produzione esistenti non sul terreno di qualità me- dia, ma sul peggior terreno coltivato. Questo prezzo del grano permette al fittavolo (imprenditore capitalistico neiragricoltura) di coprire le sue spese di produzione e di ottenere un profitto medio per il suo ca- pitale. Il fittavolo che coltiva un terreno di qualità superiore ottiene la QUESTIONE AGRARIA E 1 «CRITICI DI MARX» I0 5 un profitto supplementare, che costituisce appunto la rendita diffe- renziale. La questione dell’esistenza della proprietà privata della terra non ha assolutamente nulla a che vedere con quella della formazione della rendita differenziale, inevitabile nell’agricoltura capitalistica, an- che se si tratta di terre comunali, statali o non appartenenti a nessuno. L’unica conseguenza della limitatezza della terra in regime capita- listico è la formazione della rendita differenziale in seguito alla diversa produttività dei diversi investimenti di capitale. Il signor Bulgakov ve- de una seconda conseguenza neH’eliminazione della libertà di concor- renza nellagricoltura e afferma che la mancanza di questa libertà im- pedisce al capitale agrario di prender parte alla formazione del pro- fitto medio. Ciò significa confondere manifestamente la questione della gestione della terra con quella del diritto di proprietà della me- desima. Dal fatto della limitatezza della terra (indipendentemente dalla proprietà privata della terra) deriva logicamente soltanto questo : che tutta la terra sarà occupata da fittavoli capitalisti; ma non ne con- segue la necessità di una qualsiasi limitazione della libertà di concor- renza tra questi fittavoli. La limitatezza della terra è un fenomeno ge- nerale che dà necessariamente la sua impronta a ogni agricoltura capi- talistica. L’errore logico di chi confonde queste cose diverse è confer- mato all'evidenza anche dalla storia. Non parliamo nemmeno dell’In- ghilterra : in essa la separazione del possesso fondiario dalla conduzione agricola è evidente, la libertà di concorrenza tra i fittavoli è pressoché completa, l’impiego nell'agricoltura del capitale formato nel commercio e nell’industria ha avuto e ha luogo nella misura più larga. Ma anche in tutti gli altri paesi capitalistici (malgrado l'opinione del signor Bul- gakov, che, sulle orme del signor Struve, tenta invano di presentare la rendita « inglese » come qualche cosa di assolutamente eccezionale) avviene lo stesso processo di separazione della proprietà fondiaria dalla conduzione agricola, sia pure nelle forme più diverse (affitto, ipoteca). Non vedendo questo processo (messo fortemente in rilievo da Marx), il signor Bulgakov non vede, si può dire, l'elefante. In tutti i paesi europei osserviamo, dopo la caduta della servitù della gleba, la sop- pressione del carattere di ceto del possesso fondiario, la mobilizzazione della proprietà fondiaria, l'impiego del capitale commerciale e indu- striale neH’agricoltura, l'accrescersi delle affittanze e dei debiti ipotecari. Anche in Russia, dove pure le sopravvivenze della servitù della gleba sono più notevoli che altrove, vediamo moltiplicarsi, dopo la riforma, io6 LENIN gli acquisti di terra da parte di contadini, raznocintsy e mercanti; ve- diamo svilupparsi l’affitto di terre appartenenti a proprietari privati, allo Stato, alle comunità contadine , ecc. ecc. Che cosa attestano tutti questi fenomeni? Il sorgere della libera concorrenza nell agricoltura, nonostante il monopolio della proprietà fondiaria e nonostante le forme infinitamente varie di questa proprietà. Presentemente, in tutti i paesi capitalistici ogni possessore di capitale può, con la stessa faci- lità, o quasi, investire questo capitale nelFagricoltura (comprando o prendendo in affitto della terra) o in qualsivoglia ramo del commercio o deirindustria. Alla teoria di Marx della rendita differenziale il signor Bulgakov obietta che « tutte queste differenze [le differenze nelle condizioni di produzione dei prodotti agricoli] sono contraddittorie e possono » (il corsivo è nostro) «annullarsi reciprocamente: la distanza, come già notava Rodbertus, può essere compensata dalla fertilità, la diversa fertilità può essere livellata mediante una produzione intensificata su- gli appezzamenti più fertili » (I, p. 81). Ma disgraziatamente il nostro severo dotto dimentica che Marx aveva segnalato questo fatto del quale aveva dato una valutazione meno unilaterale. « È evidente — scrive Marx — che queste due diverse cause della rendita differenziale, fer- tilità e posizione » (dei terreni), « possono agire in senso opposto. Un terreno può essere molto ben situato e tuttavia poco fertile e vice- versa. Questa circostanza è importante, giacche ci spiega il motivo per cui nella messa a coltura della terra di un paese determinato si può procedere andando dalla terra migliore alla peggiore, come pure in senso opposto. È, infine, evidente che il progresso della produzione sociale ha da un lato l’effetto generale di livellare le differenze che derivano dalla posizione » (dei terreni) « come causa della rendita dif- ferenziale, in quanto crea dei mercati locali e crea anche la posizione dei terreni approntando mezzi di comunicazione e di trasporto; dall’al- tro lato accentua la differenza esistente fra le posizioni geografiche dei terreni, separando l’agricoltura dalla manifattura e creando grandi centri di produzione da un lato, un relativo isolamento della cam- pagna f relative Vcreinsamung des Landcs ] dall’altro» ( Das Ra- pitala 111, 2, p. iyo)“. Così, mentre il signor Bulgakov ripete trion- falmente l’osservazione, già nota da tempo, che le differenze possono annullarsi reciprocamente, Marx pone Y ulteriore questione della tra- sformazione di questa possibilità in realtà, e rileva che a fianco delle LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» IO? influenze livellatrici si osservano anche influenze differenziami. Il risultato finale di queste influenze contraddittorie, come tutti sanno, sta nel fatto che in tutti i paesi e dappertutto esistono enormi diffe- renze tra gli appezzamenti di terreno per quel che riguarda la ferti- lità e la posizione. L’obiezione del signor Bulgakov dimostra soltanto la completa avventatezza delle sue osservazioni. DelFidea che l’ultimo investimento di capitale e di lavoro è sempre il meno produttivo — egli continua a obiettare — « si servono, ugual- mente senza critica, sia Ricardo che Marx. Non è difficile vedere quale elemento arbitrario rechi con s è quest’idea: supponiamo che si spenda per la terra un capitale io a e che ogni a successivo si distingua per il suo rendimento decrescente; il prodotto generale del terreno sarà A . È evidente che il rendimento medio di ogni a sarà eguale ad A /io e, se si considera il capitale come un tutto, il prezzo sarà appunto deter- minato da questa media della sua produttività » (I, p.82). È evidente — diremo noi a questo riguardo — che le frasi pompose del signor Bul- gakov circa la « limitatezza delle forze produttive della terra > gli hanno impedito di vedere un inezia : la limitatezza della terra! Que- sta limitatezza — del tutto indipendentemente da qualsivoglia pro- prietà della terra — crea un determinato tipo di monopolio, vale a dire: poiché tutta la terra è occupata da fittavoli, poiché la domanda esiste per tutto il grano prodotto su tutta la terra, compresi gli appez- zamenti peggiori e più distanti dal mercato, è chiaro che il prezzo del grano è determinato dal costo di produzione sul terreno peggiore (o dal costo di produzione corrispondente all’ultimo, meno produttivo investimento di capitale). La « produttività media * del signor Bul- gakov non è che un puro esercizio aritmetico, giacché la formazione effettiva di questa media è ostacolata dalla limitatezza della terra. Af- finchè questa « produttività media » si formi e determini i prezzi è necessario non solo che ogni capitalista possa in generale investire il suo capitale nell’agricoltura (nella misura in cui nell’agricoltura esi- ste, come abbiamo già detto, la libertà di concorrenza), ma anche che ogni capitalista possa sempre creare — oltre quelle già esistenti — una nuova azienda agricola. Se così stessero le cose, non esisterebbe nes- suna differenza tra l’agricoltura e l’industria e non potrebbe prodursi nessuna rendita. Ma è precisamente là limitatezza della terra a far sì che le cose non stiano in questo modo. Proseguiamo. Fin qui abbiamo ragionato lasciando completamente io8 LENIN da parte la questione della proprietà della terra; abbiamo visto che questo procedimento s’imponeva sia per ragioni logiche, sia in consi- derazione dei dati storici, che dimostrano che Tagricoltura capitalistica nasce e si sviluppa quali che siano le forme del possesso fondiario. In- troduciamo ora questo nuovo fattore. Supponiamo che tutta la terra sia proprietà privata. Come si ripercuoterà questo fatto sulla rendita? Il proprietario della terra, in base al suo diritto di proprietà, toglierà al fittavolo la rendita differenziale; poiché la rendita differenziale è il profitto eccedente il profitto normale, medio del capitale, e poiché nel [agricoltura esiste (respective è creata dallo sviluppo capitalistico) la libertà di concorrenza, intesa nel senso di libertà di investire capitali nelle aziende agricole, il proprietario della terra troverà sempre un fittavolo che si accontenterà del profitto medio e abbandonerà a lui, al proprietario della terra, il sovrapprofitto. La proprietà privata della terra non crea la rendita differenziale, ma la trasferisce sol- tanto dalle mani del fittavolo a quelle del proprietario della terra. Si limita a questo Pinfluenza della proprietà fondiaria privata? Si può supporre che il proprietario della terra permetta al fittavolo di sfruttare gratuitamente il terreno peggiore e peggio situato dal quale si ricava soltanto il profitto medio del capitale? Certamente no. La proprietà della terra è un monopolio, e in base a questo monopolio il proprietario terriero esigerà dal fittavolo anche un pagamento per questa terra. Questo pagamento sarà la rendita assoluta, la quale non ha alcun nesso con la diversa produttività dei vari investimenti di capitale, ed é generata dalla proprietà privata della terra. Accusando Marx di aver arbitrariamente dato una duplice interpretazione di un unico e mede- simo monopolio, il signor Bulgakov non si è preso la briga di riflettere che si tratta effettivamente di un duplice monopolio; in primo luogo, abbiamo il njonopolio della gestione (capitalistica) della terra. Questo monopolio é originato dalla limitatezza della terra, ed è perciò ne- cessario in ogni società capitalistica. La conseguenza di questo mono- polio è che il prezzo del grano è determinato dalle condizioni di produzione sulla terra peggiore e che il profitto supplementare, il plus- profitto proveniente dal capitale investito nel terreno migliore o da un investimento di capitale più produttivo, costituisce la rendita dif- ferenziale. Questa rendita nasce del tutto indipendentemente dalla proprietà fondiaria privata, la quale permette soltanto al proprietario della terra di toglierla al fittavolo. In secondo luogo, abbiamo il mo- LA QUESTIONE AGRARIA E 1 «CRITICI DI MARX» IO9 nopolio della proprietà privata della terra. Questo monopolio non c indissolubilmente legato al precedente nè logicamente nè storica- mente *. Questo monopolio non è per nulla necessario alla società ca- pitalistica e all’organizzazione capitalistica deiragricoltura. Da una parte possiamo benissimo concepire un’agricoltura capitalistica senza proprietà privata della terra, e molti economisti borghesi coerenti hanno reclamato la nazionalizzazione della terra. Dall’altra troviamo, anche nella realtà, un’organizzazione capitalistica dell’agricoltura senza proprietà fondiaria privata, per esempio nelle terre dello Stato e delle comunità. È perciò assolutamente necessario distinguere queste due specie di monopolio, e occorre quindi riconoscere che, a fianco della rendita differenziale, esiste anche la rendita assoluta, che è gene- rata dalla proprietà della terra **. La possibilità di una rendita assoluta originata dal plusvalore del capitale agricolo è spiegata da Marx co] fatto che neiragricoltura la parte del capitale variabile nella composizione generale del capitale è superiore alla media (ipotesi naturalissima data Tincontestabile ar- retratezza della tecnica agricola rispetto a quella industriale). Stando così le cose, ne consegue che il valore dei prodotti agricoli è in gene- * Non crediamo sia necessario ricordare al lettore che, trattandosi qui della teoria generale della rendita e dell'organizzazione capitalistica dell’agricoltura, non ci occu- piamo di fatti quali l’antichità e l'estensione della proprietà fondiaria privata, quale la circostanza che la concorrenza transoceanica mina l’ultima forma di monopolio da noi indicata, e anche, in parte, entrambe le forme, ecc. •* Nella seconda parte del II volume delle Teorìe del plusvalore ( Theorien ùber den Mehrwert, 11 Band, II Theil), pubblicata nel 1905, Marx fornisce sulla rendita assoluta chiarimenti che confermano la giustezza della mia interpretazione (specialmente per ciò che riguarda le due specie di monopoli). Ecco i due brani di Marx che vi si riferiscono: « Se la terra fosse realmente, non solo relativameate al capitale e alla popolazione, un elemento illimitato, ” illimitato ” come 'Maria e l’acqua”, "esistente in quantità illi- mitata” [citazioni da Ricardo], la sua appropriazione da parte degli uni non potrebbe escludere l’appropriazione da parte degli altri. Non potrebbe esistere una proprietà privata (e neppure ” pubblica " o statale) della terra. In questo caso, se tutta la terra fosse della stessa bontà, non si pagherebbe rendita alcuna... Il buffo dunque è questo: se la terra esiste allo stato elementare di .fronte al capitale, questo sì muove nell’agri- coltura nella stessa maniera che in ogni altra branca industriale. Non esiste allora nè proprietà fondiaria nè rendita... Se invece la terra è: 1) limitata, 2) proprietà di qual- cuno; se il capitale trova come presupposto la proprietà fondiaria — e ciò avviene dove si sviluppa la produzione capitalistica, e dove il capitale non trova questo presup- posto, come nella vecchia Europa, lo crea esso stesso, come negli Stati Uniti — il suolo non è a priori un campo elementare di azione per il capitale. Vi è quindi una rendita fondiaria astrazion fatta dalla rendita differenziale» (pp. 80-81)“. Qui Marx distingue con tutta precisione la limitatezza della terra dal suo essere proprietà privata [Nota deU’autore all’edizione del 1908 CN.d.R.)]. no LENIN rale superiore al loro costo di produzione e il plusvalore è superiore al profitto. Il monopolio della proprietà fondiaria privata impedisce però a questo eccedente di entrare totalmente nel processo di livel- lamento del profitto, e la rendita assoluta è presa da questo eccedente Il signor Bulgakov è molto scontento di questa spiegazione ed esclama : « Ma che cos'è dunque questo plusvalore per potere, come il panno, il cotone o qualsiasi altra merce, bastare o non bastare a coprire la possibile domanda? Innanzi tutto non è una cosa materiale; è un concetto che serve ad esprimere un determinato rapporto sociale di produzione * (I, p. 105). Questa contrapposizione tra cosa mate- riale » e « concetto » è un esempio patente della scolastica che oggi si è tanto propensi a spacciare come « critica ». Che valore potrebbe avere il « concetto » di una parte del prodotto sociale se ad esso non corrispon- dessero determinate «cose materiali»? Il plusvalore è lequivalente in denaro del plusprodotto, che è formato di una parte determinata di panno, di cotone, di grano e di qualsiasi altra merce. (La « determi- natezza » va intesa, naturalmente, non nel senso che la scienza possa concretamente determinare questa parte, ma in quello che sono note le condizioni che ne determinano approssimativamente le dimen- sioni). Nell'agricoltura il plusprodotto è più considerevole (proporzio- nalmente al capitale) che negli altri rami di industria, e questo ecce- dente (che, a causa del monopolio della proprietà fondiaria, non entra nel livellamento del profitto) può naturalmente « bastare o non bastare a coprire la domanda » del proprietario terriero monopolista. Possiamo risparmiare al lettore Pesposizione particolareggiata della * Tra parentesi. Abbiamo ritenuto necessario soffermarci in modo particolarmente minuzioso sulla teoria della rendita di Marx perchè abbiamo costatato che anche il signor P. Maslov (G/z«, 1901, nn. 3 e 4, Della questione agraria) ne dà un’interpre- tazione sbagliata, in quanto considera la produttività decrescente degli investimenti sup- plementari di capitale, se non come una legge, per lo meno come un fenomeno « ordinario * e in certo qual modo normale; egli collega a questo fenomeno la rendita differenziale e respìnge la teoria della rendita assoluta. L’interessante articolo del signor P. Maslov contiene molte osservazioni giuste all'indirizzo dei critici, ma perde molto del suo valore a causa della suddetta teoria erronea dell’autore (il quale, difendendo il mar- xismo, non si è preso la briga di stabilire con esattezza la differenza esistente fra la «sua» teoria e quella di Marx), come anche a causa di una serie di affermazioni av- ventate e completamente ingiustificate quali, ad esempio, che il signor Berdiaiev « si libera completamente dall’influenza degli scrittori borghesi » e si distingue « per la sal- dezza dal punto di vista di classe, senza pregiudizio per l'obiettività » , che « per molti rispetti, l'analisi fatta da K. Kautsky è qua e là... tendenziosa », che Kautsky « non ha affatto determinato in quale direzione proceda lo sviluppo delle forze produttive nell’a- gricoltura », ecc. LA QUESTIONE AGRARIA E 1 « CRITICI DI MARX » III teoria della rendita creata dal signor Bulgakov, come dice modesta- mente egli stesso, « con le sue proprie forze », « seguendo la propria via» (I, p. in). Alcune osservazioni bastano a caratterizzare questo prodotto « deirultimo, meno produttivo investimento » di « lavoro » professorale. La « nuova » teoria della rendita è costruita secondo la vecchia ricetta: « se ti chiami fungo, vai nel cesto». Se vi è libertà di concorrenza, essa non deve assolutamente subire nessuna restrizione (benché una simile assoluta libertà di concorrenza non sia mai esistita in nessun luogo). Se vi è monopolio, tutto è finito. La rendita, dunque, non è affatto presa dal plusvalore, e neppure dal prodotto agricolo; essa è presa dal prodotto del lavoro non agricolo, è semplicemente un tributo, una tassa, un defalco sulla produzione sociale complessiva, una tratta del proprietario terriero. « Il capitale agrario col suo profitto e il lavoro agricolo, l’agricoltura in generale come campo di applica- zione del lavoro e del capitale, costituiscono così uno status in statu nel regno del capitalismo... tutte \sic\] le definizioni del capitale, del plusvalore, del salario e del valore in generale, applicate alFagricoltura, sono grandezze immaginarie » (I, p. 99). Bene! Bene! Ormai tutto è chiaro: sia i capitalisti che gli operai salariati nell’agricoltura non sono che grandezze immaginarie. Ma se al signor Bulgakov accade di dire simile enormità, talvolta gli capita anche di dire cose niente affatto insensate. Dopo quattordici pagine leggiamo: «La produzione delle derrate agricole costa alla società una certa quantità di lavoro; il loro valore è questo ». Eccellente. Dun- que, almeno le « definizioni » del valore non sono affatto grandezze immaginarie. Proseguiamo: «Dal momento che la produzione è or- ganizzata capitalisticamente e che al vertice della produzione si trova il capitale, il prezzo del grano sarà determinato in base ai costi di pro- duzione; si calcolerà dunque la produttività di un dato investimento di lavoro e di capitale rispetto alla produttività sociale media ». Be- nissimo. Dunque, anche le « definizioni » del capitale, del plusvalore c del salario non sono affatto grandezze immaginarie. Dunque, anche la libertà di concorrenza (sebbene non assoluta) esiste, poiché se il capitale non passasse dall’agricoltura all’industria e viceversa, non si potrebbe « calcolare la produttività rispetto alla produttività sociale media». Continuiamo: «Grazie però al monopolio della terra, il prezzo supera il valore fino ai limiti consentiti dalle condizioni del mercato». Perfettamente. Soltanto, dove ha mai visto il signor Bulga- 112 LENIN kov che un tributo, una tassa, una tratta, ecc. dipendono dalle con- dizioni del mercato? Se, grazie al monopolio, il prezzo sale fino ai limiti consentiti dalle condizioni del mercato, tutta la differenza tra la « nuova » teoria della rendita e la « vecchia » sta nel fatto che Fau- tore, seguendo « la propria via », non ha compreso, da una parte, la differenza tra l’influenza della limitatezza della terra e l’influenza della proprietà privata della terra e, dall’altra, la relazione esistente fra il concetto di « monopolio » e il concetto di « ultimo, meno produt- tivo investimento di lavoro e di capitale ». E, dopo questo, c’è da me- ravigliarsi se, sette pagine più avanti (I, p. 120), il signor Bulgakov di- mentica completamente la « sua » teoria e ragiona sul « modo di ripar- tizione di questo prodotto (agricolo) tra il proprietario della terra, il fittavolo capitalista e gli operai agricoli»? Splendido finale di una splendida critica! Ammirevole risultato della nuova teoria della ren- dita di Bulga\ov , teoria che ha fin d’ora arricchito la scienza dell’eco- nomia politicai III he macchine nell* agricoltura Passiamo ora al « notevole » — secondo il giudizio del signor Bui- gakov — libro di Hertz {Die agrarischen Fragen im V erhàltnis zum Sozialismus, Wien, 1899. Traduzione russa di A. Ilinski, Pietroburgo, 1900). Dovremo del resto intrattenerci un po’ sugli argomenti ana- loghi di entrambi questi scrittori. La questione delle macchine nell’agricoltura e la questione, ad essa strettamente legata, della grande e della piccola produzione nell agri- coltura servono con particolare frequenza ai « critici » come pretesto per « confutare » il marxismo. Analizzeremo particolareggiatamente più avanti alcuni dei dati circostanziati che essi citano; esaminiamo ora, invece, le considerazioni generali che si riferiscono alla questione. I critici consacrano pagine e pagine a ragionamenti molto minuziosi relativi al fatto che le macchine nell’agricoltura incontrano maggiori difficoltà di impiego che nell’industria, e quindi si impiegano meno ed hanno minore importanza. Tutto questo è incontestabile ed è stato già rilevato cón la massima precisione, per esempio, da quello stesso Kautsky il cui solo nome getta i signori Bulgakov, Hertz e Cernov in LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » ”3 uno stato di quasi irresponsabilità. Ma questo fatto indiscutibile non confuta per nulla il fatto che l’impiego delle macchine si sviluppa rapidamente anche nell’agricoltura, esercitando su di essa una potente azione trasformatrice. I critici possono « eludere » questa conclusione inevitabile soltanto con profondi ragionamenti come, per esempio, il seguente:... «L’agricoltura è caratterizzata dal dominio della natura nel processo di produzione, dalla mancanza di libertà della volontà umana > (Bulgakov, I, p. 43) ... « invece del lavoro malsicuro e im- preciso dell’uomo, essa » (la macchina nell’industria) « esegue con precisione matematica lavori sia micrometrici che colossali. Nulla di simile [?] può fare la macchina nella produzione di derrate agricole, giacché, finora, nel l’agricoltura lo strumento di lavoro non è nelle mani dell’uomo ma della madre natura. Questa non è una metafora » (ivi). Effettivamente questa non è una metafora, ma soltanto una frase vuota, giacche tutti sanno che un aratro a vapore, una seminatrice a righe, una trebbiatrice ecc. fanno un lavoro più «sicuro e preciso; dire quindi «nulla di simile» significa dire una sciocchezza! Proprio come dire che nell’agricoltura la macchina « non può minimamente [sic!] rivoluzionare la produzione » (Bulgakov, I, pp. 43-44, dove inol- tre si citano specialisti della costruzione di macchine agricole, i quali tuttavia parlano soltanto di una differenza relativa tra le macchine agricole e quelle industriali), o come dire: «qui non soltanto la macchina non può trasformare il lavoratore in una propria appendice [?], ma a questo lavoratore rimane, come prima, la funzione di diri- gente del processo » (p. 44); al porgitore presso la trebbiatrice, per esempio? Il signor Bulgakov tenta di attenuare la superiorità dell’aratro a vapore richiamandosi a Stumpfe e a Kutzleb (che hanno scritto della capacità della piccola azienda di sostenere la concorrenza della grande) in contrasto con le conclusioni degli specialisti di costruzione di mac- chine agricole e di economia agricola (Fiihling, Perels), e servendosi tra l’altro di argomenti del genere di questi: l’aratura a vapore esige un terreno speciale * e « fondi di dimensioni straordinariamente vaste » (secondo il signor Bulgakov questo è un argomento non contro la * Hertz insiste su questo argomento in modo particolarmente « trionfale », dimo- strando l’erroneità del giudizio «assoluto» (p. 65; traduzione russa, p. 156) secondo cui l'aratro a vapore è superiore all’aratro ordinario « in tutte le circostanze ». Questo si chiama proprio sfondare una porta aperta? 8 - 754 LENIN u 4 piccola azienda, ma contro l’aratro a vapore!); con un solco della pro- fondità di 12 pollici , il lavoro animale è meno caro del vapore, tee. Con argomenti simili si possono riempire interi volumi senza per ciò in- validare minimamente nè il fatto che l’aratro a vapore permette di arare molto profondamente (e più profondamente di 12 pollici), nè quello che il suo impiego si estende rapidamente: in Inghilterra nel 1867 era impiegato soltanto in 135 tenute, mentre nel 1871 se ne im- piegavano già più di 2.000 (Kautsky); in Germania il numero delle aziende che impiegano Paratro a vapore è passato da 836 nel 1882 a 1.696 nel 1895. Sulla questione delle macchine agricole il signor Bulgakov cita ripetutamente Fr. Bensing, « autore di una monografia sulle mac- chine agricole », come egli attesta (I, p. 44). Commetteremmo una grande ingiustizia se non indicassimo anche in questo caso come il signor Bulgakov citi e come lo smentiscano gli stessi testimoni che egli invoca. Affermando che la « costruzione » di Marx circa il più rapido au- mento del capitale costante in confronto a quello variabile non è ap- plicabile alPagricoltura, il signor Bulgakov si richiama alla necessità di un sempre maggior consumo di forza-lavoro a misura che la pro- duttività dell’agricoltura cresce, e cita, fra l’altro, il calcolo di Bensing: « L’esigenza generale di lavoro umano si esprime, secondo i diversi sistemi di coltura, nel modo seguente; nel sistema dei tre campi: 712 giornate di lavoro; nel sistema di avvicendamento delle colture di Norfolk: 1.615 giornate di lavoro; nelPavvicendamento delle colture con una notevole produzione di barbabietole da zucchero: 3.179 gior- nate » per 60 ettari (Franz Bensing, Der Einfluss der lamìwirtschaf - tlichen Maschinen auf Vol\s - und Privatwirtschaft , Breslau, 1897, p. 42; Bulgakov, I, p. 32). Il guaio è, però, che con questo calcolo Ben- sing vuole precisamente dimostrare la crescente importanza delle mac- chine: applicando queste cifre a tutta l’agricoltura della Germania, Bensing calcola che il numero degli operai agricoli esistenti sarebbe sufficiente soltanto per coltivare la terra col sistema dei tre campi e che perciò l’introduzione deH’avvicendamento delle colture sarebbe impos- sibile senza l’impiego delle macchine. Poiché è noto che quando predo- minava il vecchio sistema dei tre campi le macchine non erano quasi affatto impiegate, il calcolo di Bensing dimostra il contrario di ciò che vuol dimostrare il signor Bulgakov; e precisamente: questo calcolo LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» dimostra che raumento della produttività dell’agricoltura doveva ne- cessariamente essere legato a un aumento piu rapido del capitale co- stante rispetto a quello variabile. Altrove il signor Bulgakov, affermando che « esiste una differenza radicale [sic!] tra la funzione delle macchine nell’industria di tra- sformazione e la loro funzione nell’agricoltura », cita le parole di Ben- sing: «le macchine agricole non sono in grado di aumentare illimi- tatamente la produzione come le macchine industriali...» (I, p. 44). Ancora una volta il signor Bulgakov non ha fortuna. Bensing rileva questa differenza, nient’affatto « radicale », tra le macchine agricole e quelle industriali all’inizio del sesto capitolo intitolato L’influenza delle macchine agricole sul reddito lordo. Dopo aver minutamente esa- minato, per ogni singola specie di macchine, i dati delle pubblicazioni agricole specializzate, e particolarmente quelli di un’inchiesta da lui stesso condotta, Bensing giunge alla seguente conclusione generale: raumento del reddito lordo è del 10% quando s’impiega l’aratro a vapore, del 10% quando s’impiega la seminatrice a righe e del 15% quando s’impiega la trebbiatrice; inoltre, la seminatrice a righe eco- nomizza il 20 % delle sementi, e solo quando s’impiega la macchina per il raccolto delle patate si nota una diminuzione del reddito lordo del 5 %. L’affermazione del signor Bulgakov che « in ogni caso l’ara- tro a vapore è l’unica macchina agricola in favore della quale si pos- sono addurre certe considerazioni tecniche » (I, pp. 47-48) è in ogni caso confutata da quello stesso Bensing al quale l’incauto signor Bul- gakov si richiama. Per dare il quadro più esatto e completo possibile dell’importanza delle macchine nell’agricoltura, Bensing espone una serie di calcoli molto particolareggiati sui risultati della coltivazione senza macchine, con una macchina, con due, ecc., ed infine con tutte le macchine prin- cipali, compresi l’aratro a vapore e le ferrovie décaitville agricole (Feldbahnen). Ne risulta che senza macchine il reddito lordo = 69.040 marchi, le spese = 68.615 marchi, il reddito netto — 425 marchi, ossia 1,37 marchi per ettaro, mentre con Timpiego di tutte le macchine prin- cipali il reddito lordo = 81.078 marchi, le spese = 62.551,5 marchi, il reddito netto = 18.526,5 marchi, cioè 59,7 marchi per ettaro, vale a dire oltre quaranta volte di più. E questo è dovuto soltanto alle macchine poiché il sistema aziendale si suppone immutato! Che l’impiego delle macchine si accompagni, come dimostrano gli stessi calcoli di Bensing, 8 * ii6 LENIN a un enorme aumento del capitale costante e a una diminuzione di quello variabile (cioè del capitale speso per la forza-lavoro e del nu- mero stesso degli operai) è cosa evidente. In una parola il lavoro di Bensing smentisce in tutto e per tutto il signor Bulgakov e dimostra tanto la superiorità della grande azienda nell’agricoltura quanto l’ap- plicabilità a quest’ultima della legge dell’aumento del capitale costante a spese del capitale variabile. Una sola cosa avvicina il signor Bulgakov a Bensing: il fatto che quest’ultimo si colloca da un punto di vista puramente borghese, non comprende affatto le contraddizioni inerenti al capitalismo e chiude tranquillamente gli occhi suireliminazione degli operai da parte delle macchine, ecc. Di Marx questo moderato e diligente discepolo dei pro- fessori tedeschi parla con lo stesso odio del signor Bulgakov. Bensing è solo più coerente: egli chiama Marx «avversario delle macchine» in generale, sia nell’agricoltura che nell’industria, perchè, dice lui, Marx « deforma i fatti » parlando di influenza disastrosa delle macchine su- gli operai, e, in generale, addossando alle macchine ogni specie di ca- lamità (Bensing, 1 . c., pp. 4, 5, 11). L’atteggiamento del signor Bul- gakov verso Bensing ci mostra ancora una volta che cosa i signori « critici » prendono dai dotti borghesi e che cosa vogliono ignorare. Che specie di « critica » sia quella di Hertz risulta in modo abba- stanza chiaro da questo esempio: a p. 149 (trad. russa) egli accusa Kautsky di impiegare « metodi da polemica giornalistica » ed a p. 150 « confuta » l’affermazione della superiorità della grande azienda per quanto riguarda l’impiego delle macchine con argomenti di questo genere: 1) grazie alle cooperative l’acquisto delle macchine è accessi- bile anche ai piccoli agricoltori. E questo, notate, confuterebbe il fatto che le macchine sono più diffuse nelle grandi aziende! A chi siano più accessibili i vantaggi della cooperazione è Cosa che vedremo di- scutendo particolarmente con Hertz nel secondo saggio. 2) David ha mostrato nei Soziali sti se he Monatshefte (V, 2) che l’impiego delle macchine nelle piccole aziende è « largamente diffuso e aumenta for- temente... che anche la seminatrice a righe si incontra spesso [sic ! ] persino nelle aziende piccolissime. Lo stesso avviene per le falciatrici e altre macchine» (p. 63; p. 151 della- trad. russa). Ma se il lettore esa- minerà l’articoletto di David * vedrà che quest’ultimo prende le cifre • Nel libro di David, // socialismo c V agricoltura, Pietroburgo, 1906, questo me- todo erroneo viene ripetuto (p. 179). [Nota delTautore all’edizione del 1908 ( N . d. /?,)]. LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX X> 1 17 assolute sul numero delle aziende che impiegano macchine, e non il rapporto percentuale fra queste aziende e il numero totale delle aziende del gruppo considerato (come fa, naturalmente, Kautsky). Confrontiamo queste cifre concernenti tutta la Germania per il 1895*. Gruppi di aziende Numero compiei Rivo delle aziende Aziende che impiegano macchine ;c X «i a 8 V % 0 *S JS * ho .9 c 1- °'u falciatrici e mietitrici r* fino a 2 h. 3.236.367 214 0,01 14.735 0,46 245 0,01 da 2 a Su 1.016.318 551 0,05 13.088 1,29 600 0,06 » 5 « 20 » 998.804 3.252 0,33 48.751 4,88 6.746 0,68 > 20 a 100 » 281.767 12.091 4,29 49.852 17,69 19.535 6,93 più di 100 » 25.061 12.565 50,14 14.366 57,32 7.958 31,75 In compitasti 5.558.317 28.673 | 0,52 140.792 2,54 35.084 0,63 Non è vero che questa è una buona conferma delle parole di David e di Hertz secondo cui le seminatrici e le falciatrici s’incontrano «spesso» «persino nelle aziende piccolissime»? E se Hertz «con- clude» che «dal punto di vista della statistica Taffermazione di Kautsky non resiste assolutamente alla critica », da che parte, in realtà, troviamo veri e propri metodi da polemica giornalistica? Va notato, come fatto curioso, che, pur negando la superiorità della grande azienda per quanto riguarda Timpiego delle macchine, pur negando, per la piccola azienda, il lavoro eccessivo e il consumo insuf- ficiente dovuti a tale preminenza, questi stessi « critici », tuttavia, quando devono occuparsi della situazione effettiva (e quando di- menticano il loro « compito essenziale », quello di confutare il mar- xismo «ortodosso»), si dànno senza misericordia la zappa sui piedi. «La grande azienda — scrive, per esempio, il signor Bulgakov nel secondo volume della sua opera (p. 1 15) — lavora sempre con un più ampio investimento di capitali che non la piccola azienda, e perciò preferisce, naturalmente, i fattori meccanici della produzione alla for- za-lavoro vivente ». Che il signor Bulgakov, in qualità di « critico », propenda, sulle orme dei signori Struve e Tugan-Baranovski, per la economia volgare, contrapponendo i « fattori meccanici della produ- * Stati stik àrs Deut sche n Fetchs, volume 112. p. 36. i iS LENIN zione » a quelli viventi, è effettivamente del tutto « naturale ». Ma era forse naturale che egli negasse cosi incautamente la superiorità della grande azienda? Della concentrazione della produzione agricola il signor Bulgakov non parla se non come di una « legge mistica della concentrazione », ecc. Ma quando gli accadde d’aver a che fare con dati inglesi, eccolo costretto ad ammettere che la tendenza alla concentrazione delle farms ha agito dagli anni cinquanta fino alla fine degli anni settanta. «Le piccole aziende consumatrici — scrive il signor Bulgakov — si sono fuse in aziende maggiori. Questo consolidamento degli appezzamenti di terra non è affatto il risultato della lotta tra la grande e la piccola azienda [?], ma della tendenza cosciente [!?] dei landlords ad au- mentare la loro rendita raggruppando diverse piccole aziende che da- vano una rendita minima in una grande azienda atta a dare una ren- dita elevata » (I, p. 239). Voi capite, lettori: non lotta tra la grande e la piccola azienda, ma eliminazione di quest’ultima, scarsamente reddi- tizia, da parte della prima! «Una volta che l’azienda è organizzata su base capitalistica, è incontestabile che, entro certi limiti, la grande azienda capitalistica ha dei vantaggi indubbi sulla piccola azienda capitalistica » (I, pp. 239-240). Se questo è incontestabile, perchè dunque il signor Bulgakov ha fatto e fa tanto chiasso (sul Nacialo) contro Kautsky, che comincia il suo capitolo sulla grande e. sulla piccola pro- duzione (nella Questione agraria) con quest’affermazione: «Quanto più l’agricoltura diventa capitalistica, tanto più essa approfondisce la differenza qualitativa della tecnica fra la grande e la piccola produ- zione»? E non soltanto il periodo della prosperità dell’agricoltura in In- ghilterra, ma anche il periodo della crisi porta a risultati sfavorevoli per la piccola azienda. I resoconti delle commissioni per gli ultimi anni « confermano con regolarità stupefacente che la crisi ha gravato più di tutto proprio sui piccoli agricoltori» (I, p. 31 1). «Le loro abitazioni — dice un resoconto a proposito dei piccoli proprietari — sono peggiori della media dei cottages operai... Il loro lavoro è straordinariamente gravoso e notevolmente più lungo di quello degli operai, e molti di essi dicono che la loro situazione materiale è meno buona di quella di questi ultimi, che essi vivono meno bene e mangiano raramente carne fresca»... «Gli yeomen } sovraccarichi di ipoteche, sono stati ro- vinati per primi» (I, p. 316)... «Economizzano su tutto, come pochi LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 119 operai fanno».., « I piccoli fittavoli riescono ancora a tenersi in piedi finche possono utilizzare il lavoro non pagato dei membri della loro famiglia »... « È forse inutile aggiungere che la vita del piccolo fittavolo è infinitamente più dura di quella dell’operaio » (I, pp. 320-321). Ab- biamo riprodotto questi brani perchè il lettore possa giudicare dell’e- sattezza della seguente conclusione del signor Bulgakov: «La crudele rovina delle aziende che avevano resistito fino al periodo della crisi agraria dice soltanto [!!] che i piccoli produttori in tali casi soccom- bono più rapidamente dei grandi, e nulla più [sic!!]. Trarre da ciò una qualsiasi conclusione generale relativamente alla loro vitalità eco- nomica in genere è assolutamente impossibile, giacche in questo pe- riodo tutta Pagricoltura inglese si è venuta a trovare sull’orlo del falli- mento » (I, p. 333). Benissimo, non è vero? E il signor Bulgakov, nel capitolo sulle condizioni generali di sviluppo dell’azienda contadina, giunge addirittura a generalizzare questo ammirevole modo di ragio- nare: «Una repentina caduta dei prezzi si ripercuote duramente su tutte le forme di produzione, ma la produzione contadina, essendo la più scarsa di capitali, resiste naturalmente meno della grande produzio- ne (ciò che non tocca affatto la questione della sua vitalità generale)» (II, p. 247). Dunque, nella società capitalistica le aziende povere di ca- pitali sono meno resistenti, ma ciò non tocca affatto la loro vitalità « ge- nerale »! Per quanto riguarda la coerenza del ragionamento le cose non vanno meglio con Hertz, Egli « confuta » (coi metodi già caratteriz- zati) Kautsky, ma quando il discorso cade sulPAmerica riconosce la superiorità delle aziende più grandi, che consentono di «impiegare le macchine in una misura immensamente maggiore, cosa che la no- stra azienda parcellare non consente» (p. 36; trad. russa, p. 93); egli riconosce che « il contadino europeo impiega sovente nella sua condu- zione sistemi arretrati, consuetudinari, estenuandosi [robotcnd] per un tozzo di pane come l’operaio, senza aspirare a un miglioramento » (ivi). Hertz riconosce anche, in generale, che « la piccola produzione richiede relativamente più lavoro della grande» (p. 74; trad. russa, p. 177) e potrebbe utilmente comunicare al signor Bulgakov i dati re- lativi all’aumento dei raccolti in seguito all’introduzione deH’aratro a vapore (pp. 67-68; trad. russa, pp. 162-163), ecc * Naturale compagna dell’inconsistenza delle concezioni teoriche dei nostri critici circa l’importanza delle macchine agricole è la loro impo- 120 LENIN tcnte ripetizione delle deduzioni puramente reazionarie degli agrari ostili alle macchine. Hertz, è vero, è ancora molto indeciso su questo punto delicato; parlando delle « difficoltà » che l’agricoltura frappone alFintroduzione delle macchine, egli osserva: «si dice che d’inverno rimane tanto tempo libero che la trebbiatura a mano è più vantag- giosa» (p. 65; trad. russa, pp. 156-157). Con la sua logica particolare, Hertz è, a quanto pare, portato a concludere che questo fatto non è un argomento contro la piccola produzione, contro gli ostacoli capita- listici all’introduzione delle macchine, ma contro le macchine! Perciò il signor Bulgakov gli rimprovera non a torto di essere « troppo le- gato alle opinioni del suo partito » (II, p. 287). Il professore russo è naturalmente superiore a simili « legami » umilianti e dichiara fiera- mente: « Io sono abbastanza libero dal pregiudizio tanto diffuso, par- ticolarmente nella letteratura marxista, secondo il quale in ogni mac- china bisogna vedere un progresso» (I, p. 48). Disgraziatamente, in questo ammirevole ragionamento le conclusioni concrete non corri- spondono affatto al volo del pensiero. «La trebbiatrice a vapore, — scrive il signor Bulgakov — avendo privato moltissimi operai delle occupazioni invernali, c certamente stata per loro un male conside- revole, non compensato dai vantaggi tecnici*. Questo fatto viene ri- levato, tra l’altro, da Goltz, il quale formula perfino un desiderio uto- pistico » (II, p. 103), e precisamente il desiderio di limitare l’ impiego della trebbiatrice, soprattutto di quella a vapore, « per migliorare la si- tuazione degli operai agricoli — aggiunge Goltz — -, nonché per di- minuire le emigrazioni e le migrazioni » (per migrazioni, aggiun- giamo noi, Goltz intende probabilmente Tesodo nelle città). Ricorderemo al lettore che proprio quest’idea di Goltz è stata rile- vata anche da Kautsky nella sua Questione agraria. Non è quindi privo d’interesse confrontare l’atteggiamento verso una questione con- creta di economia (importanza delle macchine) e di politica (limitarne l’impiego?) del rigido ortodosso invischiato nei pregiudizi marxisti con quello deU’odierno critico che ha assimilato ottimamente tutto lo spirito del « criticismo Kautsky dice (Agrarfrage, p. 41) che Goltz attribuisce alla trebbia- * Cfr. voi. I, p. 5 1 : « ... la trebbiatrice a vapore... compie il principale lavoro del periodo invernale, già cosi scarso di lavoro anche senza di ciò (Futilità di questa mac- china per tutta [sic!!] l’agricoltura è perciò più che dubbia; ci occuperemo ancora di questo fatto) ». LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI M.ARX » 121 trice una influenza « particolarmente nociva » : essa toglie agli operai rurali la principale occupazione invernale, li spinge nelle città, aggrava lo spopolamento delle campagne. E Goltz propone di limitare l’im- piego delle trebbiatrici, lo propone — aggiunge Kautsky — « in ap- parenza neirinteresse degli operai rurali, ma in realtà neirinteresse dei grandi proprietari fondiari, per i quali », come dice lo stesso Goltz, « il danno causato da tale limitazione sarà largamente compensato — se non subito, almeno nell’avvenire — dall’aumento del numero delle braccia nel periodo estivo ». « Per fortuna — continua Kautsky — questa benevolenza conservatrice per gli operai non è altro che un’u- topia reazionaria. La trebbiatrice è troppo vantaggiosa ” subito ” perchè i grandi proprietari fondiari rinuncino a utilizzarla in previ- sione di un profitto ” nell’avvenire E perciò la trebbiatrice conti- nuerà il suo lavoro rivoluzionario; essa spingerà gli operai agricoli nelle città, e diventerà così uno strumento potente per l’aumento dei salari nelle campagne, da una parte, e per l’ulteriore sviluppo dell’industria delle macchine agricole, dall’altra ». L’atteggiamento del signor Bulgakov verso il modo di porre la questione da parte di un socialdemocratico e da parte di un agrario è estremamente caratteristico: è un piccolo saggio della posizione in- termedia tra il partito del proletariato e il partito della borghesia, as- sunta in generale da tutta lodierna « critica ». Il critico, s’intende, non è così meschino nè così schematico da accettare il punto di vista della lotta di classe e del rivoluzionamento di tutti i rapporti sociali ad opera del capitalismo. Ma, d’altra parte, benché il nostro critico sia « rinsa- vito», tuttavia i ricordi del tempo in cui era «giovane e sciocco», di quando condivideva i pregiudizi del marxismo, non gli consentono di accettare integralmente il programma del suo nuovo compagno, l’agrario, che, in modo del tutto logico e coerente, dal danno causato dalla macchina « a tutta l’agricoltura » conclude formulando un desi- derio: proibirle! E il nostro buon critico si trova nella situazione del- l’asino di Buridano tra due mucchi di fieno : da una parte egli ha già perduto ogni nozione della lotta di classe e ormai può parlare del danno causato dalle macchine « a tutta l’agricoltura », dimenticando che tutta l’agricoltura moderna è diretta in primo luogo da impren- ditori che pensano soltanto al proprio profitto; egli ha così ben di- menticato gli « anni giovanili » in cui era marxista e pone già la più assurda delle questioni, quella di sapere se i vantaggi tecnici della 122 LENIN macchina ne « compensino » l’azione dannosa per gli operai (questa azione dannosa, però, non è soltanto esercitata dalla trebbiatrice a vapore, ma anche dall’aratro a vapore, dalla falciatrice, dalla seleziona- trice, ecc.). Egli non si accorge neppure che l’agrario vuole, in sostanza, solo asservire maggiormente l’operaio sia in inverno che in estate. Dal- l’altra parte, però, egli si ricorda vagamente di quell’antiquato pregiu- dizio « dogmatico » secondo cui proibire la macchina è un’utopia. Po- vero signor Bulgakov: si districherà da questa spiacevole situazione? È interessante notare che i nostri critici, pur sforzandosi in tutti i modi di attenuare l’importanza delle macchine agricole, pur formu- lando perfino la legge della « fertilità decrescente del terreno », hanno dimenticato (o hanno evitato intenzionalmente) di menzionare la nuo- va rivoluzione tecnica dell’agricoltura che l’elettrotecnica prepara. In- vece Kautsky — il quale, secondo il giudizio più che ingiusto del signor P. Maslov, « ha commesso un errore essenziale, non avendo affatto de- terminato in che direzione proceda lo sviluppo delle forze produttive nell’agricoltura » ( Gizn , 1901, n. 3, p. 171) — aveva rilevato l’impor- tanza dell’elettricità nell’agricoltura fin dal 1899 ( Agrarfrage ). Oggi i sintomi della prossima rivoluzione tecnica si manifestano già più chia- ramente. Si tenta di chiarire teoricamente l’importanza dell’elettro- tecnica nell’agricoltura (cfr. Dr. Otto Pringsheim, Landwirtschaf- tliche Manufaktur und eìehtrische Landwirtschajt , in Brauns Archiv , XV, 1900, pp. 406-418, e l’articolo di K. Kautsky nella Neue Zeit , XIX, 1, 1900-1901, n. 18, Die Elefyrizitàt in der Landwirtschaft), si levano voci di grandi proprietari fondiari esperti di agricoltura che descrivono le loro esperienze nell’applicazione dell’elettricità (Pringsheim cita un libro di Adolph Seufferheld che riferisce le esperienze fatte nella pro- pria azienda), che vedono nell’elettricità un mezzo per rendere nuova- mente redditizia l’agricoltura, invitano il governo e i grandi pro- prietari fondiari a costruire centrali elettriche e a produrre in grande quantità energia elettrica per gli agricoltori (a Kónigsberg è uscito l’anno scorso un libro di P, Mack, proprietario della Prussia orientale : Der Aufschtvung unseres Landwirtschaftsbetriebes durch V erbilligung der Produktionskosten. Eine Untersuchung uber den Dienst, den Maschinentechni ^ und Ele\trizitàt der Landwirtschaft bieten). Pringsheim osserva, e a nostro avviso molto giustamente, che l’a- gricoltura odierna — per il livello generale della sua tecnica, e forse anche della sua economia — si avvicina a quella fase di sviluppo del- LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» I2 3 l’industria che Marx definì « manifattura ». La prevalenza del lavoro a mano e della cooperazione semplice, l’impiego sporadico delle mac- chine, le proporzioni relativamente piccole della produzione (se si considera, per esempio, il totale dei prodotti venduti annualmente da un'azienda), le dimensioni del mercato, relativamente piccole nella maggior parte dei casi, il legame tra la grande e la piccola produzione (fra l’altro quest’ultima, a somiglianza degli artigiani rispetto al grande imprenditore manifatturiero, fornisce mano d opera alla prima, oppure la prima compra «semilavorati » dalla seconda: per esempio, i grandi agricoltori comprano barbabietole, bestiame ecc. dai piccoli), tutte queste caratteristiche attestano effettivamente che l’agricoltura non è ancora giunta allo stadio della « grande industria meccanica », nel senso in cui l’intende Marx. Nell’agricoltura non esiste ancora « un sistema di macchine» collegate in un unico meccanismo produttivo. Certo, non si deve spingere questo raffronto troppo oltre: da un lato vi sono delle particolarità dell’agricoltura che è assolutamente impossibile eliminare (trascurando la possibilità, troppo lontana e troppo problematica, di preparare in laboratorio albumina e cibi). In conseguenza di queste particolarità, la grande industria meccanica non sarà mai contrassegnata neiragricoltura da tutte le caratteristiche che ha nell’industria. Dall’altro lato, anche nella manifattura la grande produzione industriale aveva già ottenuto la prevalenza e una note- vole superiorità tecnica sulla piccola produzione. Il piccolo industriale tentò ancora per molto tempo di paralizzare questa superiorità pro- lungando la giornata di lavoro e riducendo i propri bisogni, cosa tanto caratteristica sia dell’artigiano che del piccolo contadino odierno. La prevalenza del lavoro a mano nella manifattura dava ancora alla pic- cola produzione qualche possibilità di resistere grazie a mezzi « eroici » di tal genere, ma coloro che se ne compiacevano e parlavano della vi- talità dell’artigiano (precisamente come i critici di oggi parlano della vitalità del contadino) furono assai presto smentiti dalla « tendenza temporanea » che paralizza !a « legge universale » della stagnazione tecnica. Ricorderemo, a mo’ d’esempio, gli studiosi russi della tessi- tura artigiana nel governatorato di Mosca degli anni settanta. Per quanto concerne la tessitura del cotone — dicevano essi — la causa del tessitore a mano è perduta: la macchina ha preso il sopravvento, ma ecco che, in compenso, nel campo della tessitura della seta gli artigiani possono ancora resistere, le macchine sono ancora di gran lunga meno 124 LENIN perfezionate. Sono trascorsi due decenni e la tecnica ha tolto al piccolo produttore ancora uno dei suoi ultimi rifugi, come per dire — a chi ha orecchie per sentire e occhi per vedere — che l’economista deve sempre andare avanti, in direzione del progresso tecnico, altrimenti sarà subito lasciato indietro, giacche chi non vuol guardare avanti volta le spalle alla storia: qui non c’è e non può esservi via di mezzo. «Gli scrittori che, al pari di Hertz, hanno trattato la questione della concorrenza tra la grande e la piccola produzione nell’agricol- tura, ignorando l’influenza dell’elettrotecnica, dovranno ricominciare daccapo il loro studio», ha osservato giustamente Pringsheim, e la sua osservazione vale ancor più per l’opera in due volumi di Bulgakov* L’energia elettrica è più a buon mercato del vapore, è più facil- mente riparabile, può essere trasmessa a distanze molto grandi con facilità immensamente maggiore, assicurando inoltre alle macchine una marcia più precisa e più regolare; essa può quindi essere applicata molto più comodamente alla trebbiatura, all’aratura, alla mungitura, alla trinciatura dei foraggi*, ecc. Kautsky descrive un latifondo un- gherese ** nel quale l’energia elettrica viene distribuita dalla centrale in tutte le direzioni, fin nelle parti più lontane della tenuta, servendo ad azionare le macchine agricole, a tritare le barbabietole, a sollevare l’acqua, all’illuminazione, ecc. ecc. « Per ottenere ogni giorno 300 et- tolitri di acqua da un pozzo di 29 metri di profondità immettendola in un serbatoio a io metri di altezza e per preparare il foraggio per 240 vacche, 200 vitelli e 60 buoi e cavalli da lavoro, cioè per trinciare e tritare le barbabietole ecc., occorrevano d’inverno due paia di cavalli e destate un paio, ciò che costava 1.500 gulden. Invece dei cavalli lavo- rano oggi un motore di tre e uno di cinque cavalli, il cui lavoro costa, tutto compreso, 700 gulden, cioè 800 gulden di meno» (Kautsky, 1 . c.). Mack calcola il costo di una giornata di lavoro di un cavallo a tre marchi, mentre sostituendo al cavallo l’elettricità lo stesso lavoro viene a costare 40-75 pfennig, cioè il 400-700 % di meno. Se tra cinquanta o più anni — egli scrive — i cavalli impiegati nell’agricoltura tedesca, che sono 1.750.000, saranno sostituiti dall’energia elettrica (nel 1895 nel- * Ne prenda nota l’ardito signor Bulgakov, che parla audacemente e senza fonda- mento di « certi rami della produzione agricola, assolutamente inaccessibili alle mac- chine, per esempio l’allevamento » (I, p. 49). •• Ancora una volta ne prenda nota il signor Bulgakov, che chiacchiera di t de- generazione latifondistica della grande azienda s>! LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» 125 l’agricoltura tedesca erano impiegati per il lavoro dei campi 2.600.000 cavalli + 1.000.000 di buoi + 2.300.000 vacche, di cui 1.400.000 cavalli e 400.000 buoi erano impiegati nelle aziende con più di 20 ettari), le spese diminuiranno da 1.003.000.000 a 261.000.000 di marchi, cioè di 742.000.000 di marchi. L’immensa superficie che dà il foraggio per il bestiame potrebbe essere utilizzata per la produzione di cibo per gli uomini, per migliorare l’alimentazione degli operai, che il signor Bui- gakov spaventa tanto con la « diminuzione dei doni della natura », con la « questione del parie », ecc. Mack raccomanda insistentemente l’u- nione dell’agricoltura con l’industria per lo sfruttamento permanente deircnergia elettrica; raccomanda la costruzione di un canale nella zona dei laghi masuriani, che potrebbe alimentare di energia elettrica cinque centrali e distribuirebbe l’elettricità agli agricoltori in un raggio di 20-25 chilometri; raccomanda l’utilizzazione della torba per lo stesso scopo e chiede il raggruppamento degli agricoltori : « Solo mediante l’unione e la cooperazione con l’industria e col grande capitale è possi- bile rendere nuovamente lucroso il nostro ramo di industria » (Mack, p. 48). È ovvio che l’applicazione di nuovi metodi di produzione incon- trerà moltissimi ostacoli e non procederà in linea retta, ma a zigzag; ma che essa avanzi, che un rivoluzionamento dell’agricoltura sia inevi- tabile non può essere messo in dubbio. « La sostituzione della maggior parte degli animali da tiro con motori elettrici — dice giustamente Pringsheim — sta ad indicare che il sistema delle macchine è possi- bile nell’agricoltura... Ciò che la forza del vapore non ha potuto fare lo realizzerà sicuramente l’elettrotecnica, e precisamente la trasfor- mazione dell’agricoltura da vecchia manifattura in grande produzione moderna » (1. c., p. 414). Non ci dilungheremo a mostrare quale gigantesca vittoria della grande produzione rappresenterà (e in parte già rappresenta) l’intro- duzione dell’elettrotecnica nell’agricoltura: è cosa troppo evidente perchè sia necessario insistervi. Vediamo piuttosto in quali aziende odierne esistano i germi di quel « sistema delle macchine » che sarà messo in movimento dalla centrale elettrica. Il sistema delle macchine esige infatti prima di tutto che vengano praticamente sperimentate le varie macchine, esige esempi di impiego simultaneo di molte mac- chine. Forniscono una risposta a questo quesito i dati del censimento tedesco delle aziende agricole del 14 giugno 1895. Abbiamo i dati sul numero delle aziende di ciascun gruppo che impiegano macchine i 26 LENIN proprie o appartenenti ad altri (il signor Bulgakov si inganna quando, a p. 114 del II volume, cita parte di questi dati e crede che si riferi- scano al numero delle macchine. A proposito: i dati sul numero delle aziende che impiegano macchine proprie o di altri danno naturalmente una idea inferiore alla realtà della superiorità della grande produzione. I grandi agricoltori possiedono macchine proprie più spesso dei pic- coli, che pagano somme esorbitanti per usufruirne). Questi dati si riferiscono alTimpiego delle macchine in generale oppure alTimpiego di ciascuna specie di macchina in particolare, per cui non possiamo determinare quante macchine impieghino le aziende di ciascun grup- po. Se però sommiamo per ciascun gruppo le aziende che impiegano ogni singola specie di macchina, otterremo il numero dei casi di im- piego delle macchine agricole di ogni specie. Riportiamo i dati rida- borati in questo modo; essi mostrano come si prepara il «sistema delle macchine » neiragricoltura : per 100 o/.iende Dimensioni delle aziende Aziende che impiegano macchine agricole in generale (1895) Casi d'impiego di macchine agricole di vario tipo (1895) fìuO u 2 ettari 2.03 2,30 da 2 a 5 » 13.81 15,46 » 5 a 20 » 45.RO 56,04 » 20 a 100 >1 78,79 128,46 100 e più » 94, U 352,34 In complesso 16,36 22,36 Sicché nelle piccole aziende, quelle di 5 ettari e meno (queste aziende sono più dei tre quarti del totale: 4.100.000 su 5.500.000, cioè il 75,5%; hanno però soltanto 5.000.000 di ettari su 32.500.000, cioè il 15,6%), il numero dei casi di impiego di macchine agricole di ogni tipo (vi abbiamo incluso anche le macchine per la industria casearia) è del tutto insignificante. Tra le aziende medie (5-20 ettari) meno della metà impiegano macchine in generale, e su 100 aziende si trovano sol- tanto 56 casi di utilizzazione di macchine agricole. Solo nella grande produzione capitalistica # costatiamo che la maggioranza delle aziende * Le aziende con più di 20 ettari sono soltanto 300.000 su 5.500.000, cioè i 5,5 % del totale, ma esse hanno 17,700.000 ettari su 32.500.000, cioè il 54,4 % di tutta la superfìcie agraria. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » ■*7 (3/4—9/10) impiega macchine e che in essa incomincia a costituirsi il sistema delle macchine : per ogni azienda si incontra più di un caso di impiego di macchine. Si impiegano quindi più macchine in una stessa azienda; le aziende superiori ai 100 ettari, per esempio, impie- gano circa 4 macchine ciascuna (352 % contro il 94 % delle aziende che impiegano macchine in generale). Su 572 latifondi (aziende di 1,000 e più ettari) 555 impiegano macchine, e il numero dei casi di impiego di macchine è di 2.800, cioè ogni azienda impiega in inedia cinque macchine. Di qui si vede quali siano le aziende che preparano la rivoluzione « elettrica » e quali ne approfitteranno di più. IV L’eliminazione dell’ antagonismo tra città e campagna . Questioni particolari sollevate dai « critici » Da Hertz passiamo ora al signor Cernov, Dato che quest’ultimo « discorre » unicamente del primo, ci limiteremo qui a descrivere brevemente i procedimenti seguiti da Hertz nel ragionare (e quelli seguiti dal signor Cernov nel parafrasarlo), per passare poi (nel saggio seguente) ad esaminare alcuni nuovi dati di fatto presentati dai « cri- tici ». Che cosa rappresenti Hertz come teorico basterà a mostrarlo un solo esempio. Al principio, del suo libro troviamo un paragrafo con un titolo pretenzioso: Il concetto di capitalismo nazionale. Hertz vuol dare, nè più nè meno, la definizione del capitalismo. « Senza dub- bio — egli scrive — noi 'possiamo definirlo come un sistema di economia nazionale che giurìdicamente si fonda sui principi compieta- mente applicati della libertà della persona e della proprietà, tecnica- mente su una produzione in vaste» (grandi?) «proporzioni* so- cialmente sulla separazione dei mezzi di produzione dai produttori di- retti, politicamente sul possesso del potere politico centrale » (sulla concentrazione della forza politica dello Stato?) «da parte dei capita- * Il signor V. Cernov {Russarne Bogats/vo, n. 4, p. 132) traduce: « Su una produ- zione che ha raggiunto un alto grado di sviluppo». Cosi egli si è ingegnato di « com- prendere» Tespressione tedesca « auj grosser Stujcnìàter » ! ! 128 LENIN listi, in forza del solo fattore economico della ripartizione della proprie- tà > (trad. russa, p. 37), Queste definizioni sono incomplete* richiedono limitazioni, dice Hertz; per esempio il lavoro a domicilio e il piccolo affitto sussistono ancora dappertutto accanto alla grande produzione. «Non del tutto appropriata è anche la definizione reale [sic!] del ca- pitalismo come sistema in cui la produzione si trova sotto il controllo » (sotto il dominio e il controllo) « dei capitalisti » (dei possessori di capitale). Non è forse ammirevole questa definizione « realistica » del capitalismo come dominio dei capitalisti? E com’è caratteristica questa tendenza pseudorealistica, ma in realtà eclettica, divenuta oggi così alla moda, a ricercare e ad enumerare tutti i singoli tratti caratteristici c tutti i singoli «fattori». Questo tentativo assurdo di introdurre in un concetto generale tutti i tratti caratteristici parziali dei singoli fe- nomeni o, all’opposto, di « evitare l’urto con l’estrema varietà dei fenomeni » — tentativo che dimostra semplicemente la mancanza di una comprensione, anche elementare, di che cosa sia la scienza — porta naturalmente il « teorico » a non vedere la foresta dietro gli al- beri. Hertz, per esempio, ha dimenticato un’inezia come la produzione mercantile e la trasformazione della forza-lavoro in merce! In com- penso ha escogitato la seguente definizione genetica , che — per punirne l’autore — conviene riprodurre per esteso : il capitalismo è « quell’ordi- namento dell’economia nazionale in cui l’attuazione dei principi del libero scambio, della libertà della persona e della proprietà ha rag- giunto il suo punto (relativamente) più alto, così come è richiesto dallo sviluppo economico e determinato dalle condizioni empiriche di ogni singola economia nazionale» (p, io; la trad. russa, pp. 38-39, non è del tutto esatta). Naturalmente il signor V. Cernov ricopia e commenta con ammirazione entusiastica queste bolle di sapone, deliziando per giunta i lettori del Russ^oie Bogatstvo con ben trenta pagine di « ana- lisi» dei tipi di capitalismo nazionale. Da questa analisi altamente istruttiva si può trarre una serie di indicazioni estremamente preziose e niente affatto banali, quella, per esempio, relativa al « carattere indi- pendente, fiero ed energico del britannico », alla « solidità » della bor- ghesia inglese e al « carattere poco simpatico » della sua politica estera, al « temperamento appassionato ed entusiasta della razza neolatina » e alla «precisione tedesca» {Russ^oie Bogatstvo , n. 4, p. 152). E il marxismo « dogmatico », si intende, è definitivamente annientato da questa analisi. LA, QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » I2Q Non meno demolitrice è l’analisi di Hertz dei dati relativi alle ipo- teche. A dir poco il signor Cernov ne è estasiato. « Sta di fatto — egli scrive — che... i dati di Hertz non sono ancora stati confutati da nes- suno. Kautsky, nella sua risposta al libro di Hertz, pur diffondendosi oltre ogni dire su alcuni particolari » (come la dimostrazione dei travi- samenti di Hertz! Bei «particolari»!), « non risponde neppure una parola agli argomenti di Hertz relativi alla questione delle ipoteche » (Russkpie Bogatstvo, n. io, p, 217; il corsivo è del signor Cernov). Come risulta da un accenno a p. 238 dello stesso fascìcolo del Russkpie Bogatstvo , il signor Cernov conosce [articolo di risposta di Kautsky {Zwei Kritikpr meiner « Agrarfrage », in Nette Zeit , 18, 1, 1899-1900); e il signor Cernov non può neanche ignorare che la rivista nella quale è stato pubblicato quellarticolo è proibita in Russia dalla censura. Tanto più significativo per definire interamente la fisionomia dell’o- dierna « critica » è il fatto che le parole sottolineate dallo stesso signor Cernov contengono una menzogna -flagrante, giacche Kautsky ha ri- sposto sulla questione delle ipoteche a « Hertz, David, Bernstein, Schippel, Bulgakov e tutti quanti * » alle pp. 472-477 dello stesso ar- ticolo menzionato dal signor Cernov, È un dovere fastidioso ristabilire una verità deformata, ma, dovendo trattare coi signori Cernov, non ci si può assolutamente esimere da questo dovere. Kautsky ha risposto a Hertz prendendolo, naturalmente, in giro, poiché questi ha rivelato, anche in tale questione, la propria incapacità o cattiva volontà di capire di che cosa si trattava e la propensione a ripetere argomenti fritti e rifritti dagli economisti borghesi. Nel- YAgrarfrage di Kautsky si trattava (pp. 88-89) della concentrazione delle ipoteche. « Gli innumerevoli piccoli usurai di campagna — scri- veva Kautsky — vengono sempre più respinti in secondo piano, ce- dendo il posto a grandi istituti capitalistici o mutualistici centralizzati, che monopolizzano il credito ipotecario». Kautsky enumera alcuni istituti capitalistici e mutualistici di questo genere, parla delle società mutue di credito fondiario ( genossenschaftliche Bodenkreditinsti- tute\ rileva che sia le casse di risparmio che le società di assicurazione, nonché molte corporazioni (p. 89) collocano i loro fondi in ipoteche, ecc. In Prussia, per esempio, 17 società mutue di credito hanno emesso nel 1887 1.650.000.000 di marchi di titoli ipotecari. «Queste cifre in- * In italiano nel testo (A'.//. A\), 9 - 754 LENIN 23" dicano già un’enorme concentrazione della rendita fondiaria in pochi istituti centrali » (il corsivo è nostro); «ma la concentrazione cresce rapidamente. Nel 1875 le banche ipotecarie tedesche hanno emesso per 900.000.000 di marchi di titoli ipotecari, nel 1888 per 2 miliardi e mezzo; nel 1892 questa somma si elevava già a 3.400.000.000 con- centrati in 31 banche (nel 1875 in 27) » (p. 89). Questa concentrazione della rendita fondiaria indica chiaramente la concentrazione della proprietà fondiaria. No, — rispondono Hertz, Bulgakov, Cernov e C. — « noi co- statiamo la più recisa tendenza al decentramento, al frazionamento della proprietà» (Russ{oie Bogatstvo , n. io, p. 216), giacché «più di un quarto del credito ipotecario è concentrato nelle mani di istituti di credito democratici [sic!] con una massa di piccoli deposi- tanti » (ivi). Con uno zelo straordinario, citando una serie di tabelle, Hertz dimostra che i piccoli depositanti costituiscono la grande mag- gioranza dei depositanti delle casse di risparmio. Ci si chiede soltanto: a che prò tutto questo? Alle società mutue di credito e alle casse di risparmio ha già accennato lo stesso Kautsky (senza certo immaginare, come immagina il signor Cernov, che si tratti di istituti particolar- mente « democratici »). Kautsky parla della centralizzazione della ren- dita in pochi istituti centrali, e gli si indica la massa dei piccoli deposi- tanti delle casse di risparmio! E questo viene chiamato « frazionamento della proprietà »! Ma che rapporto esiste tra l’agricoltura (si tratta della concentrazione della rendita) e il numero dei depositanti di una banca ipotecaria? Forse che una grande fabbrica cessa di indicare la centra- lizzazione della produzione per il fatto che le sue azioni sono suddivise tra una massa di piccoli capitalisti? «Finché Hertz e David non me n’avevano informato — scriveva Kautsky nella sua risposta a Hertz — non avevo la minima idea di dove le casse di risparmio prendessero il denaro. Pensavo che esse maneggiassero i risparmi dei Rothschild e dei Vanderbilt». A proposito della trasmissione delle ipoteche in proprietà dello Stato, Hertz dice: « Sarebbe un pessimo mezzo di lotta contro il grande capitale, e senza dubbio il miglior mezzo per sollevare contro i col- pevoli di tale riforma l’esercito immenso e sempre crescente dei piccoli proprietari e, tra questi, particolarmente dei salariati rurali» (p. 29; trad. russa, p. 77. 11 signor Cernov, tutto contento, lo ripete a pp. 217-218 del Russhpie Bogatstvo). LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» M 1 Ecco dunque quali sono i « proprietari » sul cui aumento fanno tanto chiasso Bernstein e C. ! , risponde Kautsky. Si tratta di donne di servizio con 20 marchi alla cassa di risparmio! Ed è così vecchio e frusto questo argomento contro i socialisti, secondo cui essi, con la loro « espropriazione », spoglierebbero l’immenso esercito dei lavo- ratori. Proprio Eugen Richter ha esposto con zelo particolare questo argomento nel suo opuscolo pubblicato dopo l’abolizione della legge eccezionale contro i socialisti (e che i fabbricanti hanno comprato a migliaia di esemplari per distribuirlo gratuitamente agli operai). In questo opuscolo Eugen Richter ha presentato la sua celebre « Agnese l’economa », una povera cucitrice che aveva qualche decina di marchi alla cassa di risparmio e che i malvagi socialisti, impadronitisi del po- tere statale e trasformate le banche in proprietà dello Stato, hanno derubato. Ecco da quale fonte attingono i loro argomenti « critici » i signori Bulgakov*, Hertz e Cernov! « A quel tempo Eugen Richter — dice Kautsky a proposito del « famoso » opuscolo di questo autore — venne unanimamente deriso da tutti i socialdemocratici. Oggi invece fra questi ultimi c’è qualcuno che, nel nostro organo centrale» (si allude probabilmente agli articoli di David nel Vorwàrts ), «leva un inno a un libro che ripete le stesse idee: Hertz, noi ammiriamo la tua gloriosa impresa!». « Per il povero Eugen al declino della vita questo è un vero trionfo, e, per dargli una soddisfazione, non posso non riprodurre il brano seguente, che si trova nella stessa pagina di Hertz: 11 Noi ve- diamo che il piccolo contadino, il proprietario di una casa in città e soprattutto il grande agricoltore vengono espropriati proprio dalle classi medie e inferiori, il cui contingente principale è dato, senza dubbio, dalla popolazione rurale”» (Hertz, p. 29; trad. russa p. 77. Parafrasato con enfasi nel Russinole Bogatstvo, n. 10, pp. 216-217). «La teoria di David circa lo ” svuotamento ” | Ausfiòhlting] del capi- talismo mediante contratti salariali collettivi f Tarifgctneinschaften) e cooperative di consumo è ora superata. Essa impallidisce davanti a quella di Hertz: l’espropriazione degli espropriatori mediante le casse di risparmio! Agnese l’economa, che credevamo morta, rinasce a nuova vita...» (Kautsky, 1 . c., p. 475), e i «critici» russi, assieme ai pubbli- cisti del Russinole Bogatstvo , si affrettano a trapiantare sul suolo russo, ■' Il signor Bulgakov ha impiegato contro Kautsky gli stessi argomenti sulle ipo^ teche nel Naaafo e, in tedesco, nel X Arckiv di Braun. 132 LENIN a vergogna della socialdemocrazia « ortodossa », questa « Agnese l’e- conoma » risuscitata. Ed ecco che questo stesso signor V. Cernov, che va in estasi a pro- posito degli argomenti di Eugen Richter ripetuti da Hertz, « demo- lisce » da cima a fondo Kautsky nelle pagine del Russ\oie Bogatstvo e della raccolta in onore del signor N. Mikhailovski Al posto d'onore. Sarebbe un’ingiustizia non rilevare qualche perla di questa demoli- zione. « Kautsky riconosce, ancora una volta sulle orme di Marx, — scrive il signor Cernov nel n. 8 del Russ\oie Borgatstvo, p. 299 — che il progresso dellagriccrttura capitalistica porta aH’impoverimento del terreno per ciò che riguarda le sostanze nutritive : sotto forma di vari prodotti si sottrae continuamente alla terra qualche cosa che viene inviato nella città e non torna più alla terra... Come si vede, nella que- stione delle leggi della fertilità del terreno Kautsky ripete impotente [sic!] le parole di Marx fondate sulla teoria di Liebig. Ma quando Marx scriveva il suo primo volume, la ” legge della reintegrazione ” di Liebig rappresentava Tultima parola dell’agronomia. È ormai pas- sato più di mezzo secolo dal tempo di quella scoperta. Nelle nostre nozioni sulle leggi della fertilità del terreno è avvenuta una rivoluzione completa. E che cosa vediamo? Tutto il periodo posteriore a Liebig, tutte le posteriori scoperte di Pasteur, di Ville, le esperienze di Solari con l’impiego dell’azoto, le scoperte di Berthelot, Hellriegel, Wilfahrt e Vinogradski nel campo della batteriologia del terreno, tutto questo per Kautsky è passato senza lasciar traccia...». Caro signor Cernov! Come è straordinariamente simile al Voroscilov di Turgheniev: ricor- date — in Fumo — il giovane libero docente russo, che aveva fatto un viaggio all’estero e si distingueva per essere in generale molto taci- turno, che ogni tanto rompeva il silenzio e faceva piovere decine e centinaia di nomi eruditi ed eruditissimi, rari e rarissimi? Proprio come il nostro dotto signor Cernov, che ha completamente annien- tato quell’ignorante di Kautsky. Ma... ma non potremmo consultare lo stesso il libra di Kautsky? Non potremmo dare un’occhiata per lo meno al suo indice? Ecco il capitolo IV: V Agricoltura odierna, para- grafo d): « Concimi, batteri ». Apriamo al paragrafo d) e leggiamo: « Nella seconda metà dell’ultimo decennio si è scoperto che le legu- minose, a differenza delle altre piante coltivate, traggono quasi tutto l’azoto loro occorrente non dal terreno, ma dall’aria, che non solo non impoveriscono il terreno di azoto, ma lo arricchiscono. Ma esse pos- LA QUESTIONE AGRARIA E r «CRITICI DI MARX» 133 seggono tale proprietà solo se il terreno contiene determinati micror- ganismi che si attaccano alle loro radici. Dove questi microrganismi mancano, si può, con un’opportuna inoculazione, rendere le legumi- nose capaci di trasformare un terreno povero in un terreno ricco di azoto e di fertilizzare così, in una certa misura, il terreno per altre colture. L’inoculazione di batteri alle leguminose consente, di regola, se unita a concimi minerali appropriati (fosfati e concimi potassici), di ottenere costantemente dalla terra i migliori raccolti anche senza letame. Solo grazie a questa scoperta la ” libera azienda ” ha acquistato una base solida » (Kautsky, pp. 51-52). Ma chi ha dato un fondamento scientifico a questa ammirevole scoperta dei batteri accumulatori di azoto? Hellriegel... La colpa di Kautsky è di aver la cattiva abitudine (che si nota anche in molti altri meschini ortodossi) di non dimenticare mai che i membri di un partito socialista combattivo devono, anche nelle loro opere dotte, non perdere di vista il lettore operaio, devono sforzarsi di scrivere con semplicità , senza le inutili raffinatezze stilistiche, senza gli attributi esteriori della « dottrina » che tanto seducono i decadenti e i rappresentanti titolati della scienza ufficiale. Kautsky ha preferito, anche qui, raccontare semplicemente e chiaramente in che cosa consi- stono le recenti scoperte agronomiche, omettendo i nomi dei dotti. I Voroscilov fanno tutto il contrario: preferiscono sciorinare tutta una sfilza di nomi di dotti nel campo dell’agronomia, dell’economia politi- ca, della filosofia critica, tee., seppellendo la sostanza della cosa sotto l’orpello dottrinale. Voroscilov-Cernov, per esempio, con la sua calunniosa accusa a Kautsky di ignorare i nomi dei dotti e le scoperte scientifiche, ha ta- ciuto e nascosto un episodio estremamente interessante e istruttivo della critica alla moda, e precisamente l’attacco dell’economia borghese contro la concezione socialista dell’eliminazione dell’antagonismo tra la città e la campagna. 11 professor Lujo Brentano assicura, per esem- pio, che le migrazioni dalla campagna alla città non sono dovute alle condizioni sociali, ma ad una necessità naturale , alla legge della fer- tilità decrescente del terreno*. Il signor Bulgakov, sulle orme del suo * Cfr. l’articolo di Kautsky nella Neue Zeit, XIX, 2, 1900-1901, n. 27: Tolstoì und Brentano . Kautsky confronta col socialismo scientifico moderno la dottrina di L, Tolstoi che, malgrado l’ingenuità reazionaria della sua teoria, rimane un osservatore e un critico profondo del regime borghese, e l’economia borghese, la cui « stella j>, 1 J4 LENIN maestro, affermava già nel N acido (1899, marzo, p. 29) che l’idea di sopprimere Pantagonismo fra città e campagna è una « pura fantasia » che sono semplicemente gente arretrata. Quindi, risponderemo noi, i signori critici effettuano anche qui uno dei loro innumerevoli e interminabili travisamenti . Dopo aver esposto la teoria di Liebig, Kautsky ha subito fatto notare che l’agro- nomia odierna ha dimostrato la completa possibilità di «rinunciare interamente al letame » ( Agrarfrage , p. 50; cfr. il brano citato sopra), aggiungendo però che sarebbe un palliativo in confronto allo sperpero degli escrementi umani dovuto all’attuale sistema di fognatura delle città. Ecco il punto che i « critici » dovrebbero confutare, se fossero capaci di discutere sulla sostanza, di dimostrare che non si tratta di un palliativo. Ma non vi hanno neppure pensato. È ovvio che la possi- bilità di sostituire i concimi naturali con fertilizzanti artificiali e il fatto che questa sostituzione venga {parzialmente) già praticata non intaccano minimamente la verità che è irrazionale sperperare senza utilizzarli i concimi naturali, infettando tra l’altro coi rifiuti i -fiumi e l’aria nelle zone suburbane e vicine lai centri industriali. Intorno alle grandi città esistono già campi irrigui che, con grandissimo profitto per l’agricoltura, utilizzano i rifiuti delle città; ma soltano un’infima pane dei rifiuti viene utilizzata in questo modo. I fertilizzanti arti- ficiali — dice Kautsky a p. 211 del suo libro, rispondendo allobie- zione secondo cui la recente agronomia confuterebbe il fatto dello sfruttamento agronomico della campagna da parte della città, obie- zione che i signori « critici » gli presentano come qualcosa di nuovo — consentono di ovviare alla diminuzione della fertilità del terreno; ma la necessità di impiegarli in misura sempre crescente è per l’agricoltura LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » *37 un altro dei numerosi aggravi che non sono affatto una necessità na- turale, ma derivano dai rapporti sociali esistenti » *. Nelle parole da noi sottolineate sta il vero « perno » della questione che i « critici » ingarbugliano con tanto zelo. Gli scrittori che, a somi- glianza del signor Bulgakov, spaventano il proletariato con la « questio- ne del pane », la quale sarebbe più terribile e più grave della questione sociale, che si entusiasmano per la limitazione artificiale delle nascite, dicendo che « la regolamentazione dell’aumento della popolazione » diventa « la condizione economica fondamentale » (sic!) del benessere dei contadini (II, p. 261), che questa regolamentazione merita «con- siderazione » e che « l’aumento della popolazione contadina suscita nei moralisti sentimentali [!?] molta indignazione ipocrita» (soltanto ipocrita? e perchè non un’indignazione legittima contro gli ordina- menti sociali vigenti?), «come se la lussuria sfrenata [sic!] fosse di per sè una virtù » (ivi), scrittori come questi devono naturalmente e inevitabilmente sforzarsi di lasciare nell’ombra gli ostacoli capiti talistici al progresso agricolo per addossare tutto alla « legge naturale della fertilità decrescente del terreno », per presentare la soppressione deH’antagonismo tra città e campagna come «pura fantasia». Ma di quale incommensurabile leggerezza non devono essere dotati i signori Cernov per ripetere simili ragionamenti e rinfacciare nello stesso tempo ai critici del marxismo « la mancanza di principi, l’eclettismo e l’op- portunismo » (Russ^oie Bogatstvo, n. 11, p. 246)?! II signor Cernov che àccusa gli altri di mancanza di principi e di opportunismo: può esserci cosa più comica di questo spettacolo? Tutte le rimanenti imprese critiche del nostro Voroscilov sono per- fettamente identiche a quella che abbiamo testé analizzata. Se Voroscilov vi assicura che Kautsky non comprende la differenza esistente tra credito capitalistico e usura, che Kautsky rivela una com- pleta incapacità e mancanza di volontà di capire Marx quando parla del contadino che esercita le funzioni di imprenditore e che, come tale, ha, rispetto al proletariato, una posizione simile a quella del fabbri- cante, se Voroscilov si batte poi il petto ed esclama: «Lo dico senza esitare, poiché sento [sic!] di avere sotto i piedi la terra solida » (Al posto d'onore , p. 169), allora potete star tranquilli: ancora una volta * È ovvio che i fertilizzanti artificiali — dice Kautsky più avanti — non scompa- riranno con la caduta del capitalismo, ma arricchiranno la terra di sostanze speciali invece di adempiere interamente il compito di reintegrare la fertilità del terreno. LEN T IN < 5 » Voroscilov imbroglia sfrontatamente le cose e si vanta non meno sfrontatamente. Nel libro di Kautsky egli « non ha notato » i passi consacrati all’usura come tale ( Agrarfrage , pp. n, 102-104, e special- mente 118, 290-292) e sfonda con tutte le forze una porta aperta, gri- dando inoltre, come d’uso, al « formalismo dottrinario », alla « aridità morale » di Kautsky, allo « scherno contro le sofferenze umane », ecc. Quanto poi alle funzioni di imprenditore adempiute dal contadino, si tratta, a quanto pare, di una cosa estremamente complicata, supe- riore airintelligenza di Voroscilov. Nel saggio seguente, tuttavia, ci studieremo di spiegargliela con gli esempi più concreti. Se Voroscilov vuol dimostrare di essere un vero rappresentante de- gli « interessi del lavoro » e fulmina Kautsky per aver « escluso dalle file del proletariato una moltitudine di autentica gente del lavoro » (ivi, p. 167), come il Lumpenproletariat , i domestici, gli artigiani ecc., state pur certi che Voroscilov imbroglia le cose. Kautsky esamina qui le caratteristiche di quel « proletariato moderno » che ha creato l’attuale « movimento proletario socialdemocratico » ( Agrarfrage , p. 306), e finora i Voroscilov non hanno scoperto che il movimento so- cialdemocratico sia stato creato dai sottoproletari, dagli artigiani o dai domestici. Il rimprovero, poi, che Kautsky sarebbe in grado di « esclu- dere » dalle file dei proletari i domestici (che in Germania cominciano ora ad aderire al movimento), gli artigiani ecc. mette soltanto in piena luce tutta l’impudenza dei Voroscilov, che manifestano la loro bene- volenza per l’« autentica gente deL lavoro » tanto più volentieri quanto minore importanza pratica hanno simili frasi e quanto meno pericoloso c lattaccare la seconda parte della « Questione agraria », proibita dalla censura russa. Del resto, restando sempre in tema d’impudenza, vi sono anche altre perle: il signor Cernov, mentre loda i signori N.-on e Kablukov senza dire una parola della critica marxista rivolta contro di essi, domanda con affettata ingenuità : a chi alludono i socialdemo- cratici tedeschi quando parlano dei loro «compagni» russi? Se non credere che il Russfoie Bogatstvo faccia simili domande, consultate il n. 7, p. 166. Se Voroscilov assicura che le « predizioni » di Engels sulla sterilità del movimento operaio belga a causa dell’influenza del proudhonismo hanno « fatto bancarotta », state pur certi che Voroscilov altera ancora una volta le cose, tanto è sicuro, per così dire, della propria « irrespon- sabilità ». Ecco le sue parole : « Non a caso il Belgio non fu mai mar- LA QUESTIONE AGRARIA e I « CRITICI DI MARX » •39 xista ortodosso, non a caso Engels, malcontento di esso per questo motivo, profetizzava che il movimento belga, grazie all’influenza dei ” principi proudhoniani ”, sarebbe andato voti nichts durch nichts zu nichts*. Ahimè! le sue predizioni hanno fatto bancarotta, e ['ampiezza e il carattere multilaterale del movimento belga sono diventati oggi un modello dal quale molti paesi " ortodossi ” traggono molti insegna- menti » (Russkoie Bogatstvo , n. io, p. 234). Ecco come andarono le cose: nel 1872 (settantadue!) Engels ebbe, nel giornale socialdemo- cratico V olksstaat y una polemica col proudhoniano tedesco Miilberger, e, protestando contro l'esagerazione dell’importanza del proudhoni- smo, scriveva: «L'unico paese in cui il movimento operaio si trova sotto l'influenza diretta dei "principi ” di Proudhon è il Belgio; e ap- punto perciò il movimento belga, come direbbe Hegel, va "dal nulla attraverso il nulla al nulla " » **. E' dunque un'aperta menzogna dire che Engels avrebbe « profe- tizzato » o « predetto » qualche cosa. Egli ha soltanto parlato di quello che è , cioè di quello che era nel 1872. Ed è un fatto storico incontesta- bile che in quel momento il movimento belga stava segnando il passo proprio a causa del prevalere del proudhonismo, i cui capi si pronun- ciavano contro il collettivismo e respingevano un’attività politica indi- pendente del proletariato. Soltanto nel 1879 venne costituito il Partito socialista belga, e da quel momento soltanto incominciò l'agitazione per il suffragio universale che ha segnato la vittoria del marxismo sul proudhonismo (riconoscimento della lotta politica del proletariato or- ganizzato in partito di classe indipendente) e l'inizio di grandi successi del movimento. L'attuale programma del Partito operaio belga ha fatto proprie (trascurando alcuni punti meno importanti) tutte le idee fondamentali del marxismo. Ed ecco che nel 1887, Engels, nella prefazione alla seconda edizione dei suoi articoli sulla questione delle abitazioni, sottolinea particolarmente i « progressi giganteschi del mo- vimento operaio internazionale negli ultimi quattordici anni ». Questi progressi, egli scrive, sono in stretto rapporto con reliminazione del proudhonismo che era allora dominante, ma che oggi è quasi dimenti- cato. « Nel Belgio — osserva Engels — i fiamminghi hanno rimosso i * Dal nulla attraverso il nulla al nulla ( N . d. R.). ## Cfr. l’opuscolo Zttr Wohnungsfrage, Ziirich, 1887, che riproduce gli articoli di Engels contro Miilberger del 1872 e la prefazione in data io gennaio 1887. Il brano citato si trova a p. 56 140 LENIN valloni dalla direzione del movimento, hanno messo da parte [ abge - setzt ] il proudhonismo e hanno dato un potente impulso al movi- mento » (p. 4 dello stesso opuscolo, prefazione) 80 . Non è forse vero che il Russkpie Bogatstvo riferisce le cose fedelmente? Se Voroscilov... ma basta! Non possiamo certo competere con una rivista legale che può mentire impunemente ogni mese contro il mar- xismo « ortodosso ». V «La prosperità delle odierne piccole aziende d'avanguardia ». Lesempio del Baden 51 Particolari, particolari!, gridava il signor Bulgakov nella rivista Nacialo (n. 1, pp. 7 e 13), e questa parola d’ordine viene ripetuta cen- tinaia di volte e su tutti i toni da tutti i « critici ». Bene, signori, eccovi dei particolari. Quando avete diretto questa parola d’ordine contro Kautsky si trattava, nè più nè meno, di un nonsenso, perchè il compito principale di uno studio scientifico della questione agraria, soffocata da infiniti particolari slegati, consisteva precisamente nel tracciare un quadro generale di tutto l’odierno regime agrario nel suo sviluppo. La vostra parola d’ordine celava soltanto la vostra mancanza di principi scien- tifici, la vostra opportunistica paura di qualsiasi concezione generale unitaria e ben ponderata. E se non aveste assunto, di fronte al libro di Kautsky, un atteggiamento alla Voroscilov, avreste potuto trarne una quantità di indicazioni circa il modo di utilizzare i dati partico- lareggiati, circa il modo di elaborarli. Ma questi dati particolareggiati voi non sapete neppure utilizzarli, come proveremo ora con una serie di esempi scelti da voi stessi. Nel suo articolo I barbari contadini , diretto contro Kautsky e pub- blicato nella rivista dei signori Voroscilov, i Sozialistische (? ?) Mona - tshefte (III. Jahrgang, 1899, Heft 2), E. David si è richiamato, con particolare esultanza, ad « una delle più serie ed interessanti mono- grafie » sull’azienda contadina apparse in questi ultimi tempi, e pre- cisamente a Moritz Hecht: Drei Dòrfer der badischen Hard (Leipzig, 1895). Hertz si è afferrato a questo richiamo, ha riprodotto, sulle orme LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» 141 di David, alcune cifre di questo «eccellente scritto» (p. 68; trad. russa, p. 164) e ha « raccomandato insistentemente » (p. 69; trad. russa, p. 188) di prenderne conoscenza neiroriginale o negli estratti di David. Il signor Cernov si è affrettato a parafrasare nel Russinole Bogatstvo sia David che Hertz, contrapponendo a Kautsky « i limpidi bozzetti di prosperità delle odierne piccole aziende d’avanguardia » (n. 8, pp. 206-209) tratteggiati da Hecht. Rivolgiamoci dunque a Hecht. Hecht descrive tre villaggi badensi che si trovano a 4-14 chilometri da Karlsruhe: Hagsfeld, Blankenloch e Friedrichsthal. Malgrado le piccole dimensioni degli appezzamenti — 1-3 ettari per agricoltore — i contadini vivono molto agiatamente e civilmente, giacché ottengono dalla terra raccolti straordinariamente abbondanti. David (e Cernov dopo di lui) paragona questi raccolti alla media delia Germania (in quintali per ettaro: patate 150-160 e 87,8, segala e frumento 20-23 e 10-13, 50-60 e 28,6) ed esclama: che cosa ve ne pare? Eccoli i vostri «piccoli contadini arretrati!». In primo luogo, risponderemo noi, dato che qui non si fa alcun confronto tra grandi e piccole aziende poste nelle stesse condizioni, è ridicolo vedere in ciò un argomento contro Kautsky. Ed è ancora più ridicolo quando lo stesso signor Cernov, che a p. 229 del n. 8 del Russkoie Bogatstvo afferma che nella « rudimentale concezione di Kautsky » (circa lo sfruttamento agro- nomico della campagna da parte delle città) « i lati oscuri del ca- pitalismo vengono perfino esagerati », cita a p. 209, contro Kautsky, proprio un esempio nel quale questo ostacolo capitalistico al progresso dell’agricoltura viene eliminato in forza dell’ubicazione suburbana dei villaggi da lui scelti. Mentre l’immensa maggioranza della popo- lazione rurale perde enormi quantità di concimi naturali a causa dello spopolamento della campagna e della concentrazione della popolazione nelle città, determinati dal capitalismo, un’infima minoranza di con- tadini suburbani trae dalla propria situazione vantaggi particolari e si arricchisce a spese deirimmiserimento della massa. Niente di strano che nei villaggi descritti i raccolti siano così abbondami, quando essi comprano annualmente 41.000 marchi di letame dalle scuderie mi- litari delle tre vicine città di guarnigione (Karlsruhe, Bruchsal e Durlach) e dì concimi liquidi dalle istituzioni urbane di spurgo (Hecht, p. 65); di fertilizzanti artificiali ne comprano soltanto per ■ 4 2 LENIN 7.000 marchi Negare la superiorità tecnica della grande azienda ci- tando l’esempio delle piccole aziende poste in tali condizioni significa soltanto provare la propria impotenza. In secondo luogo, è poi proprio vero che nell’esempio indicato si tratta di « autentici piccoli conta- dini », di echte and rechte Kletnbauern , come dice David e come ripetono, sulle sue orme, Hertz e Cernov? Inoltre essi si richiamano esclusivamente alle dimensioni del possesso fondiario, rivelando ap- punto la loro incapacità di utilizzare i dati particolareggiati. Per il contadino suburbano, come ognuno sa, una desiatina di terra vale quanto dieci desiatine per il contadino di una località sperduta, e la vicinanza della città trasforma radicalmente anche il tipo dell’azienda. Per esempio a Friedrichsthal, che ha meno terra e che ciò nonostante è il più ricco di questi villaggi suburbani, il prezzo della terra è di 9-10.000 marchi, cinque volte di più del prezzo medio del Baden (1.938 marchi) e una ventina di volte di più del prezzo della terra in certe zone remote della Prussia orientale. Non si tratta quindi affatto di « piccoli » contadini, se si considera il volume della produzione (unico indice esatto delle dimensioni di un’azienda). Quanto al tipo della loro azienda, vi costatiamo uno sviluppo considerevolmente alto dell’economia monetaria e della specializzazione dell’agricoltura, par- ticolarmente sottolineato da Hecht. Vi si coltivano tabacco (45% della superficie a Friedrichsthal) e patate di qualità superiore (utilizzate in parte come sementi e in parte per le mense degli « aristocratici » — Hecht, p. 17 — a Karlsruhe); si vendono nella capitale latte e burro, lattonzoli e maiali; e vi si compra a sua volta grano e fieno. L’agricol- tura ha assunto qui un carattere nettamente commerciale, e il conta- dino dei dintorni della capitale è il tipo purissimo del piccolo bor - ghese\ se il signor Cernov si fosse quindi effettivamente messo al corrente dei dati particolari che cita di seconda mano, sarebbe forse riuscito a capire qualche cosa di una categoria per lui così diffìcile • Tra parentesi: il signor Cernov assicura i lettori del RussJ^oie Bogatstva che in quei villaggi non esiste « differenza sensibile » nella estensione del possesso fondiario . Ma se l’esigenza di particolari non fosse stata, in bocca sua, una semplice frase, egli non avrebbe potuto dimenticare che per questi contadini suburbani la quantità di terra ha un'importanza assai minore della quantità di concime. E da questo punto di vista la differenza c molto sensibile. 1 raccolti sono più abbondanti e 1 contadini più ricchi che altrove nel villaggio di Friedrichsthal, benché sia il più povero di terra; ma sui 48.000 marchi spesi per i fertilizzanti la sua parte ammonta a 28.000 marchi, ciò che, diviso per 258 ettari, dà 108 marchi per ettaro. Hagsfcld spende soltanto 30 marchi per ettaro (12.000: 397 ettari) e Blankcnloch 11 in tutto (8.000: 736 ettari). LA QUESTIONE AGRARIA E 1 « CRITICI DI MARX » J 43 come il « carattere piccolo-borghese » del contadino (n. 7 del Russ^oie Bogatstvo y p. 163). È assai divertente il fatto che Hertz e il signor Cer- nov, pur dicendosi incapaci di capire come un contadino possa adem- piere le funzioni di imprenditore, come possa essere in grado di figu- rare ora come operaio, ora come imprenditore, si richiamino ad una analisi particolareggiata il cui autore dice chiaramente: «Il contadino del secolo XVIII, con i suoi 8-10 ettari di terra, era un contadino » (« era un contadino », signor Cernov!) « e un lavoratore manuale; il minuscolo contadino del secolo XIX, coi suoi 1-2 ettari, è un lavora- tore intellettuale, un imprenditore, un commerciante» (Hecht, p. 69; cfr. p. 12: «L’agricoltore è diventato mercante e imprenditore » . Il corsivo è di Hecht). Ebbene, non è forse alla Voroscilov che Hertz e il signor Cernov hanno «demolito» Kautsky, colpevole di aver confuso il contadino con l’imprenditore? La caratteristica più notevole del « carattere di impresa » è l’impiego del lavoro salariato. Ed è estremamente caratteristico il fatto che nep- pur uno dei sedicenti socialisti che si sono richiamati allo scritto di Hecht abbia detto una mezza parola su questo fatto. Lo stesso Hecht — il più tipico Kleinburger di tendenza ultralealista, entusiasta della religiosità dei contadini, della «sollecitudine paterna» delle autorità del Granducato verso di essi, in generale, e di un provvedimento così « importante » come l’organizzazione di corsi culinari, in particolare — si sforza naturalmente di dissimulare questi fatti e di dimostrare che non esiste nessun « abisso sociale » nè tra ricchi e poveri, nè tra il con- tadino e il salariato agricolo, nè tra il contadino e 1 operaio di fabbrica. « Non esiste un ceto di giornalieri agricoli, — scrive Hecht. — La mag- gior parte dei contadini sono in grado di coltivare essi stessi la propria terra con l’aiuto della famiglia; in questi tre villaggi solo pochissimi hanno bisogno di mano d’opera estranea durante la mietitura o per la trebbiatura. Queste famiglie ” chiamano in aiuto ” [« bitten »], secondo il modo di dire locale, determinati uomini o donne (che non si consi- derano affatto per questo ” giornalieri ") » (p. 31). Non c’è da stupirsi che tra gli agricoltori dei tre villaggi siano nel complesso pochi quelli che impiegano giornalieri, poiché, come vedremo, moltissimi « agri- coltori » sono in realtà operai di fabbrica. Ma quale sia la percentuale dei puri e semplici agricoltori che impiegano mano d opera salariata, Hecht non lo dice, preferendo riempire la propria dissertazione di laurea (di dottorato, in tedesco), consacrala soltanto a tre villaggi (dei M4 LENIN quali uno è il suo paese d origine), non con dati statistici precisi sulle varie categorie di contadini, ma con ragionamenti sulPalto significato morale della diligenza e della parsimonia. (Malgrado questo, anzi forse a causa di questo, Hertz e David portano alle stelle il lavoro di Hecht). Veniamo soltanto a sapere che il più basso salario dei giornalieri è quello del villaggio più ricco e puramente agricolo, Friedrichsthal, che è il più lontano da Karlsruhe (14 chilometri). A Friedrichsthal un gior- naliero percepisce 2 marchi al giorno col vitto a proprie spese, a Hag- sfeld (4 chilometri da Karlsruhe, abitato da operai di fabbrica) 3 mar- chi. Questo è uno dei fattori della « prosperità » degli « autentici piccoli contadini », tanto celebrati dai « critici ». « In questi tre villaggi — ci comunica Hecht — esistono ancora rapporti completamente patriar- cali tra signore e servi [Gesinde significa sia servi che salariati fissi]. Il ” signore ”, cioè il contadino che possiede 3-4 ettari, dà del ” tu ” al salariato o alla salariata, li chiama semplicemente per nome, mentre essi chiamano il contadino ” zio” [ Vetter ] e la contadina ” zia” [Ba- se *] e danno loro del ” voi ”... I salariati mangiano con la famiglia e ne sono quasi considerati membri » (p. 93). Sull’importanza del la- voro salariato nella tabacchicoltura, cosi diffusa in questa zona e che ri- chiede mano d’opera particolarmente numerosa, il «documentatissimo» Hecht tace; siccome però egli ha pur sempre detto un paio di parole sul lavoro salariato, bisogna dire che questo borghesuccio benpensante è superiore, quanto a capacità di analisi « particolareggiata », ai Voro- scilov del socialismo « critico ». In terzo luogo. L’indagine di Hecht è stata chiamata in causa per negare il fatto del lavoro eccessivo e della sottoalimentazione dei con- tadini. Anche qui, tuttavia, risulta che i « critici » hanno preferito tace- re i fatti di questo genere rilevati da Hecht. È loro venuto in aiuto quel concetto di contadino « medio » mediante il quale l’idealizzazione della « popolazione contadina » è così diffusa sia tra i populisti russi che tra gli economisti borghesi dell’Europa occidentale. « In generale » i con- tadini di questi tre villaggi sono molto agiati, ma anche dalla mono- grafia molto superficiale di Hecht si vede chiaramente che, sotto questo rapporto, bisogna distinguere tre grandi gruppi. Circa un quarto (o il 30%) degli agricoltori (la maggioranza a Friedrichsthal e alcuni a Blankenloch) sono piccoli borghesi agiati che, arricchitisi grazie * Così nel testo russo. In tedesco Vetter e Base significano letteralmente « cugino » e « cugina » (JV. d . R .). LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » T 45 alla vicinanza della capitale, gestiscono un’azienda lattiefc-casearia redditizia (vendono 10-20 litri di latte al giorno) e praticano la tabac- chicoltura (un esempio: il reddito lordo di 1,05 ettari coltivati a tabacco è di 1.850 marchi), ingrassano maiali per la vendita (allevano maiali: a Friedrichsthal 497 abitanti su 1.140, a Blankenloch 445 su 1.684, a Hag- sfeld 220 su 1.273), ecc. In seno a questa minoranza (alla quale soltanto, in sostanza, si possono applicare completamente gli indici di « pro- sperità > che entusiasmano tanti critici) Timpiego del lavoro salariato s’incontra indubbiamente abbastanza spesso.' Nel secondo gruppo, al quale appartiene la maggioranza degli agricoltori di Blankenloch, il benessere è già notevolmente minore; i concimi si impiegano meno, i raccolti sono meno abbondanti, vi è meno bestiame (a Friedrichsthal vi sono in tutto, ragguagliati al bestiame grosso, 559 capi per 258 ettari, a Blankenloch 842 per 736 ettari, a Hagsfeld 324 per 397 ettari); nelle case, le 4 sale » sono più rare, si mangia carne molto meno frequente- mente; in molte famiglie si osserva il fatto (che noi russi conosciamo molto bene) che il bisogno di denaro spinge a vendere grano in au- tunno ed a comprarne in primavera # . Per questo gruppo il centro di gravità si sposta costantemente dall’ agricoltura all industria, e 103 con- tadini di Blankenloch lavorano già a Karlsruhe come operai di fab- brica. Assieme a quasi tutta la popolazione di Hagsfeld, questi ultimi formano il terzo gruppo (40-50% del totale delle famiglie). Qui l’agri- coltura è ormai un’occupazione ausiliari, alla quale consacrano il loro tempo principalmente le donne. Benché il livello di vita sia più alto che a Blankenloch (grazie all’influenza della capitale), la miseria vi si fa già sentire fortemente. Il latte viene venduto, mentre per sè si compera già, parzialmente, 4 la meno cara margarina » (p. 24). Il numero delle capre è in rapido aumento: da 9 nel 1855 a 93 nel 1893. 4 Questo aumento — scrive Hecht — si può spiegare soltanto con la scomparsa delle aziende propriamente contadine e con la disgregazione [ Auflòsttng ] del ceto dei contadini, che si trasforma in un ceto di ope- rai di fabbriche rurali con un possesso fondiario fortemente frazio- * Hccht spiega, fra l'altro, l’arretratezza economica di Blankenloch con la pre- valenza dell’economia naturale e con desistenza della comunità contadina, grazie alla quale viene garantito un pezzetto di terra (36 are Allmendgut) ad ogni contadino che ha compiuto 32 anni, « sia egli un poltrone o un lavoratore attivo, sia economo o no » (p. 30). Tuttavia Hecht è contrario alla spartizione delle terre della comunità: questo sistema — egli dice — è una specie di assicurazione sociale per la vecchiaia ( Altcrsver - sorgung) per gli operai di fabbrica anziani, il cui numero è in auménto a Blankenloch. 10 - 754 46 LENIN nato» (p. 27). Diremo tra parentesi che dal 1882 al 1895 anche in tutta la Germania il numero delle capre è aumentato in misura considere- vole, da 2.400.000 a 3.100.000; il che mostra chiaramente l’altro aspetto negativo di quel progresso della « salda popolazione contadina » che tanto decantano i signori Bulgakov e i socialisti «critici» piccolo-bor- ghesi. La maggioranza degli operai fa a piedi i 3 chilometri e mezzo che la separano dalla fabbrica in città, dato che non può permettersi di spendere neppure un marco (48 copechi) la settimana per il biglietto ferroviario. Circa 150 operai dei 300 di Hagsfeld trovano persino troppo caro il pranzo della « mensa popolare », che costa da 40 a 50 pfennig, e si fanno portare il desinare da casa! « Le povere donne — dice Hecht — alle 11 precise mettono il desinare in una gamella e lo portano in fabbrica » (p. 79). Quanto alle operaie, anch’esse sono occupate in fab- brica io ore al giorno e percepiscono un compenso di 1,10-1,50 marchi in tutto (gli uomini percepiscono 2,50-2,70 marchi) e, se lavorano a cot- timo, di 1,70-2 marchi. « Certe operaie cercano di aumentare la magra paga con occupazioni ausiliarie; a Blankenloch quattro ragazze lavo- rano nella cartiera di Karlsruhe e portano della carta a casa per farne, nelle ore serali, dei sacchetti. In una serata, dalle 8 alle 11 [sic!], fanno persino 300 sacchetti, guadagnandosi così 40-50 pfennig, supplemento al piccolo guadagno giornaliero che serve per pagare il viaggio in ferrovia. A Hagsfeld alcune donne, che da ragazze lavoravano in fabbrica *, si procurano un piccolo guadagno supplementare lustrando nelle serate invernali oggetti d’argento» (p. 36). «L’operaio di Hagsfeld — scrive Hecht commosso — ha una dimora fissa non in virtù di una legge deirimpero, ma grazie alla propria energia; possiede la sua ca- setta, che non deve condividere con estranei, e ha il suo pezzetto di terra; ma immensamente più importante di questo reale possesso è la coscienza di aver ottenuto tutto ciò con la propria diligenza. L’operaio di Hagsfeld è ad un tempo operaio di fabbrica e contadino. Chi non ha terra in proprio ne prende in affitto qualche parcella per aumentare il suo guadagno utilizzando le ore libere . Se d’estate il lavoro in fabbrica comincia ” soltanto ” [« soltanto »!] alle sette, l’operaio si alza alle quat- tro per zappare le patate nel proprio campo o dar da mangiare al be- stiame. Oppure, se la sera rincasa alle sette, come occupa il suo tempo, soprattutto d’estate? Egli lavora ancora un’ora o un’ora e mezza nel • L’originale tedesco reca « in una fabbrica di argento » (N. d. R.). LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» M7 suo campo: egli non cerca di ottenere dalla terra una grossa rendita; vuole soltanto utilizzare completamente [sic!] la sua forza-lavoro »... E Hecht ci dice ancora molte altre untuosità dello stesso genere, chiu- dendo il suo libro con queste parole : « Il contadino piccolissimo e l’o- peraio di fabbrica si sono elevati entrambi [sic!] al livello del ceto medio, e questo non grazie a provvedimenti artificiali, coercitivi, ma grazie alla loro diligenza, alla loro energia, creando in se stessi una moralità superiore » *. « I tre villaggi della Hard badense rappresentano oggi un grande e vasto ceto medio » (il corsivo è di Hecht). Che Hecht scriva in questo modo non è cosa sorprendente, giacché egli è il più dozzinale apologeta borghese. Ma che nome meritano le persone che ingannano gli altri chiamandosi socialisti e che abbelli- scono la realtà con maggiore zelo di un qualsiasi Hecht, gabellando per progresso generale la prosperità di una minoranza borghese e na- scondendo la proletarizzazione della maggioranza con la vecchia in- segna: «unione dell’agricoltura con l’industria»? VI La produttività della piccola e della grande azienda. Un esempio della Prussia orientale Passiamo, per variare, dalla lontana Germania meridionale alla Prussia orientale, più vicina alla Russia. Abbiamo qui uno studio par- ticolareggiato estremamente istruttivo del quale il signor Bulgakov, che chiede particolari, non ha saputo affatto servirsi. « Un confronto tra i dati sulla produttività effettiva della grande e della piccola azienda — scrive il signor Bulgakov — non può risolvere la questione dei loro * Hecht parla ancora moltissimo di questa « moralità superiore », esaltandola non meno di quanto il signor Bulgakov esalti la « temperata politica coniugale », la « ferrea diligenza », la « parsimonia » e la « moderazione », citando persino un « noto pro- verbio contadino»: tMan sieht nicht auj die Goschen (das heisst Mtind), sondern auj die Groschen », che tradotto liberamente in russo significa: « Non si guarda a ciò che entra in bocca, ma a ciò che entra in tasca ». Proponiamo al lettore di confrontare questo proverbio con la « dottrina » del professore di Kiev, signor Bulgakov, secondo la quale l’azienda contadina (non avendo bisogno nè di rendita nè di profitto) è « Porga- nizzazione dell’agricoltura piu vantaggiosa per la società [sic!] » (Bulgakov, I, p. 154). 148 LENIN vantaggi tecnici, perchè le aziende confrontate possono trovarsi in con- dizioni economiche diverse. Tali dati possono tutt’al più confermare coi fatti la conclusione negativa che la grande produzione non è tecni- camente superiore alla piccola, e questo non soltanto in teoria, ma, in certe condizioni, anche in pratica. Di questi confronti se ne sono fatti non pochi nella letteratura economica, in ogni caso abbastanza per scuotere nel lettore non prevenuto e libero da pregiudizi la fede nella superiorità della grande produzione in generale » (I, pp. 57-58). E in una nota si citano due esempi. Il primo è quello stesso scritto di Auha- gen — dal quale sono state messe a confronto tra loro due sole aziende dello Hannover, una di 4,6 e una di 26,5 ettari — che è stato citato sia da Kautsky ncWAgrarfrage (p. in) che da Hertz (p. 69; trad. russa, p. 166). La piccola azienda presenta, in questo caso, raccolti più elevati, e Auhagen vi ha riscontrato, in confronto con la grande azienda, un reddito superiore; Kautsky ha già dimostrato, però, che questo mag- gior reddito proviene dal sottoconsumo . Hertz ha cercato di confutare questo fatto, ma col risultato che gli è abituale, e poiché Hertz è ora tradotto in russo, mentre la risposta di Kautsky è sconosciuta in Rus- sia, accenneremo in due parole al contenuto di questa risposta (con- tenuta nell’articolo già citato della Neue Zeit ). Come al solito, Hertz ha travisato l’argomento di Kautsky, asserendo che questi si rife- rirebbe soltanto al fatto che il grosso agricoltore mantiene un figlio al ginnasio. Invece Kautsky voleva con questo soltanto illustrare il tenore di vita, e se Hertz avesse riportato l’intero bilancio delle famiglie messe a confronto (ambedue di cinque persone), avrebbe ottenuto le cifre seguenti: 1.158,40 marchi per la piccola azienda e 2.739,25 per la grande. Se il tenore di vita fosse eguale per entrambe le aziende, la piccola risulterebbe meno redditizia ; secondo il calcolo di Auhagen, il reddito della piccola azienda è = a 1.806 marchi di reddito, cioè al 5,45% del capitale (33.651 marchi), e quello della grande a 2.720 mar- chi, cioè all’i, 82% del capitale (149.559 marchi). Si defalchi ciò che la piccola azienda consuma in meno della grande e il suo reddito risul- terà eguale a 285 marchi, cioè allo 0J80 °/ Q ! E questo mentre la quantità di lavoro è sproporzionatamente alta : nella piccola azienda tre lavo- ratori per 4,6 ettari, cioè un lavoratore per 1,5 ettari, nella grande un- dici lavoratori (cfr. Hertz, p. 75; trad. russa, p. 179) per 26,5 ettari, cioè un lavoratore per 2,4 ettari. Non parliamo poi del paragone, sul quale Kautsky giustamente ironizza, fatto dal sedicente socialista Hertz tra LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» M9 il lavoro dei figli dellodierno contadino e quello della spigolatrice Ruth! Quanto al signor Bulgakov, egli si è limitato a comunicare i dati relativi ai proventi del raccolto, senza dire mezza parola sul te- nore di vita del piccolo e del grande agricoltore. « Un altro esempio — prosegue il nostro paladino dei particolari — lo troviamo in un recente studio di Karl Klawki: Uber Konkiir- renzfdhigkeit des landwirtschaftlichen Kleinbetriebs (in Thiel’s Lan - dwirtschaftliche Jahrbiicher , 1899, Heft 3-4). Il suo confronto si rife- risce alla Prussia orientale. L'autore confronta tra loro aziende di grandi, medie e piccole dimensioni, prendendone quattro di ogni tipo. La particolarità del suo confronto sta, in primo luogo, nel fatto che le entrate e le spese sono espresse in denaro c, in secondo luogo, neh fatto che Fautore calcola in denaro e annovera tra le spese il valore della forza-lavoro della piccola azienda nella quale essa non viene compe- rata; per il nostro scopo un simile metodo difficilmente potrebbe essere valido » (sic! Il signor Bulgakov dimentica di aggiungere che Klawki calcola in denaro il valore del lavoro in tutte le aziende, valutando pre- giudizialmente il lavoro delle piccole aziende più a buon mercato); « tuttavia noi abbiamo »... Segue una tabella, di cui riporteremo ora soltanto la conclusione : il reddito netto medio di un morgen (= 0,25 ettari) è di io marchi nella grande azienda, di 18 nella media e di 12 nella piccola. « Il massimo reddito — conclude il signor Bulgakov — si ottiene qui nell'azienda media, ad essa segue la piccola cd a questa la grande, che arriva così dopo tutte le altre ». • Aziende [ | Entrate per ud morgen (0,25 ettari] in marchi Somma j entrata totale ' entrata per vendita di prodotti per consumo di derrate di prod. propria totale per 100 marchi dì prod.* per 1 DO agricoltura allevamento jtt *• o * *3 o l m o 0 a a > » *3 a *2 2 m %» D *o t a 3 a a r* > £ JB "5 o V fi a V *> *> a, guad. netto marchi 1 a ! b 1 giornate lavorative a salario 1 grande 17 «1 33 11 14 25 6 2 . 33 23 10 | 65 70 887 887 media . 18 27 45 12 » 29 6 10 1 16 45 27 ; U| 35 | 60 744 924 piccola 23 41 “i 1’, l 27 1 36 l U 14 I ì ! 28 64 ! 52 : 1 “1 a j ao - - * a = se non si calcola in denaro il valore della forza-lavoro deiragricoltore c della sua famiglia; b = se si calcola in denaro tale valore. ! 5 o LENIK Abbiamo di proposito trascritto per esteso tutto ciò che dice il signor Bulgakov sul confronto tra le grandi e le piccole aziende. Esa- mineremo ora che cosa dimostra l’interessante scritto di Klawki, che descrive, in 120 pagine, 12 aziende tipiche e poste nelle stesse condi- zioni. Abbiamo riportato sopra i dati generali che concernono le aziende, limitandoci per economia di spazio e per rendere più chiare le conclusioni, ai dati medi relativi alla grande, alla media e alla pic- cola azienda (dimensioni medie = 358,50 e 5 ettari). Parrebbe dunque che lo scritto di Klawki confermi interamente tutte le conclusioni del signor Bulgakov: col diminuire delle dimen- sioni dell’azienda aumenta il reddito lordo e persino l’entrata derivante dalla vendita dei prodotti per morgen! Noi pensiamo che, dati i me- todi impiegati da Klawki — e si tratta di metodi molto diffusi e, nei loro tratti fondamentali, comuni a tutti gli economisti borghesi e pic- colo-borghesi — , in tutti o in quasi tutti i casi si otterrà una supe- riorità della piccola agricoltura. Perciò, 1 "essenza della questione , che i Voroscilov non notano neppure, consiste interamente nell 'analiz- zare questi metodi y ed è proprio per questo che lo studio parziale di Klawki presenta un grandissimo interesse generale. Cominciamo dai raccolti. Risulta che i raccolti della maggior parte dei cereali diminuiscono regolarmente e molto considerevolmente dalle grandi aziende alle piccole. Si raccoglie (in quintali per morgen): fru- mento: 8, 7-7, 3-6, 4; segala: 9, 9-8, 7-7, 7; orzo: 94-7,1-6,5; avena 8, 5-8, 7-8,0; piselli: 8, 0-7, 7-9, 2 *; patate: 63-55-42; barbabietole da foraggio: 190- 156-117. Solo per il lino, che le grandi aziende non coltivano af- fatto, il raccolto è maggiore nelle piccole (3 su 4) che nelle medie (2 su 4), ed è precisamente di 6,2 « Stein > (= 18 libbre e mezzo) contro 5,5. Da che cosa dipende la maggior abbondanza dei raccolti nelle grandi aziende? Klawki dà un’importanza decisiva ai quattro fattori seguenti: 1) i piccoli agricoltori non praticano quasi affatto il drenaggio e, quando lo praticano, i tubi sono collocati, e mal collocati, dagli agri- coltori stessi; 2) i piccoli agricoltori non arano abbastanza profonda- mente: i loro cavalli sono deboli; 3) presso i piccoli agricoltori l’ali- mentazione dei bovini è, nella maggior parte dei casi, insufficiente; • Si coltivano soltanto in due delle quattro aziende: fra le grandi e medie aziende tre su quattro seminano piselli. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRrTlCl DI M ARX» 151 4) i piccoli agricoltori producono letame di qualità peggiore; la paglia dei loro cereali è più corta, una buona parte serve come foraggio (donde peggioramento della qualità del foraggio) e ne rimane meno per la lettiera. Il bestiame dei piccoli agricoltori è dunque più debole, di peggior qualità e peggio tenuto. Questa circostanza ci spiega il fatto strano e particolarmente evidente che nelle grandi aziende, con dei raccolti più alti, il reddito per morgen è, secondo i calcoli di Klawki, minore che non nelle piccole e nelle medie aziende. Il fatto è che Klawki non tiene conto dell alimentazione del bestiame non calcolandolo nè nelle entrate nè nelle spese. Si pareggia così, artificiosamente e falsamente, ciò che in realtà determina la differenza essenziale tra le grandi e le piccole aziende, differenza che non è a vantaggio di queste ultime. Se si procede in questo modo, la grande azienda appare meno redditizia perchè essa utilizza una parte notevole della sua superficie per pro- durre foraggi (pur tenendo, per unità di superficie, molto meno be- stiame della piccola), mentre a tale scopo la piccola azienda « si ac- contenta » di paglia. La « superiorità » della piccola agricoltura sta dunque nel fatto che essa tratta con metodi di rapina sia la terra (peg- gior concime) che il bestiame (peggiore alimentazione). È ovvio che un simile confronto del rendimento delle varie aziende è privo di qual- siasi valore scientifico *. Inoltre, tra le cause del maggior rendimento della terra nelle grandi aziende occorre rilevare che queste applicano più di frequente (e, sem- bra, quasi esclusivamente) la marnatura del terreno, utilizzano mag- giormente i fertilizzanti artificiali (spesa per un morgen: 0,81 - 0,38 - 0,43 marchi) e i Kraftfuttermittel ** (nelle grandi aziende 2 marchi per morgen, nulla nelle altre). « Le nostre aziende contadine — scrive Klawki, che classifica tra le grandi aziende contadine anche le medie aziende — non spendono nulla per i Kraftfuttermittel. Esse sono • Conviene notare che ad una simile errata eguaglianza di grandezze evidente- mente diseguali nella piccola e nella grande azienda non si procede soltanto in qualche monografia, ma anche nei dati generali della statistica agraria moderna. La statistica sia francese che tedesca opera col peso vivo « medio *, col prezzo « medio » di un capo di bestiame in ogni e qualsiasi azienda. La statistica tedesca determina con questo me- todo perfino il valore complessivo di tutto il bestiame dei vari gruppi di agricoltori (in base all’estensione della superficie), facendo tuttavia la riserva che l’ipotesi secondo cui ogni capo di bestiame avrebbe lo stesso valore nei vari gruppi « non corrisponde alla realtà » (p. 35). * # Mangimi concentrati (N. d. R.)/ ' 5 * LENIN molto refrattarie al progresso e rifuggono soprattutto dalle spese in de- naro contante » (p. 461). Le grandi aziende sono superiori anche per il sistema di coltivazione: si nota un migliore avvicendamento delle col- ture in tutte e quattro le grandi aziende, in tre delle medie (in una è rimasto il vecchio sistema dei tre campi) e soltanto in una delle piccole (nelle altre tre è rimasto il sistema dei tre campi). Infine i grandi agri- coltori hanno un numero molto maggiore di macchine. Lo stesso Klawki è dell’qpinione, è vero, che le macchine non abbiano un’im- portanza particolarmente grande. Noi però non ci limiteremo alla sua « opinione », ma citeremo qualche dato. Le macchine delle otto specie seguenti: trebbiatrici a vapore, trebbiatrici a cavalli, vagli meccanici, selezionatrici, seminatrici a righe, spandiletame, rastrelli a cavalli e rulli, sono ripartite tra le aziende descritte nel modo seguente: nelle quattro grandi aziende, 29 (di cui una a vapore: una trebbiatrice); nelle quattro medie, n (neanche una a vapore); nelle quattro piccole, 1 macchina (una trebbiatrice a cavalli). Nessuna « opinione » di nessun ammiratore dell’azienda contadina ci farà certo credere che le selezio- natrici, le seminatrici a righe, i rulli, ecc. non abbiano alcuna influenza sul rendimento. A proposito: abbiamo qui dei dati sul mercato delle macchine possedute da determinati agricoltori, a differenza dei dati generali della statistica tedesca che registra soltanto i casi d’impiego delle macchine, senza distinguere se appartengono o no a chi le utilizza. È evidente che una simile registrazione attenua anch’essa la prevalenza della grande azienda, mascherando le seguenti forme, de- scritte da Klawki, di «prestiti» di macchine: «Il grande proprietario presta volentieri il suo rullo, il suo rastrello a cavalli e la sua selezio- natrice a quello piccolo se quest’ultimo gli promette in cambio di dargli un mietitore nel periodo dei grandi lavori » (p. 443)* Ne risulta che un certo numero di casi — e per giunta estremamente rari, come abbiamo mostrato — di impiego di macchine nella piccola azienda rappresenta una forma diversa di acquisto di forza-lavoro. Proseguiamo. Un altro caso di falsa parificazione di grandezze ma- nifestamente disuguali è dato dal metodo di Klawki di calcolare nello stesso modo il prezzo di vendita dei prodotti in tutte le categorie di aziende. Anziché sui casi reali di vendita, l’autore fonda i suoi calcoli su un’ipotesi di cui rileva egli stesso l’inesattezza. I contadini vendono per lo più il loro grano sul posto, e nelle piccole città i commercianti riducono fortemente i prezzi. « Sotto questo rapporto i grandi fondi LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 153 sono in migliori condizioni, dato che possono spedire, in una sola volta, grandi partite al capoluogo di provincia. Ordinariamente ottengono cosi per ogni quintale 20-30 pfennig in più che non vendendo nelle piccole città » (p. 373). I grandi agricoltori sanno valutare meglio il loro grano (p. 451) e lo vendono a peso, e non a misura, come fanno i contadini a proprio svantaggio. I grandi agricoltori vendono a peso anche il bestiame, mentre i contadini ne fissano il prezzo semplice- mente in base all’apparenza. Anche per la vendita dei prodotti caseari i grandi agricoltori si trovano in condizioni migliori, giacche possono mandare il latte in città e ottenere prezzi superiori a quelli degli agri- coltori medi, che trasformano il latte in burro per venderlo ai com- mercianti. A sua volta, il burro degli agricoltori medi è migliore di quello dei piccoli (impiego di separatori, preparazione giornaliera, ecc.), ai quali viene anche pagato 5-10 pfennig di meno per libbra. I piccoli agricoltori devono vendere il bestiame ingrassato per il mercato più presto (prematuramente) degli agricoltori medi, giacche non hanno foraggio a sufficienza (p. 444). Di tutti questi vantaggi — nel loro in- sieme tutt’altro che privi d’importanza — della grande azienda come venditrice sul mercato Klawki non tiene conto nella sua monografia, allo stesso modo che i teorici ammiratori della piccola azienda trascu- rano questo fatto col pretesto che vi si può rimediare con la coopera- zione. Noi non vogliamo confondere la realtà del capitalismo con le possibilità di un paradiso cooperativo piccolo-borghese : più avanti citeremo fatti che mostreranno chi sia in realtà ad ottenere dalla coo- perazione i maggiori vantaggi. Notiamo che Klawki « non tien conto », nella piccola e nella media azienda, del lavoro degli stessi agricoltori per il drenaggio del terreno, per le riparazioni di ogni genere (« i contadini lavorano essi stessi »), ecc. Questo « vantaggio » del piccolo agricoltore il socialista lo chiama Ùberarbeit , lavoro eccessivo, soprallavoro, l’economista borghese uno dei lati vantaggiosi («per la società »!) dell’azienda contadina. No- tiamo che nelle aziende medie, a quanto rileva Klawki, gli operai salariati sono pagati e nutriti meglio che nelle grandi, ma lavorano anche più intensamente: l’« esempio » del padrone li incita a una « maggiore diligenza ed accuratezza » (p. 465). Ma quale di questi due agricoltori capitalisti, il grande proprietario fondiario 0 il « suo fratello » contadino, sprema dall’operaio più lavoro per la stessa paga Klawki non tenta di stabilirlo. Ci limiteremo perciò ad indicare che ] 54 LENIN la spesa per assicurare gli operai contro gli infortuni e per la vecchiaia è di marchi 0,29 per morgen per il grande agricoltore e di marchi 0,13 per l’agricoltore medio (il piccolo agricoltore ha anche qui un vantag- gio : non si assicura affatto, naturalmente con non poco « vantaggio della società » dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari) e a ci- tare inoltre un esempio del capitalismo agrario russo. Il lettore che co- nosce il libro di Sciakhovskoi, Le industrie agricole fuori sede y ricorda forse la seguente osservazione caratteristica: i contadini dei \hutory e i coloni tedeschi (nel sud) assumono operai « di loro scelta », li pa- gano il 15-20% in più dei grandi assuntori di mano d’opera e spre- mono loro il 50% di lavoro in più. Questo comunicava il signor Scia- khovskoi nel 1896; quest’anno, per esempio, leggiamo nella Torgovo- Promysclennaia Gazieta la seguente notizia da Kakhovka: « ...I con- tadini e i proprietari dei \hutory hanno pagato, come al solito, più caro [di quanto le grandi tenute non abbiano pagato gli operai salariati], poiché esigono operai migliori e più resistenti » (n. 109, 16 maggio 1901). Non v’è ragione di pensare che questo fenomeno sia proprio della sola Russia. Nella tabella riportata sopra il lettore ha notato due metodi di cal- colo: il primo tiene conto del valore in denaro della forza-lavoro del- l’agricoltore, il secondo ne prescinde. Il signor Bulgakov giudica il me- todo che tien conto di questo valore « difficilmente giusto ». Certo, un bilancio esatto delle spese in natura e in denaro sia degli agricoltori che dei salariati sarebbe assai più giusto, ma, siccome questi dati non ci sono, dobbiamo di necessità determinare le spese in denaro della fa- miglia in modo approssimativo. Ed è proprio estremamente interes- sante il modo in cui Klawki fa questo calcolo approssimativo. I grandi agricoltori, è ovvio, non lavorano essi stessi: hanno perfino degli am- ministratori che eseguono a pagamento tutto il lavoro di direzione e di sorveglianza (delle quattro tenute tre hanno un amministratore, una no; quest’ultima è una tenuta di 125 ettari che Klawki riterrebbe più giusto considerare un grosso fondo contadino). A ciascuno dei pro- prietari di queste due grosse tenute Klawki « accorda » 2.000 marchi l’anno « per la loro fatica » (consistente, ad esempio, per la prima, nel fatto che il proprietario una volta al mese lascia per qualche giorno la sua tenuta principale per recarsi a controllare l’amministratore). Al proprietario dei 125 ettari (il primo ne ha 513) Klawki « accorda », per il lavoro suo e dei suoi tre figli, soltanto 1.900 marchi. Non è forse LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICT DI MARX » >55 « naturale » che, avendo meno terra, debba « accontentarsi » d’un bi- lancio minore? Ai proprietari medi Klavvki accorda ormai solo 1.200- 1.716 marchi per tutto il lavoro del marito e della moglie e, in tre casi, anche dei figli. Ai piccoli proprietari accorda 800-1.000 marchi cia- scuno per il lavoro di 4-5 (sic!) persone, ossia poco più (se non meno) di quanto riceve un salariato, un Instmann , che assieme alla fami- glia guadagna complessivamente sugli 800-900 marchi. Qui si com- pie, dunque, già un altro notevole passo avanti: prima si consi- derava eguale ciò che era manifestamente diseguale, ora si afferma che il tenore di vita deve scendere passando dalla grande alla piccola azienda. Ma questo significa riconoscere pregiudizialmente il fatto che il capitalismo degrada il piccolo contadino, fatto che i calcoli sul- l’ammontare del « reddito netto » dovrebbero confutare! E se la diminuzione dell’entrata in denaro col diminuire delle di- mensioni dell’azienda è soltanto un'ipotesi dell’autore, la contrazione dei consumi è dimostrata da prove dirette. La quantità dei prodotti agricoli consumata nell’azienda è, per persona (considerando due bambini eguali ad un adulto), la seguente: 227 marchi (media di due cifre) per il grande agricoltore, 218 marchi (media di quattro cifre) per il medio, 135 (sic!) marchi (media di quattro cifre) per il piccolo. Inoltre, quanto più l’azienda è grande, tanto maggiore è la compera di derrate alimentari (p. 453). Anche lo stesso Klawki ha osservato che qui si deve porre la questione di quel \Unter\onsumtion (sottocon- sumo) che il signor Bulgakov negava e di cui egli ha qui preferito tacerei mostrandosi così un apologeta ancora più fervente di Klawki. Ma Klawki cerca di attenuare questo fatto. « Che tra i piccoli agricol- tori — egli dice — si riscontri un certo sottoconsumo non possiamo af- fermarlo, ma riteniamo che ciò sia probabile per la piccola azienda IV » (97 marchi per persona). « Sta di fatto che i piccoli contadini vivono molto parsimoniosamente [!] e vendono molte cose che, per così dire, si tolgono di bocca \sich sozusagen vom Munde absparen] * # . Si tenta • È interessante, per esempio, che Pentrata derivante dalla vendita del latte e del burro è di 7 marchi per morgen nella grande azienda, di 3 nella media, di 7 nella pic- cola. Il fatto è che nella propria azienda i piccoli contadini « consumano pochissimo burro e latte intero... mentre la piccola azienda IV [dove il consumo di derrate agri- cole prodotte dall’azienda è soltanto di 97 marchi per persona] non ne consuma af- fatto» (p. 450). Il lettore confronti questo fatto (che tutti, del resto, eccetto i « critici », conoscono già da tempo) coi grandiosi ragionamenti di Hertz (p. 113; trad. russa, p. 270). «Forse che il contadino non ottiene nulla in cambio del latte 2 Non è forse 15(3 LENIN di dimostrare che questo fatto non elimina la maggiore « produtti- vità * della piccola azienda : se si eleva il consumo a 170 marchi — somma del tutto sufficiente (per il « fratello minore », ma non per Tagncnltore capitalista, come vedremo) — , risulterà che si dovrebbe aumentare il consumo e diminuire l’entrata per la vendita di 6-7 mar- chi per morgen. Sottraendo questa somma otterremo (cfr. tabella surriportata) 29-30 marchi, cioè sempre una somma superiore a quella della grande azienda (p. 453). Se però eleveremo il consumo non a questa cifra presa a lume di naso (e per di più inferiore al livello ordinario, perchè « gli basterà »), ma a 218 marchi (cifra reale nel- l’azienda media), vedremo che l’entrata per la vendita dei prodotti discenderà nella piccola azienda a 20 marchi per morgen, contro 29 nella media e 25 nella grande azienda. E cioè: la correzione di questo solo errore (tra i molti rilevati sopra) nei confronti fatti da Klawki distrugge già qualsiasi « superiorità » del piccolo contadino. Ma nella ricerca dei vantaggi Klawki è instancabile. I piccoli contadini « uniscono l’agricoltura con le industrie » : tre piccoli con- tadini (su quattro) « vanno assiduamente a giornata, ricevendo, oltre la paga, anche il vitto » (p. 435). Ma i vantaggi della piccola agricoltura sarebbero particolarmente grandi in tempo di crisi (come ai lettori russi è noto già da tempo grazie alle innumerevoli esercitazioni po- puliste su questo tema, ricucinate ora dai signori Cerno v) : « In tempo di crisi agraria, come anche in tempi diversi, proprio la piccola azienda risulterà avere la massima saldezza, sarà in grado di smerciare una quantità di prodotti relativamente maggiore delle altre categorie di aziende grazie ad una riduzione estrema delle spese domestiche, ridu- zione che, per la verità, deve condurre ad un certo sottoconsumo» (p. 481; cfr. le ultime conclusioni di Klawki a p. 464). «Molte pic- cole aziende sono purtroppo costrette a ciò dagli elevati interessi dei loro debiti. Ma in questo modo esse ottengono — sia pure a fatica — la possibilità di resistere e di tirare avanti. Probabilmente è proprio con la grande diminuzione del consumo che soprattutto si spiega Faumento del numero delle piccole aziende contadine nelle nostre località, costatato nella statistica dell’Impero ». E Klawki cita i dati relativi al Regierungsbezir\ * di Konigsberg, dove dal 1882 al 1895 il lui che mangia il maiale ? * (ingrassato col latte). Queste espressioni devono esser sem- pre ritardate come esempio insuperato del piu volgare abbellimento della miseria. • Circoscrizione ammini st r a t i va (N. d , R.\ LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» J57 numero delle aziende con 2 ettari e meno è salito da 56.000 a 79.000, quello delle aziende con 2-5 ettari da 12.000 a 14.000, quello delle aziende con 5-20 ettari da 16.000 a 19.000. Si tratta di quella stessa Prussia orientale nella quale i signori Bulgakov vedono l’« elimi- nazione» della grande produzione da parte della piccola. E simili signori, che interpretano con tanta disinvoltura le cifre della nuda statistica delle superfici, gridano ancora reclamando « particolari » ! È del tutto naturale che Klawki ritenga che « il problema più impor- tante dell’odierna politica agraria per risolvere la questione degli operai rurali nell’Est » sia quello di « incoraggiare gli operai più attivi a stabilirsi sul posto dando loro la possibilità, se non alla prima, almeno alla seconda [sic!] generazione, di acquistare un pezzetto di terra in proprio » (p. 476). Niente di male se gli lnstmann che si comprano un pezzetto di terra coi loro risparmi « vengono a trovarsi, nella maggior parte dei casi, in una situazione peggiore dal punto di vista finanziario; questo lo sanno anche loro, ma li alletta la condizione più libera»; e compito deireconomia borghese (e al presente, a quanto pare, anche dei « critici ») è semplicemente quello di mantenere nella parte più arretrata del proletariato queste illusioni. Così lo studio di Klawki smentisce in tutti i punti il signor Bul- gakov, che ad esso si richiamava. Esso dimostra la superiorità tecnica della grande azienda nell’acrricoltura, il lavoro eccessivo e la sottoa- limentazione dei piccoli contadini, la loro trasformazione in salariati e giornalieri del grande proprietario fondiario; dimostra che esiste un nesso tra Taumento del numero delle piccole aziende contadine e il crescere della miseria e della proletarizzazione. Due conclusioni di questo studio hanno un valore di principio particolarmente notevole. In primo luogo vediamo chiaramente gli ostacoli che si frappongono airintroduzione delle macchine neiragricoltura : si tratta delPillimi- tata degradazione del piccolo agricoltore, il quale è pronto a « non tener conto » del proprio lavoro facendo sì che il lavoro manuale sia per il capitalista meno costoso di quello delle macchine. Malgrado le affermazioni del signor Bulgakov, i fatti dimostrano in pieno che in regime capitalistico esiste una completa analogia tra la situazione del piccolo contadino nelFagricoltura e quella dell’artigiano nell’in- dustria. Malgrado le affermazioni del signor Bulgakov, vediamo nel- l’agricoltura una sempre più ampia contrazione dei bisogni ed accen- tuazione dell’intensità del lavoro quale arma nella concorrenza con la LENIN « 5 » grande produzione. In secondo luogo, per quanto riguarda i confronti di ogni genere tra il rendimento delle piccole e delle grandi aziende nell’agricoltura, dobbiamo una volta per sempre dichiarare assoluta- mente inette e apologetico-volgari le conclusioni che trascurano tre circostanze: i) Come si nutre, vive e lavora V agricoltore ? 2) Come è curato e come lavora il bestiame ? 3) Come è concimata la terra , e viene sfruttata razionalmente? La piccola agricoltura resiste soltanto grazie a ogni genere di sperperi: sperpero del lavoro e delle forze vitali delPagricoltore, sperpero delle forze e delle qualità del bestiame, sper- pero delle forze produttive della terra, e perciò qualsiasi indagine che non tenga conto sotto ogni aspetto di tutte queste circostanze è sem- plicemente un’accozzaglia di sofismi borghesi *. Non c’è quindi da meravigliarsi se proprio la « teoria » del lavoro eccessivo e del sottoconsumo dei piccoli contadini nella società attuale ha suscitato attacchi particolarmente aspri da parte dei signori «critici». Già nella rivista Nacialo il signor Bulgakov « si è accinto» (n. 1, p. io) a riportare « citazioni » a iosa per dimostrare il contrario di ciò che ha affermato Kautsky. Dall’indagine della Società di politica so- ciale " Bàuerliche Zustànde (La situazione dei contadini) — ripete il signor Bulgakov — , « Kautsky, nel suo tentativo di galvanizzare il cadavere [sic!] di un dogma invecchiato, ha scelto alcuni fatti che provano l’oppressione, ben comprensibile nel momento presente, del- l’azienda contadina; ci si convinca che vi si possono trovare anche degli indici di carattere alquanto diverso » (II, p. 282). Cerchiamo * Nel suo libro Land wirtSihajliic tic Reinertrags-Bcrechnungcn bei KUtn- y Mittel- und Grossbetrieb, dargelegtan typischen Beispielen Mittelthuringens (Jena, 1902, Gustav Fischer), Leo Huschke rileva giustamente che « soltanto con un deprezzamento * della forza-lavoro del piccolo agricoltore « si può ottenere un calcolo che provi la sua superio- rità nei confronti della media e della grande azienda e la sua capacità di sostenere la concorrenza con queste ultime » (p. 126). Purtroppo Fautore non ha svolto fino in fondo il suo pensiero e perciò non ha riportato nel suo libro dati sistematici sul mantenimento del bestiame, sulla concimazione della terra, sul tenore di vita degli agricoltori nelle va- rie aziende. Speriamo di poter tornare ancora suirintercssante libro del signor Huschke. Per adesso rileviamo soltanto la sua osservazione che la piccola azienda ottiene per i. suoi prodotti prezzi inferiori a quelli della grande (pp. 146, 155) e la sua conclusione: « la piccola e la media azienda hanno cercato di superare la crisi sopraggiunta dopo il 1892 [caduta dei prezzi delle derrate agricole] riducendo al massimo le spese in de* naro, la grande azienda invece aumentando i raccolti mediante l’aumento delle spese aziendali » (p. 144). Dal 1887-1891 al 1893-1897 le spese per sementi, foraggi e con- cimi sono diminuite nella piccola e media azienda e aumentate nella grande. Nella piccola azienda ammontano a 17 marchi per ettaro, nella grande a 44 marchi. [Nota dell’autore all’edizione del 1908 (N.d.R.)]. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX ! 59 dunque di « convincerci » e di verificare le « citazioni » di questo se- vero dotto, che in parte ripete semplicemente le citazioni di Hertz (p. 77; trad. russa, p. 183). « Si segnala da Eisenach un miglioramento deirallevamento, della concimazione, deirimpiego delle macchine e, in generale, un pro- gresso della produzione agricola »... Consultiamo l’articolo su Eise- nach ( Bàuerliche Zustànde , Bd. I). La situazione dei proprietari con meno di 5 ettari (e nella zona descritta sono 887 su 1.116) è « in ge- nerale poco favorevole » (p. 66). « Nella misura in cui trovano lavoro come mietitori, giornalieri ecc. presso i grandi agricoltori, la loro situazione è relativamente favorevole » (p. 67)... In generale in questi ultimi ventanni la tecnica ha fatto dei progressi considerevoli, ma « lascia ancora molto a desiderare, soprattutto per le aziende più pic- cole^ (p. 72)... «gli agricoltori più piccoli utilizzano in parte, per il lavoro dei campi, delle vacche deboli...». Occupazioni ausiliarie: la- vori forestali, trasporto della legna; quest’ultimo «allontana dall’agri- coltura », porta a una « diminuzione del benessere » (p. 69). « Neanche i lavori forestali danno un guadagno sufficiente. In certe zone i piccoli proprietari \Grundstuc\sbesitzer\ eseguono lavori di tessitura, medio- cremente \leidlich\ pagati. In qualche caso si dedicano alla fabbri- cazione artigiana dei sigari. In generale si può costatare l’insufficienza di occupazioni ausiliarie» (p. 73). E l’autore, YÓeì{onomie-Comniissar Dittenberger, termina notando che i contadini, pur conducendo una « vita semplice » e avendo « bisogni modesti », sono forti e in buona salute, ciò che è « perfino stupefacente, dato il nutrimento poco sostan- zioso della classe più povera, per la quale la patata è la componente principale dell’alimentazione » (p. 74)... Ecco come i « dotti » Voroscilov confutano P« antiquato pregiu- dizio marxista secondo cui l’azienda contadina sarebbe incapace di progressi tecnici »! « ... A proposito del regno di Sassonia, il segretario generale Lan- gedorf dice che in interi distretti, soprattutto nelle località più fertili, non vi è quasi più nessuna differenza tra i grandi e i piccoli fondi per quanto riguarda l’intensità della cultura ». Così confuta Kautsky il Vo- roscilov austriaco (Hertz, p. 77; trad. russa, pp. 182-183) e dopo di lui il Voroscilov russo (Bulgakov, II, p. 282; richiamo ai Bàuerh Zust II, p. 222). Apriamo a p. 222 la fonte citata dai critici e leggiamo, subito dopo le parole riportate da Hertz: « Una tale differenza è più sensibile i6o LENIN nelle località montagnose, dove i fondi maggiori operano di regola con un capitale circolante relativamente più grande; spesso neanche qui, tuttavia, l’azienda contadina è inferiore ad essi per quanto riguarda lo ammontare del reddito netto, giacche l’entrata meno elevata è compen- sata dalla maggior parsimonia, che, dato il bassissimo livello dei biso- gni \bei der vorhandenen grossen Bedurfnislosigkeit\ riduce spesso il contadino' agricoltore a vivere peggio delloperaio industriale, il quale ha maggiori esigenze » ( Bàuerliche Zustànde , II, p. 222). E più avanti si dice che il sistema aziendale più diffuso è l’avvicendamento delle colture, che predomina già tra gli agricoltori medi, mentre « il sistema dei tre campi s’incontra ancora quasi esclusivamente tra i piccoli pro- prietari di fondi contadini ». Anche per Pallevamento si costata ovun- que un progresso. « Il contadino è in generale in ritardo rispetto al grande proprietario fondiario soltanto per quanto riguarda Palleva- mento del bestiame bovino e Putilizzazione dei prodotti caseari » (p- 223). « Il professor Ranke — prosegue il signor Bulgakov — costata un progresso tecnico nellazienda contadina nei dintorni di Monaco, tipici, secondo lui, per tutta l’Alta Baviera ». Consultiamo l’articolo di Ranke: tre comunità di Grossbauern gestiscono l’azienda im- piegando operai salariati; 69 contadini su 119 possiedono più di 20 ettari ciascuno e detengono i tre quarti di tutta la terra; 38 di questi « contadini » possiedono più di 40 ettari ciascuno, in media 59 ettari a testa, possedendo complessivamente circa il 60% di tutta la terra... Questo dovrebbe bastare per determinare il carattere delle « cita- zioni » dei signor Bulgakov e Hertz. VII L'inchiesta badense sull 9 azienda contadina « Per mancanza di spazio — scrive Hertz — non possiamo ripor- tare le conclusioni particolareggiate ed interessanti dell’inchiesta ba dense su 37 comunità. Esse sono in gran parte analoghe a quelle ripor- tate sopra: accanto a quelle favorevoli sono quelle sfavorevoli e quelle che non sono nè l’uno nè l’altro, ma in nessun posto, in tutti e tre i vo- LA QUESTIONE AGRARIA E 1 « CRITICI DI MARX » 161 lumi dell inchiesta, i bilanci particolareggiati delle spese permettono di concludere per la ” sottoalimentazione” [Unterl^onsumtion], la ” miseria lurida e umiliante ”», ecc. (p. 79; trad. russa, p. 188). Le pa- role di Hertz da noi sottolineate sono, come sempre, un'aperta menzo- gna : è stata precisamente l’inchiesta badense, alla quale egli si ri- chiama, a dimostrare nel modo più documentato il « sottoconsumo » appunto dei piccoli contadini . Il travisamento dei fatti operato da ‘Hertz è qui strettamente collegato con il metodo coltivato in special modo dai populisti russi e al quale si sono ora appigliati i « critici » di ogni genere nella questione agraria : il metodo dei giudizi d’insieme sulla « popolazione contadina ». E poiché in Occidente il concetto di « popolazione contadina » è ancora più indeterminato che da noi (manca un rigido criterio distintivo di ceto), e poiché i giudizi e le conclusioni « medie » dissimulano il « benessere » relativo (o almeno il non affamamento) di una minoranza e rimmiserimento della mag- gioranza, qui il campo d’azione per ogni sorta di apologeti risulta illimitato. Ora l’inchiesta badense permette appunto di distinguere i singoli gruppi di contadini, cosa che Hertz, nella sua qualità di fau- tore dei « particolari », ha preferito non notare. In 37 comunità tipiche si sono scelte aziende tipiche dei contadini ricchi ( Grossbauern ), medi e piccoli, come pure dei giornalieri, in tutto 70 aziende contadine (31 grandi, 21 medie, e 18 piccole) e 17 aziende di giornalieri, e si è fatto uno studio particolareggiatissimo dei loro bilanci. Non abbiamo potuto rielaborare tutti questi dati, ma i risultati principali che ripro- duciamo sono più che sufficienti per ottenere delle conclusioni molto precise. Riporteremo dapprima i dati relativi al tipo economico generale delle grandi (a), medie (b), piccole (c) aziende contadine (dalla An- lage VI: Vbersichtliche Darstellung der Ergebnisse der in den Erhe- bungsgemeinden angestellten Ertragsberechnungen\ abbiamo inoltre raccolto separatamente i dati di questa tabella riguardanti i Gross- bauern, Mittelbauern e Kleinbanern). Le dimensioni medie del pos- sesso fondiario — 33,34 ettari per il gruppo (a), 13,5 ettari per il gruppo (b) e 6,69 ettari per il gruppo (c) — sono relativamente elevate per un paese di piccola proprietà come il Baden, ma se si escludono io aziende nelle comunità nn. 20, 22 e 30 che si distinguono per le dimensioni ecce- zionalmente grandi del possesso fondiario (fino a 43 ettari per il Klein- -754 1Ó2 LENIN bauer e fino a 170 per il Grossbautr!), otteniamo cifre più normali per il Badenr a) 17,8 ettari, b) io ettari e c) 4^15 ettari. Composizione della famiglia: a) 6,4 persone, b) 5^ c c) 5^ (questi dati, come pure tutti i seguenti, si riferiscono, salvo indicazioni contrarie, a tutte le 70 aziende). Per conseguenza i contadini ricchi hanno famiglie notevole mente più numerose, ma, ciò nonostante, il lavoro salariato ha tra di essi un’importanza incomparabilmente maggiore. In generale al la- voro salariato ricorrono 54 contadini su 70, cioè più dei tre quarti' del loro numero complessivo, e precisamente 29 contadini ricchi (su y), 15 medi (su 21) e ro piccoli (su 18). In tal modo il 93% dei con- tadini ricchi c il 55% dei piccoli non possono fare a meno di mano d’opera salariata. Queste cifre sono molto istruttive per la verifica dell’opinione corrente (e accettata senza critica dai « critici circa l’importanza insignificante del lavoro salariato neirodiema azienda contadina. Tra i contadini ricchi (il cui possesso fondiario di 18 et- tari rientra nella rubrica 5-20 ettari, che in tutte le descrizioni gene- rali viene considerata come corrispondente all’azienda contadina pro- priamente detta) vediamo aziende nettamente capitalistiche : 24 azien- de con 71 salariati fissi, quasi tre per azienda, e 27 agricoltori che impiegano giornalieri per un totale di 4.347 giornate (161 giornate la- vorative ciascuno). Mettete dunque a confronto con questi dati le di- mensioni del possesso fondiario di quei contadini ricchi dei dintorni di Monaco il cui « progresso » è servito al valente signor Bulgakov per confutare il « pregiudizio marxista > dell oppressione dei contadini ad opera del capitalismo! Per i contadini medi abbiamo: per 8 di essi, 12 salariati fissi; per 14, 956 giornate lavorative di giornalieri; per i piccoli contadini: per 2 di essi, 2 salariati, per 9, 543 giornate lavorative di giornalieri. La metà dei piccoli contadini non può fare a meno di mano d’opera salariata per la durata di due mesi (343 : 9 = 60), cioè nel periodo più impor- tante per l’agricoltore (e questi piccoli contadini, malgrado le maggiori dimensioni del possesso fondiario, hanno una produzione incompara- bilmente minore di quegli agricoltori di Friedrichsthal di cui i si- gnori Cernov, David e Hertz sono tanto entusiasti). 1 risultati d’esercizio sono i seguenti: 31 contadini ricchi hanno 21.329 marchi di reddito netto e 2.1 13 marchi di deficit, cioè comples- sivamente 19.216 marchi di utile, ossia 619,9 marchi per azienda (e trascurando cinque aziende delle comunità nn. 20, 22 e 30, 523,5 mar- LA QUESTIONE AGRARIA E 1 «CRITICI DI MARX» 163 chi); per l’azienda media la somma corrispondente sarà di 243,3 marchi (272,2 trascurando le tre comunità), per la piccola azienda di 35,3 mar- chi (37,1 trascurando le tre comunità). Per conseguenza il piccolo con- tadino riesce, letteralmente, a sbarcare il lunario a malapena , e vi riesce soltanto riducendo il proprio consumo. L’inchiesta ( Ergebnisse ecc., nel voi. IV delle Erhebungen , p. 138) contiene dati sulla quantità dei più importanti prodotti consumati in ogni singola azienda. Ri- produciamo questi dati, calcolando le medie per ciascuno dei gruppi di contadini sopra indicati: Categorìa di (ODtidÌDÌ Consumo giornaliero (per persona) Speaa (per persona) pane e frutta (libbre) patate (libbre) carne (grammi) latte (litri) coloniali riacald. illumioaz. ecc. (al giorno) (pfennig) ventiti all'anno (marchi) contadini ricchi 1,84 1,82 13B 1,05 72 66 contadini medi . 1,59 1.90 III 0,95 62 47 piccoli contadini 1.49 1.94 72 111 57 38 giornalieri .... 1,69 2,14 56 0,85 51 32 Ecco in che genere di dati il valente Hertz « non ha notato » nè sottoconsumo nè miseria! Vediamo che il piccolo contadino riduce considerevolmente, rispetto al contadino medio e ricco, il proprio consumo, e non si nutre e si veste molto meglio del giornaliero. Di carne, per esempio, ne mangia un terzo di meno del contadino medio e quasi la metà del contadino ricco. Questi dati confermano ancora una volta quanto siano privi di valore gli apprezzamenti d’in- sieme e quanto siano falsi tutti i calcoli del rendimento che trascurano le differenze nel tenore di vita. Se, per esempio, prenderemo soltanto le due ultime colonne della nostra tabella (per non perderci in calcoli complicati per esprimere in denaro i prodotti alimentari), vedremo che il « reddito netto » non solo del piccolo contadino, ma perfino di quello medio, è una purissima finzione , di cui soltanto dri purissimi borghesi dello stampo di Hecht e Klawki, oppure dei purissimi Voro- scilov dello stampo dei nostri « critici », possono occuparsi. Difatti, am- mettendo che il piccolo contadino spenda in prodotti alimentari quanto i* LENIN T64 il medio, la sua spesa totale aumenterà di un centinaio dì marchi e si avrà un deficit enorme. Se il contadino medio spendesse quanto quello ricco, la sua spesa aumenterebbe di 220 marchi, e se egli non si « con- tenesse » per quel che riguarda il cibo, avrebbe egualmente un deficit *. Questo peggioramento del consumo da parte del piccolo contadino, indissolubilmente legato, come ognuno comprende, al peggioramento dell’alimentazione del bestiame e a una reintegrazione insufficiente (e qualche volta ad un vero e proprio sperpero) delle forze produttive della terra, non conferma forse completamente le parole di Marx a proposito delle quali gli odierni « critici » alzano così orgogliosamente le spalle? «Una illimitata dispersione dei mezzi di produzione e l’iso- lamento dei produttori stessi. Enorme sperpero di energia umana. Progressivo peggioramento delle condizioni di produzione e rincaro dei prezzi dei mezzi di produzione sono una legge necessaria della proprietà parcellare » ( Das Kapital, III, 2, p. 342) ", A proposito di quest’inchiesta del Baden noteremo ancora un altro travisamento del signor Bulgakov (i « critici » si completano a vi- cenda, e se l’uno deforma, in una determinata fonte, un aspetto della della questione, l’altro ne deforma un altro). Il signor Bulgakov cita ripetutamente l’inchiesta del Baden; dovrebbe dunque conoscerla. Tut- tavia si permette di scrivere quanto segue : « L’indebitamento eccezio- nale e apparentemente fatale del contadino — così suona il preludio, li, p. 271 — è diventato uno dei dogmi più imperiosi della mitologia sorta nella letteratura concernente l’azienda contadina». «...Nelle in- dagini di cui disponiamo si rileva un elevato indebitamento solo per •Il signor Ccrnov «obietta»: ma forse che il contadino ricco non limita ancora di più il cibo e le altre spese del suo giornaliero? ( Russiate Bogatstvo , 1900, n. 8, p. 212). Questa obiezione riprende il vecchio metodo krivenkiano-vorontsoviano, se cosi si può dire, consistente nell 1 attribuire surrettiziamente al marxista l’argomentazione liberal-borghese. L’obiezione avrebbe valore contro chi affermasse che la grande pro- duzione è superiore non solo tecnicamente, ma anche perchè migliora (o, per lo meno, rende buona in generale) la situazione del lavoratore. I marxisti non affermano que- sto. £ssi smascherano soltanto i metodi falsi di abbellire la situazione del piccolo agri- coltore o per mezzo di valutazioni d’insieme sulla prosperità (come fa il signor Cernov a proposito di Hccht), oppure calcolando il « rendimento » senza parlare della limita- zione del consumo. La borghesia non può non tendere a questo abbellimento, ad ap- poggiare illusioni sulla possibilità per l’operaio di diventare a proprietario » e per il piccolo « proprietario * di ottenere un alto rendimento. Compito dei socialisti è quello di smascherare questa menzogna e di spiegare ai piccoli contadini che anche per loro non vi è altra salvezza aU’infuori della loro unione con il movimento rivoluzionario del proletariato. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 1&5 il possesso piccolissimo, non ancora consolidato \Tagelóhner stelle n *J. Così Timpressione generale prodotta dai dati dell’ampia inchiesta del Baden [in nota si rimanda all’inchiesta] viene espressa da Sprenger nel modo seguente: ” in molte delle località studiate solo l’indebi- tamento dei giornalieri e dei piccoli contadini proprietari è relativa- mente elevato; anche qui, però, nella maggior parte dei casi esso non raggiunge dimensioni allarmanti...”» (p. 272). Strana cosa! Da una parte si rinvia all'inchiesta stessa, dall'altra si cita soltanto l’« impres- sione generale » di un certo Sprenger che ha scritto a proposito dell’in- chiesta! E, neanche a farlo apposta, Sprenger dice una cosa non vera (per lo meno nel brano citato dal signor Bulgakov, giacche noi non co- nosciamo il libro di Sprenger). Gli autori deirinchiesta affermano che nella maggior parte dei casi è proprio Tindebitamento del possesso fondiario dei piccoli contadini a raggiungere dimensioni allarmanti. Questo in primo luogo. In secondo luogo essi affermano che, dal punto di vista deirindebitamento, la situazione dei piccoli contadini è peg- giore non solo di quella dei contadini medi e ricchi (cosa notata da Sprenger), ma anche di quella dei giornalieri. In generale bisogna notare che gli autori dell’inchiesta badense stabiliscono il fatto straordinariamente importante che nelle grandi aziende il limite dell' indebitamento ammissibile (ossia ammissibile senza pericolo di rovina) è più elevato che nelle piccole . Dopo i dati statistici da noi riportati più sopra sui risultati di esercizio ottenuti dai contadini ricchi, medi e piccoli, questo fatto non richiede speciali spiegazioni. Per quanto riguarda la grande azienda, come pure la media, gli autori dell’inchiesta ritengono ammissibile e non pericoloso ( unbedenhjich ) un indebitamento del 40-70% del valore della terra, ossia, in media, del 55%. Per quanto riguarda la piccola azienda (di cui fissano le dimensioni in 4-7 ettari per la coltura dei cereali e in 2-4 ettari per la viticoltura e le colture industriali) essi ritengono che «il limite deH’indebitamento... non deve superare il 30% del valore del fondo, se si suppongono interamente assicurati il regolare paga- mento degli interessi e l’estinzione del debito » (voi. IV, p. 66). Nelle comunità studiate (eccetto quelle in cui è in vigore V Anerbenrecht **, per esempio Unadingen e Neukirch) l’indebitamento percentuale (in rapporto al valore tassabile del fondo) diminuisce regolarmente pas- * Piccoli appezzamenti dei giornalieri (A\ d. R .). ** Diritto ereditario ( N . d. R.). rò6 LENfN sando dalle piccole aziende alle grandi. Nella comunità di Dittwar, per esempio, nelle aziende con % di ettaro e meno Tindebitamento è del 180,65 %; con 1-2 ettari del 73,07 %; con 2-5 ettari del 45,73 %; con 5-10 ettari del 25,34%; con 10-20 ettari del 3,02% (ivi, pp. 89-90). Ma le sole cifre suirentità deirindebitamento non dicono ancora tutto, e gli autori deirinchiesta giungono alla seguente conclusione: « I precedenti dati numerici confermano cosi Popinione molto dif- fusa secondo cui i proprietari di fondi contadini che sono al limite (in mezzo) tra i giornalieri e i contadini medi (nelle campagne sono ordinariamente chiamati « ceto medio », Mittelstand) si trovano spesso in una situazione peggiore dei gruppi superiori e inferiori [sic!] dal punto di vista delle dimensioni della proprietà, in quanto, pur essendo in grado di far fronte a un debito moderato > se contenuto in deter- minati limiti non molto elevati, riescono solo a fatica a far fronte ai loro impegni, data l’impossibilità di avere un’occupazione collaterale regolare (lavoro a giornata, ecc.) e di aumentare cosi le loro entrate »... I giornalieri, « nella misura in cui hanno un’occupazione collaterale più o meno regolare, vengono a trovarsi spesso in una situazione so- stanzialmente migliore degli appartenenti al ” ceto medio ”, giacche, come ha dimostrato il calcolo in moltissimi casi, le occupazioni colla- terali danno spesso entrate nette (cioè in denaro) così alte da per- mettere di estinguere debiti anche elevati » ( 1 . c. 7 p. 67) *. E per con- cludere gli autori ripetono ancora una volta che Tindebitamento delle piccole aziende contadine, in rapporto al limite ammissibile di inde- bitamento, « non è, in parte, senza pericolo », e che, perciò, « una cautela economica particolarmente grande nell’acquisto di terre... de- vono averla prima di tutto proprio la piccola popolazione contadina e quella, ad essa vicina, dei giornalieri » (p. 98). Eccolo il consulente borghese del piccolo contadino! Da una parte, alimenta nei proletari e semiproletari la speranza di acquistare, « se non alla prima, almeno alla seconda generazione », un pezzetto di terra e di ottenere, a forza di lavoro e di moderazione, un’altissima percentuale di «rendimento netto»; dall’altra, raccomanda proprio ai contadini poveri una « cautela particolarmente grande » nelFacquisto • Il piccolo contadino — dicono giustamente gli autori deirinchiesta — vende rela- tivamente poco in contanti, mentre il suo bisogno di denaro è relativamente grande, e La mancanza di capitale gli diviene particolarmente sensibile ogm qual volta cè un 'epi- demia del bestiame, una grandinata, ecc. LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX » 167 di terre se non hanno un’« occupazione regolare », cioè se i signori capitalisti non hanno bisogno di operai fissi. E si trovano dei babbei « critici » che prendono questa menzogna interessata e queste insul- saggini trite e ritrite per l’ultima parola della scienza ultrarecente! I dati particolareggiati, che abbiamo riportato, sui contadini ricchi, medi e piccoli avrebbero potuto, evidentemente, far comprendere in che cosa precisamente consista l’essenza della categoria « piccola bor- ghesia » nella sua applicazione ai contadini perfino al signor V. Cer- nov, al quale ispira tanto orrore. L’evoluzione capitalistica ha già talmente ridotto le distanze nella struttura economica generale , non soltanto fra i vari paesi dell’Europa occidentale, ma anche fra la Russia e l’Occidente, che i tratti fondamentali dell’economia dell’a- zienda contadina appaiono gli stessi in Germania e in Russia. Solo che.il processo di disgregazione della popolazione contadina partico- lareggiatamente dimostrato dalla letteratura marxista russa si trova in Russia in una fase di sviluppo iniziale; qui esso non ha ancora assunto forme più o meno definitive, non ha ancora prodotto, per esempio, un tipo particolare, e subito visibile e chiaro per tutti, di contadini ricchi ( Grossbauern ), e l’espropriazione in massa e l’estinguersi di una grandissima parte dei contadini occultano ancora troppo i «primi passi » della borghesia contadina. In Occidente questo processo, ini- ziatosi ancora prima dell’abolizione della servitù della gleba (cfr. Kautsky, Agrarfrage y p. 27), ha portato già da tempo, da una parte, alla soppressione delle barriere di ceto tra l’azienda contadina e l’a- zienda dei « proprietari privati » (come intesa da noi) e, dall’altra, al costituirsi di una classe già sufficientemente caratterizzata di operai salariati agricoli *. Ma sarebbe un grave errore credere che questo processo — una volta che siano state create forme più o meno deter- minate di nuovi tipi di popolazione rurale — si sia arrestato. Al con- trario, esso va avanti senza interruzione, va avanti, si capisce, ora più, ora meno rapidamente, in dipendenza di un gran numero di circo- stanze di vario genere, assumendo le forme più diverse, secondo la diversità delle condizioni agronomiche, ecc. La proletarizzazione dei * « I contadini — scrive il signor Bulgakov a proposito della Francia del se- colo XIX — si sono divisi in due parti già nettamente distinte tra di loro: il proleta- riato e ì piccoli proprietari » (II, p. 176). L’autore ha torto, però, di immaginare che la «divisione» sia finita: è un processo che prosegue senza interruzione. [68 LENIN contadini prosegue: lo mostreremo più avanti coi dati d’insieme della statistica tedesca, ma si vede chiaramente anche dai dati surriportati sui piccoli contadini. Già il solo fatto del crescente esodo non solo di operai rurali, ma anche di contadini dalle campagne verso le città è una testimonianza evidente dello sviluppo della proletarizzazione. Ma la fuga del contadino in città è inevitabilmente preceduta dalla sua rovina. E la rovina è preceduta da una lotta accanita del contadino per la propria indipendenza economica. Ed è appunto questa lotta che mettono in rilievo i dati relativi all’impiego del lavoro salariato, all’en- tità delle « entrate nette », al livello dei consumi fra i diversi tipi di contadini. Il principale mezzo di lotta è la « ferrea diligenza » e la par- simonia, la parsimonia secondo il motto « non si guarda a ciò che entra in bocca, ma a ciò che entra in tasca ». Risultato inevitabile della lotta: il sorgere di una minoranza di agricoltori agiati, benestanti (e nella maggior parte dei casi di una minoranza insignificante, e questo precisamente in tutti i casi in cui non vi sono condizioni particolar- mente favorevoli, come la vicinanza della capitale, la costruzione di una ferrovia, la scoperta di una qualche nuova lucrosa branca dell’agri- coltura mercantile, ecc.) e Timpoverimento sempre cres’cente della maggioranza, che distrugge, con una fame cronica e un lavoro ecces- sivo, le forze del lavoratore e peggiora la qualità della terra e del be- stiame. Risultato inevitabile della lotta è il costituirsi di una minoranza di aziende capitalistiche basate sul lavoro salariato e la necessità cre- scente per la maggioranza di cercarsi « occupazioni collaterali », cioè di trasformarsi in operai salariati industriali e agricoli. I dati relativi al lavoro salariato mostrano nel modo più evidente la tendenza im- manente, interiore e inevitabile, nel regime sociale attuale, di ogni piccolo produttore a trasformarsi in piccolo capitalista. Comprendiamo perfettamente la ragione per cui gli economisti borghesi, da una parte, e gli opportunisti di ogni genere, dall’altra, eludono, e non possono non eludere, questo aspetto della questione. La disgregazione della popolazione contadina ci mostra le più pro- fonde contraddizioni del capitalismo nel processo stesso del loro sor- gere e del loro sviluppo successivo; una valutazione completa di queste contraddizioni porta necessariamente a riconoscere che la situazione dei piccoli contadini è senza via d’uscita e senza speranza (senza spe- ranza al di fuori della lotta rivoluzionaria del proletariato contro l’in- tero regime capitalistico). Niente di strano che si taccia proprio su LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 169 queste contraddizioni, le più profonde e le meno sviluppate: si tenta di eludere il fatto del lavoro estenuante e del consumo insuffi- ciente dei piccoli contadini, che soltanto i disonesti o gli ignoranti possono negare; si lascia nellombra la questione degli operai salariati presso la borghesia contadina, del lavoro salariato dei contadini pò- veri. Il signor Bulgakov, per esempio, il quale ci presenta addirittura un « esperimento di teoria dello sviluppo agrario », ha eluso con un silenzio eloquente* le ultime due questioni! «Si può considerare azienda contadina — egli dice — l’azienda che se la cava compieta- mente o prevalentemente col lavoro della stessa famiglia contadina; è raro che un’azienda contadina possa fare a meno del lavoro altrui — aiuto del vicino o lavoro salariato per brevi periodi — , ma questo non ne cambia [ma si capisce!] la fisionomia economica» (I, p. 141). Quanto a Hertz, egli è un po’ più ingenuo e fin dalPinizio del suo li- bro fa la seguente riserva: «Per piccola azienda o azienda contadina intenderò sempre, nel corso dellesposizione, un’azienda in cui lavo- rano soltanto il proprietario, la sua famiglia e non più di 1 o 2 operai » * Oppure con non meno eloquenti sotterfugi, come il seguente: « ... i numerosi casi di unione dell’industria con l’agricoltura, quando gli operai salariati posseggono un pezzetto di terra...», non rappresentano «nulla di più di un particolare [!?] nel siste- ma delTeconomia nazionale; per il momento non vi è nessun fondamento [??] per scorgervi una nuova manifestazione deH’industrializzazione dell’agricoltura, o la fine dello sviluppo indipendente di quest’ultima : questo fenomeno ha proporzioni troppo insignificanti (in Germania, per esempio, gli industriali posseggono complessivamente il 4,09 della superficie agricola)» («V!, II, pp. 254-255), In primo luogo, il fatto che centinaia di migliaia di operai posseggono una quota di terra insignificante non sta ad indicare che questo «fenomeno ha proporzioni insignificanti», ma rimmiserimcnto e la proletarizzazione del piccolo agricoltore ad opera del capitalismo. Infatti tutti gli agricoltori che hanno meno di 2 ettari di terra (quantunque il loro numero sia enor- me: 3.200 000 su 5.500.000, cioè il 58,2 %, quasi tre quinti del totale) posseggono « complessivamente » il 5,6 % della superficie agricola! Ne concluderà, l’arguto signor Bulgakov, che tutto il «fenomeno» della piccola proprietà terriera e della piccola agri- coltura è in genere un «particolare» ed «ha proporzioni troppo insignificanti»? Su 5. 500.000 di agricoltori tedeschi 791,000, cioè il 14,4 %, sono operai salariati dell’indu- stria e, fra questi ultimi, coloro che possiedono meno di due ettari, e precisamente 743.000, costituiscono la stragrande maggioranza, ossia il 22,9 % di tutti gli agricoltori con meno di due ettari. In secondo luogo, il signor Bulgakov, secondo il suo solito, ha nuovamente travisato la statistica da lui citata. Per inavvertenza ha preso dalla pagina dell’inchiesta tedesca da lui citata (1 Statisti % des Deutschen Rcichs , v. 112, p. 49) la cifra dell'estensione dei terreni degli agricoltori-industriali indipendenti . Quanto agli agricoltori-industriali non indipendenti (cioè gli operai salariati industriali), essi hanno complessivamente 1*1,84% della superficie agraria. 791.000 operai salariai posseggono 1*1,84 % della superficie, e 25,000 grandi proprietari fondiari ne posseggono il 24 %. « Particolare » effettivamente insignificante, non è vero? 1 7 0 LENIN (p. 6; trad. russa, p. 29). Quando si tratta dell’ingaggio di un lavora- tore, i nostri Kleinburger dimenticano subito quelle « particolarità » intorno alle quali, a proposito e a sproposito, fanno ordinariamente tanto chiasso. NelPagricoltura 1 o 2 operai — anche se lavorassero soltanto d’estate — non sono affatto pochi. L’essenziale però non è che siano pochi o molti, ma che all’ingaggio di operai ricorrano preci- samente gli agricoltori più agiati, più ricchi, i cui « progressi » e la cui « prosperità » i paladini della piccola borghesia amano spacciare come prosperità della massa della popolazione. E per dare, un fondamento plausibile a questo falso, questi paladini dichiarano maestosamente: «Il contadino è un lavoratore precisamente come il proletario» (Bui- gakov, II, p. 288). E l’autore esprime la propria soddisfazione per il fatto che « i partiti operai perdono sempre più il carattere anticonta- dino che nel passato era loro proprio [che nel passato era loro pro- prio!] » (p. 289). Perchè, vedete, la concezione « passata » « perdeva di vista il fatto che la proprietà contadina non è un mezzo di sfrutta- mento, ma una condizione per l’impiego del lavoro». Ecco come si scrive la storia! Non possiamo davvero trattenerci dal dire: travisate, signori, ma abbiate il senso della misura! Questo stesso signor Bulga- kov, infatti, ha scritto un’« indagine » di 800 pagine in due volumi, zeppa di « citazioni » (di cui abbiamo mostrato più di una volta l’e- sattezza) da ogni genere di inchieste, descrizioni, monografie, ecc., ma non ha tentato neppure una volta, letteralmente neppure una volta , di esaminare almeno quale rapporto esista tra i contadini la cui proprietà è un mezzo di sfruttamento e i contadini la cui proprietà è « sempli- cemente » una condizione per l’impiego del lavoro. Neppure una volta ha riportato dati sistematici (e ne esistono, come abbiamo visto, anche nelle fonti da lui stesso citate) relativi al tipo di azienda, al tenore di vita, ecc. dei contadini che ingaggiano operai, dei contadini che non ne ingaggiano e che non si ingaggiano come tali, dei contadini che vengono ingaggiati come operai. E non basta. Abbiamo visto come egli, per confermare « il progresso dell’azienda contadina » (dell’a- zienda contadina in generale !), si sia richiamato a fatti che si riferi- scono ai Grossbauern , a dati che costatano il progresso degli uni e la rovina, la proletarizzazione degli altri. Nella formazione di « forti aziende contadine » egli vede perfino un « risanamento [sic!] sociale » in generale (II, p. 138; cfr. la conclusione generale a p. 456), come se forte azienda contadina non fosse sinonimo di azienda contadina bor- LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» ' 7 ' ghese, imprenditrice! 11 suo unico tentativo di districarsi da questo groviglio di contraddizioni è il seguente ragionamento, ancor più in- garbugliato: «Naturalmente i contadini non costituiscono una massa omogenea; questo è stato rilevato sopra [forse nel ragionamento a pro- posito di quel particolare insignificante che è il lavoro salariato indu- striale degli agricoltori?]; qui si svolge una lotta costante tra le ten- denze alla differenziazione e le tendenze al livellamento; ma queste differenze e lo stesso antagonismo di singoli interessi sono forse mag- giori di quelli esistenti fra i vari strati della classe operaia, fra gli operai urbani e quelli rurali, fra il lavoro qualificato e quello non qua- lificato, fra i membri delle trade-unions e i non appartenenti all’or- ganizzazione sindacale? Soltanto l’assoluta ignoranza di queste diffe- renze in seno al ceto operaio (differenze che inducono alcuni studiosi a distinguere un quinto stato dal quarto stato) ha permesso di opporre una classe operaia pseudomogenea all’eterogenea popolazione contadi- na » (p. 288). Che ammirevole profondità di analisi! Confondere le dif- ferenze di mestiere con le differenze fra le classi, le differenze delle condizioni di vita con quelle inerenti alla situazione delle classi nel re- gime della produzione sociale nel suo complesso: come tutto ciò illu- stra all’evidenza la completa mancanza di principi scientifici della « critica » * alla moda e la sua tendenza pratica a cancellare lo stesso concetto di « classe », a sopprimere l’idea stessa di lotta di classe! L’ope- raio rurale guadagna 50 copechi al giorno; il contadino intraprendente che impiega giornalieri, un rublo; l’operaio industriale della capitale, 2 rubli; il piccolo padrone di un laboratorio di provincia, un rublo e mezzo. Qualunque operaio, per poco cosciente che sia, comprenderà chiaramente, senza la minima difficoltà, a quale classe appartengono i * Ricordiamo clic il riferimento zìi immaginaria omogeneità della classe operata è l'argomento corrente di E. Bernstcin e di tutti i suoi fautori. Per quanto riguarda la « differenziazione », il signor Struve, nelle sue Note critiche , ha già fatto questo pro- fondo ragionamento: vi è differenziazione, ma vi è anche livellamento; per lo studioso obiettivo si tratta di processi della stessa importanza (come per lo storico obiettivo di Stcedrin era indifferente che Iziaslav avesse battuto Iaroslav o viceversa) 3 *. Vi e uno sviluppo dell’economia monetaria, ma vi sono anche ritorni aH’economia naturale. Vi è un progresso della grande produzione di fabbrica, ma progredisce anche il lavoro a domicilio capitalistico (Bulgakov, II, p. 88: « La Hausuidusiric... non pensa ancora a scomparire in Germania»). Il dotto «obicttivo» deve raccogliere accuratamente i fatti, osservarne l'uno e l'« altro aspetto », « passare (come il Wagner di Goethe) da un libro all’altro^ da un foglio all’altro », Senza tendere affatto a formarsi delle opi- nioni coerenti, ad elaborare una rappresentazione generale dell’intero processo nel suo insieme. LENIN rappresentanti di questi diversi « strati » e in quale direzione deve svolgersi la loro attività sociale. Ma per un rappresentante della scienza universitaria o per un odierno « critico » questa è una sapienza che non si riesce in nessun modo ad assimilare. Vili / dati generali della statistica agraria tedesca, per gli anni 1882 e 1895. La questione delle medie aziende Dopo aver esaminato i dati particolareggiati relativi all’azienda contadina — particolarmente importanti per noi, giacche proprio nel- l’azienda contadina si trova il centro di gravità della moderna que- stione agraria — passeremo ora ai dati generali della statistica agraria tedesca e verificheremo le conclusioni che ne hanno tratto i «critici»- Ecco in breve i principali risultati del censimenti degli anni 1882 e 1895: Gruppi di aziende Numero delle aziende (migliaia) Superficie agraria (in migl. di eli.) Cifre relative Diminuzione e aumento (cifre aaaol.) aziende superficie 1802 1695 1882 1895 1882 1895 1882 1895 azien- de super- ficie fino a 2 ettari 3.062 3.236 1.826 1.800 58,0 58,2 5,7 5,6 + 174 — 18 2 - 5 » 981 1.016 3.190 3.286 18,6 18,3 10,0 10,1 + 35 -h 96 5-20 » 927 999 9.158 9.722 17,6 18,0 28,7 29,9 + 72 + 564 20 - 100 » 201 282 9. 908 9.870 5.3 5,1 31,1 30,3 + 1 — 38 100 e piìi » 25 25 7.787 7.832 0,5 0,4 1 24,5 24,1 0 +- 45 In complesso 5.276 5.558 31.869 32.516 100 100 100 100 + 282 -1-649 In rapporto con questo quadro dei cambiamenti avvenuti, che mar- xisti e « critici » interpretano in modo diverso, si devono esaminare tre circostanze: l’aumento del numero delle aziende più piccole, l’aumento dei latifondi, cioè delle aziende di 1.000 e più ettari, che nella nostra tabella sono comprese nelle aziende di più di 100 ettari, e, infine, il fatto, che ha suscitato più discussioni e che più di tutti salta agli occhi, dell’aumento delle aziende contadine medie (5-20 ettari). T.A QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » m L’aumento del numero delle aziende più piccole indica un enorme aumento della povertà e della proletarizzazione, giacché la schiac- ciante maggioranza dei proprietari con meno di 2 ettari non può vivere della sola agricoltura e vive di occupazioni ausiliarie, cioè di lavoro salariato. Certo, vi sono eccezioni; nei casi di colture speciali — viti- coltura, azienda orticola, coltura di piante industriali, azienda subur- bana in generale, ecc. — Tagricoltore può essere indipendente (e tal- volta perfino non piccolo) anche con un ettaro e mezzo di terra. Ma su un totale di tre milioni di aziende queste sono eccezioni assoluta- mente irrilevanti. Che la massa di questi piccoli « agricoltori » (che costituiscono circa i 3/5 del totale) siano operai salariati è dimostrato chiaramente dai dati della statistica tedesca sulle professioni principali degli agricoltori dei vari gruppi. Ecco un riassunto di questi dati : 1 ' Gruppi dì agricoltori | Agricoltori ■«■condo la loro occupazione principale (0 /q) Percen- tuale degli agricoltori indipen- denti che hanno una occupa- zione aua- sidiaria lavoro indipendente lavoro non indipen- dente altre occupa zioni in com- pitilo agricol- tura commercio ecc. fino a 2 ettari 1 7,t 22,3 50.3 9.8 100 26.1 2.5» 72.2 16.3 8.6 2.9 100 25,5 5-20 » 90,8 7,0 1.1 1,1 100 15,5 20 - 100 » 96,2 2,3 0.2 1,1 100 8,8 100 e più » 93,9 1,5 0.4 4,2 100 23,5 In complesso 45.0 17,5 31,1 6,4 1 100 20,1 Vediamo dunque, che sul numero totale degli agricoltori tedeschi, soltanto il 45%, cioè meno della metà , sono agricoltori indipendenti anche per la loro occupazione principale. Inoltre la quinta parte (20, .1 %) di questi agricoltori indipendenti hanno un’occupazione sussi- diaria. Il 17,5 % degli agricoltori sono, per la loro occupazione princi- pale, commercianti, industriali, orticoltori, ecc. (« indipendenti », che sono cioè, nella loro industria rispettiva, padroni e non operai). Quasi un terzo di essi (31,3 %) sono operai salariati (« non indipendenti » nei vari rami dellagricoltura e dell’industria). Il 6,4% degli agricoltori '74 LENIN hanno come occupazione principale un impiego (militari, funzionari, ecc.), una professione libera, ecc. Degli agricoltori con 2 ettari e meno la metà sono invece operai salariati; di questi 3.200.000 «padroni » gli agricoltori « indipendenti * sono una piccola minoranza, complessiva- mente il 17,4%. E di questo 17% la quarta parte (26,1%) hanno un'occupazione sussidiaria, ossia sono operai salariati non già per la loro occupazione principale (come il 50,3% menzionato sopra), ma per la loro occupazione sussidiaria. Perfino tra gli agricoltori con 2-5 ettari soltanto un po’ più della metà (546.000 su 1.016.900) sono agricoltori indipendenti senza occupazione sussidiaria di sorta. Di qui si vede quanto il signor Bulgakov presenti la cosa in modo stupefacentemente inesatto allorché, affermando (e per di più erronea- mente, come abbiamo già dimostrato) che il numero totale delle per- sone effettivamente occupate nell’agricoltura è aumentato, spiega que- sto fatto con « l’aumento del numero delle aziende indipendenti, e, come sappiamo già, innanzi tutto delle aziende contadine medie a spese delle grandi aziende » (II, p. 133). Se la percentuale delle aziende contadine medie rispetto al totale delle aziende é quella che segna il maggior aumento (dal 17,6% al 18%, cioè + (si tratta non di operai salariati, ma di amministratori, ispet- tori, ecc.; cfr. Statisti \ des Deutschen Rcichs , v. 112, p. 49). Esatta- mente nello stesso modo vediamo che la percentuale degli agricol- tori indipendenti che hanno anche occupazioni collaterali diminuisce rapidamente con l’aumentare della superficie dell’azienda (26-25-15- 9%), ma sale invece fortemente tra gli agricoltori con 100 e più et- tari (23%). Quanto al numero delle grandi aziende (100 e più ettari) e alla loro superficie, i dati surriportati indicano una diminuzione del loro peso relativo sia rispetto al numero totale delle aziende che rispetto alla superficie totale. Ci si domanda: se ne può forse concludere, come si affretta a fare il signor Bulgakov, che la grande azienda viene eli- minata dalla piccola e dalla media azienda contadina? Pensiamo di no, e pensiamo che il signor Bulgakov, con le sue uscite colleriche contro Kautsky a questo proposito, non abbia dimostrato che la pro- pria incapacità di confutare sostanzialmente l’opinione di Kautsky. In primo luogo, la diminuzione del peso relativo delle grandi aziende è minima (per il numero delle aziende dallo 0,47% allo 0,45%, ossia di due centesimi per cento, e per la superficie dal 24,43% al 24,088 °/ 0> ossia di 35 centesimi per cento). Che con l’intensificazione della col- LENIN i*p tura occorra talvolta diminuire un po’ la superficie, che i grandi agri- coltori cedano in minuscoli lotti la terra lontana dal centro del fondo, allo scopo di procurarsi operai, sono fenomeni universalmente noti. Abbiamo mostrato sopra come L'autore di una descrizione particola- reggiata delle grandi e piccole aziende nella parte orientale della Prussia riconosca apertamente la funzione sussidiaria della piccola agricoltura rispetto alla grande e raccomandi caldamente di creare operai sedentari. In secondo luogo, non si può parlare di elimina- rione delle grandi aziende da parte delle piccole per la semplice ra- gione che i dati concernenti la superficie dell’azienda non sono ancora sufficienti per stabilire le dimensioni della produzione . E che sotto questo rapporto le grandi aziende abbiano fatto un grandissimo passo avanti è dimostrato incnnresrahil mente dai dati sull’ impiego delle macchine (cfr. sopra) e sulle industrie agricole (esamineremo parti- colareggiatamente questi dati più sotto, in considerazione deU'inter- prefazione straordinariamente inesatta dei dati corrispondenti della statistica tedesca da parte del signor Bulgakov), In terzo luogo, nel gruppo delle aziende con roo e più ettari si distinguono particolar- mente i latifondi, le aziende con r.ooo e più ettari, il cui numero è per- centualmente aumentato, anche più di quello dpllp ^ ri^dr contadine medie, e precisamente da 5x5 a 572, cioè dell* 11%, mentre il numero deiy arienrle contadine medip c a umentato da 926000 a 998.000, cioè del 7,8 %. La superficie dei latifondi è aumentata da 708000 ettari a 80x000, doè di 94000 ettari: nel 1882 essa ammontava al 2,22 % di tutta la superficie agraria, nel 1895 ammontava già al Z46 %. Il signor Bul- gokov completa ora nel suo libro le obiezioni infondate, da lui mosse su questo argomento a Kautsky nel Naciala, con la seguente ancor più in- saldata generalizzazione : * L’indice — egli scrive — che attesta la de- cadenza della grande azienda è„. l’aumento dei latifondi, quantunque il progresso dell’agricoltura e l’aumento della sua intensità debbano es- sere accompagnati dal frazionamento > (II, p. 126), e, con tutta serietà, paria già senz’altro di « degenerazione laufondiaria [!] » della grande azienda (U, pp. 190 e 363). Notate con quale logica ammirevole ragiona il nostro « dotto > : siccome, con rintensificazione della coltura, la dimi- nuzione della superficie dell’azienda significa talvolta un aumento della produzione, ne consegue che l’aumento del numero e della su- perficie dei latifondi deve in generale significare una decadenza! Ma se la logica è così zoppicante, perchè non chiedere aiuto alla stati- LA QUESTIONE AGRARIA E I .« CRITICA DI MARX » 1 77 stica? La stessa fonte alla quale attinge il signor Bulgakov contiene tutta una serie di dati suireconomia di questi latifondi. Riportiamone alcuni: 572 grandissime aziende avevano nel 1895 una superficie di 1.159.674 ettari, di cui 802.000 di terreno agrario e 298.000 a bosco (una parte di questi proprietari di latifondi sono principalmente industriali del legname e non agricoltori). Tiene bestiame in generale il 97,9% di essi; tiene bestiame da lavoro il 97,7%; impiegano macchine 555 proprietari, e, come abbiamo visto, per ogni azienda il numero dei casi d’impiego delle varie macchine è quello massimo ; l’aratro a va- pore è impiegato in 81 aziende, cioè nel 14% dei latifondi. Tn queste aziende, il bestiame ammonta a 148.678 bovini, 55.591 ca- valli, 703.813 ovini e 53.543 suini; 16 di queste aziende sono legate a zuccherifici, 228 a distillerie, 6 a fabbriche di birra, 16 a fabbriche di amido, 64 a mulini. DeH’intensificazione ci si può fare un’idea dal fatto che 21 1 coltivano la barbabietola da zucchero (superficie: 26.000 ettari) e 302 le patate per la lavorazione industriale. Ventun aziende (con 1.882 vacche, pari a 87 per azienda) vendono il latte nelle città e 204 (con 18.273 vacche, pari a 89 per azienda) fanno parte di coope- rative lattiero-casearie. Una bella « degenerazione latifondiaria », non è vero? Passiamo alla questione delle aziende contadine medie (5-20 ettari). Il loro peso relativo rispetto al totale delle aziende è salito dal 17,6% al 18% (-J- 0,4%), e rispetto alla superficie totale dal 28,7% al 29,9% ( + 1,2%). E naturalmente tutta la genia dei «demolitori del marxi- smo » considera questi dati come la più importante delle proprie carte. Il signor Bulgakov ne deduce e 1 *« eliminazione della grande azienda da parte della piccola » e la « tendenza alla decentralizzazione », ecc. ecc. Abbiamo mostrato sopra che proprio per quanto riguarda « la popolazione contadina » i dati d’insieme sono particolarmente inser- vibili e possono più che mai indurre in errore; proprio qui i processi di formazione di piccole aziende imprenditrici e i « progressi > della borghesia contadina sono più che mai adatti a dissimulare la prole- tarizzazione e i 'impoverimento della maggioranza. E se per tutta l’agricoltura della Germania osserviamo, in generale, da una parte un incontestabile sviluppo della grande azienda capitalistica (sviluppo dei latifondi, impiego crescente delle macchine e sviluppo delle industrie agricole), e dall’altra un incremento ancor più incontestabile della pro- letarizzazione e deirimpoverimento (fuga nelle città, frazionamento 12 - 7M LENIN I“8 crescente della terra, aumento del numero delle aziende parcellari, aumento del lavoro salariato sussidiario, peggioramento dell’alimen- tazione dei piccoli cófitadini, ecc.) sarebbe davvero incredibile e impossibile che gli stessi processi non avvenissero in seno alla «po- polazione contadina >. E i dati particolareggiati rivelano questi pro- cessi con la massima precisione, confermando Tidea che, nel caso in questione, la sola statistica delle superfici è del tutto insufficiente. Per- ciò Kautsky aveva pienamente ragione quando, in base al quadro d’in- sieme dello sviluppo capitalistico dell’agricoltura tedesca, concludeva che era infondato dedurre da questi dati la vittoria della piccola pro- duzione sulla grande. Esistono tuttavia anche dati diretti, e per di più molto numerosi, i quali dimostrano che l’aumento delle « aziende contadine medie » significa aumento della povertà e non aumento dell’abbondanza e del benessere. Sono quegli stessi dati relativi al bestiame da lavoro che il signor Bulgakov ha utilizzato così a sproposito e nel Nacialo e nel suo libro. « Se occorresse ancora una dimostrazione — scriveva il signor Bulgakov a proposito della sua affermazione sul progresso della media azienda e sulla decadenza della grande — si potrebbe aggiungere al- l’indice della quantità della forza-lavoro anche quello del bestiame da lavoro esistente. Ecco un’eloquente tabella * » : Numero delle aziende che possedevano bestiame da lavoro 1882 1895 Differenza 0 - 2 ettari 325.005 306.340 — 18.665 2- 5 > 733.967 725.584 - 8.383 5-20 > 894.696 925.103 +30.407 20 - 100 » 279.284 275.220 — 4.064 100 e più ettari 24.845 24.485 — 360 In complesso 2.257.797 2.256.732 — 1 .065 « 11 numero delle aziende che possiedono bestiame da lavoro è diminuito egualmente sia nella grande che nella piccola azienda, ed è aumentato soltanto nella media » {Nacialo, n. 1, p. 20). * Riproduciamo integralmente la tabella citata dal signor Bulgakov, aggiungen- dovi soltanto i totali in essa mancanti. LA QUESTIONE AGRARIA E I 4 CRITICI DI MARX » »79 La cosa sarebbe ancora scusabile se il signor Bulgakov, in un ar- ticolo di rivista scritto frettolosamente, si fosse lasciato sfuggire Ter- rore che Io ha indotto a dedurre dai dati relativi al bestiame da la- voro esattamente l’opposto di quanto dicono i dati stessi, ma il nostro « severo dotto » ripete lo stesso errore anche nella sua « indagine » (II, p. 127, dove, inoltre, le cifre + 30*407 e — 360 vengono riferite al numero dei capi di bestiame, mentre si riferiscono al numero delle aziende che impiegano bestiame da lavoro; ma questa, certo, è una inezia). Al nostro « severo dotto » che parla cosi arditamente di « regresso della grande azienda» (II, p. 127), domandiamo: che cosa significa un aumento di 30.000 aziende contadine medie fornite di bestiame da lavoro, quando il numero totale delle aziende contadine medie è au- mentato di 72.000 (II, p. 124)? Non risulta evidente, da questi dati, che la percentuale delle aziende contadine medie che possiedono be- stiame da lavoro è diminuita ? E se è così, non conveniva allora esa- minare quale era la percentuale delle aziende dei vari gruppi fornite di bestiame da lavoro nel 1882 e nel 1895, tanto più che questi dati si trovano nella stessa pagina e nella stessa tabella da cui il signor Bul- gakov ha tratto le cifre assolute (, Statisti ^ des Deutschen Reichs , v. 112, p. 31)? Ecco questi dati: Percentuale delle aziende che possiedono bestiame da lavoro 1882 1895 Differenza 0 - 2 ettari 10,61 9)4 6 — 1,15 2- 5 * 7479 7 I >39 — 3>4° 5-20 » 96,56 92,62 — 3-94 20 - 100 » 99,21 97,68 -i-53 100 e più ettari 99>4 2 977° — 1.72 In complesso 42,79 40,60 — 2,19 Dunque la percentuale delle aziende con bestiame da lavoro è in generale diminuita di più del 2%, e questa diminuzione supera la media nelle piccole e medie aziende contadine ed è inferiore alla media Ì2* 1 80 LENIN nelle grandi aziende * Inoltre non si deve dimenticare che « spesso, proprio nelle grandi aziende, invece della forza animale viene impie- gata quella meccanica, sotto forma di ogni sorta di macchine in gene- rale e delle macchine a vapore in particolare (aratri a vapore, ecc.) » (Statisti^ des Deutschen Reichs , v. 112, p. 32). Perciò, se nel novero delle grandi aziende (100 e più ettari) il numero di quelle con bestiame da lavoro è diminuito di 360, mentre il numero delle aziende che im- piegano aratri a vapore è aumentato di 6/5 (710 nel 1882 e 1.325 nel 1895), è chiaro che nel complesso le grandi aziende non solo non hanno perduto, ma hanno guadagnato. Giungiamo quindi alla conclusione che il solo gruppo degli agricoltori tedeschi che abbia incontestabilmente migliorato le condizioni dell’azienda (per quanto concerne l’impiego del bestiame nel lavoro dei campi o la sostituzione del bestiame col vapore) è quello dei grandi agricoltori, con 100 e più ettari. In tutti gli altri gruppi le condizioni dell’azienda sono peggiorate, e sono soprat- tutto peggiorate precisamente nel gruppo delle aziende contadine medie , dove la percentuale delle aziende con bestiame da lavoro ha subito la massima diminuzione. La differenza fra le grandi aziende (100 e più ettari) e quelle medie (5-20 ettari) relativamente alla percentuale delle aziende fornite di bestiame da lavoro era precedentemente inferiore al 3 % (99» 42-96> 5 6 )> mentre ora supera il 5 % (97, 70-92, 62). Questa conclusione è inoltre rafforzata in misura considerevole dai dati relativi alla composizione del bestiame da lavoro. Quanto più la azienda è piccola, tanto peggiore è la composizione del bestiame da lavoro: tanto meno, relativamente, si impiegano nei lavori dei campi buoi e cavalli, e tanto più vi si impiegano vacche, notevolmente più deboli. Ecco i dati da cui risulta come stavano le cose sotto questo rapporto negli anni 1882 e 1895: • La diminuzione è minima nelle aziende più piccole, tra le quali possiede be- stiame da lavoro una minoranza relativamente insignificante; vedremo in seguito che è precisamente in queste aziende ( e soltanto in esse) che si è migliorata anche la com- posizione del bestiame da lavoro, cioè si è cominciato a tenere relativamente più ca- valli e buoi e meno vacche. Ciò indica chiaramente, come hanno giustamente rilevato anche gli autori dcirinchiesta tedesca (p. ja), che i proprietari degli appezzamenti più piccoli tengono del bestiame da lavoro non soltanto per Tagricoltura, ma anche per « i lavori a salario collaterali ». Perciò sarebbe in generale errato tener conto, nella questione del bestiame da lavoro, delle aziende parcellari, che si trovano in condizioni del tutto eccezionali. LA QUESTIONE AGRARIA E l «CRITICI Di MARX » iSi Su ioo aziende che possedevano bestiame per i lavori campestri si impiegavano : Gruppi di aziende Soltanto vacche Vacche, nonché o buoi cavalli 1892 1895 188» 1895 0 - 2 ettari - 83,74 82,10 — 1,64 85.21 83.95 — 1,26 2-5 » 68,29 69,42 4- 1.13 72.95 74,93 -f 1,98 5 - 20 » 18,49 20,30 + 1,81 29,71 34.75 *■ 5.04 *0 - 100 1» 0,25 0,28 + 0,0.1 3,42 6,02 -»■ 2,60 ]U0 c più » 0.U0 0,03 + 0,03 0,25 1,40 -r U-> In cample-ita 41,61 41,82 1 + 0,21 48,18 50,48 1 2.30 Notiamo un peggioramento generale della composizione del be- stiame da lavoro (le aziende parcellari, per la ragione indicata, non entrano nel conto), e il peggioramento massimo proprio nel gruppo delle aziende contadine medie . In questo gruppo, tra le aziende che hanno bestiame da lavoro, è aumentata principalmente la percentuale sia di quelle che per i lavori campestri sono costrette ad impiegare anche vacche sia di quelle che per tali lavori possono impiegare sol- tanto vacche. Presentemente già più di un terzo delle aziende conta- dine medie che possiedono bestiame da lavoro sono costrette a ser- virsi di vacche per i lavori campestri (ciò che porta, è ovvio, ad un peggioramento deiraratura e quindi a una diminuzione dei raccolti e della produttività lattiera delle vacche) e più di un quinto possono im- piegare per tali lavori soltanto vacche. Se considereremo la quantità del bestiame impiegato per i lavori campestri, vedremo in tutti i gruppi (eccetto le aziende parcellari) un aumento del numero delle vacche. Il numero poi dei cavalli e dei buoi ha avuto le seguenti variazioni: Numero dei cavalli e dei buoi (in migliaia) impiegati nei lavori cimi pestri 1SK2 1S95 Differenza o- 2 ettari 62,9 69,4 + 6,5 2- 5 » oc 0 rO 3 02 '3 — fi.o 182 LENIN 5-20 » i- 437.4 1 - 43°>5 — 6,9 20 - 100 » 1.168,5 I-I 55-4 — 13.1 100 e più ettari 65°, 5 695,2 + 44.7 In complesso 3.627,6 3.652,8 + 25,2 Ad eccezione delle aziende parcellari, si osserva un aumento del bestiame da lavoro propriamente detto soltanto presso i grandi agri- coltori. La conclusione generale a proposito dei mutamenti sopravvenuti nelle condizioni dell’azienda riguardo alla forza animale e meccanica per i lavori campestri è quindi la seguente: miglioramento solo tra i grandi agricoltori, peggioramento tra gli altri e massimo peggiora- mento nelle aziende contadine medie . I dati del 1895 ci permettono inoltre di dividere tutto il gruppo delle aziende contadine medie in due sottogruppi: con 5-10 ettari e con 10-20 ettari. Come c’era da aspettarsi, nel primo sottogruppo (mol- to più importante per il numero delle aziende) le condizioni del- l’azienda riguardo all’impiego del bestiame da lavoro sono incompa- rabilmente peggiori» Su 606.000 proprietari con 5-10 ettari possiede be- stiame da lavoro il 90,5% (su 393.000 con 10-20 ettari il 95,8%), e tra questi impiegano vacche per i lavori campestri il 46,3 % (il 17,9 % nel sottogruppo con 10-20 ettari); impiegano soltanto vacche il 41,3% (il 4,2% nel sottogruppo con 10-20 ettari). Risulta dunque che proprio questo gruppo con 5-10 ettari, posto in condizioni particolarmente cattive per quanto riguarda l’impiego del bestiame da lavoro, è au- mentato più di tutti , sia per quanto riguarda il numero delle aziende che per quanto riguarda la superficie, dal 1882 al 1895. Ecco i dati corrispondenti (percentuale rispetto al totale): Gruppi dì Aziende delle aziende delle superficie complessiva dell a superficie agraria 1882 1895 1882 1695 1882 1895 5-10 ettari , 10,50 10,90 + 0,40 11,90 12,37 + 0,47 12,26 13,02 + 0,76 10-20 » 7,06 7,07 + 0,01 16,70 16,59 — 0,11 16,48 16,88 + 0,40 LA QUESTIONE ACRARIA E I «CRITICI DI MARX» 183 Nel gruppo con 10-20 ettari l’aumento del numero delle aziende è del tutto insignificante; la loro quota di terra rispetto alla superficie complessiva è persino diminuita, mentre la loro quota di superfi- cie agraria è aumentata molto meno che nelle aziende con 5-10 ettari. Per conseguenza l’aumento delle aziende contadine medie concerne soprattutto (e in parte persino esclusivamente) il gruppo con 5-10 ettari, cioè il gruppo in cui le condizioni dell’azienda per quanto riguarda l’impiego del bestiame da lavoro sono particolarmente cattive. Vediamo così che la statistica stabilisce in maniera irrefutabile il vero significato del famigerato aumento delle aziende contadine me- die: non si tratta di un aumento del benessere, ma di un aumento della miseria , non di un progresso della piccola agricoltura, ma della sua degradazione . Se le condizioni dell’azienda sono peggiorate so- prattutto nelle aziende contadine medie, se soprattutto in queste aziende si è dovuto estendere l’impiego delle vacche per i lavori cam- pestri, in base a questo solo aspetto dell’azienda (che è uno degli aspetti più importanti dell’azienda in generale) abbiamo non solo il diritto, ma il dovere di trarre la nostra conclusione sui restanti aspetti dell’azienda. Se il numero dei senza cavalli (per impiegare un’espres- sione familiare al lettore russo e perfettamente applicabile al caso in questione) è aumentato, se la composizione del bestiame da lavoro è peggiorata, non può esservi alcun dubbio che è peggiorato anche il mantenimento del bestiame in generale, che è peggiorata la coltiva- zione della terra, che sono peggiorate l’alimentazione e le condizioni di vita dell’agricoltore, poiché nell’azienda contadina, come tutti sanno, quanto peggio è mantenuto e quanto più duramente lavora il be- stiame, tanto peggio vive e tanto più duramente lavora l’uomo, e vi- ceversa. Le conclusioni che noi abbiamo tratto sopra dallo studio particolareggiato di Klawki sono pienamente confermate dai dati d'insieme concernenti tutte le piccole aziende contadine della Ger- mania. 184 LENIN IX La produzione lattiero-casearia e le cooperative agricole in Germania . La popolazione rurale della Germania in base alla sua situazione nell* azienda Ci siamo soffermaci così particolareggiatamente sui dati relativi al bestiame da lavoro perchè sono i soli (oltre a quelli sulle macchine da noi esaminati sopra) che permettano di guardare, per così dire, nel- Timcrno dell’azienda, di vederne l’attrezzatura e l’organizzazione. Tutti gli altri dati — sulla quantità della terra (che abbiamo già esposti) e sulla quantità del bestiame (che esporremo ora) — descri- vono l’azienda solo esteriormente, eguagliando cose notoriamente di- suguali, giacche il modo di coltivare la terra, e quindi anche il suo rendimento, la qualità del bestiame e la sua produttività sono diversi nelle diverse aziende. Questo fatto, benché universalmente noto, nei calcoli statistici generali viene di solito dimenticato, e soltanto i dati sulle macchine e sul bestiame da lavoro dànno una qualche possibi- lità di rendersene conto, mostrano a vantaggio di chi (in generale) va questa differenza. Se le grandi aziende impiegano di più le macchine particolarmente complicate e costose, che sole vengono considerate nelle statistiche, è evidente che anche tutti gli altri attrezzi, di cui la statistica non parla (aratri, erpici, carri, ecc.), nelle grandi aziende sono di miglior qualità, sono più numerosi in ogni singola azienda e sono più ampiamente utilizzati (grazie alle maggiori dimensioni del- l’azienda). Lo stesso dicasi per quanto riguarda le scorte vive. A questi vantaggi il piccolo agricoltore deve necessariamente opporre la dili- genza e l’economia (egli non possiede altre armi nella lotta per l’esi- stenza), e perciò queste qualità non sono casuali, ma distinguono sem- pre e inevitabilmente il piccolo contadino nella società capitalistica. L’economista borghese (e l’odierno « critico », che, in questa come in tutte le altre questioni, si trascina al suo seguito) chiama tutto ciò virtù della parsimonia, della costanza e così via (cfr. Hecht e Bul- gakov) e ne fa merito al contadino. Il socialismo chiama tutto ciò lavoro eccessivo (superlavoro) (Vberarbeit) e sottoconsumo (Unter- konsumtìon) e ne fa colpa al capitalismo, sforzandosi di aprire gli occhi al contadino su tutta la falsità dei discorsi alla Manilov che LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » i8 5 spacciano per virtù la degradazione sociale, sforzandosi con ciò stesso di perpetuarla. Passiamo ora ai dati relativi alla ripartizione del bestiame tra i vari gruppi di agricoltori tedeschi nel 1882 e nel 1895. Eccone i prin- cipali risultati: Gruppi di aziende Tutto U bestiame (valore) Bovini 1802 Suini 1802 1095 ±_ 1082 1895 + ! 1895 T 0 - 2 ettari 9,3 9.4 + ,0,1 10,5 0,3 — 2.2 24.7 25,6 + 0,9 2-5 » 13,1 13,5 + 0,4 16,9 16,4 - 0,5 17,6 17,2 - 0,4 5-20 » 33,3 34,2 + 0,9 35,7 36,5 + 0,8 31,4 31,1 — 0,3 20 - 100 » 29,5 28,8 — 0,7 27,0 27,3 + 0,3 20,6 19,6 — 1,0 100 e più » 14,8 14,1 — 0,7 9.9 11,5 + 1.6 5,7 6,5 + 0,8 In complesso 1 100 l 100 j - 100 i 100 | 1 - 100 100 - La quota-parte della grande azienda per quanto riguarda la quan- tità complessiva del bestiame è quindi diminuita, mentre più di tutte è aumentata quella delle aziende contadine medie. Ci riferiamo alla quantità totale del bestiame, benché i dati si riferiscano al valore, poi- ché l’ipotesi degli statistici, secondo cui il valore di ogni capo di be- stiame sarebbe uguale nei vari gruppi, é notoriamente errata. I dati sul valore, consentendo di sommare le diverse specie di bestiame (si potrebbe giungere allo stesso risultato ragguagliando tutto il be- stiame al bestiame grosso, ma questo ci richiederebbe nuovi, labo- riosi calcoli, che però non modificherebbero sostanzialmente le con- clusioni), indicano precisamente la ripartizione di tutte le scorte vive secondo la quantità, e non già secondo il valore reale. Dato che il bestiame dei grandi proprietari è migliore, e con rutta probabilità migliora di più di quello dei piccoli (a giudicare dal miglioramento delie scorte morte), questi dati diminuiscono molto sensibilmente la reale superiorità della grande azienda. Quanto alle diverse specie di bestiame, va notato che la diminu- zione della quota-parte delle grandi aziende dipende interamente dalla diminuzione deirallevamento mercantile degli ovini: dal 1882 al 1895 il numero degli ovini è sceso da 21.100.000 a 12.600.000, è cioè di- i86 LENIN minuito di 8.500.000, di cui 7.000.000 nelle aziende con 2 e più ettari. Tra i rami dell’allevamento mercantile che si sviluppano in Germania rientra in particolare, com’è noto, l’allevamento per la pro- duzione lattiero-casearia e della carne. Abbiamo preso perciò i dati relativi ai bovini ed ai suini, dai quali risulta che in entrambi questi rami deirallevamento la grande azienda (100 e più ettari) ha fatto il maggior passo avanti: la sua quota-parte dei bovini e dei suini ha segnato il maggior aumento. Questo fatto è tanto più degno di atten- zione in quanto le dimensioni delle aziende dedite airallevamento sono generalmente inferiori a quelle delle aziende agricole, e quindi ci si sarebbe potuto aspettare un più rapido sviluppo non delle grandi aziende capitalistiche, ma di quelle medie. La conclusione generale (per quanto riguarda la quantità, ma non la qualità del bestiame) deve essere la seguente: i grandi proprietari hanno perduto più di tutti a motivo della forte diminuzione deirallevamento mercantile degli ovini, e non hanno eliminato, ma soltanto ridotto questa perdita con l’aumentare in maggior misura (in confronto delle piccole e medie aziende) l’allevamento dei bovini e dei suini. Parlando deirallevamento per la produzione lattiero-casearia non possiamo trascurare i dati, straordinariamente istruttivi e, per quanto ci risulta, non ancora utilizzati, che ci fornisce in proposito la stati- stica tedesca. Ma questo concerne già la questione generale della combinazione delle industrie agricole con l’agricoltura, e dobbiamo soffermarci su questa questione, dato il nuovo stupefacente travisa- mento dei fatti ad opera del signor Bulgakov. Com’è noto, la combi- nazione della lavorazione industriale dei prodotti agricoli con l’agri- coltura è uno degli indici più rilevanti del progresso specificamente capitalistico nelPagricoltura. Già nel Nacialo , il signor Bulgakov di- chiarava : € Secondo me, l’importanza di questa combinazione è stata da Kautsky gonfiata al massimo: se si prendono i dati statistici, ri- sulta che la quantità di terra che è legata in questo modo all’industria è del tutto insignificante» (n. 3, p. 32). Argomento molto debole, giacche il signor Bulgakov non osa negare il carattere tecnicamente progressivo di questa combinazione, mentre elude semplicemente la questione principale: questo progresso è opera della grande o della piccola produzione? E poiché a questa domanda la statistica risponde in modo assolutamente preciso, il signor Bulgakov nel suo libro ri- corre — sit venta verbo ! — ad un’astuzia. Egli cita la percentuale delle LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 187 aziende (di tutte in generale, e non divise per gruppi!) che sono com- binate con queste o quelle industrie agricole, ed osserva : « Non biso- gna credere che esse siano principalmente combinate con le grandi aziende» (II, p. 116). Precisamente il contrario, egregio signor pro- fessore: bisogna proprio crederlo, e la vostra piccola tabella (che non dà la percentuale delle aziende combinate con determinate industrie agricole rispetto al totale delle aziende del gruppo corrispondente) non può che indurre in errore il lettore male informato o disattento. Ri- portiamo (per non riempire pagine e pagine di cifre) il numero com- plessivo delle aziende combinate con zuccherifici, distillerie, fabbriche di amido, fabbriche di birra e mulini (la somma indica quindi il nu- mero dei casi di combinazione delle aziende agricole con le industrie agricole), ottenendo la seguente tabella: Gruppi di aziende j i Numero totale delle aziende Numero dei casi di combinazione con le industrie agricole % 0 - 2 ettari .... 3.236.367 11.364 0.01 2 - 5 » .... 1.016.318 13.542 1.09 S - 20 » .... 998.fi 04 l 25.879 2.30 20 - 100 a 281.767 ; B.273 2,52 100 e più » .... 25.061 4.006 15,72 In complesio S. 550. 317 63.064 1,14 Aziende con 1 .000 e più ettari ì 572 330 57,69 Cosi la percentuale delle aziende combinate con industrie agri- cole è insignificante per le piccole aziende e raggiunge un grado notevole soltanto per le grandi aziende (ed è elevatissima per i lati- fondi, di cui più della metà profitta dei vantaggi di tale combina- zione). Se noi confronteremo con questo fatto i dati citati sopra sulle macchine e sul bestiame da lavoro, il lettore comprenderà quanto siano assurdi e pretenziosi gli aforismi del signor Bulgakov sul- P« illusione » dei marxisti « conservatori », secondo cui « la grande azienda è portatrice del progresso economico e la piccola del regresso » (II, p. 260). i88 LENIN «La maggior parte [delle barbabietole da zucchero e delle patate per la distillazione deiralcool] — prosegue il signor Bulgakov — è prodotta nelle piccole aziende». Precisamente il contrario: è prodotta proprio nelle grandi : ■ Numero delle aziende che colti- vano le barba- bietole da z uccbero % rispetto >1 totale delle aziende Superficie occupata dalla barba- bietola (in ettari) % Numero delle aziende che colti- vano patata per sottoporle a tratta- mento industriale % rispetto al totale delle* azienda 0 - 2 ettari . 10.781 0,33 3.7B1 1,0 565 0,01 2-5 > . 21.413 2,10 12.693 3.2 947 0,09 5 - 20 » 47.145 4,72 48.213 12,1 3.023 0,30 20 - 100 » 26.643 9,45 97.782 24,7 4.293 1,52 100 e più » 7.262 28,98 233.820 59,0 5.195 20,72 In complesio 113.244 2,03 396.289 100 14.023 0,25 Aziende di 1.000 e più ettari 211 36,88 26.127 — 302 52,79 Ossia, ancora una volta, la percentuale delle aziende che coltivano barbabietole e patate per sottoporle a trattamento industriale è del tutto insignificante per le piccole aziende, notevole per le grandi e molto elevata per i latifondi. La maggior parte delle barbabietole — 1*83,7%, a giudicare dalla superficie coltivata a barbabietola — è pro- dotta nelle grandi aziende *, Parimente il signor Bulgakov non si è affatto reso conto della « parte che ha la grande azienda » nella produzione lattiero-casearia * II... fiasco decisivo delle affermazioni del signor Bulgakov circa le industrie agri- cole e così strano che si affaccia involontariamente alla nostra mente una domanda: questo fiasco non dipende forse dal fatto che il signor Bulgakov ha copiato le tabelle riportate nell’inchiesta tedesca senza accorgersi che in esse si dà la percentuale delle aziende combinate con industrie agricole, ma noti in rapporto al totale delle aziende del gruppo corrispondente ? Da una parte è difficile ammettere nella « indagine » di un severo dotto una tale serie di trascuratezze (con una serie dì conclusioni presuntuose). Dall’altra l'identità delle tabelle del signor Bulgakov con quelle dell'inchiesta (pp. 40-41) c indubbia... Ah, questi « severi dotti»! LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 189 (II, p. 117), mentre questo ramo deirallevamento mercantile è uno di quelli che si sviluppano più rapidamente in tutta l’Europa ed è inoltre uno degli indici del progresso agricolo. Ecco i dati sulle aziende che vendono latte e prodotti caseari nelle città: Gruppi di aziende Numero delle aziende % rispetto al to'ale* 0 / /o rispetto al totale delle aziende nei singoli gruppi Numero delle vacche nei singoli ruppi % rispetto al totale Numero delle vacche per azienda 0 - 2 ettari . . . 8.998 21,46 0.3 25.028 11,59 2.8 2 - S » ... 11.049 26,35 1,1 30.275 14.03 2,7 5 - 20 » 15.344 36,59 1,5 70.916 32.85 4.6 20 - 100 s 5.676 13.54 2,0 | 58.439 27,07 10,3 100 e più » ... 86.3 2,06 3,4 | 31.213 14,46 36,1 In compiano 41.930 100 0,8 ^ 215.871 100 5,1 Aziende con 1.000 e più ettari 21 - 3,7 1.822 - 87,0 Così anche qui le grandi aziende occupano il primo posto: la per- centuale degli agricoltori dediti al commercio lattiero-caseario è tanto più alta quanto più grande è l’azienda, ed è massima nei latifondi (« degenerazione latifondiaria »). Rispetto alle aziende contadine me- die (5-20 ettari), per esempio, la percentuale delle grandi aziende (100 e più ettari) che vendono latte nelle città è più che doppia (3,4% e r >5 %)■ Che le grandi aziende (grandi per l’estensione delle loro terre) ab- biano anche una grande produzione lattiero-casearia risulta dai dati sul numero delle vacche per agricoltore, numero che giunge a 36 tra gli agricoltori con 100 e più ettari e perfino a 87 nei latifondi. In ge- nerale le aziende nettamente capitalistiche (20 e più ettari) concen- trano il 41,5% del numero totale delle vacche, il cui latte viene ven- * Riportiamo questa colonna perche il lettore si formi un’idea chiaro dei me- todi impiegati dal signor Bulgakov, il quale, a convalida delle sue conclusioni, si ri- chiama appunto a quest’unica colonna. LENIN 19O duto nelle città, sebbene tali proprietari costituiscano una parte insi- gnificante nel numero complessivo dei proprietari (5,52%) e una parte molto piccola delle aziende che vendono latte in città (15,6%). Il progresso dell’azienda capitalistica e la concentrazione capitalistica di questo ramo dell’allevamento mercantile sono quindi un fatto in- dubbio. Ma la concentrazione della produzione lattiero-casearia è ben lungi dall’essere completamente caratterizzata dai dati sui gruppi di aziende costituiti in base all’estensione delle superfici. Si capisce anche a priori che vi possono e vi devono essere delle aziende di eguale estensione, ma con una quantità diversa di bestiame in generale e di animali da latte in particolare. Confrontiamo prima di tutto la ripartizione fra le aziende di tutto il bestiame bovino e quella di tutte le vacche il cui latte è venduto in città. Quote percentuali Gruppi di aziende del bestiame bovino complessivo delle vacche il cui latte è venduto in città Differenza 0 - 2 ettari . ! — 8,3 f 11,6 + 3,3 2 5 » 16,4 14,0 — 2,4 5 -20 ». 1 36,5 ! 32,8 ■ — 3,7 20 - 100 I ‘ 1 27,3 27,1 — 0,2 100 e più » i .1,3 14,5 + 3,0 In complesso j 100,0 100,0 Vediamo così, ancora una volta, che la situazione peggiore è ap- punto quella delle aziende contadine medie : in questo gruppo la quantità del bestiame bovino utilizzata per la vendita del latte in città (cioè per il ramo più lucroso della produzione lattiero-casearia) è mi- nore che in tutti gli altri. Le grandi aziende sono invece in una situa- zione molto favorevole, dato che per la vendita del latte in città utilizzano una parte relativamente maggiore del loro bestiame bo- vino*. Ma ancora più favorevole è la situazione degli agricoltori più * Questa differenza non può essere spiegata col fatto che la percentuale dei buoi rispetto ai bovini non è eguale in tutti i gruppi di aziende, giacché nella grande LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX » U)l piccoli, i quali utilizzano la maggior parte del loro bestiame bovino per la vendita del latte in città. Tra queste aziende, quindi, si svilup- pano già speciali farms « lattiero-casearie » per le quali l’agricoltura passa in. seconda linea o addirittura manca completamente (delle 8.998 aziende di questo gruppo che vendono latte in città 471 sono del tutto prive di superficie agraria: questi proprietari possiedono però 5.344 vacche, cioè 11,3 vacche a testa). Se, giovandoci della statistica tede- sca, separiamo le aziende con una 0 più vacche, otteniamo, airinterno dei gruppi con eguale superficie coltivata, dati interessanti sulla con- centrazione della produzione lattiero-casearia. Aziende che vendono prodotti caseari in città Numero delle aziende Aziende Aziende Aziende con tre vacche e più Totale delle vacche Gruppi di aziende oon una vacca con due vaccbe Numero delle aziende Numero delle vacche Vaccbe per aziende 0 - 50 are 1.944 722 1 372 850 9.709 11.5 11.255 50 are - 2 ettari 7.054 | 3.302 2.552 1.200 5.367 *,S j 13.773 Ù - 2 ettari 8.998 | 1 4.024 2.924 2.050 15.156 7.4 1 25.020 2-5 . ! 11.049 | 1.862 4.497 4.690 19.419 4.3 30.27S Fra le aziende la cui superficie agraria è del tutto insignificante (0-0,5 e(tar 0 notiamo un’estrema concentrazione della produzione lattiero-casearia: meno della metà di questi proprietari (850 su 1.944) concentrano quasi i nove decimi del numero complessivo delle vacche di questo gruppo (9789 su 1 1.255), possedendo in media 11,5 vacche ciascuno. Non si tratta già più di « piccoli » proprietari, ma di pro- prietari il cui giro d’affari raggiunge annualmente, a quanto pare (so- prattutto nelle vicinanze delle grandi città), varie migliaia di marchi e che difficilmente possono fare a meno di operai salariati. Il rapido sviluppo delle città aumenta costantemente il numero di tali « farmers lattiero-caseari », e, naturalmente, si troveranno sempre degli Hecht, dei David, degli Hertz e dei Cernov, che consoleranno la massa dei azienda questa percentuale (almeno quella dei buoi che servono per i lavori campestri^ è maggiore che nell’azienda contadina media. ig2 LENIN piccoli contadini schiacciati dalla miseria con Tesempio di questi casi isolati di loro confratelli che si sono « fatti una posizione » grazie alla produzione lattiero-casearia, alla tabacchicoltura, ecc. Nel gruppo di aziende di 0,5-2 ettari vediamo che meno di un quinto dei proprietari (1.200 su 7.054) concentra nelle proprie mani più dei due quinti di tutte le vacche (5.367 su 13.773); ne l g ru PP° con 2-5 ettari meno della metà dei proprietari (4.690 su 11.049) possiede più di tre quinti di tutte le vacche (19.419 su 30.275), ecc. Purtroppo la statistica tedesca non consente di distinguere i gruppi con un nu- mero di vacche più considerevole *. Ma anche i dati riportati confer- mano in pieno la conclusione generale che la concentrazione dell’agri- coltura capitalistica è in realtà immensamente più forte di quanto non si possa supporre in base ai dati della sola statistica delle superfici. Tale statistica mette assieme aziende piccole per superficie e produ- zione cerealicola e aziende grandi, che producono cioè su larga scala latte e latticini, carne, uva, tabacco, ortaggi, ecc. Naturalmente tutti questi rami passano in secondo piano rispetto alla produzione dei ce- reali, e certe conclusioni generali conservano tutta la loro importanza nnche nella statistica in base alle superfici. Ma, in primo luogo, certi * Più esattamente, c V elaborazione dei dati della statistica tedesca che non lo consente, giacche gli autori dell’inchiesta disponevano dei dati relativi a ogni singola azienda (in base alle risposte degli agricoltori ai questionari loro distribuiti). A prò- posito*. questa raccolta di dati per ogni singola azienda distingue vantaggiosamente la statistica agricola tedesca da quella francese e anche, a quanto sembra, da quella in- glese ed altre. Questo sistema permette di classificare i vari tipi di aziende non solo in base alla superficie, ma anche in base alle dimensioni, per esempio, della produzione lattiero-casearia, in base all’uso delle macchine, al grado di sviluppo delle industrie agricole, ecc. A tal fine occorre soltanto una elaborazione più circostanziata dei dati della statistica: occorre, in primo luogo, che si raggruppino le aziende non sulla base di un solo indice (superficie del terreno), ma di parecchi indici (quantità delle mac- chine, del bestiame, della superficie a colture speciali, ecc.), e, in secondo luogo, che si combinino i diversi raggruppamenti, cioè che si divida ogni gruppo, costituito per esempio in base all’estensione del terreno, in sottogruppi costituiti in base alla quantità del bestiame, ecc. Sotto questo rapporto la statistica russa dell’azienda contadina ela- borata dagli zemstvo potrebbe e dovrebbe costituire un modello. Se la statistica gover- nativa tedesca è superiore alla statistica governativa russa per l’ampiezza e la comple- tezza, l’uniformità dei criteri e l'esattezza dei dati, per la rapidità con cui essi sono elaborati e pubblicati, la nostra statistica degli zemstvo è superiore alle inchieste e alle indagini parziali europee per la notevole completezza dei singoli dati e per la loro minuziosa elaborazione. Già da tempo la statistica russa degli zemstvo ha introdotto e la rilevazione per fuoco, e le varie tabelle per gruppi, e le tabelle complesse di cui abbiamo parlato. Una maggiore conoscenza della nostra statistica degli zemstvo da parte degli europei darebbe verosimilmente un forte impulso al progresso della statistica so- ciale in generale. LA QUESTIONE AGRARIA E I «CRITICI DI MARX» 193 rami speciali deiragricoltura mercantile si sviluppano con particolare rapidità precisamente in Europa e costituiscono una caratteristica par- ticolare del processo della sua evoluzione capitalistica ; in secondo luogo, però, questa circostanza viene spesso trascurata anche quando ci si richiama a singoli esempi o a singole zone; e qui si apre un va- stissimo campo di attività a quell’apologetica piccolo-borghese di cui Hecht, David, Hertz e Cernov ci hanno offerto il modello. Essi si sono richiamati ai tabacchicoltori, che, per la superficie generale che coltivano, sono « cchte und rcchte Kleinbauern » *; ma per le dimen- sioni dell'azienda essi non sono affatto « piccoli » agricoltori, e se esa- mineremo a parte i dati relativi alla tabacchicoltura, vedremo facil- mente anche qui la concentrazione capitalistica. In tutta la Germania, per esempio, si annoveravano, nel 1898, 139.000 tabacchicoltori con 17.600 ettari coltivati a tabacco, ma di questi 139.000, 88.000, cioè il 63%, non possedevano complessivamente più di 3.300 ettari, cioè ap- pena un quinto di tutta la superficie coltivata a tabacco; gli altri quat- tro quinti erano in possesso del 37 % dei coltivatori di tabacco **. Lo stesso avviene per la viticoltura. In generale la superficie della vigna « media », per esempio in Germania, è molto piccola : 0,36 et- tari (344.850 proprietari e 126.109 ettari di vigneti). Ma la ripartizione tra viticoltori è tale che il 49 % di essi (con 20 e meno are di vigna) pos- seggono soltanto il 13 % dei vigneti; il 30%, ossia i proprietari « medi » (20-50 are), ne posseggono il 26% e il 20%, ossia i grandi proprietari (0,5 ettari e più), ne posseggono il 61 %, vale a dire più dei tre quin- ti ** # . Ancora incomparabilmente più forte è la concentrazione nell or- * Veri e propri piccoli contadini (N. d. R.). ** Die deutsche Volkswirtschaft am Se h hi s se ies XIX Jahrhunderts y Berlin, 1900, p. 60; questo secondo i dati molto approssimativi della statistica fiscale. Per la Russia abbiamo dati dello stesso genere sulla ripartizione della tabacchicoltura in tre distretti del governatorato di Poltava: su 25.089 aziende contadine con piantagioni di tabacco, 3.015 (cioè meno di un ottavo) posseggono 74.565 desiatine di seminativi a grano su 146.774, cioè più della metà, e 3.239 desiatine a tabacco su 6.844, cioè circa la metà. Raggruppando queste aziende secondo la superficie delle piantagioni di tabacco si co- stata che 324 aziende (su 25.089) posseggono ciascuna due desiatine e più a tabacco, t\ complessivamente, 2.360 desiatine su 6.844. Si tratta di quei grandi tabacchicoltori capitalisti che fanno tanto spesso parlare di se per Podioso sfruttamento dei lavoratori. Soltanto 2.773 aziende (un po’ più di un decimo) hanno più dì mezza desia tina a ta- bacco, c posseggono complessivamente 4.145 desiatine a tabacco su 6.844. Cfr. Rasse- gna delta tabacchicoltura in Russia, fascic. II e III, Pietroburgo, 1894. * # * È interessante notare che in Francia, dove la viticoltura è incomparabilmente più sviluppata (1.800.500 ettari), anche la concentrazione dei vigneti è molto più con- U — 754 94 LENIN ticoltura mercantile ( Kunst-und Handelsgàrtnerei\ che si sviluppa con tanta rapidità in tutti i paesi capitalistici come conseguenza diretta dello sviluppo delle grandi città, dei grandi centri ferroviari, dei centri industriali, ecc. Nel 1895 si contavano in Germania 32.540 aziende con produzione mercantile di ortaggi e con un totale di 23.570 ettari colti- vati a orto, cioè in media con meno di un ettaro ciascuna. Ma più della metà di questa superficie (51,39%) era concentrata nelle mani di 1.932 proprietari, cioè del 5,94% di tutti gli orticoltori. Quanto siano estese, tra questi grossi proprietari, la superficie coltivata ad orto e quella ri- servata ad altre colture si può vedere dalle cifre seguenti: 1.441 orti- coltori con orti di 2-5 ettari hanno in media 2,76 ettari di terra ad orto ciascuno, mentre in generale possiedono 109,6 ettari a testa; 491 orti- coltori con 5 e più ettari di terra ad orto hanno in media 16,54 ettari di orto e complessivamente 134,7 ettari di terra ciascuno. Ritorniamo alla produzione lattiero-casearia i cui dati ci aiutano a dare una risposta alla domanda suirimportanza delle cooperative, che Hertz trasforma in panacea contro il capitalismo. Hertz vede il « prin- cipale compito del socialismo » nell’incoraggiarle (pp. 21 e 89; trad. russa, pp. 62 e 214), mentre il signor Cernov — che, secondo il solito, si rompe la fronte neiratto di prosternarsi zelantemente davanti alle nuove divinità — ha già escogitato un’« evoluzione non capitalistica dell’agricoltura » mediante la cooperazione. Sulla portata teorica di questa mirabile scoperta ci toccherà dire qualche parola più sotto. Noteremo per ora che gli ammiratori delle cooperative si richiamano volentieri a ciò che « sarebbe possibile » ottenere per loro mezzo (cfr. l’esempio citato sopra). Noi mostreremo invece che cosa realmente si ottiene mediante le cooperative nell’attuale regime capitalistico. In oc- casione del censimento delle aziende e delle professioni del 1895 la sta- tistica tedesca registrò tutte le aziende agricole che facevano parte di cooperative per lo smercio di prodotti caseari (Mollerei genossen- schaften und Sammelmolf^ereien ), come pure il numero delle vacche da cui ognuno di questi proprietari ricavava i prodotti caseari che vendeva. Questi, a quanto ci risulta, sono forse i soli dati d'insieme siderevole. Ma. per dare un giudizio in merito occorre limitarsi ai dati della statistica generale delle superfici, dato che in Francia non si raccolgono dati sulle singole aziende e il numero dei proprietari di vigneti è ignoto. I proprietari che posseggono comples- sivamente 10 e più ettari di terra hanno nelle proprie mani il 12,83 % di tutti * vi- gneti in Germania e il 57,02 % in Francia. LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » Ì95 che stabiliscano esattamente non soltanto in qual misura i proprietari delle varie categorie partecipino alle cooperative, ma anche — e ciò è particolarmente importante — la misura economica, per così dire, di questa partecipazione, cioè le dimensioni di quel particolare settore deirazienda mediante il quale ciascuno partecipa alla cooperativa (il numero delle vacche che forniscono il prodotto la cui vendita è orga- nizzata dalle cooperative). Riportiamo questi dati, divisi in cinque gruppi principali secondo l’estensione della terra appartenente ai pro- prietari : Aziende partecipanti a cooperative per lo smercio di prodotti caseari Gruppi di aiiende Numero delle aziende dì onesto tipo % rispetto al numero comples- sivo delle aziende % del totale* Numero delle vacche % del totale Vacche per proprie- tario 0 - 2 ettari | 10.300 0,3 6,95 16.556 1,71 1.8 2 - S i> 31.819 3,1 21,49 73.156 6,76 2,3 5-20 » 53.597 5,4 36,19 211.236 19,51 3,9 20 - 100 » 43.561 15.4 29,42 418.563 38,65 ) 9.6 100 e più » 8.805 35,1 5,95 361.435 I 72,02 33,37 ) 41,0 In 1 ompleiso 148.082 2,7 100,00 1.082.946 100,00 7,3 Aziende eoa 1.000 e più ettari 204 35,6 - 18.273 - 89,0 Dei piccoli agricoltori, dunque, partecipa alle cooperative soltanto una minoranza assolutamente insignificante, dal 3 al 5%, cioè una percentuale probabilmente persino inferiore a quella delle aziende capitalistiche anche nei gruppi inferiori. Per contro, tra le grandi aziende nettamente capitalistiche la percentuale di quelle che parteci- " li signor Bulgakov ha affermato: « La quota-parte della grande azienda risul- terà chiaramente dalle cifre seguenti» (II, p. 117) e ha riprodotto soltanto queste cifre, le quali non chiariscono affatto « la quota-parte della grande azienda », irta piuttosto (mancando il confronto con le altre cifre) la oscurano. IV 196 LENIN pano alle cooperative supera di tre-sette volte perfino quella relativa alle aziende contadine medie. Tra i latifondi, poi, la partecipazione alle cooperative è più frequente che mai. Possiamo ora farci un’idea dell’infinita ingenuità di Hertz, il Voroscilov austriaco, il quale, obiet- tando a Kautsky che « nell’Unione agricola tedesca per gli acquisti [ Bezugsvereinigung ], della quale fanno parte le maggiori cooperative, sono rappresentati 1.030,000 agricoltori » (p. 112; trad. russa, p. 267; il corsivo è di Hertz), conclude che, per conseguenza , non soltanto i grandi agricoltori (in tutto 306.000, con più di 20 ettari), ma anche i contadini partecipano alle cooperative! Se Hertz avesse riflettuto un poco sulla sua stessa ipotesi (partecipazione alle cooperative di tutti i grandi agricoltori), avrebbe visto che, se i grandi agricoltori entrano tutti nel novero dei membri delle cooperative, vuol dire che dei rima- nenti ve n entra soltanto una minima parte , e quindi è pienamente confermata la conclusione di Kautsky circa la superiorità della grande azienda sulla piccola anche per ciò che riguarda V organizzazione coo- perativa. Ma ancor più interessanti sono i dati sul numero delle vacche che forniscono il prodotto la cui vendita è organizzata dalle cooperative: la schiacciante maggioranza di queste vacche, quasi i tre quarti (72%), appartiene a grandi agricoltori che gestiscono una produzione lattiero - casearia capitalistica e posseggono dieci, quaranta e perfino (nei latifondi) ottanta vacche per azienda. Ed ora vogliate ascoltare Hertz: « Noi affermiamo che le cooperative arrecano i maggiori benefìci proprio ai piccoli e ai piccolissimi proprietari» ... (p. 112; trad. russa, p. 269; il corsivo è di Hertz). I Voroscilov sono gli stessi dapper- tutto: sia in Russia che in Austria, quando un Voroscilov si batte il petto e dice e ripete: «Noi affermiamo», si può essere sicuri che egli afferma precisamente ciò che non è. A conclusione della nostra rassegna di dati della statistica agraria tedesca, diamo uno sguardo al quadro generale della ripartizione della popolazione occupata nell’agricoltura in base alla sua posizione eco- nomica. Noi consideriamo, s’intende, soltanto l’agricoltura propria- mente detta (Aie non A 1-6, secondo la classificazione tedesca; cioè tra gli agricoltori non includiamo i pescatori, gli addetti all’industria forestale e i cacciatori); consideriamo inoltre i dati relativi alle persone per le quali l’agricoltura è Yoccupazione principale. La statistica te- desca divide questa popolazione in tre gruppi principali: a) indipen- LA QUESTIONE AGRARIA E I « CRITICI DI MARX » 197 denti (cioè agricoltori, proprietari, affittuari, ecc.); b) impiegati (am- ministratori, intendenti, sorveglianti, personale d’ufficio, ecc.) e c) operai; e suddivide poi quest’ultimo gruppo nei seguenti quattro sotto- gruppi : c 1 ) « membri della famiglia che lavorano neH’azienda del ca- pofamiglia, padre, fratello, ecc. ». In altre parole, si tratta di operai ap- partenenti alla famiglia, a differenza degli operai salariati, ai quali si riferiscono tutti gli altri sottogruppi del gruppo c. È quindi evidente che, per studiare la composizione sociale della popolazione (e la sua evoluzione capitalistica), questi lavoratori membri della famiglia van- no inclusi in un solo gruppo non con gli operai salariati, come si fa abitualmente, ma coi proprietari (a), giacche questi lavoratori mem- bri della famiglia sono, in sostanza, anche comproprietari, membri della famiglia del proprietario, godono del diritto di eredità, ecc. Segue il sottogruppo c 2 ) salariati agricoli fissi d ambo i sessi (Knechte und Màgde); c s ) « giornalieri agricoli e altri lavoratori (pecorai, bo- vari) con terra propria o presa in affitto». Si tratta, dunque, di un gruppo di persone che sono a un tempo padroni e operai salariati, cioè di un gruppo intermedio, di transizione, che va considerato a parte. Infine c 4 ) « gli stessi, senza terra nè propria, nè presa in affitto ». Otteniamo così tre gruppi fondamentali: I) agricoltori proprietari e membri delle loro famiglie; II) agricoltori proprietari di terra e al tempo stesso operai salariati; III) operai salariati senza terra (im- piegati, salariati fissi e giornalieri). Ecco come era ripartita la popo- lazione rurale * della Germania fra questi gruppi negli anni 1882 e 1895: # Parliamo soltanto della popolazione « attiva » (nell'accezione francese; in tedesco erwerbstàtige) y cioè effettivamente occupata nell’agricoltura, trascurando i domestici e i membri della famiglia che non partecipano regolarmente e permanente- mente ai lavori agricoli. La statistica sociale russa è così poco sviluppata che non è stato neppure coniato un termine speciale per esprimere questo concetto di « a ga- rantire una impostazione dell’attività pubblicistica che renda impossi- bili le deviazioni senza principi e opportunistiche dal marxismo rivolu- zionario — le quali portano nelle menti una confusione tanto perico- losa per il nostro movimento — ed elimini il civettare con il bernstei- nismo, mascherato e aperto, e la servile accettazione delle forme elemen- tari e della spontaneità del movimento, le quali conducono inevitabil- mente alla trasformazione del movimento operaio in uno strumento della democrazia borghese? Pubblicato per la prima volta nel dicembre 1901 nell’opuscolo Documenti del Congresso di « unificazione ». LA LOTTA CONTRO GLI AFFAMATI Che meravigliosa sollecitudine dimostra il nostro governo per co- loro che sono stati colpiti dalla carestia! Che lunghissima circolare (del 17 agosto) ha inviato il ministro degli interni ai governatori delle zone colpite! È tutta un’opera letteraria di un’ampiezza superiore al nor- male foglio di stampa che spiega, per bocca del signor Sipiaghin, la politica di approvvigionamento del governo. Con la pubblicazione di quest’opera si contava, evidentemente, di impressionare la « so- cietà » : ecco, dicono, come siamo solleciti, come ci affrettiamo a pren- dere misure di soccorso, come prevediamo in anticipo e l’organiz- zazione degli uffici d’approvvigionamento e tutte le forme e gli aspetti della loro attività. E, bisogna convenirne, la circolare del ministro de- gli interni effettivamente impressiona, e non tanto per la sua prolissità, quanto (se si ha la pazienza di leggerla fino in fondo) per il suo con- tenuto. L’aperta esposizione del programma governativo offre sempre la migliore arma per l’agitazione contro il governo zarista, e, espri- mendo la nostra deferentissima riconoscenza al signor Sipiaghin, osia- mo raccomandare anche agli altri ministri di parlare più spesso del loro programma in circolari rivolte al gran pubblico. Abbiamo detto: se si ha la pazienza di leggere la circolare del signor Sipiaghin fino in fondo. E di pazienza ne occorre non poca, perchè per tre quarti... — macche! per nove decimi — la circolare è piena del consueto vaniloquio ufficiale. Rimasticatura di cose note da lungo tempo e cento volte ripetute anche nel « Codice », continuo uso di circonlocuzioni, descrizione di particolari degni del cerimoniale ci- nese per un incontro fra mandarini, stile burocratico- con periodi di trentasei righe e « locuzioni » che ci fanno temere per l’avvenire della lingua russa: quando ci si tuffa in questo mare di delizie, ci si sente 14 * 2 [ 2 LF.NIN esattamente come nell atmosfera di un commissariato di polizia russo, le cui pareti sanno di muffa, in cui da tutto trasuda un tanfo partico- lare e ove i funzionari, anche solo nell’aspetto e per il modo di fare, sono la personificazione del più intollerabile burocratismo, mentre i fabbricati del cortile, che si vedono dalla finestra, fanno pensare alle camere di tortura. Tre punti principali del nuovo programma governativo attirano particolarmente l’attenzione: in primo luogo, si accentua il potere per- sonale dei funzionari, si fa in modo che il burocratismo e la disciplina del lavoro siano rafforzati e salvaguardati da ogni soffio di aria fresca; in secondo luogo, si fissano le norme per il soccorso agli affamati, ossia si indica il modo in cui si deve stabilire la quantità di grano per famiglia «bisognosa»; in terzo luogo, si manifesta un terrore dispe- rato per la possibilità che ad aiutare gli affamati accorra gente « so- spetta », capace di istigare il popolo contro il governo, e si prendono anticipatamente misure contro questa « agitazioni ». Soffermiamoci più particolareggiatamente su ognuno di questi punti. È trascorso appena un anno da quando il governo ha tolto agli zemstvo la direzione degli approvvigionamenti per consegnarla agli zemskje nacialnify e ai congressi distrettuali (legge del 12 giugno 1900); bene, prima ancora che la legge sia potuta entrare in vigore, già viene abrogata da una semplice circolare. Sono bastate alcune comuni- cazioni di governatori perchè ci si ricredesse sull r utilità della legge! Questa è la migliore dimostrazione del valore delle leggi che vengono sfornate come panini nei dipartimenti di Pietroburgo, senza essere state esaminate attentamente da uomini davvero competenti e capaci di esprimere un’opinione spassionata, senza la seria intenzione di or- ganizzare le cose nel modo più confacente allo scopo che ci si prefigge, ma semplicemente per soddisfare Tambizione di un ministro lesto- fante desideroso di farsi avanti e di dar prova rapidamente del suo zelo. Dello zemstvo non ci si può fidare: toglietegli gli approvvigiona- menti! Ma il provvedimento era appena applicato che già risultava che gli zemshje nacialniki , pur essendo tutti funzionari dei congressi distrettuali, ragionavano evidentemente ancora troppo: tra costoro si sono trovati certamente degli uomini che hanno commesso la sciocchezza di chiamare la fame fame, e tanto ingenui da pensare che bisognava lottare contro la carestia e non contro coloro che volevano effettivamente soccorrere gli affamati; nei congressi distrettuali al- LA LOTTA CONTRO GLI AFFAMATI 2 *3 cuni funzionari, non appartenenti al ministero degli interni, hanno certamente mostrato anche loro di non capire quali sono i veri obiet- tivi della «politica interna». E allora, il ministero crea, con una sem- plice circolare, una nuova direzione « distrettuale centrale »... sì, proprio così, non si tratta di un errore di stampa : « direzione distrettuale cen- trale degli approvvigionamenti », il cui unico compito è di sbarrare la strada alle persone sospette, ai pensieri sospetti, agli atti sospetti. Per esempio, il ministro trova irragionevole, e lo proibisce, compilare « pre- maturamente » (ossia prima della stessa distribuzione del grano) la lista dei bisognosi: ciò susciterebbe «esagerate speranze» tra la popolazione! La « direzione distrettuale centrale degli approvvigionamenti » viene accentrata nelle mani di una sola persona, e il ministero raccomanda che questo incarico sia affidato al maresciallo della nobiltà del distretto. E si capisce, perchè costui è legato tanto strettamente al governatore, adempie tanti incarichi di polizia che saprà certamente interpretare il vero spirito della politica degli approvvigionamenti. Per di più costui è un grosso proprietario terriero del posto, onorato della fiducia di tutti i grandi proprietari fondiari. Un uomo simile capirà senza dubbio meglio di tutti il profondo pensiero del ministro sulleffetto « demoralizzante » dei sussidi concessi a persone « che possono anche farne a meno». Quanto ai poteri del governatore, il ministro li men- ziona fin dallmizio e ripete molte volte che il governatore è responsa- bile di tutto, che al governatore tutti debbono obbedienza, che il go- vernatore deve saper prendere misure « speciali », ecc. Se fino ad oggi, nel governatorato russo, il governatore è stato un vero satrapo dal cui benvolere dipendeva resistenza di tutti gli organismi e per- fino di tutti gli abitanti del governatorato « affidatogli », ora, sotto questo aspetto, si crea un vero e proprio «stato di guerra». Eccezio- nale inasprimento del regime draconiano, e per assistere agli affamati! Ciò è tipicamente russo! Ma Tinasprimento, laumento della vigilanza esigono un aumento delle spese per la macchina burocratica. E il ministro non se ne è scordato: ai signori marescialli della nobiltà o a coloro che sono pre- posti a una « direzione distrettuale centrale degli approvvigionamenti » sarà concessa, a rimborso delle spese incontrate, una « somma spe- ciale », « per l’entità della quale — aggiunge la circolare nel suo gergo « speciale » — Vostra Eccellenza si rivolgerà a me con la dovuta do- manda ». Per le « spese di ufficio » di ogni consiglio distrettuale ven- 2r 4 LENIN gono poi assegnati 1.000 rubli una volta tanto, e per le spese generali di ogni ufficio del governatorato da 1.000 a 1.500 rubli. Lavoreranno soprattutto gli uffici: tutto il lavoro consisterà in pratiche burocratiche; come non preoccuparsi dei mezzi per farli funzionare? Prima di tutto gli uffici, e quello che resta agli affamati. Il signor Sipiaghin manifesta una tenacia e un’inventiva ammirevoli nella ricerca di misure per ridurre i sussidi agli affamati. Innanzi tutto egli esige che i governatori decidano, dopo esame, quali sono i distretti in cui « il raccolto è stato cattivo » (a decidere in definitiva sarà lo stesso ministero: non si sa mai, anche i governatori potrebbero non saper evitare le « esagerazioni »!). E si fissano in un’ordinanza i casi in cui un distretto non deve considerarsi colpito dalla carestia : 1) quando non più di un terzo delle volost è stato colpito; 2) quando la carestia è abituale e ad essa si sopperisce di anno in anno acquistando grano con i proventi delle occupazioni ausiliarie; 3) quando mancano localmente i mezzi per la distribuzione di sussidi. Già qui abbiamo un piccolo modello della soluzione burocratica del problema degli approvvigionamenti: lo stesso metro è valido per tutti! Qual è la popolazione di un terzo delle volost , fino a che punto è stata col- pita, non sono mancate le abituali « occupazioni ausiliarie * in un’an- nata di fortissima crisi industriale? Sono tutte domande oziose dopo le risolute « disposizioni » del ministero! Ma questi non sono che fiorellini, i frutti verranno poi. Tutta la sostanza sta nel sapere chi si deve considerare bisognoso e qual è l’entità del sussidio. Il signor Sipiaghin raccomanda di fare il seguente « calcolo approssimativo » dal quale « raramente risulta una qualche esagerazione considerevole > (sono le esagerazioni, le speranze esagerate, i sussidi esagerati che temiamo più di tutto! E la fame e la disoccupazione sono solo delle « esagerazioni » : tale è il significato evidente di tutte le considerazioni del ministro). In primo luogo, dopo aver provato quanto rende il grano dopo la trebbiatura, si determina « in ogni villaggio il raccolto medio per desiatina * e poi la superficie del seminativo di ogni colti- vatore. E perchè non stabilire anche l’entità del raccolto in base al gra- do di agiatezza dei coltivatori? I raccolti dei contadini poveri sono in- feriori, e la fissazione del raccolto « medio » è svantaggiosa proprio per i bisognosi. In secondo luogo, si considera non bisognoso chi dispone di non meno di 48 pud di grano all’anno per la famiglia (calcolando 36 pud per tre adulti e 12 pud per due bambini). È un calcolo de- LA LOTTA CONTRO GLI AFFAMATI 2I 5 gno del più tirchio dei kulak: in un’annata normale anche i conta- dini più poveri consumano non 48, ma 80 pud di grano all’anno per una famiglia di 5-6 persone, come risulta dagli studi sull’economia con- tadina; il contadino medio invece consuma in un’annata normale no pud di grano per una famiglia di cinque persone. Quindi il go- verno zarista riduce della metà il quantitativo di grano effettiva- mente necessario all’alimentazione. In terzo luogo, «questo quan- titativo » (cioè 48 pud per famiglia) — dice la circolare — « viene ridotto della metà considerando che l’elemento operaio costituisce circa il 50% della popolazione». Il governo ribadisce il suo princi- pio che la popolazione operaia non deve ricevere sussidi perchè, dice, può avere altre occupazioni. Ma il ministro non ha dunque già disposto una volta di non considerare come colpiti dalla carestia quei distretti dove comunemente gli abitanti hanno occupazioni ausiliarie? Perchè dunque escludere per la seconda volta la popolazione operaia? Eppure tutti sanno che quest’anno non soltanto non si trovano occu- pazioni ausiliarie, ma anche tutte quelle abituali sono diminuite a causa della crisi. Ma lo stesso governo non ha forse mandato dalle città nelle campagne decine di migliaia di operai disoccupati? L'espe- rienza delle passate carestie non ha forse dimostrato che l’esclusione della popolazione operaia porta soltanto ad una ripartizione dell’in- sufficiente prestito tra bambini e adulti? No, il proverbio: «Da un bue non si cavano due pelli » sarebbe ancor troppo lusinghiero per il ministro degli interni, il quale in quattro e quattr’otto esclude dal numero dei bisognosi tutti coloro che possono lavorare! In quarto luogo, anche questo prestito assolutamente insufficiente e due volte di- mezzato viene ridotto ancora di 1/3 — 1/5 — 1/10 « tenendo conto del numero approssimativo di coltivatori agiati che hanno una riserva del- l’anno prima o qualche risorsa materiale»!! È già la terza pelle dallo stesso bue! Quale « agiatezza » e « riserva » può avere un contadino che mette insieme non più di 48 pud di grano per la sua famiglia? Tutte le altre occupazioni ausiliarie sono già state considerate due volte, e inoltre non può vivere di solo pane neppure il contadino russo, nonostante tutta la miseria a cui l’hanno ridotto la politica del governo, [oppressione del capitale e dei grandi proprietari fondiari. Per il com- bustibile, per la riparazione della casa, per i vestiti e per il cibo in più del pane deve pur fare delle spese. Nelle annate normali anche i con- tadini più poveri, come noto dagli studi sulleconomia contadina, 216 LENIN spendono più della metà del loro reddito per altre necessità. Se si tien conto di tutto questo, risulta che il ministro riduce di quattro o cinque volte gli aiuti veramente necessari. Non è lotta contro la carestia, que- sta, ma lotta contro coloro che vogliono veramente soccorrere gli af- famati. E la circolare termina con un attacco vero e proprio contro i bene- fattori privati. Spesso si è riscontrato — tuona il signor Sipiaghin — che certi benefattori cercano di suscitare nella popolazione « malcon- tento contro gli ordinamenti esistenti ed esigenze del tutto ingiustifica- te verso il governo », conducono « un’agitazione antigovernativa », ecc. Queste accuse, in sostanza, sono vere menzogne. Com’è noto, nel 1891 furono diffusi i manifestini degli « amici dei contadini » che addita- vano giustamente al popolo il suo vero nemico; evidentemente ci sono stati anche altri tentativi di fare dell’agitazione valendosi della carestia! Ma mai è accaduto che i rivoluzionari abbiano condotto un’agitazione mascherandosi da benefattori. La massa dei benefattori — è un fatto indiscutibile — era soltanto di benefattori, e se il signor Sipiaghin allu- de al fatto che molti di essi erano « persone con un passato politico non. irreprensibile», chi di noi dunque ha un «passato irreprensibile»? Anche « persone altolocate » hanno molto spesso in gioventù pagato il loro tributo al movimento democratico generale. Non vogliamo na- turalmente dire che approfittare della carestia per fare dell’agitazione contro il governo sia cosa inammissibile o anche solo non desiderabile. Al contrario, l’agitazione è sempre necessaria, e durante una carestia in modo particolare. Vogliamo soltanto dire che il signor Sipiaghin dice frottole quando vuole far passare le sue paure e le sue apprensioni come frutto dell’esperienza. Vogliamo dire che le parole del signor Sipiaghin sono soltanto una riprova di una vecchia verità: il governo di polizia teme ogni contatto del popolo con gli intellettuali che hanno sia pure un minimo d’indipendenza e di onestà, teme ogni parola veri- tiera e coraggiosa rivolta direttamente al popolo, sospetta — e ha per- fettamente ragione di sospettarlo — che anche la sola sollecitudine per l’effettiva (e non sedicente) soddisfazione dei bisogni equivalga ad una agitazione contro il governo, poiché il popolo vede che i benefattori privati vogliono sinceramente aiutarlo, mentre i funzionari dello zar frenano, decurtano i soccorsi, vogliono far apparire meno grave il bi- sogno, ostacolano l’organizzazione di mense, ecc. Oggi la nuova circo- lare esige apertamente che tutte le sottoscrizioni e gli inviti a sottoscri- LA LOTTA CONTRO GLI AFFAMATI 217 vere, tutte le iniziative per l'organizzazione di mense « siano sottoposti al controllo delle autorità», esige che tutti quelli che arrivano «si pre- sentino » al governatore, non si scelgano dei collaboratori se non col suo permesso, gli rendano conto della loro attività! Chi vuole soccor- rere si sottometta ai funzionari di polizia e al sistema poliziesco di decurtazione di ogni genere di soccorsi e di sfacciata riduzione dei sussidi! Chi non vuole sottostare a questa infamia non osi agire: que- sta è tutta la sostanza della politica governativa. Il signor Sipiaghin grida che della carestia « approfittano volentieri, per i loro scopi criminali e sotto la maschera dell’aiuto al prossimo, persone politica- mente sospette », e dopo di lui tutta la stampa reazionaria lancia lo stesso grido d’allarme (ad esempio le Mos\ovsì{ic V iedomosti). Oh, cosa terribile! Approfittare della miseria del popolo per far della «politica»! Di fatto è invece terribile che in Russia ogni attività, anche l’attività filantropica (di beneficenza), la più lontana dalla poli- tica, conduca inevitabilmente uomini indipendenti ’ a urtare contro l’arbitrio poliziesco e contro misure di « repressione », di « interdi- zione », di « limitazione », ecc. tee. È terribile che il governo mascheri con considerazioni di alta politica la sua volontà di Giuda di togliere il pane di bocca aH’afFamato, di ridurre a un quinto il prestito, di proibire a tutti, fuorché ai funzionari di polizia, di avvicinarsi a coloro che muoiono di fame! E noi ripetiamo ancora una volta l’appello, già lan- ciato dall7/^rtf: iniziate un’opera di denuncia contro la campagna di approvvigionamento del governo di polizia, smascherate sulla stam- pa non censurata, libera, tutta l’infamia dei satrapi locali, tutta la tattica interessata di decurtazione dei sussidi, dite quanto miseri e insufficienti siano i soccorsi, quanto gretto sia il tentativo di sminuire gli effetti della carestia e vergognosa la lotta contro coloro che vogliono soccorrere gli affamati! Consigliamo a tutti quelli che provano almeno un briciolo di sincera solidarietà per il popolo colpito dalla sventura di impegnarsi a fargli conoscere largamente il vero significato e l’impor- tanza della circolare ministeriale. Difatti solo l’infinita ignoranza del popolo può spiegarci perchè sìmili circolari non suscitino immediata- mente l’indignazione generale. Gli operai coscienti, i quali sono più vicini di tutti ai contadini e alle masse urbane arretrate, si assumano dunque l’iniziativa di smascherare il governo! ì sk.ru t n. 9, ottobre 1901. RISPOSTA AL COMITATO DI PIETROBURGO Nel n. il della Rabociaia Mysl il comitato di Pietroburgo (del- r« Unione di lotta ») ha pubblicato una replica alla nota del n. i dei- Visura sulla scissione dell'« Unione dei socialdemocratici russi » aire- stero. Purtroppo questa replica evita accuratamente di toccare il noccio- lo della questione controversa : con questo metodo la polemica non por- terà mai a un chiarimento. Noi abbiamo detto insistentemente, e lo ri- petiamo, che nell'« Unione dei socialdemocratici russi » all’estero è av- venuta una scissione, che dopo che al congresso del 1900 una notevole minoranza, compreso il gruppo « Emancipazione del lavoro », fon- datore dell’* Unione» e già dirigente di tutte le sue edizioni, si era staccata dall'« Unione », Pe Unione» stessa si è scissa in due parti. Dopo la scissione nessuna delle parti è riuscita a occupare il posto che occupava un tempo la vecchia «Unione». Il comitato di Pie- troburgo non tenta di smentirlo parlando (non si sa perchè) del solo Plelchanov e non dell'organizzazione « socialdemocratica » e lasciando solo capire al lettore che il comitato di Pietroburgo nega, a quanto pare, resistenza della scissione e continua a considerare una delle parti delTex « Unione » come l’« Unione » stessa. A che scopo entrare in polemica quando non si vuole esaminare a fondo l’opinione dell’avversario e dire apertamente la propria ? E inoltre noi abbiamo insistentemente detto, e lo ripetiamo, che la causa essenziale (non il pretesto, ma la causa) della scissione è stato un contrasto di principio, e precisamente il dissenso fra la socialdemo- crazia rivoluzionaria e quella opportunistica. Per questo solo fatto, tra l'altro, non è più possibile considerare la scissione avvenuta nell*«U- nione dei socialdemocratici russi » all’estero se non come una scissione della vecchia «Unione». Ci si chiede: come vede questo problema il RISPOSTA AL COMITATO DI PIETROBURGO 219 comitato di Pietroburgo? È deciso questo comitato a negare resi- stenza di un profondo dissenso di principio fra le due parti dell’ex « Unione >? Non si sa, perchè il comitato di Pietroburgo ha trovato il modo di scrivere una « replica > senza dire nemmeno una parola su questo problema fondamentale. E noi chiediamo ancora una volta ai compagni di Pietroburgo, e non solo di Pietroburgo: non ce pericolo che una polemica che evita di andare al fondo delle cose degeneri nel più spiacevole alterco? Vale la pena in generale di iniziare una polemica se non si desidera o se si ritiene intempestivo esaminare a fondo il problema ed esprimere la propria opinione nel modo più franco e senza nessuna reticenza ? Is^ra, n. 9t ottobre 1901. LA SITUAZIONE ALL’ESTERO La sezione estera dell’organizzazione d tWlsf^ra si è fusa con l’or- ganizzazione rivoluzionaria all’estero del « Socialdemocratico » for- mando una sola organizzazione : la « Lega della socialdemocrazia ri- voluzionaria russa all’estero» 43 * La nuova organizzazione, come ri- sulta dalla dichiarazione da essa resa nota, intende iniziare la pub- blicazione di una serie di opuscoli di carattere propagandistico e di agi- tazione. La « Lega » è il rappresentante dcWIs^ra all’estero. Così l’or- ganizzazione dei socialdemocratici rivoluzionari all’estero, diretta dal gruppo « Emancipazione del lavoro », si è definitivamente fusa con l’organizzazione raggruppata attorno al nostro giornale. Come prima, il gruppo della « Emancipazione del lavoro » partecipa alla direzione delle nostre edizioni con una stretta collaborazione redazionale. L’unificazione delle organizzazioni socialdemocratiche rivoluzio- narie russe all’estero è avvenuta dopo che il tentativo di queste orga- nizzazioni di unirsi con l’« Unione dei socialdemocratici russi » alle- stero (che pubblica il Raboceie Dielo) era fallito. All’inizio dell’estate una conferenza dei rappresentanti delle tre organizzazioni aveva ela- borato un progetto di accordo, che aveva come piattaforma alcune risoluzioni di carattere ideologico in cui l’« Unione » dichiarava di ri- nunciare completamente a civettare con l’economismo e il bernstei- nismo e di accettare i principi della socialdemocrazia rivoluzionaria. Si poteva sperare che l’unificazione sarebbe avvenuta, perchè fino al- lora soltanto l’incertezza ideologica dell’« Unione » e del suo organo — il Raboceie Dielo — aveva sbarrato la strada aH’avvicinamento. Que- sta speranza non è stata appagata: il recente n. io del Raboceie Dielo contiene articoli redazionali che sono in netto contrasto con le risoluzioni elaborate con la partecipazione dei delegati dell’« Unione» LA SITUAZIONE ALL ESTERO 221 alla conferenza. Evidentemente l’« Unione » si è di nuovo spostata verso Pala destra del nostro movimento. Al congresso delle tre orga- nizzazioni, essa, infatti, ha presentato tali «emendamenti* alle sud- dette risoluzioni da dimostrare chiaramente di essere ricaduta nei precedenti errori. Le altre organizzazioni sono state costrette ad ab- bandonare il congresso. È evidente che per i nostri compagni delP« U- nione » non è ancora sufficientemente chiaro il pericolo che presenta la posizione intermedia fra il socialismo rivoluzionario e lopportuni- smo — che fa il giuoco dei liberali — presa dalla loro organizzazione. Noi speriamo che il tempo e Pamara esperienza faranno loro capire che seguono una tattica sbagliata. L'aspirazione, che si nota dovunque, di lavorare non solo per lo sviluppo in estensione del nostro movi- mento, ma anche per il suo sviluppo qualitativo è per noi la migliore garanzia che l’unificazione, tanto desiderata, di tutte le nostre forze si farà sotto la bandiera della socialdemocrazia rivoluzionaria, al cui servizio è il nostro giornale. Isf^ra, n. 9, ottobre 1901. NORME CARCERARIE E CONDANNA AI LAVORI FORZATI Altre «norme transitorie»! Questa volta non si tratta di studenti colpevoli di ribellione, ma di contadini colpevoli di aver fame. Il 15 settembre sono state sanzionate dall’autorità suprema, c subito dopo pubblicate, le Norme transitorie sulla partecipazione della popolazione delle zone colpite dalla carestia ai lavori intrapresi per disposizione dei dicasteri delle vie di comunicazione , dell agricoltura e del demanio. Quando conoscerà queste norme (naturalmente non perchè pubblicate nei giornali, ma perchè ne farà l’esperienza di per- sona), il contadino russo s’accorgerà che esse sono una nuova conferma della verità inculcatagli dal secolare asservimento ai grandi proprietari fondiari e ai funzionari: quando i superiori dichiarano solennemente che al contadino « si offre la possibilità di partecipare » a qualcosa di grande o piccolo, al riscatto della terra dei grandi proprietari fon- diari, per esempio, 0 ai 'lavori d’emergenza in occasione della carestia, bisogna aspettarsi qualche nuova piaga d’Egitto. Infatti le norme transitorie del 15 settembre dànno per il loro con- tenuto l’impressione di una nuova legge punitiva, di norme suppletive al codice penale. Innanzi tutto, la stessa organizzazione e direzione dei lavori sono impostati in modo così « circospetto » e burocratico che sembra si abbia a che fare con dei ribelli o dei galeotti e non con dei contadini. Organizzare dei lavori dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo: gli organismi degli zemstvo e di altro tipo ricevono mezzi e assumono operai per costruire una strada, diradare una foresta, ecc. Di solito i lavori di tal genere si fanno così. Ora invece si stabilisce un procedimento speciale: lo zems\i nacialnii \ NORME CARCERARIE E CONDANNA AI LAVORI FORZATI 223 propone i lavori da farsi, il governatore esprime la sua opinione, che viene presentata a Pietroburgo all’apposita « conferenza per gli ap- provvigionamenti », presieduta dal sottosegretario agli interni e com- posta dai rappresentanti dei vari ministeri. Inoltre, la direzione gene- rale è affidata al ministro, che può nominare anche dei suoi delegati. La conferenza di Pietroburgo stabilirà pure il massimo delle remune- razioni degli operai, per impedire, evidentemente, che il contadino «venga corrotto» da una paga troppo alta! È chiaro che le norme transitorie del 15 settembre hanno lo scopo di ostacolare un ampio sviluppo dei lavori d’emergenza, così come la circolare di Sipiaghin del 17 agosto ostacolava la distribuzione dei sussidi agli affamati. Ma ancor più importanti e assai più inique sono le disposizioni concernenti il sistema di assunzione dei contadini. Se i lavori si eseguono « fuori della loro zona di residenza » (così avverrà naturalmente nèll’immensa maggioranza dei casi), gli operai formeranno delle artel y che saranno sottoposte al controllo dello zem- stvi nacialni il quale convaliderà anche la nomina del capo dell’tfr- tely incaricato di mantenere lordine. Si guardino bene i contadini daH’eleggere essi stessi il capo dell 'artel come fanno abitualmente gli operai. I contadini vengono posti agli ordini di un « poliziotto» dello zemstvo armato di verga. Dei membri dell 'artel viene fatto un elenco che sostituisce i passaporti prescritti dalla legge... Invece dei passaporti personali vi saranno quindi gli elenchi delle artel. Perchè questa sosti- tuzione? Per limitare gli spostamenti del contadino che, con un pas- saporto personale, potrebbe sistemarsi più liberamente doVe gli facesse più comodo, nella nuova sede, e potrebbe più facilmente lasciare il lavoro se non ne fosse soddisfatto. Proseguiamo. «La cura di mantenere l’ordine durante il viaggio e di consegnare i gruppi di operai, forniti ai dirigenti dei lavori, è affidata a funzionari appositamente designati dal ministero degli in- terni ». Gli operai liberi ricevono un anticipo per il viaggio, i servi della gleba vengono « forniti » « a gruppi » secondo un elenco e « con- segnati » da appositi funzionari. Non hanno forse ragione i contadini di vedere nei lavori « pubblici » e demaniali una nuova servitù della gleba? E difatti la legge del 15 settembre fa dei contadini affamati dei servi della gleba, e non solo perchè toglie loro la libertà di spostarsi. La legge concede ai funzionari il diritto di trattenere una parte det 22 4 LENIN salario per spedirla alle famiglie degli operai, se ciò sarà ritenuto necessario dalle « autorità governatoriali delle località ove sono rimaste le famiglie». Del denaro guadagnato si disporrà senza un accordo con gli stessi operai! Il contadino è sciocco: non sa aver cura della propria famiglia. Le autorità sanno farlo molto meglio: chi ignora con quanta premura, in realtà, esse si sono occupate delle famiglie contadine nelle colonie militari? Ma è un guaio: sembra che oggi i contadini non siano più cosi docili come ai tempi delle colonie militari. E se esigessero che si diano loro passaporti normali, che non si osi, senza il loro consenso, tratte- nere il denaro che hanno guadagnato? In questo caso bisogna essere ancora più severi, e un articolo della legge stabilisce che « sul luogo di lavoro il mantenimento debordine da parte degli operai viene affidato, per disposizione del ministro degli interni, agli zemsfye nacìalni\i locali, a ufficiali del corpo speciale dei gendarmi, a funziona- ri di polizia o a persone appositamente designate ». È chiaro che il governo considera a priori i contadini affamati come dei « rivoltosi », stabilendo, oltre alla usuale sorveglianza di tutta la polizia russa su tutti gli operai russi, un’altra rigorosissima sorveglianza. Si è deciso a priori di trattare il contadino con un pugno di ferro perchè ha osato « esagerare » la portata della carestia e ha presentato (come si esprime Sipiaghin nella sua circolare) « al governo rivendicazioni del tutto ingiustificate ». Per non aver la seccatura di ricorrere al tribunale nel caso in cui si manifesti qualche malcontento tra gli operai, le norme transitorie conferiscono -ai funzionari il diritto di porre gli operai agli arresti fino a tre giorni, senza procedimento giudiziario , per indisciplina, per poca coscienziosità nel lavoro, per inadempienza degli ordini!! L’operaio libero deve essere deferito al giudice di pace, davanti al quale può di- fendersi e contro la cui decisione può appellarsi; il contadino affamato, invece, può essere messo in prigione senza nessun processo! L’operaio libero, per scarsa diligenza nell’esecuzione del lavoro, può essere solo licenziato, mentre la nuova legge dispone che il contadino affamato, se « rifiuta ostinatamente di lavorare », sia rimpatriato sotto scorta, in- sieme ai ladri e ai banditi! Le nuove norme transitorie sono delle vere norme carcerarie, nor- me miranti a far lavorare gli affamati privandoli di ogni diritto, perchè hanno avuto l’improntitudine di chiedere alle autorità di soc- NORME CARCERARIE E CONDANNA AI LAVORI FORZATI 22 5 correrli. Il governo non si è limitato a togliere allo zemstvo la direzione degli approvvigionamenti, a proibire ai privati di organizzare mense senza il permesso della polizia, a disporre che fosse ridotta a un quinto la reale entità del bisogno, ma dichiara anche che i contadini sono privi di diritti e ordina di punirli senza processo. Alla galera della vita quotidiana, che condanna gli uomini alla fame perpetua e ad un lavoro estenuante, si aggiunge ora la minaccia della galera, dei lavori d’emergenza. Sono questi i provvedimenti che il governo ha preso per i conta- dini. Quanto agli operai, l'atteggiamento nei loro confronti è caratte- rizzato nel modo più palese dall’atto di accusa, pubblicato nel numero precedente del nostro giornale sui tumulti di maggio nellofficina Obu- khov. L’ ìs\ra ha già scritto sull’argomento nei numeri di giugno e di luglio. Sul processo la nostra stampa legale ha taciuto, memore, evi- dentemente, del fatto che anche nei riguardi dellarcibenpensante ATo- voie Vremia « si erano presi provvedimenti » per avere questo giornale tentato di affrontare questo tema. I giornali se la sono sbrigata con un paio di righe, in cui si diceva che il processo si era svolto alla fine di settembre; poi, in un giornale del sud è stato casualmente comuni- cato il verdetto: due condanne ai lavori forzati e otto assolti, per gli altri la detenzione e la compagnia di disciplina per periodi da due a tre anni e mezzo. Quindi, nell’articolo Un nuovo eccidio (n. 5 dell 'ìs\ra*) abbiamo dato dello spirito di rappresaglia del governo russo un apprezzamento troppo moderato. Pensavamo che avesse fatto ricorso alla repressione militare come ultimo mezzo di lotta, non volendo rivolgersi al tri- bunale. Risulta che ci si è valsi dei due mezzi: dopo le violenze con- tro la folla e lassassimo di tre operai su poche migliaia di persone, 37 uomini sono stati arrestati e condannati a pene draconiane. L'atto di accusa lascia capire abbastanza bene come sono stati fatti gli arresti e le condanne, come sono stati denunciati quali capi e istiga- tori An. Iv. Iermakov, Efr. Step. Dakhin e An. Iv. Gavrilov. L’atto di accusa afferma che Iermakov aveva dei manifestini in casa (secondo le affermazioni di Mikhailova, donna di servizio nello spaccio statale di alcoolici, non citata in tribunale in qualità di teste), che egli parlava di lotta per la libertà politica ed era andato il 22 aprile sulla prospet- * Cfr., nel presente volume, pp. 17-22 (JV. d. R.). 15 ~ 754 22Ó LENIN tiva della Neva portando una bandiera rossa. Si sottolinea poi che anche Gavrilov aveva e diffondeva manifestini che invitavano a partecipare alla manifestazione del 22 aprile. Circa Pimputata Iako- vleva, si dice anche che avrebbe partecipato non si sa a quali riunioni segrete. È fuori dubbio che il procuratore ha così cercato di presentare come istigatori proprio gli uomini nei quali la polizia investigativa sospettava dei militanti politici. Il carattere politico della cosa risulta dal fatto che la folla gridava: «Vogliamo la libertà! », e tutto questo va messo in rapporto col Primo maggio. Tra parentesi, il licenziamento di ventisei operai per « assenza ingiustificata » nel giorno del Primo maggio ha fatto scoppiare Pincendio, ma il procuratore, s'intende, non ha fatto parola sull’ illegalità di quei licenziamenti! La cosa è chiara. Sono state arrestate e citate in giudizio le persone sospette di essere dei nemici politici. La polizia investigativa ha pre- sentato gli elenchi. E i poliziotti, naturalmente, « hanno testimoniato » che quelle persone si trovavano tra la folla, avevano lanciati dei sassi e si erano distinte fra tutte le altre. Il processo è servito a mascherare il secondo (dopo Peccidio) atto di rappresaglia politica. Ed è stato mascherato in modo infame: si è ac- cennato alla causa politica per aggravare il reato, ma non si è permesso di spiegare in quale atmosfera politica si erano svolti gli avvenimenti. Gli imputati sono stati processati come deliquenti comuni in base alPart. 263 del codice penale, ossia per « insurrezione aperta contro le autorità costituite» e, per di più, per rivolta armata (?). L’accusa è stata artefatta : la polizia aveva ordinato ai giudici di esaminare solo un aspetto della questione. Osserviamo che in base agli articoli 263-265 del codice penale si può appioppare la galera per ogni manifestazione: «insurrezione aperta nell’intento di non permettere l’esecuzione di disposizioni e provvedimenti prescritti dal governo », anche se gli « insorti » non fos- sero armati e non compissero atti palesi di violenza! Le leggi russe largheggiano nellappioppare la galera! È giunto per noi il momento di far sì che ognuno di questi processi sia trasformato dagli stessi accusati in un processo politico affinchè il governo non osi mascherare la sua rappresaglia con la commedia del reato comune! E quale « progresso » nella stessa procedura giudiziaria in con- fronto, per esempio, al 1885! Allora i tessili della fabbrica Morozov furono giudicati da giurati; i giornali pubblicarono i resoconti com- NORME CARCERARIE E CONDANNA AI LAVORI FORZATI 227 pleti; gli operai chiamati a testimoniare svelarono davanti al tribunale tutte le ignominie commesse dal fabbricante. E ora, invece? Tribu- nali di funzionari con rappresentanti dei ceti che non apron bocca, dibattimento a porte chiuse , silenzio completo della stampa, falsi te- stimoni: dirigenti dell’officina, guardiani, poliziotti che hanno pic- chiato gli operai, soldati che hanno sparato sugli operai. Quale infame commedia! Si confronti il « progresso » che si è avuto nelle rappresaglie contro gli operai fra il 1885 e il 1901 e nella lotta contro gli affamati fra il 1891 e il 1901 e si avrà una idea abbastanza chiara della rapidità con cui dilaga in profondità ed estensione l’indignazione tra il popolo e la « so- cietà », della rabbia con cui il governo comincia a dimenarsi « dando addosso » sia ai benefattori privati che ai contadini, terrorizzando gli operai con le condanne ai lavori forzati. No, la galera non terrorizzerà gli operai, i cui capi non hanno avuto paura di morire in uno scontro di strada con gli scherani zaristi. Il ricordo dei nostri eroici compagni uc- cisi e torturati nelle prigioni decuplicherà le forze dei nuovi combat- tenti e farà accorrere in loro aiuto migliaia di simpatizzanti, i quali, co- me la diciottenne Marfa Iakovleva, diranno francamente: « Noi siamo dalla parte dei nostri fratelli! ». Il governo, oltre alla repressione po- liziesca e militare contro 'i dimostranti, intende anche processarli per il delitto di insurrezione; noi risponderemo unendo tutte le forze rivo- luzionarie, attirando dalla nostra parte tutti gli oppressi dall’arbitrio zarista e preparando sistematicamente l’insurrezione di tutto il popolo! Iskra, n. io, novembre 1901. 15 * RASSEGNA DI POLITICA INTERNA Scritto nell'ouobre 1901. Pubblicato per In prima volta nel dicembre iqot, nella Zafra, n. 2-3. Firmato: T. KH. I La carestia “ Di nuovo la carestia! Non solo la rovina, ma addirittura restri- zione dei contadini russi procedono da dieci anni con sorprendente rapidità, e, probabilmente, nessuna guerra, per quanto lunga e acca- nita, ha mai falciato un così grande numero di vittime. Contro il contadino si sono unite le forze più potenti dellepoca attuale: il capitalismo mondiale in sempre più rapido sviluppo, che ha creato la concorrenza d’oltreoceano e fornito alla piccola minoranza di agri- coltori che riescono a sopravvivere nella lotta disperata per resistenza mezzi di produzione e strumenti più perfezionati; e lo Stato militare, che conduce una politica di avventure nei suoi domini coloniali, in Estremo Oriente e nell’Asia centrale, che fa ricadere tutti gli oneri schiaccianti di questa politica, enormemente costosa, sulle masse ope- raie, e per giunta appronta, con il denaro del popolo, sempre nuove batterie per la « repressione » e l’« imbrigliamento » poliziesco del malcontento e deirindignazione crescenti delle masse. Dopo che la carestia è diventata da noi un fenomeno normale, era naturale attendersi che il governo avrebbe cercato di definire e con- cretizzare la sua politica nel campo degli approvvigionamenti. Se nel 1891-1892 il governo fu colto alla sprovvista e aH’inizio si smarrì non poco, adesso è più ricco di esperienza e sa con certezza dove (e come) andare. « In questo momento — scriveva Visura in luglio (n. 6) — sul popolo del nostro paese avanzano nembi forieri di sventura, e il governo si prepara a esercitare nuovamente la sua funzione ignomi- niosa di forza spietata, che non permette di fornire un tozzo di pane 2^2 LENIN alla popolazione affamata, che punisce ogni ” assistenza ” agli affamati la quale non rientri nelle vedute delle autorità ». J preparativi del governo sono stati molto rapidi e molto risoluti. Con quale spirito sono stati fatti, lo ha dimostrato a sufficienza la sto- ria di Ielisavetgrad. Il principe Obolenski, capo del governatorato di Kherson, ha dichiarato subito guerra a tutti coloro che erano stati tanto temerari da scrivere e parlare della carestia a Ielisavetgrad, da fare appello alla « società » perchè soccorresse gli affamati, da organiz- zare dei gruppi e invitare i privati a organizzare questo soccorso. I medici dello zemstvo hanno scritto sui giornali che nel distretto c’è la carestia, che la gente si ammala e muore, che il « pane » di cui essa si ciba è qualcosa di impossibile, che non merita nemmeno di essere chiamato pane. Il governatore entra in polemica con i medici degli zemstvo e pubblica smentite ufficiali. Chi conosce, sia pure più o meno bene, le condizioni generali in cui si trova la nostra stampa, chi si prende la pena di ricordare la feroce persecuzione che hanno subito negli ultimi tempi giornali molto moderati e scrittori ancor molto ma molto più moderati, capirà che cosa significa questa « po- lemica » del capo di un governatorato contro certi medici dello zem- stvo, che non sono nemmeno impiegati statali! Si è loro semplicemente tappata la bocca, si è dichiarato nel modo più aperto e esplicito che il governo non tollererà che si dica la verità sulla carestia. Macché dichia- rato! Forse qualcun altro, ma non certo il governo russo, può essere rimproverato di limitarsi a dichiarazioni quando^ esiste la possibilità di « far uso del potere ». E il principe Obolenski non ha tardato a farne uso presentandosi personalmente sul teatro della guerra — la guerra contro gli affamati e contro coloro che, senza appartenere a nes- sun ente governativo, volevano veramente soccorrere gli affamati — e vietando ad alcuni privati (fra cui la signora Uspenskaia) già arrivati nella città, di organizzare delle mense. Come Giulio Cesare, il prin- cipe Obolenski venne, vide, vinse, e i telegrammi hanno immediata- mente annunciato questa vittoria a tutta la Russia che legge. Una cosa sola stupisce: che questa vittoria, questa sfida impudente a tutti gli uomini russi ai quali è rimasto sia pure un minimo di onestà, sia pure un minimo di coraggio civile, non abbia avuto nessuna risposta da parte delle persone, se così ci si può esprimere, più interessate. Nel governatorato di Kherson moltissimi sapevano e sanno senza dubbio il perchè, anche se tenuto segreto, di questo silenzio sulla carestia e RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 2 33 della lotta contro il soccorso agli affamati, ma nessuno ha pubblicato nè ['esposizione di questo edificante fatto, nè i documenti ad esso ine- renti e neppure il semplice invito a protestare contro il mostruoso divieto di organizzare delle mense. Gli operai organizzano uno scio- pero quando il governo attua la sua minaccia di licenziare coloro che «si sono assentati senza giustificazione» il Primo maggio; la società intellettuale tace quando si proibisce ai suoi rappresentanti... di soc- correre gli affamati. Come incoraggiato dal successo di questo primo scontro con i « mestatori » che osano soccorrere gli affamati, il governo è passato ben presto all’attacco su tutta la linea. Il valoroso gesto del principe Obo- lenski viene elevato a principio ispiratore, a legge che d’ora in poi regolerà i rapporti fra tutti gli amministratori e tutti coloro che fa- voreggiano gli approvvigionamenti (la parola « favoreggiare » è, in so- stanza, un termine usato per ì delinquenti, fatto apposta per il nostro codice penale, ma abbiamo già visto e vedremo più avanti che attual- mente il soccorso agli affamati, non permesso dalle autorità, rientra in- teramente nel concetto di reato comune). Una legge simile è venuta subito dopo, e questa volta nella forma semplificata di una «circolare del ministro degli interni ai capi dei governatorati colpiti dalla care- stia del 1901 » (17 agosto 1901, n. 20). Questa circolare resterà a lungo come memorabile testimonianza delle colonne d’Èrcole a cui può giungere la paura della polizia di fron- te alla spaventosa sciagura che ha colpito il popolo, aH’avvicinamento tra gli affamati e gli « intellettuali » che li soccorrono, paura che si ac- compagna alla ferma intenzione di soffocare ogni « chiasso » sulla care- stia e di limitare al massimo l’assistenza. C’è solo da lamentare che la prolissità della circolare e il suo pesante stile burocratico impediranno al più largo pubblico di prenderne conoscenza. È noto che la legge del 12 giugno 1900 ha sottratto alla competenza degli zemstvo gli approvvigionamenti per affidarli agli zemsfye nacial- nikj e ai congressi distrettuali. Parrebbe che non ci debba essere nulla di più sicuro: eliminato l’elemento eletto, il lavoro sarà di- retto da persone dipendenti quasi del tutto dalle autorità che, quin- di, non faranno chiasso. Ma dopo l’attacco del principe Obolenski tutto ciò è sembrato ancora poco: occorre che tutta l’attività sia stret- tamente subordinata al ministero e direttamente ai funzionari che ne eseguono gli ordini, bisogna che la possibilità di ogni esagerazione 2 34 LENIN sia definitivamente eliminata. Perciò a decidere quali sono i distretti in cui « il raccolto è stato cattivo » sarà d ora in poi esclusivamente il ministero stesso*, presso il quale si organizzerà evidentemente lo stato maggiore generale delle operazioni militari contro gli affa- mati. E attraverso i signori governatori questo stato maggiore dirigerà l’attività delle persone (marescialli distrettuali della nobiltà, soprat- tutto) nelle cui mani è accentrata la « direzione distrettuale centrale degli approvvigionamenti ». Il principe Obolenski, iniziatore delle operazioni militari contro gli affamati, ha dovuto recarsi egli stesso sul posto per reprimere, frenare e ridurre. Ora tutto è « regolato », e per « disporre» basterà un semplice scambio di telegrammi (tanto più che per le spese di ufficio è già stato assegnato un migliaio di rubli per distretto) tra le direzioni «distrettuali centrali» e quelle centrali di Pietroburgo. Il civile grande proprietario fondiario descritto da Turgheniev non solo non metteva piede nella scuderia, ma si limitava a un osservazione fatta a mezza voce al lacchè in marsina e guanti bianchi: «Quanto a Fiodor... disponete!». Così anche da noi ora, « senza chiasso », con aristocratico distacco, « disporranno » di mettere un freno agli smodati appetiti della popolazione affamata. E che il signor Sipiaghin sia convinto della smodatezza degli ap- petiti del contadino affamato lo si vede dalPinsistenza con la quale la circolare non solo mette in guardia contro le « esagerazioni », ma crea decisamente sempre nuove norme per eliminare la stessa eventualità delle esagerazioni. Non affrettatevi a redigere gli elenchi dei bisognosi, ciò suscita « speranze esagerate » fra la popolazione, dice apertamente il ministro, e ordina di preparare gli elenchi solo alla vigilia della distribuzione di grano. Inoltre la circolare trova superfluo indicare quando bisogna riconoscere che un distretto è stato colpito dalla ca- • Si può vedere come il ministero risolva questo problema daH*esempio della pro- vincia di Pcrm. Gli ultimi numeri dei giornali scrivono che questo governatorato con- tinua ad essere considerato come un governatorato con un « buon raccolto », benché la carestia da cui è colpito (secondo i dati deH'assemblea straordinaria dello zemstvo di governatorato tenutasi il io ottobre) sia ancor più grave di quella del 1898. Il raccolto dei cereali c appena il 58 % del raccolto medio, e nei distretti di Sciadrinsk e di Irbitsk il 36 e 34 %. Nel 1898 furono distribuiti dal governo (senza contare i mezzi locali) un milione e mezzo di pud di cereali e oltre 250.000 rubli. Ora invece 10 zemstvo non ha mezzi, ha diritti limitati, la carestia è molto più grave di quella del 1898, i prezzi del grano hanno cominciato a salire fin dal i* luglio , i contadini vendono già il bestiame, e il governo, nonostante tutto questo, considera ostinatamene 11 governatorato come un governatorato con « un buon raccolto » ! RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 2 35 restia, ma per contro fissa con precisione quando non bisogna farlo (per esempio quando non più di un terzo della volost è stato colpito, quando abitualmente esistono occupazioni ausiliarie, ecc.). Infine, circa le norme per i sussidi agli affamati, il ministro ne scodella talune che dimostrano anche ai ciechi che il governo vuole a qualunque costo ridurre questi soccorsi fino airimpossibile e cavarsela con delle elemosine che non salvaguardano in alcun modo la popolazione dal- l’estinzione. Difatti: la norma è di 48 pud per famiglia (calcolata in base al raccolto medio in quel determinato villaggio); chi non ne ha di meno non è bisognoso. Come è stata ottenuta questa cifra, non si sa. Si sa soltanto che in un’annata non di carestia anche i contadini più poveri consumano il doppio di grano (cfr. le indagini statistiche degli zemstvo sui bilanci contadini). Secondo gli ordini del signor ministro, la sottoalimentazione è quindi considerata un fenomeno nor- male. Ma anche questa norma, in primo luogo, è ridotta a metà affinchè l’elemento operaio, che costituisce circa la metà della popola- zione, non possa ricevere sussidi, e, in secondo luogo, ancora di 1/3- 1/5-1/10 «tenendo conto del numero approssimativo degli agricoltori agiati che hanno una riserva dell’anno prima o qualche (proprio così: «0 qualche»!!] risorsa materiale». Si può giudicare in che misera frazione del quantitativo di grano effettivamente mancante alla popo- lazione dovrà essere espresso il soccorso che il governo intende pre- stare! E, come compiacendosi della propria impudenza, il signor Si- piaghin, dopo aver esposto questo inverosimile sistema di decurtazione dei prestiti, dichiara che da questo calcolo approssimativo « raramente risulta una qualche esagerazione considerevole ». I commenti sono naturalmente superflui. Le dichiarazioni ufficiali del governo russo, quando oltre alle nude disposizioni vi è un tentativo di dare di queste ultime una qualche spiegazione, contengono quasi sempre — è, nel suo genere, una legge molto più stabile della maggioranza delle nostre leggi — due motivi o due tipi fondamentali di motivi. Da un lato, trovate immancabil- mente alcune frasi generiche che proclamano in forma enfatica il pa- ternalismo dei governanti, il loro desiderio di tener conto delle esi- genze dei tempi e delle aspirazioni dell’opinione pubblica. Ad esempio, si parla dell V importanza di prevenire la penuria di derrate tra la popolazione agricola », della « responsabilità morale per il benessere della popolazione locale», ecc. È facile comprendere che questi luoghi LENIN 236 comuni, in sostanza, non vogliono dir niente e non impegnano a nulla di positivo; sono però simili, come due gocce d'acqua, agli immortali discorsi deH’immortale Iuduscka Golovliov 45 , che faceva sermoni ai contadini da lui spogliati. Tra parentesi, di questi luoghi comuni si serve sempre (in parte per ingenuità, in parte per « dovere d’ufficio ») la stampa liberale sottoposta a censura per costatare che il governo è in principio solidale col suo punto di vista. Ma se considerate con più attenzione gli altri motivi degli ordini del governo, non cosi generali e non così evidentemente privi di con- tenuto, troverete sempre delle spiegazioni concrete che ripetono alla lettera gli argomenti di cui si servono costantemente gli organi più reazionari della nostra stampa (per esempio le Mos\ovs\ie Viedomo- sti ). Seguire e rilevare in ogni singolo caso questa solidarietà del go- verno con le Mos\ovsf{ie V iedomosti sarebbe, a nostro parere, un lavoro non inutile (e non del tutto impossibile anche per i militanti legali). Nella circolare esaminata, per esempio, vedremo che si ripe- tono le più infamanti accuse, provenienti dai più « barbari grandi pro- prietari fondiari », secondo cui la prematura compilazione degli elenchi dei bisognosi susciterebbe « la tendenza di alcuni agricoltori agiati a far apparire la loro azienda, vendendo sia le riserve e le eccedenze che le scorte, in uno stato di impoverimento ». Il ministro dice che ciò « è stato dimostrato dall’esperienza delle precedenti campagne d’ap- provvigionamento ». Quindi? Quindi il ministro attinge la sua espe- rienza politica dagli insegnamenti dei più accaniti schiavisti, che tanto chiasso fecero nei precedenti anni di carestia, tanto ne fanno oggi sugli inganni cui ricorrono i contadini, e sono tanto indignati per il « chias- so » che si fa a proposito deirepidemia di tifo dovuta zlla carestia. Il signor Sipiaghin ha imparato dagli stessi schiavisti a parlare di demoralizzazione: «È molto importante — egli scrive — che gli organismi locali.... contribuiscano a risparmiare i mezzi assegnati e soprattutto \sic!] prevengano i casi, che hanno una influenza nociva e demoralizzante, di distribuzione ingiustificata di sussidi governa- tivi a persone agiate ». E questa vergognosa disposizione, che invita a contribuire al risparmio dei mezzi, è rafforzata dalla seguente rac- comandazione: « ...una larga distribuzione di soccorsi alimentari a fa- miglie che possono farne a meno » (che possono cavarsela con 24 pud di grano allanno per famiglia?), «indipendentemente dal fatto che le spese delPerario sono in questi casi improduttive [!], ha, per le RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 237 eventuali conseguenze nefaste di questo sistema nell’avvenire, una im- portanza non meno nociva, dal punto di vista degli interessi e dei bisogni dello Stato, della privazione della dovuta assistenza ai veri bisognosi». Nei tempi andati i monarchi di cuor tenero dicevano: « Meglio assolvere dieci colpevoli che condannare un innocente ». Adesso invece il più vicino collaboratore dello zar dice: non è meno nocivo dare un sussidio ad una famiglia la quale può cavarsela con 24 pud di grano all’anno che lasciare senza sussidio i « veri » bisognosi. Peccato che questo « punto di vista degli interessi e dei bisogni dello Stato», eccellente per la sua franchezza, si perda per il grosso pubblico in una lunghissima e noiosissima circolare! Ma vi è una speranza: forse la stampa socialdemocratica e l’agitazione orale so- cialdemocratica faranno conoscere più da vicino al popolo il contenuto della circolare ministeriale. La circolare « attacca » con particolare risolutezza i benefattori privati: tutto indica che le autorità, scese in guerra contro gli affamati, considerano i gruppi assistenziali privati, le mense private, ecc. co- me la posizione più importante del « nemico ». Il signor Sipiaghin, con elogiabile franchezza, spiega perchè questa beneficenza privata turbi da tempo il sonno del ministero degli interni. « A cominciare dalla carestia del 1891 e 1892, e in tutte le successive calamità dello stesso genere, — dice la circolare, — si è spesso riscontrato che certi benefattori, mentre prestano un soccorso materiale agli abitanti delle località colpite, cercano di suscitare tra essi del malcontento contro l’ordinamento esistente ed esigenze del tutto ingiustificate verso il governo. Inoltre il non completo soddisfacimento dei bisogni, le ma- lattie inevitabili in tali circostanze e il dissesto economico creano un terreno molto propizio per Pagitazione antigovernativa, di cui profit- tano volentieri, per i loro scopi criminosi e sotto la maschera dell’aiuto al prossimo, persone politicamente sospette. Attualmente, fin dalle prime notizie di una carestia di notevoli proporzioni, persone con un passato politico non irreprensibile arrivano da tutte le parti nella zona colpita, cercano di entrare in contatto con i delegati delle società e degli istituti di beneficenza arrivati dalle capitali e vengono da questi, che nulla sanno, assunte come impiegati sul posto, il che crea grosse difficoltà per l'amministrazione e per il mantenimento delPordine ». Bisogna proprio dire che il governo russo non si trova a suo agio 2 J8 LENIN in terra russa. Vi fu un tempo in cui la gioventù studentesca era considerata un ambiente da controllare in modo particolare: per essa era stata istituita una sorveglianza particolarmente rigorosa, i contatti con essa da parte di chiunque avesse un passato politico non irre- prensibile venivano ascritti a grave colpa, tutti i circoli e le società, anche se perseguivano solo fini di assistenza materiale, erano sospettati di scopi antigovernativi, ecc. A quei tempi — e non sono tempi molto lontani — non esisteva uno strato e tanto meno una classe che costi- tuisse agli occhi del governo « un terreno molto propizio per l’agita- zione antigovernativa ». Ma, incominciando dalla metà degli anni no- vanta, vedete che nei comunicati ufficiali del governo già si parla di un’altra classe della popolazione, infinitamente più numerosa, che ri- chiede un particolare controllo: gli operai delle fabbriche. Lo sviluppo del movimento operaio ha spinto a creare tutto un sistema di organi addetti alla sorveglianza del nuovo elemento turbolento; nell’elenco delle località proibite come luoghi di residenza alle persone politica- mente sospette si sono aggiunti, accanto alle capitali e alle città uni- versitarie, i centri industriali, le borgate operaie, distretti e interi governatorati *. Due terzi della Russia europea sono così protetti in modo particolare dagli elementi sospetti, mentre il restante terzo è così popolato da una massa di « persone con un passato politico non irreprensibile » che anche la più remota provincia diventa agitata **. Adesso risulta, secondo l’autorevole giudizio di una persola compe- tente come il signor ministro degli interni, che anche il più remoto villaggio costituisce un « terreno propizio » per l’agitazione antigover- nativa, giacche vi sono dei casi di non completo soddisfacimento dei bisogni, di malattie, di dissesto economico. Ma sono forse molti i villaggi russi dove questo genere di « casi » non sia un fenomeno costante? E non dobbiamo noi, socialdemocratici russi, sfruttare im- mediatatftente questo « terreno propizio » che il signor Sipiaghin, buon istruttore, ci indica? Proprio ora nelle campagne, da una parte, ci * Cfr., per esempio, la circolare segreta, pubblicata nel n. 6 dell 'ìskya, sull’espul- sione da Pietroburgo di uomini, in gran parte scrittori, molti dei quali non erano mai stati coinvolti in nessun processo politico in generale, e in nessun processo « operaio » in particolare. Nondimeno ad essi non soltanto è stato proibito di risiedere nelle città universitarie, ma anche nelle «località industriali», e per alcuni la proibizione riguarda soltanto le località industriali, •* Leggete, per esempio, le corrispondenze nei nn. 6 c 7 dell 'Isk.ro c vedrete come il fermento sociale e le « dimostrazioni » antigovernative si siano estesi anche in città protette da dio come Penza, Sinfìropoli, Kursk, ecc. RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 239 si interessa alle voci giunte, chissà quando e chissà come, sugli scontri di febbraio e marzo che il proletariato urbano e la gioventù intellet- tuale hanno avuto con gli scherani del governo, e, d’altra parte, qual- siasi frase sulle « esigenze del tutto ingiustificate » del contadino ecc. non offre forse un ricchissimo programma per una più larga e multi- forme agitazione? L’utile indicazione del signor Sipiaghin dev’essere da noi sfruttata, mentre la sua ingenuità fa ridere. È veramente il colmo dell’ingenuità immaginare che, se si sottopone la beneficenza privata alla sorveglianza e al controllo del governatore, sia più difficile, per le persone « so- spette », influenzare le campagne. I veri benefattori non si sono mai posti scopi politici, sicché le nuove misure repressive e oppressive rica- dranno soprattutto su coloro che sono i meno pericolosi per il governo. Coloro, invece, che vogliono aprire gli occhi ai contadini sul significato delle* nuove misure e sulPatteggiamento del governo verso la carestia in generale, non avranno certamente bisogno di entrare in contatto con i rappresentanti della Croce Rossa o di presentarsi ai signori governatori. Quando, per esempio, è stato dimostrato che l’ambiente di fabbrica e di officina era un terreno « propizio », coloro che vole- vano avvicinarsi a questo ambiente entrarono forse in contatto con i dirigenti delle fabbriche per conoscere gli ordinamenti ivi vigenti, e si presentarono forse ai signori ispettori di fabbrica per ricevere il permesso di organizzare riunioni con gli operai? Noi, naturalmente, non dimentichiamo nemmeno per un istante che [agitazione politica tra i contadini presenta enormi difficoltà, tanto più che sarebbe im- possibile e irrazionale allontanare delle forze rivoluzionarie dalle città, ma non dobbiamo neppure perdere di vista che atti governativi quali la persecuzione della beneficenza privata eliminano una buona metà di queste difficoltà e ci esonerano da una metà del lavoro. Non ci soffermeremo su quell’« inezia » che è — in confronto alla circolare esaminata — la circolare dello stesso ministro sul rafforza- mento della sorveglianza sui concerti, sugli spettacoli di beneficenza, ecc. (cfr. Is\ra, n. 9, Nuovi ostacoli ). Proviamoci a esaminare in quale proporzione il soccorso che ver- rebbe destinato e distribuito dal governo alla popolazione secondo le nuove norme coprirebbe il reale bisogno. È vero, i dati in merito sono estremamente scarsi. La stampa è ora tenuta a freno fino alPimpossi- 2^0 LENIN bile, e con il « divieto » dell’attività degli organizzatori privati di mense anche questa voce si è spenta, e il pubblico russo, sbalordito dai nuovi rigori, viene informato soltanto dalle note ufficiali della polizia sul fa- vorevole andamento della campagna degli approvvigionamenti, da un articoletto nello stesso spirito delle Mos\ovsì{ie V iedomosti y e ancora, dalle conversazioni — pubblicate di tanto in tanto — di un ozioso cro- nista con questo o quel despota che espone, dandosi grandi arie, dei « concetti sull’unità di pensiero dei capi delle città e così pure sul potere personale di costoro e su altro » *\ Per esempio il Novoie V remia scrive, nel n. 9.195, che il governatore di Saratov (già di Arcangelo), A. P. Engelhardt, aveva ricevuto un collaboratore del giornale locale e gli aveva detto, tra l’altro, che egli, il governatore, aveva organizzato personalmente sul posto una riunione dei marescialli della nobiltà e dei rappresentanti della Croce Rossa e « aveva distribuito gli inca- richi ». «Lo scorbuto — dice Engelhardt — , nella forma in cui l’ho visto nel governatorato di Arcangelo, qui non c’è: là bisogna restar lontano almeno cinque passi dal malato che veramente ” marcisce qui esso è invece soprattutto dovuto alla grave anemia sviluppatasi in seguito alle terribili condizioni della vita familiare. Le labbra esangui, le gengive bianche sono qui quasi gli unici sintomi del morbo... Con una regolare alimentazione esso guarisce in una settimana. Adesso si pro- cede a questa supernutrizione. In generale si distribuiscono mille ra- zioni al giorno, benché non siano state registrate più di 400 persone estremamente bisognose. « Oltre allo scorbuto, in tutta la zona sono stati denunciati solo tre casi di tifo. C’è da sperare che le cose non vadano più lontano, perchè sono già stati iniziati dappertutto dei lavori pubblici e la popolazione ha un guadagno garantito ». Che quadro soddisfacente: in tutto il distretto di Khvalinsk (del quale parla il signor despota) le persone estremamente bisognose sono soltanto 400 (le altre, probabilmente, « possono cavarsela », secondo l’opinione dei signori Sipiaghin e Engelhardt, anche con 24 pud di grano all’anno per famiglia!), la popolazione è già garantita del necessario, e gli ammalati guariscono in una settimana. Come non credere dopo di ciò alle Moskpvs\ie V iedomostiy che in un articolo' di fondo (n. 258) ci vogliono far credere che « secondo le ultime notizie pervenute dai dodici governatorati colpiti dalla carestia, ivi RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 241 ferve il lavoro dell amministrazione per organizzare l assistenza. In molti distretti sono già state svolte le indagini per sapere dove real- mente vi è penuria di derrate, vengono nominati i dirigenti locali per gli approvvigionamenti, ecc. Evidentemente le autorità governative fanno tutto il possibile per soccorrere in tempo e in misura sufficiente la popolazione ». « Ferve il lavoro », e « non sono state registrate più di 400 persone estremamente bisognose»... Nel circondario di Khvalinsk la popo- lazione agricola è di 163.000 persone e si distribuiscono un migliaio di razioni. Il raccolto della segala è stato quest’anno, in tutta la zona sud-orientale (compreso il governatorato di Saratov) del 34% minore di quello normale: nel governatorato di Saratov la carestia ha colpito totalmente il 15 % (secondo i dati del consiglio dello zemstvo del go- vernatorato), e in misura non grave il 75%, di tutti i seminativi conta- dini (1.500.000 desiatine). Ora, il circondario di Khvalinsk, insieme a quello di Kamiscino, è compreso fra i distretti più colpiti del go- vernatorato di Saratov. Quindi il raccolto del grano nel distretto di Khvalinsk è in complesso non meno del 30 % inferiore a quello nor- male. Ammettiamo che la metà di questa percentuale ricada sui conta- dini agiati, non ancora per questo ridotti alla fame (tuttavia la cosa è dubbia, poiché i contadini agiati hanno le terre migliori e le coltivano meglio, di modo che il loro raccolto supera sempre quello dei conta- dini poveri). Ma anche ammettendolo, risulta che gli affamati debbono essere il 15 %, ossia all’incirca 25.000, E ci vogliono consolare dicendoci che lo scorbuto di Khvalinsk è ben lontano dall’essere come quello di Arcangelo, che i casi di tifo sarebbero solo tre (mentissero almeno più abilmente!) e che si distribuiscono mille razioni (calcolate e misurate probabilmente secondo il sistema che Sipiaghin impone nella lotta... contro le esagerazioni). Quanto alle « occupazioni ausiliarie » di cui ben tre volte il signor Sipiaghin, nella sua circolare, ha cercato di tener conto per evitare le esagerazioni (la prima volta ordinando di non includere fra i distretti con un cattivo raccolto quelli ove vi sono abitualmente molte occupa- zioni ausiliarie, la seconda ordinando di dimezzare la norma, di 48 pud, perchè il 50 % della popolazione operaia « deve » avere altre entrate, e la terza, ordinando di ridurre anche quest'ultima cifra di 1 /3 - 1 / 1 °, a seconda delle condizioni locali), nel governatorato di Sa- ratov esse sono diminuite, e non soltanto le agricole, ma anche quelle 16 - 754 242 LENIN non agricole. « Le conseguenze della carestia — comunica il rapporto del consiglio menzionato più sopra — si sono ripercosse anche sugli artigiani, provocando una diminuzione della vendita dei loro prodotti. In seguito a queste circostanze, nei distretti con un artigianato più svi- luppato si osserva una crisi*. E tra questi distretti vi è anche quello più colpito, quello di Khvalinsk, nel quale, fra Taltro, migliaia e mi- gliaia di contadini poveri sono occupati nella famigerata industria del- l’indiana. Anche negli anni normali, in questa industria, sperduta in una remota zona rurale, vigevano i metodi più vergognosi: vi lavo- ravano, per esempio, dei bambini di 6 e 7 anni, ricevendo da 7 a 8 co- pechi al giorno. Non è difficile immaginare che cosa succeda in un anno di fortissima carestia e di particolare crisi deH’artigianato. La carestia di cereali si accompagna nel governatorato di Saratov (come, naturalmente, in tutti i governatorati colpiti dalla carestia) alla penuria di mangime. Negli ultimi mesi (ossia già nella seconda metà deH’estate!) si è notato un eccezionale sviluppo di varie epidemie che aumentano la moria del bestiame. « Il veterinario del distretto di Khvalinsk comunica [riportiamo questa notizia dallo stesso giornale che ha esposto il contenuto del summenzionato rapporto del consiglio dello zemstvo ] che, squartando gli animali morti, nello stomaco non si è trovato nient’altro che terra ». Il comunicato della sezione degli zemstvo del ministero degli in- terni sulla continuazione della campagna degli approvvigionamenti dice fra l’altro che, tra i distretti dichiarati colpiti, « solo in quello di Khvalinsk, a cominciare dal mese di luglio, si è riscontrata in due vil- laggi una diffusione epidemica dello scorbuto, e che il personale sani- tario locale fa ogni sforzo possibile per combatterla; e inoltre sono stati colà inviati, a rinforzo, due reparti della Croce Rossa, i quali, secondo quanto riferisce il governatore [quello stesso A. P. Engelhardt che già conosciamo] agiscono con grande successo; invece in tutti gli altri circondari dichiarati colpiti dalla carestia, secondo le informazioni in possesso del ministero fino al 12 settembre c. a., non vi sono stati casi di acuto bisogno di derrate che non siano stati soddisfatti e non si è notato il diffondersi di malattie dovute a un’alimentazione insuffi- ciente ». Per dimostrare quale credito debba prestarsi airaffermazione che non vi sarebbero stati casi di acuto bisogno che non siano stati soddi- sfatti (e il bisogno cronico esisteva?) e che non si sarebbe notato il RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 243 diffondersi di malattie, ci limiteremo a confrontare i dati per altri due governatorati. Nel governatorato di Ufà sono stati dichiarati colpiti i distretti di Menzelinsk e di Bielebeiev, e la sezione degli zemstvo del mini- stero degli interni comunica che per 1*« alimentazione », in sostanza, occorrerà un prestito del governo, il quale. « secondo quanto ha di- chiarato il governatore », dovrà ammontare a 800.000 pud. L’a^emblea straordinaria dello zemstvo del governatorato di Ufà, convocato il 27 agosto per esaminare la questione del soccorso ai colpiti dalla carestia, ha invece stabilito che questi distretti hanno bisogno di 2.200.000 pud di grano per l’alimentazione, e i restanti distretti, oltre al prestito per le semine (3.200.000 pud per il governatorato) e per il manteni- mento del bestiame (600.000 pud), hanno bisogno di 1. 000.000. Il prestito in derrate alimentari fissato dal governo è quindi la quarta parte di quello fissato dallo zemstvo. Un altro esempio. Nel governatorato di Viatka non vi erano, quando la sezione degli zemstvo aveva pubblicato il suo comunicato, distretti dichiarati colpiti dalla carestia, eppure il prestito in derrate alimentari fissato fu di 782.000 pud. È la stessa quantità che, secondo le notizie dei giornali, già aveva calcolato (in conformità con la deci- sione dei congressi distrettuali del 18-25 agosto) l’ufficio governatoriale di Viatka per gli approvvigionamenti nella sua riunione del 28 agosto. Gli stessi congressi verso il 12 agosto avevano determinato l’entità del prestito in altro modo, e precisamente: 1. 100.000 pud per lalimenta- zione e 1.400.000 per le semine. Perchè questa differenza? Che cosa era accaduto tra il 12 e il 28 agosto? Era apparsa la circolare del signor Si- piaghin del 17 agosto sulla lotta contro gli affamati. La circolare, quin- di, ebbe un effetto immediato, e la piccola quantità di 230.000 pud di grano fu cancellata dal calcolo fatto — notate — dai congressi di- strettuali, cioè dagli organismi che hanno sostituito (in base alla legge del 12 giugno 1900) l’infido zemstvo , dagli organismi composti in generale di funzionari e in particolare di zemskje nacialniki ... Possi- bile che in realtà arriveremo fino al punto di vedere anche gli zems\ic nacialniki accusati di liberalismo? Ce da crederlo. Per lo meno sulle Moskovskie Viedomosti abbiamo letto recentemente un’accusa di questo genere mossa a un certo signor Om. che aveva osato pro- porre, nel Prìazovski Krai , che si pubblicassero sui giornali i verbali 16* 244 LENIN delle riunioni degli uffici governatoriali per gli affari urbani (se pro- prio non si potevano ammettere i giornalisti a queste riunioni): «Lo scopo è troppo trasparente: il funzionario russo soffre spesso del timore di sembrare illiberale , e la pubblicità può costringerlo, tal- volta anche contro la sua coscienza, a sostenere qualche chimerica macchinazione liberale della città e dello zemstvo . Il calcolo non è del tutto sbagliato». Non è il caso di ordinare che si sottopongano a vigilanza spe- ciale gli zems\ie nacialniì^i di Viatka, i quali — temendo evidentemen- te di sembrare illiberali — hanno dimostrato un’imperdonabile legge- rezza neir« esagerare » la penuria di derrate alimentari? # Tra l’altro la « chimerica macchinazione liberale > dello zemstvo di Viatka (se il saggio governo russo non Pavesse tolto dalla direzione degli approvvigionamenti) sarebbe giunta al punto di stabilire che il bisogno è ancora molto maggiore. Per lo meno, l’assemblea straor- dinaria di governatorato tenutasi dal 30 agosto al 2 settembre aveva stabilito che il raccolto del grano era inferiore del 17% al quanti- tativo indispensabile per il consumo, del 15% per i mangimi. Es- sendo il quantitativo indipensabile di 105.000.000 di pud (raccolto nor- * Ecco un altro modello della lotta contro le esagerazioni che viene condotta dal governatore di Viatka:. «11 governatore di Viatka, in una "dichiarazione** inviata alle amministrazioni delle volost , costata che i contadini vanno molto cauti nel contrarre prestiti di derrate presso il governo e lo zemstvo. "Andando in giro nel governatorato — dice il signor Klingcnbcrg — mi sono convinto che i contadini considerano con grande riflessione e prudenza le presenti circostanze, temono di fare dei debiti senza estrema necessità e hanno fermamente deciso di attendere con pazienza il soccorso del Signore nel pros- simo anno, cercando di uscire con le proprie forze dalla difficile situazione ”. Ciò in- fonde al capo del governatorato di Viatka la sicurezza che ” nessuna voce sull’assistenza gratuita del governo e dello zemstvo e sulla possibile cancellazione dei debiti e degli arretrati, e così pure sulle esagerate proporzioni della carestia, turberà la tranquilla c sensata popolazione del governatorato di Viatka *\ Il governatore ritiene necessario avvertire la popolazione contadina: ’* Se durante il controllo delle sentenze risulterà che un capofamiglia, anche non avendo nessuna riserva, ha raccolto quest’anno abba- stanza grano per nutrire la famiglia e seminare i campi, ma l’ha venduto e ha impie- gato per altre necessità il denaro ricavato, non potrà più contare di ricevere dei pre- stiti. I debiti contratti non dovranno, secondo la nuova legge, essere scontati in base alla responsabilità collettiva; per essi vigeranno le norme che vigono per la riscossione delle tasse. Perciò il capofamiglia che ha chiesto e ricevuto un prestito deve ricordare che dovrà restituirlo da solo, che nessuno lo aiuterà, che la riscossione sarà fatta con un rigore tale che, in caso di accumulazione di arretrati, tutti i beni mobili possono essere venduti e quelli immobili confiscati ” ». Si può immaginare in che modo i capi delle volost tratteranno gli affamati mo- rosi dopo questa dichiarazione del governatore! RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 2 45 male 134.000.000 di pud, e quest’anno 84.000.000), il raccolto era quindi di 21.000.000 di pud inferiore alle necessità. «Il numero complessivo delle volost del governatorato il cui raccolto non può, quest’anno, sod- disfare i bisogni è di 158 su 310, la loro popolazione è di 1.556.000 ani- me d’ambo i sessi ». Già, è indubbio, « ferve il lavoro dell’ammini- strazione » per far apparire meno grave il bisogno e per ridurre tutta l’opera di assistenza agli affamati a una sorta di acrobazia della beneficenza fatta a copechi. Tra l’altro « acrobati della beneficenza » sarebbe ancora un appella- tivo troppo lusinghiero per gli amministratori uniti sotto la bandiera della circolare di Sipiaghin. Essi hanno in comune con gli acrobati della beneficenza la meschinità della loro assistenza e la tendenza a gonfiarne la portata. Ma gli acrobati della beneficenza considerano, nel peggiore dei casi, le persone da essi beneficate come un trastullo che solletica gradevolmente il loro amor proprio, mentre gli ammini- stratori di Sipiaghin le considerano come nemici, come persone che attentano illegittimamente a chissà che cosa (« esigenze del tutto in- giustificate verso il governo ») e che debbono quindi essere tenute a freno. Queste opinioni vennero espresse col massimo rilievo nelle mi- rabili « norme transitorie », confermate dall’autorità suprema il 15 settembre 1901. Si tratta di una legge costituita da 20 articoli, che racchiude cose tanto mirabili che non esiteremmo a includerla tra i più importanti atti legislativi dell’inizio del XX secolo. A cominciare dal titolo: Norme transitorie sulla partecipazione della popolazione delle zone colpite dalla carestia ai lavori intrapresi per disposizione dei di - casieri delle vie di comunicazione, dell agricoltura e del demanio. Evidentemente questi lavori costituiscono un privilegio tale che il «parteciparvi» costituisce un favore speciale. Così dev’essere; altri- menti perchè anche il primo articolo della nuova legge ripeterebbe: « agli abitanti delle zone agricole colpite dalla carestia si offre la pos- sibilità di partecipare all’esecuzione dei lavori», ecc.? Ma di questi « privilegi » si parla solo nella seconda metà della legge, mentre all’inizio si stabilisce come tutto deve essere organizzato. Le direzioni interessate « stabiliscono quali sono i lavori più oppor- tuni » (art. 2), inoltre « si applicano le norme fissate dalla legge » (art. 3, il quale secondo il titolo dei capitoli di alcuni romanzi di Dickens si potrebbe chiamare: «Articolo della nuova legge in cui si parla della 246 LENIN necessità di conformarsi alle vecchie leggi »). I lavori si iniziano o coi mezzi del bilancio 0 con crediti speciali; inoltre la direzione generale dell organizzazione dei lavori compete al ministro degli interni, il quale può nominare suoi delegati e presso il quale si forma, sotto la presidenza del suo sottosegretario, una « conferenza per gli approvvi- gionamenti » costituita dai rappresentanti dei vari ministeri. La con- ferenza ha i compiti seguenti: a) permettere deroghe alle norme sta- bilite, b) esaminare i progetti sulla destinazione dei mezzi, c) « fis- sare i massimi delle remunerazioni degli operai e determinare le altre considerazioni che si offrono alla popolazione che partecipa ai men- zionati lavori, d) ripartire i gruppi di operai nelle zone dei lavori, ed e) organizzare gli spostamenti di qu£Sti gruppi verso i luoghi ove si eseguono i lavori ». Le conclusioni della conferenza vengono sanzio- nate dal ministro degli interni, e, « nei casi che lo richiedano », anche dai ministri di altri dicasteri. Inoltre spetta agli zemskje nacialnikj se- gnalare quali sono i lavori da eseguire e precisare il numero di abi- tanti necessari, e poi comunicare tutte queste informazioni ai go- vernatori, che a loro volta comunicano le loro conclusioni al mini- stero degli interni « e, ricevute le direttive, ordinano, tramite gli zemskje nacialnikj, l’invio degli operai nei luoghi dove si eseguono i lavori ». Auff! Finalmente incominciamo a capire qualcosa di tutta [orga- nizzazione di questa nuova impresa! Ce ora da chiedersi quanto lu- brificante occorrerà per mettere in moto tutti gli ingranaggi di que- sta ingombrante macchina amministrativa tipicamente russa. Provate un po’ a immaginarvi la cosa in concreto: colui che sta più vicino agli affamati è lo zemskj nacialni k- A lui, quindi, appartiene l’iniziativa. Egli redige un documento, per chi? Per il governatore, dice un articolo delle norme transitorie del 15 settembre. Ma in base alla circolare del 17 agosto è pur stata costituita una « direzione distrettuale centrale degli approvvigionamenti », destinata ad « accentrare la direzione di tutti gli approvvigionamenti del distretto nelle mani di un funziona- rio » (la circolare del 17 agosto dice che deve preferibilmente essere no- minato il maresciallo della nobiltà del distretto). Sorge una « contro- versia » che, naturalmente, si risolve con rapidità in base ai « principi » mirabilmente chiari e semplici esposti nei sei punti deirart. 175 del- 1*« ordinanza generale per i governatorati », la quale stabilisce « le norme per risolvere le controversie tra... gli uffici locali e i funzionari ». RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 247 In fin dei conti il documento va tuttavia a finire negli uffici del go- vernatore, dove ci si accinge a redigere una «conclusione». Poi tutto viene spedito a Pietroburgo e passa all’esame della conferenza speciale. Ma il rappresentante del ministero delle vie di comunicazione, che partecipa alla conferenza, non è in grado di decidere dell’opportunità o meno di un lavoro come la riparazione delle strade del distretto di Buguruslan, ed allora un nuovo documento da Pietroburgo prende la via per il governatorato e poi ritorna. E quando infine la questione dell’opportunità o meno dei lavori ecc. ecc. sarà risolta in linea di prin- cipio, la conferenza di Pietroburgo si occuperà della « ripartizione dei gruppi di operai » tra i distretti di Buzuluk e di Buguruslan. Ma per quale motivo è stata messa su questa macchina? Il pro- blema è forse nuovo? Niente affatto. Prima delle norme transitorie del 15 settembre si potevano organizzare lavori pubblici molto sem- plicemente, «in base alle leggi vigenti», e la stessa circolare del 17 agosto, parlando di quelli organizzati dagli zemstvo , dai patronati sulle case di lavoro e dalle autorità governatoriali, non prevedeva la creazione di un organismo speciale. Come vedete, la « campa- gna degli approvvigionamenti » del governo è costituita dalle infinite complicazioni burocratiche che i dipartimenti di Pietroburgo, per un mese intero (dal 17 agosto al 15 settembre), hanno ponzato e finito per escogitare. In compenso, però, non c’è pericolo che la conferenza di Pietroburgo possa cadere nelle esagerazioni, come può avvenire ai funzionari locali, « che temono di sembrare illiberali ». Ma la chiave di volta delle nuove « norme transitorie » è la legge sugli « abitanti dei villaggi » che vengono assunti per eseguire i lavori. Quando questi si eseguono « fuori delle zone della loro residenza », gli operai, in primo luogo, formeranno delle artel che saranno « sot- toposte al controllo dello zemskj nacialni il quale convaliderà anche la nomina del capo de\Y artel incaricato di mantenere Pordine; in se- condo luogo, degli operai entrati in questa artel verrà fatto un elenco che « sostituisce , per gli operai in esso [«in esso lui» come dice la legge] registrati — quando vengono effettuati degli spostamenti e du- rante la partecipazione ai lavori — i passaporti prescritti dalla legge e che verrà custodito, fino alParrivo sul posto, dal funzionario che ac- compagna gli operai nel viaggio, oppure, in sua assenza, dal capo del- Vartel e poi da colui che dirigerà l’esecuzione dei lavori ». Perchè si è voluto sostituire con un elenco i passaporti, che tutti i 248 LENIN contadini desiderosi di lasciare il luogo di residenza hanno diritto di ricevere gratuitamente? Per l’operaio si tratta indiscutibilmente di una restrizione, perchè, quando egli è in possesso di un passaporto indi- viduale, è molto più libero sia di cercarsi un alloggio, sia di distribuire il suo tempo, sia di cambiare il suo lavoro con un altro più van- taggioso o comodo. Vedremo da quanto segue che ciò è stato indub- biamente fatto apposta, e non soltanto per mentalità burocratica, ma con lo scopo preciso di vessare gli operai e di trattarli come forzati che vengono trasferiti « in base ad elenchi », in base a una specie di « foglio di consegna ». Risulta, per esempio, che la cura « di man- tenere il dovuto ordine durante il viaggio e la consegna [sic!] dei gruppi di operai forniti ai dirigenti dei lavori, è affidata a funzionari appositamente designati dal ministero degli interni ». Più si va avanti, più le cose si complicano. La sostituzione del passaporto con gli elenchi comporta la sostituzione della libertà di spostarsi con la «fornitura e la consegna dei gruppi ». Perchè lo si è fatto? Si tratta forse di gruppi di condannati ai lavori forzati? Sono già forse state abrogate (per punire le «esagerazioni» sulla portata della carestia?) tutte le leggi che dànno al contadino fornito di passaporto il diritto di andare dove vuole e come vuole? Possibile che il pagamento del viaggio da parte dello Stato sia un motivo sufficiente per la priva- zione dei diritti civili? Proseguiamo. Risulta che i funzionari incaricati della distribuzione degli operai e del pagamento del salario, e gli altri funzionari del di- castero che esegue i lavori, « su comunicazione delle autorità gover- natoriali delle località ove sono rimaste le famiglie degli operai, trat- tengono, quando possibile, una parte del salario e lo spediscono a chi di diritto per il sostentamento della famiglia ». Una nuova privazione di diritti. Come osano i funzionari trattenere del denaro guadagnato col lavoro? Come osano immischiarsi nelle faccende familiari degli operai e decidere per essi — proprio come se fossero servi della gleba — chi vogliono aiutare e in quale misura? E poi, permetteranno gli operai che sia trattenuto, senza il loro consenso, del denaro che hanno guadagnato? Questo problema, probabilmente, è venuto in mente anche a coloro che hanno redatto le nuove « norme carcerarie », per- chè larticolo della legge che segue immediatamente quello citato sopra dice: «La sorveglianza sul mantenimento del dovuto ordine da parte degli operai nei posti dove si eseguono i lavori viene affidata, per di- RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 2 49 sposizione del ministro degli interni, agli zems\ie nacialnikj locali, a ufficiali del corpo speciale dei gendarmi, a funzionari di polizia o a persone appositamente designate ». Si vogliono veramente punire i con- tadini privandoli dei loro diritti per aver essi « esagerato » la portata della carestia e dimostrato « esigenze del tutto ingiustificate verso il governo »! Non basta che tutti gli operai russi in generale siano sorve- gliati dalla polizia comune, cjalla polizia di fabbrica e dalla polizia investigativa, qui si ordina di stabilire anche una sorveglianza speciale. C'è da credere che il governo abbia completamente perso la testa per la paura davanti a questi gruppi di contadini affamati che ven- gono inviati, forniti e consegnati con mille misure di cautela. Proseguiamo. « Nei casi di perturbazione della quiete e della tran- quillità pubblica, di evidente mancanza di coscienziosità nel lavoro o di inadempienza delle legittime esigenze di coloro che dirigono l'ese- cuzione dei lavori o sono incaricati del mantenimento debordine, gli operai colpevoli possono essere sottoposti, senza procedimento giudizia- rio , per disposizione dei funzionari menzionati neH’art. 16 [da noi or ora citato], aH’arresto fino a tre giorni; per l'ostinato rifiuto di lavo- rare essi possono essere, per disposizione degli stessi funzionari, rin- viati sotto scorta alla loro abituale residenza ». Come si può dopo di ciò definire le norme transitorie del 15 set- tembre altrimenti che norme per lavori forzati temporanei? Re- pressione senza processo, rinvio sotto scorta... Grande, molto grande è l’ignoranza e Io stato di abbrutimento del contadino russo, ma c’è pure un limite a tutto. E poi le continue carestie e le continue espul- sioni di operai dalle città non hanno potuto non avere conseguenze. E il nostro governo, a cut tanto piace dirigere a base di ecc. si nasconde l’asservimento più infame. Ammonimento, perchè in avvenire, parlando delle artel e delle altre associazioni permesse dai signori Sipiaghin, non dimen- tichino mai di menzionare, e dicendo tutta la verità, le artel operaie costituite in base alle norme transitorie del 15 settembre, oppure, se non possono parlare di simili artel y prendano il partito migliore, quello di non parlare affatto. II Atteggiamento verso la crisi e verso la carestia Accanto alla nuova carestia persiste la crisi commerciale e indù- striale, diventata ormai cronica, che ha gettato sul lastrico decine di migliaia di operai i quali non trovano lavoro. La miseria tra di essi è terribile e tanto più salta agli occhi il fatto che l’atteggiamento del governo, non meno di quello della « società » colta, verso la miseria degli operai è completamente diverso da quello verso la miseria dei contadini. Nessun tentativo è stato fatto nè da parte dei pubblici isti- tuti, nè da parte della stampa per stabilire il numero degli operai bi- sognosi e la misura dei loro bisogni, sia pure con lo stesso grado di approssimazione con cui si determinano i bisogni dei contadini. Nes- sun provvedimento sistematico è stato preso per organizzare il soc- corso agli operai affamati. Da che cosa deriva questa differenza? Riteniamo che non dipenda per nulla dal fatto che la miseria degli operai sia meno appariscente, RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 251 si manifesti in forme meno acute. È vero, gli abitanti delle città che non appartengono alla classe operaia poco sanno di come vivono di stenti oggi gli operai, ancor più ammucchiati negli interrati, nelle sof- fitte e nelle stamberghe, nutrendosi ancor peggio del solito, svendendo agli usurai gli ultimi resti delle suppellettili domestiche; è vero, l’au- mento del numero degli straccioni e dei mendicanti, dei frequentatori dei dormitori pubblici, dei carcerati e dei degenti negli ospedali non attira particolarmente l’attenzione, perchè « tutti » sono ormai abi- tuati a pensare che nella grande città i dormitori pubblici e ogni sorta di covi debbono essere affollati della più disperata miseria; è vero, gli operai disoccupati non sono per nulla vincolati al luogo di residenza come i contadini, e se ne vanno nelle varie parti dello Stato in cerca di un occupazione, oppure vengono « rimpatriati » dalle autorità che te- mono i concentramenti di disoccupati. Ma, nonostante tutto questo, chiunque ha a che fare con la vita industriale vede coi propri occhi, e lo sa chiunque segua la vita sociale dai giornali, che la disoccupa- zione è in continuo aumento. No, le cause della differenza indicata sono più profonde; bisogna cercarle nel fatto che la carestia nelle campagne e la disoccupazione nelle città appartengono a forme completamente diverse della vita economica del paese, sono condizionate da rapporti completamente diversi tra la classe degli sfruttatori e la classe degli sfruttati. Nelle campagne i rapporti tra queste due classi sono in generale straordi- nariamente confusi e complicati da un gran numero di forme transi- torie, in cui l’economia agricola è unita ora con l’usura ora con il la- voro salariato, ecc. ecc. E inoltre gli affamati non sono gli operai sa- lariati agricoli, i cui interessi, come è chiaro a tutti, e anche agli stessi salariati, sono in contrasto con quelli dei grandi proprietari fondiari e dei contadini agiati, ma sono i piccoli contadini, che usualmente vengono considerati (e si considerano essi stessi) agricoltori indipen- denti, i quali talvolta cadono, solo casualmente, in questa o quella « temporanea » dipendenza. La causa immediata della carestia — il cattivo raccolto — agli occhi delle masse è una calamità puramente na- turale, voluta dal Signore. E siccome queste carestie, accompagnate dalla fame, si ripetono da tempi immemorabili, anche la legislazione da molto tempo ha dovuto tenerne conto. Esistono già da tempo (so- prattutto sulla carta) interi statuti sul modo di approvvigionare il popolo, che prevedono tutto un sistema di neirufficio invitando il dirigente ad « assumere d’ora innanzi gli studenti dopo una scelta rigorosa, in modo che non sia da pensare che essi possano mai rivelarsi come persone poco sicure ». Nella corrispondenza Fermento a Vladimir sulla Kliazma {ìs\ra> n. 5, giu- gno), erano descritte le condizioni generali create alla statistica sospetta e le cause dell’ostilità verso di essa da parte dei governatori, industriali e grandi proprietari fondiari. Il licenziamento degli statistici di Vla- dimir per Tinvio di un telegramma di simpatia a Annenski (malme- nato il 4 marzo sulla piazza Kazan) ha provocato la chiusura vera e RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 26 l propria dell’ufficio, e siccome gli statistici delle altre città hanno rifiu- tato di andare lavorare in uno zemstvo che non sapeva difendere gli interessi dei suoi impiegati, la gendarmeria locale ha dovuto svolgere la funzione di mediatrice tra gli statistici licenziati e il governatore. «Un gendarme si è presentato al domicilio di alcuni statistici propo- nendo loro di presentare nuovamente domanda per essere riassunti », ma questa missione è completamente fallita. Infine, nel numero di ago- sto (n. 7) del Visiera si racconta l'« incidente avvenuto nello zemstvo di Iekaterinoslav », dove il « pascià » signor Rodzianko (presidente del consiglio governatoriale dello zemstvo) ha licenziato degli statistici per inosservanza della « prescrizione » di tenere un diario, provocando le dimissioni di tutti gli altri membri deH’ufficio e lettere di protesta degli statistici di Kharkov (riportate nello stesso numero dcWIs^ra). Più si va avanti, più le cose si complicano. Interviene il pascià di Kharkov, signor Gordienko (anche lui presidente del consiglio go- vernatoriale dello zemstvo ), per dichiarare agli statistici del « suo » zemstvo che non avrebbe tollerato « nei locali del consiglio nessuna riunione degli impiegati per questioni non concernenti i doveri d’uf- ficio ». Inoltre gli statistici di Kharkov non avevano ancora fatto in tempo ad esprimere la loro intenzione di esigere il licenziamento di una spia che si trovava tra di loro (Antonovic) che il consiglio licenzia il dirigente dell’ufficio statistico, provocando così ancora una volta le di- missioni di tutti gli statistici. Fino a che punto questi avvenimenti abbiano agitato tutta la massa degli impiegati degli uffici di statistica degli zemstvo si vede, per esempio, dalla lettera degli statistici di Viatka, che hanno tentato di motivare in modo circostanziato la loro riluttanza ad aderire al mo- vimento e sono stati perciò giustamente chiamati dall 7 /^rtf (n. 9) « i crumiri di Viatka ». Ma Visura ha rilevato solo alcuni casi, una ben piccola parte dei conflitti che sono avvenuti, secondo le informazioni dei giornali legali, anche nei governatorati di Pietroburgo, Oloniets, Nizni Novgorod, Tauride, Samara (ai conflitti noi uniamo qui anche i casi in cui alcuni statistici sono stati licenziati tutti insieme, perchè quei casi hanno su- scitato un forte malumore e un vivo fermento). Fino a che punto è arrivata in generale la diffidenza e l’impudenza delle autorità di gover- natorato si vede, per esempio, da quanto segue : M . Blekjov, capo dell'ufficio della Tauride , nella ” Relazione 2Ó2 LENIN sulle indagini condotte nel distretto di Dnieprovsk durante i mesi di maggio e giugno del 1901 ”, presentata al consiglio, racconta che in questo distretto si dovette lavorare in condizioni senza precedenti: gli statistici, benché la mansione fosse loro stata affidata dal governatore, benché fossero muniti dei documenti e avessero, in base a una disposi- zione del capo del governatorato, il diritto di valersi della collabora- zione delle autorità locali, vennero circondati da un estrema diffidenza della polizia distrettuale, che li seguiva a passo a passo> esprimeva la sua mancanza di fiducia nelle forme più grossolane , giungendo, secon- do le parole di un contadino, sino a mandare un proprio agente alle calcagna degli statistici perchè chiedesse ai contadini: ” Non propagan- dano gli statistici delle idee contro lo Stato e la patria? ” ». Gli statistici, secondo le parole del signor Bleklov, «incontrarono diversi ostacoli e difficoltà, che non solo intralciavano il loro lavoro, ma ferivano pro- fondamente anche la loro dignità ... Spesso essi venivano a trovarsi nella situazione di persone sotto inchiesta , sulle quali si conduce un’indagine segreta, di cui tra l’altro tutti sono ampiamente informati, e contro le quali si riteneva necessario mettere in guardia. Ognuno può quindi capire in quale intollerabile e penoso stato d’animo si trovassero spesso ». Che efficace illustrazione della storia dei conflitti con gli statistici negli zemstvo e dei tratti caratteristici della vigilanza sul « terzo ele- mento » in generale! Nulla di strano che la stampa reazionaria si sia scagliata contro i nuovi « rivoltosi ». Le Moshpvsl^ie Viedomosti hanno pubblicato un sensazionale articolo di fondo, Lo sciopero degli statistici dello « zem- stvo » (n. 263, 24 settembre) e un articolo, Il terzo elemento , del signor N. A. Znamenski (n. 279, io ottobre) « Il ” terzo elemento ” ha alzato la cresta » — scriveva il giornale — e reagisce « con una opposizione sistematica e con lo sciopero » ai tentativi di instaurare « la necessaria disciplina di lavoro ». La colpa di tutto ciò è dei liberali dello zemstvo che hanno viziato gli impiegati. « Non c’è nessun dubbio che i dirigenti più sensati e ragionevoli dello zemstvo , che non vogliono permettere l f indisciplina negli uffici da loro dipendenti, anche se si manifesta sotto la bandiera dell’opposi- zione liberale , hanno incominciato a mettere un certo ordine nei lavori degli uffici tributari e di statistica degli zemstvo . Sia l’opposizione che gli scioperi debbono finalmente aprire gli occhi a costoro e far loro ca- RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 263 pire con chi hanno a che fare quando si tratta di quel proletariato intel- lettuale che , spostandosi da un governatorato all altro , si è occupato ora di indagini statistiche ora dell educazione degli adolescenti delle varie località allo spirito socialdemocratico. «Comunque, nella forma di ” conflitti con gli statistici nello zem- stvo ”, la parte sensata dei dirigenti dello zemstvo riceve un utile in- segnamento. Riteniamo che essi vedranno ora con la massima chia- rezza che serpente, con il terzo elemento , si siano riscaldati in seno gli istituti dello zemstvo » *. Anche noi, da parte nostra, non dubitiamo che questi latrati e ulu- lati del fedele cane da guardia dell’autocrazia (è noto che così si è definito « lo stesso » Katkov, che per tanto tempo seppe « caricare » del proprio spirito le Mos^ovsJ{ie Viedomostì) « apriranno gli occhi » a molti che non capiscono ancora appieno quanto sia inconciliabile l’autocrazia con gli interessi dello sviluppo sociale, con gli interessi de- gli intellettuali in generale, con gli interessi di ogni vera opera sociale, non consistente in malversazioni e tradimenti. Per noi socialdemocratici questo piccolo quadro, che ci dà un’idea della campagna contro il « terzo elemento » e dei « conflitti con gli sta- tistici dello zemstvo », deve essere di grande insegnamento. Noi dob- biamo attingere nuova fiducia nella invincibile potenza del movimento operaio da noi diretto, costatando che il fermento della classe rivolu- zionaria d’avanguardia si diffonde anche tra le altre classi e strati della società, che esso ha già suscitato non soltanto una ripresa eccezionale dello spirito rivoluzionario tra gli studenti **, ma anche un primo ri- sveglio nelle campagne e un aumento della fiducia in se stessi e della volontà di lotta fra strati sociali, che (come gruppi) erano finora quasi assenti. In Russia, tra tutto il popolo, in tutte le classi si accresce il fer- mento, e il nostro dovere, il dovere dei socialdemocratici rivoluzionari, è di concentrare tutti gli sforzi per saperne profittare, per spiegare al- * Moskpvskie Vicd otn osti , n. 263. ## Nel momento in cui scriviamo queste righe, giungono da tutte le parti notizie di un nuovo fermento tra gli studenti, di riunioni a Kiev, Pietroburgo e altre città, della formazione di gruppi studenteschi rivoluzionari a Odessa, ecc. La storia riserva forse agli studenti la funzione di promotori anche nello scontro decisivo? Qualunque cosa avvenga, per la vittoria in questo scontro è indispensabile lo slancio delle masse del proletariato, e dobbiamo preoccuparci di accrescere con la massima rapidità la loro consapevolezza, il loro entusiasmo e la loro organizzazione. 264 LENIN l’intellettualità operaia d avanguardia quale alleato essa abbia nei con- tadini, negli studenti e negli intellettuali in generale, per insegnarle a utilizzare le vampate di protesta sociale che scoppiano qua e là. Noi sapremo esercitare la funzione di combattenti d’avanguardia per la libertà solo quando la classe operaia — diretta da un partito ri- voluzionario combattivo, senza dimenticare nemmeno per un attimo la sua situazione particolare nella società contemporanea e i suoi par- ticolari compiti storici, consistenti nella liberazione dell’umanità dalla schiavitù economica — leverà la bandiera popolare della lotta per la libertà e nello stesso tempo condurrà dietro questa bandiera tutti quelli che attualmente i signori Sipiaghin, Kondoidi e la loro banda spin- gono con tanto zelo nelle file degli scontenti, che provengono dai più diversi strati della società. Per farlo occorre soltanto che il nostro movimento si appropri non soltanto l’inflessibile teoria rivoluzionaria elaborata dallo sviluppo secolare del pensiero europeo*) ma anche l’energia e l’esperienza rivo- luzionaria lasciateci in eredità dai nostri precursori dell’Europa occi- dentale e della Russia e non prenda ciecamente in prestito le varie for- me d’opportunismo, da cui cominciano già a staccarsi i nostri compa- gni occidentali, che ne hanno sofferto relativamente poco, e le quali frenano in così grande misura la nostra marcia verso la vittoria. Al proletariato russo si pone ora il compito rivoluzionario più difficile, ma anche più nobile : quello di schiacciare il nemico che l’in- tellettualità russa martire non è riuscita a battere, e prendere posto nelle file deH’esercito internazionale del socialismo. IV I discorsi di due marescialli della nobiltà « È un fatto triste c significativo, finora senza precedenti; e fatti simili sono forieri di molte sventure inaudite per la Russia e resi possi- bili solo dalla nostra demoralizzazione sociale già così diffusa »... Così scrivono le Moskpvskie V iedomosti nell’articolo di fondo del n. 268 (27 settembre) a proposito del discorso pronunciato da M. A. Sta- khovic, maresciallo della nobiltà del governatorato di Oriol, al con- gresso dei missionari di Oriol (che è terminato il 24 settembre),.. Eb- RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 265 bene, se anche tra i marescialli della nobiltà, questi primi cittadini nel distretto e secondi nel governatorato, è penetrata la « demoralizzazione sociale », quando finirà allora « la peste morale che si è impadronita della Russia »? Di che si tratta dunque? Del fatto che questo signor Stakhovic (lo stesso che voleva assegnare ai nobili di Oriol le cariche di esattori nel monopolio degli alcoolici: cfr. n. 1 della Zarià , Note occasionali *) ha pronunciato un focoso discorso in difesa della libertà di coscienza ed è «giunto al punto — con la sua mancanza di tatto, per non dire cini- smo, — di fare questa proposta » **: « A nessuno in Russia incombe più che al congresso dei missionari il dovere di proclamare la necessità della libertà di coscienza , la neces- sità dell’abolizione di qualsiasi misura repressiva contro coloro che abbandonano la fede ortodossa e abbracciano e predicano un’altra fede. E io propongo al congresso missionario di Oriol di pronunciarsi aper- tamente e di inoltrare un istanza nelle forme dovute \ ... ». Naturalmente le Mos\ovs\ie Viedomosti sono state tanto ingenue da elevare il signor Stakhovic al rango di un Robespierre (« Robespier- re! questo bontempone di M. A. Stakhovic, che conosco da molto tempo », ha scritto nel Novoie Vremia il signor Suvorin, e a stento si può trattenere il riso leggendo la sua « arringa ») quanto lo è stato, nel suo genere, il signor Stakhovic proponendo a dei preti di presentare, nelle « forme dovute », un’istanza in favore della libertà di coscienza. Sarebbe come proporre a un congresso di commissari di polizia di inoltrare un’istanza in favore della libertà politica. * Cfr. nella presente edizione, voi. 4, pp. 419-449 (N. d. R,). •* Moskpvskje Viedomosti , ivi. Mi scuso con i lettori per la mia simpatia verso le Moskpvskie Viedomosti. Che volete farci! A mio avviso, è pur sempre il gior- nale politico russo più interessante, più conseguente e più abile. Difatti non si può chia- mare « politica » nel vero senso della parola la pubblicistica che nel migliore dei casi raccoglie qualche interessante fatterello grezzo e sospira invece di « ragionarci su ». Non discuto, ciò può essere molto utile, ma non è politica. Allo stesso modo non si può chiamare politica nel vero senso della parola nemmeno la pubblicistica dello stampo del Novoie Vremia t nonostante sia (o meglio perchè è) troppo politica. Esso non ha nessun programma politico definito c nessuna convinzione, ma sa soltanto conformarsi al tono e allo stato d’animo del momento, inchinarsi servilmente ai detentori del po- tere, qualunque cosa essi ordinino, e corteggiare quella parvenza d’opinione pubblica che esiste da noi. Le Mos^ovs^ie Viedomosti , invece, seguono la propria linea e non temono (non hanno però nulla da temere!) di andare più avanti del governo, non temono di trattare, e talvolta con molta franchezza, gli argomenti più delicati. È un giornale utile, un insostituibile collaboratore deiragitazione rivoluzionaria! 266 LENIN Non credo occorra aggiungere per il lettore che « l’assemblea del clero, con il decano alla testa », ha respinto, « sia per la sostanza del rapporto sia per la sua non rispondenza ai compiti di un congresso missionario locale», la proposta del signor Stakhovic, dopo aver udito « le severe obiezioni di Sua Eminenza Nikanor, vescovo di Oriol, del professore N. I. Ivanovski dell’accademia ecclesiastica di Kazan, di V. M. Skvortsov, editore e direttore del Missioners\oie Obozrenie , dei missionari tizio e caio e dei liberi docenti V. A. Ternatsev e M. A. Novosiedov. Alleanza della « scienza » e della chiesa!, si potrebbe dire. Ma il signor Stakhovic ci interessa, ben s’intende, non come esem- pio di un uomo con un pensiero politico chiaro e conseguente, bensì come esempio del nobile russo « bontempone » sempre pronto a strap- pare un pezzetto della torta erariale. La « demoralizzazione », che l’ar- bitrio poliziesco e la caccia degna dell’inquisizione data alle sette hanno instaurato nella vita russa in generale e nella vita delle nostre campa- gne in particolare, deve essere veramente arrivata a un punto tale da far gridare anche i sassi! Da indurre i marescialli della nobiltà a par- lare con foga di libertà di coscienza! Ecco dei piccoli esempi di quei sistemi e di quei fenomeni vergo- gnosi — che, in fin dei conti, indignano anche i « bontemponi » — presi dal discorso del signor Stakhovic. « Ebbene, prendete ora — dice l’oratore — nella biblioteca missio- naria della confraternita un prontuario delle leggi e vedrete che nello stesso art. 783, parte I, voi. II, tra le incombenze del commissario di polizia, oltre a quelle di por fine ai duelli, alle pasquinate, all’ubria- chezza, al bracconaggio, di far chiudere i bagni pubblici promiscui, figura anche quella di vigilare affinchè non vengano posti in discus- sione i dogmi della fede ortodossa e le conversioni di ortodossi a un’al- tra fede o setta! » E difatti esiste effettivamente questo articolo della legge che impone al commissario locale di polizia molti altri analoghi doveri oltre a quelli elencati dall’oratore. Alla maggioranza degli abi- tanti delle città questo articolo, naturalmente, sembrerà semplicemente una stranezza, come l’ha chiamato anche il signor Stakhovic. Ma per il contadino questo articolo nasconde un bitterer Ernst , un’amara ve- rità, sugli arbìtri delle basse forze di polizia, che ricorda troppo bene che iddio è molto in alto e lo zar molto lontano. Ed ecco degli esempi concreti che citiamo, insieme alla smentita ufficiale dell’arciprete Piotr Rozdestvienski, « presidente del consiglio RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 267 della confraternita ortodossa Pietro e Paolo di Oriol e del congresso missionario della diocesi di Oriol» (Mosl(ovs\ie Viedomosti y n. 269, àd\\'Orlovs\i Viestni\ y n. 257): « a) Nel rapporto [del signor Stakhovic] si parla di un villaggio del distretto di Trubcevsk. « ” Con il consenso e la sanzione sia del parroco che delle autorità abbiamo rinchiuso nella chiesa coloro che supponevamo apparte- nessero alla setta dei battisti , quindi abbiamo portato un tavolo, lo abbiamo coperto con una tovaglia pulita e, messavi su un’icona, li ab- biamo fatti sfilare uno dopo l’altro. ’ Baciala! * ’Non voglio baciare de- gli idoli...’. ’ Ah! fustigatelo subito \ I più deboli dopo la prima volta sono tornati alla fede ortodossa. Ebbene, ve ne sono stati alcuni che hanno restitito quattro volte”. « Invece, secondo i dati ufficiali pubblicati fin dal 1896, nel rapporto della confraternita ortodossa Pietro e Paolo di Oriol, secondo la comu- nicazione verbale fatta al congresso dal parroco D. Piereverzev, le violenze della popolazione ortodossa contro gli scismatici del villaggio di Liubtsa, distretto di Trubcevsk, descritte più sopra, avvennero per decisione delVassemblea dei contadini e in un angolo del villaggio , ma senza nessun consenso del parroco di allora e senza dubbio non nella chiesa\ e questo spiacevole incidente ebbe luogo diciotto o diciannove anni fa, quando di missioni nella diocesi di Oriol ”non sera mai nem- meno sentito parlare ” ». Le Mos\ovs\ìe V iedomosti nel ripubblicare quanto sopra dicono che il signor Stakhovic nel suo discorso ha citato solo due fatti. Può darsi. Ma quali fatti! La smentita basata sui « dati ufficiali » (del locale commissariato di polizia) contenuti nel rapporto della confraternita ortodossa non fa che accrescere la gravità delle ignominie che hanno riempito di sdegno anche un nobile bontempone. Della gente è stata fustigata, se in chiesa o « in un angolo del villaggio », un anno e mezzo 0 diciotto anni fa, la cosa non cambia (forse, tra laltro, cambia in questo senso: tutti sanno che negli ultimi tempi le persecuzioni contro 1 seguaci delle sette sono diventate ancora più feroci, e la formazione delle missioni è direttamente legata a questo fatto!). E che il parroco del luogo abbia potuto lavarsi le mani di fronte a questi inquisitori in camiciotto , questo, padre arciprete, la stampa avrebbe fatto meglio a 268 LENIN non dirlo*. Vi fate rider dietro! Naturalmente, il «parroco locale» non diede il suo « consenso» alla tortura, punibile come reato comune, allo stesso modo che la santa inquisizione non puniva mai essa stessa, ma consegnava le sue vittime al braccio secolare, e non spargeva mai il sangue delle sue vittime, ma le dava al rogo. Secondo fatto: «b) Il rapporto dice: «” Allora però al 'parroco-missionario non sarebbe dovuta sfuggire la risposta che abbiamo pure udito qui: ’ Voi dite, padre, che all’ini- zio le famiglie erano quaranta e adesso sono quattro. Dove sono le altre? ’ Grazie a Dio sono state deportate nella Transcaucasia e in Siberia ’ « In realtà nel villaggio di Glybocka, distretto di Trubcevsk, di cui si tratta in questo caso, nel 1898, secondo i dati della confraternita, vi erano non quaranta famiglie ma quaranta persone d ambo i sessi appartenenti alla setta dei battisti, inclusi ventun bambini; nello stesso anno furono deportate nella Transcaucasia, per disposizione del tribunale distrettuale, solo sette persone per aver convertito alla fede battista altre persone. Quanto alla frase ” Grazie a Dio sono state deportate ”, il parroco se l’è lasciata sfuggire per caso al congresso in una seduta a porte chiuse, durante un libero scambio di idee tra i suoi membri , tanto più che il parroco menzionato era già noto, e tale si è rivelato al congresso, come un degnissimo pastore missio- nario ». Questa smentita è veramente impagabile! Gli è sfuggita per caso durante un libero scambio d’idee! Ciò, dico, è interessante perchè tutti sappiamo troppo bene che valore hanno le parole delle personalità ufficiali da esse ufficialmente profferite. E se il padre che ha detto queste parole che « gli venivano dal cuore » è « un degnissimo pastore missionario », tanto più il loro significato è importante. « Grazie a Dio sono state deportate nella Transcaucasia e in Siberia»: queste su- blimi parole debbono diventare non meno celebri, nel loro genere, # Nella sua replica alla rettìfica ufficiale, il signor Stakhovic ha scritto: «Che cosa dice il rapporto ufficiale della confraternita, non lo so, ma affermo che il parroco Piereverzev, dopo aver raccontato al congresso tutti i particolari ed essersi lasciato sfuggire che le autorità locali sapevano [xrWj dell’av venuta sentenza, alla domanda da me fattagli personalmente: ”E il ptete lo sapeva?”, rispose: "Sì, lo sapeva anche lui ” I commenti sono superflui. RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 269 della difesa della servitù della gleba fatta in base alla sa e li confonde con i « demagoghi ». Ma questa indignazione, se la si osserva più da vicino, confina col brontolio di un vecchio (non per età, ma per concezioni), disposto però a riconoscere anche il buono in ciò che lo fa brontolare. Parlando debordine esi- stente egli non può non avanzare la riserva : « se ordine si può chia- mare». I disordini della « dittatura burocratica», «la persecuzione sistematica, cronica di tutto quanto è attributo deirindividuo e della dignità umana » già da tempo gli ribollono dentro, egli non può non vedere che tutto lo scandalo deriva in gran parte dalle autorità, è ab- bastanza sincero per riconoscere la propria impotenza e la sconve- nienza di « lavarsi le mani » davanti alla sventura di tutto il paese. È vero, egli paventa ancora le simpatie per gli studenti di «una sola parte» della «folla»; il suo infrollito intelletto aristocratico sembra scorgere il pericolo della « demagogia », fors’anche del socialismo (ripaghiamo con la sincerità la sua sincerità!). Ma sarebbe irragionevole saggiare con la pietra di paragone del socialismo le concezioni e i sentimenti di un maresciallo della nobiltà nauseato dairimmondo burocratismo russo. Non abbiamo alcun bisogno di fare i furbi: nè con lui nè con qualunque altro; quando il grande proprietario fondiario russo, per esempio, tonerà contro l’illegittimo sfruttamento e rimmiserimento degli operai di fabbrica, non mancheremo, tra parentesi, di dirgli « non faresti male, compare, a guardare te stesso»! Non gli nasconderemo neppure per un istante che siamo e resteremo sul terreno di una lotta di classe irreconciliabile contro i « padroni » della società attuale. Il raggruppamento politico però è determinato non soltanto dagli scopi ultimi, ma anche da quelli immediati, non soltanto dalle concezioni generali, ma anche dalla pressione delPimmediata necessità pratica. Chiunque abbia chiara coscienza della contraddizione tra il « progresso culturale » del paese e l’« opprimente regime della dittatura burocra- tica », presto o tardi sarà portato dalla realtà stessa alla conclusione RASSEGNA DI POLITICA INTERNA 277 che non si può eliminare la contraddizione senza eliminare l’autocra- zia. Giungendo a questa conclusione egli aiuterà senza fallo — bronto- lerà ma aiuterà — il partito che saprà schierare contro l’autocrazia una forza temibile (temibile non solo agli occhi di questo partito, ma agli occhi di tutti). Per diventare un partito simile la socialdemocrazia deve, ripetiamo, liberarsi da ogni scoria opportunistica e, sotto la bandiera della teoria rivoluzionaria, appoggiandosi alla classe più rivoluzionaria, orientarsi nella propria attività di agitazione e di organizzazione verso tutte le classi della popolazione! E ai marescialli della nobiltà diciamo, neiraccomiatarci da loro: arrivederci, signori alleati di domani! PREFAZIONE ALL'OPUSCOLO « DOCUMENTI DEL CONGRESSO DI UNIFICAZIONE» Nel n. 9 deUV^ra (ottobre 1901) * si è già raccontato del fallito tentativo di unificazione della sezione estera dell’organizzazione della Zarià e dellV^ra, deirorganizzazione rivoluzionaria « Socialdemo- cratico * e dell’* Unione dei socialdemocratici russi » all’estero. Affin- chè tutti i socialdemocratici russi possano formarsi un giudizio in- dipendente sulle cause del fallimento del tentativo di unificazione avvenuto all’estero, abbiamo deciso di pubblicare i verbali del Con- gresso di «unificazione». Purtroppo il segretario del congresso eletto dall’* Unione» si è rifiutato di partecipare alla redazione dei verbali (come si vede dalla sua lettera di risposta, riportata più sotto a pp. io-ii, all’invito dei segretari delle altre due organizzazioni). Questo rifiuto è tanto più strano in quanto l’Unione ha ora pubbli- cato essa stessa un resoconto del Congresso di « unificazione » ( Due congressi, Ginevra, 1901). Non ha voluto, quindi, pur volendo far cono- scere ai compagni russi i risultati del congresso, farne conoscere i di- battiti **. Lasciamo supporre ai lettori le probabili cause del fatto. • Cfr., nel presente volume, pp. 220-121 {N, d, R.)> •• Secondo il regolamento del congresso, i verbali dovevano essere approvati dal congresso stesso, e precisamente ogni seduta avrebbe dovuto cominciare con l’approva- zione dei verbali della seduta precedente. Ma nel secondo giorno del congresso, quando il presidente aprendo la seduta propose di approvare i verbali delle due sedute della prima giornata, tutti e tre i segretari dichiararono all'unanimità di non poter presentare i verbali. La stesura del resoconto del dibattito, in mancanza di uno stenografo, risultò assolutamente insoddisfacente. Si capisce, quindi, che se nella notte tra la prima e la seconda giornata del congresso i segretari non avevano potuto redigere i verbali, nella PREFAZIONE 279 Noi, da parte nostra, abbiamo ritenuto non corretto pubblicare, dopo il rifiuto dell'* Unione »,■ un'esposizione del dibattito non redatta da tutti i segretari, e perciò abbiamo dovuto limitarci a pubblicare tutti 1 documenti e le dichiarazioni presentati all' ufficio del congresso. Del- l'ufficio del congresso facevano parte i presidenti e i segretari di tutte e tre le organizzazioni, e tutte le dichiarazioni vennero presentate allo ufficio soltanto per iscritto, di modo che l'imparzialità di una descri- zione del congresso composta di documenti e dichiarazioni non può sollevare dubbi. D’altra parte, la pubblicazione di tutti i documenti e dichiarazioni presentati all'ufficio è nel momento attuale tanto più necessaria in quanto l’« Unione » ha coronato il suo strano rifiuto di partecipare all’e- laborazione dei verbali del congresso con un modo ancora più strano di redigerne il resoconto. Così essa non ha riportato tutte le interro- gazioni presentate dal rappresentante AòVlskra (Frey) all'ufficio del congresso a nome della sezione estera àtWIskra e dell’organiz- zazione « Socialdemocratico » *, ma ha riportato una risposta non presentata all’ufficio, e nemmeno letta al congresso, che era stata solo «elaborata» dall V Unione» (p. 26 dell'opuscolo Due congressi). E sbaglia dicendo che l'« interrogazione » era stata ritirata. Essa con- sisteva in due domande presentate da Frey all’* Unione » a nome di due organizzazioni (cfr. più sotto, p. 6). Nessuna di queste do- mande fu ritirata , ma ne venne soltanto modificata la forma, in modo che le domande si trasformassero in una risoluzione da poter mettere ai voti (invece di « in linea di principio 1 ’ " Unione ” approva la risoluzione della Conferenza di giugno? », si disse: «tutte le or- ganizzazioni approvano in linea di principio la risoluzione della Conferenza di giugno» ecc.); inoltre, P« Unione » non ha citato la sera della seconda giornata, quando abbandonammo il congresso, non era nemmeno il caso di parlarne. Tutti sapevano benissimo che non erano pronti. L’indignazione dell’* Unione * per il fatto che il nostro presidente avrebbe « disertato », « senza aspettare l’approvazione dei verbali del congresso » (p. 29 dell'opuscolo Due congressi) non è quindi che una scappatoia. In mancanza di resoconti stenografici non restava altro che riunire i tre segretari e redigere almeno una breve esposizione dell’anda- mento del dibattito. È quello che proponemmo, ma P« Unione » non volle saperne. È chiaro che la responsabilità per la mancanza di verbali, se non completi, almeno rias- suntivi, ricade sull’* Unione ». * Cfr., nel presente volume, p. 210 (jV. d. R.), LENIN 280 dichiarazione presentata all 1 ufficio dal gruppo « Lotta » (cfr. più sotto, pp. 6-7). L’« Unione » non solo non ne ha esposto il contenuto, ma non ha nemmeno menzionato il discorso* pronunciato da uno dei membri del gruppo dopo la presentazione da parte dell’* Unione» di emen- damenti alla risoluzione di giugno. (In questo discorso, il membro del gruppo « Lotta », che aveva partecipato anche alla Conferenza di giugno, si pronunciò contro gli emendamenti dell’« Unione »). Ma in compenso ha pubblicato le « motivazioni » degli emendamenti esposte al congresso da B. Kricevski nel suo discorso, ma non presentate al- l’ufficio. In una parola, dopo aver respinto la nostra proposta di redi- gere insieme l’esposizione di tutto il dibattito, F« Unione » ha pre- ferito esporre solo quello che riteneva andasse a suo vantaggio e passare sotto silenzio anche qualche cosa di quello che era stato pre- sentato all’ufficio. Non intendiamo seguire questo esempio. Ci limitiamo a pubblicare tutte le dichiarazioni e i documenti presentati all’ufficio e a indicare, senza commenti, in che senso si sono pronunciati gli oratori di tutte le organizzazioni presenti al congresso. Giudichino i lettori stessi se gli articoli del n. io del Raboceie Dielo e gli emendamenti del- l’« Unione » hanno o no violato la base di principio dell’accordo che era stato elaborato dalla Conferenza di giugno. Nello stesso modo lasciamo, naturalmente, senza risposta tutte le rabbiose parole che infiorano con tanta abbondanza l’opuscolo dell*« Unione », compresa l’accusa di « calunnia » 0 quella secondo cui il nostro allontanamento avrebbe fatto « fallire » il congresso. Tale accusa può provocare soltanto un sorriso: tre organizzazioni si sono riunite per esaminare la que- stione dell’unificazione; due delle tre si sono convinte di non poter unirsi con la terza, È naturale che non restasse loro che esprimere la propria opinione e andarsene. Solo gente che si arrabbia proprio perchè ha torto può dire che ciò vuol dire « far fallire » il congresso e definire «calunnia» l’opinione che l'« Unione» è ideologicamente instabile. Quanto alla nostra opinione sui problemi che si dibattono nella so- cialdemocrazia russa, preferiamo non immischiarla all’esposizione obiettiva dei dati del congresso. Oltre agli articoli che sono stati e A p. 28 dell opuscolo Due congressi. PREFAZIONE 28l saranno ancora pubblicati dall 'ls\ra e dalla Zarià, prepariamo, e uscirà fra breve, un opuscolo dedicato alle questioni più scottanti del nostro movimento. Scritto nel novembre 1901. Pubblicato per la prima volta nel dicembre 1901 in opuscolo a cura della € Lega della socialdemocrazia rivoluzionaria russa ». LA PROTESTA DEL POPOLO FINLANDESE Riportiamo integralmente la nuova petizione di massa, mediante la quale il popolo finlandese esprime la propria energica protesta contro la politica del governo che ha attentato e continua ad attentare alla Costituzione della Finlandia, violando il giuramento solennemente prestato da tutti gli zar, da Alessandro I a Nicola IL Questa petizione è stata presentata il 17 (30) settembre 1901 al Se- nato finlandese per essere trasmessa allo zar, È stata firmata da 473.363 finlandesi di ambo i sessi e di tutti gli strati sociali, ossia da quasi mezzo milione di cittadini. La Finlandia ha due milioni e mezzo di abitanti, di modo che la nuova petizione è veramente la voce di tutto il popolo. Eccone il testo completo. « Potentissimo e graziosissimo Sovrano , imperatore e granduca! Le mo- dificazioni apportate dalla Vostra Maestà Imperiale alla legge sul servizio militare obbligatorio in Finlandia ha provocato ovunque, nel nostro ter- ritorio, un allarme generale un profondissimo cordoglio. Il manifesto e la legge sul servizio militare obbligatorio, sanciti il 12 luglio (29 giugno) da una ordinanza di Vostra Maestà Imperiale, co- stituiscono una radicale violazione delle leggi fondamentali del grandu- cato e dei più sacri diritti del popolo finlandese e di tutti i cittadini del territorio in forza delle sue leggi. Le norme sui doveri dei cittadini per la difesa del territorio non pos- sono, in base alle leggi fondamentali, essere emanate senza il consenso dei dirigenti degli zemstvo. Così fu emanata la legge sul servizio militare ob- bligatorio del 1878, con decisione concordata deirimperatore Alessandro II e degli zemstvo . Durante il regno di Alessandro III la legge fu più volte parzialmente modificata, ma ogni volta con il consenso degli zemstvo . Ciò nonostante, oggi, senza il consenso degli zemstvo , sì annuncia che la legge LA PROTESTA DEL POPOLO FINLANDESE a8 3 del 1878 viene abrogata, mentre i nuovi regolamenti emanati in sostitu- zione dei vecchi sono in piena discordanza con le decisioni prese dalla Dièta straordinaria degli zestmvo. Uno dei diritti fondamentali di cui gode ogni cittadino finlandese, quello di vivere e agire sotto la protezione delle leggi finlandesi, viene oggi negato a migliaia e migliaia di cittadini finlandesi, perchè la nuova legge sul servizio militare li costringe a servire neirescrcito russo, trasformando Tadempimento del servizio militare in una sofferenza per quei nostri figli che saranno inclusi per forza in un esercito a lóro estraneo per lingua, religione, usi e costumi. Le nuove disposizioni aboliscono ogni limitazione, fissata per legge, del contingente annuo. Più ancora, in esse non vi è nessun riconoscimento del diritto, previsto dalle leggi fondamentali, degli zemstvo di partecipare alla determinazione del bilancio militare. Anche la milizia territoriale, nonostante la legge fondamentale del 1878, viene completamente lasciata alla discrezione del ministero della guerra. L’impressione prodotta da simili disposizioni non è attenuata dalle facilitazioni annunciate nel manifesto per un periodo transitorio attual- mente ancora indeterminato, perchè alla temporanea diminuzione del numero dei chiamati alle armi seguiranno illimitate chiamate in servizio neiresercito russo. Il popolo finlandese non ha chiesto nessun alleggerimento dell’onere militare ora sostenuto. I dirigenti degli zemstvo , esprimendo l’opinione del popolo, hanno dimostrato che la Finlandia è pronta, nella misura delle proprie forze, ad aumentare la quota di partecipazione alla difesa dello Stato, a condizione che venga mantenuto lo stato di diritto delle truppe finlandesi in qualità di istituti finlandesi. Contrariamente a ciò, nelle nuove disposizioni si stabilisce che le truppe finlandesi saranno in gran parte sciolte; che gli ufficiali russi po- tranno prestare servizio nelle poche unità rimaste; che anche i sottuffi- ciali di queste unità dovranno parlare russo, togliendo così completamente ai finlandesi, in prevalenza provenienti dal ceto contadino, la possibilità di accedere ai gradi indicati; che queste truppe passano sotto il comando russo e che in tempo di pace possono essere dislocate fuori dei confini della Finlandia. Queste ordinanze, che non costituiscono nessuna riforma, ma si pro- pongono solamente Io scioglimento nelle truppe nazionali della Finlandia, sono indizio di una diffidenza alla quale il popolo finlandese non ha mai dato motivo durante i cent anni circa della sua unione con la Russia. Nelle nuove disposizioni sui servizio militare obbligatorio si trovano 284 LENIN pure espressioni che negano al popolo finlandese resistenza di una patria, e ai nati nel territorio i diritti della cittadinanza finlandese. Da queste espressioni trapelano fini incompatibili con l’immutabile diritto del popolo finlandese di mantenere, nella sua unione con la Russia, lo statuto politico che fu definitivamente accordato nel 1809. Negli ultimi anni, sul nostro territorio si è andata accumulando una grave sventura. Volta per volta ci siamo convinti che venivano ignorate le disposizioni delle leggi fondamentali del territorio, in parte con prov- vedimenti legislativi, in parte nominando alle cariche importanti degli oriundi russi. Il territorio è stato amministrato in modo tale da far pen- sare che Pamministrazione avesse il compito di turbare la quiete e Pordine, ostacolare le aspirazioni d’utilità generale e fomentare Pinimicizia tra russi e finlandesi. La sventura più grave per il territorio è tuttavia Pemanazione delle nuove disposizioni sul servizio militare obbligatorio. Nella devotissima risposta presentata il 27 maggio 1899, i dirigenti degli zemstvo hanno riferito particolareggiatamente sulla procedura che, in base alle leggi fondamentali della Finlandia, doveva essere osservata nel- Pemanazione di una legge sul servizio militare obbligatorio. Essi osserva- rono, a questo riguardo, che se la nuova legge sul servizio militare obbliga- torio fosse stata emanata con un’altra procedura, tale legge, anche se fosse stata osservata sotto la pressione della forza, non sarebbe potuta essere rico- nosciuta come legge legittima, e agli occhi del popolo finlandese sarebbe sembrata solamente un’ordinanza imppsta con la forza. Tutto ciò che fu osservato dai dirigenti degli zemstvo continua a costi- tuire per il popolo finlandese Pimmutabile coscienza del suo diritto, che non può essere mutata con la violenza. Queste ordinanze che discordano con le leggi del territorio sono gravide di gravissime conseguenze. Per i funzionari e per gli organismi governativi sorge un tormentoso conflitto col senso del dovere, perchè la coscienza li spinge a non conformarsi a simili ordinanze. Il numero degli emigranti atti al lavoro, già costretti ad emigrare dal timore di imminenti cambia- menti, aumenterà ancora più se le disposizioni annunciate entreranno in vigore. Le nuove disposizioni sul servizio militare obbligatorio, come gli altri provvedimenti lesivi del diritto del popolo finlandese a una esistenza po- litica e nazionale particolare, finiranno inevitabilmente col minare la re- ciproca fiducia del sovrano e del popolo e susciteranno un malcontento sempre crescente, un senso di oppressione e d’incertezza generale e gran- dissime difficoltà per la società e i suoi membri nel lavoro per il bene del territorio. Per impedire che ciò avvenga non vi sono altri mezzi che la sostituzione delle succitate ordinanze con una legge sul servizio militare LA PROTESTA DEL POPOLO FINLANDESE 285 emanala con la partecipazione degli zemstvo , e la precisa ottemperanza, in generale, da parte delle autorità governative del territorio, alle leggi fondamentali. Il popolo finlandese non può cessare di essere un popolo a sè. Unito dal comune destino storico, dalle concezioni giuridiche e dalla cultura comune, il nostro popolo resterà fedele al proprio amore per la patria finlandese e alla propria libertà regolata dalle leggi. Il popolo non abbandonerà la sua aspirazione a occupare con dignità il posto modesto che la sorte gli ha assegnato fra i popoli. Con la stessa fermezza con cui crediamo nel nostro diritto e rispet- tiamo le nostre leggi, che ci servono di sostegno nella nostra vita sociale, siamo convinti che l’unità della potente Russia non sarà danneggiata se la Finlandia continuerà ad essere governata secondo i principi fondamen- tali fìssati nel 1809, perchè possa sentirsi felice e tranquilla nella sua unione con la Russia. Il sentimento del dovere davanti alla patria costringe gli abitanti di tutte le comunità e tutti gli strati sociali a rivolgersi alla Vostra Mae- stà Imperiale con un’esposizione veritiera e non abbellita dello stato delle cose. Più sopra abbiamo rilevato che le disposizioni sul servizio militare obbligatorio, recentemente emanate, sono in contraddizione con la legge fondamentale del granducato, solennemente garantita, e non possono essere riconosciute come leggi legittime. Riteniamo doveroso aggiungere che l’o- nere militare non ha di per sè l’importanza che ha per i finlandesi la per- dita di salde disposizioni giuridiche e della tranquillità, garantita dalla legge, su un problema così importante. Con animo devoto formuliamo una preghiera: si degni la Vostra Maestà Imperiale di sottomettere le que- stioni trattate in questa esposizione al Suo graziosissimo esame, che la gravità del loro carattere impone. Rimaniamo ecc. ». Ci resta poco da aggiungere a questa petizione, che esprime un vero giudizio popolare sulla banda dei funzionari russi che violano le leggi fondamentali. Ricordiamo i momenti principali della «questione finlandese». La Finlandia è stata annessa alla Russia nel 1809, durante la guerra con la Svezia, Volendo attirare dalla sua parte i finlandesi, già sudditi del re svedese, Alessandro I decise di riconoscere e sanzionare la vecchia Costituzione finlandese. In base a questa Costituzione, non può essere emanata, modificata o abrogata nessuna legge fondamen- tale senza il consenso della Dieta, ossia dell'assemblea dei rappresen- tanti di tutti i ceti , E Alessandro I confermò « solennemente » in al- 286 LENIN cuni manifesti la promessa che la Costituzione del territorio sarebbe stata sacra . Questa promessa consacrata dal giuramento fu poi confermata da tutti i sovrani russi, e anche da Nicola II nel manifesto del 25 ottobre (6 novembre) 1894: «...promettendo di mantenerle [le leggi fonda- mentali] nelle loro inviolabili e irrevocabili forza e validità ». Non trascorsero nemmeno cinque anni e lo zar russo divenne spergiuro . Dopo che la stampa venale e servile si era lungamente ac- canita contro la Finlandia, fu emanato il manifesto del 3 (15) feb- braio 1899 che stabiliva una nuova procedura: si possono emanare leggi senza il consenso della Dieta, « se esse soddisfano esigenze di tutto lo Stato o sono in legame con la legislazione dell’impero ». Fu questa una scandalosa violazione della Costituzione, un vero colpo di Stato , perchè si può sempre dire di ogni legge che essa sod- disfa esigenze di tutto Io Stato! Anche questo colpo di Stato fu operato con la violenza: il go- vernatore generale Bobrikov minacciò di far entrare le truppe in Fin- landia se il Senato si fosse rifiutato di pubblicare il manifesto. Alle truppe russe dislocate in Finlandia erano già state distribuite (stando alle parole degli stessi ufficiali) le cartucce, i cavalli erano sellati, ecc. Alla prima violenza ne seguirono infinite altre: furono soppressi l’uno dopo l’altro i giornali finlandesi, si abolì la libertà di riunione, si popolò la Finlandia di bande di spie russe e di ignobili provocatori che istigavano all’insurrezione, ecc. ecc. Infine, senza il consenso della Dieta, fu emanata la legge del 29 giugno (12 luglio) sul servizio mi- litare obbligatorio, legge sufficientemente analizzata nella petizione. Sia il manifesto del 3 febbraio 1899 che la legge del 29 giugno 1901 sono illegali, sono atti di violenza di uno spergiuro e della banda di sbirri che si chiama governo zarista. Due milioni e mezzo di fin- landesi non possono, naturalmente, pensare ad insorgere, ma noi tutti, cittadini russi, dobbiamo pensare alla vergogna che ricade su di noi. Siamo ancora schiavi a tal punto che di noi ci si serve per ri- durre in schiavitù altre stirpi. Sopportiamo ancora a casa nostra un governo che non soltanto soffoca con la ferocia del carnefice ogni aspi- razione alla libertà in Russia, ma si serve, inoltre, delle truppe russe per attentare con la violenza alla libertà degli altri popoli! ìsl{ra } n. > 20 novembre 1901. LA RIVISTA SVOBODA La rivistucola Svoboda non vai niente. Il suo autore — la rivista dà appunto Pimpressione di essere scritta dalla prima parola all’ultima dalla stessa persona — pretende di scrivere « per gli operai » in modo popolare. Questa però non è divulgazione, ma volgarizzazione nel senso deteriore delia parola. Non vi è una sola parola semplice, tutto è smanceria... L’autore non scrive una sola frase che non sia lam- biccata, zeppa di paragoni « popolari » e parolette « popolari », come « gli » invece di « loro ». E con questo mostruoso linguaggio vengono masticate, senza nuovi dati, senza nuovi esempi, senza una nuova ela- borazione, fruste idee socialiste volgarizzate per l’occasione. La di- vulgazione, vien fatto di dire all’autore, è cosa ben diversa dalla vol- garizzazione. Lo scrittore popolare guida il lettore a un pensiero pro- fondo, a uno studio approfondito, partendo dai dati più semplici e conosciuti, indicando, mediante facili considerazioni o esempi appro- priati, le conclusioni principali da trarre da questi dati, stimolando il lettore che pensa a porsi sempre nuovi problemi. Lo scrittore popo- lare non presuppone un lettore che non pensa, che non vuole o non sa pensare, ma, al contrario, presuppone nel lettore poco colto la seria intenzione di lavorare con la testa e lo aiuta a compiere questo serio e difficile lavoro, lo guida, sorreggendolo nei primi passi e insegnando - gli ad andare avanti da solo. Lo scrittore volgare presuppone un let- tore che non pensa e non è capace di pensare, non lo spinge verso i primi fondamenti di una scienza seria, ma verso un genere mostruo- samente semplificato, colorito di scherzucci e di lepidezze, gli offre 288 LENIN « pronte » tutte le conclusioni di una determinata dottrina, di modo che il lettore non ha neanche bisogno di masticare, ma solo d’inghiot- tire la pappa già pronta. Scritto nell’autunno del 1901. Pubblicato per la prima volta nel 1936 nel Bolscevici n. a, UN COLLOQUIO CON I SOSTENITORI DELL’ECONOMISMO Riportiamo integralmente quanto ci ha inviato uno dei nostri rappresentanti. « Lettera ai giornali socialdemocratici russi In risposta all’invito dei nostri compagni di deportazione che ci hanno chiesto un nostro giudizio suIlV^/n, abbiamo deciso di far conoscere le cause del nostro disaccordo con questo giornale. Riconoscendo che la pubblicazione di un organo socialdemocratico par- ticolarmente dedicato alle questioni della lotta politica è del tutto tempe- stiva, non pensiamo che Visura adempia in modo soddisfacente il com- pito che si è assunto. Il suo difetto fondamentale, che passa come un filo iosso attraverso tutte le sue colonne ed è la causa di tutte le restanti lacune, grandi e piccole, consiste nel fatto che Visura riserva un posto molto rile- vante agli ideologi del movimento in rapporto alla loro influenza su questa o quella tendenza del movimento stesso. Nel medesimo tempo Visura tiene poco conto di quegli elementi materiali del movimento e di quellambiente materiale il cui giuoco reciproco crea un certo tipo di movimento operaio e traccia il calumino, dal quale tutti gli sforzi degli ideologi, sia pure ispi- rati dalle più belle teorie e programmi, non sono in grado di farlo deviare. Questo difetto dc\Ylsì(ra salta agli occhi in modo particolarmente netto quando lo si confronta con lo luzny Raboci ’, il quale, levando come Visura la bandiera della lotta politica, pone questa lotta in relazione con la fase precedente del movimento operaio nella Russia meridionale. Tale impo- stazione del problema è completamente estranea aWIsfya. Ponendosi il compito di far scaturire ” dalla scintilla una grande fiamma ”, essa di- mentica che per farlo sono necessarie materie infia mina bili adatte e con- 19 - 754 290 LENIN dizioni esterne favorevoli. Respingendo con ambo le braccia gli ” economi- sti ”, Visura dimentica che la loro attività ha preparato quella partecipa- zione degli operai agli avvenimenti di febbraio e di marzo che essa sottoli- nea con particolare cura e, con tutta probabilità, esagera notevolmente. Prendendo una posizione negativa di fronte airattività dei socialdemocra- tici alla fine degli anni novanta, Visura ignora che allora mancavano le condizioni per un altro lavoro che non fosse la lotta per le piccole rivendi- cazioni e che quella lotta ebbe un enorme valore educativo. Valutando in modo completamente sbagliato e antistorico quel periodo e quell’orienta- mento definitività dei socialdemocratici russi, Visura identifica la loro tat- tica con la tattica di Zubatov, poiché non vede la differenza che esiste tra ” la lotta per le piccole rivendicazioni ”, che estende e approfondisce il mo- vimento operaio, e ” le piccole concessioni ”, che hanno lo scopo di para- lizzare ogni lotta e ogni movimento. Imbevuta fino alle ossa deirintolleranza settaria caratteristica degli ideologi del periodo infantile dei movimenti sociali, Visura è pronta a bol- lare ogni disaccordo con essa, considerandolo non solo come una rinuncia ai principi socialdemocratici, ma perfino come un passaggio nel campo nemico. Tale è il suo attacco, estremamente sconveniente e meritevole delia più severa e implacabile condanna, contro la Rabociaìa Mysl , alla quale ha dedicato l’articolo su Zubatov e alla cui influenza ha attribuito i successi che costui ha ottenuto in un determinato strato di operai. Nel suo at- teggiamento negativo verso le altre organizzazioni socialdemocratiche che vedono in modo diverso dal suo il corso e gli obiettivi del movimento operaio russo, 17r^nz, nel fuoco della polemica, dimentica spesso la verità e, appigliandosi a singole espressioni effettivamente infelici, attribuisce ai suoi avversari opinioni che essi non hanno, sottolinea i punti di con- trasto, spesso di poca importanza, e passa tenacemente sotto silenzio i numerosi punti di contatto; intendiamo parlare deiratteggiamento del- Visura verso il Raboccie Dielo. Questa sua eccessiva tendenza alla polemica deriva innanzi tutto dalla sua sopravvalutazione della funzione dell’ideologia (programma, teoria...) nel movimento ed è in parte un’eco della lotta intestina divampata in Occidente tra gli emigrati russi, che si sono affrettati a darne notizia in una serie di opuscoli e articoletti polemici. A nostro avviso, tutti questi loro dissensi non hanno quasi nessuna influenza sul corso effettivo del movi- mento socialdemocratico russo; forse gli nuocciono soltanto, creando una deprecabile scissione tra i compagni che lavorano in Russia; non possiamo quindi non avere un atteggiamento negativo verso l’ardore polemico del- soprattutto quando essa esce dai limiti ammessi dal decoro. Questo stesso difetto fondamentale dell 'lsl{ra è causa della sua man- canza di coerenza nella questione dcfi’atteggiamento della socialdemo- UN COLLOQUIO CON I SOSTENITORI DELL’ECONOMISMO 2QI crazia russa verso le varie classi e tendenze sociali. Essendosi posta, me- diante escogitazioni teoriche, il compito di passare immediatamente alla lotta contro l’assolutismo e sentendo probabilmente tutta la difficoltà che questa lotta presenta per gli operai nella situazione attuale, ma non avendo la pazienza di attendere che vi sia una sufficiente accumulazione di forze da parte degli operai per questa lotta, Visura comincia a cercare alleati nelle file dei liberali e degli intellettuali, e nelle sue ricerche si allontana spesso dalla posizione classista, mascherando gli antagonismi di classe e ponendo in primo piano il malcontento comune contro il governo, sebbene le cause e il grado di tale malcontento siano molto diversi negli ” alleati Tale è, per esempio, l’atteggiamento àtWlsì^ra verso lo zemstvo. UIsJ(ra cerca di far divampare in una fiammata di lotta politica le velleità frondiste degli zemstvo — spesso provocate dal fatto che il governo non appoggia ab- bastanza, in confronto di quanto fa per l’industria, la cupidigia dei signori agrari degli zemstvo — e promette ai nobili non soddisfatti delle elemosine governative l’aiuto della classe operaia, senza dire, in pari tempo, nem- meno una parola sul contrasto di classe che pone l’uno contro l’altro questi strati della popolazione. Possiamo ammettere che si parli della ripresa del movimento degli zemstvo e si indichi lo zemstvo come un elemento che lotta contro il governo, però solo in una forma chiara e precisa, che non lasci dubbi sul carattere del nostro possibile accordo con simili elementi. Visura, invece, pone la questione dell’atteggiamento verso lo zemstvo in un modo che, a nostro parere, può soltanto offuscare la coscienza di classe, perchè qui, essa, come i predicatori del liberalismo e di varie ini- ziative culturali, contravviene al compito fondamentale della pubblicistica socialdemocratica, che consiste nel criticare il regime borghese e nell’illu- strare gli interessi di classe, e non neH’offuscarne l’antagonismo. Tale è l’atteggiamento dell *IsJ(ra anche verso il movimento degli studenti. Tut- tavia in altri articoli Visura condanna energicamente ogni ” compromesso ” e difende per esempio l’intolleranza dei guesdisti. Senza soffermarci sugli altri suoi difetti ed errori meno importanti, crediamo doveroso osservare, concludendo, che con la nostra critica non vogliamo affatto diminuire l’importanza che può avere Visura e non chiu- diamo gli occhi davanti ai suoi pregi. Noi la salutiamo come il giornale politico socialdemocratico della Russia. Riteniamo suo grande merito l’avcr chiarito con efficacia la questione del terrorismo, alla quale essa ha tempesti- vamente dedicato alcuni articoli. Infine non possiamo non rilevare l’esem- plare linguaggio letterario deìYIs^ra, tanto raro nelle pubblicazioni illegali, la regolarità della sua pubblicazione e l’abbondanza di materiale recente e interessante. Settembre 1901. Un gruppo di compagni >. 2Q2 LENIN Rileviamo, innanzitutto, a proposito di questa lettera, che ci con- gratuliamo di tutto cuore per la sincerità e la franchezza dei suoi autori. Da tempo è ora di smetterla di giocare a rimpiattino nascon- dendo il proprio « credo » economistico (come fa spesso il comitato di Odessa dal quale si sono separati i « politici ») o dichiarando, a de- risione della verità, che « assolutamente nessuna organizzazione so- cialdemocratica è colpevole di economismo » (opuscolo Due con- gressi , edito dal Raboceie Dielo , p. 32). E ora veniamo al sodo. L’errore fondamentale degli autori della lettera è esattamente lo stesso in cui cade il Raboceie Dielo (cfr. particolarmente il n. io). Essi si imbrogliano nella questione dei rapporti tra gli elementi « ma- teriali * (spontanei, secondo l’espressione del Raboceie Dielo ) del mo- vimento e quelli ideologici (coscienti, che agiscono « secondo un pia- no »). Non comprendono che l’« ideologo» merita di essere chiamato ideologo solo allorquando precede il movimento spontaneo e gli in- dica la via, quando sa risolvere prima degli altri tutte le questioni teoriche, politiche, tattiche e organizzative che si pongono sponta- neamente gli « elementi materiali » del movimento. Per « tener conto degli elementi materiali » del movimento, nella giusta misura, bisogna considerarli criticamente, bisogna saper indicare i pericoli e i difetti del movimento spontaneo, bisogna saper elevare la spontaneità a co- scienza. Dire, invece, che gli ideologi (cioè i dirigenti coscienti) non possono deviare il movimento dalla strada determinata dal giuoco reciproco dell’ambiente e degli elementi, significa dimenticare una ve- rità elementare: che la coscienza partecipa a questa azione reciproca e a questa determinazione. Le associazioni operaie cattoliche e mo- narchiche in Europa sono anch’esse il necessario risultato dell’azione reciproca dell’ambiente e degli elementi, ma a quest’azione ha par- tecipato soltanto la coscienza dei preti e degli Zubatov, e non la co- scienza dei socialisti. Le opinioni teoriche degli autori della lettera (come quelle del Raboceie Dielo) rappresentano non il marxismo, ma quella sua parodia che i nostri « crìtici » e i nostri bernsteiniani, i quali non comprendono come si possa legare l’evoluzione spontanea all’attività rivoluzionaria cosciente, portano alle stelle. Questo profondo errore teorico conduce necessariamente, nel mo- mento che attraversiamo, al gravissimo errore tattico che ha già pro- curato e procura un danno incalcolabile alla socialdemocrazia russa. Il fatto è che la ripresa spontanea sia della massa operaia sia (grazie UN COLLOQUIO CON 1 SOSTENITORI DELL ECONOMISMO 293 all'influenza di quest’ultima) degli altri strati sociali avviene negli ultimi anni con stupefacente rapidità. Gli «elementi materiali» del movimento si sono enormemente sviluppati anche in confronta al 1898, ma i dirigenti coscienti (socialdemocratici) sono in ritardò su questo sviluppo. Questa è la causa principale della crisi che 'attra- versa la socialdemocrazia russa. AI movimento di massa (spontaneo) mancano degli « ideologi » teoricamente tanto preparati da essere garantiti da ogni incertezza, mancano dei dirigenti che abbiano un orizzonte politico così largo, tanta energia rivoluzionaria, tale capacità organizzativa da permettere loro di creare, sulla base del nuovo mo- vimento, un partito politico combattivo. Tutto questo sarebbe, però, ancora una mezza disgrazia. Le co- gnizioni teoriche, l’esperienza pratica, labilità organizzativa sono tutte cose acquisibili. Basterebbe la volontà di studiare e di acquisire le qualità necessarie. Ma dalla fine del 1897 e specialmente/ dall’au- tunno 1898 nella socialdemocrazia russa hanno alzato la testa uomini e giornali che non soltanto chiudono gli occhi davanti a questo di- fetto, ma anzi l’hanno proclamato particolare virtù, ed hannb elevato a teoria il prosternarsi e lo strisciare davanti alla spontaneità, hanno cominciato a propagandare che i socialdemocratici non devono essere alla testa del movimento, ma trascinarsi alla sua coda . (Fra questi giornali vi è non solo la Rabociaia Mysl, ma anche il Raboceie Dielo , il quale ha cominciato con la « teoria degli stadi » per finire con la di- fesa, in linea di principio, della spontaneità, del « pieno diritto del movimento nel momento attuale », della « tattica-processo », ecc .)/ E questa è già stata una vera disgrazia. Si trattava della costitu- zione di una particolare corrente che è d’uso chiamare economismo (nel senso lato della parola) e la cui caratteristica fondamentale con- siste neirincomprensione e perfino nella difesa del ritardo , cioè, come già abbiamo spiegato, del ritardo dei dirigenti coscienti rispetto alla ri- presa spontanea delle masse. Questa corrente teoricamente è caratteriz- zata dalla grossolana semplificazione del marxismo e daH’impotenza davanti alla « critica » attuale, questa nuovissima varietà delloppor- tunismo; politicamente, dalla tendenza a restringere l’agitazione po- litica e la lotta politica 0 a sostituirla con piccole attività, dall’in- comprensione del fatto che, se non prenderà nelle proprie mani la di- rezione del movimento democratico generale, la socialdemocrazia non potrà rovesciare l’autocrazia; per la tattica, dalla completa instabilità LENIN m (il Raboceie Dieta questa primavera si è arrestato perplesso davanti alla « nuova » questione del terrorismo e solo sei mesi dopo, quando già era passato per una serie di esitazioni, si è pronunciato sfavo- revolmente in una risoluzione ambigua, trascinandosi, come sempre, alla coda del movimento); organizzativamente è caratterizzata dal- Fincomprensione del fatto che il carattere di massa del movimento non solo non attenua ma, al contrario, accentua ii nostro dovere di formare un’organizzazione di rivoluzionari forte e centralizzata, capace di dirigere sia la lotta preparatoria, sia ogni improvvisa esplo- sione, sia, infine, Fattacco decisivo. Contro questa corrente abbiamo condotto e condurremo una lotta implacabile. A quanto pare, invece, gli autori della lettera fanno parte di questa corrente. Essi d fanno osservare che la lotta economica ha preparato la partecipazione degli operai alle manifestazioni. Sì, e siamo stati proprio noi che per primi, e pih profondamente di qual- siasi altro, abbiamo apprezzato questa preparazione quando d siamo pronunciati fin dal dicembre 1900 (ru 1) contro la teoria degli «stadi»* quando nel febbraio (n. 2), subito dopo Farruo lamento forano di stu- denti nell’esercito e prima ancora dell’inizio delle manifestazioni, ab- biamo chiamato gli operai a dare man. forte agli studenti**. Gli avvenimenti di febbraio e di marzo non hanno « smaltito le paure e i timori » dàVIsfyv (come pensa — Raboceie Dido , n. ro, p. 53 — Martynov, dimostrando così di non capire affatto la questione), ma li hanno interamente confe rmati, pacche i dirigenti sono rimasti in- dietro rispetto alla ripresa spontanea delle masse, si sono dimostrati impreparati ad adempiere i loro doveri di dirigenti. Questa prepara- zione, anche nel momento attuale, è ben lontana, dell’essere compiuta, e perdo ogni discorso sulla « sopravv alutazione della funzione del- l’ideologia > o sulla funzione dell’elemento cosciente in confronto a quella dell’elemento spontaneo, ecc. continua ad esercitare la più dan- nosa influenza pratica sul nostro partito. Un’influenza egualmente dannosa esercitano i discorsi sulla neces- sità, in nome di un punto di vista pseudoclassista, di porre meno Facccmo sul fatto che il malcontento contro il governo è comune a di- versi strati della popolazione. Nòi r al contrario*, siamo fieri che Visura alimenti il malcontento in tutti gli strati della popolazione, e d * Cfr M odia presente edizione, voi. 4, pp. 40 1-406 {N. d. Jt), •* Cfr., nella p resente edizione, voi. 4, pp. 451-456 (W- d. IL). UN COLLOQUIO CON I SOSTENITORI DELL’ECONOMISMO 295 dispiace soltanto di non riuscire a farlo in misura ancora maggiore. Non è vero che facendolo attenuiamo il punto di vista di classe: gli autori della lettera non hanno citato e non possono citare nessun esempio concreto di simile attenuazione. Ma, come combattente d’avanguardia per la democrazia, la socialdemocrazia deve — nono- stante lopinione del Raboceic Dielo , n. io, p. 41 — dirigere l’attività concreta dei vari strati dell’opposizione, spiegar loro il valore politico generale dei frequenti conflitti, personali e di categoria, che essi hanno col governo, chiamarli a sostenere il partito rivoluzionario; deve for- mare nel proprio seno dei capi che sappiano influire politicamente su tutti gli strati del! opposizione. Ogni rinuncia a questa funzione, per quanto mascherata da frasi pompose sullo stretto legame organico con la lotta proletaria ecc., equivale a una nuova « difesa del ritardo » dei socialdemocratici, del ritardo rispetto alla ripresa del movimento demo- cratico di tutto il popolo, equivale a cedere la funzione dirigente alla democrazia borghese. Riflettano gli autori della lettera sul motivo per cui gli avvenimenti di primavera hanno suscitato tanta animazione tra le correnti rivoluzionarie non socialdemocratiche invece di produrre un rafforzamento deirautorità e del prestigio della socialdemocrazia! Non possiamo non insorgere anche contro la stupefacente miopia dimostrata dagli autori della lettera nel trattare della polemica e della lotta intestina tra gli emigrati. Essi ripetono le vecchie sciocchezze sulla « sconvenienza » commessa dedicando alla Rabociaia Mysl un articolo su Zubatov. Vorrebbero forse negare che la diffusione dell’eco- nomismo agevola il compito dei signori Zubatov? È appunto quel che noi diciamo, senz’affatto identificare la tattica degli economisti con la tattica di Zubatov. Quanto agli « emigrati » (se gli autori della lettera non dimostrassero una così imperdonabile noncuranza per la continuità delle idee nella socialdemocrazia russa, saprebbero che gli avvertimenti degli t emigrati », e precisamente del gruppo « Emanci- pazione del lavoro », a proposito dell economismo si sono rivelati giu- sti nel modo più brillante!), udite come Lassalle, che lavorava nel 1852 tra gli operai della Renania, giudicava i contrasti neiremigrazione londinese : « È dubbio — egli scriveva a Marx — che la polizia ponga osta- coli alla pubblicazione della tua opera contro i ” grandi uomini ”, Kin- kel, Ruge ed altri... Ritengo che il governo sia persino contento che ap- paiano tali opere, perchè pensa che i rivoluzionari si dilanino fra 2 g6 LENIN di loro. Che la lotta di partito dia a un partito forza e vitalità, che la maggior prova di debolezza di un partito sia la sua dispersione e la scomparsa di barriere nettamente definite, che epurandosi un partito si rafforzi, questo la logica dei burocrati non lo sospetta e non lo teme»“ (dalla lettera di Lassalle a Marx del 24 giugno 1852). Ne prendano atto tutte le belle anime, ora così numerose, che av- versano l’asprezza, l’intransigenza, l’ardore polemico, ecc.! Concludendo rileviamo che qui abbiamo potuto trattare solo di sfuggita le questioni controverse. Alla loro analisi particolareggiata dedicheremo un opuscolo che speriamo apparirà tra un mese e mezzo circa. ls\ra t n. 12, 6 dicembre 1901. IL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO DELLA ATTIVITÀ’ RIVOLUZIONARIA DI G. V. PLEKHANOV La redazione dell ’Isfya si associa di tutto cuore alla celebrazione del venticinquesimo anniversario dellattività rivoluzionaria di G. V. Plekhanov. Possa questa celebrazione servire a rafforzare il marxismo rivoluzionario, il solo capace di dirigere la lotta mondiale di libera- zione del proletariato e di resistere all attacco del sempre vecchio op- portunismo che si presenta con tanto chiasso sotto nuove insegne. Possa questa celebrazione servire a rafforzare i legami tra le migliaia di gio- vani socialdemocratici russi, che dedicano tutte le loro forze al gravoso lavoro pratico, e il gruppo « Emancipazione del lavoro », che offre al movimento, il quale tanto ne ha bisogno, un'enorme riserva di co- gnizioni teoriche, un vasto orizzonte politico, una ricca esperienza ri- voluzionaria. Evviva la socialdemocrazia rivoluzionaria russa, evviva la social- democrazia internazionale! Scritto all'inizio del dicembre 1901. Pubblicato per la prima volta nel 1924 nella Prole tarsiata Revoliutsia , n. 7. L’INIZIO DELLE MANIFESTAZIONI Due settimane fa abbiamo celebrato il venticinquesimo anniver- sario della prima manifestazione sociale rivoluzionaria svoltasi in Russia il 6 dicembre 1876 in piazza Kazan a Pietroburgo 51 , e ab- biamo rilevato che le manifestazioni hanno assunto all’inizio di que- st’anno un grande slancio. Abbiamo detto che i manifestanti avrebbero dovuto lanciare una parola d’ordine più precisa di quella di «terra e libertà» (1876), una rivendicazione più larga di quella dell’« abro- gazione delle norme transitorie» (1901). La parola d’ordine avrebbe dovuto essere: libertà politica ; la rivendicazione di tutto il popolo: convocazione dei rappresentanti del popolo . E le manifestazioni si ripetono, per i motivi più diversi, a Nizni, a Mosca, a Kharkov. Il fermento cresce dappertutto, e sempre più impel- lente diviene la necessità di convogliarlo in un unico torrente diretto contro V autocrazia, che semina ovunque l’arbitrio, l’oppressione e la violenza. A Nizni, il 7 novembre si è svolta una piccola ma ben riu- scita manifestazione in occasione della partenza di Maxim Gorki. Lo scrittore, celebre in tutta l’Europa, la cui arma è unicamente costituita — come si è felicemente espresso l’oratore della manifestazione di Nizni Novgorod — dalla libera parola, è stato espulso dal. governo au- tocratico dalla sua città natale, senza alcun processo e istruttoria. Gli sbirri lo accusano di esercitare una cattiva influenza su di noi — ha detto l’oratore, a nome di tutti i russi che aspirano almeno a un po’ di luce e di libertà — e noi dichiariamo che la sua è stata una benefica in- fluenza, Gli scherani compiono le loro prepotenze in segreto, ma noi le renderemo pubbliche e le faremo conoscere. Da noi si picchiano gli L INIZIO DELLE MANIFESTAZIONI 299 operai che difendono il loro diritto a una vita migliore, da noi si pic- chiano gli studenti che protestano contro l’arbitrio, da noi si soffoca ogni parola onesta e coraggiosa! Ha chiuso la manifestazione, alla quale partecipavano anche gli operai, uno studente che ha declamato solennemente i versi: «Cada Parbitrio, potente, libero e forte insorga il popolo». A Mosca, Gorki era atteso alla stazione da centinaia di studenti, e la polizia, spaventata, Io ha arrestato sul treno, a metà strada, gli ha proibito (nonostante la speciale autorizzazione prima accordatagli) di recarsi a Mosca e lo ha costretto a passare direttamente dalla linea di Nizni Novgorod su quella di Kursk. La manifestazione contro l’espul- sione di Gorki non è riuscita, ma il 18 si è svolta senza nessuna pre- parazione, davanti alla casa del generale governatore, una piccola ma- nifestazione di studenti e di « individui estranei » (come li chiamano i nostri ministri) contro la proibizione di una serata indetta per comme- morare Dobroliubov, morto il 17 novembre di quarantanni fa. Il rap- presentante del potere autocratico a Mosca è stato fischiato da uomini ai quali, come a tutta la Russia colta e pensante, è caro Io scrittore che con tutta Panima odiava Parbitrio e attendeva l’insurrezione popolare contro « i turchi interni », contro il governo autocratico. Il comitato esecutivo delle organizzazioni studentesche moscovite rileva giusta- mente nel suo bollettino del 23 novembre che questa manifestazione non preparata è una prova evidente di malcontento e di volontà di protesta. A Kharkov la manifestazione, iniziata dagli studenti, si è trasfor- mata in un vero combattimento di strada, al quale non hanno par- tecipato soltanto gli studenti. L’esperienza dell’anno passato non è stata vana. Gli studenti hanno costatato che solo l’appoggio del po- polo, e soprattutto l’appoggio degli operai, può garantir loro il suc- cesso, e che per assicurarsi questo appoggio debbono impegnare la lotta non soltanto per le libertà accademiche (degli studenti) ma per la libertà di tutto il popolo , per la libertà politica. Il consiglio dell’as- sociazione delle organizzazioni studentesche di Kharkov lo ha già detto apertamente nel suo manifestino di ottobre. Inoltre, anche gli stu- denti di Pietroburgo, Mosca, Kiev, Riga e Odessa, come si può vedere dai loro giornaletti e manifestini, hanno cominciato a capire quanto « inconsistente sia il sogno » della libertà accademica quando il popolo è ridotto in completa schiavitù. L’infame discorso pronunciato a Mo- 3 00 LENIN sca dal generale Vannovski per smentire le «voci» secondo cui egli avrebbe fatto una volta certe promesse; l’inaudita impudenza di un poliziotto a Pietroburgo (che ha preso per il colletto uno studente delPistituto di elettrotecnica per strappargli una lettera che un fatto- rino gli aveva consegnato); i selvaggi atti di violenza commessi dalla polizia contro gli studenti di Iaroslavl, nella strada e nel commissa- riato, tutti questi fatti e migliaia di altri incitano alla lotta, alla lotta, e ancora alla lotta contro tutto il regime autocratico. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il caso degli studenti della facoltà di veterinaria di Kharkov. Gli iscritti al primo anno avevano chiesto in una petizione l’allontanamento del professore Laghermark, di cui lamentavano l’insegnamento burocratico e l’intollerabile villania: era giunto fino al punto di sbattere il programma in faccia agli studenti! Il governo, senza nemmeno esaminare il caso, ha risposto cacciando dall’istituto tutti gli studenti del primo anno, e per giunta, nel suo comunicato, li ha calunniati dichiarando che rivendicavano il diritto di nominare essi stessi i professori. Allora tutti gli studenti di Kharkov sono insorti, si è deciso di organizzare uno sciopero e una manifesta- zione. Dal 28 novembre al 2 dicembre Kharkov, per la seconda volta in quest’anno, è diventata un campo di battaglia, ove i « turchi inter- ni » attaccavano il popolo che protestava contro l’arbitrio dell’autocra- zia! Da una parte, grida di: «Abbasso l’autocrazia! Evviva la li- bertà! ». Dall’altra, piattonate, staffilate, gente calpestata dai cavalli. La polizia e i cosacchi, colpendo tutti, senza distinzione di sesso e di età, hanno riportato la vittoria sugli inermi ed esultano... Li lasceremo dunque esultare? Operai! Voi conoscete troppo bene la forza nemica che irride al popolo russo. Questa forza nemica vi lega mani e piedi nella vostra lotta quotidiana contro i padroni per una vita migliore e per la dignità umana. Questa forza nemica vi strappa centinaia e migliaia dei vostri migliori compagni, li getta nelle prigioni, li deporta e li chiama, come per farsene beffa, « individui di condotta depravata ». Questa forza nemica il 7 maggio ha sparato a Pietroburgo sugli operai del- l’officina Obukhov che si erano sollevati al grido di « vogliamo la li- bertà! », ed ha poi organizzato una commedia di processo per mandare in galera gli eroi che le pallottole non avevano colpito. Questa forza nemica, che oggi percuote gli studenti, domani si lancerà con ferocia ancora maggiore a percuotere voi, operai. Non perdete tempo! Ricor- l’inizio delle manifestazioni 3 01 date che dovete appoggiare ogni protesta e lotta contro gli sbirri del governo autocratico! Cercate di accordarvi ad ogni costo con gli stu- denti che manifestano, organizzate dei gruppi per la rapida divulga- zione delle notizie e la diffusione dei volantini, spiegate a tutti che la vostra lotta è una lotta per la libertà di tutto il popolo. Quando qua e là cominciano ad accendersi focolai di indignazione popolare e di lotta aperta, anzitutto e soprattutto occorre una forte cor- rente d’aria che li faccia divampare in una grande fiammata! Iskra, n, 13, 20 dicembre 1901. UNA LETTERA DEGLI « OPERAI DEL SUD » Abbiamo ricevuto una lettera firmata « Operai del sud » Questi ope- rai salutano il rafforzamento della corrente rivoluzionaria nella social- democrazia russa e c’incaricano di trasmettere i loro auguri alla « Lega della socialdemocrazia rivoluzionaria russa » airestero. Disgraziata- mente la mancanza di spazio non ci consente di pubblicare integral- mente la lettera. Siamo pienamente d’accordo con i suoi autori: «Il metodo della diffusione di manifestini praticato da noi in Russia per far penetrare le idee rivoluzionarie nelle grandi masse non è in grado di educare la coscienza politica della massa »; « è necessario creare una particolare letteratura per educare politicamente il proletariato russo ». Però non è pratico il progetto degli autori della lettera di pubblicare a questo scopo degli opuscoli popolari di tre o quattro pagine e di diffonderli « contemporaneamente in tutta la Russia ». Noi riteniamo che il proletariato russo sia già completamente maturo anche per un tipo di pubblicazione come quello di cui si servono tutte le altre classi, cioè il giornale. Solo un giornale politico può realmente educare la coscienza politica delle masse e illuminare, secondo l’espressione degli autori della lettera, « tutta la nostra vita sociale, a cominciare dal quarto stato per finire alla grande borghesia ». Solo un giornale per tutta la Russia può, se gode deH’attivo sostegno di tutti i comitati e circoli locali, essere diffuso più o meno « contemporaneamente in tutta la Russia » e uscire con tale frequenza da meritarsi il nome di gior- nale. E solo se poggerà su solide basi, un simile giornale rivoluziona- rio segnerà il definitivo passaggio del nostro movimento « dalla lotta limitata agli scioperi economici alla vasta lotta rivoluzionaria contro il governo autocratico russo ». ìskra, n. 13, 20 dicembre 1901. ANARCHIA E SOCIALISMO Tesi: 1. Il movimento anarchico nei trentacinque-quarant’anni (Baku- nin e F Internazionale del 1866) della sua esistenza (e con Stirner molti anni di più) non ha dato nulla alFinfuori di frasi generali contro lo sfruttamento . Queste frasi sono in voga da oltre duemila anni. Manca (a) la comprensione delle cause dello sfruttamento; (( 3 ) la comprensione dello sviluppo della società che conduce al socialismo; (y) la com- prensione della lotta di classe come forza creativa per attuare il socia- lismo. 2. Comprensione delle cause dello sfruttamento. Proprietà privata come base dell economia mercantile. Proprietà sociale dei mezzi di produzione. Nil # nell’anarchia. L’anarchia è individualismo borghese alla rovescia. L'individua- lismo come base di tutta la concezione del mondo anarchica. Ì Difesa della piccola proprietà e della piccola azienda agricola. \ Keine Majoritàt ## . £ Negazione della forza unificatrice e organizzatrice del potere. ) 3. Incomprensione dello sviluppo della società — funzione della grande produzione — sviluppo del capitalismo nel socialismo. (L’a narchia è un prodotto della disperazione. Mentalità dell’intel- lettuale e dello straccione usciti di carreggiata e non del proletario). 4. Incomprensione della lotta di classe del proletariato. Assurda negazione della politica nella società borghese. * Nihil, nulla ( N . d. R.). ## Nessuna maggioranza (gli anarchici respingono, cioè, la sottomissione della minoranza alla maggioranza) ( N.d.R .), LENIN 3°4 Incomprensione della funzione delPorganizzazione e dell’educa- zione degli operai. Panacee di mezzi unilaterali, privi di ogni legame. 5. Nella recente storia d’Europa che cosa ha dato il movimento anarchico una volta dominante nei paesi latini? Nessuna dottrina, nessuna scienza rivoluzionaria, nessuna teoria. Frazionamento del movimento operaio. Fiasco * completo nelle esperienze del movimento rivoluzionario (proudhonismo nel 1871, bakuninismo nel 1873). Subordinazione della classe operaia alla politica borghese sotto forma di negazione della politica. Scritto nel 1901. Pubblicato per la prima volta nel 1936 nella Proletarskjiia RcvoUutsia t n, 7, • In italiano nel testo ( N.d.R ,), A PROPOSITO DEL BILANCIO DELLO STATO Come sempre, i nostri giornali hanno pubblicato il rispettosissimo rapporto del ministro delle finanze relativo al bilancio dello Stato per il 1902. Come sempre, risulta, secondo le assicurazioni del ministro, che tutto va per il meglio: «le finanze sono in condizioni del tutto soddisfacenti », nel bilancio « è stato fermamente mantenuto il pa- reggio », « le costruzioni ferroviarie continuano a svilupparsi con suc- cesso » e, persino, «il benessere del popolo aumenta costantemente»! Non c’è da stupirsi se da noi ci si interessa così poco dei problemi deireconomia dello Stato nonostante tutta la loro importanza: l’im- mancabile incensamento burocratico attenua l’interesse, ognuno sa che la carta sopporta tutto, che al pubblico « comunque » « non si permette di penetrare » nei retroscena delle acrobazie finanziarie ufficiali. Questa volta tuttavia una circostanza salta particolarmente agli oc- chi. Il prestigiatore, con la consueta abilità, mostra al pubblico le mani vuote, le fa rotare e presenta una dopo l’altra delle monete doro. Il pubblico applaude. Il prestigiatore si mette nondimeno a difendersi col massimo impegno, assicurando, quasi con le lacrime agli occhi, che non imbroglia, che non c’è deficit, che i debiti non superano gli « averi ». Il pubblico russo è così ben ammaestrato che sa come com- portarsi negli uffici pubblici, e, pur restando estraneo, prova un certo senso di disagio; solo alcuni borbottano tra sè il proverbio francese; « Chi si scusa s’accusa ». Vediamo come « si scusa » il nostro Witte. L’enorme spesa di quasi due miliardi di rubli (1.946.000,000) è coperta completamente solo grazie al fatto che 144.000.000 sono presi dal famoso « liquido dispo- 20- 754 3P6 LENIN nibile» del Tesoro e che il € liquido disponibile » viene completato dai 127.000.000 di rubli del prestito al 4% emesso l’anno scorso (il prestito era di 148.000.000 di rubli, ma mancano ancora 21.000.000). Il deficit viene dunque coperto dal prestito? Niente affatto, ci as- sicura il mago, « il prestito non è stato affatto emesso per coprire le spese non previste dal bilancio preventivo », perchè per la loro co- pertura restavano 1 14.000.000 di rubli «completamente disponibili», ma per il desiderio di costruire nuove linee ferroviarie. Molto bene, signor Witte! Ma, in primo luogo, in questa maniera non smentite che esista un deficit, perchè anche con i 1 14.000.000 di rubli «com- pletamente disponibili » non si coprono i 144.000.000 di spese. In se- condo luogo, nel «liquido disponibile» (1 14.000.000 di rubli) sono compresi i 63.000.000 di rubli dovuti all’incremento, non previsto nel bilancio, delle entrate ordinarie del 1901; e la nostra stampa già da tempo osserva che voi diminuite artificialmente le previsioni delle en- trate per gonfiare in modo fittizio il « liquido disponibile » e aumen- tate continuamente le imposte. Così l’anno scorso sono stati aumentati i diritti di bollo (nuovo statuto del bollo), il prezzo di monopolio della vodka è stato aumentato da 7 rubli a 7,60 il vedrò, è continuato lau- mento delle tariffe doganali (fatto nel 1900 dicendo che era una misura « temporanea » dovuta alla guerra cinese), ecc. In terzo luogo, esal- tando la « funzione di civiltà » delle ferrovie, voi tacete con modestia sul costume puramente russo e nient'affatto civile di depredare V era- rio nella costruzione delle linee ferroviarie (senza parlare poi del ver- gognoso sfruttamento degli operai e dei contadini, colpiti dalla carestia, da parte degli appaltatori). Per esempio, un giornale russo ha scritto recentemente che lammontare delle spese fissate per la costruzione della linea ferroviaria siberiana era all’inizio di 350.000.000 di rubli, mentre in realtà se ne sono spesi 780.000.000 c si finirà probabilmente per sorpassare anche il miliardo (Visura ha già detto qualche cosa delle ruberie commesse nella ferrovia siberiana; cfr. n. 2). Le entrate, dico, voi le calcolate con precisione, signor Witte, senza nulla tralasciare, ma per quanto riguardi la vera entità delle spese , provatevi un po’ a ren- derne conto! Inoltre non bisogna nemmeno dimenticare che la costruzione di li- nee ferroviarie nel 1902 c dovuta in parte agli scopi militari che il nostro « parifico » governo si prefigge (la grande linea Bologoie-Sedlets lunga più di 1.000 verste) e in parte all’imprescindibile necessità di « aiutare » A PROPOSITO DEL BIL N’CIU DELLO STATO 3°7 almeno in qualche modo l’industria depressa, nei cui affari la Banca di Stato è direttamente interessata. La Banca di Stato non solo ha generosamente sovvenzionato varie imprese dissestate, ma di fatto ne ha poste molte sotto la sua completa dipendenza. Il fallimento delle imprese industriali minacciava di provocare il fallimento dello Stato! Non dimentichiamo neppure, infine, che il continuo aumento della cifra dei prestiti e della pressione fiscale avviene per direttiva del «geniale » Witte, nonostante che tutti i capitali delle casse di risparmio siano completamente destinati a sostenere il credito dello Stato. E questi capitali hanno già superato gli 800.000.000 di rubli. Considerate tutto ciò e comprenderete che Witte amministra come un predone, che l’autocrazia va, lentamente ma sicuramente, verso la bancarotta, perchè non è possibile aumentare senza fine le imposte, e la borghesia francese non vorrà sempre cavar dagli impicci lo zar russo. Witte si difende dall’accusa di aver aumentato il debito pubblico con dei pretesti che fanno ridere. Egli paragona i debiti e gli « averi », confronta Tammontare dei prestiti del 1892 e del 1902 col valore delle ferrovie dello Stato negli stessi anni e ne deduce una diminuzione del debito «netto». Ma noi abbiamo altri «averi»: «le fortezze e le navi da guerra » (vi giuro che così è detto nel rapporto!), i porti c le officine statali, terre e boschi dati in affitto. Benissimo, signor Witte! Ma non vi accorgete che siete simile a un mercante che, chiamato in tribunale sotto l’accusa di bancarotta, comincia a giustificarsi davanti a coloro che si accingono a mettere i suoi beni sotto sequestro? Ma a chi verrà in mente di chiedere particolari garanzie per i prestiti a un’im- presa finche essa è effettivamente salda, incrollabile? Chi mai dubita che il popolo russo ha molti « averi »? Ma quanto maggiori sono que- sti « averi », tanto più forte è la colpa degli uomini i quali, nonostante le loro grandi disponibilità, amministrano limitandosi ad aumentare i prestiti e le imposte. Voi dimostrate soltanto che il popolo deve cacciar via al più presto possibile i predoni che dispongono dei suoi « averi ». In realtà, di tutti i paesi europei solo la Turchia si è finora ri' ferita a particolari beni dello Stato per garantire i prestiti statali. E questo ha avuto la naturale conseguenza che i creditori esteri hanno instaurato il loro controllo sui beni che debbono garantire il rimborso del denaro da essi prestato. L'economia della « grande potenza russa » LENIN 308 sotto il controllo dei commessi di Rothschìld e di Bleichreder: che brillante prospettiva ci aprite, signor Witte! * Non staremo nemmeno a dire che nessun banchiere accetterà in pegno fortezze e navi da guerra, che esse non sono un aspetto posi- tivo, ma negativo della nostra economia nazionale. Però anche le fer- rovie possono servire di garanzia solo quando procurano un guadagno. Dallo stesso rapporto di Witte apprendiamo, invece, che fino a po- chissimo tempo fa tutte le ferrovie russe in generale erano in perdita. Solo nel 1900 è stato coperto il deficit delle ferrovie siberiane e si è ottenuto un « piccolo profitto netto», tanto piccolo che Witte ne tace pudicamente Tentila. Egli non dice nemmeno che nei primi due qua- drimestri del 1901 gli incassi ferroviari della Russia europea sono di- minuiti a causa della crisi. Quale sarebbe il bilancio della nostra am- ministrazione ferroviaria se si tenesse conto non solo del denaro ver- sato dal Tesoro per le costruzioni, ma anche delPammontare effettivo delle somme rubate durante le costruzioni? Non è dunque ora di met- tere questi « averi » effettivamente preziosi in mani più sicure? Della crisi industriale Witte naturalmente parla col tono più tran- quillizzante : il « ristagno » « indubbiamente non intaccherà i suc- cessi generali delTindustria, e fra qualche tempo probabilmente [!?] incomincerà un nuovo periodo di ripresa industriale ». Bella consola- zione per i milioni di uomini della classe operaia colpiti dalla disoc- cupazione e dalla diminuzione del salario! NelTelenco delle spese dello Stato cercherete invano il benché minimo accenno ai milioni e alle decine di milioni che il Tesoro ha sborsato per sostenere direttamente e indirettamente le imprese industriali « colpite » dalla crisi. E che non ci si sia arrestati nemmeno di fronte a somme enormi lo si costata dal fatto, riferito dai giornali, che il totale generale dei prestiti accor- dati dalla Banca di Stato, dal i° gennaio 1899 al 1* gennaio 1901, è pas- sato da 250.000.000 a 449.000.000 di rubli, e quello dei prestiti accordati all’industria da 87.000.000 a 38.800.000 rubli. Anche la perdita di 4.000.000 di rubli subita per i prestiti accordati all’industria non ha per nulla messo in difficoltà il Tesoro. Gli operai, invece, che hanno • Lo stesso Witte si è accorto che le sue considerazioni sugli « averi » erano mal- destre e perciò in un’altra parte del rapporto ha cercato di « riprendersi » dichiarando che l’aumento del valore dei beni dello Stato « non ha particolare importanza per gli impegni del Tesoro, perchè il credito della Russia non ha bisogno di particolari garan- zie ». Ma si capisce! Un piccolo conto dettagliato con l’enumerazione di queste parti- colari garanzie è stato tuttavia lasciato. Non si sa mai! A PROPOSITO DEL BILANCIO DELLO STATO 3°9 sacrificato sull’altare dei « successi dell’industria » non il contenuto del loro portafoglio, ma la loro vita e la vita di milioni di persone che vivono del loro salario, il Tesoro li ha aiutati espellendoli « gra- tuitamente » a migliaia dalle città industriali e inviandoli nelle cam- pagne affamate! Witte evita del tutto la parola « fame », assicurando nel suo rap- porto che « le gravi ripercussioni della carestia... saranno alleviate da una generosa assistenza ai bisognosi ». Questa generosa assistenza, sempre secondo le sue parole, costerà 20.000.000 di rubli, mentre il raccolto dei cereali è stato inferiore al normale per una somma valu- tata a 250.000.000 di rubli (se si prende come base il bassissimo prezzo di 50 copechi al pud, ma si paragona però il raccolto con quello degli anni più favorevoli). Non vi sembra che ciò sia veramente « gene- roso»? Ammettiamo pure che solo la metà della perdita ricada sui contadini poveri; tuttavia risulterà che abbiamo ancora insufficiente- mente valutato la taccagneria del governo russo scrivendo (a propo- sito della circolare di Sipiaghin cfr. il n. 9 dell’/r^rfl *) che il governo riduceva i sussidi a un quinto del bisogno. Lo zar russo è stato gene- roso non nel soccorrere il contadino, ma nel prendere misure di polizia contro chi voleva effettivamente aiutare gli affamati. È anche ge- neroso nel buttar via milioni per strappare un boccone appetitoso in Cina. In due anni — riferisce Witte — riguardo alle spese straordinarie 80.000. 000 di rubli sono serviti per la guerra cinese e « inoltre spese assai notevoli sono state fatte a carico del normale bilancio ». In tutto, quindi, probabilmente circa un centinaio di milioni di rubli , se non di più! L’operaio disoccupato e il contadino affamato possono consolarsi al pensiero che in compenso la Manciuria sarà certamente nostra... La mancanza di spazio ci costringe a soffermarci solo brevemente sulle restanti parti del rapporto. Witte si difende anche dall’accusa secondo cui le spese per l’istruzione pubblica sono troppo esigue: ai 36.000. 000 di rubli in bilancio per questo ministero egli aggiunge le spese per le scuole di tutti gli altri dicasteri e « raggiunge » la cifra di quasi 75.000.000 di rubli. Ma per tutta la Russia anche questa cifra (di dubbia attendibilità) è assolutamente misera, e non costituisce nep- pure il 5% di tutto il bilancio. Il fatto che «il nostro bilancio statale è fondato in prevalenza sul sistema delle imposte indirette » Witte lo * Cfr., nel presente volume, pp. 1 - jt 1 7 (.V. <ì. R.), ritiene un vantaggio, ripetendo i banali argomenti borghesi sulla pos- sibilità di « commisurare con il consumo degli articoli soggetti a impo- sta il grado di benessere ». In pratica, come è noto, poiché le imposte in- dirette ricadono sugli articoli di consumo delle masse, esse costitui- scono una grandissima ingiustizia. Gravano infatti con tutto il loro peso sui poveri creando un privilegio per i ricchi. Quanto più un uo- mo è povero tanto maggiore è la quota di reddito che egli dà allo Stato sotto forma di imposte indirette. La massa poco abbiente e non ab- biente costituisce i nove decimi di tutta la popolazione, consuma i nove decimi di tutti i prodotti imponibili e paga i nove decimi di tutto l’arn- montare delle imposte indirette, mentre di tutto il reddito nazionale riceve appena due o tre decimi. Per concludere, una « inezia » interessante. Per quali voci sono maggiormente aumentate le spese dal 1901 al 1902? L’ammontare delle spese è cresciuto da 1.780.000.000 a 1.946.000.000 di rubii, ossia meno di un decimo. Invece sono cresciute di quasi un quarto le spese di due voci \ «per il mantenimento dei membri della famiglia impe- riale» da 9.800.000 a 12.800.000 rubli e... «per il mantenimento del corpo speciale dei gendarmi » da 3.800.000 a 4.940.000 rubli. Ecco la risposta alla domanda: quali sono i più impellenti «bisogni del po- polo russo»? E quale commovente «unione» dello zar con i gen- darmi! Ixfya, n, 15, 15 gennaio 1902. L'AGITAZIONE POLITICA E IL «PUNTO DI VISTA DI CLASSE Cominciamo con un esempio. I lettori ricordano probabilmente il rumore sollevato dal rapporto di M. A. Stakhovic, maresciallo della nobiltà del governatorato di Oriol, al congresso dei missionari, sulla necessità di riconoscere per legge la libertà di coscienza. La stampa conservatrice, e innanzi tutto le Mosì{pvsì{ie Viedomosti> getta fuoco e fiamme contro il signor Sta- khovic, lo copre d’ingiurie e accusa quasi di alto tradimento i nobili di Oriol, che hanno rieletto maresciallo il signor Stakhovic. Infatti questa elezione è un episodio sintomatico, che, fino a un certo punto, assume il carattere di una manifestazione della nobiltà contro l’arbi- trio e gli abusi della polizia. Stakhovic — affermano le Mos\ovs\ie Viedomosti — « non è tanto il maresciallo della nobiltà... quanto Miscia Stakhovic, bontempone, anima dei salotti, parlatore facondo...» (1901, n, 348). Tanto peg- gio per voi, signori difensori del bastone. Se anche i vostri proprietari nobili bontemponi sono giunti a parlare di libertà di coscienza, ciò dimostra che le infamie commesse dai nostri preti e dalla nostra po- lizia non si possono più contare... « Che cos’ha a che vedere la no- stra spensierata banda ” intellettuale ”, che genera ed applaude i si- gnori Stakhovic, col nostro santuario — la fede ortodossa — e con i nostri sacri sentimenti verso di esso? » ... Ancora una volta, tanto peg- gio per voi, signori difensori dell’autocrazia, dell’ortodossia e della nazione. Che cosa meravigliosa devono essere gli ordinamenti della nostra autocrazia poliziesca, se questa è riuscita ad impregnare persino la religione di un tale spirito carcerario che gli « Stakhovic» (che non LENIN ili hanno alcuna ferma convinzione in materia di religione, ma sono interessati, come vedremo più avanti, alla solidità della religione) giun- gono all’indifferenza assoluta (se non allodio) per questo famigerato santuario « del popolo ». « Essi chiamano la nostra fede ” errore ”. Si beffano di noi perchè, grazie a questo ” errore ”, fuggiamo il peccato, adempiamo "senza mormorare” i nostri doveri per quanto gravosi essi siano, perchè troviamo in noi le forze e il coraggio di sopportare il dolore e le privazioni e perchè ignoriamo l’orgoglio in caso di riu- scita e di felicità»... Ah, ecco dunque di che si tratta! Il santuario dell’ortodossia è prezioso perchè insegna a sopportare il dolore « senza mormorare»! Quanto è utile, in verità, questo santuario per le classi dominanti! Quando la società è organizzata in modo che un’infima minoranza dispone della ricchezza e del potere, mentre la massa non conosce che « privazioni » e « gravosi doveri », è del tutto naturale che la simpatia degli sfruttatori vada ad una religione che insegna a sop- portare, t senza mormorare », l’inferno terrestre per un paradiso che esiste, a quanto si dice, in cielo. NeH’ardore del loro zelo le Moskov- sl(ie Viedomosti cominciano a tradirsi. E si sono effettivamente tra- dite a tal punto da dire involontariamente la verità . Leggete il seguito: « Essi, gli Stakhovic, non sospettano neppure che, se mangiano a sa- zietà, dormono sonni tranquilli e conducono una vita gioconda, ciò è possibile grazie a quello stesso ” errore ’* ». Santa verità! È proprio così, è proprio grazie aH'immensa diffu- sione degli « errori » religiosi tra le masse popolari che € dormono sonni tranquilli » gli Stakhovic, gli Oblomov e tutti i nostri capita- listi. E quanto più Istruzione si diffonderà nel popolo, quanto più i pregiudizi religiosi saranno soppiantati dalla coscienza e dallo spi- rito di disciplina socialista, tanto più sarà vicino il giorno della vittoria del proletariato, che libererà tutte le classi oppresse dalPasservimento cui soggiacciono nella società moderna. Ma avendo detto troppo su un punto le Moskpvskie Viedomosti hanno detto troppo poco su un’altra interessante questione. Palese- mente sbagliano ritenendo che gli Stakhovic « non sospettino » l’im- portanza della religione e chiedano delle riforme solo per « leggerez- za ». È cosa veramente troppo puerile spiegare in tal modo l’esistenza di una corrente politica ostile! Le stesse Mos%ovs}{ie Viedomosti han- no invece dimostrato nel migliore dei modi che in questo caso proprio il signor Stakhovic è stato l’antesignano di tutta una corrente liberale; L’AGITAZIONE POLITICA E IL « PUNTO DI VISTA DI CLASSE» 313 altrimenti che bisogno c’era di condurre tutta una campagna contro un rapporto? Che bisogno cera di parlare non di Stakhovic, ma degli Stakhovic e della «banda intellettuale»? Questo sbaglio delle Mos\ovshie Viedomosti è di certo uno sbaglio voluto. Le Mos\ovsì{ie Viedomosti certo non vogliono, più che non esserne capaci, servirsi del punto di vista di classe nell’analisi del- l’odiato liberalismo. Sulla poca volontà non ce nulla da dire. L’inca- pacità invece ci interessa tutti in grande misura, perchè troppi sono ancora i rivoluzionari e i socialisti che soffrono di questo male. Ne soffrono gli autori della lettera pubblicata nel n. 12 dell’/^ra, i quali ci accusano di abbandonare il « punto di vista di classe » perchè nel nostro giornale ci sforziamo di seguire tutte le manifestazioni di mal- contento e di protesta dei liberali; ne soffrono gli autori della Lotta proletaria “ e di alcuni opuscoli della « Biblioteca socialdemocratica » M , i quali s’immaginano che la nostra autocrazia sia il dominio autocra- tico della borghesia; ne soffrono i Martynov, i quali ci invitano a pas- sare dalla multiforme campagna di denunce (cioè dalla più larga agitazione politica) che conduciamo contro l’autocrazia alla lotta con- dotta prevalentemente per le riforme economiche (dare « qualcosa di positivo » alla classe operaia, porre a nome suo « richieste concrete » di provvedimenti legislativi e amministrativi « che promettano certi risultati tangibili »); ne soffrono i Nadezdin che, a proposito delle no- stre corrispondenze sui conflitti cogli statistici, chiedono perplessi: « Signore Iddio, ma questo giornale è dunque fatto per i signori dello zemstvo ? ». Tutti questi socialisti dimenticano che gli interessi dell’autocrazia coincidono solo in determinate circostanze con alcuni determinati inte- ressi delle classi abbienti e spesso inoltre non con gli interessi di tutte queste classi in generale, ma con quelli di loro singoli strati. Gli inte- ressi degli altri strati della borghesia, e così pure gli interessi, intesi in senso più largo, di tutta la borghesia, di tutto lo sviluppo del capita- lismo in generale generano necessariamente l’opposizione liberale al- l’autocrazia; se, per esempio, l’autocrazia rende possibile alla borghe- sia l’impiego delle forme più brutali di sfruttamento, d’altra parte frappone migliaia di ostacoli a un ampio sviluppo delle forze produt- tive e alla diffusione dell’istruzione, sollevando in tal modo contro di sè non solo la piccola ma talvolta anche la grande borghesia; se l’auto- crazia salvaguarda (?) la borghesia dal socialismo, d’altra parte questa 3*4 LENIN salvaguardia si trasforma necessariamente, con una popolazione priva di diritti, in tali eccessi polizieschi che finiscono per indignare tutti. Quale sarà la risultante di queste tendenze contrastanti, quale stato d’animo o corrente della borghesia prevarrà in un determinato mo- mento: quella conservatrice o quella liberale? Non lo si può dedurre da un paio di tesi generali; ciò dipenderà da tutti gli aspetti particolari che assumerà la situazione sociale e politica. Per essere in grado di de- terminarlo bisogna conoscere nei particolari questa situazione, seguire attentamente tutti i conflitti che qualsivoglia strato sociale ha con il governo. Proprio in nome del t punto di vista di classe > non è am- missibile per il socialdemocratico rimanere indifferente davanti al mal- contento e alle proteste « degli Stakhovic ». Con le loro considerazioni e la loro attività, i socialisti summenzio- nati dimostrano invece di essere indifferenti verso il liberalismo, rive- lando così di non comprendere i principi fondamentali del Manifesto dei comunisti , questo « vangelo» della socialdemocrazia internazionale. Ricordate, ad esempio, il passo in cui si dice che la borghesia, con la sua lotta per il potere, con lo scontro fra singoli suoi strati e gruppi, ecc., dà essa stessa al proletariato gli elementi della propria educazione politica *\ Solo nei paesi politicamente liberi il proletariato ottiene que- sti elementi con facilità (e solo in parte però) 18 . Nella Russia schiavi- sta, invece, noi socialdemocratici dobbiamo lottare attivamente per for- nire alla classe operaia questi « elementi », dobbiamo cioè assumerci il compito di condurre una agitazione politica multiforme, una cam- pagna nazionale di denunce contro l’autocrazia. E questo compito s’impone particolarmente nei periodi di fermento politico. Bisogna tener presente che in un anno di intensa vita politica il proletariato può apprendere, nel senso della sua educazione rivoluzionaria, più che in alcuni anni di calma. Ecco perchè è particolarmente nociva la tendenza dei succitati socialisti a restringere , scientemente o no, l’ampiezza e il contenuto dell’agitazione politica. Ricordate, inoltre, le parole sull’appoggio dei comunisti ad ogni moto rivoluzionario contro il regime esistente. Queste parole vengono spesso comprese in senso troppo ristretto, per cui ci si astiene dal so- stenere l’opposizione liberale. Tuttavia, non si deve dimenticare che vi sono epoche in cui ogni scontro col governo sul terreno di interessi sociali progressivi, per quanto piccolo sia di per sè, può divampare, in certe condizioni ( c il nostro appoggio è una di queste condizioni ), l’agitazione POLITICA F. IL « PUNTO DI VISTA DI CLASSE» 315 in un incendio generale. Basti ricordare in quale grande movimento sociale si è trasformato in Russia lo scontro degli studenti col governo sul terreno delle rivendicazioni accademiche o in Francia lo scontro di tutti gli elementi progressivi col militarismo per un processo” istrui- to su una montatura. È quindi nostro assoluto dovere spiegare al pro- letariato, allargare e sostenere, facendovi partecipare attivamente gli operai, ogni protesta liberale e democratica, sia essa originata da uno scontro di membri degli zemstvo con il ministero degli interni, dei nobili col dicastero della religione ortodossa poliziesca, degli statistici con i despoti locali, dei contadini con gli zemshje nacialnikj , dei membri delle sette con la polizia rurale, ecc. Chi fa una smorfia di di- sprezzo per la poca importanza di alcuni di questi scontri o per ]'« ina- nità » dei tentativi di convogliarli in un incendio generale, costui non comprende che un’agitazione politica multiforme è precisamente il punto focale in cui gli interessi vitali delleducazione politica del pro- letariato convergono con gli interessi vitali di tutto il progresso sociale e di tutto il popolo, cioè di tutti i suoi elementi democratici. Nostro as- soluto dovere è di intervenire in ogni problema liberale, di chiarire il nostro atteggiamento di socialdemocratici in proposito, di fare il neces- sario perchè il proletariato partecipi attivamente alla soluzione del pro- blema e lo faccia risolvere a modo suo. Chi evita di intervenire (quali che siano le sue intenzioni) si arrende in pratica al liberalismo, ceden- dogli l’opera di educazione politica degli operai e lasciando l’egemonia della lotta politica a elementi che sono in fin dei conti i capi della democrazia borghese. Il carattere di classe del movimento socialdemocratico deve essere espresso non limitando i nostri compiti alle esigenze immediate del movimento « operaio puro », ma includendovi tutti gli aspetti e tutte le manifestazioni della grande lotta di liberazione del proletariato, che c l’unica classe effettivamente rivoluzionaria della società contempo- ranea. La socialdemocrazia deve sempre e continuamente allargare rinfluenza del movimento operaio su tutte le sfere della vita sociale e politica delia società contemporanea. Deve dirigere non soltanto la lotta economica degli operai, ma anche la lotta politica del proleta- riato, non deve perdere di vista neppure per un istante il nostro scopo finale, deve propagandare sempre, difendere dalle deformazioni e svi- luppare l’ideologia proletaria: la dottrina del socialismo scientifico, cioè il marxismo. Dobbiamo lottare instancabilmente contro ogni ideo- LENIN logia borghese, per quanto moderne e scintillanti siano le uniformi che indossa. I socialisti che abbiamo citato più sopra si allontanano dal punto di vista « di classe » anche perchè e in quanto rimangono indifferenti davanti al compito di lottare contro la « critica del mar- xismo ». Solo dei ciechi possono non vedere che questa « critica » ha preso piede in Russia più rapidamente che altrove e che la pubblici- stica liberale russa Tha fatta propria con la massima solennità, e pre- cisamente perchè essa è uno degli elementi della democrazia borghese in via di formazione (ed ora consciamente borghese) in Russia. Quanto alla lotta politica in particolare, proprio il « punto di vista di classe » esige che il proletariato spinga avanti ogni movimento de- mocratico. La democrazia operaia non si differenzia per le sue riven- dicazioni politiche dalla democrazia borghese in linea di principio, ma solo per il grado di queste rivendicazioni. Nella lotta per la libera- zione economica, per la rivoluzione socialista il proletariato poggia su una base di principio diversa ed è solo (il piccolo produttore gli Viene in aiuto solamente nella misura in cui passa o sta per passare nelle file del proletariato). Nella lotta per la liberazione politica ab- biamo invece molti alleati, e non è ammissibile comportarsi verso di loro con indifferenza. Ma mentre i nostri alleati della democrazia bor- ghese, lottando per le riforme liberali, si volteranno sempre indietro e cercheranno di aggiustare le cose in modo da poter continuare come prima a « mangiare a sazietà, dormire sonni tranquilli e condurre una vita gioconda » a spese degli altri, il proletariato andrà avanti fino in fondo, senza guardarsi indietro. Quando qualche signor R.N.S. (au- tore della prefazione al promemoria Witte) contratterà col governo per ottenere più ampi poteri per lo zemstvo o la Costituzione, noi lot- teremo per la repubblica democratica. Non dimentichiamo però che per spingere un altro bisogna sempre tenergli una mano sulla spalla. Il partito del proletariato deve saper cogliere ogni liberale esattamente nel momento in cui si accinge ad avanzare di un palmo per fargli fare un passo. E se si impunterà andremo avanti senza di lui e lo scavalcheremo. 1 sfati n. 16, i° febbraio 1902. RISPOSTA A UN « LETTORE » La redazione ha ricevuto la lettera seguente: « Trattando la questione dell’agitazione (se non erro nel n. 13) Visura si è pronunciata contro l’uso dei volantini per l’agitazione di massa (opu- scoli di due o tre paginette) su temi politici. La redazione ritiene che i giornali possano benissimo sostituire tali pubblicazioni. Contro questa opinione nessuno intende discutere. Ma possono i giornali sostituire i volantini che sono specialmente destinati ad avere una larga diffusione tra le masse? La redazione ha già ricevuto una lettera dalla Russia che esprime l’opinione di un gruppo di operai propagandisti su questo pro- blema. La risposta ócìYIs^ra a questa lettera è dovuta ad un evidente malinteso. La questione dell’agitazione ha ora non minore importanza della questione delle manifestazioni. È quindi desiderabile che la redazione la sollevi nuovamente e questa volta la consideri con maggiore attenzione. Un lettore ». Chi si prenderà la pena di rileggere attentamente, oltre a questa lettera, la nostra risposta agli « Operai del sud » nel n. 13 dell ’ls^ra *, si convincerà facilmente che è stato proprio l’autore della lettera a cadere in un evidente malinteso. L'Isfya non si è mai pronunciata « contro l'uso di volantini per l'agitazione », a nessuno è mai venuto in mente di « sostituire » i volantini con un giornale. L'autore della lettera non ha notato che i volantini sono di fatto dei manifestini. Che un tipo di pubblicazioni come i manifestini è insostituibile e sarà sempre assolutamente necessario , su ciò gli « Operai del sud » Cfr., nel presente volume, p. 302 (i V, d. R.). 3 i8 LENIN e Visura erano completamente d'accordo. Ma essi erano pure d'ac- cordo sul fatto che questo tipo di pubblicazione non basta. Se par- liamo della necessità di abitazioni decenti per gli operai, pur rico- noscendo che manca loro un buon nutrimento, ciò non vuol certa- mente dire che siano «contro* il buon nutrimento. Ci si chiede: qual è dunque il tipo più elevato di letteratura per l'agitazione? Gli «Operai del sud» nel porre questo problema non hanno detto nem- meno una parola del giornale. Questo loro silenzio poteva, natural- mente, dipendere dalle condizioni locali, e noi, pur non volendo affatto disputare con i nostri corrispondenti, non potevamo logicamente non ricordar loro che anche il proletariato deve fondare il proprio gior- nale, come già hanno fatto le altre classi della popolazione, che non basta il solo lavoro frazionato, ma occorre un lavoro regolare, attivo, comune di tutte le località per un giornale rivoluzionario. Quanto agli « opuscoli di tre o quattro pagine », non ci siamo af- fatto pronunciati contro di essi, ma abbiamo messo in dubbio la praticità del piano che voleva farne delle pubblicazioni regolari diffuse « contemporaneamente in tutta la Russia ». Gli opuscoli di tre o quat- tro pagine non differirebbero in sostanza dai normali manifestini. Di manifestini molto buoni e per nulla pesanti, per gli studenti e gli ope- rai, se ne vedono in tutti gli angoli della Russia, ed arrivano perfino a sei-otto pagine in piccolo formato. Invece un opuscolo veramente popo- lare y che possa spiegare anche a un operaio completamente impreparato non fosse che una sola questione, dovrà avere molte più pagine, e non sarà nè possibile nè necessario, non avendo esso un carattere con- tingente, diffonderlo « contemporaneamente in tutta la Russia ». Non respingendo affatto qualsiasi tipo di pubblicazione politica, vecchio o nuovo che sia, purché si tratti veramente di buone pubblicazioni politiche, noi, da parte nostra, consiglieremmo di non utilizzare le proprie energie neirescogitare un tipo medio tra il foglio volante e Topuscolo popolare, ma di lavorare per un giornale rivoluzionario che meriti realmente di essere chiamato periodico (che esca cioè, non una, ma almeno due-quattro volte al mese) e sia un giornale di tutta la Russia. Isfya> n. 16, i° febbraio 1902. CHE FARE? Problemi scottanti del nostro movimento * «...La lotta di partito dà a un par- tito forza e vitalità; la maggior prova di debolezza di un partito è la sua di- spersione e la scomparsa di barriere nettamente definite; epurandosi, un partito si rafforza... ». [Da una lettera di Lassalle a Marx, 24 giugno 1852). Scritto dall’autunno 1901 al febbraio 1902. Pubblicato per la prima volta in volume nel marzo 1902. PREFAZIONE Il presente opuscolo doveva, secondo il piano originario dell’autore, essere dedicato allo svolgimento particolareggiato delle idee espresse nell’articolo Da che cosa cominciare? (Is{ra y n. 4, maggio 1901)*. E dobbiamo innanzi tutto scusarci col lettore per il ritardo con cui manteniamo qui la promessa fatta nell’articolo citato (e rinnovata in risposta a numerose richieste e lettere personali). Una delle ragioni di questo ritardo consiste nel tentativo, intrapreso nel giugno dell’anno passato (1901), di unificare le organizzazioni socialdemocratiche al- l’estero. Era naturale che si attendessero i risultati di quel tentativo, giacche, se fosse riuscito, si sarebbero forse dovute esporre le opinioni At\Ylsf{ra sull’organizzazione da un punto di vista un po’ diverso e, in ogni caso, un tale successo avrebbe consentito di metter fine molto rapidamente all’esistenza di due correnti nella socialdemocrazia russa. Il tentativo, come il lettore sa, è fallito e, come ci sforzeremo di di- mostrare, non poteva finire diversamente dopo la nuova svolta del Raboceie Dielo (n. io) verso l’economismo. È diventato assolutamente necessario impegnare una lotta decisiva contro questo orientamento vago, non ben determinato, ma appunto per questo più tenace e più suscettibile di rinascere sotto forme diverse. Perciò il piano primitivo dell’opuscolo è stato modificato e considerevolmente ampliato. Tema principale dell’opuscolo dovevano essere le tre questioni poste nell’articolo Da che cosa cominciare? Cioè: le questioni del ca- rattere e del contenuto essenziale della nòstra agitazione politica, dei nostri compiti organizzativi e del piano per la creazione simultanea, • Cfr., nel presente volume, pp, 9-16 (N. d. R.). 21 - 754 322 LENIN da diverse parti, di un organizzazione di lotta per tutta la Russia. Già da molto tempo, questi problemi interessano Fautore, che si è sforzato di sollevarli nella Rabociaia Gazieta , quando si è tentato, senza riuscir- vi, di rinnovare le pubblicazioni (cfr. il cap. V). Ma la primitiva inten- zione di limitarsi ad analizzare, nell’opuscolo, queste tre questioni e di esporre le proprie opinioni, per quanto possibile, in forma positiva, senza ricorrere o quasi alla polemica, è risultata del tutto irrealizzabile, e per due ragioni. Da un lato, l’economismo si è dimostrato molto più vitale di quanto non supponessimo (impieghiamo il termine econo- mismo nel senso largo, e precisato nell’articolo d\JA*Is%ra [n. 12, dicem- bre 1901], Un colloquio con i sostenitori dell’ economismo*, il quale costituisce per così dire il canovaccio del presente opuscolo). È ora fuor di dubbio che il dissenso sul modo di risolvere questi tre problemi si spiega in misura molto più grande con l’opposizione radicale di due tendenze nella socialdemocrazia russa che non con divergenze di det- taglio, D’altro lato, la perplessità dimostrata dagli economisti quando abbiamo esposto suWIsfoa, basandoci sui fatti, le nostre opinioni, ha mostrato chiaramente che noi spesso parliamo due linguaggi comple- tamente diversi e, quindi, non possiamo concludere nulla se non cominciamo ab ovo\ che è necessario fare un tentativo di «chiarifi- cazione > sistematica , la più popolare possibile, illustrata da esempi numerosi e concreti, con tutti gli economisti, su tutti i punti essenziali dei nostri dissensi. Mi sono deciso a questo tentativo di « chiarifica- zione», pur comprendendo perfettamente che esso accrescerà consi- derevolmente le dimensioni dell’opuscolo e ne ritarderà la pub- blicazione, perchè non vedevo nessun’or# possibilità di mantenere la promessa fatta nell’articolo Da che cosa cominciare? Alle scuse per il ritardo, devo perciò aggiungerne altre per i grandissimi difetti nella rifinitura stilistica dell’opuscolo: ho dovuto lavorare con la più gran fretta e, per giunta, sono stato frequentemente interrotto da ogni sorta di altri lavori. L’analisi delle tre questioni sopra indicate costituisce ancora l’ar- gomento fondamentale del volume, ma ho dovuto cominciare da due altre questioni più generali : perchè una parola d’ordine così « in- nocua » e « naturale » come quella della « libertà di critica » è per noi un vero grido di guerra? Perchè non possiamo intenderci nem- • Cfr., nel presente volume, pp. 289 296 (N.d.R.). CHE FARE? 323 meno sulla questione fondamentale della funzione della socialdemo- crazia di fronte al movimento spontaneo delle masse? Inoltre, I espo- sizione delle mie opinioni sul carattere e sul contenuto deiragitazione politica si è trasformata in una chiarificazione della differenza fra la politica tradunionista e la politica socialdemocratica; e lesposizione delle mie opinioni sui compiti organizzativi si è trasformata in una spiegazione della differenza tra il lavoro artigianesco, che soddisfa gli economisti, e ['organizzazione dei rivoluzionari che riteniamo indi- spensabile. Inoltre, insisto tanto più sul « piano * di un giornale politico per tutta la Russia in quanto le obiezioni sollevate contro di esso erano inconsistenti e non rispondevano alla questione fondamentale, posta neirarticolo Da che cosa cominciare?: come iniziare simulta- neamente, da tutte le parti, la creazione delTorganizzazione che ci è necessaria? Infine, nella parte conclusiva deiropuscolo spero di di- mostrare che abbiamo fatto tutto quanto dipendeva da noi per pre- venire la rottura definitiva con gli economisti, che ciò nonostante è apparsa inevitabile; che il Raboceie Dielo ha acquistato una particolare importanza, un'importanza « storica », se volete, perchè ha espresso nel modo più completo e con maggior rilievo, non già Peconomismo con- seguente, ma la confusione e gli ondeggiamenti che costituiscono il lineamento caratteristico di tutto un periodo della storia della social- democrazia russa; che, per conseguenza, la polemica con questa rivista, per quanto a prima vista troppo ampia, ha la sua importanza, dato che non possiamo procedere innanzi senza liquidare definitivamente quel periodo. Febbraio 1902. N. Lenin I DOGMATISMO E « LIBERTA’ DI CRITICA » a) Che cosa significa « libertà di critica » « Libertà di critica » : questa, incontestabilmente, è la parola d or- dine più di moda in questo periodo, quella che più frequentemente ricorre nelle discussioni fra socialisti e democratici di tutti i paesi. A prima vista, non ci si può rappresentare niente di più strano di questi solenni richiami di una delle parti in contesa alla libertà di critica. Possibile che dalle file dei partiti avanzati si siano levate delle voci contro quella legge costituzionale che, nella maggior parte dei paesi europei, garantisce la libertà della scienza e dell’ investiga- zione scientifica? «Qui gatta ci cova! », si dirà chi, essendo estraneo alla discussione e sentendo ripetere ad ogni piè sospinto questa parola d ordine di moda, non abbia ancora penetrato l'essenza del dissenso. « Questa parola dordine è evidentemente una di quelle parole con- venzionali che, al pari dei nomignoli, sono legittimate dall’uso e di- ventano quasi dei nomi comuni ». In realtà non è un mistero per nessuno che nella moderna social- democrazia internazionale* si sono formate due tendenze e che la * A proposito. Nella storia del socialismo moderno è forse un fenomeno unico e, nel suo genere, molto consolante, che l’urto delle diverse tendenze in seno al socialismo si sia per la prima volta trasformato da nazionale in internazionale. Nei tempi passati le dispute tra i lassalliani e gli eisenachiani *, tra i guesdisti e i possibilisti 80 , tra i fa- biani 81 e i socialdemocratici, tra i seguaci della « Libertà del popolo » e i socialdemocra- tici rimanevano dispute puramente nazionali, riflettevano particolarità puramente nazio- nali, si svolgevano, per cosi dire, su piani diversi. Ai nostri giorni (questo è già evi- CHE fare: i£l lotta Ira di esse ora si riaccende e arde di fiamma vivissima, ora si calma e cova sotto la cenere di imponenti « risoluzioni di tregua ». In che cosa consista la « nuova » tendenza che « critica » il marxismo « vecchio, dogmatico », Bernstein lo ha detto , e Millerand lo ha dimo- strato con sufficiente precisione. La socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito democratico di riforme sociali. Bernstein ha ap- poggiato questa rivendicazione politica con tutta una batteria di «nuovi» argomenti e considerazioni abbastanza ben concatenati. Si nega la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, esso è necessario e inevitabile; si nega il fatto della miseria cre- scente, della proletarizzazione, deirinasprimento delle contraddizioni capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso di « scopo fi- nale » e si respinge categoricamente l’idea della dittatura del proleta- riato; si nega l’opposizione di principio tra liberalismo e socia- lismo ; si nega la teoria della lotta di classe , che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza, ecc. L’invocata svolta decisiva dalla socialdemocrazia rivoluzionaria al socialriformismo borghese è quindi accompagnata da una svolta non meno decisiva verso la critica borghese di tutte le idee fondamentali del marxismo. Ma poiché già da tempo si moveva contro il marxismo questa critica dall’alto della tribuna politica e della cattedra universi- taria, in innumerevoli opuscoli e in una serie di dotti trattati, poiché, da decine di anni, tutta la nuova gioventù delle classi colte è stata educata a questa critica, non è sorprendente che la « nuova > ten- denza « critica » nella socialdemocrazia sia sorta di colpo in una forma definitiva, come Minerva dal cervello di Giove. Quanto al contenuto, questa tendenza non ha dovuto nè prender forma, nè svilupparsi; essa è stata direttamente trasferita dalla letteratura borghese nella lettera- tura socialista. Inoltre, se la critica teorica di Bernstein e le sue aspirazioni poli- dente) i fabiani inglesi, i ministeriali francesi, i bcrnsteiniani tedeschi, i critici russi sono tutti una sola famiglia, si lodano reciprocamente, imparano gli uni dagli altri e si ar- mano insieme contro il marxismo «dogmatico», In questa prima battaglia, veramente internazionale, contro l’opportunismo socialista riuscirà la socialdemocrazia rivolu- zionaria internazionale a rafforzarsi al punto da mettere fine :dla reazione politica che già da molto tempo impera in Europa? 3 26 LENIN tichc fossero ancora per taluni poco chiare, i francesi si sono incaricati di dare una dimostrazione palmare del « nuovo metodo ». La Francia ha confermato ancora una volta la vecchia reputazione di essere il « paese in cui le lotte di classe della storia vennero combattute, più che in qualsiasi altro luogo, sino alla soluzione decisiva» (Engels, dalla prefazione adopera di Marx: Der 18 Brumaire m ). Invece di fare della teoria, i socialisti francesi hanno agito; la situazione politica della Francia, più evoluta in senso democratico, ha permesso loro di passare immediatamente al « bernsteinismo pratico » con tutte le sue conseguenze. Millerand ha dato un esempio brillante di questo bernsteinismo pratico. E non per nulla Bernstein e Vollmar si sono affrettati a difenderlo e a lodarlo con tanto zelo! Infatti, se la social- democrazia in sostanza non è che il partito delle riforme — e deve avere il coraggio di riconoscerlo francamente — , un socialista non soltanto ha il diritto di entrare in un ministero borghese, ma deve sempre sforzarsi di entrarvi. Se democrazia significa essenzialmente soppressione del dominio di classe, perchè un ministro socialista non dovrebbe affascinare tutto il mondo borghese con discorsi sulla colla- borazione di classe? Perchè non dovrebbe restare nel ministero anche quando gli eccidi di operai compiuti dai gendarmi hanno dimostrato, per la centesima e per l’ennesima volta, il vero carattere della colla- borazione democratica delle classi? Perchè non dovrebbe prendere parte personalmente al ricevimento di uno zar che i socialisti francesi oggi non chiamano altrimenti che eroe del knut , della forca e della deportazione ( \nouteur , pendeur et déportateur )? E in compenso di questo abisso di ignominia e di autodenigrazione del socialismo da- vanti al mondo, di questo pervertimento della coscienza socialista delle masse operaie — unica base che possa garantirci la vittoria — ci si presentano a suon di tromba progetti di riforme miserabili, così miserabili che si è potuto ottenere di più dai governi borghesi! Chi non chiude intenzionalmente gli occhi non può non vedere che la nuova tendenza « critica » del socialismo non è altro che una nuova varietà di opportunismo . E se si giudica la gente non dalla brillante uniforme che ha indossato o dal nome di parata che si è data, ma dal modo di agire e dalle idee che effettivamente propaga, si vedrà chiaramente che la «libertà di critica» è la libertà della cor- rente opportunistica nella socialdemocrazia, la libertà di trasformare la socialdemocrazia in un partito democratico di riforme, la libertà di CHE FARE? 327 introdurre nel socialismo le idee borghesi e gli uomini della borghesia. La libertà è una grande parola, ma sotto la bandiera della libertà deH’industna si sono fatte le guerre più brigantesche, sotto la bandiera della libertà del lavoro i lavoratori sono stati costantemente derubati. L’impiego che oggi si fa deirespressione « libertà di critica » implica lo stesso falso sostanziale. Chi fosse effettivamente convinto di aver fatto progredire la scienza non rivendicherebbe per le nuove conce- zioni la libertà di coesistere accanto alle vecchie, ma esigerebbe la sosti- tuzione di queste con quelle. L’odierno strillare: «Viva la libertà di critica! > ricorda davvicino la favola della botte vuota. Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte cir- condati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che taluni dei nostri si mettono a gridare: « An- diamo nel pantano! >. E, se si incomincia a confonderli, ribattono: «Che gente arretrata siete! Non vi vergognate di negarci la libertà d’invitarvi a seguire una via migliore? ». Oh, sì, signori, voi siete liberi non soltanto di invitarci, ma di andare voi stessi dove volete, anche nel pantano; del resto pensiamo che il vostro posto è proprio nel pantano e siamo pronti a darvi il nostro aiuto per trasportarvi i vostri penati. Ma lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la grande parola della libertà, perchè anche noi siamo « liberi » di and re dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incammin.ino verso di esso. b) I nuovi difensori della « libertà di critica » Ed è questa parola d’ordine (« libertà di critica ») che il Raboceie Dielo (n. io), organo estero deir« Unione dei socialdemocratici russi », ha lanciato solennemente in questi ultimi tempi, non come postulato teorico, ma come rivendicazione politica, come risposta alla domanda : « È possibile l’unione delle organizzazioni socialdemocratiche che la- vorano all’estero? ». « Per una solida unione è necessaria la libertà di critica » (p. 36). LENIN 328 Da questa dichiarazione sgorgano due conclusioni molto ben de- finite: 1) il Raboceie Dielo prende sotto la sua protezione la tendenza opportunistica della socialdemocrazia internazionale nel suo com- plesso ; 2) il Raboceie Dielo esige la libertà dell’opportunismo nella socialdemocrazia russa. Esaminiamo queste conclusioni. La « propensione dclVIslpa e della Zarià a pronosticare la rottura fra la Montagna e la Gironda della socialdemocrazia internazionale > dispiace « particolarmente » al Raboceie Dielo *. «Per noi in generale — scrive B. Kricevski, redattore del Raboceie Dielo — il parlare di Montagna e di Gironda nelle file della socialdemo- crazia rappresenta un’analogia storica superficiale, ben singolare quando è dovuta alla penna di un marxista: la Montagna e la Gironda non rap- presentavano, come può sembrare agli storici ideologici, temperamenti o correnti intellettuali diversi, ma differenti classi o strati sociali: media borghesia da una parte e piccola borghesia col proletariato dall’altra. Or- bene, nel movimento socialista contemporaneo non vi è collisione di inte- ressi di classe; in tutte [il corsivo è di B. K.] le sue varietà — compresi i bernsteiniani più incalliti — esso è tutto intero sul terreno degli interessi di classe del proletariato, della sua lotta di classe per l’emancipazione poli- tica ed economica » (pp. 32-33). Temeraria affermazione! Ignora forse B. Kricevski il fatto, già no- tato da molto tempo, che precisamente la larga partecipazione dei ceti « accademici > al movimento socialista di questi ultimi anni ha causato una così rapida diffusione del bernsteinismo ? E soprat- tutto, su che cosa si basa il nostro autore per affermare che anche l « bernsteiniani più incalliti * sono sul terreno della lotta di classe per l’emancipazione politica ed economica del proletariato? Lo ignoriamo. Questa difesa decisa dei bernsteiniani più incalliti non è sostenuta assolutamente da nessun argomento, da nessuna ragione. L’autore pensa indubbiamente che, avendo egli ripetuto ciò che questi bern- • Un confronto fra le due correnti del proletariato rivoluzionario (rivoluzionaria e opportunistica) e le due correnti della borghesia rivoluzionaria del secolo XVIII (gia- cobina — « Montagna * — e girondina) venne fatto nell’articolo di fondo del n. 2 dcH’/r^ra (febbraio 1901). L’autore dell’articolo è Plekhanov. I cadetti, i ebiezsaglav- zi > M e i menscevichi si compiacciono molto di parlare tuttora di « giacobinismo » allo interno della socialdemocrazia russa. Però oggi preferiscono tacere... o dimenticare che Plekhanov adoperò per la prima volta questo concetto contro l’ala destra della socialdemocrazia. [Nota deH’autorc airedizione del 1907 (N. d. /?.)]. CHE FARE? 329 steiniam più incalliti dicono di se stessi, le sue affermazioni non abbiano più bisogno di prove. Ma si può immaginare cosa più « super- ficiale» di un giudizio su tutta una tendenza basato su ciò che dicono di se stessi coloro che la rappresentano? Si può immaginare cosa più superficiale della successiva « morale » sulle due vie o sui due tipi di- versi e anche diametralmente opposti di sviluppo del partito (pp. 34- 35 del Raboceie Dielo )? Vedete, i socialdemocratici tedeschi ricono- scono la completa libertà di critica, i francesi non la riconoscono af- fatto, e il loro esempio mostra precisamente tutto il « male dell’intol- leranza ». È precisamente l’esempio di Kricevski — rispondiamo noi — che dimostra come talora voglia chiamarsi marxista della gente che con- sidera la storia letteralmente « alla maniera di Ilovaiski » *\ Per spie- gare l’unità del partito tedesco e lo spezzettamento del partito socialista francese è del tutto inutile rovistare nelle particolarità della storia dei due paesi, mettere a confronto il semiassolutismo militare dell’uno col parlamentarismo repubblicano dell 'altro ; è inutile esaminare le conseguenze della Comune in un paese e delle leggi eccezionali contro i socialisti nell’altro; è inutile confrontare la vita economica e lo svi- luppo economico, ricordare il fatto che « lo sviluppo senza esempi della socialdemocrazia tedesca » è stato accompagnato da una lotta che per energia non ha esempi nella storia del socialismo, non solo contro gli errori teorici (Mùlberger, Dùhring*, socialisti della cattedra “), ma anche contro gli errori tattici (Lassalle), ecc. tee. Tutto questo è superfluo! I francesi si accapigliano perchè sono intolleranti; i tedeschi sono uniti perchè sono dei bravi ragazzi. E osservate che, con l’aiuto di questa incomparabile, profonda filo- sofia, si « respinge » un fatto che smentisce completamente tutta la * Quando Engels attaccò Diihring, molti rappresentanti della socialdemocrazia tedesca accettavano le opinioni di quest'ultimo ed Engels fu ripetutamente accusato di violenza, di intolleranza, di polemica non da compagni, ecc., persino pubblicamente al congresso del partito. Most e consorti proposero (al congresso del 1877) di non pub- blicare sul Vorwàrts gli articoli dì Engels perche « non offrivano interesse per l'enorme maggioranza dei lettori », e Vahlteich dichiarò che la pubblicazione di questi articoli aveva recato gran danno al partito, che anche Diihring aveva reso dei servizi alla so- cialdemocrazia: « Dobbiamo utilizzare tutti neirinteresse del partito, e se i professori discutoho fra di loro, il Vorwàrts non deve essere l’arena di queste dispute» ( Vor - tu àrts, n, 65, 6 giugno 1877). Come vedete, anche questo è un esempio della difesa della « libertà di critica », e i nostri critici legali, nonché gli opportunisti illegali che si richiamano così volentieri all’esempio dei tedeschi, non farebbero male a meditare su questo esempio. 330 LENIN difesa dei bernsteiniani. Costoro sono, si o no, sul terreno della lotta di classe del proletariato? La questione può essere risolta definitiva- mente e inappellabilmente solo dairesperienza storica. Per conse- guenza, ciò che ha maggior importanza nel caso specifico è proprio l’esempio della Francia, del solo paese dove i bernsteiniani hanno ten- tato di reggersi sulle gambe per conto loro, fra gli applausi calorosi dei loro colleghi tedeschi (e, in parte, degli opportunisti russi: vedi Raboceie Dielo , n. 2-3, pp. 83-84). Il richiamo all’intransigenza dei francesi, — indipendentemente dal suo valore « storico > (nel senso di Nozdrev) — è solo un tentativo di distogliere, con parole astiose, l’attenzione da fatti molto sgradevoli. D’altra parte, noi non abbiamo affatto l’intenzione di abbandonare i tedeschi a Kricevski e agli altri innumerevoli difensori della « libertà di critica». Se i «bernsteiniani più incalliti» possono essere ancora tollerati nel partito tedesco, ciò avviene soltanto nella misura in cui essi si sottomettono e alla risoluzione di Hannover”, che respinge ca- tegoricamente gli « emendamenti » di Bernstein, e a quella di Lu- becca, che (nonostante tutta la sua diplomazia) contiene un avverti- mento formale a Bernstein. Si può discutere, dal punto di vista degli interessi del partito tedesco, quanto fosse opportuna la diplomazia; se, in questo caso, un cattivo accomodamento fosse cosa migliore di una buona rissa; si può, in una parola, essere di diverso parere nel giu- dicare dell’opportunità di questo 0 quel mezzo per respingere il bern- steinismo, ma è innegabile il fatto che il partito tedesco ha per ben due volte respinto il bernsteinismo. Credere dunque che l’esempio dei tedeschi confermi la tesi che « i bernsteiniani più incalliti restano sul terreno della lotta di classe del proletariato per la sua emancipazione economica e politica», significa non comprendere niente di quanto avviene sotto gli occhi di tutti*. • Bisogna notare che sul problema dei bernsteiniani nel partito tedesco, il Jfo- boceie Dielo si è sempre limitato alla nuda esposizione dei fatti « astenendosi * com- pletamente dal dare su di essi un giudizio proprio. Cfr., ad esempio il n. 2-3, p. 66, sul Congresso di Stoccarda* 1 : tutte le divergenze si riducono alla « tattica», e si costata solamente che l'enorme maggioranza è fedele alla tattica rivoluzionaria precedente. Oppure il n. 4-5, p. 25 e sgg.: una semplice esposizione dei discorsi pronunciati al Congresso di Hannover con la citazione della risoluzione di Bebel; l’esposizione e la critica delle idee di Bernstein sono nuovamente rinviate (come nel n. 2-3) a un « arti- colo apposito». Fatto curioso è che a p. 33 del n. 4-5 leggiamo: «...le tendenze esposte da Bebel sono seguite daH'enormc maggioranza del congresso » e un po’ più avanti: « ... David ha difeso le idee di Bernstein.., Prima di tutto ha tenuto di dimo- CHE FARE? 33 r Peggio ancora. Come abbiamo già segnalato, il Raboceie Dielo scende in campo davanti alla socialdemocrazia russa per reclamare la « libertà di critica » e difendere il bernsteinismo. A quanto pare, si è convinto che i nostri « critici * ed i nostri bernsteiniani sono stati ingiustamente offesi. Ma quali precisamente? Da chi, dove e quando? E in che cosa è consistita l’ingiustizia? Su questo il Raboceie Dielo tace e non cita neppure una volta un critico o un bernsteiniano russo. Non ci resta che scegliere fra le due ipotesi possibili. O la parte in- giustamente offesa non è altro che lo stesso Raboceie Dielo (il che è confermato dal fatto che nei due articoli del n. io si parla unicamente delle offese recate dalla Zarià e (hlVIs^ra al Raboceie Dielo), e allora come spiegare questa stranezza che il Raboceie Dielo y il quale ha sem- pre ostinatamente respinto ogni solidarietà con il bernsteinismo, non abbia potuto difendersi se non prendendo la parola in difesa dei « più incalliti bernsteiniani» è della libertà di critica? Oppure sono stati ingiustamente offesi dei terzi, e allora quali possono essere i motivi per cui essi non vengono nominati? Noi vediamo, dunque, che il Raboceie Dielo continua il giuoco a rimpiattino che gli è abituale (come dimostreremo più avanti) da quando esiste. Notate inoltre questa prima applicazione pratica della famosa « libertà di critica ». Praticamente, questa libertà si riduce non soltanto all’assenza di ogni critica, ma all’assenza di ogni giudizio in- dipendente. Lo stesso Raboceie Dielo che tace, come di una malattia segreta (secondo la giusta espressione di Starover), del bernsteini- smo russo, propone di guarire questa malattia ricopiando puramente e semplicemente l’ultima ricetta tedesca contro la varietà tedesca di questa malattia! Invece della libertà di critica, l’imitazione servile... peggio ancora, l’imitazione scimmiesca! L’unitario contenuto politico- sociale dell’odierno opportunismo internazionale si manifesta in un modo o nell’altro, a seconda delle particolarità nazionali. In un paese, il gruppo degli opportunisti si è raccolto da molto tempo' intorno ad una sua bandiera particolare; nellaltro, gli opportunisti, sdegnosi della teoria, fanno praticamente la politica dei radicalsocialisti; in un terzo, alcuni membri del partito rivoluzionario sono passati nel campo del- strare che... Bernstein e i suoi amici restano tuttavia [tic!) sul terreno della lotta ili classe»... Ciò c stato scritto nel dicembre 1899, e nel settembre 1901 il Raboceie Dielo probabilmente non crede più che Bebel abbia ragione e ripete l’opinione di David come fosse sua! 33 2 LENIN l’opportunismo e si sforzano di raggiungere i loro fini non già at- traverso una lotta aperta per i principi e la nuova tattica, ma attra- verso una corruzione graduale, impercettibile e, per così dire, im- punibile, del loro partito; in un quarto, transfughi dello stesso genere adoperano gli stessi metodi nelle tenebre della schiavitù politica e quando esistono rapporti reciproci assolutamente originali fra ra- zione « legale » e Tazione « illegale », ecc. Parlare della « libertà di cri- tica» e della libertà del bernsteinismo come della condizione per l’unione dei socialdemocratici russi , senza esaminare come precisa- mente si è manifestato e quali frutti particolari ha dato il bernstei- nismo russo , significa parlare per non dir niente. Cercheremo noi stessi di dire brevemente ciò che il Raboceie Dtelo non ha voluto dire (o forse non ha saputo nemmeno comprendere). c) La critica in Russia La particolarità fondamentale della Russia, quanto al problema che ci interessa, sta nel fatto che Y inizio stesso del movimento operaio spontaneo da un lato e della svolta del pensiero sociale d’avanguardia verso il marxismo dall’altro lato sono stati contrassegnati dall’unione di elementi manifestamente eterogenei sotto una bandiera comune e per la lotta, contro un comune nemico (concezioni politiche e sociali superate). Vogliamo parlare della luna di miele del « marxismo le- gale». Fu questo un fenomeno assolutamente originale, alla possibilità stessa del quale nessuno avrebbe potuto credere negli anni ottanta o aH’inizio degli anni novanta. In un paese autocratico, dove la stampa è completamente asservita, in un’epoca di reazione politica spietata, la quale reprime anche le minime manifestazioni di malcontento e di protesta politica, improvvisamente si fa strada, in una letteratura sot- toposta a censura , la teoria del marxismo rivoluzionario, esposta in linguaggio esopico, ma comprensibile a tutti gli « interessati ». Il go- verno si era abituato a considerare come pericolosa soltanto la teoria dei seguaci della « Volontà del popolo » (rivoluzionari), senza osser- varne, come abitualmente avviene, l’evoluzione interna e rallegran- dosi di ogni critica diretta contro di essa. Prima che il governo se ne fosse accorto, prima che il pesante esercito dei censori e dei gendarmi avesse scoperto il nuovo nemico e gli si fosse precipitato addosso, passò non poco tempo (non poco per noi russi). E durante questo tempo si pubblicarono, una dopo l’altra, opere marxiste, si fondarono riviste e CHE FARE? 333 giornali marxisti, contagiosamente tutti diventavano marxisti, i marxi- sti venivano adulati, ai marxisti si faceva la corte, gli editori erano entusiasti dello smercio straordinariamente ràpido dei libri marxisti. È ben comprensibile che fra i neofiti marxisti, circonfusi da questa au- reola, si trovasse più di uno « scrittore montato in superbia » w ... Oggi si può parlare di questo periodo con serenità, come di una cosa passata. Nessuno ignora che l’effimera fioritura del marxismo alla superficie della nostra letteratura provenne dall'alleanza di elementi estremisti con elementi molto moderati. Questi ultimi erano, in fondo, dei democratici borghesi, e a questa conclusione (che fu confermata all’evidenza dalla loro ulteriore evoluzione « critica ») qualcuno era giunto fin da quando l’« alleanza » era ancora intatta *. Ma se è così, su chi ricade la responsabilità principale dellulteriore * confusione », se non precisamente sui socialdemocratici rivoluzio- nari che hanno concluso quest’alleanza coi futuri «critici»? Questa domanda, seguita da una risposta affermativa, si sente talora formu- lare da gente che considera le cose in modo eccessivamente rigido. Questa gente ha assolutamente torto. Soltanto chi non ha fiducia in se stesso può aver paura di stringere alleanze temporanee anche con elementi incerti. Nessun partito politico potrebbe esistere senza tali alleanze. Orbene, l’alleanza coi marxisti legali fu in certo qual modo la prima alleanza veramente politica della socialdemocrazia russa. Grazie a quell’alleanza si ottenne una vittoria straordinariamente ra- pida sul populismo e una diffusione prodigiosa delle idee marxiste (per quanto in forma volgarizzata). Inoltre, quell’alleanza non fu affatto conclusa senza «condizioni ». Prova ne sia la raccolta marxista Documenti sullo sviluppo economico della Russia ”, data alle fiamme nel 1895 dalla censura. Se l’accordo coi marxisti legali per la letteratura può essere paragonato a un’alleanza politica, questa raccolta può es- sere paragonata a un contratto politico. La rottura naturalmente non avvenne per il fatto che gli « alleati » dimostrarono di essere dei democratici borghesi. Al contrario, i rap- presentanti di questa corrente sono per la socialdemocrazia degli alleati naturali e desiderabili quando si tratta dei suoi obiettivi democratici, * Alludo qui all’articolo di Tulin contro Struve [cfr., nella presente edizione, voi. ], pp. 341-529. - N. d. /?.], scritto sulla traccia di una conferenza intitolata Riflessi del marxismo nella letteratura borghese. [Nota dell'autore all’edizione del 1907 (N.rf.*.)]. 334 LENTN che vengono messi in primo piano dalla presente situazione della Russia. Ma condizione necessaria di tale alleanza è per i socialisti la piena possibilità di svelare alla classe operaia che i suoi interessi e quelli della borghesia sono opposti, ostili. Il bernsteinismo, invece, e la tendenza « critica » a cui si è contagiosamente convertita la mag- gioranza dei marxisti legali eliminavano questa possibilità e per- vertivano la coscienza socialista, svilendo il marxismo, predicando la teoria deirattenuazione degli antagonismi sociali, dichiarando che l*idea della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato è in- sensata, riducendo il movimento operaio e la lotta di classe a un gretto tradunionismo e alla lotta « realista » per piccole riforme graduali. Ciò equivaleva, da parte della democrazia borghese, a negare il diritto all'indipendenza del socialismo e, quindi, il suo diritto all esistenza; ciò significava, in pratica, sforzarsi di trasformare il movimento ope- raio, ai suoi albori, in un’appendice del movimento liberale. Naturalmente, in queste condizioni la rottura era necessaria. Ma la particolarità « originale » della Russia si espresse nel fatto che questa rottura significò l’esclusione pura e semplice dei socialdemocratici dal campo della letteratura « legale », la più accessibile a tutti e la più lar- gamente diffusa. Di essa fecero la loro fortezza gli «ex marxisti s, raggruppati sotto la «bandiera della critica», che avevano quasi ot- tenuto il monopolio della « denigrazione » del marxismo. Le parole d’ordine « contro l’ortodossia » e « viva la libertà di critica » (ripe- tute ora dal Raboceie Dtelo) diventarono subito di moda e s’imposero persino alla censura ed ai gendarmi, come dimostrano, fra l’altro, le tre edizioni russe del libro del famoso Bernstein (famoso alla maniera di Erostrato) e il fatto che le opere di Bernstein, del signor Prokopovic, ecc. sono raccomandate da Zubatov {ls\ra y n. io). I socialdemocratici avevano allora il compito di combattere la nuova corrente, compito già di per sè difficile e reso incredibilmente più difficile dagli ostacoli pu- ramente esteriori. Ma questa corrente non si limitava alla letteratura. La svolta verso la «critica» coincideva con la propensione dei mili- tanti socialdemocratici per P« economismo ». Il modo come sorsero e si rafforzarono i rapporti e l’interdipen- denza fra la critica legale e l’economismo illegale è una questione interessante, che potrebbe costituire argomento di un articolo apposito. Basterà notare qui la incontestabile esistenza del legame che li unisce. Il famoso « Credo » non acquistò tanta e così meritata celebrità se CHE FARE? 335 non perchè esprimeva apertamente questo legame e metteva in ri- lievo la tendenza politica fondamentale delFc economismo » : gli operai debbono condurre una lotta economica (o più esattamente tradunio- nista, che abbraccia anche la politica specificamente operaia), gli in- tellettuali marxisti debbono fondersi coi liberali per la « lotta » politica. L’attività tradunionista « fra il popolo » serviva ad assolvere la prima metà del compito; la critica legale ne realizzava la seconda metà. Que- sta dichiarazione fu un’arma così preziosa contro Feconomismo, che se il « Credo » non fosse esistito, sarebbe valsa la pena di inventarlo. Il « Credo » non fu inventato, ma fu pubblicato senza il consenso e fors’anche contro la volontà dei suoi autori. In ogni caso, Fautore di queste righe, il quale contribuì a portare alla luce il nuovo « pro- gramma » * subì proteste e rimproveri perchè un riassunto delle loro opinioni, abbozzato da qualche oratore, era stato copiosamente diffuso, aveva ricevuto il titolo di « Credo > ed era stato persino stampato uni- tamente alla protesta contro di esso. Ci riferiamo a questo episodio perchè svela un curioso tratto caratteristico del nostro economismo : la paura della pubblicità. E questa è una caratteristica delFeconomismo in generale e non soltanto degli autori del « Credo » : essa si è manife- stata nella Rabociaia Mysl, la più schietta e onesta partigiana delFeco- nomismo, nel Raboceie Dìelo (il quale si è indignato della pubblica- zione dei documenti « economici > nel Vademecum ”), nel Comitato di Kiev, che due anni or sono non ha voluto autorizzare la pubblica- zione della sua Professìon de foi n insieme con la confutazione di essa **, e in un grande numero di singoli rappresentanti delFecono- mismo. Questa paura della critica che si manifesta nei partigiani della li- bertà di critica non può essere spiegata come un semplice artificio (benché a volte dell’artificio non possa fare a meno; sarebbe ingenuo presentare all’attacco dell’avversario i primi ancor fragili germi di una nuova tendenza!). No, la maggioranza degli economisti, con perfetta # Si tratta della protesta dei diciassette contro il € Credo ». L’autore di queste righe prese parte alla redazione di questa protesta (fine del 1899) ro . La protesta fu pubblicata aH’estero insieme col «Credo» nella primavera del 1900 [cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 167-182]. Oggi si è appreso da un articolo della signora Kuskova (sul Byloie , se non erro) che essa fu l’autrice del « Credo » e che il signor Prokopovic aveva una funzione molto notevole tra gli economisti che allora erano all'estero. [Nota deH’autore all’edizione del 1907 (N. d, /?.)]. ** A quanto ci consta, la composizione del Comitato di Kiev da allora r cam- biata. 33 <> LENIN sincerità, non vede di buon occhio (e, data la sostanza stessa dell’eco- nomismo, non può che vedere malvolentieri) ogni discussione teorica, ogni dissenso di frazione, ogni vasta questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari, ecc. « Lasciamo tutto ciò aH’estero! », mi diceva un giorno un economista abbastanza conseguente, e in questo modo egli esprimeva la seguente opinione molto diffusa (e puramente tradunionista): quel che ci interessa è il movimento operaio, sono le organizzazioni operaie del nostro paese, tutto il resto non è che in- venzione di dottrinari, « sopravvalutazione dell’ideologia », come si esprimevano gli autori della lettera pubblicata nel n, 12 Az\YIskra> al- l’unisono col n. io del Raboceie Dielo. Ci si chiede ora: date queste particolarità della «critica» e del bernsteinismo russi, in che doveva consistere il compito di chi voleva combattere l’opportunismo a fatti e non soltanto a parole? Bisognava, prima di tutto, preoccuparsi di riprendere quel lavoro teorico che era stato appena incominciato all’epoca del marxismo legale e che rica- deva di nuovo sui militanti illegali; senza questo lavoro uno sviluppo reale del movimento era impossibile. In secondo luogo, era necessario impegnare una lotta attiva contro la « critica » legale, che pervertiva gli spiriti. In terzo luogo, era necessario insorgere vigorosamente contro la confusione e le esitazioni nel movimento pratico, smasche- rando e respingendo tutti i tentativi di svilire coscientemente o inconsciamente il nostro programma e la nostra tattica. . Il Raboceie Dielo , come è noto, non ha assolto nè il primo, nè il se- condo, nè il terzo di questi compiti, e avremo piu innanzi l’occasione di chiarire particolareggiatamente questa verità sotto i diversi aspetti. Per ora vogliamo semplicemente dimostrare che esiste una flagrante contraddizione tra la rivendicazione della « libertà di critica » e le par- ticolarità della critica di casa nostra e dell’economismo russo. Si dia, infatti, uno sguardo alla risoluzione con la quale F« Unione dei so- cialdemocratici russi » all’estero ha confermato il punto di vista del Raboceie Dielo . « NeU’interesse dell’ulteriore sviluppo ideologico della socialdemocrazia noi pensiamo che la libertà di criticare la teoria socialdemocratica nella let- teratura di partito è cosa assolutamente necessaria, nella misura in cui que- sta critica non contraddice al carattere di classe e al carattere rivoluzionario della teoria » ( Due congressi , p. io). CHE FARE? 337 Si motiva questa risoluzione col fatto che « nella prima parte essa coincide con la risoluzione del Congresso di Lubecca su Bernstein... ». Nella semplicità del loro cuore i membri dell’« Unione » non vedono nemmeno quale testimonium paupertatis (certificato di povertà) essi stessi si rilasciano con questo plagio; « ma... nella seconda parte, essa pone alla libertà di critica limiti più angusti di quelli posti dal Congresso di Lubecca ». La risoluzione dell 1 * Unione » sarebbe, dunque, rivolta contro i bernsteiniani russi? Altrimenti, sarebbe un’assurdità riferirsi a Lu- becca! Ma è falso che essa «ponga limiti angusti alla libertà di cri- tica ». Con la risoluzione di Hannover i tedeschi hanno respinto punto per punto proprio quegli emendamenti che Bernstein aveva presen- tato, e con quella di Lubecca hanno dato un avvertimento a Bernstein personalmente , facendone chiaramente il nome. I nostri « liberi » imi- tatori, invece, non indicano, neppure con un accenno, nessuna delle particolari manifestazioni della « critica » russa e delP« economismo » russo. Cosicché la semplice allusione al carattere di classe e al carattere rivoluzionario della teoria lascia un posto molto più ampio alle inter- pretazioni sbagliate, soprattutto se F« Unione » si rifiuta di considerare opportunismo il « cosiddetto economismo » (Due congressi , p. 8). Ma ciò sia detto di sfuggita. L’essenziale è che le posizioni degli opportu- nisti rispetto ai socialdemocratici rivoluzionari sono in Germania e in Russia diametralmente opposte. In Germania i socialdemocratici ri- voluzionari sono, come noto, per la conservazione di ciò che esiste: per il vecchio programma, la vecchia tattica, conosciuti da tutti e messi alla prova in tutti i particolari dall’esperienza di parecchi decenni. I « critici » vogliono invece introdurvi delle modificazioni, e poiché sono un’infima minoranza e le loro tendenze revisioniste sono molto timide, i motivi per cui la maggioranza si limita a respingere secca- mente le loro « innovazioni » sono comprensibili. Da noi, in Russia, « critici » ed economisti sono per la conservazione di ciò che esiste : i « critici » vogliono continuare ad essere considerati come dei marxisti e a godere della « libertà di critica » della quale hanno approfittato nel senso più ampio (perchè in fondo essi non hanno mai riconosciuto nessun legame di partito * e d’altra parte non avevamo un organo ri- * Questa mancanza di un legame di partito aperto e riconosciuto e di una tradì' zione di partito rappresenta in sè una differenza così radicale tra la Russia e la Germania, che avrebbe dovuto mettere in guardia ogni socialista sensato contro Timi- 22 - 754 33& LENIN conosciuto da tutto il partito il quale potesse « limitare », almeno con dei consigli, la libertà di critica); gli economisti vogliono che i rivo- luzionari riconoscano il « pieno diritto del movimento nell’ora pre- sente» (Raboceie Dielo , n. io, p. 25), cioè la « legittimità » delFesisten- za di ciò che esiste; che gli « ideologi » non cerchino di « far deviare » il movimento dalla strada « determinata dal giuoco reciproco degli elementi materiali e dellambiente materiale» (Lettera nel n. 12 del- Yls\ra)\ che si riconosca come desiderabile condurre quella lotta « che gli operai possono condurre soltanto in circostanze determinate » e come possibile « quella che essi conducono effettivamente nel mo- mento presente » (Supplemento alla « Raboctaia Mysl », p. 14). Per contro, noi, socialdemocratici rivoluzionari, non siamo soddisfatti di questa sottomissione alla spontaneità, ossia a ciò che esiste « nel mo- mento presente ». Noi esigiamo la modificazione della tattica prevalsa in questi ultimi anni; dichiariamo che « prima di unirsi, e per unirsi, è necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e nettamente » (an- nunzio della pubblicazione d z\Yls\ra*. In una parola, i tedeschi ri- mangono sulle posizioni esistenti e respingono- ogni modificazione; noi esigiamo la modificazione dell’attuale stato di cose respingendo la sottomissione e la rassegnazione ? ciò che esiste nel momento presente. Ecco la « piccola » differenza di cui i nostri « liberi » copiatori di risoluzioni tedesche non si sono neppure accorti. d) Engels e V importanza della lotta teorica « Il dogmatismo, il dottrinarismo », « la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero » : ecco i nemici contro i quali scendono in lizza i campioni della « libertà tazionc cicca. Ma ecco un esempio che mostra fin dove arriva la libertà di critica in Russia. Un russo, il signor Bulgakov, fa una partaccia al critico austriaco Hertz: « Mal- grado tutta l’indipendenza delle sue conclusioni, Hertz su questo punto [sulla coopera- zione] resta evidentemente troppo attaccato alle opinioni del proprio partito, e, pur dissentendo nei particolari, non si decide ad abbandonare il principio generale » (Ca- pilatismo e agricoltura , v. Il, p. 287). Un suddito di uno Stato politicamente asservito, dove il 999 per 1000 della popolazione è corrotto fino alle midolla dalla servitù politica e dalla totale incomprensione dell’onore di partito e del legame di partito, rimprovera superbamente a un cittadino di uno Stato costituzionale l’eccessivo « attaccamento alle opinioni del partito*! Alle nostre organizzazioni illegali non resta che incominciare a scrivere delle risoluzioni sulla libertà di critica... • Cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 353-364 (N. à. /?.). CHE FARE? 359 di critica » del Raboceie Dielo, Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all’ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente: Chi sono i giudici? Abbiamo innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il program- ma del Raboceie Dielo, organo del periodico dell’« Unione dei socialde- mocratici russi » (tiratura speciale del n. i del Raboceie Dielo) e l'an- nuncio della ripresa delle edizioni del gruppo « Emancipazione del la- voro ». Entrambi hanno la data del 1899, epoca nella quale la «crisi del marxismo » era all’ordine del giorno da molto tempo. Eppure nella prima di queste pubblicazioni si cercherebbero invano indicazioni sulla crisi stessa e un’esposizione precisa della posizione che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell’attività teorica e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono una parola aè questo programma, nè le aggiunte approvate dal III Congresso del- ire Unione » nel 1901 ( Due congressi , pp. 15-18), In tutto questo pe- riodo, la redazione del Raboceie Dielo ha lasciato da parte le questioni teoriche, benché esse appassionassero i socialdemocratici di tutto il mondo. L’altra pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto Tindebo- limento dell’interesse per la teoria durante questi ultimi anni, esige imperiosamente che sia data una « vigile attenzione al lato teorico del movimento rivoluzionario del proletariato » ed esorta a una « critica spietata delle tendenze bernsteiniane e delle altre tendenze antirivolu- zionarie » esistenti nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora pubblicati dimostrano come sia stato eseguito questo programma. Vediamo, dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero, ecc. dissimulano in realtà l’indifferenza e l’impotenza nei ri- guardi dello sviluppo del pensiero teorico. L’esempio dei socialdemo- cratici russi illustra in modo particolarmente chiaro il fenomeno, ge- nerale in Europa (e da molto tempo segnalato anche dai marxisti te- deschi), che la famosa libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un’altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di principi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro movi- mento non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino inesistente, ha 22* LENIN 3-f° aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: « Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di pro- grammi f> Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come « fare dello spirito a un funerale ». Queste parole, d’al- tra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella qua- le Marx condanna categoricamente l’eclettismo nell’enunciazione dei principi. Se è necessario unirsi — scriveva Marx ai capi del partito — fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei principi e non fate «concessioni» teori- che. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l’importanza della teoria! Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivolu- zionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un pe- riodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accom- pagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. Ma per la socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un’importanza ancora maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia ed è ben lungi dell’aver saldato i conti con le altre correnti del pensiero rivo- luzionario, che minacciano di far deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni (come Axelrod già da molto tempo aveva predetto agli economisti) ci troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista sembra « senza im- portanza », può avere le più deplorevoli conseguenze; e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le discussioni di fra- zione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal consolidarsi, dell’una piuttosto che dell’altra « tendenza » può dipendere per lunghi anni l’avvenire della socialdemocrazia russa. In secondo luogo, il movimento socialdemocratico è per la sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbia- mo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica l’esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta co- noscerla o limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper va- CHE FARE? 341 lutare criticamente e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contem- poraneo e come si è articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria) sia neces- saria per adempiere questo compito. In terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa sono tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito so- cialista del mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici ed orga- nizzativi ci impone il compito di liberare tutto il popolo dal giogo deirautocrazia. Per il momento ci limiteremo a rilevare che solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la fun- zione di combattente di avanguardia. Ma per raffigurarsi un po’ più concretamente che cosa questo significhi, ricordi il lettore quei pre- cursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belin- ski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta; rifletta all'importanza mondiale che la letteratura russa ac- quista presentemente; pensi... ma basta così! Ricordiamo le osservazioni di Engels (1874) sulTimportanza della teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) — come si pensa abitualmente fra noi — , ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica . La raccomandazione che egli fa al mo- vimento operaio tedesco, già rafforzatosi praticamente e politicamente, è talmente istruttiva, dal punto di vista delle questioni e discussioni attuali, che il lettore ci scuserà se riportiamo il lungo brano seguente della prefazione all'opuscolo Der deutsche Bauernkrieg* che è di- ventato da molto tempo una rarità bibliografica eccezionale: « Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del resto dell'Europa. In primo luogo essi appartengono al popolo del- l’Europa più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti ” uomini colti ** della Germania hanno totalmente per- duto, Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco — l'unico socialismo scientifico che sia mai esistito — non sarebbe mai nato. Se tra gli ope- rai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come * Drifter Abdruck. Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerci. 34 2 LENIN c effettivamente accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo, si rivela da una parte se si tenga presente l’indifferenza verso tutte le teorie, che è una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole organizzazione dei singoli sindacati, avanza cosi lentamente, e, dall’altra parte, se si tengano pre- senti la confusione e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnuoli e negli italiani. « Il secondo vantaggio è costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell’epoca. Come il so- cialismo tedesco non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saint-Simon, Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimo- striamo scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si è sviluppato sulle spalle dei movi- menti inglese e francese, che può con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a così caro prezzo ed evitare oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che punto saremmo noi ora? «Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta uni- tariamente, coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l’invincibilità del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire concentrico. «Da una parte per questa loro privilegiata posizione, dalPaltra per le particolarità insulari del movimento inglese e la violenta repres- sione del movimento francese, gli operai tedeschi sono per il momento all’avanguardia della lotta proletaria. Per quanto tempo gli avveni- menti lasceranno loro questo posto d’onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno, è sperabile che essi eseguiranno il loro com- pito come si conviene. Per questo occorre che gli sforzi siano raddop- piati in ogni campo della lotta e dell’agitazione. Precisamente sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teo- CHE FARE? 343 riche, liberarsi sempre più completamente dall’influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo, e tenere sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l’importante sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che cosi si è acquisita e che sempre più si è chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente l’or- ganizzazione del partito e dei sindacati... « Se gli operai tedeschi così andranno avanti, non perciò marce- ranno alla testa del movimento — anzi non è affatto nell’interesse del movimento che gli operai di una singola nazione, quale che essa sia, marcino alla testa del movimento — , ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella linea del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese o grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore decisione ed energia » TA . Le parole di Engels furono profetiche. Qualche anno dopo, gli ope- rai tedeschi erano improvvisamente sottoposti alla rude prova delle leggi eccezionali contro i socialisti. Ed effettivamente si trovarono ar- mati per affrontarla e ne uscirono vittoriosi. Il proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente più gravi, dovrà combattere un mostro in confronto del quale una legge eccezionale in un paese costituzionale sembrerà un pigmeo. La storia ci pone oggi un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i com- piti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese. L’adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della rea- zione, non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo l’avanguardia del proletariato rivoluzio- nario internazionale. Siamo in diritto di credere che ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se sapremo animare dello stesso spi- rito di illimitata risolutezza e della stessa energia il nostro movimento, mille volte più vasto e più profondo. II LA SPONTANEITÀ’ DELLE MASSE E LA COSCIENZA DELLA SOCIALDEMOCRAZIA Abbiamo detto che è necessario animare della stessa illimitata riso- lutezza ed energia il nostro movimento incomparabilmente più vasto e profondo di quello degli anni settanta. Infatti, fino ad oggi nessuno ancora, sembra, aveva messo in dubbio che la forza del movimento contemporaneo consiste nel risveglio delle masse (e principalmente del proletariato industriale) e la sua debolezza nella mancanza di co- scienza e d'iniziativa dei dirigenti rivoluzionari. Ma di recente è stata fatta una scoperta sbalorditiva, che minaccia di rovesciare tutte le idee dominanti sull’argomento. Essa è opera del Raboceie Dielo che, polemizzando con Visura e la Zanà , non si è li- mitato a muovere obiezioni su alcuni punti, ma ha tentato di scoprire la radice profonda del « dissenso generale » e l’ha trovata nella « di- versa valutazione della importanza relativa dell’elemento spontaneo e dell’elemento "metodico” cosciente». L’atto di accusa del Raboceie Dielo afferma: « sottovalutazione dell’importanza dell’ elemento ogget- tivo o spontaneo dello sviluppo »*. Noi rispondiamo : anche se la pole- mica dell7.f^rfi e della Zarià avesse avuto il solo risultato di indurre il Raboceie Dielo a escogitare questo « dissenso generale », questo solo ri- sultato ci darebbe una grande soddisfazione, tanto questa tesi è signi- ficativa ed illumina vivamente il fondo delle divergenze teoriche e pò- litiche esistenti tra i socialdemocratici russi. Ecco perchè la questione del rapporto tra coscienza e sponta- • Raboceie Dielo , n. io, settembre 1901, pp. 17 c 18. Il corsivo è del Raboceie Dielo . CHE FARE? 345 neità presenta un interesse generale immenso ed esige uno studio par- ticolareggiato. a) Inizio dell ascesa del movimento spontaneo Nel precedente capitolo abbiamo notato il contagioso entusiasmo dei giovani intellettuali russi, intorno al 1895, per la teoria marxista* Nello stesso periodo, anche gli scioperi operai, dopo la famosa guerra industriale del 1896. a Pietroburgo, presero lo stesso carattere conta- gioso. La loro estensione in tutta la Russia attestava chiaramente quan- to fosse profondo il movimento popolare che rialzava ancora una volta la testa, e se si vuol parlare di « elemento spontaneo > è certa- mente in questo movimento di scioperi che bisogna innanzi tutto ve- derlo. Ma vi è spontaneità e spontaneità. Anche negli anni sessanta e settanta (e persino nella prima metà del secolo) vi furono in Russia degli scioperi accompagnati da distruzioni « spontanee » di macchine e simili. In confronto con queste « rivolte », gli scioperi avvenuti dopo il 1890 potrebbero perfino essere chiamati «coscienti», tanto è im- portante il passo in avanti fatto nel frattempo dal movimento operaio. Ciò prova che in fondo P« elemento spontaneo » non è che la forma embrionale della coscienza. Anche le rivolte primitive esprimevano già un certo risveglio di coscienza: gli operai perdevano la loro fede secolare nella solidità assoluta del regime che li schiacciava; comin- ciavano... non dirò a comprendere, ma a sentire la necessità di una resistenza collettiva e rompevano risolutamente con la sottomissione servile all’autorità. E tuttavia questa era ben più una manifestazione di disperazione e di vendetta che una lotta. Gli scioperi della fine del secolo, invece, rivelano bagliori di coscienza molto più numerosi : si pongono rivendicazioni precise, si cerca di prevedere il momento più favorevole, si discutono i casi e gli esempi noti delle altre località, ecc. Mentre prima si trattava semplicemente di una rivolta di gente op- pressa, gli scioperi sistematici rappresentavano già degli embrioni — ma soltanto degli embrioni — di lotta di classe. Presi in sè, questi scioperi costituivano una lotta tradunionista, ma non ancora social- democratica; annunciavano il risveglio delPantagonismo fra operai e padroni; ma gli operai non avevano e non potevano ancora avere la coscienza deH’irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto lor- dinamento politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza social- 34 6 LENIN democratica. Gli scioperi della fine del secolo dunque, malgrado il progresso immenso che rappresentavano in confronto con le « rivolte > anteriori, restavano un movimento puramente spontaneo. Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza socialdemocratica. Essa poteva essere loro apportata soltanto dall'esterno. La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunio- nista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di con- durre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. *. La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono ela- borate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. Per la loro posizione sociale, gli stessi fondatori del socialismo scien- tifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli intellettuali bor- ghesi. Anche in Russia la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali socialisti rivoluzionari. Nell’epoca della quale ci occupiamo, cioè intorno al 1895, non soltanto questa dottrina ispirava completamente di sè il programma del gruppo « Emancipa- zione del lavoro *, ma aveva conquistato la maggioranza della gio- ventù rivoluzionaria della Russia. Avevamo, dunque, contemporaneamente, un risveglio spontaneo delle masse operaie, risveglio alla vita e alla lotta cosciente, e la pre- senza di una gioventù rivoluzionaria che, armata della teoria social- democratica, nutriva il desiderio ardente di avvicinarsi agli operai. È molto importante, inoltre, notare il fatto spesso dimenticato (e relati- vamente poco noto) che i primi socialdemocratici di questo periodo, i quali si occupavano con ardore deli agitazione economica (approfit- tando per questo delle utili indicazioni dell’opuscolo Deli agitazione, allora manoscritto), non consideravano quell’agitazione come il loro unico compito, ma al contrario, fin dal principio assegnavano alla so- cialdemocrazia russa i più grandi compiti storici in generale, e in par- ticolare il rovesciamento dell'autocrazia. Così, per esempio, il gruppo • Il tradunionismo non esclude affano ogni € politica», come talvolta si crede. Le trade-unions hanno sempre fatto una determinata agitazione politica e una determi- nata lotta politica (ma non socialdemocratica). Nel capitolo seguente esporremo la dif- ferenza che passa fra la politica tradunionista e la politica socialdemocratica. CHE FARE? 347 dei socialdemocratici di Pietroburgo, che fondò l’« Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia », preparò verso la fine del 1895 il primo numero di un giornale intitolato Raboceie Dielo. Com- pletamente pronto per la stampa, questo numero fu sequestrato dai gendarmi durante una perquisizione operata la notte dall’8 al 9 di- cembre 1895 P resso uno dei membri del gruppo, Anat. Ales. Vaneiev # , cosicché, nella sua prima edizione, il Raboceie Diclo non potè vedere la luce. L'editoriale di quel giornale (che, forse, fra una trentina di anni, una rivista del tipo della Russata Starinà riesumerà dagli ar- chivi della polizia) tracciava i compiti storici della classe operaia in Russia, e il primo di essi era la conquista della libertà politica. Se- guiva un articolo, A che cosa pensano i nostri ministri ? • ** dedicato alla devastazione poliziesca dei comitati per l’istruzione elementare, ed una serie di corrispondenze non solo da Pietroburgo, ma da altre lo- calità della Russia (per esempio, su un massacro di operai nella provincia di Iaroslavl). Dunque, questo, se non erro, < primo saggio » dei socialdemocratici russi della fine del secolo scorso, non era un giornale strettamente locale, e ancor meno un giornale di carattere « economico », poiché si studiava di unire gli scioperi al movimento rivoluzionario contro l’autocrazia e di spingere tutti gli oppressi, vit- time della politica di oscurantismo reazionario, a sostenere la social- democrazia. Per coloro che più o meno conoscono lo stato del movi- mento in quell’epoca è indubbio che un simile giornale, sarebbe stato favorevolmente accolto dagli operai della capitale e dagli intellettuali rivoluzionari ed avrebbe avuto la massima diffusione. L’insuccesso dell’iniziativa provò unicamente che i socialdemocratici di allora erano incapaci di rispondere alle esigenze del momento soprattutto per man- canza di esperienza rivoluzionaria e di preparazione pratica. Lo stesso si può dire per il Raboci Listo ^ e specialmente per la Rabociaia Gazieta e per il Manifesto del Partito operaio socialdemocratico russo, costituitosi nella primavera del 1898. È chiaro che non è affatto nelle nostre intenzioni di rimproverare ai militanti di quel tempo la loro impreparazione; ma per trarre profitto dall’esperienza del movimento • A. A. Vaneiev è morto nel 1899, nella Siberia orientale, di tisi contratta du- rante la detenzione preventiva, passata neirisolamento della segregazione cellulare. Ci è parso perciò possibile pubblicare le informazioni di cui sopra. Rispondiamo della loro esattezza, perchè provengono da persone che hanno intimamente conosciuto Vaneiev. * # Cfr., nella presente edizione, voi. 2, pp. 77-82 (N. d. R .). LENIN 34 » e ricavarne delle lezioni pratiche bisogna rendersi ben conto delle cause e del significato di questa o quella deficienza. Perciò è estrema- mente importante stabilire che una parte (forse anche la maggio- ranza) dei socialdemocratici attivi negli anni 1895-98 riteneva possibile presentare, proprio allora, agli inizi stessi del movimento « sponta- neo », un vasto programma ed una tattica di combattimento*. L’im- preparazione della maggior parte dei rivoluzionari, essendo un feno- meno del tutto naturale, non poteva suscitare particolari timori. Poi- ché i compiti erano giustamente determinati, poiché si possedeva l’energia necessaria per ripetere i tentativi di adempierli, i momen- tanei insuccessi non erano che un mezzo male. L’esperienza rivolu- zionaria e la capacità organizzativa sono cose che si acquistano. Basta voler sviluppare in se le qualità necessarie! Basta aver coscienza dei propri errori, coscienza che, nelle questioni rivoluzionarie, equivale già ad una mezza correzione! Ma il mezzo male diventa un male effettivo quando questa co- scienza comincia ad oscurarsi (ed essa era vivissima nei militanti dei gruppi menzionati), quando c’è della gente — e persino dei giornali socialdemocratici — che è pronta a presentare le deficienze come virtù e persino a tentar di giustificare teoricamente la proprio sottomissione servile alla spontaneità. È tempo di fare il bilancio di questa tendenza, molto inesattamente definita col termine di « economismo », che è troppo ristretto per esprimerne tutto il contenuto. b) La sottomissione alla spontaneità . La Rabociaia Mysl Prima di passare alle manifestazioni letterarie di questa sottomis- sione alla spontaneità, segnaleremo un fatto caratteristico (comuni- • « Prendendo una posizioni: negativa di fronte all'attività dei socialdemocratici alla fine degli anni novanta. Visura ignora che allora mancavano le condizioni per un al- tro lavoro che non fosse la lotta per le piccole rivendicazioni ». Cosi parlano gli econo- misti nella loro Lettera ni giornali socialdemocratici russi ( Iskjra , n. 12) [cfr., nel pre- sente volume, pp. 280-291 (N.d.R.)}, Ma i fatti da noi citati provano che questa affermazione sulla « mancanza delle condizioni » è diametralmente opposta alla verità. Non soltanto alla fine del secolo, ma intorno al 1895 esistevano tutte le condizioni — tutte, meno una sufficiente preparazione dei dirigenti — per un lavoro che non fosse la lotta per le piccole rivendicazioni. Ed ecco che invece di riconoscere questa deficienza di preparazione di noi ideologi, dirigenti, gli «economisti» fanno ricadere tutta la colpa sulla «mancanza delle condizioni», sull’influenza dell’ambiente materiale che deter- mina la strada dalla quale nessun ideologo potrà far deviare il movimento. Che cosa è questo se non cieca sottomissione alla spontaneità, se non amore degli « ideologi » per le loro proprie deficienze: CHE FARE? 34 ( ) catoci dalla fonte già citata), che getta una certa luce sul modo come tra i compagni attivi di Pietroburgo era sorto e si era sviluppato il dissenso tra le due future tendenze della socialdemocrazia russa. Al- Tinizio del 1897, A. A. Vaneiev ed alcuni suoi compagni 75 , prima di essere deportati, parteciparono a una riunione privata dove s’incon- trarono dei membri « vecchi » e « giovani » dell’« Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia ». La conversazione vertè prin- cipalmente sull’organizzazione e, in particolare, su quello « statuto della cassa operaia » che venne pubblicato nella sua forma definitiva nel n. 9-10 del Listo\ Rabotni\a (p. 46). Fra i « vecchi » (i « deca- bristi », come li chiamavano per ischerzo i socialdemocratici pietro- burghesi) e alcuni dei « giovani » (i quali, in seguito, collaborarono attivamente alla Rabociaia Mysl) si manifestò subito un dissenso net- tissimo e si impegnò un’accanita discussione. I « giovani » difende- vano i punti principali dello statuto così com’era stato pubblicato. I « vecchi » dicevano che non da ciò bisognava cominciare, ma che si doveva prima di tutto consolidare l’« Unione di lotta », farne un’or- ganizzazione di rivoluzionari alla quale fossero subordinate le diverse casse operaie, i circoli di propaganda fra la gioventù studentesca, ecc. Gli avversari erano certamente lontani dall’indovinare in questo dis- senso il germe di una divisione; lo consideravano al contrario come accidentale ed isolato. Ma Episodio dimostra che il sorgere e Esten- dersi dell’« economismo » in Russia non furono disgiunti dalla lotta contro i « vecchi » socialdemocratici (cosa che spesso dimenticano gli economisti dei nostri giorni). E se questa lotta non ha, in generale, lasciato tracce « documentarie », lo si deve unicamente al fatto che i membri dei circoli operai cambiavano con inverosimile rapidità, che non si creava nessuna continuità e che, perciò, i punti di vista diver- genti non venivano fissati in nessun documento. La pubblicazione della Rabociaia Mysl portò Economismo alla luce del sole, ma non di colpo. Bisogna rappresentarsi concretamente le condizioni di lavoro e l’effìmera esistenza degli innumerevoli cir- coli russi (cosa possibile soltanto a chi vi è passato) per comprendere quanto vi fosse di fortuito nel successo o nell'insuccesso della nuova tendenza nelle diverse città e l’assoluta impossibilità nella quale si tro- varono per lungo tempo, sia i partigiani che gli avversari di questa « nuova » tendenza, di determinare se essa era effettivamente una ten- denza definita o semplicemente il prodotto deH’impreparazione di sin- 350 LENIN &ole persone. Per esempio, i primi numeri poligrafati della Rabociaia Mysl furono completamente sconosciuti alla immensa maggioranza dei socialdemocratici, e noi abbiamo ora la possibilità di richiamarci ali editoriale del primo numero, unicamente perchè esso è stato ripro- dotto nell’articolo di V. I. ( Listo ^ Rabotnì\a , n. 9-10, p. 47 e sgg.), il quale, con uno zelo per lui eccessivo, porta alle stelle il nuovo gior- nale, così diverso dai giornali e progetti già citati* ** . Vale la pena di arrestarsi un po’ su questo editoriale, che esprime con tanto rilievo tutto lo spirito della Rabociaia Mysl e dell’economismo in generale. Dopo aver detto che le uniformi azzurre non arresteranno mai i progressi del movimento operaio, l’editoriale continua : « ... Il movi- mento operaio deve questa sua vitalità al fatto che l’operaio ha preso finalmente nelle sue mani la propria sorte, strappandola dalle mani dei suoi dirigenti ». Questa tesi fondamentale è poi svolta in seguito particolareggiatamente. In realtà, i dirigenti (cioè i socialdemocratici, fondatori dell’* Unione di lotta ») erano stati strappati, si può dire, alle mani degli operai dalla polizia ## , mentre ci si vuol far credere che gli operai lottavano contro questi dirigenti e si erano liberati dal loro giogo! Invece di esortarli ad andare avanti, a consolidare l’orga- nizzazione rivoluzionaria e ad estendere l’attività politica, si esortano gli operai ad andare indietro , a ritornare alla pura lotta tradunionista. Si proclama che « la base economica del movimento è oscurata dal- l’aspirazione a non dimenticare mai l’ideale politico», che la parola d’ordine del movimento operaio è : « Lotta per le condizioni econo- miche» (!), oppure meglio ancora: «Gli operai per gli operai»; si dichiara che le casse di sciopero « hanno per il movimento più valore di un centinaio di altre organizzazioni » (si confronti questa afferma- zione, che risale all’ottobre 1897* con la disputa fra « decabristi » e « giovani » agli inizi del 1897), ecc. Le formule come quella che la chiave di volta della situazione deve essere non il « fiore » degli * A proposito, questo elogio della Rabociaia Mysl , fatto nel novembre 1898, men- tre l’economismo, particolarmente all’estero, si era già completamente formato, ema- nava dallo stesso V. I. che, ben presto, diventò redattore del Raboceie Dielo. E questo giornale negava c continua a negare 1’esistenza di due tendenze nella socialdemocrazia russa! ** L’esattezza di quest’affermazione è dimostrata da un fatto caratteristico. Quan- do, dopo l’arresto dei « decabristi », fra gli operai della strada di Schliesselburg si diffuse la notizia che la caduta era dovuta al provocatore N. Mikhailov (dentista), il quale era in stretti rapporti col gruppo dei « decabristi », questi operai ne furono cosi indignati che decisero di uccidere Mikhailov. CHE FARE ? 35 1 operai, ma l’operaio « medio », l’operaio di massa, o come : « La poli- tica segue sempre docilmente l’economia»*, ecc. ecc., acquistarono gran voga ed ebbero un’influenza irresistibile sulla massa dei giovani venuti al movimento alla vigilia e che, per la maggior parte, conosce- vano soltanto frammenti del marxismo attraverso l’esposizione che ne facevano le pubblicazioni legali. Cosi la coscienza era completamente soffocata dalla spontaneità, dalla spontaneità di quei « socialdemocratici » che ripetevano le «idee» del signor V. V., dalla spontaneità degli operai che erano stati sedotti dall’argomento che un copeco su di un rublo valeva molto più di ogni socialismo e di ogni politica, che essi dovevano « lot- tare sapendo che lottavano non per delle ignote generazioni future, ma per se e per i propri figli » (editoriale del n. i della Raboàaia Mysl ). Le frasi di questo genere sono sempre state l’arma preferita di quei borghesi dell’Europa occidentale i quali, odiando il socialismo, lavo- ravano essi stessi (come il « sozìalpoliti\er » tedesco Hirsch) a tra- piantare nel loro paese il tradunionismo inglese, ed affermavano agli operai che la lotta esclusivamente sindacale ** è precisamente una lotta per se e per i propri figli, e non per una qualche generazione futura, per un qualche socialismo futuro. E ora « i V. V. della socialdemo- crazia russa» si mettono a ripetere queste frasi borghesi. È impor- tante rilevare qui tre punti che ci saranno di grande aiuto nella nostra analisi dei dissensi attuali ... ***, In primo luogo, il soffocamento della coscienza da parte della spontaneità, da noi indicato, è avvenuto anch’esso in modo spontaneo . Sembra un giuoco di parole, ma è purtroppo l’amara verità. Esso non è avvenuto attraverso la lotta dichiarata fra due concezioni diametral- mente opposte e la vittoria dell’una sull’altra, ma perchè in numero • Dallo stesso editoriale del primo numero della Raboàaia Mysl. Si può così giudicare quale fosse la preparazione teorica di questi t V. V. della socialdemocrazia russa », i quali ripetevano le grossolane deformazioni del « materialismo economico », mentre nei loro scritti i marxisti combattevano contro il vero V. V., già da lungo tempo soprannominato € maestro di imprese reazionarie » a causa di questo stesso modo di comprendere i rapporti fra politica e economia. ## I tedeschi possiedono perfino una parola, Nur-Gewcr^schajtlcr, per indicare i partigiani della lotta « soltanto sindacale ». Sottolineiamo attuali per i farisei che alzeranno le spalle dicendo; « È facile denigrare ora la Raboàaia Mysl , ma tutto ciò appartiene al passato ». Mutato nomine, de te fabula narratur t risponderemo noi a questi moderni farisei, di cui dimostreremo in seguito il completo asservimento alle idee della Raboàaia Mysl. 352 LENIN sempre maggiore i « vecchi » rivoluzionari sono stati « prelevati » dalla polizia e sostituiti gradualmente dai « giovani » « V.V. della social- democrazia russa». Tutti coloro che hanno, non dico partecipato al movimento russo contemporaneo , ma ne hanno semplicemente respi- rato l'aria, sanno perfettamente che le cose stanno così. E se, ciò non- ostante, insistiamo perchè il lettore si renda ben conto di questo fatto già noto, se, per rendere le cose più evidenti, citiamo dei fatti sulla prima edizione del Raboceie Dielo e sulla discussione fra « giovani » e « vecchi » agli inizi del 1897, è soltanto perchè gente che si vanta del suo « spirito democratico » specula sulla ignoranza di questo fatto da parte del gran pubblico (o dei giovanissimi). Del resto, ritorneremo su questo punto. In secondo luogo, possiamo osservare, fin dalla prima manifesta- zione letteraria delleconomismo, un fenomeno altamente originale ed estremamente caratteristico per la comprensione di tutti i dissensi fra i socialdemocratici del giorno d’oggi: i partigiani del « movimento puramente operaio », i fautori del legame più stretto e più « organico » (espressione del Raboceie Dielo ) con la lotta proletaria, gli avversari di tutti gli intellettuali non operai (anche se socialisti) sono costretti, per difendere le loro posizioni, a ricorrere agli argomenti dei « puri tradunionisti » borghesi . Ciò ci dimostra che, fin dal principio, la Rabociaia Mysl si è — senza rendersene essa stessa conto — accinta ad attuare il programma del «Credo». Il che prova (e il Rabocieie Dielo non può riuscire a comprenderlo) che ogni sottomissione del movimento operaio alla spontaneità, ogni menomazione della fun- zione dell’* elemento cosciente », della funzione della socialdemocrazia significa di per sè — non importa lo si voglia o no — un rafforza- mento dell influenza dell ideologia borghese sugli operai . Tutti coloro che parlano di « sopravvalutazione della ideologia»*, di esagerazione della funzione deH’elemento cosciente **, ecc., immaginano che il mo- vimento puramente operaio sia di per sè in grado di elaborare — ed elabori in realtà — una ideologia indipendente; che ciò che più conta sia che gli operai «strappino dalle mani dei dirigenti le loro sorti». Ma questo è un profondo errore. Per completare quanto abbiamo detto sopra, riportiamo anche le seguenti parole, profondamente giuste e im- * Lettera degli «economisti» nel n. \2 dell7x^r«. M Raboceie Dielo t n. io. CHE FARE? 35.3 portanti, di K. Kautsky, circa il progetto di un nuovo programma del partito socialdemocratico austriaco*: « Parecchi dei nostri critici revisionisti immaginano che Marx abbia affermato che lo sviluppo economico e la lotta di classe non soltanto creano le condizioni della produzione socialista, ma generano anche direttamente la coscienza [sottolineato da K. K.j della sua necessità. Ed ecco questi cri- tici obiettare che il paese del più avanzato sviluppo capitalistico, l’Inghil- terra, è il più estraneo, fra tutti i paesi moderni, a questa coscienza. In base al progetto si potrebbe credere che anche la commissione la quale ha elaborato il programma austriaco condivida questo punto di vista sedicente marxista ortodosso che viene confutato nel modo suindicato. Il progetto di- ce: ” Quanto più lo sviluppo capitalistico rafforza il proletario, tanto più esso è costretto a lottare contro il capitalismo ed ha la possibilità di farlo. Il proletario giunge ad aver coscienza ” della possibilità e della necessità del socialismo. La coscienza socialista sarebbe, per conseguenza, il risultato ne- cessario, diretto della lotta di classe proletaria. Ma ciò è completamente fal- so. 11 socialismo, come dottrina, ha evidentemente le sue radici nei rapporti economici contemporanei, al pari della lotta di classe del proletariato; esso deriva, al pari di quest ’ultima, dalla lotta contro la miseria e dall’impoveri- mento delle masse generati dal capitalismo; ma socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all’altra e non uno dall’altra; essi sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni scientifiche. Infatti, la scienza economica con- temporanea è, al pari della tecnica moderna, una condizione della produ- zione socialista, e il proletariato, per quanto lo desideri, non può creare nè l’una nè l’altra; la scienza e la tecnica sorgono entrambe dal processo sociale contemporaneo. Il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi [sottolineato da K. K.]; anche il socialismo con- temporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno \von aussen hineingetragenes ], e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente \urwuchsig\. Il vecchio programma di Hainfeld diceva dunque molto giustamente che il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel pro- letariato [letteralmente: di permeare il proletariato] la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza * Ncne Zeit , 1901 -1902, XX, I, n. 3, p. 79. Il progetto della commissione di cui parla K. Kautsky fu approvato dal Congresso di Vienna (alla fine delTanno scorso) con alcune modificazioni. 23 - 754 354 LENIN emanasse da sè dalla lotta di classe. Il nuovo progetto ha ripreso questa tesi del vecchio programma e l’ha sovrapposta alla tesi sopra citata. Ma ciò ha completamente spezzato il corso del pensiero... ». Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipen- dente, elaborata dalle stesse masse operaie nel corso stesso del loro movimento *, la questione si può porre solamente così : o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c'è via di mezzo (poiché Fuma- nità non ha creato una « terza » ideologia, e, d'altronde, in una società dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra delle classi). Ecco perchè ogni me- nomazione dell’ideologia socialista, ogni allontanamento da essa im- plica necessariamente un rafforzamento dell'ideologia borghese. Si parla della spontaneità; ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa sì che esso si subordini all’ideologia borghese, che esso pro- ceda precisamente secondo il programma del «Credo», perchè il mo- vimento operaio spontaneo è il tradunionismo, la Nur-Gewer\schaft - lerei , e il tradunionismo è l’asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Perciò il nostro compito, il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità, nell’ allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a rifugiarsi sotto l’ala della borghesia; il nostro compito consiste nelFattirare il mo- vimento operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria. La frase degli autori della lettera « economica » pubblicata nel n. 12 del Visura, secondo cui gli sforzi degli ideologi meglio ispirati non po- trebbero far deviare il movimento operaio dalla strada tracciata dal giuoco reciproco degli clementi materiali e delFambiente materiale, equivale assolutamente ad una rinunzia al socialismo . Se coloro che hanno scritto questa frase fossero capaci di pensare fino in fondo a * Certo non ne consegue che gli operai non partecipino a questa elaborazione; ma non vi partecipano come operai, bensì come teorici del socialismo, come i Proudhon e i Weitling. In altri termini, non vi partecipano che nella misura in cui giungono ad acquisire più o meno completamente cognizioni della loro epoca ed a farle pro- gredire. Ma perchè possano riuscirvi più spesso bisogna sforzarsi di elevare il livello della loro coscienza in generale, bisogna che essi non si rinchiudano nella cornice arti- ficialmente ristretta della e letteratura per operai », ma imparino sempre meglio a comprendere la letteratura tn generale. Sarebbe anzi più giusto dire che gli operai non si « rinchiudono » in una letteratura speciale, ma vi sono rinchiusi, perchè essi leggono e vorrebbero leggere tutto ciò che si scrive per gli intellettuali, e soltanto alcuni in- tellettuali (scadenti) pensano che « agli operai » basti parlare della vita d’officina c rimasticare ciò che essi da molto tempo sanno. CHE FARE? 355 quanto dicono, con logica e senza paura, come devono fare tutti co- loro che scendono sul terreno dell’attività letteraria e sociale, non avrebbero da far altro che «incrociare le inutili braccia sul petto de- serto» e... e lasciare campo libero agli Struve e ai Prokopovic, che orientano il movimento operaio « secondo la linea del minimo sfor- zo », cioè secondo la linea del tradunionismo borghese, o agli Zubatov, che lo orientano secondo la linea delTc ideologia » clerico-poliziesca. Ricordate l’esempio della Germania. Qual è stato il merito storico di Lassalle nel movimento operaio tedesco? Di avere allontanato il movimento dal tradunionismo progressista e dal cooperativismo verso i quali si dirigeva spontaneamente {con la benevola collaborazione degli Sckulze-Delitsch e consorti). Per riuscirvi, è stato necessario ben altro che qualche frase sulla sottovalutazione deirelemento spontaneo, sulla tattica-processo, sul giuoco reciproco degli elementi e delPam- biente, ecc. È occorsa una lotta accanita contro la spontaneità , e sol- tanto dopo lunghi, lunghissimi anni di questa lotta si è giunti a fare, della popolazione operaia di Berlino, per esempio, che era un baluardo del partito progressista, una delle migliori fortezze della socialdemo- crazia. E questa lotta non è terminata nemmeno ora (come potrebbero credere coloro che studiano la storia del movimento tedesco su Pro- kopovic e la sua filosofia su Struve). Ancora oggi la classe operaia tedesca è divisa, se così si può dire, fra parecchie ideologie: una parte è raggruppata nei sindacati cattolici e monarchici; un’altra nei sinda- cati Hirsch-Duncker ”, fondati dai partigiani borghesi del tradunio- nismo inglese; una terza parte nei sindacati socialdemocratici. Que- st’ultima parte è incomparabilmente più numerosa di tutte le altre, ma Pideologia socialdemocratica non ha potuto ottenere e non potrà conservare questa supremazia se non attraverso una lotta instancabile contro tutte le altre ideologie. Ma perchè — domanderà il lettore — il movimento spontaneo, il movimento che segue la linea del minimo sforzo, conduce al predo- minio deirideologia borghese? Per la semplice ragione che, per le sue origini, l’ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, essa è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione*. E quanto più • Si dice spesso: la classe operaia va spontaneamente al socialismo. Ciò è perfet- tamente giusto nel senso che più profondamente e più esattamente di tutte le altre la II* 356 LENIN giovane è il movimento socialista di un determinato paese, tanto più energica deve essere la lotta contro tutti i tentativi di consolidare Tideologia non socialista, tanto più risolutamente bisogna premunire gli operai contro i cattivi consiglieri che gridano alla « sopravvaluta- zione dell’elemento cosciente », ecc. All’unisono col Rabocieie Dìelo, gli autori della lettera economica tuonano contro l’intolleranza pro- pria del periodo infantile del movimento. Rispondiamo: sì, il nostro movimento è ancora nell’infanzia, e per raggiungere presto la virilità deve corazzarsi d’intolleranza contro coloro i quali, sottomettendosi alla spontaneità, ne ritardano lo sviluppo. Nulla di più ridicolo e di più nocivo che darsi l’aria di vecchi che già abbiano vissuto tutti i momenti decisivi della lotta! In terzo luogo, il primo numero della Rabociaia Mysl ci dimostra che la denominazione di « economismo » (alla quale non abbiamo nessuna intenzione di rinunziare poiché, in un modo o nell’altro, essa ha ormai ottenuto diritto di cittadinanza) traduce solo approssimati- vamente la sostanza della nuova tendenza. La Rabociaia Mysl non nega completamente la lotta politica: lo statuto della cassa, che essa pubblica nel suo primo numero, parla di lotta contro il governo. Essa pensa soltanto che «la politica segue sempre docilmente l’economia». (Quanto al Raboceie Dielo , esso espone una variante a questa tesi, affermando nel suo programma che « in Russia più che in qualsiasi altro paese la lotta economica è inseparabile dalla lotta politica »). Queste tesi della Rabociaia Mysl e del Raboceie Dielo sono assoluta- ne ente sbagliate se per politica s'intende la polìtica socialdemocratica . La lotta economica degli operai è spessissimo, come abbiamo visto, le- gata (ma non indissolubilmente) alla politica borghese, clericale, ecc. Le tesi del Raboceie Dielo sono giuste se per politica si intende la politica tradunionista, vale a dire l’aspirazione di tutti gli operai a ottenere dallo Stato misure atte a rimediare ai mali che comporta la loro condizione, ma non ancora a sopprimere questa condizione, cioè n distruggere la sottomissione del lavoro al capitale. Questa aspira- teoria socialista determina le cause dei mali della classe operaia. Perciò gli operai t’assimilano così facilmente, purché questa dottrina non ceda davanti alla spontaneità, purché essa sottoponga qucst'ultima a se stessa. Questo è ordinariamente sottinteso: ma il Raboceie Dielo dimentica e snatura precisamente questo sottinteso. La classe operaia va spontaneamente al socialismo, ma Tideologia borghese, che è la più diffusa (c che risuscita costantemente nelle più svariate forme), resta pur sempre l’ideologia che, spontaneamente, soprattutto s’impow' all’operaio. CHE FARE? 357 zione, intatti, è comune ai tradunionisti inglesi, che sono ostili al so- cialismo, agli operai cattolici, agli « operai di Zubatov » e ad altre tendenze. Vi è politica e politica. Vediamo dunque che la Rabociciia Mysl è, di fronte alla politica, non tanto in una posizione di negazione quanto in una posizione di sottomissione alla sua spontaneità e alla sua incoscienza. Riconoscendo pienamente la lotta politica che sorge spontaneamente dallo stesso movimento operaio (o, meglio, le riven- dicazioni e le aspirazioni politiche degli operai), la Rabociaia Mysl ri- fiuta assolutamente di elaborare essa stessa una politica socialdemo- cratica specifica, che risponda ai compiti generali del socialismo e alla attuale situazione russa, Dimostreremo più avanti che il Raboccie Dielo commette lo stesso errore. c) // « Gruppo di autoemancipazione » e il Raboceie Dielo Abbiamo analizzato così minutamente leditoriale poco noto, ed oggi quasi dimenticato, del primo numero della Rabociaia Mysl , per- chè questo articolo ha espresso per primo e con maggior rilievo la corrente fondamentale che è poi venuta alla luce del sole ramificata in innumerevoli ruscelletti, V. I. aveva completamente ragione quan- do, nel lodare questo primo numero e questo editoriale, ne costatava « la foga e il brio » (Listo{ Rabotnil^a, n. 9-10, p, 49). Chiunque è convinto della propria opinione e crede di portare qualche cosa di nuovo, scrive con « foga » e in modo da dare rilievo ai propri punti di vista,' Soltanto chi vuol star seduto fra due sedie manca di « foga » e può oggi rimproverare ai suoi avversari la « vivacità della polemica » contro la Rabociaia Mysl , dopo aver lodato ieri la vivacità di quest'ul- tima. Senza soffermarci sul Supplemento speciale alla Rabociaia Mysl (in seguito, su diverse questioni, dovremo frequentemente riferirci a questa pubblicazione nella quale sono esposte nel modo più con- seguente le idee degli economisti), ci limiteremo a segnalare bre- vemente l ’ Appello del gruppo di autoemancipazione degli operai (marzo 1899, riprodotto nel Nakanunie di Londra, n. 7, giugno 1899). Molto giustamente gli autori di questo appello dicono che «la Russia operaia si risveglia appena, guarda intorno a sè per la prima volta, e a ferra istintivamente i primi mezzi di lotta che le cadono sottoma- no », ma ne traggono la stessa conclusione sbagliata della Rabociaia 358 LENIN Mysl f dimenticando che l’istintivo è precisamente l’incosciente (lo spontaneo), al quale i socialisti devono venire in aiuto, e che i primi mezzi di lotta « che cadono sottomano » saranno sempre, nella società contemporanea, i mezzi tradunionisti, e la prima ideologia che « cade sottomano» sarà sempre l’ideologia borghese (tradunionista). Allo stesso modo gli autori dell’ Appello non «negano» affatto la politica; dicono soltanto (soltanto!), seguendo il signor V.V., che la politica è una sovrastruttura e che, per conseguenza, « l’agitazione politica deve essere la sovrastruttura deH’agitazione in favore della lotta economica, deve sorgere sul terreno di questa lotta e seguirla ». Da parte sua, il Raboceie Dielo ha cominciato col prendere la « di- fesa » degli economisti. Dopo aver dichiarato falsamente nel suo pri- mo numero (n. i, pp. 141-142) di « ignorare di quali giovani compa- gni parlasse Axelrod » nel celebre opuscolo * in cui metteva in guardia gli economisti, ha dovuto riconoscere, nel corso della polemica avuta a causa idi questa menzogna con Axelrod e Plekhanov, che, « mo- strando di non aver capito, voleva difendere tutti i giovani socialde- mocratici che si trovano airestero da questa accusa ingiusta » (l’accusa di limitatezza intellettuale lanciata da Axelrod contro gli economisti). Questa accusa era in realtà perfettamente giusta, e il Raboccie Dielo sapeva benissimo che essa era diretta fra gli altri anche contro V. I., della sua redazione. Farò notare, in proposito, che, nella polemica in questione, Axelrod aveva completamente ragione e il Raboceie Dielo completamente torto nella interpretazione del mio opuscolo / compiti dei socialdemocratici russi**. Questo opuscolo fu scritto nel 1897, pri- ma della pubblicazione della Rabocìaìa Mysl , quando, a buon diritto, consideravo come dominante la tendenza iniziale dell’* Unione di di lotta» di Pietroburgo, di cui ho parlato sopra. La tendenza del- r« Unione » fu infatti preponderante almeno fin verso la metà del 1898. Il Raboceie Dielo non aveva dunque nessun diritto di smentire l’esistenza e il pericolo deH’economismo, richiamandosi a un opuscolo nel quale si esponevano opinioni che a Pietroburgo nel 1897-1898 fu- rono soppiantate da opinioni economiste ***. • Sulla questione degli obiettivi attuali e della tattica della socialdemocrazia russa (Ginevra, 1898), Due lettere alla Rabociaia Gazieta , scritte nel 1897. •• Cfr., nella presente edizione, voi, 2, pp. 315-337 ( N.d.R .). ••• Il Raboceie Dielo } difendendosi, ha aggiunto alla sua prima menzogna (« noi ignoriamo di quali giovani compagni parli P. Axelrod *) la seconda, scrivendo nella CHE FARE? 359 Ma il Raboceie Dielo non ha soltanto «difeso» gli economisti; è esso stesso costantemente incorso nei loro principali errori. L'origine di questi errori risiede nel contenuto equivoco della seguente tesi del suo programma; « Il fenomeno più importante della vita russa, quello che determinerà in principal modo i compiti [il corsivo è nostro] e il carattere dell’attività pubblicistica dell’Unione, è, a nostro avviso, il movimento operaio di massa [il corsivo è del Raboceie Dielo ] sorto in questi ultimi anni». Non si può mettere in dubbio che il movimento di massa è un fenomeno molto importante; ma tutta la questione sta nel modo di intendere come questo movimento « determinerà i com- piti ». La cosa si può intendere in due modi ; o nel senso che si debba sottomettere il movimento alla spontaneità, cioè ridurre la socialde- mocrazia a essere semplicemente l’ancella del movimento operaio come tale (così intendono la Rabociaia Mysl , il « Gruppo di autoemanci- pazione » e gli altri economisti); oppure nel senso che il movimento di massa ci pone nuovi compiti teorici, politici e organizzativi, molto più complessi di quelli di cui potevamo accontentarci prima dell’ap- parizione del movimento di massa. Il Raboceie Dielo si è sempre av- vicinato e si avvicina tuttora alla prima interpretazione, perchè non ha mai parlato con precisione di nuovi compiti e ha sempre argomentato come se il « movimento di massa » ci sbarazzasse della necessità di ve- dere chiaramente e di assolvere i compiti che esso pone. Basterà ram- mentare che il Raboceie Dielo ha ritenuto impossibile assegnare al mo- vimento operaio di massa come primo compito il rovesciamento del- l’autocrazia e (in nome del movimento di massa) ha degradato questo compito a quello della lotta per le rivendicazioni politiche immediate ( Risposta y p. 25). Senza occuparci dell’articolo pubblicato dal direttore del Raboceie Dielo , B. Kriccvski, nel n, 7 della rivista (La lotta economica e poli - Risposta : « Da quando è stata scritta la recensione dei Compiti , tra alcuni socialdemo- cratici russi sono sorte o si sono definite in modo più o meno chiaro delle tendenze all'unilateralità economica, che rappresentano un passo indietro in confronto a quello stadio del nostro movimento che è descritto nei Compiti » (p. 9). Così dice la Risposta uscita nel 1900. E il primo numero del Raboceie Dielo (con la recensione) è uscito nell’aprile del 1899. Ma l’economismo è forse sorto soltanto net 1899? No, nel 1899 si è fatta udire per la prima volta la protesta dei socialdemocratici russi contro l’eco- nomismo (protesta contro il «Credo»). L’economismo in realtà è sorto nel 1897, e il Raboceie Dielo lo sa perfettamente, perchè V. I. già nel novembre 1898 ( Listof^ Ra- botnika n. 9-1 0) elogiava la Rabociaia Mysl. LENIN 360 tica del movimento russo), nel quale si ritrovano gli stessi errori *, passeremo direttamente al n. io del Raboceie Dielo . Non esamineremo una per una tutte le obiezioni che B. Kricevski e Martynov oppon- gono alla Zarià e zWIsfya. Qui ci interessa soltanto la posizione di principio assunta dal Raboceie Dielo nel n. io. Per esempio, non esa- mineremo il fatto strano che il Raboceie Dielo veda una « contraddi- zione fondamentale» fra l’affermazione : « La socialdemocrazia non si lega le mani, non restringe la propria at- tività in base ad un qualche piano o metodo di lotta politica prefissato: essa ammette tutti i mezzi di lotta, purché corrispondano alle forze reali del partito... » (ls\ra, n. 1 **) e Paffermazione: «... e se non esiste una salda organizzazione, preparata alla lotta poli- tica in ogni momento e in tutte le situazioni, non si può parlare di quel piano sistematico d azione, illuminato da principi fermi e rigorosamente applicato, che è Punico che meriti il nome di tattica » (lsf(ra, n. 4 ***). * Ecco, per esempio, com’è espressa, in quest’articolo, la « teoria degli stadi » o teoria del «timido zigzag» nella lotta politica: «Le rivendicazioni politiche, co- muni per il loro carattere a tutta la Russia, devono tuttavia corrispondere, nei primi tempi» (e questo è stato scritto nell’agosto del 1900!) «all’esperienza compiuta nella lotta economica da un determinato \sicl] strato di operai. Soltanto [!] sul terreno di questa esperienza si può e si deve intraprendere l’agitazione politica...» (p. n). A p. 4, protestando contro le accuse di eresia economica, secondo lui assolutamente ingiustificate, l’autore esclama pateticamente: « Quale socialdemocratico ignora che*, secondo la dottrina di Marx c di Engels, gli interessi economici delle diverse classi hanno una funzione decisiva nella storia e che, per conseguenza , in particolare la lotta del proletariato per i suoi interessi economici deve avere somma importanza per il suo sviluppo di classe e la sua lotta liberatrice? » (il corsivo è nostro). Questo « per con- seguenza » è assolutamente fuori posto. Dal fatto che gli interessi economici esercitano una funzione decisiva non consegue affatto che la lotta economica (professionale) sia di sommo interesse, perche gli interessi essenziali, «decisivi», delle classi possono essere soddisfatti solamente con trasformazioni politiche radicali, e particolarmente, l’in- teresse economico fondamentale del proletariato può essere soddisfatto solamente con una rivoluzione politica che sostituisca alla dittatura della borghesia la dittatura del proletariato. B. Kricevski ripete il ragionamento dei « V. V, della socialdemocrazia russa » (la politica segue l'economia, ecc.) e dei bernsteiniani della socialdemocrazia tedesca (con un ragionamento analogo, Woltmann, per esempio, dimostrava che gli operai devono incominciare ad acquistare la « forza economica » prima di pensare alla rivoluzione politica). ** Cfr., nella presente edizione, voi. 4, p. 406 (N.J.R.). *•* Cfr. nel presente volume, p. 10 (JV. d. R.). CHE FARE? 3 6 * Confondere il riconoscimento in via di principio di tutti i mezzi, piani e metodi di lotta, purché adeguati allo scopo, con la necessità di essere guidati, in un dato momento politico , da un piano rigorosa- mente applicato — se si vuole parlare di una tattica — è come con- fondere il riconoscimento da parte della medicina di tutti i sistemi terapeutici con la necessità di attenersi a un sistema determinato per la cura di una determinata malattia. Ma il fatto è che proprio il Ra - boceie Dielo t poiché soffre della malattia da noi chiamata sottomis- sione alla spontaneità, non vuol ammettere nessun « sistema di cura » di questa malattia. Perciò ha fatto la notevole scoperta che « la tattica- piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo » (n. io, p. 1 8 ); che la tattica è « il processo di sviluppo dei compiti del partito che si sviluppano insieme con il partito stesso » (p. n; il corsivo è del Raboceie Dido). Quest’ultima frase ha tutte le probabilità di diven- tare una sentenza famosa, un monumento indistruttibile della « ten- denza » del Raboceie Dielo. Alla domanda: « dove andare ?» que- st’organo dirigente risponde: il movimento è il processo di varia- zione della distanza fra il punto iniziale e i successivi punti del mo- vimento. Un’osservazione di tale incomparabile profondità non costi- tuisce soltanto una curiosità (non varrebbe allora la pena di occupar- sene), ma è il programma di tutta una tendenza: quel programma che la Rabociaia Mysl (nel Supplemento speciale) ha così enunciato: è desiderabile la lotta che è possibile; e possibile è la lotta che si svolge in questo momento. Questa è appunto la tendenza del più illimitato opportunismo, che si adatta passivamente alla spontaneità. « La tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxi- smo»! Questa è una calunnia, una caricatura del marxismo, analoga a quella che ci era presentata dai populisti in guerra contro di noi. È appunto una svalutazione deU’iniziativa e dell’energia dei militanti coscienti, mentre, al contrario, il marxismo stimola in modo formi- dabile l’energia e l’iniziativa del socialdemocratico, aprendogli le più larghe prospettive, mettendo a sua disposizione (se così si può dire) le forze formidabili di milioni e milioni di operai che scendono « spon- taneamente » in lotta! La storia della socialdemocrazia internazionale pullula di piani proposti da questo o da quel capo politico, piani che ora attestano la chiaroveggenza e la ( giustezza delle opinioni politiche e organizzative, ora svelano la cecità e gli errori politici dei loro au- tori. Quando la Germania attraversò una delle più grandi crisi della 3 Ó2 LENIN storia — formazione deirimpero, apertura del Reichstag, concessione del suffragio universale — , Liebknecht aveva un piano di politica e di azione socialdemocratica e Schweitzer ne aveva un altro. Quando i socialisti tedeschi furono colpiti dalle leggi eccezionali, Most e Has- selmann avevano un piano, l’appello puro e semplice alla violenza c al terrore; Hòchberg, Schramm e (in parte) Bernstein ne avevano un altro: si dettero a predicare ai socialdemocratici che, poiché avevano provocato con la violenza inconsiderata e con il loro spirito rivoluzio- nario la legge che li colpiva, dovevano ora ottenere il perdono con una condotta esemplare; esisteva infine un terzo piano: quello degli uomini che preparavano e attuavano la pubblicazione di un giornale illegale. Quando si considerano gli avvenimenti dopo parecchi anni, quando la lotta per la scelta della strada da seguire è terminata e la storia si è definitivamente pronunziata sul valore della strada pre- scelta, non è difficile naturalmente dare prova di profondità di pensiero e dichiarare sentenziosamente che lo sviluppo dei compiti del par- tito procede insieme con lo sviluppo del partito stesso. Ma nelle ore di confusione *, quando i « critici » e gli economisti russi abbassano la so- cialdemocrazia al livello del tradunionismo, e i terroristi predicano con ardore l’adozione di un « piano tattico » il quale non fa che ripetere i vecchi errori, in un momento simile attenersi a simili sentenze si- gnifica rilasciare a se stessi « un certificato di povertà ». Nel momento in cui numerosi socialdemocratici russi soffrono appunto di mancanza di iniziativa e di energia, di mancanza di « larghezza nella propa- ganda, neiragitazione e nell’organizzazione politica » **, di mancanza di « piani » per una più ampia impostazione del lavoro rivoluzionario, dire che « la tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo » significa non soltanto degradare teoricamente il marxismo, ma anche, praticamente, tirare indietro il partito. « Il socialdemocratico rivoluzionario — ci insegna più avanti il Rabo- ceie Dielo — ha come compito di accelerare lo sviluppo oggettivo col proprio lavoro cosciente, e non di sopprimerlo o di sostituirlo con piani • Eìn Jahr der Veru/irrung (t Un anno di confusione »), così Mehring ha intito- lato, nella sua Storia della socialdemocrazia tedesca , il capitolo in cui descrive le esi- tazioni e le indecisioni che i socialisti manifestarono agli inizi nella scelta di un < piano tattico » rispondente alla nuova situazione. # * Editoriale del n. i deWls^ra (cfr., nella presente edizione, voi. 4, p. 404- N. d. R.). CHE FARE? 3 6 3 soggettivi. \Jls\ra sa tutto questo teoricamente. Ma in pratica, a causa del suo dottrinarismo nelle questioni tattiche, è trascinata dalPimmensa importanza che il marxismo attribuisce giustamente al lavoro rivoluzio- nario cosciente a sottovalutare l importanza dell elemento oggettivo e spon- taneo dello sviluppo » fp. 18). Eccoci daccapo in una straordinaria confusione teorica, degna del signor V. V. e consorti. Ma domandiamo al nostro filosofo: in che può consistere la «sottovalutazione» dell’oggettivo nell’autore di piani soggettivi? Senza dubbio nel dimenticare che lo sviluppo oggettivo crea o consolida, rovina o indebolisce queste o quelle classi, strati so- ciali, gruppi, nazioni, gruppi di nazioni, ecc. ecc., determinando per ciò stesso questo o quel raggruppamento politico internazionale di forze, questa o quella posizione dei partiti rivoluzionari, ecc. Ma, in tal caso, il suo errore consisterà neiravere sottovalutato non già lele- mento spontaneo ma, al contrario, lelemento cosciente , poiché gli sarà mancata la « coscienza » necessaria all’esatta comprensione dello sviluppo oggettivo. Il solo fatto di parlare della « valutazione delPim- portanza relativa » (il corsivo è del Raboceie Dielo) della spontaneità e della coscienza rivela perciò una completa mancanza di « coscien- za». Se certi «elementi spontanei dello sviluppo» sono accessibili in generale alla coscienza umana, l’errata valutazione di essi equivarrà a una « sottovalutazione deH’elemento cosciente ». E se sono inacces- sibili, noi non li conosciamo e non ne possiamo parlare. Di che cosa parla Kricevski? Se trova sbagliati i «piani soggettivi » d t\Yls\ra (come infatti dichiara), dovrebbe dimostrare di quali fatti oggettivi questi piani non tengono conto ed accusare perciò Visura di mancanza di coscienza , di «sottovalutazione dell elemento cosciente», per par- lare il suo linguaggio. Ma se, scontento dei piani soggettivi, non ha altri argomenti che il ricorso alla « sottovalutazione deH’elemento spontaneo» (!!), egli in questo modo prova soltanto: primo, che, teo- ricamente, egli comprende il marxismo alla maniera di Kareiev e di Mikhailovski, così giustamente presi in giro da Beltov; secondo, che, praticamente, è del tutto soddisfatto di quegli « elementi spontanei di sviluppo » che hanno portato i nostri marxisti legali al bernsteinismo e i nostri socialdemocratici all’economismo, e che egli è furioso contro coloro che si sono decisi ad allontanare a ogni costo la socialdemocra- zia russa dalla strada dello sviluppo «spontaneo». LENIN É1 E più avanti seguono cose spassosissime. « Allo stesso modo che gli uomini, nonostante tutti i successi delle scienze naturali, si molti- plicheranno alla maniera dei loro nonni, così l’apparizione alla luce di un nuovo ordine sociale, nonostante tutti i successi delle scienze sociali e l’aumento di combattenti coscienti, anche nell’avvenire sarà prevalentemente il risultato di scoppi spontanei». Allo stesso modo che la saggezza dei nonni dice: chi non ha abbastanza intelligenza da avere dei bambini? così la saggezza dei « modernissimi socialisti » (alla Narciso Tuporylov”) dice: ognuno avrà abbastanza intelligenza per partecipare alla spontanea apparizione alla luce di un nuovo or- dine sociale. Anche noi pensiamo che ognuno ne avrà abbastanza. Per una simile partecipazione basta cedere aH’economismo, quando regna l’economismo, e al terrorismo, quando scoppia il terrorismo. Così il Raboceìe Dielo nella primavera di quest’anno, quando era così impor- tante mettere in guardia contro il pericolo di lasciarsi attirare dal ter- rorismo, rimaneva perplesso di fronte al problema per lui « nuovo ». Ed ora, sei mesi dopo, allorché il problema ha cessato di essere così attuale, ci offre nello stesso tempo sia la dichiarazione: « noi pensiamo che il compito della socialdemocrazia non può e non deve essere l’op- posizione alla ripresa delle tendenze terroristiche » (Raboceìe Dielo , n. io, p. 23), che la risoluzione del congresso: « Il congresso considera intempestivo il terrorismo offensivo sistematico » (Due congressi , p. 18). Come tutto ciò è meravigliosamente chiaro e coerente! Non ci opponiamo, ma lo dichiariamo intempestivo; e lo dichiariamo in modo tale da non includere il terrorismo non sistematico e difensivo nella « risoluzione ». Bisogna riconoscere che una simile risoluzione non è affatto pericolosa e pienamente garantita dagli errori, così come è ga- rantito dagli errori un uomo che abbia parlato per non dire nulla! E per compilare una simile risoluzione occorre soltanto una cosa: sa- persi tenere alla coda del movimento. Quando Visura ha preso in giro il Raboceìe Dielo per aver esso dichiarato che il problema del terro- rismo era nuovo *, il Raboceìe Dielo , stizzito, ha accusato Visura di avere « la pretesa veramente incredibile di imporre all’organizzazione del partito la soluzione di problemi tattici data oltre quindici anni fa da un gruppo di scrittori emigrati » (p, 24), E infatti, quale pre- tesa e quale sopravvalutazione dell’elemento cosciente: risolvere dap- * Cfr., nel presente volume, pp. iu-ii {N. d. R.), CHE FARE? 3 ^ prima i problemi teoricamente, per poi convincere della giustezza di questa soluzione l’organizzazione, il partito e le masse # ! Altra cosa è rimasticare le cose vecchie, non « imponendo » nulla a nessuno, sot- tomettersi ad ogni « svolta », tanto dalla parte delFeconomismo, quanto dalla parte del terrorismo. Il Raboccie Dielo giunge persino a genera- lizzare questo grande comandamento della saggezza, accusando Visura e la Zarià « di opporre al movimento il loro programma come uno spirito aleggiante sull’informe caos » (p. 29). In che consiste la funzione della socialdemocrazia se non nell’essere lo « spirito » che non soltanto aleggia sul movimento spontaneo, ma eleva quest’ultimo fino al « suo programmaci In ogni caso, la funzione della socialde- mocrazia non è di trascinarsi alla coda del movimento : cosa che nel migliore dei casi è inutile, e, nel peggiore, estremamente nociva per il movimento stesso. Il Raboceie Dielo , da parte sua, non si limita a seguire questa «tattica-processo», ma la erige a principio, sicché la sua tendenza deve essere definita non tanto opportunismo quanto (dalla parola: coda) codismo . Certo si è che della gente fermamente decisa a stare sempre dietro al movimento come una coda è assoluta- mente e per sempre garantita contro la « sottovalutazione dell’elemento spontaneo dello sviluppo ». Abbiamo dunque costatato che Terrore fondamentale della « nuo- va tendenza » della socialdemocrazia russa è di sottomettersi alla spon- taneità, di non comprendere che la spontaneità delle masse esige da noi, socialdemocratici, un alto grado di coscienza. Quanto più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido, il bisogno di coscienza nell’attività teorica, politica e organizzativa della social- democrazia. La spinta spontanea delle masse in Russia si è prodotta (e si pro- duce ancora) con tale rapidità che la gioventù socialdemocratica ha mostrato di non essere preparata all’adempimento di questi compiti giganteschi. Questa impreparazione è la disgrazia di noi tutti, la di- sgrazia di tutti i socialdemocratici russi. La spinta delle masse è cre- sciuta e si è estesa continuamente e di giorno in giorno; senza cessare * Non si deve neppure dimenticare che, risolvendo « teoricamente » il problema del terrorismo, il gruppo dell’* Emancipazione del lavoro» generalizzava l’esperienzn del movimento rivoluzionario precedente. 3 66 LENIN dov’era incominciata, si è estesa a nuove località e a nuovi strati della popolazione (sotto l’influenza del movimento operaio si è ravvivato il fermento fra la gioventù studentesca, fra gli intellettuali in genere e persino fra i contadini). 1 rivoluzionari sono rimasti indietro al pro- gresso del movimento, e nelle loro «teorie» e nella loro attività non sono riusciti a creare una organizzazione che non abbia soluzioni di continuità, un’organizzazione permanente capace di dirigere l’insieme del movimento. Abbiamo costatato nel primo capitolo che il Raboceie Dielo svi- lisce i nostri compiti teorici e ripete « spontaneamente > la parola d’or- dine di moda: « libertà di critica », senza avere sufficiente « coscienza > per comprendere che le posizioni dei « critici » opportunisti e quelle dei rivoluzionari in Germania e in Russia sono diametralmente op- poste. Nei capitoli successivi esamineremo come questa sottomissione alla spontaneità si è manifestata nel campo dei compiti politici e nel la- voro organizzativo della socialdemocrazia. Ili POLITICA TRADUNIONISTA E POLITICA SOCIALDEMOCRATICA Cominceremo ancora una volta lodando il Raboceie Diclo. Lette- ratura accusatrice e lotta proletaria , così Martynov ha intitolato il suo articolo nel Raboceie Dielo (n. io) sulle divergenze con Visiera. « Non possiamo limitarci unicamente a una semplice denuncia del regime che intralcia il suo sviluppo [del partito operaio]. Dobbiamo anche farci portavoce degli interessi quotidiani e urgenti del proletariato» (p. 63). Così Martynov formula la sostanza dei dissensi: « ... Visura... è effettivamente l’organo dell’opposizione rivoluzionaria, che denuncia il nostro regime e principalmente il nostro regime politico... Noi, invece, lavoriamo e lavoreremo per la causa operaia, in stretto legame organico con la lotta proletaria » (ivi). Non si può che essere riconoscenti a Mar- tynov di questa formulazione. Essa acquista un interesse generale evi- dente, dato che, in sostanza, abbraccia non soltanto i nostri dissensi col Raboceie Dielo, ma tutte le divergenze che esistono fra noi e gli « economisti » a proposito del problema della lotta politica. Abbiamo già dimostrato che gli « economisti » non negano la « politica » in modo assoluto, ma deviano continuamente dalla concezione social- democratica verso la concezione tradunionista della politica. Allo stesso modo devia Martynov, e perciò siamo d’accordo di prenderlo come modello degli errori economisti in tale questione. Ci studieremo di dimostrare che nè gli autori del Supplemento speciale alla Rabociaia Mysl , nè gli autori del proclama del « Gruppo di autoemancipa- zione », nè infine gli autori della lettera economica dell’/j-^ra (n. 12) sono in diritto di rimproverarci tale scelta. 3 68 LENIN a) L’agitazione politica e la sua limitazione da parte degli economisti A tutti è noto che la grande estensione e il rafforzamento della lotta economica * degli operai russi hanno proceduto di pari passo con lo sbocciare di una « letteratura » di denunce economiche (di fabbrica e di mestiere). 1 «fogli» denunciavano principalmente il regime delle officine, e ben presto si manifestò fra gli operai una vera e propria passione per queste denunce. Non appena gli operai costatarono che i circoli socialdemocratici volevano e potevano offrir loro dei fogli di nuovo genere, che dicevano tutta la verità sulla loro vita miserabile, il loro lavoro estenuante e il loro asservimento, cominciarono, si può dire, a inondarci di corrispondenze di fabbrica e di officina. Questa « letteratura accusatrice » produceva un’impressione enorme non sol- tanto nella fabbrica della quale quel determinato foglio fustigava il regime, ma in tutte le fabbriche dove si era sentito parlare dei fatti denunciati. E, poiché i bisogni e le sofferenze degli operai delle diverse aziende e mestieri hanno molti punti comuni, la « verità sulla vita operaia» impressionava tutti. Una vera passione di «farsi stampare) s’impadronì anche degli operai più arretrati, nobile passione per questa forma embrionale di guerra contro tutto l’attuale regime sociale, co- struito sulla spoliazione e sull’oppressione. E i «fogli» erano effetti- vamente, il più delle volte, una dichiarazione di guerra, perchè le loro rivelazioni provocavano un fermento terribile fra gli operai, li incita- vano a esigere la eliminazione delle ingiustizie più stridenti e susci- tavano in loro la volontà di sostenere le proprie rivendicazioni con degli scioperi. Gli stessi industriali, in fin de conti, furono costretti a vedere in questi fogli una dichiarazione di guerra, tanto che frequen- temente non vollero neppure attendere la guerra vera e propria. Per il solo fatto di essere pubblicate, queste denunce, come sempre, furono efficaci, ebbero il valore dì una forte pressione morale. Più di una volta accadde che la pubblicazione di un solo foglio fu sufficiente per otte- nere che fossero soddisfatte tutte le rivendicazioni o una parte di esse. * Per evitare ogni malinteso è opportuno notare che per « lotta economica » in- tendiamo sempre (secondo l'uso che si è stabilito da noi) la « lotta economica pra- tica » che Engels, nella citazione sopra riportata, ha chiamato la « resistenza ai ca- pitalisti * e che, nei paesi liberi, è chiamata lotta professionale, sindacale o tradunio- nista. CHE FARE? 369 In una parola, le denunce economiche (sulle fabbriche) erano, e con- tinuano a essere, uno strumento notevole di lotta economica: e così sarà finche esisterà il capitalismo, il quale incita necessariamente gli operai a difendersi da se. Nei paesi europei più avanzati si può osser- vare ancora adesso che la denuncia di intollerabili condizioni di lavoro in qualche « mestiere » poco noto, o in qualche branca di lavoro a domicilio a cui nessuno pensa, diventa il punto di partenza di un ri- sveglio della coscienza di classe, l’inizio di una lotta professionale e della diffusione del socialismo *. In questi ultimi tempi la schiacciante maggioranza dei socialdemo- cratici russi è stata quasi interamente assorbita da questo lavoro di denuncia delle condizioni nelle fabbriche. Basta pensare alla Rabociaia Mysl per vedere fin dove si è arrivati: si è dimenticato che questa attività di per sè , sostanzialmente, non è ancora socialdemocratica, ma soltanto tradunionista. Le denunce si riferiscono in sostanza unica- mente ai rapporti tra gli operai di una data categoria e i loro padroni e non hanno altro risultato che d’insegnare ai venditori di forza-lavoro come vendere più vantaggiosamente questa « merce » e come lottare contro l’acquirente sul terreno puramente commerciale. Queste de- nunce possono servire come punto di partenza e parte integrante del- l’attività socialdemocratica (a condizione di essere convenientemente utilizzate dall’organizzazione dei rivoluzionari), ma possono anche (e, se ci si sottomette alla spontaneità, devono) sboccare in una lotta « puramente tradunionista » e in un movimento operaio non social- democratico. La socialdemocrazia dirige la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose nella vendita della forza-lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i * In questo capitolo parliamo unicamente della lotta politica e deH’idea più o meno ampia che se ne ha. Perciò ricorderemo soltanto di sfuggita, come semplice curiosità, il rimprovero che il Raboceie Dielo muove zWIsfra di fare « riserve ec- cessive » sulla lotta economica (Due congressi , p. 27; il rimprovero è ribadito da Mar- tynov nel suo opuscolo Socialdemocrazia e classe operaia). Se i signori accusatori mi- surassero anche solo a chili e a fogli di stampa (come amano fare) la rubrica della lotta economica nella scorsa annata dell’ Is^ra e la confrontassero con la stessa rubrica del Raboceie Dielo e della Rabociaia Mysl messe insieme, costaterebbero senza alcune) sforzo di essere più indietro di noi anche da questo punto di vista. Ed è certamente la coscienza di questa semplice verità che lì ha indotti a servirsi di argomenti che di- mostrano chiaramente la loro confusione. «Volente o nolente [I] — essi scrivono — Visura deve [!] tener conto delle imperiose esigenze della vita, pubblicare almeno [!!] delle corrispondenze sul movimento operaio » ( Due congressi , p. 27). Ecco un argo- mento che ci mette veramente a terra! 24 - 754 37 ° LENIN nullatenenti a vendersi ai ricchi. La socialdemocrazia rappresenta la classe operaia non nei suoi rapporti con un determinato gruppo d’im- prenditori, ma nei suoi rapporti con tutte le classi della società con- temporanea, con lo Stato, come forza politica organizzata. È dunque evidente che i socialdemocratici non soltanto non possono limitarsi alla lotta economica, ma non possono nemmeno ammettere che Porga- nizzazione di denunce economiche sia la parte prevalente della loro attività. Dobbiamo occuparci attivamente dell’educazione politica della classe operaia, dello sviluppo della sua coscienza politica. Su questo punto, ora, dopo la prima offensiva della Zarià e dell’ ls\ra contro Pe- conomismo, « tutti sono d’accordo * (sia pure, talvolta, soltanto a pa- role, come vedremo in seguito). Ma ci si chiede: in che cosa deve consistere l’educazione politica? Ci si può limitare a diffondere l’idea che la classe operaia è ostile al- l’autocrazia? Certamente no. Non basta spiegare agli operai la loro oppressione politica (allo stesso modo che non basta spiegare il con- trasto dei loro interessi con quelli dei padroni). Bisogna fare dell’agita- zione a proposito di ogni manifestazione concreta di questa oppressione (come abbiamo fatto per le manifestazioni concrete dell’oppressione economica). E poiché questa oppressione si esercita sulle più diverse classi della società, poiché si manifesta nei più diversi campi della vita e dell’attività professionale, civile, privata, familiare, religiosa, scien- tifica, ecc., non è forse evidente che non adempiremmo il nostro com- pito di sviluppare la coscienza politica degli operai se non ci incari- cassimo di organizzare la denuncia politica dell’autocrazia sotto tutti i suoi aspetti? Ma per fare dell’agitazione sulle manifestazioni concrete dell’oppressione, non è forse necessario denunziare queste manifesta- zioni (allo stesso modo che per condurre l’agitazione economica bi- sogna denunziare gli abusi commessi nelle fabbriche)? Sembra che la cosa sia chiara; ma in realtà risulta che la necessità di sviluppare in tutti i sensi la coscienza politica é riconosciuta « da tutti * soltanto a parole. Così il Raboceie Dielo , per esempio, lungi dall’organizzare delle campagne di denunce politiche che riguardino tutti i campi della società (o di fare i primi passi in tal senso) si c messo a tirar indietro Visura che si era posta su questa via. Ascoltate: « La lotta politica della classe operaia è soltanto » (proprio no : non è soltanto) « la forma più sviluppata, ampia e attiva della lotta econo- mica » (programma del Raboceie Dielo , n. i, p. 3). «La socialdcmo- CHE FARE? 371 crazia ha ora il compito di dare per quanto possibile alla lotta econo- mica stessa un carattere politico » (Martynov, nel n. io, p. 42). E nella risoluzione e negli «emendamenti» del congresso dell’« Unione » : «La lotta economica è il mezzo più largamente applicabile per trasci- nare le masse alla lotta politica attiva » {Due congressi , pp. n e 17). Queste affermazioni, come il lettore vede, riempiono di sè il Raboceie Dielo — dalla nascita alle ultime « istruzioni della redazione » — ed esprimono tutte un unico punto di vista sull’agitazione e sulla lotta po- litica. Considerate poi queste idee ponendovi dal punto di vista, predo- minante fra gli economisti, che l’agitazione politica deve seguire l’agi- tazione economica. È vero o non è vero che la lotta economica è, in ge- nerale # , « il mezzo più largamente applicabile » per trascinare le masse nella lotta politica? È completamente falso. Tutte le manifestazioni deiroppressione poliziesca e dell’arbitrio assolutista, quali che siano (e non solo quelle legate alla lotta economica), sono mezzi non « meno largamente applicabili». Perchè gli zemsfye nacialniki e le punizioni corporali inflitte ai contadini, la corruzione dei funzionari ed il modo come la polizia tratta il «basso popolo» delle città, la lotta contro gli affamati e la repressione delle aspirazioni del popolo alla cultura e alla scienza, l’estorsione di tributi di ogni sorta, le persecuzioni contro le sette, la dura disciplina dei soldati, i metodi soldateschi con gli intellettuali liberali, perchè tutte queste e mille altre manifestazioni dell’oppressione, non direttamente legate alla lotta « economica », sa- rebbero in generale mezzi e motivi meno « largamente applicabili » per l’agitazione politica, per trascinare le masse nella lotta politica? Anzi: nella somma dei casi quotidiani in cui l’operaio deve soffrire (per sè e per i suoi congiunti) della sua mancanza di diritti, deirarbitrio e della violenza, i casi di oppressione poliziesca nella lotta sindacale non sono che una piccola minoranza. Perchè dunque ridurre preventivamente l’ampiezza dell’agitazione politica proclamando « più largamente ap- # Diciamo « in generale » perchè il Raboceie Dielo, nel caso specifico, tratta dei principi generali e dei compiti generali di tutto il partito. Vi sono certamente dei casi nei quali, praticamente, la politica deve seguire l’economia, ma soltanto degli « eco- nomisti » possono parlarne in una risoluzione destinata a tutta la Russia. Vi sono anche casi nei quali si può, fin dall’inizio, condurre un’agitazione politica « soltanto sul terreno economico», eppure il Raboceie Dielo è giunto infine a concludere che «questo non è affatto necessario» ( Due congressi, p. n). Dimostreremo nel capitolo seguente che la tattica dei « politici » e dei rivoluzionari, non soltanto non ignora i compiti tradunionisti della Socialdemocrazia, ma è, anzi, la sola capace di assicurare il me- todico adempimento di questi compiti. 24 * 372 LENIN plicabile» uno solo dei mezzi, accanto ai quali il socialdemocratico ne trova altri, non meno « largamente applicabili » ? In tempi molto molto remoti (un anno fa!...) il Raboceie Dielo scri- veva: «Le rivendicazioni politiche immediate diventano accessibili alle masse dopo uno, o in caso estremo, alcuni scioperi », « dopo che il governo ha messo in azione la polizia e i gendarmi » (n. 7, p. 15, agosto 1900). Questa teoria opportunistica degli stadi è oggi stata respinta dall’* Unione », che ci fa una concessione dichiarando: «Non v’è nessuna necessità di condurre fin dall’inizio un’agitazione politica soltanto sul terreno economico » ( Due congressi , p. n). Lo storico fu- turo della socialdemocrazia russa vedrà da questa sola rinuncia del- P« Unione » a una parte dei suoi vecchi errori meglio che da qualsiasi lunga argomentazione fino a quale svilimento del socialismo siano giunti i nostri economisti! Ma quale ingenuità dimostra l’« Unione » nel credere che, grazie a questa rinuncia a una forma di ristrettezza della politica, ci si possa indurre ad accettare un’altra forma di ri- strettezza! Non sarebbe stato più logico dire anche qui che si deve condurre la lotta economica nel modo più vasto possibile, che si deve sempre utilizzarla per l’agitazione politica, ma che « non ve nessuna necessità » di considerare la lotta economica come il mezzo più larga- mente applicabile per attirare le masse alla lotta politica attiva? L’« Unione » insiste sul fatto che essa ha sostituito con l’espressione « il mezzo più largamente applicabile > l’altra, « il miglior mezzo », contenuta nella corrispondente risoluzione del IV Congresso dell’c U- nione operaia ebraica » (Bund). In verità, saremmo imbarazzati a dire quale delle due risoluzioni sia migliore: secondo noi esse sono Vuna P c SS^° rc dell' altra, L’« Unione » e il Bund deviano entrambi (in parte forse anche non scientemente, sotto l’influenza della tradizione) verso l’interpretazione economista, tradunionista della politica. Che la loro deviazione si traduca nell’espressione « il migliore » o in quella « il più largamente applicabile », la cosa sostanzialmente non cambia. Se r« Unione» avesse detto che l’« agitazione politica sul terreno econo- mico * è il mezzo più largamente applicato (applicato, e non « applica- bile»), essa avrebbe avuto ragione per un certo periodo di sviluppo del nostro movimento socialdemocratico. Avrebbe avuto ragione per ciò che si riferisce agli economisti e a molti militanti (se non alla maggior parte di essi) degli anni 1898-1901, i quali, infatti, conducevano l’agita- zione politica (nella misura in cui, in generale, la conducevano) quasi CHE FARE? 373 esclusivamente sul terreno economico. Come abbiamo visto, la Rabo- ciaia Mysl e il « Gruppo di autoemancipazione » ammettono e racco- mandano anche un’agitazione politica di questo genere . Il Raboceie Dielo avrebbe dovuto condannare risolutamente il fatto che l’agita- zione economica, di per sè utile, era accompagnata da una nociva re- strizione della lotta politica; e proclama invece che il mezzo più ap- plicato {dagli economisti) è il più applicabile (!). Nulla di straordina- rio se, quando noi chiamiamo questa gente economisti, non resti loro null’altro da fare che accusarci in tutti i modi di essere dei « mistifica- tori », dei « disorganizzatori », dei « nunzi apostolici » e dei « calun- niatori » *, che piangere davanti a tutti perchè è stata fatta loro un’of- fesa mortale, che dichiarare quasi giurando: «neppure un’organiz- zazione socialdemocratica è ora colpevole di economismo » **. Ah! questi calunniatori, politici maligni! Non l’hanno forse fatto apposta ad inventare l’economismo per recare, dato il loro odio verso l’uma- nità, offese mortali alla gente? Qual è per Martynov il senso concreto, reale, del compito che egli assegna alla socialdemocrazia: «Dare alla stessa lotta economica un carattere politico »? La lotta economica è la lotta collettiva degli operai contro i loro padroni per aver migliori condizioni di vendita della forza-lavoro , per migliorare le condizioni di lavoro e di esistenza degli operai. Questa lotta è necessariamente una lotta di categoria, perchè le condizioni di lavoro sono estremamente diverse nei diversi mestieri e, inoltre, la lotta per il miglioramento di queste condizioni non può non essere condotta per categorie (dai sindacati in Occidente, dalle associazioni di mestiere temporanee e dai manifestini in Russia, ecc.). Dare alla « lotta economica stessa un carattere politico », significa dunque adoprarsi a soddisfare lt rivendicazioni economiche, a miglio- rare le condizioni di lavoro con delle « misure legislative ed ammini- strative » (come si esprime Martynov a p. 43 del suo articolo). È ciò che precisamente fanno ed hanno sempre fatto tutte le associazioni di mestiere. Leggete l’opera di due scienziati seri (e « seri » anche come opportunisti) come i coniugi Webb e vedrete che già da molto tempo le associazioni operaie inglesi hanno compreso e adempiono il compito di « dare alla lotta economica stessa un carattere politico », * Espressioni autentiche delTopuscolo Due congressi, pp. 31. 32, 28, 30. ** Due congressi, p. 32. 374 LEMIN già da molto tempo lottano per la libertà di sciopero, per la elimina- zione di ogni ostacolo giuridico al movimento cooperativo e tradunio- nistico, per la promulgazione di leggi sulla protezione della donna e de! fanciullo, per il miglioramento delle condizioni di lavoro mediante una legislazione sanitaria e di fabbrica, ecc. Così, dunque, la frase pomposa : « Dare alla stessa lotta economica un carattere politico » dissimula in realtà, sotto la sua apparenza «spaventosamente» profonda e rivoluzionaria, la tendenza tradizio- nale ad abbassare la politica socialdemocratica al livello della politica tradunionista! Col pretesto di correggere l’unilateralità AtìVls^ra, che mette — capite! — « il rivoluzionamento del dogma al di sopra del rivoluzionamento della vita », ci si presenta come un qualche cosa di nuovo la lotta per le riforme economiche *. In realtà, la frase: « Dare alla stessa lotta economica una carattere politico » non contiene nul- Taltro che la lotta per le riforme economiche. E Martynov stesso sarebbe potuto giungere a questa facile conclusione se avesse medi- tato sul significato delle proprie parole. < Il nostro partito — egli dice, puntando le sue batterie contro Visura — potrebbe e dovrebbe esi- gere dal governo misure legislative e amministrative concrete contro lo sfruttamento economico, la disoccupazione, la carestia, ecc.» ( Ra - boceie Dielo , n. io, pp. 42, 43). Rivendicare misure concrete non signi- fica forse rivendicare riforme sociali? E chiediamo ancora una volta ai lettori imparziali: calunniamo noi forse i partigiani del Raboceie Dielo chiamandoli bemsteiniani dissimulati, quando essi presentano come loro dissenso con Visura la tesi della necessità della lotta per le riforme economiche ? La socialdemocrazia rivoluzionaria ha sempre compreso e con- tinua a comprendere nella propria azione la lotta per le riforme, ma approfitta delFagitazione «economica» non soltanto per presentare al governo rivendicazioni di ogni genere, ma anche (e innanzi tutto) per rivendicare la soppressione del regime autocratico. Essa ritiene inoltre suo dovere presentare al governo quest’ultima rivendicazione non soltanto sul terreno della lotta economica, ma su quello di tutte le • Raboceie Dielo , n. io, p. 60. È la variante che ci offre Martynov dell’applt- cazione, nell’attuale situazione caotica del nostro movimento, della tesi « ogni passo in avanti del movimento effettivo vale più di una dozzina di programmi », appli- cazione che abbiamo già caratterizzato sopra. In fondo, non è che la traduzione russa della famosa frase di Bcrnstein: «Il movimento è tutto, il fine è nulla». CHE fare: 375 manifestazioni della vita politica e sociale. Insomma, essa subordina la lotta per le riforme alla lotta rivoluzionaria per la libertà e il so- cialismo, come la parte è subordinata al tutto. Martynov, invece, riesu- ma sotto altra forma la teoria degli stadi, sforzandosi di prescrivere alla lotta politica di seguire assolutamente, per così dire, la via economica. Presentando, nel momento della spinta rivoluzionaria, la lotta per le riforme come un « compito » a sè, egli spinge indietro il partito e fa il giuoco delFopportunismo « economista » e liberale. Proseguiamo. Dissimulando pudicamente la lotta per le riforme sotto la formula pomposa: « Dare alla lotta economica stessa un carat- tere politico », Martynov presenta come qualcosa di particolare le sole riforme economiche (ed anche le sole riforme di fabbrica). Perchè? Non lo sappiamo. Forse per inavvertenza. Ma se egli non si riferisce soltanto alle riforme « di fabbrica », tutta la sua tesi, che noi abbiamo citato più sopra, perde ogni senso. Forse perchè egli considera che il governo non può fare e non farà probabilmente delle « concessioni » se non nel campo economico*? Se sì, questo è uno strano errore: le autorità possono fare, e fanno in realtà, delle concessioni anche in ma- teria legislativa sulle pene corporali, i passaporti interni, le quote per il riscatto, le sette, la censura, ecc. Le concessioni (o pseudoconcessioni) « economiche » sono evidentemente le meno gravose e le più vantag- giose per il governo, poiché esso spera di guadagnarsi così la fiducia delle masse operaie. Ma precisamente per questo noi socialdemocratici non dobbiamo in nessun modo far nascere l’idea (o malinteso) che le riforme economiche ci stiano più a cuore delle altre, che le consideria- mo come le più importanti, ecc. « Simili rivendicazioni — dice Marty- nov parlando delle rivendicazioni legislative e amministrative concrete da lui formulate prima — non sarebbero vane parole perchè, promet- tendo certi risultati tangibili, potrebbero essere attivamente sostenute dalle masse operaie... ». Noi non siamo, oh! no, degli economisti. Stri- sciamo soltanto dinanzi alla « tangibilità » dei risultati concreti, nè più nè meno servilmente dei signori Bernstcin, Prokopovic, Struve, R. M, e tutti quanti ** Lasciamo soltanto comprendere — con Narciso Tu- porylov — che tutto ciò che non « promette dei risultati tangibili » non * « È chiaro — dice Martynov- — che noi raccomandiamo agli operai di presentare certe rivendicazioni economiche al governo, perchè nel campo economico il governo autocratico è pronto, per necessità, a certe concessioni * (p. 43). •• In italiano nel testo (N.d.R.). 376 LENIN è che « vana parola ». Ci esprimiamo soltanto come se le masse operaie fossero incapaci di sostenere attivamente ogni protesta contro Tautocra- zia, anche una protesta che non possa assolutamente promettere alcun risultato tangibile (e come se non avessero provato di esserne capaci a dispetto di coloro che rigettano sulle masse le colpe del proprio fili- steismo). Prendete anche solo gli esempi citati da Martynov sui « provvedi- menti » contro la disoccupazione e la carestia. Mentre il Raboceie Dielo si occupa, a giudicare dalla sua promessa, di elaborare e rielaborare «rivendicazioni concrete [in forma di progetti di legge?] di provve- dimenti legislativi e amministrativi », « che promettano risultati tangi- bili », Visura, « che pone immancabilmente il rivoluzionamento del dogma al di sopra del rivoluzionamento della vita », ha cercato di spiegare il legame indissolubile che esiste fra la disoccupazione e tutto il regime capitalistico, ha avvertito che « sta per venire la carestia », ha denunciato la « lotta » poliziesca « contro gli affamati » e le scan- dalose « norme carcerarie provvisorie », e la Zarià ha pubblicato, come opuscolo di agitazione, una parte della Rassegna interna dedicata alla carestia *. Ma, dio mio, come sono stati « unilaterali », nel farlo, questi ortodossi incorreggibilmente ristretti, questi dogmatici sordi a quel che la «vita stessa» impone! In nessuno dei loro articoli v’era — oh, orrore! — nessuna , pensate!, assolutamente nessuna, «rivendicazione concreta», «che prometta risultati tangibili»! Disgraziati dogmatici! Bisogna mandarli a imparare dai Kricevski e dai Martynov perchè si convincano che la tattica è un processo di sviluppo, di crescita, ecc., e che bisogna dare alla stessa lotta economica un carattere politico! «Oltre alla sua importanza rivoluzionaria immediata, la lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo [« la lotta economica contro il governo»!!] ha anche il merito di ricordare co- stantemente agli operai il loro asservimento politico » (Martynov, p. 44). Abbiamo citato questo passo, non per ripetere per la centesima o la millesima volta ciò che abbiamo già detto, ma per ringraziare in modo particolare Martynov per questa nuova ed eccellente formula: « La lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo ». Che perla! Con che inimitabile talento, con che magistrale elimina- zione di tutte le differenze parziali, di tutte le diversità di sfumatura * Cfr., nel presente volume, pp. 231*250 {N.d.R.). CHE FARE? 377 esistenti fra gli economisti, è qui espressa, in una breve e luminosa proposizione, tutta la sostanza dell economismo, incominciando dal- l’appello agli operai ad una < lotta politica condotta neU’interesse ge- nerale per migliorare le sorti di tutti gli operai » passando per la teoria degli stadi e terminando con la risoluzione del congresso sul « mezzo più largamente applicabile », ecc.! « La lotta economica con- tro il governo» è precisamente la politica tradunionista, la quale è ancora molto, ma molto lontana dalla politica socialdemocratica. b) Ove si racconta come Martynov ha approfondito Ple\hanov « Quanti Lomonosov socialdemocratici sono apparsi da noi in que- sti ultimi tempii », ha rilevato una volta un compagno, alludendo alla straordinaria inclinazione di molte persone, portate alleconomismo, di giungere assolutamente con il « proprio intelletto» fino alle grandi verità (come quella secondo cui la lotta economica pone gli operai davanti al problema delPassenza di diritti) e di ignorare nel contempo, con il superbo disprezzo di un genio nato, tutto ciò che ha già dato il precedente sviluppo del pensiero rivoluzionario e del movimento rivoluzionario. Proprio un simile genio nato è Lomonosov-Marty- nov. Date un’occhiata al suo articolo: Problemi urgenti , e vedrete come egli affronti, con il « proprio intelletto », ciò che è già stato detto da un pezzo da Axelrod (sul quale il nostro Lomonosov natu- ralmente mantiene l’assoluto silenzio), come egli cominci, ad esempio, a comprendere che non possiamo ignorare l’opposizione di questi o quegli strati della borghesia (Raboceie Dielo , n. 9, pp. 61, 62, 71; cfr. la Risposta data ad Axelrod dalla redazione del Raboceie Dielo , pp. 22, 23, 24), ecc. Ma — ahimè! — « affronta » soltanto e soltanto « co- mincia », e niente più, perchè il pensiero di Axelrod egli non lo ha ancora compreso, e non l’ha compreso a tal punto da parlare di « lotta economica contro i padroni e il governo». Durante tre anni (1898- 1901) il Raboceie Dielo ha concentrato le proprie forze per compren- dere Axelrod, e ciò nonostante non l’ha compreso! Forse anche ciò dipende dal fatto che la socialdemocrazia, « come l’umanità », si pone sempre soltanto compiti realizzabili? * Rabociaia Mysl , Supplemento speciale, p. 14. 37 « LENIN Ma i Lomonosov eccellono non soltanto nel non sapere moke cose (e questo sarebbe un mezzo male!) bensì anche nel non riconoscere la propria ignoranza. Questo è già un vero male, ed è questo male che spinge ad accingersi subito ad « approfondire » Plekhanov. « Da quando Plekhanov ■ ha scritto l’opuscolo in questione, / com- piti dei socialisti nella lotta contro la carestia in Russia , molta acqua è passata sotto i ponti — racconta Martynov — . I socialdemocratici, che per dieci anni hanno diretto la lotta economica della classe operaia... non sono ancora riusciti a dare un largo fondamento teorico alla tattica del partito. Questo problema è ora maturo, e, se volessimo fondare teorica- mente la nostra tattica, dovremmo approfondire considerevolmente i prin- cipi tattici, già sviluppati da Plekhanov... Dovremmo dare della propa- ganda e dell’agitazione una definizione diversa da quella data da Ple- khanov >. (Martynov ha citato poco prima le parole di Plekhanov: « Il pro- pagandista inculca molte idee a una sola persona o ad un piccolissimo nu- mero di persone; l’agitatore inculca una sola idea o un piccolo numero di idee a una massa di persone »). « Per propaganda intenderemmo la spie- gazione rivoluzionaria di tutto il regime attuale o di sue manifestazioni parziali, tanto se la forma di questa spiegazione è accessibile solo a qualche persona quanto se essa è accessibile alla grande massa. Per agitazione, nel senso stretto della parola [sic!], intenderemmo Pappello alle masse per de- terminate azioni concrete che renderebbero più facile l’intervento rivolu- zionario diretto del proletariato nella vita sociale >. Ci congratuliamo con la socialdemocrazia russa e internazionale che ha finalmente trovato, grazie a Martynov, una nuova terminologia più esatta e più profonda. Finora avevamo pensato (insieme con Ple- khanov e con tutti i capi del movimento operaio internazionale) che se il propagandista tratta, per esempio, della disoccupazione, deve spiegare la natura capitalistica delle crisi, dimostrare perchè esse sono inevitabili nella società moderna, provare la necessità della trasforma- zione di questa società nella società socialista, ecc. Egli deve dare, in una parola, « molte idee >, un così grande numero di idee che, nel loro insieme, potranno essere assimilate solo da un numero relativa- mente piccolo di persone. L’agitatore, all’opposto, trattando la stessa questione, prende Pesempio più noto, quello che più colpisce i suoi ascoltatori — per esempio una famiglia di disoccupati morta di fame, l’aumento della mendicità, ecc. — e, approfittando di questo fatto già CHE FARE? 379 noto, si sforza di dare alte « masse » una sola idea : quella dell’assurdo contrasto fra l’aumento delta ricchezza e l’aumento della miseria, si sforza di suscitare il malcontento, l’indignazione delle masse contro questa stridente ingiustizia e lascia al propagandista il compito di dare una completa spiegazione di questo contrasto. Ecco perchè il propa- gandista agisce soprattutto con gli scritti , e l’agitatore coi discorsi. Non si richiedono al propagandista le stesse qualità che si richiedono ad un agitatore. Kautsky e Lafargue, per esempio, sono dei propagandisti. Bebel e Guesde degli agitatori. Trovare un terzo campo o una terza funzione dell’attività pratica, che consisterebbe nell’« appello alle masse per determinate azioni concrete », è la più grande assurdità, perchè l’« appello », come atto isolato, o è il completamento naturale e inevita- bile del trattato teorico, dell’opuscolo di propaganda, del discorso di agitazione, oppure adempie una funzione puramente esecutiva. Pren- diamo come esempio l’attuale lotta dei socialdemocratici tedeschi con- tro il dazio sul grano. I teorici scrivono un saggio sulla politica doga- nale, « facendo appello », per esempio, alta lotta per dei trattati com- merciali e per la libertà di commercio; il propagandista fa la stessa cosa in una rivista; l’agitatore in discorsi pubblici. Le «azioni concrete» delle masse sono, in questo caso, la firma di una petizione indirizzata al Reichstag contro l’aumento del dazio sul grano. L’appello a questa azione emana indirettamente dai teorici, dai propagandisti e dagli agitatori, e direttamente da quegli operai che fanno circolare le liste di petizione nelle fabbriche e nelle case private. Secondo la « termi- nologia di Martynov », Kautsky e Bebel sarebbero entrambi dei pro- pagandisti; mentre coloro che fanno circolare le liste sarebbero gli agitatori. Non è così? Questo esempio mi ricorda la parola tedesca Verballhornung (let- teralmente: « ballhornizzazione »). Johann Ballhorn, editore di Li- psia nel XVI secolo, pubblicò un abbecedario e, secondo l’uso, lo ornò di un disegno raffigurante un gallo, ma un gallo senza sproni e con due uova vicine. Sulla copertina Ballhorn scrisse: « Edizione corretta da Johann Ballhorn ». Da allora in poi i tedeschi chiamano Ver- ballhornung una « correzione » che, di fatto, è un peggioramento. La storia di Ballhorn mi torna involontariamente in mente quando vedo come i Martynov « approfondiscono » Plekhanov... Perchè il nostro Lomonosov ha « inventato» questo pasticcio? Per 380 LENIN dimostrare che Visura « tiene conto di un solo lato della questione, pre- cisamente come Plekhanov quindici anni fa» (p. 39). « NeH’/^ra, almeno in questo momento, la propaganda respinge l’agitazione in secondo piano » (p. 52). Se si traduce quest’ultima frase dal linguaggio di Martynov in linguaggio comune (visto che l’umanità non ha ancora avuto il tempo di adottare la terminologia da poco scoperta) si ottiene l’affermazione seguente: nell 'ls\ra la propaganda e l’agitazione poli- tiche respingono in secondo piano il compito di « presentare al go- verno rivendicazioni concrete di riforme legislative ed amministra- tive», «che possano promettere certi risultati tangibili» (in altre pa- role, se è permesso, ancora una volta, impiegare la vecchia terminologia della vecchia umanità che non è ancora all’altezza di Martynov: ri- vendicazioni di riforme sociali). Confronti il lettore questa tesi con la tirata seguente: « In questi programmi » (nei programmi dei socialdemocratici rivo- luzionari) « ci colpisce soprattutto il fatto che essi pongono costantemente in primo piano i vantaggi dell’azione degli operai nel parlamento (che non esiste nel nostro paese) e trascurano completamente (in conseguenza del loro nichilismo rivoluzionario) l’importanza che avrebbe la partecipazione degli operai alle assemblee legislative degli industriali, esistenti nel nostro paese, le quali si occupano dei problemi di fabbrica... o anche semplice- mente la loro partecipazione alle amministrazioni comunali... ». L’autore di questa tirata esprime un po’ più direttamente, chiara- mente e francamente la stessa idea alla quale Lomonosov-Martynov è giunto con il proprio cervello. L’autore di questa tirata è R. M. (Sup- plemento alla Rabociaia Mysl t p. 15). c) Denunce politiche e « tirocinio all’attività rivoluzionaria » Erigendo contro Visura la « teoria » dell’« elevazione dell’attività delle masse operaie », Martynov ha in realtà manifestato la tendenza a ridurre quest’attività, poiché ha dichiarato che il mezzo migliore, il mezzo principale, il mezzo « più largamente applicabile » per susci- tare questa attività, il vero campo di questa attività, è quella stessa lotta economica dinanzi alla quale tutti gli economisti si prosternano. Questo errore è caratteristico perchè non è proprio del solo Martynov. Infatti, 1 *« elevazione deirattività delle masse operaie» è possibile soltanto se non ci limitiamo alP« agitazione politica sul terreno eco- CHE FARE? 3* 1 nomico ». E una delle condizioni essenziali per il necessario amplia- mento dell’agitazione politica è l’organizzazione di denunce politiche in tutti i campi della vita . Solamente con queste denunce si potrà edu- care la coscienza politica e suscitare l’attività rivoluzionaria delle masse. Perciò una simile attività costituisce uno dei compiti più importanti di tutta la socialdemocrazia internazionale, perchè anche la libertà poli- tica, se ne modifica leggermente l’orientamento, non ne sopprime af- fatto la necessità. Così il partito tedesco rafforza particolarmente le proprie posizioni ed estende la propria influenza grazie appunto alla instancabile energia della sua campagna di denunce politiche. La co- scienza della classe operaia non può diventare vera coscienza politica se gli operai non si abituano a reagire contro ogni abuso, contro ogni manifestazione dell’arbitrio e deiroppressione, della violenza e della soperchieria, qualunque sia la classe che ne è colpita, e a reagire da un punto di vista socialdemocratico e non da un punto di vista qual- siasi. La coscienza delle masse operaie non può essere una vera co- scienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna delle altre classi sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale mo- rale e politica; se non imparano ad applicare in pratica l’analisi e il cri- terio materialistico a tutte le forme d’attività e di vita di tutte le classi, strati e gruppi della popolazione. Chi induce la classe operaia a rivol- gere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialde- mocratico, perchè per la classe operaia la conoscenza di se stessa è indis- solubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teo- rica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l’esperienza della vita politica. Ecco perchè la predicazione dei nostri economisti, i quali sostengono che la lotta economica è il mezzo più largamente ap- plicabile per trascinare le masse nel movimento politico, è così profon- damente reazionaria nei risultati pratici. Per diventare socialdemocra- tico, l’operaio deve avere una chiara visione della natura economica, della fisionomia politica e sociale del grande proprietario fondiario e del prete, dell’alto funzionario e del contadino, dello studente e del va- gabondo, conoscerne i lati forti e quelli deboli, saper discernere il signi- ficato delle formule e dei sofismi di ogni genere con i quali ogni classe e ogni strato sociale maschera i propri appetiti egoistici e la propria 382 LENIN vera « sostanza », saper distinguere quali interessi le leggi e le istitu- zioni rappresentano, e come li rappresentano. Ma non si potrà trovare in nessun libro questa «chiara visione»: la potranno dare solo gli esempi tratti dalla vita, le denunce che battano il ferro mentre è caldo e che trattino di ciò che avviene intorno a noi in un dato momento, di ciò che si dice e si sussurra nei crocchi, di ciò che dimostrano questo o quel fatto, certe cifre e certe sentenze dei tribunali, ecc. Queste de- nunce politiche relative a tutte le questioni della vita sociale sono la condizione necessaria e fondamentale per educare le masse all’attività rivoluzionaria. Perchè mai l’operaio russo esplica ancora un’attività rivoluzionaria cosi ridotta di fronte alle violenze bestiali della polizia contro il po- polo, alle persecuzioni contro le sette religiose, alle bastonature dei contadini, agli abusi della censura, ai maltrattamenti dei soldati, alla repressione delle più innocue iniziative culturali, ecc.? Forse perchè la « lotta economica » non ve lo « obbliga », perchè tutto ciò « pro- mette » scarsi « risultati tangibili », non dà, su per giù, nulla di « po- sitivo»? No, giungere a questa conclusione significa, lo ripetiamo, nient’altro che tentar di rigettare la propria colpa sulle spalle altrui, di rigettare il proprio filisteismo (o bernsteinismo) sulle masse operaie. Se non abbiamo saputo organizzare vaste, clamorose, rapide denunce di tante infamie, la colpa è nostra, è del nostro ritardo sul movimento delle masse. Se lo faremo (e dobbiamo e possiamo farlo), l’operaio, anche il più arretrato, comprenderà o sentirà che lo studente e chi ap- partiene ad-una setta religiosa, il contadino e lo scrittore sono oppressi e perseguitati dalla stessa forza tenebrosa che lo avvolge, l’opprime in ogni momento della vita, e sentendo questo, vorrà, vorrà irresistibil- mente, intervenire egli stesso, e saprà oggi deridere i censori, do- mani partecipare a una manifestazione davanti al palazzo di un go- vernatore che ha represso una sommossa contadina, dopodomani dare una lezione ai gendarmi in sottana addetti al lavoro della Santa Inqui- sizione, ecc. Fino ad oggi abbiamo fatto molto poco, non abbiamo fatto quasi nulla per lanciare fra le masse operaie denunce attuali e su tutte le questioni. Molti di noi non comprendono neppure ancora che questo è il loro dovere e si trascinano inconsciamente dietro alla « grigia lotta quotidiana » racchiusa entro i ristretti limiti della fab- brica. In queste condizioni, dire che « Visura tende a sottovalutare Firn- CHE FARE? 383 portanza dello sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana in confronto alla propaganda di idee brillanti e definite» (Martynov, p. 61), significa tirare indietro il partito, significa difendere e glorifi- care la nostra impreparazione, il nostro ritardo. Quanto airappello alle masse per Fazione, esso verrà da sè, quando condurremo un’energica agitazione politica e faremo denunce vive e impressionanti. Cogliere qualcuno in flagrante delitto e bollarlo im- mediatamente dinanzi a tutti e dappertutto è cosa più efficace di qualsiasi « appello », e provoca talvolta risultati tali che in seguito di- venta impossibile stabilire chi ha propriamente « lanciato l’appello » alla folla e chi precisamente ha lanciato questa o quella proposta di manifestazione, ecc. L’appello — non in generale, ma in concreto — può essere lanciato solo sul luogo stesso dell’azione; solo chi dà l’esem- pio immediatamente può incitare gli uomini ad agire. Il nostro dovere di pubblicisti socialdemocratici consiste nell’approfondire, nell’esten- dere e nel rafforzare le denunce politiche e l’agitazione politica. A proposito, il solo giornale che prima degli avvenimenti della pri- mavera ha chiamato gli operai a un intervento attivo in una questione che non poteva assolutamente far sperare loro nessun risultato tangì- bile, , in una questione, cioè, come quella dell’arruolamento forzato di studenti, è stato Visura, Immediatamente dopo il decreto dell’u gennaio sull’* arruolamento forzato di 183 studenti», Visura pubbli- cava un articolo sull’argomento prima che avvenisse qualsiasi mani- festazione (n. 2, febbraio*) e chiamava apertamente « l’operaio ad accorrere in aiuto dello studente », chiamava il « popolo » a rispondere apertamente all’impudente sfida del governo. Domandiamo a tutti : comé si spiega il fatto notevole che Martynov, il quale parla tanto di « appelli » e giunge fino a considerarli come una particolare forma di azione, non ha detto una parola di ^ar/Zappello ? E dopo tutto ciò non è forse filisteismo l’accusa di unilateralità mossa da Martynov all 'Ispira perche essa non fa abbastanza « appello » alla lotta per le rivendi- cazioni «che promettono risultati tangibili»? I nostri economisti, compreso il Raboceie Dielo , hanno avuto dei successi perchè si piegavano alla mentalità degli operai arretrati. Ma l’operaio socialdemocratico, l’operaio rivoluzionario (e il numero * Cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 451-456 (N.d.R.). 3 8 4 LENIN di questi operai aumenta continuamente) respingerà con indignazione tutti questi ragionamenti sulla lotta per le rivendicazioni « che pos- sono promettere risultati tangibili», ecc., perchè comprenderà che si tratta solo di variazioni sulla vecchia aria del copeco su un rublo. Esso dirà ai « consiglieri » della Rabociaia Mysl e del Raboceie Dielo : « Avete torto, signori, di preoccuparvi tanto e di immischiarvi con troppo zelo in cose che risolveremo noi stessi e di sottrarvi invece airadempimento dei vostri veri compiti. Non è dar prova di molta intelligenza dire, come voi dite, che i socialdemocratici devono im- primere un carattere politico alla stessa lotta economica: questo è solo Tinizio e non è questo il compito essenziale dei socialdemocratici, per- chè in tutto il mondo, e anche in Russia, è spesso la polizia stessa che comincia ad imprimere un carattere politico alla lotta economica; gli operai cominciano a comprendere da che parte è il governo*. Infatti questa ” lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo”, che voi esaltate come la scoperta di una nuova America, è condotta anche nei luoghi più sperduti della Russia dagli operai stessi che hanno sentito parlare degli scioperi, ma che quasi nulla hanno sentito dire del socialismo. La nostra ” attività ”, l’attività di noi operai che voi volete aiutare lanciando rivendicazioni concrete tali da offrire risultati tangibili, esiste già nel nostro paese; nella nostra piccola azione tradunionista quotidiana noi stessi presentiamo siffatte riven- dicazioni concrete, senza bisogno, nella maggior parte dei casi, del- laiuto degli intellettuali. Ma questa attività non ci basta; non siamo dei bambini che possono essere nutriti solo con la pappa della politica * La richiesta di * imprimere alla lotta economica stessa un carattere politico » esprime, nel modo più evidente la sottomissione alla spontaneità nel campo dell’azione politica. Spesso la lotta economica assume spontaneamente un carattere politico, cioè senza l'intervento di quel « bacillo rivoluzionario che è rappresentato dagli intellet- tuali », senza l’intervento dei socialdemocratici coscienti. Cosi la lotta economica degli operai inglesi assunse un carattere politico senza nessuna partecipazione dei socialisti. Il compito dei socialdemocratici non si limita all’agitazione politica sul terreno eco- nomico, esso consiste nel trasformare la politica tradunionista in lotta politica social- democratica, nell’ approfittare delle faville di coscienza politica che la lotta economica ha acceso negli operai per elevare gli operai sino alla coscienza politica socialdemo- cratica . Ebbene, invece di elevare e spingere in avanti la coscienza politica che si ri- sveglia spontaneamente, i Martynov si prostei-nano davanti alla spontaneità e ripetono, ripetono fino alla nausea, che la lotta economica « spinge » gli operai a porsi il pro- blema dell’oppressione politica. È deplorevole che questo risveglio spontaneo della co- scienza politica tradunionista non « spinga » voi, signori, a porvi il problema dei vostri compiti socialdemocratici. CHE FARE ? 385 puramente ” economica vogliamo sapere tutto quanto sanno gli altri, vogliamo conoscere particolareggiatamente tutti gli aspetti della vita politica e partecipare attivamente ad ogni avvenimento politico. Bi- sogna quindi che gli intellettuali ci ripetano un po’ meno ciò che sap- piamo già * e ci diano un po’ più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la nostra vita di fabbrica e la nostra esperienza ” economica ” non ci permettono mai di imparare: le cognizioni politiche. Queste cogni- zioni, voi intellettuali, potete acquistarle e dovete trasmetterle cento e mille volte più generosamente di quanto abbiate fatto finora. Dovete trasmettercele non solo con ragionamenti, opuscoli, articoli (che sono spesso — perdonate la nostra franchezza — alquanto noiosi), ma anche con denunce vivaci di ciò che fanno, proprio in questo momento, il nostro governo e le nostre classi dominanti in tutti i campi della vita. Assolvete con un pò* più di entusiasmo questo compito che è il vo- stro, e parlate un po’ meno di "elevare l’ attività delle masse operaie Attività ne diamo molto più di quanto non pensiate e sappiamo di- fendere con la lotta aperta nelle piazze anche le rivendicazioni che non offrono alcun ” risultato tangibile E non sta a voi ” elevare ” la nostra attività, perchè voi stessi non siete abbastanza attivi . Non pro- sternatevi tanto dinanzi alla spontaneità e pensate un po’ di più, o signori, ad elevare la vostra attività*! • Per confermare che tutto questo discorso degli operai agli economisti non è inventato da noi, citeremo due testimoni che conoscono bene il movimento operaio e che non sono affatto sospetti di parzialità verso di noi «dogmatici», perchè uno di essi è un economista (e pensa perstno che il Raboceìe Dielo sia una rivista politica!), e l’altro è un terrorista. Il primo è Fautore di un articolo, notevole per la vivacità e ve- ridicità del contenuto, intitolato: // movimento operaio pietroburghese e i compiti pratici della socialdemocrazia ( Raboceìe Dielo , n. 6). Egli divide gli operai in: i) rivolu- zionari coscienti; 2) strato intermedio e 3) masse restanti. Lo stato intermedio sovente « si interessa più delle questipni politiche che dei suoi interessi economici di- retti, il cui legame con le condizioni sociali generali è compreso ormai da molto tempo ». La Rabociaia Mysl è violentemente criticata: «È sempre la stessa storia, ormai sappiamo tutto ciò da molto tempo, l’abbiamo già Ietto », « nella rassegna politica non c’è assolutamente niente» (pp. 30-31). Ma anche il terzo strato, le masse operaie «più sensibili, più giovani, meno corrotte dall’osteria e dalla chiesa e che non hanno quasi mai la possibilità di procurarsi un libro di contenuto politico, parlano a van- vera degli avvenimenti politici, riflettono sulle notizie frammentarie che giungono toro sulla rivolta degli studenti », ecc. Il terrorista scrive: « ... si legge una volta o due qualche fatterello della vita d’officina avvenuto in città sconosciute, poi si smette... ciò annoia... Non parlare dello Stato in un giornale operaio... significa trat- tare l’operaio come un bambino... l'operaio non è un bambino » ( Svoboda , organo del- romonimo gruppo socialista rivoluzionario, pp. 69-70). 75 - 754 3 86 LENIN d) Che cosa hanno in comune l economismo e il terrorismo? Più sopra in una nota abbiamo messo a confronto un economista con un terrorista non socialdemocratico che per caso si sono trovati d’accordo. Ma, in generale, tra gli economisti e i terroristi esiste un legame non accidentale, ma necessario, intrinseco, del quale dovremo ancora occuparci parlando dell’educazione dell’attività rivoluzionaria. Gli economisti e i terroristi della nostra epoca hanno una radice co- mune: la sottomissione alla spontaneità di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente come di un fenomeno generale e di cui esamine- remo ora l’influenza sull’azione e sulla lotta politica. A prima vista, la nostra affermazione può sembrare paradossale, tanto grande sembra la differenza tra coloro che antepongono a tutto la « grigia lotta quo- tidiana » e coloro che propugnano la lotta che esige la massima abne- gazione: la lotta di individui isolati. Ma non si tratta per niente di un paradosso. Economisti e terroristi si prosternano davanti ai due poli opposti della tendenza della spontaneità: gli economisti dinanzi alla spontaneità del « movimento operaio puro », i terroristi dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità. È infatti diffìcile, per chi non ha più fiducia in tale possibilità o non vi ha mai creduto, trovare al proprio sdegno e alla propria energia rivoluzionaria uno sbocco diverso dal terrorismo. Perciò la sottomissione alla spontaneità nelle due direzioni indicate non è che V inizio dell attuazione del famoso programma del « Credo » : gli operai conducono la «lotta economica contro i padroni e contro il governo » (l’autore del « Credo » ci perdoni se esprimiamo il suo pen- siero nel linguaggio di Martynov: riteniamo di averne il diritto, perchè anche nel « Credo » si dice che la lotta* economica « spinge gli operai a occuparsi del regime politico»), e gli intellettuali sviluppano la lotta politica con le loro proprie forze ricorrendo, naturalmente, al terrori- smo. È questa una deduzione assolutamente logica e inevitabile, sulla quale non si insisterà mai troppo, anche se la sua inevitabilità non è compresa da coloro stessi che cominciano a mettere in pratica tale pro- gramma. L’attività politica ha una propria logica, indipendente dalla coscienza di coloro che, con le migliori intenzioni del mondo, fanno appello al terrorismo oppure domandano che si dia alla stessa lotta eco- CHE FARE? il? nomica un carattere politico. L’inferno è lastricato di buone intenzioni, e in questo caso le buone intenzioni non salvano ancora dal lasciarsi at- trarre dalla « linea del minimo sforzo », dalla linea del programma pu- ramente borghese del « Credo ». Infatti, non è casuale neppure la cir- costanza che molti liberali russi — liberali schietti e liberali mascherati da marxisti — simpatizzano con tutta Tanima col terrorismo e si sfor- zano oggi di appoggiare lo sviluppo delle tendenze terroristiche. La creazione del « Gruppo rivoluzionario socialista Svoboda », che si prefigge di aiutare con tutti i mezzi il movimento operaio, ma che nel proprio programma ha incluso il terrorismo e la propria emancipa- zione, per così dire, dalla socialdemocrazia, ha confermato una volta di più la notevole perspicacia di P. Axelrod il quale già alla fine del 1897 aveva predetto letteralmente che le oscillazioni socialdemocratiche avrebbero portato a questi risultati e aveva tracciato le sue celebri « due prospettive » ( Problemi riguardanti i compiti attuali e la tattica). Tutte le discussioni e le divergenze che seguono tra i socialdemocratici russi sono contenute, come la pianta nel seme, in quelle due prospettive *. Dal punto di vista che abbiamo indicato, è chiaro che il Raboceie Dielo , non avendo resistito alla spontaneità deireconomismo, non ha potuto resistere nemmeno alla spontaneità del terrorismo. In difesa del terrorismo, il gruppo Svoboda adduce argomenti particolari che c molto interessante notare. Esso « nega completamente » la funzione intimidatrice del terrorismo (La rinascita del rivoluzionarismo , p. 64), ma ne sottolinea la « funzione di incitamento [di stimolo] »! Ciò è ca- ratteristico, anzitutto, come uno degli stadi della decadenza e della disgregazione di quel ciclo di idee tradizionali (presocialdemocratiche) che aveva permesso al terrorismo di affermarsi. Riconoscere che oggi è impossibile « intimidire » — e, quindi, disorganizzare — il governo * Martynov « si pone un altro dilemma, più reale f ?] » ( Socialdemocrazia e classe operaia , p. 19): € O la socialdemocrazìa si assume la direzione immediata della lotta economica del proletariato e la trasforma così [!] in lotta di classe rivoluzionaria...». « Cos) », cioè evidentemente mediante la direzione immediata delta lotta economica. Può dirci di grazia Martynov dove si è mai visto che si sia riusciti a trasformare la lotta tradunionista in lotta rivoluzionaria di classe unicamente mediante la direzione della lotta di categoria? Riuscirà egli mai a comprendere che per rendere possibile tale « trasformazione » dobbiamo prendere la « direzione immediata » della multila- terale agitazione politica 3 .., «Oppure, altra prospettiva: la socialdemocrazia rinuncia a dirigere la lotta economica degli operai e per conseguenza si tarpa le ali... ». Secondo il Raboceie Dielo c Visura che « rinuncia » a tale direzione. Ma, come abbiamo visto, Visura fa molto più del Raboceie Dielo per dirigere la lotta economica, e inoltre non si limita ad essa c non restringe per essa i suoi compiti politici. 25 * 388 LENIN col terrorismo, significa in sostanza condannarlo completamente come metodo di lotta, come sfera di atticità sanzionata da un programma. Ma la cosa è ancora più caratteristica come esempio di incomprensione dei nostri compiti immediati per « educare le masse all’attività rivolli* zionaria ». Il gruppo Svoboda propugna il terrorismo come mezzo per «stimolare» il movimento operaio, per dargli «un impulso vi- goroso». Sarebbe difficile immaginare un argomento che si confuti da se stesso con maggiore evidenza! In Russia ci sono forse così pochi scandali da dover inventare «stimolanti» speciali? D’altra parte, non è evidente che coloro i quali non si sentono stimolati e non sono pas- sibili di essere stimolati nemmeno dal regime di arbitrio che domina in Russia rimarranno egualmente « con le mani in tasca » di fronte al duello di un pugno di terroristi con il governo? Le infamie della vita russa stimolano fortemente le masse operaie, ma noi non sap- piamo, per così dire, nè raccogliere, nè concentrare tutte le gocce e i getti dell effervescenza popolare, che, infinitamente più numerosi di quanto crediamo, si sprigionano dalla vita russa, e che bisogna ap- punto fondere in un solo gigantesco torrente. Che ciò sia possibile è provato in modo certo dal grande sviluppo del movimento operaio e dall’ardente interesse degli operai — già segnalato precedentemente — per le pubblicazioni politiche. Fare appello al terrorismo, o fare appello a che sia dato alla stessa lotta economica un carattere politico, sono due modi diversi di sottrarsi al dovere più imperioso dei rivoluzionari russi : l’organizzazione di una multiforme agitazione politica. Il gruppo Svo- boda vuole sostituire all’agitazione il terrorismo, riconoscendo aper- tamente che « dal momento in cui comincerà tra le masse un’agita- zione energica e vigorosa, la funzione stimolatrice del terrorismo sarà finita » (p. 68 della Rinascita del rivoluzionarismó). Questa confes- sione mostra appunto che terroristi ed economisti sottovalutano l’atti- vità rivoluzionaria delle masse, che pure è chiaramente dimostrata da- gli avvenimenti della primavera *. Gli uni cercano degli « stimolanti » artificiali, gli altri parlano di « rivendicazioni concrete ». Gli uni e gli altri non rivolgono sufficiente attenzione allo sviluppo della loro attività per l’agitazione politica e per l’organizzazione di campagne di denunce politiche. Eppure non ce niente che possa sostituirle nè oggi, nè in qualsiasi altro momento. * Sì tratta della primavera del 1901, quando incominciarono le grandi manifesta- zioni di strada [Nota dell’autore alledizìone del 1907 (N.d.R.)]. CHE FARE? 389 e) La classe operaia, combattente d'avanguardia per la democrazia Abbiamo visto che un’agitazione politica più vasta, e quindi anche l’organizzazione di denunce politiche di ogni genere, è un compito as- solutamente necessario, il compito più imperiosamente necessario di attività, se questa attività deve veramente essere socialdemocratica. Ma a questa conclusione siamo arrivati partendo solamente dal bisogno più immediato che la classe operaia ha di acquisire cognizioni politiche e un’educazione politica. Però, questo modo di porre la questione, se fosse l’unico, sarebbe troppo angusto, perchè ignorerebbe i compiti de- mocratici generali di ogni socialdemocrazia, e in particolare della so- cialdemocrazia russa contemporanea. Per chiarire questa tesi nei modo più concreto possibile, discutiamo il problema dal punto di vista più « familiare » agli economisti, da un punto di vista pratico. «Tutti rico- noscono » che è necessario sviluppare la coscienza politica della classe operaia. Ma come ? E che occorre per farlo? La lotta economica « spin- ge » gli operai a porsi soltanto i problemi che concernono i rapporti tra governo e classe operaia. Perciò, per quanti sforzi facciamo per « dare alla stessa lotta economica un carattere politico », non potremo mai , mantenendoci in questi limiti, sviluppare la coscienza politica degli operai (fino al livello della coscienza politica socialdemocratica) perchè i limiti stessi sono troppo ristretti . La formula di Martynov è preziosa per noi, non perchè dimostra l’attitudine di Martynov a creare con- fusione, ma perchè mette in rilievo Terrore capitale di tutti gli eco- nomisti: la convinzione che si può sviluppare la coscienza politica di classe degli operai, per cosi dire, dall'interno , con la lotta economica, partendo cioè solo (o almeno principalmente) da tale lotta, basandosi solamente (0 almeno principalmente) su tale lotta. Questo punto di vista è radicalmente sbagliato, e lo è appunto perchè gli economisti, furiosi per la nostra polemica contro di loro, non vogliono riflettere sulla causa fondamentale delle nostre divergenze, e accade così che letteralmente non ci comprendiamo a vicenda, ci mettiamo a parlare due linguaggi diversi. La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall'esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dalTesterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal quale è pos- sibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le 39 ° LENIN classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi. Perciò alla domanda: che cosa fare per dare agli operai cognizioni politiche ? non ci si può limitare a dare una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi accontenta i militanti, soprattutto quando essi pencolano verso l’economismo, e cioè: «andare tra gli operai». Per dare agli operai cognizioni politiche, i socialdemocratici devono an- dare fra tutte le classi della popolazione , devono inviare in tutte le di- rezioni i distaccamenti del loro esercito. Adoperiamo intenzionalmente questa formula rozza, recisa, sem- plificata, non per il piacere di fare dei paradossi, ma per ben « spin- gere» gli economisti a considerare i compiti che essi disdegnano così imperdonabilmente, a considerare la differenza che passa tra politica tradunionista e politica socialdemocratica, differenza che essi non vogliono comprendere. Preghiamo perciò il lettore di essere paziente e di volerci seguire attentamente fino alla fine. Prendete il tipo di circolo socialdemocratico che da qualche anno è il più diffuso e vedetelo all’opera. Esso ha dei « legami con gli operai » e si limita a questo, pubblicando dei fogli nei quali flagella gli abusi che si commettono nelle fabbriche, la parzialità del governo in favore dei capitalisti e le violenze poliziesche. Nelle riunioni con gli operai, la discussione di solito non si allontana o quasi non si allontana da questi argomenti; le conferenze e le conversazioni sulla storia del mo- vimento rivoluzionario, sulla politica interna ed estera del nostro go- verno, suirevoluzione economica della Russia e dell’Europa, sulla situazione dell’una o dell’altra classe nella società contemporanea, ecc. sono rarissime e nessuno pensa a stabilire e sviluppare sistematicamente dei legami con altre classi sociali. Insomma, il militante ideale, per i membri di un circolo simile, somiglia nella maggior parte dei casi molto più a un segretario di una qualunque trade-union che a un capo politico socialista. Infatti il segretario di una qualunque trade-union inglese, per esempio, aiuta costantemente gli operai a sviluppare la lotta economica, organizza delle denunce sulla vita di fabbrica, spiega l’ingiustizia delle leggi e dei regolamenti che intralciano la libertà di sciopero, la libertà delle squadre di sorveglianza (per avvertire tutti che vi è lo sciopero in quella officina), mette in rilievo la parzialità delle commissioni arbitrali composte di rappresentanti dalla borghesia, ecc. CHE FARE? 391 ecc. In una parola, qualunque segretario di trade-union sviluppa e con- tribuisce a sviluppare la « lotta economica contro i padroni e contro il governo ». E non si ripeterà mai troppo che ciò non è ancora socialde- mocrazia, che l’ideale del socialdemocratico non deve essere il segreta- rio di una trade-union, ma il tribuno popolare , il quale sa reagire contro ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa si ma- nifesti e qualunque sia la classe 0 la categoria sociale che ne soffre, sa generalizzare tutti questi fatti e trarne il quadro completo della vio- lenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico; sa, infine, approfit- tare di ogni minima occasione per esporre dinanzi a tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendicazioni democratiche, per spiegare a tutti Pimportanza storica mondiale della lotta emancipatrice del proletariato. Confrontate, per esempio, dei militanti come Robert Knight (notissimo segretario e capo delPUnione dei calderai, una delle più forti trade-unions inglesi) e Wilhelm Liebknecht, e provatevi ad applicar loro i contrasti a cui Martynov riduce le sue divergenze con Visura. Costaterete — comincio a spulciare Particolo di Martynov — che R. Knight ha « chiamato » molto di più « le masse ad azioni concrete de- terminate » (p. 39), mentre Wilhelm Liebknecht si è soprattutto oc- cupato di « spiegare da un punto di vista rivoluzionario tutto il regime attuale o le sue manifestazioni particolari » (pp. 38-39); che Knight « ha formulato le rivendicazioni urgenti del proletariato e indicato i mezzi per soddisfarle» (p. 41), mentre Liebknecht, pur facendo que- sto, non si è rifiutato di « dirigere nello stesso tempo l’attività dei vari strati delPopposizione », « di dettar loro un positivo programma di azione»* (p. 41); che Knight si è sforzato di «dare per quanto pos- sibile alla lotta economica stessa un carattere politico » (p. 42) e ha saputo molto bene «porre al governo rivendicazioni concrete, che offrivano determinati risultati tangibili » (p. 43), mentre Liebknecht si è molto più occupato di «denunce» «unilaterali» (p. 40); che Knight ha dato maggiore importanza « allo sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana » (p. 61) e Liebknecht ha fatto del giornale che egli dirigeva « Porgano delPopposizione rivoluzionaria, bollando tutto il regime e in particolare il regime politico nella misura in cui è in contrasto cogli interessi degli strati più diversi della popolazione » • Per esempio, durante la guerra franco-prussiana Liebknecht dettò un programma di azione per tutta la democrazia , come avevano fatto, in misura ancora piu larga, Marx ed Engels nel 1848. 392 LENIN (p. 63), mentre Knight « ha lavorato per la causa operaia in stretto legame organico con la lotta proletaria » (p. 63) — se s’intende per « stretto legame organico » la sottomissione alla spontaneità che ab- biamo precedentemente esaminato a proposito di Kricevski e di Mar- tynov — e ha « ristretto la sfera della sua azione », persuaso certa- mente, come Martynov, che « appunto in tal modo egli l’approfondiva » (p. 63). In una parola, voi costatate che, di fatto, Martynov abbassa la socialdemocrazia a livello del tradunionismo, non certamente per- chè non desideri il bene della socialdemocrazia, ma semplicemente perchè si è affrettato un po’ troppo ad approfondire Plekhanov invece di prendersi la briga di capirlo. Ma ritorniamo al nostro assunto. Se il socialdemocratico non è solo a parole per lo sviluppo integrale della coscienza politica del pro- letariato, egli deve, abbiamo detto, « andare fra tutte le classi della popolazione». Sorgono le domande: ma come? abbiamo forze suffi- cienti per farlo? esiste un terreno per questo lavoro? non significherà questo 0 non si giungerà con questo a un abbandono del punto di vista di classe? Fermiamoci su queste questioni. Dobbiamo « andare fra tutte le classi della popolazione » come teo- rici, come propagandisti, come agitatori e come organizzatori. Non vi è dubbio che il lavoro teorico dei socialdemocratici deve essere rivolto allo studio di tutte le particolarità della situazione sociale e politica delle varie classi. Ma si fa molto poco da questo punto di vista, in relazione a quanto si fa per lo studio delle particolarità della vita di fabbrica. Nei comitati e nei circoli incontrerete persone che si specializzano persino nello studio di una branca qualsiasi della me- tallurgia, ma non troverete quasi mai esempi di iscritti alle nostre or- ganizzazioni (obbligati, come capita spesso, per una ragione o per l’altra, ad abbandonare l’attività pratica) i quali si occupino in modo particolare di raccogliere materiali su una questione sociale e politica di attualità che possa dare alla socialdemocrazia l’occasione di la- vorare fra altri strati della popolazione. Quando si parla della scarsa preparazione della maggioranza degli attuali dirigenti del movimento operaio, non bisogna dimenticare questo aspetto della loro prepara- zione, poiché anch’esso è collegato al modo « economista > di in- tendere lo « stretto legame organico con la lotta proletaria ». Ma la questione principale è senza dubbio la propaganda e Yagitazione in CHE FARE? 393 tutti gli strati del popolo. Per i socialdemocratici dell’Europa occi- dentale, questo compito è facilitato dalle riunioni e dalle assemblee popolari, alle quali partecipano tutti coloro che lo desiderano, e dall’esi- stenza del parlamento, nel quale il deputato socialdemocratico parla dinanzi ai rappresentanti di tutte le classi. In Russia non abbiamo nè parlamento, nè libertà di riunione, ma ciò nonostante sappiamo or- ganizzare riunioni con gli operai che vogliono ascoltare un socialde- mocratico. Dobbiamo saper organizzare delle riunioni anche con quei rappresentanti di qualsiasi classe della popolazione che vogliono ascol- tare un democratico. Perchè non è socialdemocratico colui il quale di fatto dimentica che «i comunisti appoggiano ogni moto rivoluziona- rio » e che, per conseguenza, noi dobbiamo esporre e sottolineare i no- stri compiti democratici generali dinanzi a tutto il popolo , senza na- scondere neppure per un momento le nostre convinzioni socialiste. Non è socialdemocratico chi dimentica, in pratica, il proprio dovere di essere alla testa di tutti quando si deve porre, approfondire e risol- vere qualsiasi questione democratica generale. « Ma su questo punto siamo assolutamente d’accordo! », inter- rompe il lettore impaziente, e le nuove istruzioni per la redazione del Raboceie Dielo , approvate nell’ultimo congresso dell’« Unione », dicono recisamente: «Si devono sfruttare ai fini della propaganda e dell’agitazione politica tutti i fatti e tutti gli avvenimenti della vita sociale e politica che interessano il proletariato, sia direttamente come classe a sè, sia come avanguardia di tutte le forze rivoluzionarie nella lotta per la libertà » {Due congressi , p. 17; il corsivo è nostro). Queste parole sono effettivamente eccellenti e giustissime e ne saremmo ben soddisfatti se il Raboceie Dielo le comprendesse e se in pan tempo non ne pronunciasse altre che sono in contraddizione con esse. Non basta dirsi « avanguardia », distaccamento avanzato; bisogna anche agire in modo che tutti gli altri distaccamenti vedano e siano costretti a ri- conoscere che noi siamo alla testa. E noi chiediamo al lettore: forse che i rappresentanti degli altri « distaccamenti » sono così stupidi da credere sulla parola che noi siamo P« avanguardia » ? Immaginatevi un po’ concretamente una scena simile. A un « distaccamento » di radicali russi colti e di costituzionalisti liberali si presenta un so- cialdemocratico e dice: noi siamo l’avanguardia; «adesso davanti a noi si pone il compito: come dare nella misura del possibile un ca- rattere politico alla stessa lotta economica ». Un radicale o un costi- 394 LENIN tuzionalista un po’ intelligente (e tra i radicali e i costituzionalisti russi vi sono molti uomini intelligenti) si limiterebbe a sorridere di fronte a un simile discorso e direbbe (naturalmente fra sè, perchè nella maggioranza dei casi è un esperto diplomatico): «Già, è ab- bastanza sempliciotta questa ” avanguardia ”! Non comprende nep- pure che questo è il nostro compito, il compito dei rappresentanti progrediti della democrazia borghese : dare alla stessa lotta economica degli operai un carattere politico. Anche noi, come tutti i borghesi del- l’Europa occidentale, vogliamo trascinare gli operai alla politica, ma precisamente soltanto alla politica tradunionista e non a quella social- democratica . La poli dea tradunionista della classe operaia è precisa- mente la politica borghese della classe operaia. E la formulazione da parte di questa « avanguardia » del suo compito è precisamente la formulazione della politica tradunionista. Perciò possono anche de- finirsi socialdemocratici fin che vogliono. Non sono un bambino, in fin dei conti, da scaldarmi per l’etichetta! Basta che non subiscano l’in- fluenza di questi malvagi dogmatici ortodossi, basta che lascino la ” libertà di critica” a coloro che inconsciamente trascinano la social- democrazia nella corrente tradunionista! ». E il risolino beffardo del nostro costituzionalista si trasformerà in una risata omerica quando saprà che i socialdemocratici, i quali parlano di avanguardia della socialdemocrazia in questo momento di quasi completo dominio della spontaneità nel nostro movimento, hanno paura più di ogni cosa al mondo di « circoscrivere relemento sponta- neo », hanno paura di « diminuire l’importanza dello sviluppo pro- gressivo della grigia lotta quotidiana in confronto alla propaganda delle idee brillanti c ben definite», ecc. ecc.! Distaccamento «avan- zato » il quale ha paura che la coscienza precorra la spontaneità, che teme di presentare un « piano » audace che costringa al riconoscimento generale anche coloro che non la pensano così! Non confondono essi forse la parola avanguardia con la parola retroguardia? Analizziamo, infatti, il seguente ragionamento di Martynov. Egli afferma (p. 40) che la tattica di denuncia seguita dalT/r^nz è unilate- rale, che « per quanto grandi siano la sfiducia e l’odio che provoche- remo contro il governo, non raggiungeremo il nostro scopo fino a quando non saremo riusciti a sviluppare un’energia sociale abbastanza attiva per rovesciarlo ». Sia detto fra parentesi, questa preoccupazione di sviluppare l’attività delle masse, unita alla preoccupazione di re- CHE FARE? 395 stringere la propria attività, già ci è nota. Ma adesso non si tratta di questo. Martynov qui parla dunque di energia rivoluzionaria (« per rovesciare » il governo). E a quale conclusione giunge? Poiché in tempi normali i vari strati sociali sono inevitabilmente slegati, « è chiaro che noi socialdemocratici non possiamo dirigere simultaneamente l’at- tività dei vari strati dell’opposizione, non possiamo dar loro un pro- gramma di azione positivo, non possiamo indicare loro come lottare giornalmente per i propri interessi... Gli strati liberali si occuperanno essi stessi di quella lotta attiva per i loro interessi immediati, che li porrà a faccia a faccia col nostro regime politico » (p. 41). Così, dopo aver cominciato a parlare di energia rivoluzionaria, di lotta attiva per rovesciare l’assolutismo, Martynov devia immediatamente verso l’e- nergia sindacale, verso la lotta attiva per gli interessi immediati! È chiaro che noi non possiamo dirigere la lotta degli studenti, dei libe- rali, ecc. per i loro « interessi immediati », ma non si trattava di que- sto, rispettabilissimo economista! Si trattava della partecipazione possibile e necessaria dei diversi strati sociali alFabbattimento dell’as- solutismo, e questa « attività dei diversi strati dell’opposizione » non solo possiamo , ma dobbiamo assolutamente dirigerla, se vogliamo es- sere l’« avanguardia ». Quanto al fatto che i nostri studenti, i nostri liberali, ecc. siano «posti a faccia a faccia col nostro regime politico», non solo ci penseranno essi stessi, ma se ne incaricheranno soprattutto la polizia e i funzionari del governo autocratico. Ma « noi », se voglia- mo essere dei democratici d’avanguardia, dobbiamo occuparci di spin- gere coloro che sono insoddisfatti solo del regime universitario o del re- gime degli zemstvOy ecc., a convincersi che quel che non va è l’intero regime politico. Noi dobbiamo assumerci il compito di organizzare una lotta politica multiforme, diretta dal nostro partito, affinchè tutti gli strati dell’opposizione possano dare e diano a tale lotta, e in pari tempo al nostro partito, tutto l’aiuto che possono. Noi dobbiamo trasformare i militanti socialdemocratici in capi politici che sappiano dirigere tutte le manifestazioni di questa lotta multiforme, che, al momento neces- sario, sappiano « dare un programma d’azione positivo » agli stu- denti in fermento, ai rappresentanti degli zemstvo insoddisfatti, ai membri delle sette religiose indignati, ai maestri colpiti nei loro in- teressi, ecc. ecc. Perciò Martynov ha completamente torto quando scrive che « verso di essi possiamo avere solo la funzione negativa di denun- ciatori degli abusi... Possiamo solo dissipare le loro speranze nelle LENIN 30 commissioni governative» (il corsivo è nostro). Dicendo questo egli dimostra di non comprendere assolutamente nulla della vera funzione delP« avanguardia » rivoluzionaria. Se il lettore tiene presente tutto questo, comprenderà il vero significato della conclusione seguente, cui giunge Martynov: «Visura è Porgano dell 'opposizione rivoluzionaria, che denuncia il nostro regime e principalmente il nostro regime poli- tico in quanto esso entra in conflitto con gli interessi dei più diversi strati della popolazione. Dal canto nostro lavoriamo e lavoreremo per la causa operaia in stretto legame organico con la lotta proletaria. Ri- ducendo la sfera della nostra azione, rendiamo più complessa la no- stra azione stessa» (p. 63). Il vero significato di questa conclusione è il seguente: Visura vuole elevare la politica tradunionista della classe operaia (politica alla quale, per malinteso, per impreparazione e per convinzione, si limitano tanto spesso, tra di noi, i militanti) al livello della politica socialdemocratica; il Raboceie Dielo vuole abbassare la politica socialdemocratica al livello della politica tradunionista. E per di più ci si assicura che « si tratta di due posizioni perfettamente com- patibili nella causa comune » (p. 63). 0 sancta simplicitasì Proseguiamo. Abbiamo noi forze sufficienti per svolgere la nostra propaganda e la nostra agitazione fra tutte le classi della popolazione? Certamente. I nostri economisti, che tendono spesso a negarlo, dimen- ticano il gigantesco passo in avanti che il nostro movimento ha com- piuto dal 1894 (circa) al 1901. « Codisti » incorrreggibili, vivono ancora con le idee del periodo, da molto tempo chiuso, in cui il nostro movi- mento era agli inizi. Allora non avevamo effettivamente che pochis- sime forze, ed era naturale e legittimo limitarci al lavoro tra gli operai e condannare severamente ogni allontamento da esso, perchè allora l'essenziale era di affermarci fra la classe operaia. Oggi vengono trascinate nel movimento forze gigantesche, vengono a noi tutti i mi- gliori rappresentanti della giovane generazione delle classi colte; do- vunque, in tutte le province, sono costretti a rimanere inattivi uomini che hanno preso parte o che vogliono prendere parte al movimento e che simpatizzano per la socialdemocrazia (mentre nel 1894 si potevano comare i socialdemocratici russi sulle dita di una mano). Uno dei no- stri difetti politici e organizzativi fondamentali è che non sappiamo utilizzare tutte queste forze, non sappiamo assegnare a ciascuno il lavoro che gli è adatto (torneremo ampiamente sulla questione nel prossimo capitolo). La stragrande maggioranza di queste forze non ha CHE FARE? 397 alcuna possibilità di « andare tra gli operai », e non vi è dunque nep- pure da temere che vengano sottratte al nostro compito essenziale. Ma per poter dare agli operai cognizioni politiche vere, complete, vive, è necessario avere dappertutto i « nostri uomini », avere dei so- cialdemocratici in tutte le categorie sociali, su tutte le posizioni che permettono di conoscere gli ingranaggi del meccanismo dello Stato. E abbiamo bisogno di tali uomini non solo per la propaganda e l’agi- tazione, ma anche e soprattutto per Torganizzazione. Esiste un terreno che ci permette di agire in tutte le classi della po- polazione? Chi ne dubita prova che la sua coscienza è in ritardo rispetto allo slancio spontaneo delle masse. Negli uni il movimento operaio ha suscitato e suscita ancora malcontento, in altri la speranza che esso appoggi l’opposizione, in altri ancora la consapevolezza del- l’inconsistenza del regime autocratico, deirinevitabilità del suo crollo. Saremmo dei « politici » e dei socialdemocratici solo a parole (come capita in realtà molto spesso) se non comprendessimo che è nostro compito utilizzare tutte le manifestazioni di malcontento, ed elaborare tutte le più piccole proteste, anche embrionali. Non parliamo poi dei milioni e milioni di contadini lavoratori, di artigiani, ecc. che ascol- terebbero sempre con grande interesse la propaganda di ogni social- democratico più o meno abile. Ma potreste indicarci una sola classe della popolazione nella quale non si trovino uomini singoli, circoli e gruppi insoddisfatti del regime di oppressione e di arbitrio, e quindi accessibili alla propaganda del socialdemocratico, portavoce delle aspi- razioni democratiche generali più urgenti? E a chi vorrà avere un’i- dea del modo come concretamente si possa sviluppare l’agitazione po- litica del socialdemocratico in tutte le classi e in tutti gli strati della popolazione, indicheremo le denunce polìtiche nel senso largo della parola, che sono il mezzo principale (ma non il solo) per tale agita- zione. 4 Dobbiamo — scrivevo nell’articolo Da che cosa cominciare? ( lsl{ra ì n. 4, maggio 1901), di cui dovremo ben presto parlare minutamente — ... destare in tutti gli strati del popolo più o meno coscienti la passione delle denunce politiche . Se le voci che si levano per smascherare il regime sono oggi così deboli, rare e timide, non dobbiamo impressionarcene. Ciò non è affatto dovuto alla rassegnazione generale agli arbitri polizieschi. È dovuto al fatto che gli uomini capaci di fare delle denunce, c pronti a farle, non hanno una tribuna dalla quale poter parlare, non hanno un pubblico che ?q8 LENIN ascolti c approvi appassionatamente gli oratori; al fatto che essi non vedono da nessuna parte nel popolo una forza alla quale valga la pena di rivol- gersi per protestare contro ” l’onnipotente ” governo russo... Abbiamo oggi la possibilità e il dovere di creare una tribuna da cui tutto il popolo possa denunciare il governo zarista, e questa tribuna deve essere un giornale socialdemocratico » # . Il pubblico ideale per le denunce politiche è precisamente la classe operaia, che ha bisogno innanzi tutto e soprattutto di cognizioni poli- tiche vive e multiformi e che è la più atta a trasformare queste cogni- zioni in una lotta attiva, anche senza la prospettiva di « risultati tan- gibili ». E la tribuna per queste denunce dinanzi a tutto il popolo non può essere che un giornale per tutta la Russia. «Nell’Europa mo- derna senza un organo di stampa politico è inconcepibile un movi- mento che meriti di esser chiamato politico», e la Russia, da que- sto punto di vista, deve essere indubbiamente compresa nell’Eu- ropa moderna. La stampa è diventata da molto tempo una forza nel nostro paese, altrimenti il governo non spenderebbe decine di mi- gliaia di rubli per comperarla e per sovvenzionare i vari Katkov e Mestcerski. E non si dice cosa nuova quando si afferma che nella Rus- sia autocratica la stampa illegale ha già parecchie volte spezzato le bar- riere della censura e ha fatto parlare apertamente di se i giornali legali e conservatori. Questo è avvenuto negli anni settanta e persino negli anni cinquanta. E quanto sono oggi più vasti e profondi gli strati po- polari disposti a leggere la stampa illegale e — per usare l’espressione deiroperaio autore della lettera pubblicata nel n. 7 de\YIsl(ra n — di- sposti a impararvi a «vivere e a morire»! Le denunce politiche sono una dichiarazione di guerra al governo , come le denunce economiche sono una dichiarazione di guerra agli industriali. E questa dichiarazione di guerra ha un’importanza morale tanto maggiore quanto più vasta e vigorosa è la campagna di denunce, quanto più numerosa e decisa è la classe sociale che dichiara la guerra per iniziarla. Le denunce po- litiche sono dunque, di per se, un mezzo potente per disgregare il regime nemico, per staccare dal nemico i suoi alleati casuali o tempo- ranei, per seminare l’ostilità e la sfiducia tra i ceti che partecipano per- manentemente al potere autocratico. Solo il partito che organizzerà veramente delle denunce che inte- • Cfr., nel presente volume, pp. 13-14 {N. d. R.). CHE FARE? 399 ressino tutto il popolo potrà diventare l’avanguardia delle forze rivo- luzionarie. E queste parole: «tutto il popolo» hanno un significato molto vasto. L’immensa maggioranza dei denunciatori che non ap- partengono alla classe operaia (poiché per diventare avanguardia dob- biamo attirare le altre classi) sono dei politici sensati, dei tranquilli uomini d’affari. Sanno perfettamente quanto sia pericoloso « lagnarsi » anche di un piccolo funzionario e, a maggior ragione, dell’« onnipo- tente » governo russo. Ed essi rivolgeranno a noi le loro proteste solo quando vedranno che possono raggiungere qualche risultato, che noi siamo veramente una forza politica. Per diventare una forza politica agli occhi del pubblico non basta appiccicare l’etichetta « avanguardia > a una teoria e a una pratica da retroguardia, ma bisogna lavorare molto e tenacemente per elevare la nostra coscienza, il nostro spirito di iniziativa e la nostra energia. Ma — ci domanderanno e già ci domandano i partigiani troppo zelanti del « legame stretto ed organico con la lotta proletaria » — se noi dobbiamo incaricarci di organizzare denunce che interessino vera- mente tutto il popolo, come si manifesterà il carattere di classe del nostro movimento? Si manifesterà appunto nel fatto che l’organizza- zione di tali denunce popolari sarà opera nostra, di noi socialdemo- cratici, nel fatto che l’esposizione di tutte le questioni sollevate nel- l’agitazione sarà fatta con uno spirito coerentemente socialdemocratico e senza nessuna concessione alle deformazioni, volute o no, del marxi- smo, nel fatto che questa multiforme agitazione politica sarà svilup- pata da un partito che lega, in un tutto indissolubile, l’offensiva contro il governo in nome di tutto il popolo, l’educazione rivoluzionaria del proletariato, la salvaguardia della sua indipendenza politica, la dire- zione della lotta economica della classe operaia e l’utilizzazione degli urti spontanei con i suoi sfruttatori, urti che sollevano e attraggono continuamente nel nostro campo sempre nuovi strati proletari! Ma fra i tratti più caratteristici delleconomismo ce appunto quello di non comprendere questo legame, di non comprendere nemmeno che il bisogno più immediato del proletariato (l’educazione politica multiforme per mezzo delle denunce e dell’agitazione politica) coin- cide con la necessità del movimento democratico generale. Questa incomprensione si manifesta non solo nelle frasi « alla Martynov », ma anche in brani che hanno un significato assolutamente identico e si richiamano a un un punto di vista sedicente classista. Ecco per esempio 400 LENIN come si esprimono gli autori della lettera « economica » pubblicata nel n. 12 ddYIsl(ra*: «Questo stesso difetto fondamentale dell’/r^ra [la sopravvalutazione dell’ideologia] è la causa della sua mancanza di coerenza nella questione deU’atteggiamento della socialdemocrazia verso le varie classi e tendenze sociali. Essendosi posta, mediante esco- gitazioni teoriche [e non in seguito allo « sviluppo dei compiti del partito che si sviluppano insieme con il partito stesso»], il compito di passare immediatamente alla lotta contro l’asso lutismo e sentendo probabilmente tutta la difficoltà che questa lotta presenta per gli operai nella situazione attuale... [e non solo sentendo, ma sapendo anche molto bene che questa lotta sembra meno difficile agli operai che agli intellettuali «economisti» che li trattano come dei bambini, perchè gli operai sono pronti a lottare anche per rivendicazioni che non pos- sono dare alcun « risultato tangibile », per dirla con l’indimenticabile Martynov] ma non avendo la pazienza di attendere che vi sia una sufficiente accumulazione di forze da parte degli operai per questa lotta, Visura comincia a cercare alleati fra i liberali e gli intellettuali... ». Sì, sì, abbiamo davvero perduto la « pazienza » : non possiamo più «attendere» il momento felice che ci promettono da molto tempo i « conciliatori » di ogni genere, in cui i nostri economisti cesseranno di gettare sugli operai la colpa del proprio ritardo, di giustificare la loro mancanza di energia con la pretesa insufficienza delle forze operaie. In che cosa deve consistere — domanderemo ai nostri economisti — ].’« accumulazione di forze da parte degli operai per questa lotta » ? Non è forse evidente che essa consiste nell’educazione politica degli operai, nella denuncia davanti ad essi di tutti gli aspetti della nostra ignobile autocrazia? E non è chiaro che proprio per questo lavoro ci sono necessari degli « alleati tra i liberali e gli intellettuali », pronti a comunicarci le loro denunce sulla campagna politica contro gli zemstvo , i maestri, gli statistici, gli studenti, ecc.? È tanto difficile com- prendere questo « sapiente meccanismo » ì P. Axelrod non ci ripete forse dal 1897: «Il compito della conquista da parte dei socialdemo- • La mancanca di spazio ci ha impedito di rispondere nelL/j^ra, particolareggiata- mente come sarebbe stato necessario, a questa lettera estremamente significativa degli economisti. Siamo stati molto contenti che sia stata pubblicata, perchè già da molto tempo sentivamo dire da varie parti che I7j^ra deviava dalla posizione classista, e at- tendevamo solo l’occasione favorevole o la formulazione precisa di questa accusa per rispondere. E abbiamo l'abitudine di rispondere agli attacchi con dei contrattacchi c non restando sulla difensiva. CHE FARE? 401 oratici russi di partigiani e di alleati diretti o indiretti fra le classi non proletarie viene risolto soprattutto e principalmente dal carattere della propaganda fra lo stesso proletariato » ? Ma Martynov e gli altri econo- misti continuano, nonostante tutto, a pensare che gli operai devono prima accumulare forze (per la politica tradunionista) con « la lotta economica contro i padroni c contro il governo» e in seguito «pas- sare » — senza dubbio dall’* educazione » tradunionista della loro « at- tività » — all’attività socialdemocratica. « ...Nelle sue ricerche — continuano gli economisti — [Visura] si allontana spesso dalla posizione classista, mascherando gli antagonismi di classe e ponendo in primo piano il malcontento comune contro il governo, sebbene le cause e il grado di tale malcontento siano molto diversi negli ” alleati'” ». Così, ad esempio, col suo atteggiamento verso lo zemstvo ... Visura « prometterebbe ai nobili, insoddisfatti delle ele- mosine governative, l’aiuto della classe operaia, senza dire una parola sul contrasto di classe che pone l’uno contro l’altro questi strati della popolazione». Se il lettore leggerà gli articoli: L‘ autocrazia e gli zem- stvo (n. 2 e 4 dcWIs^ra) ai quali verosimilmente alludono gli autori del- la lettera, vedrà allora che essi sono dedicati * all’atteggiamento del go- verno verso r« anodina agitazione dello zemstvo burocratico e censita- rio » e all’« azione delle stesse classi possidenti ». Neirarticolo si dice che l’operaio non può rimanere indifferente dinanzi alla lotta del go- verno contro lo zemstvo : e i membri degli zemstvo sono invitati a farla finita con i discorsi anodini e a pronunziare parole forti e ca- tegoriche quando dinanzi al governo si leverà, in tutta la sua forza, la socialdemocrazia rivoluzionaria. Che c’è in questo di inaccettabile per gli autori della lettera? Non sappiamo. Pensano forse che l’ope- raio « non comprenderà » le parole « classi possidenti » e « zemstvo burocratico e censitario»? Credono forse che il fatto di spingere i membri degli zemstvo a passare dai discorsi anodini a parole forti sia una «sopravvalutazione dell’ideologia»? Immaginano forse che gli operai possano « accumulare forze » per la lotta contro l’assolu- tismo se non conoscono l’atteggiamento dell’assolutismo anche verso gli zemstvo ? Ancora una volta, non sappiamo. Una cosa però è chiara: che gli autori hanno un’idea molto vaga dei compiti politici * E fra l’uno e l’altro di questi articoli' ve n’era uno dedicato particolarmente agli antagonismi di classe nelle nostre campagne .(n. 3 dell’/j^ra) [Cfr., nella presente edi- zione, voi. 4, pp. 457-465 (A I.d.R.)]. 402 LENIN della socialdemocrazia. Ciò. risulta in modo ancor più chiaro dalla frase: «Tale è Patteggiamento d t\Yls\ra anche verso il movimento degli studenti » (« tale », cioè che « maschera » anch’esso gli « anta- gonismi di classe »). Invece di invitare gli operai ad affermare con una pubblica manifestazione che il vero focolaio della violenza, dell’ar- bitrio e della sfrenatezza non è costituito dalla gioventù universitaria, ma dal governo ( lsì{ra y n. 2*), noi avremmo dovuto probabilmente pubblicare dei ragionamenti sul tipo di quelli della Rabociaia Mysl. Nell’autunno del 1901, dopo gli avvenimenti di febbraio e di marzo, alla vigilia di una ripresa del movimento universitario — ripresa la quale dimostra chiaramente che anche in questa occasione la protesta « spon- tanea » contro l’autocrazia oltrepassa la direzione cosciente del movi- mento da parte della socialdemocrazia — vi sono dei socialdemocratici che esprimono tali idee. L’impulso naturale che spinge gli operai a difendere gli studenti percossi dalla polizia e dai cosacchi oltrepassa l’attività cosciente dell’organizzazione socialdemocratica. «Tuttavia in altri articoli — continuano gli autori della lettera — Visura condanna energicamente ogni ” compromesso ” e difende per esempio l’intolleranza dei guesdisti ». A chi ha l’abitudine di affermare, con tanta presunzione e leggerezza, che le divergenze attuali fra i so- cialdemocratici non sono essenziali e non giustificano la scissione, con- sigliamo di meditare seriamente su queste parole. Chi afferma che non abbiamo ancora fatto quasi niente per mettere in evidenza l’atteg- giamento ostile dell’autocrazia verso le classi più svariate, per rivelare agli operai l’opposizione degli strati più diversi della popolazione al- l’autocrazia, può forse lavorare utilmente in una stessa organizzazione con chi ritiene che tale compito è « un compromesso », verosimilmente un compromesso con la teoria della « lotta economica contro i padroni e contro il governo »? In occasione del quarantesimo anniversario dell’emancipazione dei contadini abbiamo parlato della necessità di portare la lotta di classe nelle campagne (n. 3**); a proposito del promemoria segreto di Witte, abbiamo dimostrato il contrasto fondamentale che esiste tra l’autono- mia locale e l’autocrazia (n. 4); a proposito della nuova legge, abbiamo attaccato i grandi proprietari terrieri feudali e il governo che è al * Cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 451-456 (N.d.R.). *• Cfr., nella presente edizione, voi. 4, pp. 457-465 (N.d.R.). CHE FARE? 403 loro servizio (n. 8 *), abbiamo applaudito al congresso illegale de- gli zemstvo ed incoraggiato i membri degli zemstvo a passare dalle umili richieste alla lotta (n. 8**); in occasione del manifesto del Co- mitato esecutivo degli studenti di Mosca, del 25 febbraio, abbiamo inco- raggiato gli studenti che, cominciando a comprendere la necessità della lotta politica, hanno setv/ahro iniziato questa lotta (n. 3), e nello stesso tempo abbiamo fustigato la « grossolana incomprensione » di coloro che esortano gli studenti a rimanere sul terreno « puramente univer- sitario » e a non partecipare alle manifestazioni di strada (n. 3); ab- biamo svelato i « sogni assurdi » e F« ipocrisia » dei farisei liberali della Rossta (n. 5), e nello stesso tempo abbiamo stigmatizzato il furore del governo che « faceva giustizia sommaria di pacifici scrittori, di vec- chi professori e scienziati, di membri degli zemstvo noti come liberali » (n. 5, Una spedizione poliziesca contro la letteratura); abbiamo de- nunciato il vero significato del programma di « sollecitudine dello Stato per il miglioramento del tenore di vita degli operai » e messo in rilievo la « preziosa confessione » che « prevenire le rivendicazioni dal basso con delle riforme dall’alto è meglio che attenderle» (n. 6* ## ); abbia- mo incoraggiato gli statistici nelle loro proteste (n. 7) e biasimato gli statistici crumiri (n. 9). Considerare questa tattica come un oscura- mento della coscienza di classe del proletariato e come un compro- messo con il liberalismo , significa dimostrare che non si capisce asso- lutamente la sostanza del programma del « Credo », significa appli- care di fatto quel programma , pur dichiarandovi contrari a parole. Infatti con ciò stesso si trascina il socialdemocratico alla « lotta econo- mica contro i padroni e contro il governo » e si recede dinanzi al libe- ralismo. , rinunciando a intervenire attivamente e a definire il proprio atteggiamento socialdemocratico in ogni questione «liberale». f) Ancora una volta « calunniatori », ancora una volta « mistificatori » Queste amabilità ci vengono, come il lettore ricorderà, dal Raboceie Dielo , che risponde così alla nostra accusa di « preparare indiretta- mente il terreno per trasformare il movimento operaio in uno stru- * Cfr., nel presente volume, pp. 80-85 (N. d. R.). ** Cfr., nel presente volume, pp. 86-87 (N.d.R.), * * ' Cfr.. nel presente volume, pp. 73-74 (N.d.R.). LENIN 404 mento della democrazia borghese». Nella sua semplicità il Raboceie Dielo ha deciso che tale accusa è solo un argomento polemico. Quei malvagi dogmatici, ha pensato, hanno deciso di dirci tutte le cose più sgradevoli: e che cosa ci può essere di più sgradevole che diventare strumento della democrazia borghese? E stampa, in neretto, una «smentita». «Calunnia patente » (Due congressi , p. 30), «mistifica- zione » (p. 31), « mascherata » (p. 33). Come Giove (quantunque non gli somigli molto), il Raboceie Dielo si offende appunto perchè ha torto e, affrettandosi a ingiuriarci, prova che non è capace di afferrare il pen- siero dei suoi avversari. Eppure non v’era bisogno di lunghe riflessioni per comprendere che qualsiasi sottomissione alla spontaneità del movi- mento di massa, qualsiasi abbassamento della politica socialdemocratica al livello della politica tradunionista equivale a preparare il terreno per la trasformazione del movimento operaio in strumento della demo- crazia borghese. Di per sè, il movimento operaio spontaneo non può che generare (e genera immancabilmente) il tradunionismo, e la poli- tica tradunionista della classe operaia è precisamente la politica bor- ghese della classe operaia. La partecipazione della classe operaia alla lotta politica ed anche alla rivoluzione politica non basta a dare a tale politica un carattere socialdemocratico. Non pensa il Raboceie Dielo di negarlo? Non pensa infine di esporre davanti a tutti, in modo aperto e senza sotterfugi, la propria comprensione dei problemi scottanti della socialdemocrazia internazionale e russa? Oh no! esso non penserà mai nulla di simile, perchè si attiene fermamente al metodo che può essere chiamato il metodo di « non saper niente ». Io non sono io, il ca- vallo non è mio, io non sono il cocchiere. Noi non siamo economisti, la Rabociaia Mysl non è economismo, in Russia non esiste in generale l’economismo. Questo è un metodo magnificamente abile e « diploma- tico », che ha soltanto un piccolo inconveniente : ai giornali che lo pra- ticano si ha l’abitudine di dare la denominazione « Ai vostri ordini ». Per il Raboceie Dielo la democrazia borghese in generale non è in Russia che un «fantasma» ( Due congressi , p. 32)*. Gente beata! • Si invocano qui le « condizioni concrete russe che spingono fatalmente il mo- vimento operaio sulla via rivoluzionaria ». Non si vuol comprendere che la via rivolu- zionaria del movimento operaio può anche non essere la via socialdemocratica. Di fatto tutta la borghesia occidentale, nei regimi assolutisti, < spingeva » scientemente gli operai sulla via rivoluzionaria. Noi, socialdemocratici, non possiamo accontentarcene. E se noi, in un modo o ncH’altro, abbassiamo la politica socialdemocratica al livello della politica tradunionista spontanea, facciamo il giuoco della democrazia borghese. Come lo struzzo, nasconde la testa sotto l’ala e s’immagina che tutto quanto lo circonda sia scomparso. I pubblicisti liberali che ogni mese annunziano trionfalmente che il marxismo si disgrega o magari è scomparso; i giornali liberali (S. Peter burgsfye Viedomosti, Russate Viedomosti e molti altri) nei quali si incoraggiano i liberali che difen- dono tra gli operai la concezione brentaniana della lotta di classe e la concezione tradunionista della politica; la pleiade dei « critici » del mar- xismo, le cui vere tendenze sono state così ben messe in rilievo dal « Credo » e la cui produzione letteraria è la sola che possa circolare in Russia liberamente e senza impacci; la recrudescenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche, specialmente dopo gli avveni- menti di febbraio e marzo: tutto ciò non è che un fantasma! Non c’è niente in tutto ciò che si ricolleghi alla democrazia borghese! Il Raboceie Dielo , e con esso gli autori della lettera economica pub- blicata nel n. 12 dell 'Isfya, dovrebbero « domandarsi perchè gli avveni- menti della primavera hanno provocato una così forte recrudescenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche invece di raf- forzare l’autorità ed il prestigio della socialdemocrazia ». La causa sta nel fatto che noi non siamo stati all’altezza del compito, che l’attività delle masse operaie è andata al di là della nostra, che non abbiamo avuto abbastanza dirigenti e organizzatori rivoluzionari ben preparati i quali conoscessero perfettamente lo stato d’animo di tutti gli strati sociali dell’opposizione e sapessero mettersi alla testa del movimento, per trasformare una manifestazione spontanea in una manifestazione politica, allargarne il carattere politico, ecc. Fino a quando questa si- tuazione perdurerà, i rivoluzionari non socialdemocratici più abili, più energici, approfitteranno inevitabilmente della nostra arretratezza, e gli operai, per quanto grandi siano la loro energia e la loro abnega- zione nelle lotte contro la polizia e contro le truppe, per quanto rivo- luzionarie siano le loro azioni, non costituiranno che un punto di appoggio per i rivoluzionari non socialdemocratici. Saranno solo la retroguardia della democrazia borghese e non l’avanguardia socialde- mocratica. Guardate per esempio la socialdemocrazia tedesca, di cui i nostri economisti vogliono imitare solo i lati deboli. Perchè non vi è in Germania un solo avvenimento politico che non contribuisca a raf- forzare la sua autorità c il suo prestigio? Perchè essa è sempre la prima a valutare nel modo più rivoluzionario ogni avvenimento, a sostenere ogni protesta contro tutti i soprusi. Non si culla nelle illusioni, non im- 406 LENIN magina che la lotta economica obblighi gli operai a porsi il problema dell’oppressione politica e le condizioni concrete spingano fatalmente il movimento operaio sulla via rivoluzionaria. È presente in tutti i campi ed in tutte le questioni della vita sociale e politica: interviene quando Guglielmo rifiuta di ratificare la nomina a sindaco di un bor- ghese progressista (i nostri economisti non hanno avuto ancora il tempo di insegnare ai tedeschi che in fondo ciò è un compromesso con il liberalismo!), quando si vota una legge contro le immagini e gli scritti « immorali », quando il governo esercita una certa pressione per ottenere reiezione di determinati professori, ecc. Ovunque la socialde- mocrazia è in prima fila, stimolando il malcontento politico in tutte le classi, ridestando gli addormentati, trascinando i ritardatari, for- nendo materiali di ogni genere per sviluppare la coscienza e l’attività politica del proletariato. Ne risulta che questo combattente politico di avanguardia è rispettato anche dai nemici coscienti del socialismo, e spesso accade che un documento importante, non solo delle sfere bor- ghesi, ma anche delle sfere burocratiche e persino della corte, cada, come per miracolo, nella redazione del Vorwàrts . Ecco dove risiede la soluzione di quell’apparente « contraddizione * che supera in così alto grado la misura della comprensione del Ra- boceie Dido, il quale leva le mani al cielo e grida : « è una masche- rata»! Figuratevi un po’: noi, Raboceie Dido , poniamo in primo piano il movimento operaio di massa (e scriviamo ciò in grassetto!), noi mettiamo tutti in guardia contro la diminuzione delPimportanza dell’elemento spontaneo, noi vogliamo dare alla stessa, stessa , stessa lotta economica un carattere politico, noi vogliamo conservare un le- game stretto e organico con la lotta proletaria! E ci dicono che noi prepariamo il terreno per trasformare il movimento operaio in uno strumento della democrazia borghese. E chi dice questo? Individui che fanno un « compromesso » con il liberalismo, che si immischiano in ogni problema « liberale > (quale incomprensione del « legame orga- nico con la lotta proletaria »!), rivolgendo tanta attenzione anche agli Studenti e persino (oh, orrore!) ai rappresentanti degli zemstvo ! Indi- vidui che in generale vogliono dare una maggiore (in confronto agli economisti) percentuale delle loro forze all’attività fra le classi non proletarie della popolazione! Non è questa una « mascherata »? ? Povero Raboceie Dìdo\ Riuscirà in fin dei conti a capire questo complicato procedimento? IV IL PRIMITIVISMO DEGLI ECONOMISTI E L’ORGANIZZAZIONE DEI RIVOLUZIONARI Le affermazioni del Raboceie Dielo , da noi sopra analizzate, se- condo cui la lotta economica è il metodo più largamente applicabile di agitazione politica, secondo cui il nostro compito consiste oggi nel dare alla stessa lotta economica un carattere politico, ecc,, sono il riflesso di una concezione ristretta dei nostri compiti, non solo nel campo politico, ma anche nelle questioni organizzative . La «lotta economica contro i padroni e contro il governo » non richiede affatto — e quindi non può neanche suscitare — un’organizzazione centra- lizzata per tutta la Russia, che unisca, per un attacco generale, tutte le diverse manifestazioni di opposizione politica, di protesta e di indi- gnazione, un organizzazione di rivoluzionari professionali, diretta da veri capi politici di tutto il popolo. Ciò è comprensibile. La struttura di ogni organismo è necessariamente ed inevitabilmente determinata dal contenuto della sua attività. Con le sue affermazioni, analizzate sopra, il Raboceie Dielo consacra e legittima quindi la limitatezza non solo delibazione politica, ma anche del lavoro organizzativo. Anche in questo caso, come sempre, la consapevolezza cede il passo alla spon- taneità. E pertanto la venerazione per le forze organizzative sorte spon- taneamente, il rifiuto di comprendere quanto il nostro lavoro organiz- zativo sia ristretto e primitivo e fino a qual punto, in questo campo importante, lavoriamo ancora con metodi « artigiani », tutto ciò, af- fermo, è un serio indizio del male che affligge il nostro movimento. Naturalmente non si tratta di una crisi di decadenza, ma di sviluppo. Oggi però, mentre fondata della rivolta spontanea travolge, si può 408 LENIN dire, anche noi dirigenti ed organizzatori del movimento, è assoluta- mente necessario combattere con inflessibilità contro chiunque in- tenda difendere la nostra arretratezza e voglia legittimare la nostra limitatezza nelle questioni organizzative; è necessario risvegliare in tutti coloro che partecipano o si preparano a partecipare al lavoro pra- tico il malcontento contro il primitivismo imperante fra noi e la incrol- labile determinazione di sbarazzarcene. a) Che cose il primitivismo? Cerchiamo di rispondere a questa domanda tracciando un quadro dell’attività di un circolo socialdemocratico tipico tra il 1894 e il 1901. Abbiamo già accennato aH’entusiasmo per il marxismo che animava la gioventù universitaria d’allora. Tanta passione era naturalmente suscitata, più che dal marxismo come teoria, dalla risposta che il mar- xismo dava alla domanda : « che fare ? », dall’appello a marciare con- tro il nemico. E i nuovi combattenti s’accingevano alla lotta con una preparazione e con armi straordinariamente primitive. Per lo più le armi erano poche e la preparazione mancava del tutto. Si an- dava in guerra come contadini mai staccatisi prima dall’aratro, ar- mati solo di un bastone. Senza nessun legame con i vecchi mili- tanti, senza legami con i circoli delle altre città e neppure con quelli degli altri rioni (o delle altre scuole) della propria città, senza nessun coordinamento tra le varie parti del lavoro rivoluzionario, senza nessun piano di azione sistematico per un periodo più o meno lungo, il circolo studentesco si mette in contatto con degli operai e incomincia il lavoro. Sviluppa progressivamente una propaganda e un’agitazione sempre più intense; si attira così, per il solo fatto della sua costituzione, la simpatia di un numero abbastanza grande di operai, la simpatia di una certa parte dei ceti sociali colti, che dànno del denaro e mettono a disposi- zione del « comitato » sempre nuovi gruppi di giovani. Il prestigio del « comitato » (o dell’« Unione di lotta ») aumenta, il suo campo d’a- zione si allarga e la sua attività si estende spontaneamente. Coloro che, un anno o qualche mese prima, parlavano nei circoli studenteschi, decidono sul cammino da seguire, creano e mantengono rapporti con gli operai, preparano e lanciano dei manifestini, si mettono in con- tatto con altri gruppi di rivoluzionari, si procurano della stampa, CHE FARE? 409 cominciano a pubblicare un giornale locale, cominciano a parlare di organizzare una manifestazione, passano infine alle ostilità aperte (sarà, secondo le circostanze, un primo foglio di agitazione, il primo numero di un giornale o una prima manifestazione); ma allora, e di solito, l’apertura delle ostilità provoca il crollo immediato e com- pleto. Immediato e completo proprio perchè quelle operazioni militari non erano il risultato di un piano sistematico per una lotta lunga ed accanita, precedentemente meditato e minuziosamente preparato, ma semplicemente lo sviluppo spontaneo del lavoro di un circolo su una base tradizionale; perchè la polizia quasi sempre conosceva in quella determinata località i principali dirigenti che avevano già * fatto parlare di sè » sui banchi delle università e perchè, attendendo il mo- mento propizio per una vasta retata, aveva lasciato che il circolo cre- scesse e si sviluppasse al fine di avere nelle sue mani il corpus delicti e ogni volta aveva intenzionalmente lasciata libera qualche persona co- nosciuta « per il seme > (è l’espressione tecnica usata, per quanto io sappia, sia dai nostri che dai gendarmi). Questa guerra ricorda la mar- cia delle bande contadine, armate di bastoni, contro un esercito rego- lare. E non si può che ammirare la vitalità di un movimento che si ingrandiva, si estendeva e riportava vittorie nonostante la completa mancanza di ogni preparazione da parte dei combattenti. Il carattere primitivo deH’armamento era, è vero, non solo inevitabile all’inizio, ma anche storicamente legittimo , perchè permetteva di attirare un gran numero di combattenti. Ma appena cominciarono le operazioni serie (e queste cominciarono con gli scioperi dell’estate del 1896) i difetti della nostra organizzazione divennero sempre più evidenti. Dopo un momento di sorpresa e dopo aver commesso tutta una serie di errori (come l’appello all’opinione pubblica contro i misfatti dei so- cialisti, la deportazione degli operai dalle capitali nei centri industriali di provincia), al governo non occorse molto tempo per adattarsi alle nuove condizioni di lotta e per disporre nei punti opportuni le proprie squadre di provocatori, di spie e di gendarmi forniti dei mezzi tecnici più perfezionati. Le retate diventarono così frequenti, colpirono tanta gente, fecero un tale « repulisti > nei circoli locali che la massa operaia perdette letteralmente tutti i dirigenti, il movimento si disorganizzò in modo incredibile e fu impossibile mantenere qualsiasi continuità e organicità nel lavoro. La straordinaria dispersione dei militanti lo- cali, il fatto che i circoli erano composti da gente capitatavi per caso, 27 - 754 410 LENIN la mancanza di preparazione e l’orizzonte ristretto nel campo teorico, politico e organizzativo : tutto ciò fu il risultato inevitabile delle con- dizioni descritte più sopra. In certi luoghi, data la nostra mancanza di precauzioni e di misure cospirative, gli operai giunsero ad allon- tanarsi, per diffidenza, dagli intellettuali : la loro avventatezza — essi dicevano — provoca inevitabilmente gli arresti! Questo primitivismo, come sa chiunque conosca più o meno il mo- vimento, è stato finalmente giudicato da tutti i socialdemocratici ra- gionevoli come una vera malattia. Ma affinchè il lettore male infor- mato non creda che noi « fabbrichiamo » artificialmente una fase o una malattia del movimento, citeremo il testimonio cui siamo ricorsi una volta. Spero che questa lunga citazione ci verrà perdonata. « Se il passaggio graduale ad un’attività pratica più vasta — scrive B-v, nel n. 6 del Raboccic Dielo — , passaggio che è in funzione diretta del generale periodo di transizione attraversato dal nostro movimento operaio, è un fatto caratteristico. . . esiste un’altra caratteristica non meno interes- sante nel meccanismo della rivoluzione operaia russa. Vogliamo parlare della insufficienza generale di forze rivoluzionarie adatte all' azione *, che si fa sentire non solo a Pietroburgo, ma in tutta la Russia. A misura che il movimento operaio si intensifica, che la massa operaia si sviluppa, che gli scioperi diventano più frequenti, che la lotta di massa degli operai si manifesta più apertamente e che si aggravano le persecuzioni governative, gli arresti, le espulsioni e le deportazioni, questa insufficienza di forze rivoluzionarie altamente qualificate diventa più sensibile e si ripercuote indubbiamente sulla profondità e sul carattere generale del movimento. Molti scioperi si svolgono senza che le organizzazioni rivoluzionarie rea- giscano direttamente e fortemente... Si avverte l’insufficienza di fogli di agitazione e di letteratura illegale... I circoli operai rimangono senza agitatori... inoltre la scarsità di denaro si fa continuamente sentire. In una parola, la crescita del movimento operaio oltrepassa la crescita e lo sviluppo delle organizzazioni rivoluzionarie. I militanti rivoluzionari sono oggi troppo pochi per tenere in pugno tutta la massa operaia in efferve- scenza, per armonizzare e organizzare in un modo qualsiasi tutte le mani- festazioni di malcontento... I circoli, i rivoluzionari non sono uniti, non sono raggruppati, non formano un’organizzazione unica, forte e disci- plinata, con tutte le sue parti razionalmente sviluppate... ». Dopo aver dichiarato che Timmediata costituzione di nuovi circoli in sostituzione di quelli distrutti * prova solo la vitalità del movimento... ma non dimo- # Il corsivo c dappertutto nostro. CHE FARE? 4 M stra che esiste un numero sufficiente di nuovi militanti rivoluzionari ben preparati», fautore conclude: «La mancanza di preparazione pratica nei rivoluzionari pietroburghesi influisce sui risultati del loro lavoro. Gli ultimi processi, specialmente quelli dei gruppi dell’ ” Autoemancipazione ” e della ” Lotta del lavoro contro il capitale ” ”, hanno dimostrato chiaramente che un giovane agitatore non perfettamente familiarizzato con le condi- zioni del lavoro, con le condizioni dell’agitazione in una determinata offi- cina, ignorando i principi dell’azione clandestina ed avendo per solo ba- gaglio (se lo ha) i principi generali della socialdemocrazia, può lavorare forse per quattro, cinque o sei mesi. Dopo è inevitabile l’arresto, che provoca spesso il crollo, per lo meno parziale, deirorganizzazione. Può un gruppo lavorare utilmente e con successo quando la sua esistenza non dura più di qualche mese?... Evidentemente tutti i difetti delle organizzazioni esistenti non possono essere attribuiti unicamente al periodo transitorio... È evidente che il numero, e soprattutto la qualità dei militanti di queste organizza- zioni, contano molto. Il primo compito dei nostri socialdemocratici... con- siste nt\Y unificare effettivamente le organizzazioni con una selezione rigo- rosa dei loro membri ». b) Primitivismo ed economismo Dobbiamo ora soffermarci sulla questione che certamente tutti i lettori si sono già posta. Questo primitivismo, malattia di crescenza che colpisce tutto il movimento, è legato con Teconomismo, conside- rato come una delle tendenze della socialdemocrazia russa? Crediamo di sì. La mancanza di preparazione pratica, di abilità nel lavoro orga- nizzativo è una malattia che colpisce tutti, anche quelli tra noi che fin dall’inizio sono sempre rimasti sul terreno del marxismo rivolu- zionario. E certamente non si può imputare ai militanti questa man- canza di preparazione come un delitto. Ma il primitivismo non con- siste solo nella mancanza di preparazione; si riscontra anche nella ristrettezza del lavoro rivoluzionario in generale, nella incomprensione del fatto che tale ristrettezza ostacola la formazione di una buona or- ganizzazione rivoluzionaria e infine — ed è la questione principale — si riscontra nei tentativi di giustificare tale ristrettezza e di farne una « teoria », cioè nella sottomissione alla spontaneità anche in questa materia. Fin da quando si manifestarono tentativi in questa direzione, divenne evidente che il primitivismo era legato aH’economismo, e che 27 * 4 12 LF.NIN noi non ci saremmo sbarazzati della nostra ristrettezza nel lavoro or- ganizzativo senza esserci prima liberati deireconomismo in generale (cioè della ristretta interpretazione della teoria marxista, della fun- zione della socialdemocrazia e dei suoi compiti politici)» Tali tenta- tivi si sono manifestati in due direzioni* •• **• Gli uni hanno cominciato a dire: la massa operaia non si è ancora posta essa stessa compiti poli- tici vasti e combattivi come quelli che le « impongono » i rivoluzio- nari; essa deve ancora lottare per le rivendicazioni politiche imme- diate, sviluppare la « lotta economica contro i padroni e contro il go- verno » * (a questa lotta « accessibile » al movimento di massa corri- sponde naturalmente un’organizzazione « accessibile » anche alla gio- ventù meno preparata). Altri, lontani da ogni « gradualismo », hanno detto: noi possiamo e dobbiamo «fare la rivoluzione politica», ma a tal fine non v’è nessun bisogno di creare una forte organizzazione di rivoluzionari che educhi il proletariato a una lotta continua ed acca- nita; basta che ci armiamo tutti di un bastone «accessibile» e fami- liare* Per parlare senza metafore, dobbiamo organizzare lo sciopero generale # * o stimolare con « un terrorismo incitante » * # * il movi- mento operaio che è un po’ addormentato. Queste due tendenze (op- portunistica e « rivoluzionaria ») cedono di fronte al primitivismo do- minante, non vedono il nostro compito pratico più urgente : creare un'organizzazione di rivoluzionari capace di garantire alla lotta poli- tica l’energia, la fermezza e la continuità. Abbiamo or ora riferito le parole di B-v: «La crescita del movi- mento operaio oltrepassa la crescita e lo sviluppo delle organizzazioni rivoluzionarie». Questa «informazione preziosa di un osservatore bene informato » (come dice il Raboceie Dielo a proposito dell’arti- colo di B-v) ci è doppiamente preziosa. Dimostra che noi avevamo ragione di scorgere la causa fondamentale della crisi attuale della so- cialdemocrazia russa nel ritardo dei dirigenti (« ideologi », rivoluzio- nari, socialdemocratici) rispetto allo slancio spontaneo delle masse . Di- mostra inoltre che i ragionamenti degli autori della lettera economica pubblicata nel n. 12 deHV^ra, Kricevski e Martynov, sul pericolo di sot- tovalutare l'elemento spontaneo, la grigia lotta quotidiana, sulla tat- * Rabocìaia i \tysl e Raboceie Dielo , e in particolare la Risposta a Plekhanov. •• Chi farà la rivoluzione politica? , opuscolo pubblicato in Russia nella raccolta La lotta proletaria c ripubblicato dal Comitato dì Kiev. **• Rinascita del rivoluzionarismo c Svoboda. CHE FARE? Vi tica-processo, ecc, sono appunto una difesa e un’esaltazione del pri- mitivismo. Costoro, che non possono pronunciare la parola « teorico » senza una smorfia sprezzante, che qualificano « senso della realtà » la loro venerazione per Timpreparazione e l’arretratezza, dimostrano di non comprendere niente dei nostri compiti pratici più urgenti. Ai ri- tardatari gridano: «Al passo! Non troppo presto!». A coloro che mancano di energia e di iniziativa nel lavoro organizzativo e di «piani» vasti ed audaci, predicano la «tattica-processo»! Il nostro errore capitale consiste nz\Y abbassare i nostri compiti politici ed orga- nizzativi al livello degli interessi immediati, « tangibili », « concreti » della lotta economica d ogni giorno. Eppure continuano a ripeterci il vecchio ritornello: bisogna dare anche alla lotta economica un con- tenuto politico! Anche qui dimostrano di possedere un «senso della realtà » simile a quello delleroe della favola popolare che vedendo pas- sare un funerale gridava: «Cento di questi giorni». Ricordate l’impareggiabile alterigia, veramente alla « Narciso », con cui questi sapientoni predicavano a Plekhanov: «I compiti poli- tici nel significato reale e pratico della parola, cioè nel senso della lotta pratica , razionale e utile per le rivendicazioni politiche, sono in generale [sic!] inaccessibili ai circoli operai » {Risposta della redazione del Raboceie Dielo, p. 24). Ma vi sono circoli e circoli, signori! Certa- mente i compiti politici sono inaccessibili a un circolo « artigianesco » fino a quando coloro che ne fanno parte non si saranno resi conto del loro primitivismo e non se ne saranno liberati. Ma se per di più questi dilettanti ne sono innamorati, se sottolineano immancabilmente la pa- rola « pratico » ed immaginano che essere pratici significhi abbassare i propri compiti al livello delle masse più arretrate, allora, evidente- mente, sono incurabili, e i compiti politici sono in generale realmente inaccessibili. Ma ad una cerchia di dirigenti come Alexeiev e Mysckin, Khalturin e Geliabov, i compiti politici sono accessibili nel signi- ficato più reale, più pratico della parola, precisamente nella mi- sura in cui la loro ardente propaganda trova un’eco nelle masse che si destano spontaneamente, nella misura in cui la loro appassionata energia è sostenuta dalla energia della classe rivoluzionaria. Giusta- mente Plekhanov, invece di limitarsi a segnalare resistenza di questa classe rivoluzionaria e a provare che essa doveva di necessità destarsi spontaneamente alTazione, assegnava anche ai « circoli operai » un grande ed elevato compito politico. Ma voi vi basate sul movimento 4*4 LENIN di massa, sorto in seguito, per abbassare questo compito, per restrin- gere il campo dazione e Penergia dei « circoli operai ». Che cosa è questo, se non attaccamento delPartigiano al proprio primitivismo? Vi vantate del vostro spirito pratico e ignorate ciò che qualunque «pratico» russo sa; non vedete i risultati meravigliosi che può rag- giungere nel campo rivoluzionario Penergia non solo di un circolo, ma perfino di un individuo isolato. Credete forse che non possano sorgere nel nostro movimento capi simili a quelli sorti dopo il 1870? Perchè non ve ne sarebbero? Perchè siamo poco preparati? Ma noi ci prepariamo, continueremo a prepararci e saremo pronti. Sulle ac- que stagnanti della « lotta economica contro i padroni e contro il go- verno » da noi, purtroppo, si è formato uno strato di muffa: c'è della gente che si inginocchia, si prosterna dinanzi alla spontaneità e con- templa religiosamente (secondo l’espressione di Plekhanov) « le parti posteriori » del proletariato russo. Ma noi sapremo sbarazzarci di quella muffa. Proprio ora il rivoluzionario russo, animato da una teoria veramente rivoluzionaria, appoggiandosi sulla classe veramente rivoluzionaria, che si desta spontaneamente alFazione, potrà final- mente — finalmente! — levarsi in tutta la sua statura e dispiegare le sue forze, da eroe antico. È solo necessario che la massa dei mili- tanti, e la massa più numerosa ancora di coloro che aspirano all’azione pratica fin dai banchi della scuola accolgano con scherno e disprezzo ogni tentativo di abbassare i nostri compiti politici e di restringere l’ampiezza del nostro lavoro di organizzazione. E noi vi riusciremo,, signori, siatene sicuri. Nell’articolo Da che cosa cominciare? ho scritto contro il Rabo - cete Dielo : «In ventiquattr’ore si può cambiare la propria tattica di agitazione in questa o quella questione particolare, la propria tattica in questo o in quel particolare della struttura del partito, ma soltanto individui senza principi possono cambiare in ventiquattr’ore, o an- che ifi ventiquattro mesi, le proprie idee sulla necessità — in gene- rale costante ed assoluta — di un’organizzazione di lotta e di un’agi- tazione politica tra le masse » *. Il Raboceie Dielo risponde : « Que- st’accusa dell’ ìskra y la sola accusa che ha la pretesa di essere concreta, è fondata sul nulla. I lettori del Raboceie Dielo sanno molto bene che fin dalFinizio, senza attendere la pubblicazione dt\VIsJ{ra, li abbiamo • Cfr., nel presente volume, p. io ( N . d. R .). CHE TARE? 415 incitati non solo all’agitazione politica [dicendo a questo proposito che non solo i circoli operai, « ma anche il movimento operaio di massa non può proporsi come suo primo compito politico l’abbatti- mento dell’assolutismo », ma tutt’al più la lotta per le rivendicazioni politiche immediate e che « le rivendicazioni politiche immediate » di- ventano accessibili alla massa dopo uno, o, nella peggiore delle ipotesi, più scioperi]... ma con le nostre pubblicazioni abbiamo fornito dal- Testerò ai compagni militanti in Russia i soli ed unici materiali per Tagitazione politica socialdemocratica... [e con questi soli ed unici materiali, non solo avete applicato largamente Tagitazione politica soltanto sul terreno della lotta economica, ma siete finalmente giunti alla conclusione che tale agitazione limitata è quella « più largamente applicabile ». E voi non notate, signori, che i vostri argomenti provano precisamente là necessità della pubblicazione delT/r^ra — di fronte a quegli unici materiali — e la necessità della campagna Ae\\'lsì{ra contro il Rahoceie Dielo ? ]... D’altra parte le nostre pubblicazioni hanno preparato realmente l’unità tattica del partito... [unità nella convinzione che la tattica è un processo di sviluppo dei compiti del partito che si sviluppano con il partito? Preziosa unità!]... e hanno così reso possibile ” Torganizzazione di combattimento ” per la crea- zione della quale Y ” Unione ” ha fatto in generale tutto quanto può fare una organizzazione esistente alTestero » (Rahoceie Dielo y n. io, p. 15). Inutile tentativo di svignarsela! Che abbiate fatto tutto quanto vi era possibile non ho mai sognato di negarlo. Ho affermato ed affermo che i vostri limiti del « possibile » sono angusti a causa della miopia delle vostre concezioni. È ridicolo anche soltanto parlare di una « organizzazione di combattimento » per la lotta per le « rivendi- cazioni politiche immediate » e per la « lotta economica contro i pa- droni e contro il governo ». Ma se il lettore desidera vedere le perle della passione « economi- sta » per il primitivismo, dovrà naturalmente rivolgersi non all’eclet- tico ed instabile Rahoceie Dielo , bensì alla logica e risoluta Rahociaia MysL che esige ad ogni costo la creazione di un’organizzazione rivo- luzionaria, combattiva, solida, centralizzata? Non può forse questo « compito » essere assolto anche dalle masse che non « lottano contro la polizia politica»? E inoltre, forse che questo compito potrebbe es- sere assolto se, oltre ai pochi dirigenti, non se lo addossassero anche gli operai che (nella loro stragrande maggioranza) sono incapaci di «lottare contro la polizia politica»? Questi operai che formano l’ele- mento medio delle masse, in uno sciopero, in una lotta di strada con- tro la polizia c contro le truppe, possono dar prova di un’energia e di un’abnegazione senza pari, possono (ed essi solo lo possono) decidere dell’esito di tutto il nostro movimento; ma la lotta contro la polizia politica esige qualità speciali, esige dei rivoluzionari di professione. E dobbiamo fare in modo che la massa operaia non solo « avanzi » le rivendicazioni concrete, ma « generi » anche dei rivoluzionari di pro- fessione in numero sempre più grande. Eccoci dunque giunti alla que- stione dei rapporti fra l’organizzazione dei rivoluzionari di professione e il movimento puramente operaio. Questo problema, poco discusso nella nostra stampa, ha molto occupato noi « politici » nelle nostre di- scussioni e nei nostri colloqui con i compagni che tendono più o meno verso l’eco nomismo. È bene soffermarvisi. Ma finiamo prima di illu- strare con un’altra citazione la nostra tesi sull’esistenza di un legame tra il primitivismo e l’economismo. « H gruppo ” Emancipazione del lavoro ” — scriveva N.N. nella sua Risposta — propugna la lotta diretta, contro il governo, senza esa- CHE FARE? 417 minare dove si trovi la forza materiale necessaria per questa lotta, senza indicare la via da seguire ». Sottolineando queste ultime parole, Fautore, a proposito della parola «via», nota: «Non si può trattare di scopi segreti, perchè nel programma non si parla di un complotto, ma di un movimento di massa . La massa non può seguire vie segrete. È forse possibile uno sciopero segreto? Una manifestazione ed una petizione segreta sono possibili? » ( Vademecum , p. 59). L’autore af- fronta quindi la questione della « forza materiale » (organizzatori di scioperi e di manifestazioni) e delle « vie » della lotta, ma si dibatte nel dubbio e nel disorientamento perchè « si prosterna » dinanzi al mo- vimento di massa; lo considera cioè come un fattore che ci esime dal- l’attività rivoluzionaria e non come un fattore destinato a incoraggiare e a stimolare tale attività. È impossibile che uno sciopero sia segreto tanto per i suoi partecipanti quanto per coloro che vi sono diretta- mente interessati. Ma può rimanere (e, nella maggior parte dei casi, rimane) un « segreto » per la massa degli operai russi, perchè il go- verno si preoccuperà di impedire qualsiasi contatto con gli sciope- ranti, qualsiasi diffusione di informazioni sullo sciopero. E allora occorre una « lotta » particolare « contro la polizia politica », lotta che non potrà mai essere attivamente sviluppata da una massa così nu- merosa come quella che partecipa allo sciopero. Questa lotta deve essere organizzata, « secondo tutte le regole dell’arte », da professio- nisti delazione rivoluzionaria. Dal fatto che la massa è spontanea- mente trascinata nel movimento non scaturisce che l’organizzazione della lotta sia meno necessaria . Diventa invece ancora piu necessaria perchè noi, socialisti, mancheremmo ai nostri obblighi diretti verso la massa se non sapessimo impedire alla polizia di tener segreto (e se, talvolta, non preparassimo segretamente anche noi) uno sciopero od una manifestazione qualsiasi. Noi possiamo farlo appunto perchè la massa che si ridesta spontaneamente all’azione farà sorgere anche dal proprio seno un numero sempre più grande di « rivoluzionari di professione » (a condizione che non cominciamo ad invitare, su tutti i toni, gli operai a segnare il passo). c) Organizzazione degli operai e organizzazione dei rivoluzionari Se per un socialdemocratico il concetto di « lotta politica » coin- cide con il concetto di « lotta economica contro i padroni e contro LENIN 418 il governo», è naturale che per lui ^organizzazione dei rivolu- zionari » coincida più o meno con l’« organizzazione degli operai ». E ciò effettivamente accade agli economisti, sicché, discutendo con costoro sull’organizzazione, parliamo letteralmente due linguaggi di- versi. Ricordo per esempio una conversazione avuta un giorno con un economista abbastanza conseguente, di cui feci in quell’occasione la conoscenza. La conversazione cadde sull'opuscolo: Chi farà la rivo- luzione politica? Ci trovammo subito d’accordo nel ritenere che il suo difetto essenziale consisteva nell’ignorare la questione organizza- tiva. Pensavamo già di essere completamente d’accordo, ma, prose- guendo nella conversazione, ci accorgemmo che parlavamo di cose diverse. Il mio interlocutore accusava l’autore di ignorare le casse di sciopero, le società di mutuo soccorso, ecc. Io, invece, mi riferivo al- l’organizzazione di rivoluzionari di professione, indispensabile per « compiere » la rivoluzione politica. Manifestatasi questa divergenza, a quanto ricordo, non mi sono mai più trovato d’accordo con quel- Teconomista su una qualsiasi questione di principio. Qual era Torigine delle nostre divergenze? Era nel fatto che gli economisti deviano costantemente dalla socialdemocrazia verso il tra- dunionismo, sia nei compiti organizzativi che nei compiti politici. La lotta politica della socialdemocrazia è molto più vasta e molto più complessa della lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo. Parimenti (e per questa ragione) l’organizzazione di un partito socialdemocratico rivoluzionario deve necessariamente essere distinta dall’organizzazione degli operai per la lotta economica. L’or- ganizzazione degli operai deve anzitutto essere professionale, poi essere la più vasta possibile e infine essere la meno clandestina possibile (qui e in seguito mi riferisco — è chiaro — solo alla Russia autocratica). Al contrario, l’organizzazione dei rivoluzionari deve comprendere pri- ma di tutto e principalmente uomini la cui professione sia l’azione rivoluzionaria (ed è per questo che io parlo di un’organizzazione di rivoluzionari , riferendomi ai rivoluzionari socialdemocratici). Per que- sta caratteristica comune ai membri dell’organizzazione nessuna di- stinzione deve assolutamente esistere fra operai e intellettuali , e a mag- gior ragione nessuna distinzione sulla base del mestiere. Tale orga- nizzazione necessariamente non deve essere molto estesa e deve essere quanto più clandestina è possibile. Soffermiamoci su questi tre punti. Nei paesi politicamente liberi la differenza fra l’organizzazione CHE FARE? 4 I 9 tradunionista e l’organizzazione politica è evidente, come è evidente la differenza tra i sindacati c la socialdemocrazia. I rapporti di que- st’ultima con le organizzazioni sindacali variano necessariamente da paese a paese, secondo le condizioni storiche, giuridiche, ecc.; possono essere più o meno stretti, complessi, ecc. (devono essere, secondo il nostro punto di vista, quanto più stretti e quanto meno complessi è possibile); ma nei paesi liberi l’organizzazione sindacale e quella del partito socialdemocratico non possono coincidere. In Russia l’oppres- sione autocratica cancella, a prima vista, ogni distinzione tra l’orga- nizzazione socialdemocratica e le associazioni operaie, perchè sia que- ste che i circoli sono tutti proibiti, e lo sciopero, manifestazione e arma principale della lotta economica operaia, è considerato un delitto co- mune (e qualche volta anche un delitto politico!). Cosicché la si- tuazione in Russia, da una parte « spinge * gli operai che parteci- pano alla lotta economica a porsi le questioni politiche, e dall’altra « spinge » i socialdemocratici a confondere il tradunionismo con la socialdemocrazia (i nostri Kricevski, Martynov e C., i quali parlano sempre del primo caso, non rilevano il secondo). Si pensi infatti a degli uomini assorbiti per il novantanove per cento dalla « lotta eco- nomica contro i padroni e contro il governo », Taluni, per tutto il pe- riodo della loro attività (quattro-sei mesi) non si troveranno mai di fronte alla necessità di una più complessa organizzazione di rivoluzio- nari. Altri, probabilmente, verranno a conoscere la letteratura bern- steiniana, relativamente abbastanza diffusa, e si convinceranno del- l’importanza fondamentale dello « sviluppo della grigia lotta quoti- diana ». Altri infine si lasceranno forse sedurre dall’idea di dare al mondo un nuovo esempio di « legame stretto e organico con la lotta proletaria», di legame del movimento professionale con il movimento socialdemocratico. Essi penseranno che quanto più un paese giunge tardi al capitalismo, e quindi al movimento operaio, tanto più i so- cialisti possono partecipare al movimento sindacale e sostenerlo e tanto meno vi devono e vi possono essere dei sindacati non socialdemocra- tici. Fin qui il ragionamento è completamente giusto; il male è che si va oltre e si sogna una fusione completa fra la socialdemocrazia e il tradunionismo. Prendendo ad esempio lo statuto dell’* Unione di lotta di Pietroburgo», vedremo subito quale influenza nociva eserci- tino tali sogni sui nostri piani di organizzazione. Le organizzazioni operaie per la lotta economica devono essere 420 LENIN organizzazioni tradunioniste. Ogni operaio socialdemocratico deve, per quanto gli è possibile, sostenerle e lavorarvi attivamente. È vero. Ma non è nel nostro interesse esigere che solo i socialdemocratici pos- sano appartenere alle associazioni < corporative », perchè ciò restrin- gerebbe la nostra influenza sulla massa. Lasciamo partecipare all’asso- ciazione corporativa qualunque operaio il quale comprenda la neces- sità di unirsi per lottare contro i padroni e contro il governo! Le associazioni corporative non raggiungerebbero il loro scopo se non raggruppassero tutti coloro che comprendono almeno tale necessità elementare, se non fossero molto larghe. E quanto più saranno lar- ghe, tanto più la nostra influenza su di esse si estenderà, non solo grazie allo sviluppo «spontaneo» della lotta economica, ma anche grazie all’azione cosciente e diretta degli aderenti socialisti sui loro compagni. Ma in un’organizzazione numerosa una stretta clandesti- nità è impossibile (poiché per questa occorre una preparazione ben più grande che per la lotta economica). Come conciliare la contraddizione tra la necessità di aver molti iscritti e insieme una severa clandesti- nità? Come ottenere che le organizzazioni corporative siano quanto meno clandestine è possibile? Non vi sono che due mezzi: o la lega- lizzazione delle associazioni corporative (che in alcuni paesi ha pre- ceduto quella delle organizzazioni socialiste e politiche) o il mante- nimento dell’organizzazione segreta, ma in modo così « libero », così allentato, così tose, come direbbero i tedeschi, che per la massa dei soci la clandestinità si ridurrebbe a zero. La legalizzazione delle associazioni operaie non socialiste e non politiche è già cominciata in Russia, e non vi è dubbio che ogni passo nel rapido sviluppo del nostro movimento operaio socialdemocratico incoraggerà e moltiplicherà i tentativi di legalizzazione, che saranno fatti principalmente dai partigiani del regime attuale, ma anche dagli operai e dagli intellettuali liberali. I Vasiliev e gli Zubatov hanno già inalberato la bandiera della legalizzazione; gli Ozerov e i Worms hanno promesso e dato il loro aiuto. Fra gli operai vi sono già dei seguaci della nuova tendenza. Dobbiamo perciò ormai tener conto di questa nuova corrente. In che modo? Su tale questione non vi possono essere tra i socialdemocratici due opinioni. Il nostro dovere è di sma- scherare senza tregua ogni partecipazione degli Zubatov, dei Vasiliev, dei poliziotti e dei preti a questa corrente, e svelarne agli operai le vere intenzioni. Dobbiamo smascherare anche qualsiasi nota « armo- CHE FARE? 42 ! nica» che, nelle riunioni operaie pubbliche, affiorasse nei discorsi dei liberali, sia che costoro credano sinceramente utile la pacifica colla- borazione delle classi, sia che vogliano riuscir graditi alle autorità, sia che si tratti semplicemente di inetti. Dobbiamo infine mettere in guar- dia gli operai contro le trappole della polizia, che nelle assemblee pubbliche e nelle società autorizzate prende nota degli « uomini che posseggono il fuoco sacro » e cerca di introdurre dei provocatori nelle organizzazioni illegali passando attraverso quelle legali. Ma fare tutto ciò, non significa dimenticare che la legalizzazione del movimento operaio avvantaggerà, in fin dei conti , noi e non gli Zubatov. Con la nostra campagna di denunce, noi separiamo appunto il loglio dal grano. Il loglio, lo abbiamo indicato. Il grano è la nostra azione che consiste neH’interessare il maggior numero possibile di operai, anche degli strati arretrati, alle questioni politiche e sociali; nel liberarci, noi rivoluzionari, da funzioni che in fondo sono legali (diffusione di opere legali, mutuo soccorso, ecc.) e che sviluppandosi ci daranno immancabilmente sempre più argomenti per l’agitazione. In questo senso possiamo e dobbiamo dire agli Zubatov e agli Oze- rov: lavorate, signori; fate quanto vi è possibile! Voi tendete delle trappole agli operai — mediante la provocazione diretta o servendovi dello « struvismo », mezzo « onesto » per corrompere gli operai — , ma noi ci incaricheremo di smascherarvi. Se voi fate veramente un passo avanti — anche con un «timido zigzag» — vi diciamo: fate pure! Un vero passo avanti amplia, anche di pochissimo, se volete, ma ciò nonostante amplia effettivamente lo spazio entro il quale si muovono gli operai. Ciò non può che esserci utile ed affrettare il sor- gere di associazioni legali in cui i provocatori non piglieranno più in trappola i socialisti, ma i socialisti guadagneranno degli aderenti. In una parola, dobbiamo distruggere il loglio. Non è affar nostro colti- vare il grano in camera, in piccoli vasi. Estirpando il loglio, dissodia- mo il terreno e permettiamo al frumento di crescere. E mentre gli Afanasi Ivanovic e le Pulkheria Ivanovna si occuperanno delle piante da serra, noi dovremo preparare dei mietitori che sappiano oggi strap- pare il loglio e domani raccogliere il grano * # La lotta deU7/^r alla massa (in realtà sarà più accessibile ai poliziotti e porrà più facilmente i rivoluzionari nelle mani della polizia), non raggiunge- remo nè Tuno nè labro scopo, non ci sbarazzeremo del nostro pri- mitivismo, della nostra dispersione, dei continui arresti, non faremo che rendere più accessibili alle masse le trade-unions del tipo Zubatov od Ozerov. Quali dovranno essere precisamente le funzioni di questa organiz- zazione di rivoluzionari? Ne parleremo in modo minuzioso. Ma esaminiamo prima un altro ragionamento tipico del nostro terrorista, che ancora una volta (triste destino!) procede di pari passo con Teco- nomista. La Svoboda , rivista per gli operai, pubblica nel suo primo numero un articolo intitolato L’organizzazione, il cui autore cerca di difendere i suoi amici, gli operai economisti d’Ivanovo-Voznesensk : « È un male che la folla sia silenziosa e incosciente; che un movimento non sorga dal basso. Così, quando gli studenti delle città universitarie du- rante le feste o durante Testate tornano alle loro case, il movimento operaio ristagna. Un movimento operaio che vive così, per un impulso esterno, può essere una vera forza? Evidentemente, no. Esso non ha ancora imparato a camminare da solo; bisogna sostenerlo con le dande. E il quadro è lo stesso dappertutto: partiti gli studenti, il movimento cessa; i più capaci vengono presi: tolta la crema, il latte inacidisce; si arresta il "comitato ", e fino alla costituzione di un nuovo comitato la calma è di nuovo assoluta. D’altra parte, non si sa come sarà il nuovo comitato; può non rassomigliare affatto al precedente; quello diceva una cosa e questo dirà tutto l’opposto. Il le- game tra Tieri e il domani è spezzato, e Tesperienza del passato non serve alTavvenire. E tutto ciò perchè il movimento non ha radici profonde nella folla, perchè il lavoro non è fatto da un centinaio di imbecilli, ma da una decina di teste forti. Una decina di uomini cadono facilmente in bocca al lupo, ma quando nell’organizzazione c’è la folla, quando tutto sorge dalla folla, nessuno, per quanti sforzi faccia, può averne ragione » (p. 63), 28 - 754 426 LENIN L’esposizione dei fatti è esatta. Il quadro del nostro primitivismo è ben tracciato. Ma per illogicità e mancanza di senso politico, le con- clusioni sono degne della Rabociaia Mysl. Esse sono illogiche, perchè l’autore confonde il problema filosofico, storico e sociale delle « radici profonde » del movimento con il problema di una migliore organiz- zazione tecnica della lotta contro la polizia. E mancano di senso poli- tico, perchè, invece di voler sostituire i cattivi dirigenti con buoni di- rigenti, l’autore vuole sostituirli in generale con la « folla ». Questo è un tentativo di farci fare macchina indietro nel campo organizzativo, così come si tenta di farci retrocedere politicamente sostituendo lo stimolante terroristico all’agitazione politica. In verità mi trovo di fronte a un vero embarras de richesses , e non so da dove cominciare l’analisi del guazzabuglio che ci offre la Svoboda . Per maggior chia- rezza comincerò con un esempio. Ecco i tedeschi. Non negherete, spero, che la loro organizzazione abbraccia la folla, che tutto viene dalla folla, che il movimento operaio ha imparato in Germania a cam- minare da solo. Ciò nonostante, quanto sono apprezzati da quella folla di parecchi milioni di uomini i suoi « dieci » capi politici provati! Come si stringe attorno ad essi! Quante volte i socialisti non si sono sentiti irridere in parlamento dai deputati avversari: «Bei democra- tici! Con voi il movimento della classe operaia non esiste che a parole: in realtà è sempre lo stesso gruppo di capi che fa tutto. Ogni anno, da decine di anni, sempre lo stesso Bebel, sempre lo stesso Liebknecht! I vostri delegati, che si dicono eletti dagli operai, sono più inamovi- bili dei funzionari nominati dall’imperatore! », Ma i tedeschi hanno accolto con sprezzante ironia quei tentativi demagogici di contrap- porre la « folla » ai « capi », di risvegliare nella prima gli istinti cattivi e vanitosi e di togliere al movimento la solidità e la stabilità minando la fiducia della massa in una «decina di teste forti ». Essi sono politi- camente abbastanza educati, hanno sufficiente esperienza politica per comprendere che senza una « decina » di abili capi (e gli uomini abili non sorgono a centinaia), provati, professionalmente preparati ed istruiti da una lunga esperienza, che siano d’accordo fra loro, nessuna classe della società contemporanea può condurre fermamente la sua lotta. Hanno avuto tra di loro dei demagoghi che lusingavano le « centinaia di imbecilli », li ponevano sopra le « decine di teste forti », glorificavano il « pugno muscoloso » della massa, spingevano (come Most o Hasselmann) la massa ad atti « rivoluzionari » sconsiderati CHE FARE? 427 e seminavano la sfiducia nei capi energici e risoluti. E solo in se- guito a una lotta tenace, implacabile, contro tutti gli elementi dema- gogici esistenti nel suo seno, il socialismo tedesco è cresciuto e si è rafforzato. Orbene, proprio quando tutta la crisi della socialdemocrazia russa si spiega con il fatto che le masse, entrate spontaneamente in movimento, non hanno dirigenti abbastanza preparati, sviluppati ed esperti, ecco i nostri sapientoni venirci a dire con tono sentenzioso: « È un male che il movimento non sorga dal basso! ». «Un comitato di studenti non serve: è troppo instabile». Benis- simo! Ma la conseguenza è che ci occorre un comitato di rivoluzionari di professione. Studenti od operai, poco importa; essi sapranno fare di se stessi dei rivoluzionari di professione. La vostra conclusione invece è che non bisogna stimolare dairesterno il movimento operaio! Nella vostra ingenuità politica non vi accorgete di fare così il giuoco dei nostri economisti e del nostro primitivismo. In che modo i nostri studenti hanno « stimolato» fino ad oggi gli operai? Permettetemi di porvi la questione. Solamente portando ad essi le briciole di cogni- zioni politiche che essi stessi avevano, le briciole di idee socialiste che avevano potuto raccogliere (perchè il principale nutrimento spi- rituale degli studenti contemporanei, il marxismo legale, ha potuto dar loro soltanto Tabbici, soltanto delle briciole). Questo « stimolo esterno » del nostro movimento non è stato eccessivo, ma scarso, ver- gognosamente scarso; fino ad oggi ci siamo cotti nel nostro brodo, ci siamo servilmente prosternati dinanzi alla « lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo ». Di questo « stimolo » noi, rivoluzionari di professione, dobbiamo occuparci e ci occuperemo molto di più. Ma con la vostra espressione odiosa, « stimolo daire- sterno », che inevitabilmente ispira all’operaio (almeno airoperaio poco sviluppato come voi) la sfiducia verso tutti coloro che gli portano dal di fuori le cognizioni politiche e l’esperienza rivoluzionaria e suscita istintivamente in lui la voglia di cacciare lontano da sè tutti coloro che lo stimolano, voi fate della demagogia e i demagoghi sono i peggiori nemici della classe operaia. Sì, sì! E non protestate contro sistemi polemici «inammissibili fra compagni! ». Non sospetto la purezza delle vostre intenzioni; ho già detto che si può diventare demagogo anche solo per ingenuità politica. Ma ho dimostrato che voi siete scesi fino alla demagogia. E non mi stancherò mai di ripetere che i demagoghi sono i peggiori nemici della 428 LENIN classe operaia. I peggiori, perchè risvegliano i cattivi istinti della folla e perchè è impossibile agli operai arretrati di riconoscere questi ne- mici che si presentano, e qualche volta anche sinceramente, come amici. I peggiori, perchè in questo periodo di dispersione e di ten- tennamenti, nel quale il nostro movimento cerca ancora se stesso, è facilissimo trascinare demagogicamente la folla, alla quale solo le prove più amare potranno in seguito aprire gli occhi. Ecco perchè gli odierni socialdemocratici russi devono combattere senza pietà e la Svoboda e il Raboceie Dielo caduti nella demagogia (ne riparleremo in seguito)*. « È più facile arrestare una decina di teste forti che un centinaio di imbecilli ». Questo magnifico assioma (che vi procurerà sempre gli applausi del centinaio di imbecilli) vi sembra evidente solo perchè, nel vostro ragionamento, siete saltati da una questione a un’altra. Avevate cominciato ed avete continuato a parlare dell’arresto del « co- mitato », deH’« organizzazione », e ora saltate a un’altra questione, alla distruzione delle « radici profonde » del movimento. Certo il nostro movimento è inafferrabile soltanto perchè ha centinaia e centinaia di migliaia di radici profonde. Ma non è di questo che si tratta. Anche adesso, nonostante tutto il nostro primitivismo, è impossibile « di- struggere » le nostre « radici profonde », e tuttavia dobbiamo conti- nuamente deplorare arresti di intere « organizzazioni », che impedi- scono ogni continuità del movimento. E poiché voi ponete la questione delle organizzazioni scoperte dalla polizia e vi intrattenete su di essa, vi dirò che è molto più difficile impadronirsi di una decina di teste forti che non di un centinaio di imbecilli. E sosterrò questa mia af- fermazione, qualunque cosa facciate per eccitare la folla contro la mia « antidemocrazia ». Per « teste forti » in materia di organizzazione bi- sogna intendere, come ho già detto più di una volta, solo i rivoluzio- nari di professione , poco importa se studenti od operai di origine. E affermo: 1) che non potrà esservi un movimento rivoluzionario solido senza un’organizzazione stabile di dirigenti che nc assicuri la conti- nuità; 2) che quanto più numerosa è la massa entrata spontaneamente • Qui ci limitiamo a notare che tutto quanto abbiamo detto a proposito dello t stimolo daH'esterno » e dei ragionamenti della Svoboda sulle questioni organizzative vale in pieno per tutti gli economisti, compresi i partigiani del Raboceie Dielo t perchè, fra questi ultimi, alcuni hanno aderito a quella concezione organizzativa e gli altri Thanno sostenuta e propagandata, nella lotta, la massa che è la base del movimento e partecipa ad esso, tanto più imperiosa è la necessità di siffatta organizzazione e tanto più questa organizzazione deve essere solida (sarà facile, altrimenti, ai demagoghi trascinare con sè gli strati arretrati della massa); 3) che tale organizzazione deve essere composta principalmente di uo- mini i quali abbiano come professione Tattività rivoluzionaria; 4) che in un paese autocratico sarà tanto più difficile « impadronirsi » di siffatta organizzazione quanto più ne ridurremo gli effettivi, fino ad accettarvi solamente i rivoluzionari di professione, educati dalla loro attività rivoluzionaria alla lotta contro la polizia politica; 5) che in tal modo, tanto più numerosi saranno gli operai e gli elementi delle altre classi che potranno partecipare al movimento e militarvi attiva- mente. I nostri economisti, i nostri terroristi e i nostri « terroristi-econo- misti » * confutino, se lo possono, queste mie affermazioni. Non mi arresterò qui che sulle ultime due. È più facile impadronirsi di una « decina di teste forti» o di « un centinaio di imbecilli»? Tale questione si ricollega a quella che ho analizzato precedentemente: è possibile un’organizzazione di massa a regime strettamente clande- stino? Non riusciremo mai a dare a una vasta organizzazione quel carattere clandestino senza di cui una lotta energica e continua contro il governo non è concepibile. La concentrazione di tutte le attività clandestine nelle mani del minor numero possibile di rivoluzionari di professione non significa affatto che questi ultimi «penseranno per tutti », che la folla non parteciperà attivamente al movimento. Al con- trario, la folla genererà in sempre maggior numero i rivoluzionari di professione, perchè imparerà allora che non baSta che alcuni studenti o alcuni operai, i quali guidano la lotta economica, si riuniscano per costituire un « comitato », ma che è necessario, attraverso un processo * Questa definizione sarebbe forse più giusta della precedente per quanto concerne la St/oboda, perchè nella Rinascita del rivoluzionarismo si difende il terrorismo, e nell’articolo in questione Peconomismo. Brame pazzesche e triste destino I, si può dire in generale della Svoboda. La Svoboda possiede le premesse per un buon lavoro, è lastricata delle migliori intenzioni, ma non giunge che a uh’orribile confusione. Questo avviene perchè la Svoboda> pur propugnando la continuità deH’organizzazionc, non vuol riconoscere la necessità della continuità del pensiero rivoluzionario c della teoria socialdemocratica. .Sforzarsi di risuscitare il rivoluzionario di professione (Rinascita ..) e proporre a tal fine prima il terrorismo stimolante e poi P« organizzazione degli operai medi* ( Svoboda , n. i, p. 66 c sgg.), riduccndo al minimo gli «stimoli dalPcstcrno *, è come demolire la propria casa per ricavarne la legna necessaria al riscaldamento. 430 LENIN che durerà degli anni, forgiare dei rivoluzionari di professione, ed essa « penserà » a formarli abbandonando il proprio primitivismo. La cen- tralizzazione del lavoro clandestino dell’ organizzazione non implica affatto la centralizzazione di tutta l’attività del movimento. La colla- borazione attiva della grande massa alla stampa illegale, lungi dal di- minuire, aumenterà enormemente quando una « decina » di rivoluzio- nari di professione concentrerà nelle sue mani i compiti relativi. Così, e solo così, riusciremo ad ottenere che la lettura della stampa illegale, la collaborazione alle pubblicazioni illegali e in parte la loro stessa dif- fusione cessino quasi di essere attività clandestine , perchè la polizia comprenderà ben presto l’assurdità e l’impossibilità di procedimenti giudiziari e polizieschi a proposito di ogni esemplare di pubblicazioni diffuse a migliaia di copie. E ciò vale non solo per la stampa, ma per tutte le attività del movimento, comprese le manifestazioni. La par- tecipazione più attiva e larga della massa a una manifestazione non sarà danneggiata, ma di molto avvantaggiata, se una « decina » di ri- voluzionari provati, professionalmente addestrati almeno quanto la nostra polizia, ne accentrerà tutto il lato clandestino: pubblicazione di manifestini, elaborazione del piano approssimativo generale, nomina di un gruppo di dirigenti per ogni quartiere della città, per ogni aggruppamento di fabbriche, per ogni istituto scolastico, ecc. (Si obietterà, lo so, che le mie idee sono «antidemocratiche», ma con- futerò più oltre questa stupida obiezione). L’accentramento delle funzioni più clandestine nell’organizzazione dei rivoluzionari, non indebolirà, ma arricchirà e rafforzerà l’azione di moltissime altre or- ganizzazioni destinate al gran pubblico (e quindi il meno possibile regolamentate e clandestine): associazioni operaie di mestiere, circoli operai di istruzione e di lettura delle pubblicazioni illegali, circoli socia- listi e anche democratici per tutti gli altri ceti della popolazione, ecc. Dappertutto vi è necessità di questi circoli, associazioni e organizza- zioni; bisogna che essi siano il più possibile numerosi , con i compiti più diversi, ma è assurdo e dannoso confonderli con l’organizzazione dei rivoluzionari , cancellare la distinzione che li separa, spegnere nella massa la convinzione già debolissima che per « servire » un movi- mento di massa sono necessari uomini i quali si consacrino spe- cialmente e interamente all’azione socialdemocratica, si diano pazien- temente, ostinatamente un'educazione di rivoluzionari di professione. Sì, questa convinzione si è indebolita in modo incredibile. Con il CHE FARE? 431 nostro primitivismo abbiamo abbassato il prestigio del rivoluzionario in Russia : è questo il nostro peccato mortale nelle questioni orga- nizzative. Un rivoluzionario fiacco, esitante nelle questioni teoriche, con un orizzonte limitato, che giustifichi la propria inerzia con la spontaneità del movimento di massa, più rassomigliante a un segretario di trade-union che non a un tribuno del popolo, incapace di presentare un piano ardito e vasto che costringa al rispetto anche gli avversari, un rivoluzionario inesperto e malaccorto nel proprio mestiere (la lotta contro la polizia politica), può forse chiamarsi un rivoluzionario? No. È solo un povero artigiano. Nessun militante deve offendersi di questo epiteto severo: per quanto riguarda l’impreparazione, lo applico prima di tutto a me stesso. Ho lavorato in un circolo che si proponeva compiti molto vasti, universali e, come tutti i miei compagni, membri di quel circolo, sof- frivo, fino a provarne un vero dolore, nel sentire che eravamo solo degli artigiani grossolani in un momento storico in cui, parafrasando la celebre frase, sarebbe stato giusto dire: dateci un’organizzazione di rivoluzionari e capovolgeremo la Russia! E quando ripenso al cocente sentimento di vergogna provato allora, sento salire in me l’amarezza contro quegli pseudosocialdemocratici, la cui propaganda « disonora il nome di rivoluzionari » e che non comprendono come il nostro com- pito non consista nell’abbassare il rivoluzionario al lavoro dell’arti- giano, ma nelVelevare quest’ultimo al lavoro del rivoluzionario. d) Ampiezza del lavoro di organizzazione Come abbiamo visto, B-v parla dell’* insufficienza di forze rivolu- zionarie adatte all’azione, che si fa sentire non solo a Pietroburgo, ma in tutta la Russia >. Nessuno, credo, vorrà contestare questo fatto. Si tratta però di spiegarlo. B-v scrive: « Non cercheremo di approfondire le ragioni storiche di questo feno- meno; diremo solo che, demoralizzata da una reazione politica prolungata e divisa dai cambiamenti economici che sono avvenuti e continuano a pro- dursi, la società fornisce solo un piccolissimo numero di uomini atti al lavoro rivoluzionario; diremo che la classe operaia, fornendo rivoluzionari operai, alimenta in parte le organizzazioni illegali, ma che il numero di questi rivoluzionari non corrisponde alle necessità dell’epoca. Tanto più che loperaio, occupato undici ore e mezza al giorno in officina, di solito LENIN 4P_ non può essere che un agitatore. Ma la propaganda e Torganizzazione, la pubblicazioni di proclami, ecc., incombono fatalmente su un numero infi- mo di intellettuali » (Raboceie Dielo , n. 6, pp. 38-39). Su molti punti non siamo d’accordo con B-v: in particolare le pa- role che abbiamo sottolineato mostrano, in modo evidente, che B-v, tormentato dal nostro primitivismo (come ogni militante più o meno intelligente), non può trovare neireconomismo che lo soffoca un’u- scita a questa situazione intollerabile. No. La società fornisce un grandissimo numero di persone utilizzabili per la « causa », ma noi non sappiamo utilizzarle tutte. La situazione critica, la situazione transitoria del nostro movimento, sotto questo rapporto, può essere così indicata: cè una massa di individui, ma gli uomini mancano . Ce una massa di individui, perchè la classe operaia e i ceti sempre più diversi della società forniscono ogni anno un numero sempre mag- giore di malcontenti, pronti a protestare e a dare il loro concorso alla lotta contro Tassolutismo, l’intollerabilità del quale, se non è ancora compresa da tutti, è sentita in modo sempre più acuto da una massa sempre più grande. In pari tempo gli uomini mancano, perchè non vi sono intelligenze capaci di organizzare un lavoro vasto e nello stesso tempo coordinato, armonico, che permetta di utilizzare qual- siasi forza, anche la più insignificante. « La crescita e lo sviluppo delle organizzazioni rivoluzionarie » è in ritardo non solo rispetto allo sviluppo del movimento operaio — come riconosce anche B-v — , ma anche rispetto allo sviluppo del movimento democratico in tutti gli strati del popolo. (Del resto, è probabile che lo stesso B-v sot- toscriverebbe oggi quest’aggiunta alla sua costatazione.) I limiti del lavoro rivoluzionario sono oggi troppo ristretti rispetto alla base spon- tanea del movimento, troppo compressi dalla misera teoria della « lotta economica contro i padroni e contro il governo ». Oggi invece, non solo gli agitatori politici, ma anche gli organizzatori socialdemocratici de- vono « andare fra tutte le classi della popolazione » *. I socialdemocra- tici potrebbero assai bene ripartire le mille funzioni particolari del la- • Negli ambienti militari, per esempio, si nota, in questi ultimi tempi un incon- testabile accentuarsi dello spirito democratico, dovuto in parte alla sempre maggiore frequenza delle lotte di strada contro < nemici » come gli operai e gli studenti. E ap- pena le nostre forze lo permetteranno, dovremo occuparci con la massima attenzione della propaganda e dell’agitazione tra i soldati e gli ufficiali, della creazione di < orga- nizzazioni militari » appartenenti al nostro partito. CHE FARE? 433 voro organizzativo fra elementi delle classi più diverse; nessun mili- tante, credo, ne dubiterà. La mancanza di specializzazione, che B-v de- plora così vivamente e così giustamente, è uno dei maggiori difetti della nostra tecnica. Quanto più minute saranno le varie « operazioni > dell’attività generale, tanto più si troveranno degli individui capaci di eseguirle (e completamente incapaci, nella maggior parte dei casi, di diventare dei rivoluzionari di professione), e tanto più riuscirà difficile alla polizia di mettere le mani su tutti quei militanti che compiono un lavoro specifico e montare con l’insignificante reato di una persona un grosso « affare > che giustifichi le spese della polizia segreta. Per quanto concerne il numero delle persone disposte ad aiutarci, abbiamo segna- lato, nel capitolo precedente, l’enorme mutamento avvenuto in questi ultimi cinque anni. Ma, d’altra parte, per raggruppare tante piccole frazioni, per non spezzettare, insieme alle funzioni, anche il movi- mento, per infondere nell’esecutore di un piccolo compito la fiducia nella necessità e nell’importanza del suo lavoro — e senza questa fiducia non farà mai niente * — , per tutto ciò è necessaria appunto una forte organizzazione di rivoluzionari provati. Con una tale organizzazione la fiducia nella forza del partito si consoliderà e si diffonderà tanto più quanto più l’organizzazione sarà clandestina. E in guerra, è noto, oc- corre innanzi tutto infondere nel proprio esercito la fiducia in se stesso, ma occorre anche farsi tenere in grande considerazione dal nemico e da tutti gli elementi neutrali , perchè una neutralità benevola può talvolta decidere della vittoria. Con una tale organizzazione, costituita su una base teorica solida, e un giornale socialdemocratico a propria * Un compagno mi raccontava un giorno che un ispettore del lavoro, il quale aveva aiutato la socialdemocrazia ed era disposto ad aiutarla ancora, si lamentava amaramente perchè non riusciva a sapere se le sue « informazioni > giungevano fino al- l’organismo rivoluzionario centrale, se il suo aiuto era necessario e in qual misura i suoi piccoli servizi erano utilizzabili. Ogni militante potrebbe citare casi simili, casi in cui la nostra mancanza d'organizzazione ci priva di alleati. Invece, impiegati e funzionari non solo delle officine, ma delle poste, delle ferrovie, della dogana, membri della nobiltà, del clero e di ogni altro ente, persino della polizia e della Corte stessa, protrebbero renderci e ci renderebbero in realtà innumerevoli « piccoli » servizi, la cui somma avrebbe un valore inapprezzabile. Se avessimo già un vero partito, una organizzazione di rivoluzionari combattiva, non ci precipiteremmo su questi « ausiliari », non ci affret- teremmo a trascinarli sempre e necessariamente nel pieno deH’azione illegale; ne fa- remmo economia, prepareremmo anche in modo particolare degli uomini per tali fun- zioni, ricordandoci che molti studenti potrebbero essere ben più utili al partito come funzionari « ausiliari », che come rivoluzionari f di breve durata ». Ma, lo ripeto, solo un’organizzazione che sia già solida e che non manchi di forze attive ha il diritto di applicare una tattica simile. 434 LENIN disposizione, non si dovrà più temere che il movimento sia sviato dai numerosi elementi che vi avranno -aderito. (Al contrario, proprio oggi, con il primitivismo che domina fra di noi, vediamo che parecchi socialdemocratici orientano il movimento verso la linea del « Credo >, immaginando di essere i soli socialdemocratici.) In una parola, la spe- cializzazione presuppone il centralismo, e a sua volta lo esige in modo assoluto. Ma lo stesso B-v, che ha così ben dimostrato la necessità della spe- cializzazione, ne apprezza, secondo noi, insufficientemente il valore nella seconda parte del ragionamento che abbiamo citato. Il numero dei rivoluzionari provenienti dagli strati operai è insufficiente, egli dice. Questa osservazione è giustissima, e noi sottolineiamo ancora una volta che la « preziosa informazione di un osservatore bene in- formato » conferma interamente le nostre opinioni sulle cause dell’at- tuale crisi della socialdemocrazia e quindi sul modo di porvi rimedio. Non soltanto i rivoluzionari in generale, ma anche gli operai rivolu- zionari sono in ritardo sullo slancio spontaneo delle masse operaie. Questo fatto conferma in modo evidente, anche dal punto di vista « pratico », non solo l’assurdità, ma persino il carattere politico reazio- nario della « didattica » che ci è così spesso ammannita a proposito dei nostri doveri verso gli operai. Esso prova che il nostro primo ob- bligo, il nostro obbligo più imperioso, consiste nel contribuire alla for- mazione di rivoluzionari operai, i quali, per quanto riguarda l’attività del partito , siano allo stesso livello dei rivoluzionari intellettuali. (Sot- tolineiamo: per quanto riguarda l’attività del partito, perchè negli altri campi non è per gli operai nè così facile nè così urgente, benché sia ne- cessario, raggiungere un tale livello.) Perciò bisogna che noi lavoriamo soprattutto per elevare gli operai al livello di rivoluzionari e non bi- sogna che ci abbassiamo , noi, al livello della « massa operaia », come vogliono gli economisti, al livello degli « operai medi », come vuole la Svoboda (che, da questo punto di vista, sale al secondo gradino della « didattica » economista). Naturalmente, non nego affatto la necessità di una letteratura popolare per gli operai e di un’altra ultrapopolare (ma non volgare, certo) per gli operai più arretrati. Ma mi disgusta questa sovrapposizione continua della didattica alle questioni politiche e organizzative. Infatti, voi, signori campioni dell’* operaio medio », in fin dei conti insultate l’operaio con la vostra maniera di chinarvi verso di lui per parlargli della politica operaia e dell’organizzazione operaia. CHE PARE? 435 Parlategli dunque di cose serie, rialzatevi e lasciate la didattica agli insegnanti e non ai politici e agli organizzatori! Non vi sono forse an* che fra gli intellettuali elementi superiori, elementi « medi » e una « massa » ? Non esiste forse la necessità, da tutti riconosciuta, di una letteratura popolare per gli intellettuali, e questa non esiste forse? Ma immaginate che in un articolo suirorganizzazione degli studenti uni- versitari o liceali l’autore, con il tono di un uomo che ha fatto una sco- perta, brontoli che è innanzi tutto necessaria un’organizzazione di «stu- denti medi ». Farà ridere tutti, e giustamente. Dateci, gli diranno, delle idee suirorganizzazione, se ne avete, e lasciate a noi di vedere quali sono fra noi gli elementi « medi », superiori o inferiori. E se non avete idee vostre sull’organizzazione, tutti i vostri discorsi sulla « massa » e sugli elementi « medi » non serviranno che a importu* narci. Rendetevi finalmente conto che le questioni di « politica » e di « organizzazione » sono talmente serie che devono essere trattate con la massima serietà. Si possono e si devono preparare gli operai (come pure gli studenti universitari e liceali) in modo da poter poi discutere con loro su tali questioni, ma se avete cominciato a discuterle, dateci delle vere risposte, non fate macchina indietro verso i « medi » o verso la « massa », non sgattaiolate via con frasi e con aneddoti *! Per prepararsi completamente ai propri compiti, l’operaio rivolu- zionario deve diventare anche lui un rivoluzionario di professione. Perciò B-v ha torto di affermare che le funzioni rivoluzionarie, eccetto l’agitazione, « incombono fatalmente su un numero infimo di intel- lettuali » perchè l’operaio deve passare undici ore e mezza nell’officina. Ciò non avviene « fatalmente », ma in conseguenza della nostra arre- tratezza, deirincomprensione del nostro dovere di aiutare ogni ope- raio che si faccia notare per le sue qualità a divenire agitatore, or- ganizzatore, propagandista, diffusore di stampa, ecc., di professio- ne. Da questo punto di vista, noi sprechiamo vergognosamente le nostre forze, non sappiamo aver cura di ciò che è necessario conser- • Svoboda , n. i, articolo L’organizzazione (p. 66): «La massa operaia appoggerà con tutto il proprio peso le rivendicazioni poste in nome del Lavoro [naturalmente con la maiuscola] russo». E l'autore esclama: «Non sono affatto ostile agli intellettuali, ma... [è questo ma che Stcedrin ha tradotto con il proverbio: le orecchie non crescono più ih su della fronte!]... ma quando qualcuno viene a raccontarmi delle cose molto belle, magnifiche, ed esige che io le consideri espressione della sua bellezza c di altri meriti simili, vado sempre su tutte le furie » (p. 62). Anch’io per questo vado « sem- pre su tutte le furie », 436 LENIN vare e sviluppare con particolare sollecitudine. Guardate i tedeschi: le loro forze sono cento volte superiori alle nostre, ma essi compren- dono perfettamente che gli operai « medi > non forniscono troppo fre- quentemente degli agitatori veramente capaci. Si sforzano perciò di porre immediatamente ogni operaio capace in condizione di sviluppare e di applicare tutte le sue attitudini; ne fanno un agitatore di profes- sione, lo incoraggiano ad allargare il campo della sua attività, a esten- derlo da un officina a tutta l’industria, da una località a tutto il paese. Così queH’operaio acquista esperienza e abilità professionale, allarga il suo orizzonte ed aumenta le sue cognizioni, osserva da vicino i mag- giori capi politici delle altre località e degli altri partiti, si sforza di elevarsi al loro livello e di riunire in s è la conoscenza dell’ambiente operaio e l’ardore della fede socialista con la competenza professio- nale, senza la quale il proletariato non può condurre una lotta tenace contro un nemico perfettamente allenato. Così e soltanto così i Bebel e gli Auer sorgono dalla massa operaia. Ma ciò che spesso avviene na- turalmente in un paese politicamente libero, deve essere, nel nostro paese, opera sistematica delle nostre organizzazioni. Qualunque agi- tatore operaio che abbia un certo ingegno e « dia delle speranze » non deve lavorare undici ore in officina. Dobbiamo fare in modo che egli viva a spese del partito, che possa, quando sarà necessario, passare alla vita illegale, trasferirsi in altre città. Senza di ciò non acquisterà mai una grande esperienza, non allargherà il suo orizzonte, non resisterà, se non per qualche anno, nella lotta contro la polizia. Via via che la spinta spontanea del movimento operaio si rafforza e si estende, le masse operaie ci forniscono sempre più non solo degli agitatori, ma anche degli organizzatori, dei propagandisti di ingegno e dei « pra- tici > (pratici nel miglior senso della parola, come ve ne sono ben pochi tra i nostri intellettuali, per natura piuttosto noncuranti e fiac- chi). Quando avremo dei gruppi di operai rivoluzionari, opportuna- mente preparati da un lungo addestramento (beninteso in ♦ tutte le armi » dell’azione rivoluzionaria), nessuna polizia al mondo potrà li- quidarli, perchè quei gruppi di uomini, devoti anima e corpo alla rivo- luzione, godranno anche della fiducia illimitata delle più larghe masse operaie. Se spingiamo troppo poco gli operai su questa via, sulla via deH’addestramento rivoluzionario che è comune a loro ed agli « intel- lettuali se li tratteniamo troppo spesso con dei discorsi stupidi su CHE FARE? 437 quello che è « accessibile * alla massa operaia, agli « operai medi », la colpa ricade direttamente su noi. Sotto questo, come sotto gli altri rapporti, la ristrettezza del lavoro organizzativo è certo indissolubilmente legata al restringimento della nostra teoria e dei nostri compiti politici (per quanto questo legame non sia percepito dalla immensa maggioranza degli « economisti > e dei militanti alPinizio del loro lavoro). La sottomissione alla spon- taneità genera una specie di paura di allontanarsi anche di un passo da ciò che è « accessibile » alla massa, di elevarsi troppo al di sopra del semplice soddisfacimento dei suoi bisogni immediati. Non abbiate questa paura, signori! Ricordate che, per quanto riguarda [organiz- zazione, ci troviamo a un livello così basso che è assurdo pensare che potremmo spingerci troppo in alto! e) Organizzazione « cospirativa » e « democrazia » È invece precisamente questo che molti fra di noi — così sensibili alla « voce della realtà » — paventano come il fuoco, accusando i partigiani delle opinioni qui esposte di essere come i seguaci della « Vo- lontà del popolo », di non comprendere la « democrazia », ecc. Bisogna soffermarsi su queste accuse, naturalmente ripetute dal Raboceie Dielo . Chi scrive sa benissimo che gli economisti pietroburghesi accusa- vano anche la Rabociaia Gazieta di pencolare verso la «Volontà del popolo » (ed è comprensibile, se si confronta la Rabociaia Gazieta con la Rabociaia Mysl), Non ci siamo quindi meravigliati quando abbiamo saputo da un compagno che i socialdemocratici della città X definivano Ylsf(ra y poco dopo la sua comparsa, un organo della « Vo- lontà del popolo ». Questa accusa era in fondo lusinghiera per noi, perchè a quale buon socialdemocratico non è stata mossa questa accusa dagli economisti? Queste accuse sono originate da un duplice malinteso. Innanzi tutto, nel nostro paese si conosce così male la storia del movimento rivoluzionario che su qualunque tipo di organizzazione di combatti- mento centralizzata e che dichiari risolutamente guerra allo zarismo si appiccica l’etichetta della « Volontà del popolo ». Ma l’eccellente or- ganizzazione che avevano i rivoluzionari degli anni settanta, e che dovrebbe servire di esempio a noi tutti, non è stata creata dai seguaci della « Volontà del popolo », bensì da quelli di « Terra e libertà », i 438 LENIN quali, più tardi, si scissero in partigiani della ripartizione nera e in partigiani della « Volontà del popolo ». Considerare dunque ogni or- ganizzazione rivoluzionaria di combattimento come qualcosa che ap- partenga specificamente a quest’ultima organizzazione, è assurdo sto- ricamente e logicamente, perchè nessuna corrente rivoluzionaria può fare a meno di un’organizzazione simile se si propone di lottare sul serio. Lo sforzo compiuto dai seguaci della «Volontà del popolo» per attrarre tutti gli scontenti nella propria organizzazione e orientarli verso la lotta effettiva contro l’àssolutismo non fu un errore, ma un grande merito storico. Il loro errore consistè invece nell’essersi basati su una teoria che in sostanza non era per nulla rivoluzionaria e nel non aver saputo e potuto legare indissolubilmente il loro movimento alla lotta di classe nella società capitalistica in sviluppo. E solo la più gros- solana incomprensione del marxismo (o la sua interpretazione « stru- vista ») poteva far credere che il sorgere di un movimento operaio di massa spontaneo ci esonerasse dal dovere di costituire un organizza- zione rivoluzionaria solida come quella di «Terra e libertà», anzi incomparabilmente migliore. Questo dovere ci è invece imposto dal movimento, perchè la lotta spontanea del proletariato diventerà una vera « lotta di classe » solo quando sarà diretta da una forte organizza- zione di rivoluzionari. In secondo luogo, molti — * compreso evidentemente Kricevski ( Ra - boceie Dielo , n. io, p. 18) — interpretano falsamente la polemica contro la concezione « cospirativa » della lotta politica, che i socialdemocratici sempre hanno condotto. Noi ci siamo sempre opposti — e beninteso continueremo a farlo — a ogni tentativo di restringere la nostra lotta politica per ridurla ad un complotto *, ma ciò non significa af- fatto negare la necessità di una forte organizzazione rivoluzionaria. Per esempio, nell’opuscolo ricordato in nota, si polemizza contro co- loro i quali vorrebbero ridurre la lotta politica ad una cospirazione e si parla, in pari tempo, di un’organizzazione (presentata come l’ideale socialdemocratico) abbastanza forte per poter « ricorrere all’insurre- zione » e ad ogni « altro mezzo di attacco » ** « per infliggere il colpo • Cfr. 7 compiti dei socialdemocratici russi , p. 21 della polemica contro P. Lavrov [Cfr., nella presente edizione, voi. 2, pp. 329-331 (N. d>R.)]. *• / compiti dei socialdemocratici russi (p. 23) [Cfr., nella presente edizione, voi. 2, p. 332 (N.d.R.)], Ecco un’altra prova che il Raboceie Dielo o non comprende ciò che scrive, oppure cambia d’opinione « secondo il vento ». « Il contenuto dell'opuscolo , dice, coincide interamente col programma della redazione del Raboceie Dielo ( Ra - CHE PARE? 439 decisivo all'assolutismo ». Ove si tenga conto solo della forma , un’or- ganizzazione rivoluzionaria di tal genere, in un paese autocratico, può anche essere definita « cospirativa », perchè il segreto le è assoluta- mente necessario, tanto necessario che determina in via pregiudiziale tutte le altre condizioni (numero, scelta, funzione dei militanti, ecc.). Perciò, quando ci si accusa di voler creare un'organizzazione cospi- rativa, noi, socialdemocratici, saremmo molto ingenui se ce ne spa- ventassimo. Una simile accusa è, per ogni avversario deireconomismo, non meno lusinghiera dell’accusa di essere un partigiano della «Vo- lontà del popolo ». Ma, si obietterà, un’organizzazione così forte e così rigorosamente segreta, che concentri nelle sue mani tutti i fili dell’azione clandestina, un’organizzazione necessariamente centralizzata può molto facilmente lanciarsi in un attacco prematuro e forzare il movimento in modo in- consulto, prima che l'attacco sia reso possibile e necessario dallo sviluppo del malcontento politico, dall’impeto del fermento e della irritazione esistenti nella classe operaia, ecc. Risponderemo: astrat- tamente parlando non si può negare che un’organizzazione di com- battimento possa ingaggiare avventatamente una battaglia che in altre condizioni non si sarebbe forse perduta. Ma, in realtà, non ci si può limitare a considerazioni astratte, perché in ogni battaglia vi sono possibilità astratte di sconfitta, e il solo mezzo per delimitarle è di prepararsi sistematicamente alla lotta. Ma, se si pone la questione sul terreno concreto della situazione russa attuale, si giunge alla con- clusione positiva che una forte organizzazione rivoluzionaria è assolu- tamente necessaria per rendere stabile il movimento e per premunirlo contro la possibilità di attacchi inconsulti. Proprio in questo momento, data la mancanza di una simile organizzazione, dato il rapido sviluppo spontaneo del movimento operaio, si possono già notare due estremi (che, come è naturale, «si toccano»): un economismo assolutamente inconsistente, che predica la moderazione, e un « terrorismo stimo- lante » che è altrettanto inconsistente e cerca « di provocare artificial- mente i sintomi della fine di un movimento il quale è in progresso boccic Dieloy n. I , p. 14 z, in corsivo). Davvero? Il rifiuto di assegnare al movi- mento di massa, come primo obiettivo, l’abbattimento dell’autocrazia coincide con le idee svolte nell’opuscolo? La teoria della « lotta economica contro i padroni e contro il governo » coincide con quella dell’opuscolo? E la teoria degli stadi? Giudichi il lettore la fermezza dei principi di una rivista che comprende in modo così originale la « coincidenza di idee ». 44 ° LENIN continuo, ma ancora più vicino al punto di partenza che non al punto di arrivo» (Vera Zasulic, nella Zarià y n. 2-3, p. 353). L’esempio del Raboceie Dielo indica che vi sono già dei socialdemocratici i quali ca- pitolano dinanzi a questi due estremismi. E non è affatto strano per- chè, a parte le altre ragioni, è evidente che « la lotta economica contro i padroni e contro il governo » non soddisferà mai un rivoluzionario, ed è quasi fatale che i due estremismi opposti sorgano qua e là. Sol- tanto un’organizzazione di combattimento centralizzata, che esplichi con energia un’azione politica socialdemocratica e soddisfi, per così dire, tutti gli istinti e tutte le aspirazioni rivoluzionarie, può premu- nire il movimento contro un’offensiva inconsulta e preparare un at- tacco che possa concludersi con la vittoria. Ci si obietterà ancora che la nostra concezione sulle questioni or- ganizzative contrasta con il « principio democratico ». Se l’accusa pre- cedente era di origine specificamente russa, quest’ultima ha un ca- rattere specificamente estero . Soltanto un’organizzazione che sta al- l’estero (l’« Unione dei socialdemocratici ») poteva dare alla propria redazione, fra le altre, le istruzioni seguenti: € Direttiva di organizzazione . Nell’interesse dello sviluppo e della unità della socialdemocrazia, è opportuno mettere in rilievo, sviluppare, rivendicare il principio di una larga democrazia neirorganizzazione di partito. Ciò è tanto più necessario in quanto certe tendenze antidemocra- tiche si sono già manifestate nelle file dell’organizzazione » {Due congressi , p. 18). Vedremo nel prossimo capitolo come il Raboceie Dielo lotti contro le « tendenze antidemocratiche » dell’/^nz. Per ora esaminiamo più accuratamente il « principio » esposto dagli economisti. Il « principio di una larga democrazia » implica — tutti ne converranno — due con- dizioni sine qua non : la prima è che tutto si svolga alla luce del sole, e la seconda che tutte le cariche siano elettive. Sarebbe ridicolo parlare di democrazia, se gli atti del partito non fossero pubblici, ma accessibili solo ai membri dell'organizzazione. Chiameremo democratica l’orga- nizzazione del partito socialista tedesco, perchè tutto vi si svolge aper- tamente, perfino le sedute del congresso; ma nessuno chiamerà demo- cratica un’organizzazione che rimanga segreta per tutti coloro che non vi sono iscritti. Perchè allora formulare il « principio di una larga de- CHE FARE? 441 mocrazia », se [organizzazione clandestina non può rispettare la con- dizione essenziale per applicarlo? In questo caso, tale «principio» è soltanto una frase, sonora ma vuota. Anzi, questa frase dimostra una completa incomprensione dei nostri compiti immediati nel campo organizzativo. Tutti sanno quanto la «grande» massa dei rivoluzio- nari custodisca male i segreti in Russia. Abbiamo potuto costatarlo al pari di B-v, il quale se ne lagna amaramente e domanda a buon diritto una « selezione rigorosa degli iscritti » (Raboceie Dielo, n. 6, p. 42). Eppure ecco dei militanti che si vantano del loro « senso della realtà » e sottolineano in una simile situazione non la necessità di un segreto rigoroso e di una selezione rigorosa (e quindi ristretta) degli iscritti, ma il « principio di una larga democrazia »! Che aberrazione! Lo stesso dicasi per la seconda premessa della democrazia, l’eleggi- bilità. Essa è naturalmente sottintesa nei paesi di libertà politica. « Sono considerati iscritti al partito tutti coloro che accettano i principi del programma del partito e che lo sostengono nella misura delle loro forze », dice il primo articolo dello statuto del partito socialdemocratico tedesco. Poiché tutta Parena politica è visibile a tutti, come la scena di un teatro per gli spettatori, tutti sanno dai giornali e dalle assemblee pubbliche se questa o quella persona accetta o non accetta il pro- gramma, se sostiene o no il partito, Si sa che questo o quel militante politico ha cominciato in questo o quel modo, ha compiuto questa 0 quella evoluzione, ha preso questo 0 que [Patteggi amento in un mo- mento difficile della sua vita, è dotato di questa 0 quella qualità. Così tutti i membri del partito possono, con conoscenza di causa, eleggerlo o no a questa o a quella carica di partito. Il controllo ge- nerale (nel significato letterale della parola), esercitato da ognuno su ogni iscritto al partito nel corso della sua carriera politica, crea un meccanismo che funziona automaticamente ed assicura ciò che in biologia si chiama la « sopravvivenza dei più adatti ». Per ef- fetto di questa « selezione naturale », derivante dal carattere pub- blico di ogni atto, dalPeleggibilità e dal controllo generale, ogni mili- tante si trova, alia fine, al proprio posto, assume il compito più adatto per le sue forze e per le sue capacità, sopporta lui stesso tutte le conse- guenze dei suoi errori e dimostra dinanzi a tutti la propria capacità di comprendere i suoi errori e di evitarli. Cercate di immaginare una situazione simile sotto la nostra auto- crazia! È possibile che in Russia tutti «coloro che accettano i principi 29 - 754 442 LENIN del programma del partito e che lo sostengono nella misura delle loro forze» controllino ad ogni passo i rivoluzionari clandestini? È forse possibile per loro fare una scelta fra questi ultimi, quando il rivolu- zionario è costretto , nelPinteresse della causa, a nascondere la propria identità ai nove decimi degli iscritti all'organizzazione? Si rifletta un momento sul significato reale delle grandi parole del Raboceie Dielo e si comprenderà che una « larga democrazia » in un'organizzazione di partito che vive nelle tenebre dell'autocrazia, nel regime della selezione poliziesca, non è che un balocco inutile e dannoso . Inutile, perchè nes- suna organizzazione rivoluzionaria ha mai applicato, nè, anche vo- lendo, potrà mai applicare, una larga democrazia. Dannoso, perchè i tentativi di applicare effettivamente il « principio di una larga demo- crazia » servono solo a facilitare le larghe retate, a perpetuare il regno del primitivismo, a distogliere i militanti dal pensiero del loro compito serio ed impellente, che consiste nel formare la propria educazione di rivoluzionari di professione, per concentrarlo su quello della compila- zione di statuti particolareggiati e « cartacei » sui sistemi elettorali. Solo all’estero, ove spesso si raccoglie gente che non ha la possibilità di svolgere un vero lavoro attivo, s’è potuto manifestare qua e là, e so- prattutto nei diversi piccoli gruppi, questo «giuoco alla democrazia». Per dimostrare al lettore quanto sia disonesto il metodo preferito dal Raboceie Dielo> che applica il bel « principio » della democrazia all'azione rivoluzionaria, citeremo ancora un testimonio, Serebriakov, direttore della rivista Nai(anunie di Londra, che unisce ad una pro- nunciata simpatia per il Raboceie Dielo una forte avversione contro Plekhanov e i suoi seguaci. Negli articoli sulla scissione della « Unio- ne dei socialdemocratici russi » all'estero, il Nai{antinie ha preso decisamente la parte del Raboceie Dielo e ha fatto piovere una gran- dine di recriminazioni contro Plekhanov. Ancora più preziose sono perciò le sue opinioni su questo problema. Nell’articolo intitolato A proposito delYappello del gruppo di autoemancipazione degli operai ( Nakanunic , n. 7, luglio 1899), Serebriakov, segnalando la « sconve- nienza » di sollevare le questioni « di presunzione, di preminenza, del cosiddetto areopago in un movimento rivoluzionario serio», scrive fra l'altro: c MyscEin, Rogacev, Geliabov, Mikhailov, Pierovskaia, Fighncr cd altri non si sono mai considerati come dei capi. Nessuno li ha nominati nè CHE FARE? 443 eletti. Eppure erano in realtà dei capi, perchè, sia nei periodi di propa- ganda che nei periodi di lotta contro il governo, si addossavano il lavoro più difficile, andavano nei luoghi più pericolosi ed esplicavano Fattività più utile. E questa preminenza non era il risultato di un loro desiderio, ma della fiducia che i compagni che li circondavano avevano nella loro in- telligenza, nella loro energia e nella loro devozione. Preoccuparsi di un areopago [e se non ce se ne preoccupa, perchè parlarne?] che dirigerebbe dittatorialmente il movimento, sarebbe troppo ingenuo. Chi ubbidirebbe? ». Lo domandiamo al lettore: quale differenza vi è fra un «areo- pago» e le «tendenze antidemocratiche»? Non è forse evidente che lo « specioso » principio di organizzazione del Raboccic Dìelo è tanto ingenuo quanto sconveniente? Ingenuo, perchè l’« areopago » o gli uomini di « tendenze antidemocratiche » non sarebbero obbediti da nessuno, se « i compagni che li circondano non avessero fiducia nella loro intelligenza, nella loro energia e nella loro devozione»; sconve- niente perchè si tratta solo di una trovata demagogica, che specula sulla vanità di taluni, sul fatto che altri non conoscono la reale situa- zione del movimento, sul fatto che altri ancora sono impreparati e ignorano la storia del movimento rivoluzionario. Per i militanti del no- stro movimento, il solo principio organizzativo serio dev’essere: rigo- rosa clandestinità, scelta minuziosa degli iscritti, preparazione di rivo- luzionari di professione. Con queste qualità avremo anche qualcosa di più della « democrazia » : avremo una fiducia completa e fraterna fra rivoluzionari. E questo qualcosa di più è senza dubbio necessario per noi, perchè da noi, in Russia, non è possibile sostituirlo con il controllo democratico generale. Sarebbe d’altra parte un errore gravissimo cre- dere che, a causa deH’impossibilità di un controllo veramente « demo- cratico », non si possano controllare i membri dell’organizzazione rivo- luzionaria. Questi ultimi infatti non hanno il tempo di pensare alle forme esteriori della democrazia (in un piccolo nucleo di compagni che abbiano gli uni verso gli altri una completa fiducia), ma sentono molto fortemente la propria responsabilità e sanno inoltre per espe- rienza che, per sbarazzarsi di un membro indegno, un organizzazione di veri rivoluzionari non arretrerà dinanzi a nessun mezzo. Inoltre, nel nostro ambiente rivoluzionario russo (e internazionale), esiste un opinione pubblica abbastanza sviluppata, che ha una lunga tradi- zione e che punisce implacabilmente ogni mancanza verso i doveri dei compagni (ora la « democrazia », autentica, che non è un semplice 2*) w 444 LENIN balocco, è un elemento che fa parte organicamente dei rapporti fra compagni!). Si tenga conto di tutto questo e si comprenderà come i discorsi e le risoluzioni sulle « tendenze antidemocratiche » puzzino di chiuso e rivelino la burlesca tendenza degli emigrati a fare i ge- nerali! Si deve inoltre notare che l’ingenuità — seconda sorgente di tali discorsi — è la conseguenza di un’idea abbastanza confusa sulla na- tura della democrazia. L’opera dei coniugi Webb sul tradunionismo contiene un capitolo curioso sulla « democrazia primitiva ». Gli autori vi raccontano che gli operai inglesi nel primo periodo d’esistenza dei loro sindacati consideravano come condizione necessaria della demo- crazia la partecipazione di tutti gli iscritti a tutti i particolari dell’am- ministrazione del sindacato. Tutte le questioni erano risolte mediante il voto di tutti i membri e le cariche stesse erano coperte, a turno, da tutti gli iscritti. Fu necessaria una lunga esperienza storica perchè gli operai comprendessero l’assurdo di una simile concezione della de- mocrazia e la necessità di organi rappresentativi da una parte e di funzionari sindacali dall’altra. Occorsero parecchi fallimenti di casse sindacali per far comprendere agli operai che la questione del rapporto diretto fra le quote versate e i sussidi accordati non poteva essere ri- solta solo da un voto democratico, ma che era necessario il consiglio di una persona esperta nei problemi delle assicurazioni sociali. Pren- dete ih libro di Kautsky sul parlamentarismo e la legislazione popo- lare e vedrete che le conclusioni cui giunge il teorico marxista concordano con la lunga esperienza del movimento operaio « sponta- neo». Kautsky si leva risolutamente contro la concezione rudimentale della democrazia sostenuta da Rittinghausen, schernisce coloro che sono pronti a domandare, in nome di una simile democrazia, che i « giornali popolari siano redatti direttamente dal popolo », dimostra la necessità di giornalisti professionali, di parlamentari, ecc. per la di- rezione socialdemocratica della lotta di classe proletaria, attacca il « socialismo degli anarchici e dei letterati » che, « mirando all’effetto », esaltano il potere legislativo esercitato direttamente dal popolo e non comprendono che l’applicazione di questo principio è molto relativa nella società attuale. Chi ha lavorato praticamente nel nostro movimento sa quanto sia diffusa la concezione « primitiva » della democrazia nella massa della gioventù universitaria e degli operai. Nulla di strano quindi che essa CHE FARE? 445 appaia anche negli statuti e nella letteratura. Gli economisti della scuola di Bernstein scrivono nel loro statuto: « § io. Tutte le questioni che interessano l’intera organizzazione sono decise da tutti gli iscritti a maggioranza di voti >. Gli economisti del tipo terrorista ripetono, se- guendoli : « È necessario che le decisioni dei comitati passino per tutti i circoli prima di essere obbligatorie » (Svoboda, n. i, p. 67). Notate che a questa richiesta di una larga applicazione del referendum si unisce quella di una struttura di tutta l’organizzazione basata sul prin- cipio elettivo! Naturalmente, con ciò non vogliamo affatto condan- nare quei militanti che hanno avuto troppo poche possibilità per co- noscere bene la teoria e la pratica delle organizzazioni veramente democratiche. Ma quando il Raboceie Dielo , che pretende di dirigere, si limita, in tali condizioni, a una risoluzione sul principio di una larga democrazia, come non dire che « mira > puramente e semplice- mente « all’effetto » ? f) Lavoro locale e lavoro nazionale Se le obiezioni secondo cui il piano di organizzazione qui esposto non sarebbe democratico e avrebbe un carattere clandestino sono prive di qualsiasi fondamento, rimane ancora una questione sollevata molto spesso e che merita un esame particolareggiato : quella del rapporto fra lavoro locale e lavoro nazionale. La costituzione di un’orga- nizzazione centralizzata — ci si domanda con qualche inquietudine — non farà spostare il centro di gravità dal primo sul secondo? E ciò non danneggerà il movimento? I nostri legami con la massa operaia non ne saranno indeboliti, e, in generale, la continuità del- l’agitazione locale non ne soffrirà? Risponderemo che in questi ultimi anni il nostro movimento si è trovato indebolito proprio per il fatto che i militanti locali sono troppo assorbiti dal lavoro locale, che è quindi assolutamente necessario spostare alquanto il centro di gravità verso il lavoro nazionale e che questo spostamento non indebolirà, ma rafforzerà i nostri legami con la massa e la continuità della no- stra agitazione locale. Per dimostrarlo, esaminiamo la questione del giornale centrale e dei giornali locali. Non dimentichi però il lettore che la stampa è per noi solo un esempio per illustrare tutta l’azione rivoluzionaria, infinitamente più vasta e multiforme. Nel primo periodo del movimento di massa (1896-1898), i militanti 446 LENIN locali fanno un tentativo per organizzare un giornale per tutta la Russia: la Rabociaia Gazieta ; nel periodo successivo (1898-1900) il mo- vimento progredisce notevolmente, ma l’attenzione dei dirigenti è completamente assorbita dai giornali locali. Se si esamina il complesso di quei giornali si trova # che ne è stato pubblicato, in media, un nu- mero al mese. Non è questo un esempio evidente del nostro primitivi- smo? Non prova forse che la nostra organizzazione rivoluzionaria è in ritardo sullo slancio spontaneo delle masse? Se lo stesso numero di giornali fosse stato pubblicato non da gruppi locali dispersi, ma da un’organizzazione unica, avremmo economizzato una notevole quan- tità di forze e il nostro lavoro sarebbe stato incomparabilmente più stabile e continuo. Ecco una costatazione molto semplice, di cui troppo spesso non tengono conto quei militanti che lavorano attivamente quasi soltanto per i giornali locali (disgraziatamente, nella stragrande maggioranza dei casi, la situazione è oggi ancora questa) e quei pub- blicisti che in questa questione danno prova di un donchisciottismo stupefacente. Il militante si accontenta ordinariamente di ritenere « difficile > * ** per dei militanti locali l’organizzazione di un giornale per tutta la Russia e preferibile perciò di avere dei giornali locali, an- ziché non averne affatto. Questo è certamente giusto e riconosciamo, senza difficoltà, la grandissima importanza e la grandissima utilità dei giornali locali in generale . Ma non si tratta di questo: si tratta di sa- pere se non è possibile rimediare alla dispersione, al primitivismo, attestato così chiaramente dalla comparsa di trenta numeri di giornali locali in tutta la Russia nel giro di due anni e mezzo. Non limitatevi dunque ad affermazioni incontestabili, ma troppo generiche, sull’uti- lità dei giornali locali in generale, ma abbiate anche il coraggio di rilevarne apertamente i lati negativi, messi in luce dalFesperienza di due anni e mezzo. L’esperienza dimostra che, nelle nostre condizioni, i giornali locali sono per lo più tentennanti dal punto di vista dei principi, senza importanza politica, troppo onerosi per il dispendio di forze rivoluzionarie che esigono e per nulla soddisfacenti tecnicamente (non parlo, beninteso, della tecnica tipografica, ma della frequenza e * Si veda il Rapporto al Congresso di Parigi , p. 14: «Dal 1897 al 1900 (prima- vera) sono comparsi in varie località trenta numeri di giornali diversi... In media si è pubblicato più di un numero al mese ». •• Questa difficoltà è solo apparente. In realtà non c'è neppure un circolo locale che non possa assolvere una qualche funzione in un'attività rivoluzionaria su scala na- zionale. « Non dite: non posso; dite; non voglio ». CHE FARE? 447 della regolarità della pubblicazione). E tutti questi difetti non dipen- dono dal caso, ma sono ['inevitabile risultato di quello spezzettamento che, da una parte, spiega la prevalenza dei giornali locali nel periodo in questione e, dall’altra, perpetua questa prevalenza. Un’organizza- zione locale isolata non ha la forza di assicurare al proprio giornale la fermezza dal punto di vista dei principi, nè di farne un organo politico nel vero senso della parola, non può raccogliere e utilizzare materiali sufficienti per mettere in luce tutta la nostra vita politica. L’argomento che comunemente si adduce nei paesi liberi per giustificare la neces- sità di numerosi giornali locali: basso costo (perchè sono fatti da ope- rai del posto), larghezza e rapidità di informazioni alla popolazione locale; questo argomento , come è provato dallesperienza, si ritorce nel nostro paese contro i giornali locali. Questi ultimi costano asso- lutamente troppo, come consumo di forze rivoluzionarie, e compaiono ad intervalli estremamente lunghi, per la semplice ragione che un giornale illegale , per quanto piccolo, ha bisogno di un immenso ap- parato clandestino, il quale può esistere solo in un grande centro in- dustriale e non può essere organizzato in una bottega d’artigiano. Il carattere rudimentale dell’apparato clandestino permette ordinaria- mente alla polizia, dopo la pubblicazione e la diffusione di uno o due numeri, di effettuare una vasta retata e di distruggere tutta Torganiz- zazione, di modo che si deve ricominciare da capo (ogni militante pratico conosce infiniti casi di questo genere). Un buon apparato clan- destino esige una buona preparazione professionale dei rivoluzionari e una divisione rigo/osamente logica del lavoro. Ma un organizza- . zione locale, per quanto forte essa sia in questo momento, non può assolutamente rispondere a queste due esigenze. Anche astraendo da- gli interessi generali del nostro movimento (educazione socialista e politica conseguente degli operai), gli interessi specificamente locali sono meglio difesi dagli organi non locali . Sembra a prima vista un paradosso ed è invece un fatto incontestabile, provato da un’espe- rienza di due anni e mezzo. Tutti riconosceranno che, se tutte le ener- gie locali che hanno fatto comparire trenta numeri di giornali avessero lavorato per un solo giornale, quest’ultimo avrebbe pubblicato facil- mente sessanta, se non cento numeri, e avrebbe quindi dato un qua- dro più completo delle particolarità puramente locali del movimento. Certo non è facile giungere a questo grado di organizzazione, ma bi- sogna che ne riconosciamo la necessità, bisogna che ogni circolo lo- 448 LENIN cale vi pensi e lavori attivamente , senza attendere alcun impulso dal- l’esterno, senza lasciarsi sedurre dall’idea che un organo locale sia più accessibile alla popolazione locale, il che è in gran parte un’illusione, come dimostra la nostra esperienza rivoluzionaria. E rendono un cattivo servizio al lavoro pratico quei pubblicisti che, credendosi particolarmente vicini ai « pratici », non se ne rendono conto e se la sbrigano con un ragionamento straordinariamente facile e straordinariamente vuoto: occorrono dei giornali locali, occorrono dei giornali regionali, occorrono dei giornali per tutta la Russia. Tutto ciò è necessario, indubbiamente; ma bisogna pensare anche alle con- dizioni ambientali e al momento quando si cerca di risolvere con- cretamente una questione organizzativa. Nop è infatti donchisciot- tesco scrivere, come fa la Svoboda (n. i, p. 68 ) quando « si sofferma par- ticolarmente sulla questione del giornale » : « Secondo noi, ogni agglo- merazione operaia di qualche importanza deve avere un proprio gior- nale operaio: non un giornale proveniente da altre località, ma un giornale suo proprio »? Se questo giornalista non riflette sul significato delle sue parole, rifletteteci voi, lettori, per lui : quante decine e cen- tinaia t di agglomerazioni operaie di qualche importanza » vi sono in Russia e per quanto tempo persisterebbe ancora il nostro primiti- vismo se ogni organizzazione locale si mettesse a pubblicare il pro- prio giornale! E come tanta dispersione faciliterebbe il lavoro della polizia! Come le permetterebbe di mettere le mani senza nessuno sforzo « di qualche importanza » sui militanti locali fin daH’inizio della loro azione, prima ancora che abbiano avuto il tempo di diven- tare dei veri rivoluzionari! In un giornale per tutta la Russia — con- tinua l’autore — le malefatte degli industriali e « i fatterelli della vita d’officina di questa o quella città sconosciuta » non offrirebbero nessun interesse; ma « l'abitante di Oriol sarà sempre contento di leggere quanto avviene ad Oriol. Egli conosce coloro a cui ” sono state rive- dute le bucce”, coloro ai quali "si è detto il fatto loro"; e ” la sua anima canta " » (p. 69). Certamente, l’anima dell’abitante di Oriol canta, ma anche il pensiero del nostro pubblicista « canta » troppo. È opportuna questa difesa della lotta per cose meschine? Ecco su che cosa egli dovrebbe riflettere. Certo, le rivelazioni sulla vita di officina sono necessarie ed importanti, siamo i primi a riconoscerlo. Ma bisogna ricordare che oggi siamo giunti a un momento in cui le corrispondenze pietroburghesi del giornale pietroburghese Rabociaia CHE FARE? 449 Mysl cominciano già ad annoiare i pietroburghesi. Per le rivelazioni sulle officine abbiamo sempre avuto e dovremo sempre avere dei vo- lantini locali, ma, per quanto riguarda il nostro giornale , dobbiamo elevarlo e non abbassarlo al livello di un foglio di officina. Per mezzo di un « giornale » dobbiamo rivelare non tanto i « fatterelli » quanto i difetti essenziali, tipici della vita di officina; dobbiamo esporre esempi particolarmente importanti e che possono quindi interessare tutti gli operai e tutti i dirigenti del movimento, aumentarne le co- gnizioni, allargarne lorizzonte, risvegliare alla vita un nuovo rione urbano, una nuova categoria di operai. « In un giornale locale si possono cogliere immediatamente tutte le malefatte dei padroni o delle autorità. A un giornale centrale lon- tano, invece, la notizia arriva dopo molto tempo e, prima ancora che il giornale compaia, Tavvenimento è già dimenticato ed il lettore dirà: ”Ma quando è accaduto questo fatto? Signore, aiuta la mia memo- ria ” > (ivi). Proprio cosi: signore, aiuta la mia memoria! I trenta nu- meri pubblicati in due anni e mezzo sono comparsi, secondo lo stesso rapporto, in sei città. Il che significa, in media, un numero per ogni se - me s tre in ogni città! Anche se il nostro pubblicista irriflessivo triplica nelle sue supposizioni il rendimento del lavoro locale (e sarebbe un calcolo assolutamente sbagliato per una città media, perchè il nostro primitivismo impedisce un aumento considerevole del rendimento) avremmo solo un numero ogni due mesi e sarebbe quindi impossibile « cogliere immediatamente » le notizie. Ma basta che dieci organizza- zioni locali si uniscano e affidino a dei delegati la funzione attiva di organizzare un giornale comune per poter allora «cogliere» — ogni quindici giorni — in tutta la Russia , non i fatterelli, ma gli abusi ti- pici! Coloro che sanno ciò che avviene nelle nostre organizzazioni non ne possono dubitare. In quanto a cogliere effettivamente — e non a parole — il nemico in flagrante delitto, un giornale illegale non lo potrebbe fare; ciò è possibile unicamente ai fogli volanti, perchè nella maggior parte dei casi non si ha più di un giorno o due di tempo (se sì tien conto per esempio dei casi abituali: un breve scio- pero, un conflitto fra operai e poliziotti in officina, una manifestazione qualsiasi, ecc.). « L operaio non vive soltanto nellofficina, ma anche nella città », continua il nostro autore, passando dal particolare al generale con una logica ferrea che farebbe onore perfino a Boris Kricevski. E se- 450 LENIN gnala le questioni relative alle dume municipali, agli ospedali, alle scuole, ecc., esigendo che il giornale operaio si occupi degli affari mu- nicipali in generale. L’esigenza è giustissima, ma dimostra che quando si discute di giornali locali ci si accontenta troppo spesso di astrazioni prive di contenuto. Innanzi tutto, se, come vorrebbe la Svoboda , in « ogni agglomerazione operaia di qualche importanza » si fondassero dei giornali con una rubrica municipale particolareggiata, si degene- rerebbe fatalmente, nelle condizioni russe attuali, in una lotta per cose meschine, si indebolirebbe la nozione dell’importanza di una spinta rivoluzionaria generale contro lo zarismo, si rafforzerebbero i germi, più dissimulati e compressi che non effettivamente estirpati, della ten- denza resa ormai famosa dalla celebre frase sui rivoluzionari che par- lano troppo del parlamento inesistente e troppo poco delle dume mu- nicipali esistenti. Fatalmente, diciamo, sottolineando così che la Svo- boda non vuole questo ma l’opposto. Però le buone intenzioni non ba- stano. Per ottenere che le questioni municipali siano viste in una giusta prospettiva rispetto all’insieme del nostro lavoro, bisogna dap- prima determinare questa prospettiva e stabilirla con chiarezza, non solo con dei ragionamenti, ma con un complesso di esempi, bisogna darle la solidità di una tradizione. Ne siamo ancora ben lontani, e quindi di lì bisogna cominciare , prima di poter anche solo pensare e parlare di una grande stampa locale. In secondo luogo, per scrivere veramente bene e in modo interes- sante sulle questioni municipali, bisogna conoscerle a fondo, e non solo attraverso i libri. Invece in tutta la Russia non ci sono quasi, si può dire, dei socialdemocratici che le conoscano. Per trattare su un giornale (e non in un opuscolo popolare) le questioni della città e dello Stato, bisogna disporre di numerosi documenti recenti, messi in- sieme ed elaborati da un uomo intelligente. Ma per raccoglierli ed elaborarli, non basta la « democrazia primitiva » di un circolo primi- tivo, in cui tutti si occupano di tutto e si divertono con dei referen- dum. È necessario uno stato maggiore di scrittori specializzati, di corrispondenti specializzati, un esercito di cronisti socialdemocratici che stabiliscano dei contatti dappertutto, che sappiano scoprire tutti i « segreti di Stato > (il funzionario russo che li conosce si dà tante arie ma nello stesso tempo li divulga così facilmente!), che sappiano penetrare tutti i « retroscena >, e un esercito di uomini che abbiano 1*« incarico » di essere in ogni luogo e di saper tutto. E noi — partito CHE FARE? 451 della lotta contro ogni oppressione economica, politica, sociale, nazio- nale — possiamo e dobbiamo trovare, raccogliere, istruire, mobilitare e mettere in marcia quest’esercito di uomini onniscienti: ma ecco, biso- gna ancora farlo! E non solo nella stragrande maggioranza delle loca- lità non abbiamo ancora fatto niente da questo punto di vista, ma spesso non comprendiamo neppure la necessità di farlo. Si cerchino, nella nostra stampa socialdemocratica, degli articoli vivaci e interes- santi, delle corrispondenze e denunce che chiariscono le nostre que- stioni e questioncelle diplomatiche, militari, religiose, municipali, fi- nanziarie, ecc.: non vi si troverà quasi niente o molto poco*. Ecco perchè « vado sempre su tutte le furie quando qualcuno viene a rac- contarmi delle cose molto belle, magnifiche », sulla necessità di avere « nelle agglomerazioni operaie di qualche importanza » dei giornali che smascherino gli abusi commessi nelle officine e nelle amministra- zioni municipali e statali. La prevalenza della stampa locale sulla stampa centrale è un segno o di povertà o di lusso: di povertà, quando il movimento non ha an- cora dato forze sufficienti per la produzione in grande, quando vegeta ancora nel primitivismo ed è quasi sommerso dai * fatterelli della vita d’officina»; di lusso, quando è già riuscito a adempiere i propri com- piti di denuncia e di agitazione multiforme e quando, oltre al bisogno di un organo centrale, si fa sentire il bisogno di numerosi giornali locali. Ognuno può vedere che cosa significa la prevalenza dei gior- nali locali in Russia, nel momento attuale. Per evitare ogni malinteso, formulerò le mie conclusioni in modo preciso. Fino ad oggi, la mag- gior parte delle nostre organizzazioni locali pensa quasi esclusiva- mente ai giornali locali e lavora quasi esclusivamente in tal senso. È anormale. Bisogna invece che la maggior parte delle organizzazioni • Ecco perchè lo stesso caso di giornali locali eccezionalmente buoni conferma in- teramente quanto abbiamo scritto. Così il luzny Raboci è un eccellente giornale, che non può essere accusato di instabilità riguardo ai principi. Ma, a causa dei pochi nu- meri usciti e dei numerosi arresti di collaboratori, non ha potuto dare al movimento locale quanto si proponeva. Ciò che è soprattutto necessario per il partito nel momento attuale, porre cioè in linea di principio le questioni fondamentali del movimento e svol- gere un'agitazione politica multiforme, è risultato un compito superiore alle forze di un giornale locale. La parte migliore del luzny Raboci non è affatto rappresentata dagli articoli di carattere strettamente locale, ma dagli articoli di utilità generale, per tutta la Russia (Congresso dei proprietari di miniere, disoccupazione, ecc.) e non solo per il Mezzogiorno. La nostra stampa socialdemocratica non ha mai pubblicato articoli di questo genere. LENIN 45 * locali pensi alla fondazione di un giornale destinato a tutta la Russia e lavori soprattutto per questo. Fino a quando ciò non avverrà, non riusciremo ad organizzare neppure un giornale che possa veramente servire al movimento con una multiforme agitazione. Ma quando ciò sarà stato fatto, si stabiliranno automaticamente relazioni normali fra l’indispensabile organo centrale e gli indispensabili giornali locali. A prima vista può sembrare impossibile applicare nel campo della lotta economica pura l’affermazione della necessità di trasferire il centro di gravità dal lavoro locale al lavoro nazionale. Infatti il ne- mico diretto degli operai è qui rappresentato da imprenditori isolati o da gruppi di imprenditori non legati da un’organizzazione che as- somigli, anche lontanamente, ad una organizzazione puramente mi- litare, rigorosamente centralizzata, diretta sin nei minimi particolari da una volontà unica, come è quella del governo russo, il nostro ne- mico diretto nella lotta politica. Ma ciò non è vero. La lotta economica — come abbiamo già detto parecchie volte — è una lotta di categoria ed esige perciò l’unione degli operai secondo il loro mestiere e non soltanto sulla base del loro luogo di lavoro. E questa organizzazione è tanto più urgente in quanto i padroni si affrettano a riunirsi in associazioni e sindacati di ogni genere. Il nostro spezzettamento ed il nostro primitivismo la intralciano, perchè essa esige in tutta la Russia un'organizzazione di rivoluzionari capace di assumere la direzione di sindacati operai na- zionali. Abbiamo esposto precedentemente il tipo di organizzazione necessario per questo scopo. Aggiungeremo ora qualche parola a pro- posito della nostra stampa. È poco probabile che qualcuno contesti che ogni giornale social- democratico debba avere una rubrica per la lotta di categoria (econo- mica), ma lo sviluppo del movimento sindacale ci obbliga a prevedere anche la creazione di una stampa specializzata. Ciò nonostante, ci sembra che, salvo qualche rara eccezione, non si possa ancora pensare in Russia a una stampa di tal genere; sarebbe un lusso, e noi man- chiamo spesso del pane quotidiano. In questo campo la forma più adatta alle condizioni attuali del lavoro illegale, la forma fin d’ora necessaria per la stampa sindacale, è piuttosto l 'opuscolo sindacale . Sa- rebbe utile raccogliervi c raggrupparvi sistematicamente dei materiali CHE FARE? 453 legali* e illegali sulle condizioni di lavoro in un dato mestiere, sulle differenze di tali condizioni nelle varie località della Russia, sulle ri- vendicazioni principali degli operai di una determinata categoria, sulle lacune della legislazione che la concerne, sui casi più importanti di lotta economica degli operai di questa o quella categoria, sullorigine, sulla situazione attuale e sui bisogni della loro organizzazione sinda- cale, ecc. Innanzi tutto, questi opuscoli eviterebbero alla nostra stampa socialdemocratica di doversi occupare di una quantità di particolari che interessano solo una determinata categoria di operai. In secondo luogo, fisserebbero i risultati della nostra esperienza nella lotta economica, conserverebbero e generalizzerebbero i materiali raccolti che oggi sono letteralmente dispersi nella massa dei fogli volanti e delle corri- spondenze isolate e frammentarie. In terzo luogo, essi potrebbero ser- vire, in qualche modo, come manuali per gli agitatori, perchè le con- dizioni di lavoro cambiano abbastanza lentamente e le rivendicazioni fondamentali degli operai di un dato mestiere sono straordinariamente stabili. (Si paragonino le rivendicazioni dei tessitori della regione di Mosca nel 1885 e quelle dei tessitori della regione di Pietroburgo nel 1896.) Lo studio di tali rivendicazioni e di tali necessità potrebbe per vari anni costituire un aiuto prezioso per l’agitazione economica # I materiali legali hanno un’importanza particolare in questo campo, e pur- troppo non sappiamo ancora raccoglierli ed utilizzarli metodicamente. Si può dire senza esagerazione che con soli materiali legali si può in qualche modo scrivere un opuscolo sindacale, mentre con soli materiali illegali la cosa è del tutto impossibile. Raccogliendo fra gli operai materiali illegali come quelli pubblicati dalla Raboctaia My//, spreche- remmo inutilmente le forze dei rivoluzionari (questo lavoro può essere facilmente fatto da militanti legali) senza neppure ottenere dei buoni materiali. Infatti ordinariamente gli operai conoscono solo un reparto di una grande officina, conoscono il risultato econo- mico, ma non le condizioni e le norme generali del loro lavoro; non possono acquisire le cognizioni che generalmente possiedono gli impiegati, gli ispettori, i medici di offi- cina, ecc., e che sono disperse in un ammasso di corrispondenze giornalistiche e di pubblicazioni delle amministrazioni, del servizio sanitario, degli zemstvo , ecc. Ricordo come fosse ora la mia « prima esperienza » in questo campo, cd essa non mi ha invogliato a ricominciare. Per parecchie settimane « ho lavorato * un operaio che veniva a casa mia e l’ho interrogato su tutti i particolari del regime esistente nell’immensa officina dove lavorava. Riuscì, è vero, a fare, bene o male, la descri- zione di quelPofficina (di una sola officina!), ma con quale fatica! Alla fine di ognuna delle nostre conversazioni, egli, asciugandosi il sudore, mi diceva sorridendo: « Sa- rebbe davvero più facile fare delle ore straordinarie che rispondere alle vostre do- mande! ». Quanto più svilupperemo energicamente la lotta rivoluzionaria, tanto più il go- verno sari obbligato a legalizzare, almeno parzialmente, il nostro lavoro < sindacale *, scaricandoci di una parte del nostro fardello. 454 LENIN nelle località arretrate o tra gli strati di operai arretrati. Gli esempi di scioperi vittoriosi in una data regione, le informazioni sussistenza di un tenore di vita superiore, di migliori condizioni di lavoro in questa o quella località incoraggerebbero gli operai delle località meno favorite ad ingaggiare la lotta. Infine, prendendo l’iniziativa di gene- ralizzare la lotta economica, rafforzando cioè i legami del movimento sindacale russo con il socialismo, la socialdemocrazia si preoccupe- rebbe anche di fare in modo che la nostra azione tradunionista non abbia una parte nè troppo grande nè troppo piccola nella somma del nostro lavoro socialdemocratico. È molto difficile, e qualche volta an- che impossibile, per un’organizzazione locale isolata da quelle delle altre città conservare un giusto equilibrio (l’esempio della Rabocìaia Mysl mostra a quale mostruosa esagerazione tradunionista si può ar- rivare). Ma per un’organizzazione nazionale di rivoluzionari, che ri- manga costantemente sulla piattaforma del marxismo, che diriga tutta la lotta politica e che disponga di uno stato maggiore di agi- tatori di professione, non sarà mai difficile determinare questo giusto equilibrio. V « PIANO » DI UN GIORNALE POLITICO PER TUTTA LA RUSSIA « Il più grave errore AAYls^ra da questo punto di vista — scrive Kricevski, che ci rimprovera la tendenza « a trasformare la teoria in una dottrina morta, isolandola dalla pratica » (Raboceie Dielo , n. io, p. 30) — è il suo "piano” per un’organizzazione unica del partito» (cioè l’articolo Da che cosa cominciare?). Martynov è accorso in suo aiuto affermando che «la tendenza At\Yls\ra a menomare l’impor- tanza dello sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana im- mediata rispetto alla propaganda di idee brillanti e ben definite... ha portato al piano di organizzazione per il partito proposto nell’articolo del n. 4, Da che cosa cominciare? > (ivi, p. 61). Infine in questi ul- timi tempi tutti coloro che si indignano per il « piano » in questione (le virgolette devono esprimere la loro ironia) hanno trovato un nuo- vo alleato in Nadezdin il quale, in un opuscolo che ho ricevuto da poco, La vigilia della rivoluzione (edito dal « Gruppo rivoluzionario socialista » Svoboda a noi già noto), afferma che « parlare oggi di un’organizzazione collegata ad un giornale per tutta la Russia si- gnifica rimanere nelle nuvole, fare del lavoro da tavolino» (p. 126), della « letteratura » e così via. La solidarietà che il nostro terrorista esprime per i fautori dello « sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana immediata » non può meravigliarci; ne abbiamo indicato le radici nei capitoli prece- denti sulla politica e sull’organizzazione. Bisogna però fin d’ora no- tare che solamente Nadezdin ha tentato coscienziosamente di afferrare il significato dell’articolo che gli è spiaciuto e di rispondere sulla so- LENIN 456 stanza, mentre il Raboceie Dielo nulla ha detto sulla sostanza e ha cercato solo di ingarbugliare la questione ricorrendo ad una serie di in- degne trovate demagogiche. Per quanto sia spiacevole, dobbiamo per- dere del tempo per spazzare innanzi tutto le stalle di Augia. a) Chi si è offeso per l'articolo « Da che cosa cominciare ? » Citiamo un bel mazzo di espressioni ed esclamazioni con le quali il Raboceie Dielo si è scagliato contro di noi. « Non è il giornale che può creare un’organizzazione di partito, ma viceversa »... « Un gior- nale che sia al di sopra del partito, fuori del suo controllo e indipen- dente da esso grazie alla propria rete di fiduciari»... « Come è potuto accadere che Visura abbia dimenticato le organizzazioni socialdemo- cratiche — che esistono di fatto — del partito cui essa appartiene? »... «Coloro che hanno saldi principi e un piano corrispondente sareb- bero anche i supremi regolatori della lotta reale del partito, impor- rebbero al partito l’esecuzione del loro piano»... «Il piano getta le nostre organizzazioni vive e vitali nel regno delle ombre e vuol far sorgere una fantastica rete di fiduciari»... «Se il piano dell 'lsl{ra fosse at- tuato, sparirebbe persino ogni traccia del Partito operaio socialdemo- cratico russo che si stava formando »... « L'organo di propaganda di- verrebbe il legislatore assoluto e incontrollato di tutta la lotta rivolu- zionaria pratica »... « Come deve considerare il nostro partito la sua completa sottomissione a una redazione autonoma ? », ecc. ecc. Come il lettore vede dal contenuto e dal tono di queste citazioni, il Raboceie Dielo si è offeso. Ma si è offeso non per sè, bensì per le organizzazioni e i comitati del nostro partito che Visura vorrebbe get- tare nel regno delle ombre e di cui vorrebbe far sparire persino ogni traccia. Che orrore, pensate! Di strano c'è una cosa sola. L’articolo Da che cosa cominciare? è apparso nel maggio del 1901, gli articoli del Raboceie Dielo nel settembre del 1901, e adesso siamo già alla metà di gennaio del 1902. In tutti questi cinque mesi (sia prima che dopo settembre) neppure un comitato e neppure una organizzazione del partito ha formalmente protestato contro quel mostro che vuol get- tare i comitati e le organizzazioni nel regno delle ombre! Eppure in questo periodo, sia nell 'Iskra che in un mucchio di altre pubblica- zioni locali e non locali, sono apparse decine e centinaia di notizie da tutti gli angoli della Russia. Com’è avvenuto che coloro che si vuol CHE FARE? 457 gettare nel regno delle ombre non se ne siano accorti e non si siano offesi, ma si sia offesa una terza persona? • Ciò è avvenuto perchè i comitati e le altre organizzazioni sono intenti a svolgere un vero lavoro e non a giocare alla « democra- zia ». I comitati hanno letto l’articolo Da che cosa cominciare? , hanno visto che era un tentativo di «elaborare un determinato piano di organizzazione affinchè da ogni parte ci si accinga a costruirla », e siccome sapevano benissimo e vedevano che nessuna « parte * avreb- be pensato di « accingersi, a costruirla», fino a che non fosse stata convinta che l’organizzazione era necessaria e il piano di costruzione era giusto, naturalmente non hanno pensato di «offendersi» per il colmo di temerarietà di chi aveva scritto nell ’/r^ra : « Considerata l’urgenza del problema, ci decidiamo, da parte nostra, a sottoporre all’attenzione dei compagni l’abbozzo di un piano, che abbiamo svi- luppato in modo più particolareggiato in un opuscolo in corso di preparazione per la stampa » *. Com’è possibile, se si è in buona fede, non comprendere che, se i compagni accetteranno il piano sotto- posto alla loro attenzione, lo realizzeranno non per « sottomissione », ma perchè convinti della sua necessità per la nostra causa comune e che, se non lo accetteranno , P« abbozzo » (che parola pretenziosa, non è vero?) rimarrà un semplice abbozzo? Non si fa forse della dema- gogia quando contro l'abbozzo di un piano si combatte non soltanto « criticandolo » e consigliando ai compagni di respingerlo, ma anche aizzando chi è poco pratico del lavoro rivoluzionario contro gli au- tori dell’abbozzo, soltanto per il fatto che osano « legiferare » e pre- sentarsi come i « supremi regolatori », ossia osano proporre un ab- bozzo di piano?? Può il nostro partito svilupparsi e progredire se a causa del tentativo di innalzare i dirigenti locali a idee, compiti, piani, ccc. più vasti, non soltanto ci si muovono obiezioni per l’er- roneità di queste idee, ma ci si « offende » perchè ci si vuole « innal- zare»? Anche L. Nadezdin ha «criticato» il nostro piano, ma egli non si è abbassato fino a una demagogia che solo l’ingenuità o il primitivismo nelle tendenze politiche possono spiegare, ed ha respinto decisamente e fin dall’inizio l’accusa di « ispettorato sul partito ». A Nadezdin, quindi, per la sua critica al piano si può e si deve rispon- • Cfr., nel presente volume, p. 12 (N.d.R.). 30-754 45 ® LENIN dere sulla sostanza, mentre al Raboccie Dielo si può rispondere sol- tanto col disprezzo. Ma il disprezzo per uno scrittore degradatosi sino a far chiasso sul- l’« assolutismo » e la « sottomissione » non ci esime dal dovere di di- stricare il pasticcio che viene offerto al lettore da simili persone. E qui possiamo mostrare con evidenza a tutti di che genere sono queste frasi correnti sulla « larga democrazia ». Ci si accusa di ignorare i comitati, ci si accusa di volere o di tentare di gettarli nel regno delle ombre, ecc. Come rispondere a queste accuse quando non possiamo dire al lettore quasi nulla, di fatto , sui nostri reali rapporti con i co* mitati, e non lo possiamo per ragioni di clandestinità? Individui simili, lanciando un’accusa sferzante, che irrita la folla, ci tagliano la strada grazie alla loro disinvoltura, grazie al loro sprezzante atteggia- mento verso i doveri del rivoluzionario che nasconde accuratamente agli occhi di tutti i contatti e i legami che egli ha, stabilisce o tenta di stabilire. È comprensibile che ci rifiutiamo una volta per sempre di en- trare in concorrenza, nel campo della « democrazia », con simili uo- mini. Per quanto riguarda il lettore profano in tutte le cose del par- tito, Tunico modo di compiere il proprio dovere verso di lui è di rac- contargli non quello che c’è e quello che è im Werden *, ma una piccola parte di quello che c’era> e che si può raccontare perchè ormai appartiene al passato. Il Bund allude alla nostra « usurpazione » **, W Unione » all’estero ci accusa di tentare di far sparire ogni traccia del partito. Va bene, signori! Sarete allora pienamente soddisfatti quando racconteremo al pubblico quattro fatti del passato. Primo ### .I membri di una delle « Unioni di lotta », che hanno preso parte diretta alla fondazione del nostro partito e inviato un delegato al congresso costitutivo del partito, trattano con uno dei membri del gruppo dtlYlsl^ra per fondare una collana operaia che deve appagare i bisogni di tutto il movimento. Non se ne fa niente, e gli opuscoli scritti per la collana, I compiti dei socialdemocratici russi c La nuova legge sulle fabbriche****, finiscono, dopo un lungo • In corso di attuazione ( N . d. R.). ## lskr<*i n. 8, risposta del Comitato centrale deU’Unione generale ebraica della Russia e della Polonia al nostro articolo sulla questione nazionale. ••• Di proposito non esponiamo questi fatti in ordine cronologico. •••• Cfr., nella presente edizione, voi. 2, pp. 315-337 e 257-306 (N. d. R.). CHE E ARE ? 459 giro c attraverso terze persone, all’estero, dove vengono pubblicati*. Secondo. I membri del Comitato centrale del Bund si rivolgono a uno dei membri del gruppo de\VIs\ra proponendogli di organizzare, come il Bund si espresse allora, un « laboratorio letterario ». Ed essi dicono che, se non si riuscirà, il nostro movimento potrà andare molto indietro. Risultato delle trattative è l’opuscolo La causa operaia in Russia *. Terzo. Il Comitato centrale del Bund si rivolge, servendosi come intermediario di una cittadina di provincia, a uno dei membri del- Yls\ra y proponendogli di assumersi la redazione della Rabociaia Ga- zieta che dovrebbe riprendere le pubblicazioni; il membro dell’ Is\ra accetta. In seguito la proposta cambia: si propone la collaborazione, dato che la redazione è stata rimaneggiata, E anche su questo na- turalmente si ottiene il consenso 81 . Si inviano degli articoli (che si è riusciti a conservare): Il nostro programma , che protesta apertamente contro il bernsteinismo, contro la svolta nella letteratura legale e nella Rabociaia Mysl\ Il nostro compito immediato (« organizzazione di un organo del partito che esca regolarmente e sia strettamente legato a tutti i gruppi locali »; insufficienza del « primitivismo» dominante); Una questione urgente (esame dell’obiezione secondo cui bisogna dapprima sviluppare Fattività dei gruppi locali e solo dopo accin- gersi all’organizzazione di un giornale centrale; insistenza sulla grande importanza dell'* organizzazione rivoluzionaria », sulla neces- sità di « portare l’organizzazione, la disciplina e la tecnica cospirativa fino al massimo grado di perfezione»). La proposta di riprendere le pubblicazioni della Rabociaia Gazieta non viene attuata e gli articoli non vengono pubblicati. Quarto. Un membro del comitato che organizza il II Congresso ordinario del nostro partito comunica a un membro del gruppo del- Visura il programma del congresso e propone che questo gruppo si incarichi della redazione della Rabociaia Gazieta che sta per ripren- dere le pubblicazioni. Questo passo, per cosi dire preliminare, viene in seguito sanzionato sia dal comitato organizzatore che dal Comitato # A proposito l’autore mi prega di dichiarare che aveva inviato l’opuscolo, come già i suoi opuscoli precedenti, all’e Unione » perchè pensava che le edizioni del- I’< Unione » fossero redatte dal gruppo « Emancipazione del lavoro » (per diverse cir- costanze in quel periodo, ossia nel febbraio 1899, non poteva sapere che la reda- zione era cambiata). Questo opuscolo sarà presto ripubblicato dalla < Lega ». 80 * 460 LENIN centrale del Bund"; il gruppo d clYIsfyra riceve le indicazioni sulla sede e la data del congresso, ma (per alcune ragioni non è sicuro di poter inviare un proprio delegato) redige un rapporto scritto per il congresso. Nel rapporto si dice che con le sole elezioni del Comitato centrale non soltanto non risolveremo il problema dell’unificazione in un momento di completa confusione come quello che attraver- siamo, ma rischieremo di compromettere la grande idea della crea- zione del partito nel caso di nuovi arresti, che sono più che probabili data la scarsa vigilanza cospirativa; che bisogna cominciare perciò ad invitare tutti i comitati e tutte le altre organizzazioni ad appoggiare Porgano centrale che ha ripreso le pubblicazioni, il quale unirà real- mente tutti i comitati con un legame effettivo , preparerà realmente un gruppo di dirigenti di tutto il movimento. Quanto a trasformare un tale gruppo, creato dai comitati, in Comitato centrale, i comitati e il partito potranno in seguito farlo più facilmente, giacche questo gruppo crescerà e si rafforzerà. Ma il congresso non viene tenuto a causa di numerosi arresti, e il rapporto viene distrutto per considera- zioni cospirative; era stato letto soltanto da alcuni compagni, ivi com- presi i fiduciari di un comitato. Il lettore giudichi ora egli stesso questi metodi, quale rallusione del Bund all’usurpazione o quale l’argomento del Raboceie Dielo , se- condo cui noi vorremmo gettare i comitati nel regno delle ombre e € sostituire * all’organizzazione del partito l’organizzazione della dif- fusione delle idee di un solo giornale. Ma proprio ai comitati, dietro loro reiterati inviti , abbiamo parlato della necessità di approvare un piano concreto per il lavoro comune. Proprio per l’organizzazione del partito abbiamo elaborato questo piano negli articoli per la Rubo - ciaia Gazieta e nel rapporto al congresso del partito, anche questa volta dietro invito di coloro che occupavano net partito una posizione così influente da assumersi (di fatto) l’iniziativa della sua ricostituzione. E soltanto dopo che sono falliti i due tentativi dell’organizzazione di partito per riprendere ufficialmente insieme a noi la pubblicazione del- l'organo centrale del partito, abbiamo ritenuto che fosse nostro dovere fondare un organo non ufficiale , affinchè in un terzo tentativo i com- pagni avessero già davanti a se certi risultati AeH' esperienza e non soltanto supposizioni problematiche. Attualmente già tutti vedono alcuni risultati di questa esperienza, e tutti i compagni possono giu- dicare se abbiamo compreso in modo giusto il nostro dovere e che CHE FARE? 461 cosa bisogna pensare di uomini che, stizziti per la ver noi dimostrato agli uni la loro incoerenza nel problema «nazionale» e agli altri rinammissibilità di esitazioni senza principio, cercano di trarre in inganno coloro che non conoscono il passato recente. b) Può un giornale essere un organizzatore collettivo? Tutta la sostanza delParticolo Da che cosa incominciare? consi- steva appunto nel porre questo problema e nel risolverlo affermati- vamente. Il solo che, per quanto sappiamo, abbia cercato di analiz- zarlo e di dargli una soluzione negativa è L. Nadezdin, di cui ripro- duciamo testualmente gli argomenti. « ... Il modo con cui Visura (n. 4) ha posto la questione della necessità di un giornale per tutta la Russia ci piace molto. Ma non possiamo rico- noscere che corrisponda al titolo dell’articolo Da che cosa cominciare? È indubbiamente un’iniziativa importantissima; ma le basi di un’organiz- zazione combattiva in un momento rivoluzionario non possono essere po- ste da un giornale, nè da una serie di fogli popolari, nè da una montagna di manifestini. È necessario procedere alla creazione di forti organizzazioni politiche locali. E se non le abbiamo, è perchè abbiamo lavorato soprattutto fra gli operai colti, mentre le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta economica. Se non si educano delle forti organizzazioni politiche locali, che cosa sarà un giornale per tutta la Russia , anche se perfettamente orga- nizzato? Un roveto ardente, che brucia senza consumarsi, ma che non infiamma nessuno! Intorno a un simile giornale, per un simile giornale, il popolo si raccoglierà e si organizzerà negazione: cosi pensa Visura. Ma al popolo è molto più facile raccogliersi e organizzarsi intorno ad un at- tività più concretai Quest’attività può e deve essere la creazione su vasta scala di giornali locali, la preparazione delle forze operaie per le dimo- strazioni, il lavoro costante delle organizzazioni locali fra i disoccupati (diffondere instancabilmente fra di loro fogli volanti, convocarli in assem- blee, incitarli a resistere al governo, ecc.). Bisogna cominciare in provincia un lavoro politico vivo, e quando l’unità diventerà necessaria su questo terreno concreto, non sarà più fittizia, non rimarrà sulla carta. Non è coi giornali che si può giungere all’unificazione del lavoro locale su scala nazionale! > {La vigilia della rivoluzione , p. 54). Abbiamo sottolineato in questa eloquente tirata i brani che pon- gono meglio in rilievo l’idea falsa che l’autore si fa del nostro piano e, 462 LENIN in generale, l’erroneità della concezione che egli oppone aWIs^ra. Se non si creano forti organizzazioni politiche locali, anche il migliore gior- nale per tutta la Russia non otterrà alcun risultato. Giustissimo. Ma il fatto è che, per educare forti organizzazioni politiche, non vi è altro mezzo all’infuori di un giornale per tutta la Russia. All’autore è sfug- gita la dichiarazione più importante deWIs^ra : quella che precede l’esposizione del « piano ». È necessario, si dice in quella dichiarazione, « promuovere la formazione di un’organizzazione rivoluzionaria, ca- pace di unire tutte le forze e di dirigere il movimento non soltanto di nome , ma di fatto, di essere cioè sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione , sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze militari che possono servire per la battaglia decisiva ». In linea di principio, continua lTf^rj, oggi, dopo gli avvenimenti del febbraio e del marzo, tutti sono d’accordo su questo punto; ma a noi non oc- corre una soluzione di principio, bensì una soluzione pratica della que- stione. Ci occorre immediatamente un piano preciso, affinchè si possa cominciare a costruire immediatamente e da diverse parti . Ci si vuole invece far retrocedere dalla soluzione pratica alla grande verità — giusta ed incontestabile in linea di principio, ma insufficiente ed in- comprensibile per la maggioranza dei lavoratori — che bisogna « edu- care delle forti organizzazioni politiche »! Non si tratta di questo, ora, egregio scrittore, ma appunto di come crearle ed educarle! È falso dire che < abbiamo lavorato soprattutto fra gli operai colti » e che « le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta econo- mica ». Così formulata, questa affermazione fa eco alla tesi radical- mente sbagliata della Svoboda , che contrappone continuamente gli operai colti alle « masse ». In questi ultimi anni gli operai colti hanno anch’essi, in Russia, condotto «quasi esclusivamente la lotta econo- mica». Questo da un lato. D’altro lato, le masse non impareranno mai a condurre la lotta politica fino a quando non contribuiremo a educare dei dirigenti per tale lotta, sia fra gli operai colti, che fra gli intellettuali. Ma simili dirigenti possono educarsi solo se si abituano a valutare quotidianamente, sistematicamente tutti gli aspetti della no- stra vita politica, tutti i tentativi di protesta e di lotta compiuti dalle diverse classi per cause diverse. Parlare perciò di « educare delle orga- nizzazioni politiche » e nello stesso tempo contrapporre F« opera fit- tizia » di un giornale politico al « lavoro politico vivo nella provin- cia» è semplicemente ridicolo! E \'ls\ra fa appunto collimare il suo CHE FARE? 463 € piano » per un giornale col « piano » per ottenere una c preparazione alla lotta » che permetta di appoggiare e il movimento dei disoccupati, e le sollevazioni contadine, e il malcontento dei rappresentanti degli zemstvo , e « l’indignazione della popolazione contro il regime di ar- bitrio dei cani di guardia dello zarismo >, ecc. Chiunque conosca il movimento sa molto bene che l’immensa maggioranza delle organiz- zazioni locali non vi pensa neppure , che molti dei progetti di « lavoro politico vivo» qui tracciati non sono mai stati finora applicati da nessuna organizzazione locale, che per esempio il tentativo di richia- mare l’attenzione sul malcontento crescente e sulle continue proteste degli intellettuali degli zemstvo sconcerta e Nadezdin (« Dio mio! ma quest’organo non è destinato ai rappresentanti dello zemstvo} », La vigilia della rivoluzione , p. 129) e gli economisti (lettera del n. 12 deìYIs^ra) e numerosi militanti. In queste condizioni si può «co- minciare » soltanto incitando i militanti a pensare a tali questioni, a sommare ed a generalizzare tutte le manifestazioni di fermento e di lotta attiva. In un periodo in cui i compiti socialdemocratici sono sca- duti ad un livello molto basso, si può cominciare un « lavoro politico vivo » esclusivamente con una vivace agitazione politica, che è impos- sibile senza un grande giornale per tutta la Russia, che si pubblichi spesso e sia regolarmente diffuso. Chi giudica il « piano » d dYIs^ra come pura « letteratura » non ne ha affatto compreso la sostanza; ha scambiato con lo scopo il mezzo più adatto nel momento presente, non si è preso la briga di riflettere su due paragoni che chiariscono il piano. La creazione di un giornale politico per tutta la Russia — scriveva Ylskra — deve essere il filo conduttore ; seguendolo, potremo continuamente sviluppare, appro- fondire ed estendere l’organizzazione (cioè l'organi zza zion e rivolu- zionaria, sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione). Ditemi, per favore, quando i muratori collocano su vari punti le pie- tre di un immenso edifìcio, di forma assolutamente nuova, tendendo il filo, che, aiutandoli a trovare il punto esatto, indica loro lo scopo finale di tutto il lavoro e permette loro di mettere a posto non solo ogni pietra, ma gli strati di pietre che sovrapponendosi l’uno all’altro daranno la linea definitiva e complessiva, compiono forse un lavoro « fittizio » ? Non è chiaro che oggi attraversiamo nel nostro partito effettivamente un periodo in cui, pur avendo delle pietre e dei mu- ratori, ci manca il filo visibile a tutti e sul quale tutti possano rego- 464 LENIN larsi? Lasciamo strillare a piacer suo chi pretende che, tendendo il filo, noi vogliamo comandare: se così fosse, signori, invece di inti- tolare il nostro giornale ls%ra, n. 1, l'avremmo intitolato Rabociaia Gazieta , n. 3, come ci proponevano alcuni compagni e come avevamo pienamente il diritto di fare dopo quegli avvenimenti di cui si è parlato più sopra. Ma non lo abbiamo fatto perchè volevamo avere le mani libere per combattere senza pietà tutti gli pseudosocialdemo- cratici, perchè volevamo far accettare il nostro filo, in quanto e per- chè è teso in modo giusto e non perchè è teso da un organo ufficiale, «L'unificazione dell’attività locale da parte di organi centrali è una questione che si aggira in un circolo vizioso — scrive sentenzio- samente Nadezdin. — Per l'unificazione occorrono elementi omo- genei; ma l'omogeneità stessa può essere creata soltanto da qualcosa che unifica. Questo qualcosa però non può essere che il prodotto di forti organizzazioni locali, le quali in questo momento non si distin- guono davvero per omogeneità.* Verità rispettabile e incontestabile quanto raffermazione della necessità di creare forti organizzazioni po- litiche! Ma verità non meno sterile! Ogni questione «si aggira in un circolo vizioso » perchè tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l'arte dell'uomo poli- tico consiste precisamente nel trovare e nell 'afferra re saldissimamente l'anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più im- portante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena Se avessimo un gruppo di muratori capaci, abba- stanza allenati al lavoro collettivo per poter porre le pietre dove è ne- cessario, senza alcun filo (astrattamente parlando, non è impossibile), potremmo forse aggrapparci a un altro anello. Il male è che non abbiamo ancora dei muratori simili, che spesso le pietre sono collo- cate a caso, senza la guida di un filo e in modo così scomposto che il nemico può disperderle, come grani di sabbia, con un soffio. Altro paragone: «Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo. Sotto questo * Compagno Kricevski c compagno Martynov! Attiro la vostra attenzione su que- sta indecente manifestazione di « assolutismo », di « autorità incontrollata », di < rego- lamentazione dall'alto tee. Pensate un po’: vuole possedere tutta la catena! Scrivete in frena un reclamo. Eccovi il tema già pronto per due articoli di fondo nel n. ti del Raboceie Dirlo ! CHE FARE? 465 ultimo aspetto, lo si può paragonare alle impalcature che rivestono un edificio di costruzione, ma ne lasciano indovinare la sagoma, fa- cilitano i contatti tra i costruttori, li aiutano a suddividersi il lavoro e a rendersi conto dei risultati generali ottenuti con il lavoro orga- nizzato » *. Non sembrerebbe che qui il letterato, l’uomo specia- lizzato nel lavoro a tavolino, esageri la propria funzione? Le im- palcature non sono affatto necessarie per l’edificio in se; sono fatte col materiale peggiore, innalzate per un tempo relativamente breve e gettate nel fuoco quando nelle sue grandi linee l’opera è finita. Per quanto concerne l’edificazione di organizzazioni rivoluzionarie, l’espe- rienza dimostra (per esempio negli anni settanta) che si riesce talvolta a costruire senza impalcature. Ma oggi non possiamo neppure pensare alla possibilità di elevare senza impalcature l’edificio che ci è ne- cessario. Nadezdin non è d’accordo e scrive: « Intorno a un simile giornale, per un simile giornale, il popolo si raccoglierà e si organizzerà nel- l’azione: così pensa 1 *Is\ra, Ma al popolo è molto pià facile racco- gliersi e organizzarsi intorno ad un’attività più concretai ». Certamen- te: «molto più facile... intorno ad un’attività più concreta»... Un pro- verbio russo dice: Non sputare nel pozzo, perchè avrai bisogno della sua acqua. Ma c’è della gente che non disdegna di dissetarsi al pozzo in cui si è sputato. Nella ricerca del « più concreto », quali porcherie non sono stati indotti a dire e a scrivere i nostri brillanti « critici » le- gali « del marxismo » e gli ammiratori illegali della Rabociaia Myslì Com’è schiacciato tutto il nostro movimento dalla nostra limitatezza, dalla nostra mancanza di iniziativa e dalla nostra timidezza, giusti- ficate con i tradizionali argomenti di questo genere: «molto più fa- cile... intorno ad un’attività più concreta»! E Nadezdin, che si ritiene particolarmente dotato del senso della «realtà», che condanna seve- ramente gli « uomini da tavolino », che rimprovera allY/^rj (con la pretesa di far dello spirito) il debole di vedere l’economismo dapper- tutto, che immagina di essere molto al di sopra della divisione in ortodossi e in « critici », Nadezdin non si accorge neppure di fare così il giuoco della limitatezza che lo indigna, non si accorge di bere nel pozzo dove più si è sputato! L’indignazione più sincera contro la no- • Citando questo brano nel Rabocete Dielo (n. io, p. 62), Martynov non ne dà la seconda frase, mostrando cosi il suo desiderio di non discutere la sostanza della que- stione o la sua incapacità di comprenderla. 4 66 LENIN stra limitatezza, il desiderio più ardente di disgustarne coloro che vi si adattano non bastano ancora se si naviga senza timone, alla mercè dei venti, e se ci si attacca istintivamente, come i rivoluzionari degli anni settanta, al « terrorismo stimolante », al « terrorismo agrario », alle « campane a martello », ecc. Vedete ora che cosa propone Na- dezdin di « più concreto » per raccogliere ed organizzare « molto più facilmente» il popolo: i) giornali locali; 2) preparazione di manife- stazioni; 3) lavoro fra i disoccupati. Ci si accorge subito che tutto ciò è scritto a caso, come vien viene, solo per dire qualche cosa, perchè, da qualunque parte lo si consideri, sarebbe assurdo volervi trovare qualcosa di particolarmente adatto per « raccogliere » e per « organiz- zare». E lo stesso Nadezdin, due pagine dopo, scrive: «Sarebbe tempo di costatare questo fatto: in provincia il lavoro è infimo, i comitati non fanno la decima parte di quanto potrebbero fare... I centri di unificazione che esistono oggi sono fittizi, sono burocra- zia rivoluzionaria, organismi nei quali ci si promuove scambievol- mente a ” generale ”, e ciò avverrà fino a quando non avremo delle forti organizzazioni locali». Queste parole, a parte la loro esagera- zione, contengono indubbiamente una gran parte di triste verità; ma come mai Nadzedin non vede il nesso fra Tinfimo lavoro locale e la ristrettezza d’orizzonte dei militanti, l’angustia del campo d’azione della loro attività, difetti inevitabili data la mancanza di prepara- zione dei militanti che si rinchiudono nel quadro delle organizza- zioni locali? Come ha potuto dimenticare, al pari dell’autore dell’ar- ticolo sull’organizzazione pubblicato nella Svoboda> che gli inizi di una vasta stampa locale (1898) sono stati accompagnati da un aumento particolare delPeconomismo e del «primitivismo»? Anche se fosse possibile un’organizzazione più o meno buona di una « vasta stampa locale» (ed abbiamo mostrato precedentemente che ciò è impossibile, salvo qualche caso eccezionale), anche allora gli organi locali non potrebbero « raccogliere ed organizzare » tutte le forze dei rivoluzio- nari per l’assalto generale contro l’autocrazia, per dirigere una lotta unica. Non dimenticate che si tratta solo del giornale come fattore di raggruppamento, come organizzatore, e che noi, quando Nadez- din difende la dispersione, potremmo rispondergli a puntino ritor- cendo la domanda ironica che ci muove lui stesso: «Non abbiamo forse ricevuto in eredità almeno 200.000 organizzatori rivoluzionari? ». Inoltre non si può contrapporre la « preparazione di manifestazioni » CHE FARE? 467 al piano delVIs\ra, perche questo piano prevede precisamente le più larghe manifestazioni come uno degli obiettivi da raggiungere; ma qui si tratta di scegliere il mezzo pratico. Anche in questo caso, Na- dezdin ha sbagliato strada; ha dimenticato che solo truppe già «rac- colte ed organizzate » possono « preparare » delle manifestazioni (che fino ad oggi sono state per lo più del tutto spontanee); e, precisa- mente, noi non sappiamo raccogliere ed organizzare. « Il lavoro fra i disoccupati ». Sempre la stessa confusione; è questa una delle opera- zioni attive di un esercito mobilitato e non un piano per mobilitare Pesercito. Quanto Nadezdin sottovaluti, anche in questo caso, il danno che ci reca la dispersione, la mancanza di « 200.000 organizza- tori », risulta da ciò che segue. Molti (fra cui Nadezdin) hanno rim- proverato Misera di dare troppo scarse informazioni sulla disoccu- pazione e di non pubblicare che corrispondenze occasionali sulle ma- nifestazioni più consuete della vita rurale. Il rimprovero è giusto, ma Visura non ne ha colpa. Noi ci sforziamo di « tendere » il nostro «filo» anche attraverso la campagna, ma laggiù non vi sono muratori quasi in nessun luogo, e noi dobbiamo incoraggiare tutti coloro che ci inviano anche delle banalità con la speranza che aumenti così il nu- mero dei nostri collaboratori rurali e che finalmente tutti noi impa- riamo come si selezionano i fatti veramente notevoli. Ma questo mate- riale è così scarso che, se non generalizzeremo i fatti avvenuti in tutta la Russia, non avremo quasi niente per istruirci. Certo un individuo, che abbia più o meno le attitudini di agitatore che Nadezdin pos- siede e la sua conoscenza della vita dei vagabondi, potrebbe, con la propria agitazione fra i disoccupati, rendere servizi preziosi al movi- mento. Ma le sue capacità rimarrebbero quasi inutilizzate se non si adoperasse a far conoscere a tutti i compagni russi i particolari della sua attività, per dare un esempio e un'istruzione a uomini che, nella loro maggioranza, non sanno neppure iniziare questa nuova attività. Tutti parlano attualmente deH’importanza deirunificazione, della necessità di «raccogliere e di organizzare», ma nella maggior parte dei casi non si sa ancora chiaramente da che cosa cominciare e come raggiungere Tunificazione. Si ammetterà senza dubbio che per « uni- ficare » per esempio i circoli di quartiere di una città occorrono degli organismi comuni, cioè non solo Tetichetta della « unione », ma un lavoro veramente comune, uno scambio di materiali, di esperienze e di forze, una ripartizione delle funzioni, non solo per quartiere, ma 4 68 LENIN anche per specializzazione, in tutta l’attività urbana. È evidente che un buon apparato clandestino non coprirà le sue spese (ci si passi quest’espressione commerciale) se può disporre delle « risorse * (mate- riali ed umane, beninteso) di un solo quartiere e che l’ingegno di uno specialista non avrà campo sufficiente dazione in limiti così ristretti. E ciò si riferisce anche all’unificazione delle varie città, perchè il campo d’azione di una località isolata si dimostra e si è già dimostrato, nella storia del nostro movimento socialdemocratico, troppo angusto, lo abbiamo chiarito più sopra con l’esempio dell’agitazione politica e del lavoro d'organizzazione. È dunque assolutamente necessario esten- dere innanzi tutto questo campo d’azione, creare un legame effet- tivo fra le città per un lavoro metodico comune , perchè la frammenta- rietà comprime le capacità degli uomini, i quali, «chiusi nel loro buco » (come scrive l’autore di una lettera all’/j^ra), ignorano ciò che avviene nel mondo, non sanno come istruirsi, come acquistare l’espe- rienza necessaria e come soddisfare il loro bisogno di una vasta atti- vità. Per conto mio persisto nel sostenere che questo legame effettivo si può cominciare a crearlo solo per mezzo di un grande giornale co- mune, iniziativa unica e regolare per tutta la Russia, che farà il bilan- cio delle più diverse forme di attività ed inciterà quindi i militanti a procedere senza requie lungo tutte le molteplici strade, che conducono alla rivoluzione, come tutte le strade conducono a Roma. Se vogliamo una unificazione non soltanto a parole, bisogna che ogni circolo locale mobiliti immediatamente , mettiamo, un quarto delle sue forze per par- tecipare attivamente all’opera comune . Il nostro giornale gli dà * im- mediatamente il piano generale, le dimensioni e il carattere di que- st’opera, gli mostra le lacune che si fanno maggiormente sentire nella nostra azione su scala nazionale, le località dove manca l’agitazione e con le quali i collegamenti sono deboli, gli ingranaggi dell’immenso meccanismo che egli stesso potrebbe riparare e sostituire. Un circolo che non ha ancora lavorato, ma vuole lavorare, potrebbe mettersi al- l’opera non come un artigiano che, rinchiuso nella sua piccola bottega, non conosce nè ['evoluzione anteriore dell’* industria », nè la situa- • Riserva: qualora esso simpatizzi per l'or lenta mento di questo giornale e ritenga utile per la causa diventare suo collaboratore, comprendendo con ciò non solunto la collaborazione letteraria, ma in generale ogni collaborazione rivoluzionaria. Nota per il Raboceie Dielo : per i rivoluzionari che hanno a cuore la causa e non il giuoco alla democrazia, che non fanno distinzione fra la «simpatia» e la partecipazione attiva c reale, questa riserva è ovvia. CHE FARE ? 469 zione generale dei mezzi di produzione, ma come un artefice di una grande impresa nella quale si rispecchia tutta la spinta rivoluzio- naria contro l’autocrazia. E quanto più ogni ingranaggio sarà perfetto, quanto più numerosi saranno coloro che si occupano delle diverse parti dell'opera comune, tanto più fitta sarà la nostra rete e tanto meno nocive per le nostre file saranno le inevitabili retate. Il lavoro di diffusióne del giornale comincerebbe di per se a creare un legame effettivo (ove il giornale sia degno di questo nome, cioè se si pubblicherà regolarmente, e non una volta al mese come le grandi riviste, ma, per esempio, quattro volte al mese). I rapporti fra città e città, necessari per l’opera rivoluzionaria, oggi assai rari ed in ogni caso del tutto eccezionali, diventerebbero allora la regola ed assi- curerebbero non solo la diffusione del giornale, ma lo scambio (il che è molto più importante) delle esperienze, dei materiali, delle forze e delle risorse. Il lavoro organizzativo acquisterebbe un’ampiezza cento volte maggiore e i successi ottenuti in un luogo indurrebbero a per- fezionare continuamente il lavoro, inciterebbero i militanti di altre zone del paese a giovarsi dell esperienza. Il lavoro locale migliore- rebbe infinitamente in ampiezza e in varietà: le denunce politiche ed economiche raccolte in tutta la Russia darebbero un nutrimento intellettuale agli operai di tutte le categorie, qualunque sia il loro grado di sviluppo , darebbero materia e spunto a conversazioni e a conferenze sui più diversi problemi, sollevati anche con allusioni dalla stampa legale, dai discorsi quotidiani, dai comunicati « pudi- bondi > del governo. Ogni esplosione, ogni manifestazione sarebbe esaminata e valutata da ogni punto di vista in tutti gli angoli della Russia, susciterebbe l’emulazione (noi socialisti non siamo affatto con- tro qualsiasi emulazione nè contro qualsiasi c concorrenza »!), il de- siderio di fare meglio degli altri, di preparare consapevolmente ciò che la prima volta si è prodotto spontaneamente, di approfittare delle condizioni favorevoli di tempo o di luogo per modificare il piano di attacco, ecc. Al tempo stesso, questa vivificazione del lavoro locale non porterebbe a quella tensione « mortale» e disperata di tutte le forze, a quella mobilitazione di tutti i nostri uomini, alla quale ci porta in genere ogni manifestazione od ogni numero di giornale lo- cale. Da una parte, per la polizia sarebbe molto più difficile scoprire le c radici >, perchè non saprebbe dove cercarle. D’altra parte, un re- golare lavoro comune consentirebbe di adeguare l’intensità di un 470 LENIN determinato attacco alla forza di questo o quel reparto del nostro esercito (al che oggi non si pensa quasi mai, perchè gli attacchi nove volte su dieci si producono spontaneamente) c faciliterebbe il < tra- sporto » non solo delle pubblicazioni, ma anche delle forze rivoluzio- narie da un luogo all’altro. Oggi, nella maggior parte dei casi, queste forze si fanno stermi- nare su un ristretto campo di operazioni, cioè nel lavoro locale, men- tre allora si avrebbe costantemente la possibilità e l’occasione di spo- stare da un capo airaltro del paese ogni agitatore od ogni organizza- tore di qualche capacità. Cominciando con piccoli viaggi per questioni di partito e a spese del partito, i militanti si abituerebbero a poco a poco a passare interamente alla sua dipendenza, diventerebbero dei rivoluzionari di professione, si preparerebbero alla funzione di veri capi politici. E se noi riuscissimo ad ottenere che tutti o la maggior parte dei comitati, gruppi e circoli locali si unissero attivamente nell opera co- mune, potremmo in breve tempo organizzare un settimanale rego- lare, diffuso a decine di migliaia di copie in tutta la Russia. Un gior- nale simile sarebbe una piccola parte di un gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe e deirindignazione po- polare per farne divampare un immenso incendio. Intorno a que- st’opera ancora semplice e minuta, ma regolare e veramente collettiva , si recluterebbe sistematicamente e addestrerebbe un esercito perma- nente di combattenti provati. Sulle impalcature o sui cavalletti di que- sto cantiere organizzativo comune vedremmo sorgere dalle file dei nostri rivoluzionari dei Geliabov socialdemocratici, dalle file dei nostri operai dei Bebel russi che, alla testa di queH’esercito mobilitato, solle- verebbero tutto il popolo contro la vergogna e la maledizione della Russia. Ecco che cosa bisogna sognare! c Bisogna sognare! >. Scrivendo queste parole sono stato preso dalla paura. Mi è sembrato di trovarmi al « Congresso di unificazione » e di avere in faccia a me i redattori ed i collaboratori del Raboceie Dielo. Ed ecco il compagno Martynov alzarsi ed esclamare minacciosamente : « Scusate! Una redazione autonoma ha il diritto di ” sognare ” senza l’autorizzazione preventiva dei comitati del partito? >. Poi si alza il compagno Kricevski, il quale (approfondendo filosoficamente il com- CHE FARE? 471 pagno Martynov che ha da molto tempo approfondito il compagno Plekhanov) continua ancora più minaccioso: «Dirò di più. Vi do- mando: ha un marxista il diritto di sognare se non ha dimenticato che, secondo Marx, l’umanità si pone sempre degli obiettivi realizza- bili e che la tattica è il processo di sviluppo degli obiettivi che si svi- luppano insieme con il partito stesso? *. La sola idea di queste domande minacciose mi fa venire la pelle d’oca, e non penso che a trovare un nascondiglio. Cerchiamo di na- sconderci dietro Pisariev. « C’è contrasto c contrasto — scriveva Pisariev a proposito del con- trasto fra il sogno e la realtà. — Il mio sogno può precorrere il corso naturale degli avvenimenti, ma anche deviare in una direzione verso la quale il corso naturale degli avvenimenti non può mai condurre. Nella prima ipotesi, non reca alcun danno; anzi, può incoraggiare e rafforzare l’energia del lavoratore... In quei sogni non ce nulla che possa pervertire o paralizzare la forza operaia; tutt’al contrario. Se l’uomo fosse completamente sprovvisto della facoltà di sognare in tal maniera, se non sapesse ogni tanto andare oltre il presente e contem- plare con Tinunagin azione il quadro compiuto dell’opera che è ab- bozzata dalle sue mani, quale impulso, mi domando, l’indurrebbe a cominciare e a condurre a termine grandi e faticosi. lavori nell’arte, nella scienza e nella vita pratica?... Il contrasto tra il sogno e la realtà non è affatto dannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva attentamente la realtà, se confronta le sue osservazioni con le sue fantasticherie, se, in una parola, lavora coscienziosamente per at- tuare il suo sogno. Quando vi è un contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio » *\ Di sogni di questo genere ve ne sono disgraziatamente troppo po- chi nel nostro movimento. E ne hanno colpa soprattutto i rappresen- tanti della critica legale e del « codismo » illegale, che fanno pompa della loro ponderatezza, del loro «senso del concreto». c) Quale tipo di organizzazione ci occorre? Da quanto precede, il lettore comprende che il nostro « piano tat- tico » è la negazióne dell 'appello immediato all’assalto ed esprime 1’esi- genza di un «assedio regolare della fortezza nemica >; in altre parole esige l’accentramento di tutti gli sforzi per raccogliere, organizzare e 472 LENIN mobilitare un esercito permanente. Quando abbiamo deriso il Rabo- ceie Dielo per il suo sbalzo dalleconomismo agli strepiti (levatisi nel- Yaprile 1901, nel n. 6 del Listo\ Rabocevo Dieia) sulla necessità del- l’assalto, il giornale si è naturalmente scagliato contro di noi accusan- doci di « dottrinarismo », di incomprensione del dovere rivoluziona- rio, di appello alla prudenza, ecc. Certo, tali accuse, lanciate da gente che, non avendo principi solidi, cerca riparo dietro la sua profonda « tattica-processo », non ci hanno affatto meravigliato. E neppure ci hanno meravigliato le stesse accuse rivolteci da Nadezdin, che ma- nifesta costantemente il più altezzoso disprezzo per ogni saldo prin- cipio programmatico e tattico. La storia, si dice, non si ripete. Ma Nadezdin con tutte le sue forze cerca di farlo e ricalca con ardore Tkaciov, denigrando « il possibi- lismo rivoluzionario», invocando eie campane a martello», il par- ticolare «punto di vista della vigilia della rivoluzione», ecc. Egli dimentica, verosimilmente, il detto che se l’originale di un avveni- mento storica è una tragedia, la copia non è che una farsa w . Il tenta- tivo di conquista del potere, preparato dalla propaganda di Tkaciov e messo in atto con il terrorismo — mezzo per suscitare lo spavento, allora effettivamente suscitato —, fu senza dubbio grandioso, ma il terrorismo c stimolante » di questo piccolo Tkaciov è semplicemente ridicolo, e soprattutto quando è completato con il progetto di orga- nizzare i militanti medi. « Se Visura uscisse dalle sfere della letteratura — scrive Nadezdin a proposito della lettera di un operaio, pubblicata nel n. 7 dell’/r^rtf, — vedrebbe che questi sintomi provano che 1’ ” assalto ” è vicino, e che parlare oggi [r/c!] di un’organizzazione collegata ad un giornale per tutta la Russia significa rimanere nelle nuvole, fare del lavoro da tavolino». Che razza di confusione! Da una parte si propugna il ter- rorismo stimolante e F« organizzazione dei militanti medi » pur di- chiarando che « è molto più facile » raggrupparsi attorno a qual- cosa di «più concreto», per esempio intorno a dei giornali locali; dall’altra parte si pretende che parlare « oggi » di un’organizzazione per tutta la Russia significa fare della teoria, il che significa, per dirla chiaro e tondo, che «oggi» è già troppo tardi! E per una < vasta or- ganizzazione di giornali locali » non è troppo tardi, rispettabile signor Nadezdin? Confrontate con questo punto di vista la concezione e la tattica dell 7 .r^nz : il terrorismo stimolante è puerile; parlare di un’or- CHE FARE? 473 ganizzazione speciale di militanti medi e di una vasta organizzazione di giornali locali significa spalancare le porte all’economismo. Bisogna parlare di un'organizzazione di rivoluzionari, unica per tutta la Rus- sia, e non sarà troppo tardi per parlarne finché l’assalto — effettivo, che non resta sulla carta, — non sarà cominciato. « Sì, — continua Nadezdin — dal punto di vista organizzativo la no- stra situazione non è brillante; sì, Visura ha perfettamente ragione di dire che il grosso delle nostre forze militanti è costituito dai volontari e dagli insorti. . . È bene valutare freddamente la situazione delle nostre forze. Ma perchè dimenticare che la folla non è affatto con noi e che quindi si getterà nella ” sommossa ” senza domandarci quando si dovranno aprire le ostilità?... Quando la folla agirà essa stessa con la sua forza devastatrice spontanea, potrà spazzare, travolgere ” le truppe regolari ” che avrete co- minciato a costituire, ma che non avrete fatto in tempo ad organizzare in modo solido e sistematico » (il corsivo è nostro). Che logica stupefacente! Ma proprio perchè «la folla non è con noi », è irragionevole ed inopportuno parlare di « assalto » immediato, perchè l’assalto è l’operazione di un esercito regolare, non già l’esplo- sione spontanea di una folla. E proprio perchè la folla potrà spazzare e travolgere le truppe regolari, noi dobbiamo « fare in tempo » a secon- darne lo slancio spontaneo e a « organizzare in modo solido e siste- matico » queste truppe, perchè quanto più « faremo in tempo », tanto meno esse correranno il rischio di essere travolte dalla folla e tanto mag- giori saranno le loro probabilità di marciare alla testa della folla e di di- rigerla. Nadezdin commette un errore se immagina che truppe di tal genere, sistematicamente organizzate, agiscano in modo da stac- carsi dalla folla, mentre al contrario devono occuparsi esclusivamente di un’agitazione politica generale e molteplice, di un lavoro cioè che tenda appunto ad avvicinare e a fondere in un tutto la forza distrut- trice spontanea della folla e la forza distruttrice cosciente dell’orga- nizzazione rivoluzionaria. E qui, signori, voi fate ricadere sugli altri la vostra colpa, perchè è proprio il gruppo Svoboda che, includendo il terrorismo nel programma , incita per ciò stesso a creare un’organizza- zione terroristica. E un'organizzazione terroristica impedirebbe alle nostre truppe di avvicinarsi alla folla, che purtroppo non è ancora nostra e che purtroppo non ci domanda o ci domanda molto rara- mente quando e come bisognerà aprire le ostilità. 31-754 474 LENIN « Noi non vedremo sopraggiungere la rivoluzione — continua Na- dezdin per spaventare Visura — come non abbiamo visto approssi- marsi gli avvenimenti attuali, che ci sono caduti come una tegola sulla testa ». Dopo quanto abbiamo riportato sopra, questa frase mo- stra bene lassurdità del « particolare punto di vista della vigilia della rivoluzione » inventato dalla Svoboda *. Questo particolare « punto di vista » si riduce, a dire il vero, a proclamare che € oggi * è troppo tardi per deliberare e per prepararsi. Ma allora, o valentissimo nemico della « letteratura », perchè aver scritto 132 pagine stampate sulle «questioni teoriche** e tattiche»? Non sarebbe stato meglio, dal « punto di vista della vigilia della rivoluzione », lanciare 132.000 ma- nifestini con questo breve appello : « Dagli al nemico » ? Meno di tutti corre il rischio di non vedere sopraggiungere la rivo- luzione chi, come Visura, pone alla base del proprio programma, della propria tattica e del proprio lavoro di organizzazione l’agitazione po- litica fra tutto il popolo. Gli uomini che in tutta la Russia si sforzano di stendere la rete di un organizzazione, collegata a un giornale per tutta la Russia, non solo hanno visto sopraggiungere gli avvenimenti della primavera, ma ci hanno dato la possibilità di predirli. E non hanno lasciato passare senza vederle neppure le manifestazioni de- scritte nei nn. 13 e 14 dell* lsl(ra; anzi, comprendendo il loro dovere di secondare lo slancio spontaneo della folla, vi hanno partecipato e hanno aiutato con il loro giornale tutti i compagni russi a rendersi conto del carattere delle manifestazioni e a utilizzarne gli insegna- menti. Non lasceranno sopraggiungere senza vederla, se saranno an- cora vivi in quel momento, nemmeno la rivoluzione, che esigerà da noi innanzi tutto e soprattutto molta esperienza nell'agitazione, e du- rante il cui svolgimento dovremo saper appoggiare (da socialdemo- * La vigilia della rivoluzione , p. 62. •• D'altra parte, nella sua Rassegna delle questioni teoriche , L. Nadezdin non si è quasi occupato di teoria, tranne che nel brano seguente, assai curioso dal < punto di vista della vigilia della rivoluzione»: « Insomma, il bernsteinismo perde in questo momento di importanza, non ci interessa molto più della disputa tra Adamovic c Struve: che Adamovic dimostri che Struve si sia meritato di essere giubilato o che Struve smen- tisca Adamovic, e non acconsenta ad andare in pensione, è perfettamente lo stesso per noi, perchè Torà della rivoluzione si avvicina » (p. 1 io). Sarebbe difficile illustrare la straordinaria noncuranza di Nadezdin per la teoria. Siamo alla € vigilia della rivolu- zione », e perciò « è perfettamente lo stesso » che gli ortodossi riescano o no a sloggiare i e Critici » dalle loro posizioni! Ed il nostro sapientone non vede che proprio nel mo- mento della rivoluzione avremo bisogno dei risultati della lotta teorica contro ì « critici » per combatterne energicamente le posizioni prattcke\ CHE FARE? 475 cratici) tutte le proteste, dirigere il movimento spontaneo e preservarlo dagli errori degli amici come dalle trappole dei nemici. Eccoci giunti aH’ultima considerazione che ci induce a insistere particolarmente sul piano di un organizzazione accentrata intorno ad un giornale per tutta la Russia, organizzazione da creare mediante un lavoro comune per questo giornale comune. Solo un organizzazione di tal genere darà alla socialdemocrazia militante la duttilità necessa- ria, e cioè la capacità di adattarsi immediatamente alle più diverse con- dizioni, alle sempre mutevoli condizioni della lotta, la capacità « da una parte, di evitare la battaglia in terreno scoperto con un nemico di forze superiori, che ha concentrato le sue forze su un solo punto c, dallaltra, di approfittare delPincapacità di manovra del nemico per piombargli addosso nel luogo e nel momento in cui meno se Paspet- ta » *. Si commetterebbe un grave errore se nellorganizzazione del partito si facesse assegnamento soltanto su esplosioni e su lotte di strada o soltanto sullo « sviluppo progressivo della grigia lotta quoti- diana ». Dobbiamo* svolgere sempre il nostro lavoro quotidiano ed essere sempre pronti a tutto, perchè è quasi impossibile prevedere Pav- vicendarsi dei periodi di esplosione e dei periodi di calma, e quando ciò c possibile non si può approfittarne per rimaneggiare Porganizza- zione, dato che in un paese autocratico la situazione può mutare im- provvisamente, magari in seguito a una incursione notturna di gian- nizzeri zaristi. E non si può pensare che la rivoluzione si svolga in un solo atto (come sembra pensi Nadezdin): la rivoluzione sarà una successione rapida di esplosioni più o meno violente, alternantisi con fasi di calma più o meno profonda. Perciò il contenuto essenziale delPattività del nostro partito, il fulcro della sua attività, deve consi- stere nel lavoro che c possibile e necessario sia nei periodi delle esplo- sioni più violente che in quelli di calma completa, cioè in un’agita- • Isfya, n. 4. Da che cosa cominciare? [Cfr., nel presente volume, pp. 9-16 (N. si. R .)] . «I rivoluzionari culturali non accettano il punto di vista della vigilia .Iella rivoluzione e non si lasciano affatto turbare dalla durata del lavoro », scrive Nadezdin (p. 62). A questo proposito osserviamo: se non sappiamo elaborare una tattica politica e un piano di organizzazione per un periodo lunghissimo y che assicurino, attraverso lo svolgimento stesso del lavoro , la capacità del nostro partito di trovarsi sempre al proprio posto e di fare il proprio dovere nelle circostanze più inattese, qualunque sia la rapidità degli avvenimenti, siamo soltanto dei miserabili avventurieri politici. Solo Nadezdin, che ha incominciato ieri a dirsi socialdemocratico, può dimenticare che la tocialdemo- crazia ha per fine la trasformazione radicale delle condizioni di vita di tutto il genere umano e che non è da socialdemocratico lasciarsi < turbare » dalla durata del lavoro. «• 476 LENIN zione politica unificata per tutta la Russia, che illumini tutti gli aspetti della vita e si rivolga alle masse più larghe. Ma questo lavoro non può essere compiuto nella Russia attuale senza un giornale per tutta la Russia che si pubblichi molto spesso. L’organizzazione che si costituirà di per se intorno al giornale, l’organizzazione dei suoi col- laboratori (nel senso largo della parola, cioè di tutti coloro che se ne occuperanno) sarà precisamente pronta a tutto , sia a salvare l’onore, il prestigio e la tradizione del partito nei momenti di peggiore « de- pressione» rivoluzionaria che a preparare, a decidere e ad attuare V insurrezione armata di tutto il popolo. Si pensi infatti al caso, assai comune in Russia, in cui i nostri mi- litanti fossero arrestati in una o più località. Poiché tutte le organiz- zazioni locali mancano di ««attività regolare comune, ne segue spesso un’interruzione di attività per parecchi mesi. Ma se avessero un’atti- vità comune, basterebbero, nel peggiore dei casi, alcune settimane per- chè due o tre uomini energici ricollegassero con l’organismo centrale nuovi circoli di giovani, che, com’è noto, sorgono molto rapidamente anche adesso, e che in tal caso sorgerebbero e si metterebbero in rap- porto con il centro ancora più rapidamente se avessimo un’attività co- mune pubblica, nota a tutti. Si pensi d’altra parte a un’insurrezione popolare. Tutti ricono- sceranno, certo, che oggi dobbiamo pensarci e prepararci. Ma cornei Come potrebbe il Comitato centrale inviare fiduciari in tutte le loca- lità per preparare l’insurrezione! E anche se avessimo un Comitato centrale che prendesse tale misura, non riusciremmo a niente nelle condizioni attuali della Russia. Invece, una rete di fiduciari * che si fosse formata da se, lavorando alla creazione e alla diffusione di un giornale comune, non si accontenterebbe di « attendere con le braccia # Ahi, ahi! Mi è sfuggita nuovamente questa terribile parola c fiduciario » che ferisce cosi crudelmente lorecchio democratico dei Martynov! Mi meraviglia: perchè questa parola, che non ha offeso i corifei degli anni settanta, offende gli artigiani degli anni novanta? A me piace questa parola, perchè mostra in modo chiaro e netto la causa comune alla quale tutti i fiduciari subordinano i loro pensieri e le loro azioni, e se è necessario sostituire a questa parola un'altra, allora potrei fermarmi solunto, forse, sulla parola « collaboratore », se non avesse una certa pretesa letteraria e non fosse così vaga. £ noi abbiamo bisogno di un'organizzazione militare di fiduciari. Del resto, quei numerosi (soprattutto all’estero) Martynov, che amano « concedersi reciprocamente il titolo di generali », potrebbero, invece di < fiduciario per i passaporti », dire « coman- dante in capo deH’unità autonoma per il rifornimento di passaporti ai rivoluzio- nari », ecc. CHE FARE? 477 incrociate » la parola d’ordine delTinsurrezione, ma svolgerebbe una attività regolare che le garantirebbe le maggiori probabilità di successo in caso di insurrezione. E proprio tale attività rafforzerebbe i legami con le grandi masse operaie e con tutti gli strati della popolazione malcontenti dell’autocrazia. Il che è della massima importanza per l’insurrezione. E proprio nel corso di una tale attività si svilupperebbe l’attitudine a valutare esattamente la situazione politica generale e quindi a scegliere bene il momento favorevole per l’insurrezione. Pro- prio nel corso di una tale attività tutte le organizzazioni locali impa- rerebbero a reagire simultaneamente di fronte ai problemi, agli inci- denti o agli avvenimenti che commuovono tutta la Russia, a rispon- dere agli « avvenimenti » nel modo più energico, più uniforme e più razionale possibile; perchè, in conclusione, l’insurrezione è la «rispo- sta » più energica, più uniforme e più razionale di tutto il popolo al governo. Proprio nel corso di tale attività le organizzazioni rivoluzio- narie di tutti gli angoli della Russia imparerebbero, infine, a mante- nere fra di loro i rapporti più regolari e, in pari tempo, più clande- stini, rapporti che creano, di fatto , l’unità del partito e senza i quali è impossibile sia discutere collettivamente un piano per l’insurrezione, che prendere, alla vigilia di quest’ultima, le necessarie misure di pre- parazione, sulle quali dev’essere mantenuto il più stretto segreto. In una parola, il « piano di un giornale politico per tutta la Rus- sia » non è l’opera teorica di persone affette da dottrinarismo e da mania letteraria (come hanno potuto credere coloro che non vi hanno abbastanza riflettuto); è, al contrario, il mezzo più pratico per ottenere che da ogni parte ci si metta senza indugio al lavoro e ci si prepari all’insurrezione, senza dimenticare neppure per un istante il lavoro quotidiano. CONCLUSIONE La storia della socialdemocrazia russa si divide in tre periodi ben distinti. Il primo comprende un decennio: dal 1884 al 1894 circa. In questo periodo nascono e si rafforzano la teoria e il programma della social- democrazia. In Russia, la nuova corrente non ha che alcuni seguaci. La socialdemocrazia esiste senza movimento operaio; si trova, come partito politico, nella fase di gestazione. Il secondo periodo dura tre 0 quattro anni: dal 1894 al 1898. La socialdemocrazia viene alla luce come movimento sociale, come risve- glio delle masse popolari, come partito politico. È il periodo dell’in- fanzia e deH’adolescenza. Gli intellettuali si entusiasmano per la lotta contro i populisti e vanno tra gli operai; è come un’epidemia; negli operai, lo stesso entusiasmo generale, epidemico per gli scioperi. I progressi del movimento sono grandissimi. La maggior parte dei di- rigenti, giovanissimi, sono ancora lontani da quei « trentacinque an- ni » che Mikhailovski considerava come una specie di frontiera na- turale. Troppo giovani, non sono ancora preparati al lavoro pratico e molto rapidamente abbandonano la scena. Ma, nella maggior parte dei casi, il loro lavoro è fatto con grande slancio. Molti di essi hanno incominciato a pensare da rivoluzionari come partigiani della « Volontà del popolo ». Quasi tutti, fin dall’adolescenza, si sono entusiasmati per gli eroi del terrorismo. Per sottrarsi alla seduzione di quella tradi- zione eroica, devono lottare, staccarsi da uomini che vogliono ad ogni costo restare fedeli alla « Volontà del popolo » e che quei giovani so- cialdemocratici stimano moltissimo. Questa lotta li costringe a istruirsi, a leggere delle opere illegali di ogni tendenza, a occuparsi delle que- stioni del populismo legale. Temprati in quella lotta, i socialdemocra- CHE FARE? 479 tici entrano nel movimento operaio, senza dimenticare « neppure per un istante » la teoria marxista che li ha illuminati con la sua vivida luce e senza dimenticare il compito di abbattere l’autocrazia. La creazione del partito nella primavera del 1898 è l’altro più importante e nel mede- simo tempo Yultimo atto dei socialdemocratici di questo periodo. Il terzo periodo, come abbiamo visto, è ai suoi primi albori nel 1897 e sostituisce definitivamente il precedente nel 1898 (1898-?). Pe- riodo di dispersione, di disgregazione, di oscillazioni. Nell’adolescente la voce cambia. Durante questo periodo anche la voce della socialde- mocrazia ha cominciato a cambiare, a stonare, da una parte nelle opere dei signori Struve e Prokopovic, Bulgakov e Berdiaiev, dall’altra, in quelle di V. I-n, R. M., B. Kricevski e Martynov. Ma mentre i di- rigenti vanno avanti a casaccio, senza accordo, o fanno macchina in- dietro, il movimento continua a svilupparsi e a compiere enormi pro- gressi. La lotta proletaria abbraccia nuovi strati di operai, si estende a tutta la Russia e contribuisce così indirettamente a rafforzare le ten- denze democratiche fra gli studenti e gli altri ceti della popolazione. Ma la coscienza dei dirigenti non è all’altezza della spinta spontanea, vasta e potente; fra i socialdemocratici l’elemento predominante è ormai costituito da militanti di un altro tipo che si sono formati quasi esclusivamente sulla letteratura marxista « legale », tanto più insuffi- ciente quanto più alta è la coscienza richiesta dalla spontaneità della massa. Non solo i dirigenti sono in ritardo teoricamente (« libertà di critica ») e praticamente (« primitivismo »), ma si sforzano di giustifi- care il proprio ritardo, con mille e un argomento altisonante. Il movi- mento socialdemocratico è abbassato al livello del tradunionismo, tanto dai brentaniani della letteratura legale, quanto dai « codisti » della let- teratura illegale. Il programma del « Credo » comincia ad attuarsi, spe- cialmente quando i socialdemocratici, con il loro « primitivismo », su- scitano una ripresa delle tendenze rivoluzionarie non socialdemo- cratiche. E se il lettore mi rimproverasse di essermi occupato troppo di un giornale come il Raboceie Dielo , risponderei : se il Raboceie Dielo ha assunto un’importanza « storica » è perchè, meglio di ogni altro gior- nale, ha espresso lo « spirito » di questo terzo periodo *. Sono proprio • Potrei rispondere anche col proverbio tedesco: « Den Sack. tchlagt man , den Esci meint man p (o, in russo: si picchia il gatto perchè la nuora intenda). Il Raboceie Dielo non è stato il solo a lasciarsi attrarre dalla c critica » di moda; pratici e teorici si 480 LENIN i Kricevski e i Martynov, banderuole a tutti i venti, e non il coerente R. M., che veramente caratterizzano questo periodo di dispersione e di deviazioni, di pronte concessioni alla « critica », all’c economismo », al terrorismo. Questo periodo è caratterizzato non dal disprezzo altezzoso* per la pratica manifestato da qualche adoratore del 1 « assoluto », ma dairunione di un praticismo meschino con una noncuranza totale per la teoria. Gli eroi di questo periodo sviliscono le « grandi parole », più che negarle: per opera loro il socialismo scientifico cessa di essere una teoria rivoluzionaria organica per trasformarsi in un beveraggio « li- beramente » diluito con l’acqua di un qualunque nuovo manuale te- desco; la parola d’ordine della « lotta di classe » non incita più ad un’azione sempre più ampia ed energica, ma serve di emolliente, per- chè — si dice — c la lotta economica è indissolubilmente legata alla lotta politica»; l’idea del partito non incita a creare un’organizzazione rivoluzionaria di lotta, ma giustifica una specie di « burocratismo rivoluzionario » e i fanciulleschi passatempi con le forme « democra- tiche ». Quando il terzo periodo sarà sostituito dal quarto (già annunciato da numerosi indizi)? Non sappiamo. Dal campo della storia passiamo qui nel campo del presente e in parte in quello dell’avvenire. Ma cre- diamo fermamente che il quarto periodo ci porterà al consolidamento del marxismo militante, che la socialdemocrazia russa uscirà dalla crisi rafforzata e virilizzata, che la retroguardia degli opportunisti « avrà il cambio » da una vera avanguardia della classe più rivoluzionaria. Auspicando tale « cambio » e riassumendo in una parola quanto abbiamo scritto, alla domanda: che fare? possiamo rispondere bre- vemente : Liquidare il terzo periodo! sono in gran parte impantanati nella questione della spontaneità, hanno deviato dalla concezione socialdemocratica dei nostri compiti politici ed organizzativi alla concezione tradunionista. APPENDICE TENTATIVO DI UNIFICAZIONE DELL 'ISKRA CON IL RABOCE1E DIELO Ci resta da descrivere la tattica che Visura ha adottato e seguito in modo conseguente nei rapporti organizzativi con il Raboceie Dielo . L’articolo sulla Scissione dell'Unione dei socialdemocratici russi all'e- stero *, pubblicato nel n. i At\YIs\ra, dice qual è questa tattica. Noi ci ponemmo subito dal punto di vista che la vera « Unione dei social- democratici russi all’estero >, che fu riconosciuta nel I Congresso del nostro partito come suo rappresentante all’estero, si era scissa in due organizzazioni; che il problema della rappresentanza all’estero rima- neva aperto, essendo stato risolto soltanto provvisoriamente e in modo relativo dal fatto che al Congresso internazionale di Parigi, nell’Uf- ficio socialista internazionale permanente erano stati eletti per la Rus- sia due membri, uno per ogni parte dell’c Unione » che si era scissa. Noi abbiamo dichiarato che in sostanza il Raboceie Dielo aveva torto e ci schierammo decisamente, in linea di principio, dalla parte del gruppo c Emancipazione del lavoro >, ma al tempo stesso ci rifiu* tammo di entrare nei particolari della scissione e rilevammo i meriti dell’* Unione » nel campo del lavoro puramente pratico **. Quindi la nostra posizione fu, fino a un certo punto, una posizione di attesa: facemmo una concessione all’opinione dominante fra la maggioranza dei socialdemocratici russi, secondo la quale a fianco a • C£r. f nella presente edizione, voi. 4, pp. 4x3-414 (N.d.R.). •• Per un simile giudizio sulla scissione ci eravamo basati non soltanto sulle pub- blicazioni, ma anche sui dati raccolti all'estero da alcuni membri della nostra organiz- zazione. 482 LENIN fianco dell’t Unione » possono lavorare anche gli avversari più decisi deH'economismo, perchè l’« Unione » aveva dichiarato più d’una volta che era d'accordo in linea di principio con il gruppo « Emancipazione del lavoro» e non avrebbe preteso di mantenere una fisionomia sua propria nei problemi fondamentali della teoria e della tattica. Che la posizione da noi presa fosse giusta fu confermato indirettamente dal fatto che quasi contemporaneamente all'uscita del primo numero del- Yls/^ra (dicembre 1900) si staccarono dall 1 * Unione » tre membri, i quali costituirono il cosiddetto « gruppo degli iniziatori » che si rivol- se; 1) alla sezione all’estero dell’organizzazione dell'/r^ra, 2) all’or- ganizzazione rivoluzionaria « Il socialdemocratico » e 3) all’« Unione », proponendo loro di fungere da mediatore nelle trattative per la con- ciliazione. Le prime due organizzazioni risposero subito acconsen- tendo, la terza , con un rifiuto . È vero che, quando un oratore espose questi fatti al Congresso di « unificazione > dell’anno scorso, un mem- bro deH’amministrazione dell’« Unione » dichiarò che il loro rifiuto era dovuto esclusivamente al fatto che 1 *« Unione » non era soddi- sfatta della composizione del gruppo degli iniziatori. Ritengo mio do- vere riferire questa spiegazione, ma non posso però non osservare che la ritengo insoddisfacente : essendo al corrente dell’accordo di due organizzazioni per le trattative, F« Unione » avrebbe potuto rivolgersi ad esse attraverso un altro intermediario o direttamente. Nella primavera del 1901, tanto il giornale Zarià (n. 1, aprile) che Visura (n. 4, maggio)* polemizzarono direttamente con il Raboceie Dielo . L 'Islpa attaccò particolarmente Una svolta storica del Rabo- ceie Dielo, che nel suo numero di aprile, già, quindi, dopo gli avveni- menti della primavera, aveva dato prova di mancanza di fermezza nei riguardi del terrorismo e degli appelli « cruenti ». Nonostante questa polemica, l’f Unione» rispose che acconsentiva a riprendere le trat- tative di conciliazione tramite il nuovo gruppo dei «conciliatori». La conferenza preliminare, composta dai rappresentanti delle tre orga- nizzazioni succitate, si tenne in giugno ed elaborò il progetto di intesa sulla base di un * accordo di principio » molto particolareg- giato, pubblicato dall’« Unione» in opuscolo, Due congressi , e dalla « Lega » nell’opuscolo Documenti del Congresso di unificazione . Il contenuto di questo accordo di principio (o risoluzioni della • Cfr., nel presente volume, pp. 9-16 (N.d.R.). CHE FARE? 483 conferenza di giugno, come più spesso viene chiamato) dimostra con assoluta chiarezza che noi avevamo posto come condizione impre- scindibile per l’unificazione la negazione più recisa di qualsiasi mani- festazione di opportunismo in generale e di opportunismo russo in particolare. « Noi respingiamo — è detto nel primo punto — qualsiasi tentativo di apportare l’opportunismo nella lotta di classe del prole- tariato, tentativi che si esprimono nel cosiddetto economismo, bernstei- nismo, millerandismo, eco. «La cerchia di attività della socialde- mocrazia comprende... la lotta ideologica contro tutti gli avversari del marxismo rivoluzionario» (4,c);... « In tutte le sfere dell’attività orga- nizzativa e di agitazione la socialdemocrazia non deve perdere di vista neppure per un istante il compito immediato del proletariato russo, l’abbattimento dell’autocrazia » (5, a);... « l’agitazione non soltanto sul terreno della lotta quotidiana del lavoro salariato contro il capitale » (5, b);... «non riconoscendo... lo stadio della lotta puramente econo- mica e della lotta per rivendicazioni politiche parziali» (5, c);... «ri- teniamo importante per il movimento la critica delle correnti che ele- vano a principio... il carattere elementare... e la ristrettezza delle forme elementari del movimento » (5, d). Anche un individuo assolutamente estraneo, che legga un po’ attentamente queste risoluzioni, vede dalla formulazione stessa che esse sono dirette contro uomini che erano stati opportunisti ed « economisti », che avevano dimenticato sia pure per un solo istante il compito di abbattere l’autocrazia, che avevano accet- tato la teoria degli stadi e che avevano elevato la ristrettezza a princi- pio, ecc. E chi conosce più o meno la polemica del gruppo « Emanci- pazione del lavoro », della Zarià e de\YIsf(ra contro il Raboceie Dielo y non dubiterà neppure per un istante che queste risoluzioni respingono punto per punto precisamente quegli errori nei quali era caduto il Raboceie Dielo . Perciò, quando nel Congresso di « unificazione » uno dei membri dell’« Unione » dichiarò che gli articoli del n. io del Ra- boceie Dielo erano dovuti non a una nuova « svolta storica » dell’c U- nione », ma a un’esagerata « astrattezza » # delle risoluzioni, un oratore ebbe pienamente ragione di ridere. Le risoluzioni non soltanto non sono astratte — egli ha risposto — ma incredibilmente concrete: al primo sguardo era chiaro che qui si voleva « cogliere in fallo qual- cuno». * Questa affermazione è ripetuta nell’opuscolo Due congressi, p, 25. 484 LENIN Quest’ultima espressione dette luogo nel congresso a un episodio caratteristico. Da una parte, B. Kricevski si afferra alle parole « co- gliere in fallo », decidendo che erano un lapsus linguae che smascherava una cattiva intenzione da parte nostra («tendere una trappola») e esclama pateticamente: «Chi precisamente, chi si voleva cogliere in fallo?». «Già, chi?», chiede ironicamente Plekhanov. «Verrò in aiuto alla mancanza di perspicacia del compagno Plekhanov — ri- sponde B. Kricevski — gli spiegherò che qui si voleva cogliere in fallo la redazione del Raboceie Dielo » {ilarità generale). « Ma noi non ci siamo lasciati cogliere! {interruzione dalla sinistra : Tanto peggio per voi!) ». Dall’altra parte, un membro del gruppo « Lotta > (gruppo dei conciliatori), parlando contro gli emendamenti dell’« Unione » alle ri- soluzioni e volendo difendere il nostro oratore, dichiara che l’espres- sione «cogliere in fallo» doveva evidentemente essergli sfuggita nel- l'ardore della polemica. Per ciò che mi riguarda, credo che da questa « difesa » l'oratore che impiegò l’espressione che ora si sta analizzando non ci guadagnò nulla. Io penso che le parole « si voleva cogliere in fallo qualcuno » fossero state dette per scherzo, « ma pensate sul serio » : noi abbiamo sempre accusato il Raboceie Dielo di mancanza di fermezza, di incer- tezza, e r naturalmente dovevamo cercare di coglierlo in fallo per ren- dere impossibili le incertezze nell’avvenire. Non era neppure il caso di parlare di cattive intenzioni dato che si parlava della mancanza di fermezza nei principi. E noi riuscimmo a « cogliere in fallo » l’« Unio- ne» in. modo così fraterno* che le risoluzioni di giugno furono sotto- scritte dallo stesso B. Kricevski e da un altro membro dell’amministra- zione dell’« Unione ». Gli articoli nel n. io del Raboceie Dielo (i nostri compagni hanno visto questo numero soltanto quando sono venuti al congresso, qualche • Precisamente: noi dicemmo nell’introduzione alle risoluzioni di giugno che la socialdemocrazia russa nel suo complesso è sempre stata sul terreno dei principi del gruppo « Emancipazione del lavoro » e che il merito dell’* Unione » fc «tato particolar- mente la sua attiviti pubblicistica e organizzativa. In altre parole, ci dichiaravamo pienamente pronti a dimenticare tutto il passato e a riconoscere utile (per la causa) il lavoro dei nostri compagni dell’« Unione » a condizione che cessassero compieta- mente le incertezze a cui davamo la caccia, cogliendoli in fallo. Ogni persona impar- ziale che ha letto le risoluzioni di giugno le capirà proprio soltanto così. Se l’« Unione », ora, dopo aver provocato la rottura con la sua nuova svolta verso reconomismo (articoli nel n. io e emendamenti), ci accusa solennemente di non esser sinceri {Due congressi , P’ 3°) queste parole sui suoi meriti, una simile accusa può solo suscitare un sorriso. CHE FARE? 485 giorno prima che cominciassero le sedute) hanno dimostrato chiara- mente che, dall’estate all’autunno, nell’* Unione » è avvenuta una nuova svolta: gli economisti hanno preso nuovamente il sopravvento e la redazione, docile ad ogni c soffiar di vento », si è nuovamente ac- cinta a difendere i « più incalliti bernsteiniani » e la « libertà di criti- ca », a difendere la « spontaneità » e a predicare per bocca di Martynov la « teoria della restrizione » delle sfere della nostra influenza politica (con il pretesto che era divenuto difficile esercitarla). Ancora una volta si è confermata la giusta osservazione di Parvus, ossia che è dif- ficile cogliere in fallo l’opportunista con una formula qualsiasi: egli Sottoscriverà facilmente qualsiasi formula e facilmente se ne allon- tanerà, dato che l’opportunismo consiste precisamente nell’assenza di principi più o meno fermi e precisi. Oggi gli opportunisti respingono ogni tentativo di introdurre nella lotta di classe l’opportunismo, respin- gono ogni ristrettezza, promettono solennemente di « non dimenticare neppure per un istante l’abbattimento dell’autocrazia », di condurre l’agitazione non soltanto sul terreno della lotta quotidiana del lavoro salariato contro il capitale, ecc. ecc. Domani cambiano il modo di espri- mersi e ritornano al passato, difendendo la spontaneità, lo sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana, esaltando le rivendicazioni che permettono risultati tangibili, ecc. Continuando ad affermare che, negli articoli del n. io, « 1 * ” Unione ” non ha visto e non vede nessuna deviazione eretica dai principi generali del progetto della conferenza » ( Due Congressi p. 26), l’« Unione » mostra di non sapere o di non vo- lere assolutamente comprendere la sostanza delle divergenze. Dopo il n. io del Raboceic Dielo ci è rimasto da fare soltanto un tentativo: cominciare una discussione generale per sapere se tutta r« Unione » è solidale con questi articoli e con la redazione. L’« U- nione » è particolarmente scontenta di noi per questo tentativo e ci accusa di voler seminare la discordia nclP« Unione », di immischiarci in affari che non ci riguardano, ecc. Accuse evidentemente infondate, perchè, con una redazione elettiva che « gira » ad ogni leggero spirar di vento, tutto dipende precisamente dalla direzione del vento, e noi que- sta direzione la precisavamo in sedute chiuse alle quali partecipavano soltanto membri delle organizzazioni che si preparavano ad unirsi. Gli emendamenti apportati, a nome dell’c Unione », alle risoluzioni di giugno ci hanno tolto anche l’ultima ombra di speranza nell’accordo. Gli emendamenti hanno dimostrato in modo documentato la nuova 4 86 LENIN svolta verso Teconomismo e la solidarietà della maggioranza dell’c li- mono col n. io del Raboccie Diclo . Dalla serie delle manifestazioni di opportunismo si cancellava il c cosiddetto economismo » (perchè queste due parole avrebbero un « senso indeterminato », sebbene da una simile motivazione derivi soltanto la necessità di definire più esat- tamente l’essenza dell’errore così largamente diffuso), si cancellava an- che il c millerandismo > (sebbene B. Kricevski lo avesse difeso nel J?a- boccic Diclo , n. 2-3, pp. 83-84, e ancora più apertamente nel Vorwàrts *). Nonostante che le risoluzioni di giugno indicassero in modo preciso che era compito della socialdemocrazia c dirigere qualsiasi manifesta- zione della lotta del proletariato contro tutte le forme di oppressione politica, economica e sociale », esigendo in questo modo l’organizza- zione sistematica e l’unità di tutte queste manifestazioni di lotta, la « Unione » ha aggiunto altre parole assolutamente superflue, come « la lotta economica è un potente stimolo del movimento di massa » (di per sè queste parole sono indiscutibili, ma dato che è indubbia resisten- za di un ristretto « economismo », esse non potevano non dar luogo a false interpretazioni). Più ancora. Nelle risoluzioni di giugno è stata inserita anche una diretta restrizione della « politica », tanto mediante l’eliminazione delle parole < neppure per un istante » (non dimenticare lo scopo di abbattere l’autocrazia), quanto mediante raggiunta delle parole: «la lotta economica è il mezzo più largamente applicabile per attirare le masse alla lotta politica attiva». È comprensibile che, dopo l’inserimento di questi emendamenti, tutti gli oratori della no- stra parte cominciassero l’uno dopo Paltro a rinunciare alla parola, trovando assolutamente inutili ulteriori trattative con uomini che si voltavano nuovamente verso l’economismo e che si assicuravano la li- bertà di tentennare. « Proprio quello che 1 ’ n Unione ” ha considerato come condizione sine qua non per la salvezza del futuro accordo — ossia che il Raboceie Dielo potesse mantenere una sua propria fisionomia e autonomia — proprio questo è stato considerato dalF/x^ra come la pietra di para- gone per l’accordo » ( Due congressi , p. 25). Ciò è molto inesatto. Noi * Nel Vorwàrts era cominciata la polemica a questo proposito fra la redazione odierna, Kautsky e la Zarìà . Non mancheremo di far conoscere questa polemica ai lettori russi. CHE FARE? 487 non abbiamo mai attentato all’autonomia del Raboceie Dielo *. È vero che abbiamo decisamente sostenuto che il Raboceie Dielo non doveva avere una fisionomia sua propria, intendendo con questa espressione Tautonomia nelle questioni tattiche e teoriche di principio. Nelle riso- luzioni di giugno si restringe appunto categoricamente tale autonomia perchè in pratica, lo ripetiamo, essa ha sempre significato ogni ge- nere di tentennamenti che contribuiscono alla confusione che regna da noi e che non è ammissibile dal punto di vista di partito. Con gli ar- ticoli del n. io e gli c_emendamenti », il Raboceie Dielo ha dimostrato chiaramente di voler conservare proprio questa sua autonomia, e un stonile desiderio ha portato naturalmente e inevitabilmente alla rottura e alla dichiarazione di guerra. Ma noi tutti eravamo pronti a ricono- scere T< autonomia» del Raboceie Dielo , limitata però alle funzioni puramente editoriali. La giusta distribuzione di queste funzioni ri- chiedeva : 1) una rivista scientifica, 2) un giornale politico e 3) raccolte e opuscoli popolari. Soltanto il consenso del Raboceie Dielo a una si- mile distribuzione avrebbe dimostrato il suo sincero desiderio di farla finita una volta per sempre con gli errori contro i quali sono dirette le risoluzioni di giugno; soltanto una simile distribuzione avrebbe elimi- nato ogni possibilità di attriti e avrebbe assicurato effettivamente la saldezza dell’accordo, servendo al tempo stesso come base per una nuova ascesa del nostro movimento e per nuovi successi. Oggi nessun socialdemocratico russo può ormai dubitare che la rot- tura definitiva tra Torientamento rivoluzionario e quello opportunista è dovuta non a una qualche circostanza « organizzativa », ma precisa- mente al desiderio degli opportunisti di consolidare 1*« autonomia » dell’opportunismo e continuare a introdurre nei cervelli la confusione con le dissertazioni dei Kricevski e dei Martynov. • Se non si considerano come una restrizione dell’autonomia le riunioni delle reda- zioni per la costituzione del consiglio generale superiore delle organizzazioni unificate, per le quali nel mese di giugno era d’accordo anche il Raboceie Dielo . RETTIFICA A « CHE FARE? » Il « gruppo degli iniziatori » del quale parlo nell’opuscolo Che farei, p. 141 # , mi chiede di apportare la seguente rettifica alFesposi- zione del modo in cui essi parteciparono al tentativo di conciliazione delle organizzazioni socialdemocratiche all’estero : « Dei tre membri di quel gruppo, uno solo uscì dall’ ” Unione ” alla fine del 1900, gli altri nel 1901, e soltanto dopo essersi convinti delPimpossibilità di ottenere dalP ” Unione " il consenso di partecipare a una conferenza con lor- ganizzazione alPestero àeWIs^ra e l’organizzazione rivoluzionaria " Il socialdemocratico ”, cosa che, in sostanza, proponeva il ” gruppo degli iniziatori Questa proposta dapprima fu respinta dall’ammini- strazione dell’ "Unione ”, che motivò il suo rifiuto di partecipare alla conferenza dicendo che le persone facenti parti del "gruppo degli iniziatori ” che fungeva da intermediario erano incompetenti, e al tem- po stesser espresse il desiderio di entrare in relazioni dirette con l’or- ganizzazione alPestero dclP/r^ra. Ben presto però Pamministrazionc delP " Unione " informò il " gruppo degli iniziatori ” che essa, dopo la uscita del primo numero dellV^ra, nel quale era pubblicata la nota sulla scissione dell’ ” Unione ", aveva cambiato la propria decisione e non intendeva entrare in rapporti con Visura. Come spiegare dopo di ciò la dichiarazione del membro dell’amministrazione dell’ "Unione ” secondo cui il rifiuto di quest’ultima di partecipare alla conferenza era dovuto esclusivamente al suo malcontento per la composizione del " gruppo degli iniziatori ’’ ? È vero che nemmeno si comprende il con- senso delPamministrazione dell’ ’’ Unione ” a partecipare alla confe- renza di giugno delPanno scorso: infatti la nota nel primo numero • Cfr., nel presente volume, pp. 481-482 (N. d. J?-). CHE FARE? 489 del Visura era ancora valida e Tatteggiamento ” negativo ” dellY^ra verso T ” Unione ” era apparso in modo ancora più chiaro nel primo numero della Zarìà e nel quarto numero dell *ls\ra, pubblicati prima della conferenza di giugno >. N. Lenin Is{ra, n. 19, 1 aprile 1902. NOTE 1 Nel febbraio e nel marzo igoi a Pietroburgo, Mosca, Kiev, Kharkov, iaroslavl, Tomsk, Varsavia, Bielostok e in altre città della Russia vi furono agitazioni di studenti, comizi, manifestazioni e scioperi di operai, 2 Si tratta della co i rispondenza // primo maggio in Russia, pubblicata neWIsfya, n. 5 (giugno 1901) nella rubrica Cronaca del movimento operaio e lettere dalle fabbriche e dalle officine. 3 Lenin si riferisce all* Introduzione di F. Engels alla prima ristampa delle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K, Marx. Il testo engelsiano fu dai socialdemocratici tedeschi alterato, in una edizione del 1895, e quindi interpretato come una rinuncia all’insurrezione armata e alle barricate. 11 testo integrale è stato pubblicato per la prima volta in URSS. 4 Lenin si riferisce allo scontro della polizia con gli operai in sciopero della fab- brica Maxwell di Pietroburgo nel dicembre 1898. I poliziotti (200 a piedi e 100 a cavallo), giunti per arrestare gir e istigatori », tentarono invano per alcune ore di penetrare nell’edificio, ove gli operai si barricarono e si difesero lanciando ceppi, bottiglie e acqua bollente. 5 Riferimento al feroce eccidio compiuto a Pietroburgo, il 17 marzo 1901, dalla polizia zarista e dai cosacchi ai danni degli operai e degli studenti che parteci- pavano a una manifestazione di protesta contro il richiamo alle armi di un certe numero di studenti. 6 II presente articolo, nel quale Lenin critica il promemoria segreto, pubblicato clandestinamente all’estero, del ministro zarista S.I. Witte L'autocrazia e Io zemstvo (con una prefazione del liberale P.B. Struve), provocò gravi dissensi nella redazione dell'/r^ra. PIckhanov e qualche altro membro della redazione si pronunciarono contro lo scritto di Lenin. La polemica si protrasse per un mese circa. Lenin accettò alcuni emendamenti, ma si rifiutò di modificare il tono e la sostanza del l’articolo. 7 Katkov M. N., pubblicista reazionario, diresse dal 1851 in poi il giornale Mosk^o- vskje Viedomosti. Lenin lo definì un « fedele cane da guardia dell’autocrazia ». 8 La « Giovane Russia » (Molodata Rossia), proclama edito dal circolo rivoluzionario di P. G. Zaicnevski nel maggio 1862. In esso si faceva appello all’azione rivoluzio- naria contro l’autocrazia e si lanciava la parola d’ordine della « repubblica sociale e democratica russa », quale unione federativa delle regioni. ® Radistcev A. D. (1749-1802), scrittore e rivoluzionario russo. Nel suo celebre Viaggio da Pietroburgo a Mosca fu il primo a prendere apertamente posizione con- tro il regime feudale della Russia zarista. Ciò gli valse, per ordine di Caterina II, la condanna a morte tramutata in dieci anni di deportazione in Siberia. Ritornato dalla deportazione in seguito ad amnistia, ma minacciato di nuove persecuzioni dal governo zarista, si suicidò. 494 NOTE 10 Arakceiev A. A., dirigente reazionario della Russia zarista vissuto tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo; ebbe una forte influenza sulla politica estera e interna durante il regno di Paolo I e di Alessandro I. Al nome di Arakceiev è le- gata tutta un’epoca di illimitato dispotismo poliziesco e di brutale arbitrio milita- ristico. 11 Riferimento all'insurrezione dei decabristi. 12 Si tratta della partecipazione dell’esercito di Nicola I alla repressione del movimento rivoluzionario in Europa nel 1848-1849, in particolare della rivoluzione ungherese del 1849. 13 Dittatura del cuore: venne così denominata, ironicamente, reffimera politica di lu- singhe verso i liberali del dignitario zarista Loris-Melikov, che nel 1880 era stato nominato capo della « Commissione superiore amministrativa » per la lotta contro il « sovversivismo *, poi ministro degli interni. Tale politica si prefiggeva lo scopo di portare la borghesia liberale a schierarsi a fianco dello zarismo e di eliminare i sentimenti di opposizione che si erano manifestati in seno alla stessa borghesia liberale sotto l’influenza del movimento rivoluzionario che si stava sviluppando nel paese, 14 La volontà del popolo [Narodnaia Volta], società segreta populista, organizzata nel 1879 per la lotta rivoluzionaria contro l’autocrazia zarista. Poco dopo l’uccisione, per opera dei suoi militanti, dello zar Alessandro II (13 marzo 1881), la Narodnaia Volia fu distrutta dal governo zarista. In seguito la maggior parte dei populisti rinunciò alla lotta rivoluzionaria contro lo zarismo e cominciò a sostenere la conciliazione, il compromesso con l’autocrazia zarista. Questi epigoni del populismo, i populisti liberali degli anni ottanta e novanta, si fecero portavoce degli interessi dei kulak, Cfr.» nella presente edizione, voi. 4, pp. 257-288. 13 II diritto del popolo [ Narodnoie pravo], organizzazione clandestina di intellettuali democratici fondata nel 1893 (da M.A. Natanson e altri) con la partecipazione di ex militanti della Narodnaia Volia; nella primavera del 1894 fu distrutta dal governo zarista. Questa organizzazione pubbblicò due documenti programmatici: Una questione urgente e il Manifesto. La maggior parte dei seguaci del Narodnoie pravo aderì in seguito al partito dei socialisti-rivoluzionari. 17 Lenin si riferisce alla tesi dell’opera di K. Marx Le lotte di classe in Franaa dal 1848 al 18 $o. 73 Si tratta di una circolare inviata dalla Direzione generale per gli affari della stampa alle redazioni delle riviste e dei giornali, dopo la pubblicazione dell’ar- ticolo A proposito dei disordini operai nel Novoie Vremia. 13 Quest’opera fu scritta da Lenin nel giugno-settembre 1901. I primi quattro capi- toli furono pubblicati nel n. 2-3 della rivista Zarià del dicembre 1901 con il titolo / signori « critici » nella questione agraria , Primo saggio , a firma N. Lenin. In seguito furono pubblicati legalmente a Odessa (con l’avvertenza : Permesso della censura. Odessa, 23 luglio 1905) dalla casa editrice Bureviestnik in opuscolo con il titolo: N. Lenin, La questione agraria eia critici > di Marx . Questo titolo fu mantenuto dall’autore in tutte le successive edizioni. I capitoli V-IX comparvero per la prima volta nella rivista Obrazovanie , n. 2, febbraio 1906. 1 nove capitoli con l’aggiunta di due nuovi, il X e XI, furono pubblicati nel 1908 a Pietroburgo neU’opera VI. Ilin, La questione agraria. II capitolo XII fu pubblicato per la prima volta nel 1908 nella raccolta La vita corrente . Il presente volume contiene i primi nove capitoli; i capitoli X, XI e XII, scritti nel 1917, fanno parte del 13° volume della presente edizione. NOTE 495 20 Cfr. K. Marx, Il capitale , IV, 3, p. 57. 21 Ivi, p. 148. 22 Ivi, pp. 145 - 147 * 23 Ivi, pp. 147-149. 24 Ivi, pp. 47-48. 25 Cfr. K. Marx, Storia delle teorie economiche , Torino, 1955, pp. 381-382. 26 Cfr. K. Marx e F. Engels, Manifesto del partito comunista t Roma, 1953, p. 1 1. 27 Cfr. K. Marx e F. Engels, Opere complete , 1935, ed. russa, v. XV, pp. 73-74. 23 Cfr. F. Engels, Antiduhring, Roma, 1955, p. 316 sgg. 29 F. Engels, La questione delle abitazioni, Roma, 1950, p. 108. 39 Ivi, p. io. 31 I capitoli V-IX furono pubblicati nella rivista Obrazovanic con la seguente nota dell’autore: «I saggi qui presentati sono stati scritti nel 1901. La prima parte è uscita in opuscolo l’anno scorso a Odessa (edizioni « Bureviestnik »). La seconda parte appare per la prima volta. Ciascun articolo è un saggio più o meno compiuto in sè. Il tema comune è l’analisi della critica rivolta nella letteratura russa contro il marxismo ». 32 Società di politica sociale ( Verein fiir Sozialpolitik^ ), associazione di economisti borghesi tedeschi, fondata nel 1872, per combattere l'Influenza della socialdemo- crazia sulla classe operaia. 33 Cfr. K. Marx, // Capitale , Roma, III, 3, pp. 217-218. 34 Cfr. Saltykov-Stcedrin, Opere complete , 1940, v. XV, pp. 101-102. 35 Dai capitoli VII e IX, pubblicati per la prima volta dalla rivista Obrazovanie, risulta che Lenin intendeva esaminare in questo studio i dati della della statistica agricola francese e analizzare le concezioni « critiche » dell’economista francese Maurice. Ma questo piano non venne realizzato e nell’edizione del 1908 Lenin modificò i punti corrispondenti del testo che provavano il suo primo intento. Dalla frase: « La proletarizzazione dei contadini prosegue: lo dimostreremo più avanti coi dati d'insieme della statistica tedesca e francese... », furono omesse le due parole «e francese» (cfr. pp. 167-168). Dalla frase: *11 rapido sviluppo delle città aumenta costantemente il numero di tali ” jarmers lattiero-caseari ”, e, natu- ralmente, si troveranno sempre degli Hecht, dei David, degli Hertz e dei Cernov (e anche, — per non offendere la Francia, — dei Maurice, di cui più avanti)... » furono omesse le parole tra parentesi. La frase: «Ecco perchè, quando si confon- dono questi due processi, o se ne trascura uno, si può facilmente cadere negli errori più grossolani, errori dei quali vedremo un esempio più avanti, esaminando le conclusioni tratte dal signor Bulgakov dai dati francesi», fu cosi modificata: « dei quali sono disseminati numerosissimi esempi nel libro di Bulgakov ». 36 II Congresso di unificazione (Zurigo, 4-5 ottobre 1901) fu un tentativo di unificare le organizzazioni socialdemocratiche russe all’estero sul terreno di un programma marxista. Al congresso presero parte i rappresentanti della sezione estera dell’orga- nizzazione Iskra-Zarià, dell’organizzazione « Il socialdemocratico » (comprendente il gruppo « Emancipazione del lavoro »), l'« Unione dei socialdemocratici russi al- l’estero », il Bund e il gruppo «Lotta». Il Congresso fu preceduto, nel giugno 1901 a Ginevra, da una conferenza dei rappresentanti delle stesse organizzazioni che approvarono una risoluzione come base di principio per un accordo e un’attività comune. L’avvenimento avrebbe dovuto essere ufficialmente sanzionato dal Congresso di « unificazione ». Però gli articoli pubblicati nel settembre 1901 nel n. io del Raboceie Dielo, gli emenda- menti e le aggiunte alla risoluzione della conferenza di Ginevra proposti al Con- NOTE 49 0 gresso dai rappresentanti dell’ « Unione » provarono che 1 * « Unione * continuava a restare sulle precedenti posizioni opportunistiche. I rappresentanti óeWIs/^ra e del- l’organizzazione « Il socialdemocratico » abbandonarono il Congresso dopo aver fatto una dichiarazione. •V. Lenin, presentatosi col nome di Frey, pronunciò il suo primo discorso pubblico ai socialdemocratici russi all’estero. 37 L’« Unione dei socialdemocratici russi all’estero» fu costituita nel 1894 a Ginevra per iniziativa del gruppo «Emancipazione del lavoro » Nel settembre 1898 al primo congresso dell’ « Unione » il gruppo « Emancipazione del lavoro » rinunciò a dirigerne le edizioni. L’uscita di questo gruppo dall’ « Unione » avvenne neH'aprile 1900 al secondo congresso dell’ « Unione » quando il gruppo «Emancipazione del lavoro » e i suoi seguaci costituirono l’organizzazione autonoma « Il socialde- mocratico ». * 38 Quest’organizzazione, sorta dopo la scissione prodottasi neH'aprile 1900, pubblicò alcuni opuscoli. NeH’ottobre 1901 si fuse con la sezione estera deWIs^ra-Zorià nella « Lega estera della socialdemocrazia rivoluzionaria russa ». 39 II Congresso di Lubecca della socialdemocrazia tedesca (22-28 settembre 1901) discusse i problemi della lotta contro il revisionismo, costituitosi in quel periodo in ala destra del partito con un suo proprio programma e un organo di stampa, i Sozialistische Monatshefte. Il leader dei revisionisti, Bernstein, chiese, nel suo discorso al congresso, la « libertà di critica » nei riguardi del marxismo. Il con- gresso respinse il progetto di risoluzione presentato dai seguaci di Bernstein e approvò una risoluzione di ammonimento a Bernstein, senza porre però la que- stione di principio dell’incompatibilità della permanenza dei bernsteiniani nelle file del partito operaio. 49 « Partito operaio per la liberazione politica della Russia », piccola organizzazione di orientamente populista, che operò dal 1899 al 1902 a Minsk, Bielostok e in alcune altre città. Nel 1902 i suoi iscritti aderirono al partito dei socialisti-rivo- luzionari. 41 « Bund. Unione generale operaia ebraica della Lituania, Polonia e Russia». Fu organizzato nel 1897 c riuniva, in prevalenza, artigiani ebrei delle regioni occi- dentali della Russia. Al I Congresso del POSDR (marzo 1894) il Bund entrò nel POSDR. Al II Congresso del POSDR i delegati del Bund chiesero che la loro organizzazione fosse riconosciuta come l’unica rappresentante del proletariato ebreo. Il congresso respinse il nazionalismo organizzato del Bund, che usci dal partito. Nel 1906, dopo il IV Congresso (di «unificazione»), il Bund rientrò nel POSDR. I suoi membri sostennero sempre i menscevichi e condussero una lotta ininterrotta contro i bolscevichi. Il Bund era un'organizzazione di carattere nazionalista borghese, che opponeva alla rivendicazione programmatica dei bolscevichi — diritto delle nazioni all’au- todecisione — la rivendicazione dell’autonomia culturale nazionale. Durante la prima guerra mondiale il Bund condivise le posizioni del socialsciovinismo; nel 1917 sostenne il governo provvisorio controrivoluzionario e si schierò con i nemici della rivoluzione d’Ottobre. Durante la guerra civile i dirigenti più in vista del Bund si unirono alle forze della controrivoluzione. Nello stesso tempo i militanti del Bund cominciarono a orientarsi verso la collaborazione col potere sovietico. Quando la vittoria della dittatura del proletariato sulla controrivoluzione interna e sull’intervento straniero si fece ormai irrevocabile, il Bund dichiarò che rinunciava alla lotta contro il potere sovietico. Nel marzo 1921 il Bund si sciolse di propria iniziativa e una parte dei suoi membri entrò nel partito bolscevico. 42 Si allude al manifestino, Prima lettera ai contadini affamati , pubblicato nel 1892 e firmato; «Gli amici dei contadini». Ne furono tirate circa 1.800 copie. NOTE 497 43 Della «Lega della socialdemocrazia rivoluzionaria russa all’estero», fondata per iniziativa di Lenin nell’ottobre 1901, fecero parte la sezione estera dell’organiz- zazione Isfira-Zarià e l'organizzazione « Il socialdemocratico » (comprendente il gruppo « Emancipazione del lavoro »). La Lega rappresentava Visura all’estero. Essa pubblicò alcuni Bollettini e opuscoli, compreso l'opuscolo Ai contadini poveri di Lenin. Il II Congresso del POSDR riconobbe la Lega quale unica organizzazione del partito all’estero. Dopo il II Congresso nella « Lega all’estero » predominarono i menscevichi. 44 II primo capitolo della Rassegna di politica interna fu pubblicato due volte in opuscolo col titolo La lotta contro gli affamati: la prima volta usci come estratto del n. 2-3 della Zarià ; la seconda volta ne furono tirate 3.000 copie nella tipo- grafìa clandestina dell’/r^ra di Kisciniev. 45 Personaggio del romanze La famiglia Golovliov di Saltykov-Stcedrin. 48 Dalla Storia di una città di Saltykov-Stcedrin. 47 Lenin si riferisce al libro di Nikolai-on (N.F. Danielson) Profilo della nostra economia sociale dopo la riforma, edito a Pietroburgo nel 1893. 48 A^aki Akakjevic : protagonista del racconto II cappotto di Gogol. L’uomo nel - V astuccio: protagonista del racconto omonimo di Cechov. 49 Kit Kitic: personaggio della commedia di Ostrovski, Per colpa degli altri. 60 La traduzione della lettera di Lassalle è di Lenin. 61 La manifestazione del l8 dicembre 1876 fu organizzata da operai e studenti in segno di protesta contro l’arbitrio dell’autocrazia. Nel corso della manifestazione prese la parola Plekhanov. I dimostranti furono dispersi dalla polizia, molti furono arrestati e condannati alla deportazione o ai lavori forzati. 82 La miscellanea La lotta proletaria , n. 1, fu pubblicata nel 1899 dal Gruppo social- democratico degli Urali. I suoi autori, favorevoli all'« economismo », negavano la necessità di costituire un partito politico autonomo della classe operaia e rite- nevano che si potesse compiere U rivoluzione politica mediante scioperi generali, senza insurrezione armata. 83 « Biblioteca operaia socialdemocratica », serie di opuscoli pubblicati clandestinamente a Vilna e Pietroburgo nel 1900-1901. 64 Cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista , cit., p. 91. Ivi, p. 143. Nell ’invefno 1901 -1902 scoppiò uno sciopero generale cui parteciparono circa 30.000 studenti. 67 Lenin allude al famoso affare Dreyfus. 68 11 Che fare? fu scritto da Lenin tra la fine del 1901 e l’inizio del 1902. Lenin si dedicò assiduamente al lavoro sul libro, che annunciò prima (maggio 1901) nel- l’articolo Da che cosa cominciare? e poi (novembre 1901) nella Prefazione ai Documenti del congresso di «unificazione », nell’autunno del 1901. Nel febbraio del 1902 scrisse la prefazione. Ai primi di marzo il Che fare? uscì per i tipi della casa editrice Dictz di Stoccarda, e ne fu dato l'annuncio sul n. 18 dell'/f^ra (io marzo 1902). Ripubblicando il Che fare? nel 1907 nella miscellanea In dodici mesi Lenin omise il paragrafo « a » del V capitolo e indicò nella prefazione che pubblicava il lavoro «con alcune riduzioni, omettendo soltanto dettagli di rapporti organizzativi o piccole osservazioni polemiche». Nello stesso tempo egli aggiunse cinque nuove note. Nella presente traduzione si è seguito il testo dell'edizione del 1902, confrontato col testo dell’edizione del 1907. 498 NOTE 6 ® Lassalliani, sostenitori e seguaci di F. Lassalle. Nucleo fondamentale dei lassal- liani era la « Associazione generale degli operai tedeschi » fondata da Lassalle nel 1863, Considerando possibile la pacifica trasformazione del capitalismo in socia- lismo per mezzo di associazioni operaie appoggiate dallo Stato capitalistico, i las- salliani sostenevano la necessità di sostituire la lotta rivoluzionaria delta classe operaia con la lotta per il suffragio universale e l’azione parlamentare. Marx criticò aspramente i lassalliani e rilevò che essi « nel corso di vari anni furono di impedi- mento allorganizzazione del proletariato c finirono per diventare semplicemente uno strumento nelle mani della polizia ». La valutazione delle concezioni teoriche dei lassalliani e della loro tattica fu data da Marx in: Critica al programma di Gotha y Immaginarie scissioni nell'Internazionale e nel carteggio con Engels. Gli eisenachiani erano sostenitori del marxismo. Sotto la guida di G. Liebknecht e di A. Bebel fondarono nel 1869 al Congresso di Eisenach il partito socialdemo- cratico tedesco. Tra questi partiti si svolse una lotta accanita. Sotto la influenza dello sviluppo del movimento operaio e delle accentuate repressioni governative, i due partiti si fusero nel partito operaio socialista unificato della Germania, nel quale i lassal- liani rappresentavano l’ala destra. 60 Guesdisti, seguaci di J. Guesde, corrente di sinistra, marxista, che sosteneva una politica autonoma rivoluzionaria del proletariato; nel 1901 i guesdisti costituirono il Partito socialista di Francia. Possibilisti, corrente piccolo-borghese, riformista, che distoglieva il proletariato dai metodi rivoluzionari di lotta. I possibilisti pro- ponevano di confinare l’attività della classe operaia nei limiti del possibile sotto il capitalismo. Nel 1902 i possibilisti insieme ad altri gruppi riformisti costituirono il Partito socialista francese. Nel 1905 il Partito socialista di Francia e il Partito socialista francese si fusero in un solo partito. Nel periodo della guerra imperialistica del 1914-1918 f. Guesde, insieme a tutta la direzione del Partito socialista francese, passò sulle posizioni del socialsciovinismo. 61 Fabiani, membri della riformista € Società dei fabiani », fondata da un gruppo di intellettuali borghesi nel 1884 in Inghilterra. La società si diede il nome dal capo militare romano Fabio il temporeggiatore, famoso per la sua tattica di attesa tendente a schivare combattimenti decisivi. I fabiani distoglievano il proletariato dalla lotta di classe, sostenendo il pacifico trapasso dal capitalismo al socialismo per via di piccole riforme. 82 Prefazione di F. Engels alla III edizione del l’opera di Marx // diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. 83 Biezsaglavzy (cioè i senza titolo): gruppo (S.M. Prokopovic, L.D. Kuskova, V.I, Boguciarski c altri) che si raccoglieva intorno alla rivista Biez zaglavie (Senza titolo) pubblicata a Pietroburgo nel 1906. I senza titolo si dichiaravano apertamente seguaci del revisionismo, sostenevano menscevichi e liberali, si opponevano alla politica indipendente del proletariato. Altrove Lenin li chiama cadetti menscevicheggianti oppure menscevichi cadet- teggianti. 84 Uovaiski DJ. (1832-1920), storico, autore di numerosi manuali di storia larga- mente diffusi nelle scuole elementari e medie della Russia zarista. Nei suoi libri di testo la storia si riduceva soprattutto all’attività dei sovrani e dei capi militari. 86 Socialismo della cattedra, corrente deU’economia politica borghese sviluppatasi in Germania tra il 1870 e il 1890. I rappresentanti di questa corrente predicavano dalle cattedre universitarie il riformismo liberale borghese sotto la veste del so- cialismo. I socialisti della cattedra affermavano che lo Stato borghese, essendo al di sopra delle classi, avrebbe potuto conciliare le classi ostili e attuare a poco a NOTE 499 poco il « socialismo ». In Russia le concezioni dei socialisti della cattedra furono sostenute dai « marxisti-legali ». 00 Risoluzione di Hannover, risoluzione sulla questione degli Attacchi alle concezioni fondamentali e alla tattica del partito , approvata dal Congresso della socialdemo- crazia tedesca che si tenne a' Hannover dal 27 settembre al 2 ottobre (9-14 ottobre) 1899. La risoluzione approvata dal Congresso respingeva le richieste dei revisio- nisti, formulate da Bernstein, che proponeva di sottoporre a riesame la tattica e la politica rivoluzionaria della socialdemocrazia, ma non criticava e non smascherava il bernsteinismo. La risoluzione fu approvata anche dai seguaci di Bernstein. 67 II Congresso di Stoccarda della socialdemocrazia tedesca (3-8 ottobre 1898) di- scusse per la prima volta il problema del revisionismo in seno alla socialdemocrazia tedesca. Al Congresso venne letta una dichiarazione di Bernstein, assente, in cui venivano ribadite le concezioni opportunistiche, già espresse in precedenza dal- l’autore in una serie di articoli. Gli avversari di Bernstein al Congresso non erano uniti. Gli uni (Bebel, Kautsky e altri) volevano che gli errori di Bernstein fossero - criticati, ma erano contrari a prendere nei suoi riguardi misure organizzative. Gli altri — in minoranza — diretti da Rosa Luxemburg avevano una posizione più risoluta. 08 Uno scrittore montato in superbia , da uno dei primi racconti di M. Gorki. 09 Lenin si riferisce alla miscellanea Documenti per uno studio del nostro sviluppo economico , pubblicata con una tiratura di 2.000 copie in una tipografia legale nell’aprile 1895. Essa conteneva l'articolo di V.I. Lenin (sotto lo pseudonimo di K. Tulin): Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del sig . Struve (cfr. nella presente edizione, v. I, pp. 341-523). 79 Questo articolo fu scritto in Siberia nel 1899. Avendo ricevuto il Credo (mani- festo di un gruppo di € economisti », S.N. Prokopovic, E.D. Kuskova ed altri, che poi divennero cadetti), inviatogli dalla sorella A.I. Ielizarova, Lenin scrisse questa dura e sferzante protesta, che fu discussa e approvata all’unanimità in un’assemblea di 17 marxisti deportati politici, assemblea che si era riunita, dietro invito di Lenin, nel villaggio di Iermakovskoie, circondario di Minusinsk. Le colonie di deportati di Turunkhansk e Orlov (governatorato di Viatka) aderirono alla Protesta. La Protesta dei socialdemocratici russi fu poi inviata da Lenin all’estero, al gruppo «Emancipazione del lavoro». All’inizio del 1900 venne ristampata nella raccolta di Plekhanov Vademecum per la redazione del Raboceie Dtelo , diretta contro l’economismo. 71 Vademecum per la redazione del Raboceie Dielo, raccolta di materiali e documenti con prefazione di G.V. Plekhanov che smascherava le concezioni opportunistiche dell’« Unione dei socialdemocratici russi allestero » e della redazione della rivista Raboceie' Dielo. La raccolta fu curata da Plekhanov e pubblicata dal gruppo «Emancipazione del lavoro» a Ginevra, a partire dal 1900. 72 Profession de foi (Professione di fede), manifestino che esponeva le concezioni opportunistiche del Comitato di Kiev; redatto alla fine del 1899. Il contenuto del manifestino coincide sotto molti aspetti col famoso Credo degli « economisti ». Lenin criticò questo documento nell’articolo: A proposito della « Profession de foi » (Cfr., nella presente edizione, v, 4, pp. 263-273). 73 Cfr. K. Marx - F. Engels, // partito e l'Internazionale, Roma, 1948, p. 224- 74 F. Engels, La guerra dei contadini in Germania. 76 La riunione privata, ricordata da Lenin, si tenne a Pietroburgo fra il 26 febbraio c il i° marzo 1897. Alla riunione erano presenti V.I. Lenin, A. A. Vakieiev, G.M. Krgigianovski e altri membri dell’« Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia » di Pietroburgo, i « vecchi » rilasciati per tre giorni prima di essere 5oo NOTE deportati in Siberia, e i « giovani » che avevano diretto l’« Unione di lotta » dopo l’arresto di Lenin. 76 I sindacati Hirsch-Dunker furono fondati in Germania nel i 863 dai liberali bor- ghesi Hirsch e Dunker, fautori deU’« armonia degli interessi di classe». Essi circoscrivevano i compiti del movimento sindacale alle casse di mutuo soccorso e alle organizzazioni culturali educative. 77 Si tratta del satirico />;no del moderno socialista russo , pubblicato dalla Zarià , n. i (aprile 1901) a Erma Nartsis Tuporylov (Narciso muso ebete). Esso si beffava degli « economisti » e del loro adattamento al movimento spontaneo. Autore dell'inno fu 1 . 0 . Martov. 78 LVr^rd, n. 7 (agosto 1901), nella rubrica Cronaca del movimento operaio e lettere dalle fabbriche e dalle officine aveva pubblicalo la seguente lettera di un operaio tessile. 1901, n. 9, ottobre. Auhagen, H. - Uber Grossbetrieb und Kleinhctricb in der Landwirtschajt (Sulla grande c la piccola azienda nell'agricoltura), Landwirtschaftliche Jahrbiicher , voi. 25, Ber- lino, 1896. Autocrazia (L') e lo zemstvo : cfr. R.N.S. Axelrod, P. 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Una corrispondenza da Ivanovo-Voznesensk^ (Kor- respondentsia iz Ivanovo-Voznesenska) e laroslavl. — 1901, n. 5: contiene l'artìcolo II Primo maggio in Russia (Piervoie maia v kossii). — 1901, n. 5: cfr. Fermento ecc.\ Una spedizione poliziesca ecc. e Starover [Po- tresov A. N.], Sui sogni insensati. — 1901, n. 6: contiene Tarticolo L’officina Obutyov (Obukhovski zavod). — 1901, n. 6: cfr. La carestia avanza; Circolare del ministero degli interni del 5 giu- gno ccc. e Circolare della Direzione generale ecc. — 1901, n. 7: cfr. incidente ecc. — 1901, n. 8: cfr. // congresso degli zemstvo e Lettera del Comitato centrale del Bund ecc. — 1901, n. 9: cfr. I « crumiri » di Viat^a; Nuovi ostacoli c Atto d’accusa ecc . — 1901, n. io: cfr. Martov, Iu. O, Ancora una volta sulla corruzione ecc . — 1901, n. 12: cfr. Lettera di un gruppo di compagni ecc. e Martov, Iu. O., Anni- versario ecc. luzny Raboci (L’operaio del sud): giornale socialdemocratico, pubblicato clandestina- mente dal gruppo omonimo dal gennaio 1900 aH’aprilc 1903. Diffuso particolar- mente nelle organizzazioni socialdemocratiche della Russia meridionale. I. V. [Ivanscin, V.] - Nota bibliografica : La <* Raboctata Mysl *>, organo degli operai di Pietroburgo, nn. 1-3 (Bibliograficeskaia zamietka: « Raboci aia Mysl», organ peterburgskikh rabocikh, nn. 1-3), ListoI{ Rabotni/^a, 1898, nn. 9-10, novembre. Kautsky, K. - Die Agrarfrage . Eine Ubersicht uber die Tendenzen der modernen Landwirtschajt und die Agrarpoliti { der Sozialdemokratie (La questione agraria. Uno sguardo alle tendenze dell'agricoltura odierna e la politica agraria della so- cialdemocrazia), Stoccarda, ediz. J. H. W. Dietz Nachf (G. m. b. H.), 1899, pp. Vili + 451 - — Die Elektrizit'àt in der Landwirtschajt (L’elettricità nell’agricoltura), Dte Neue Zeit, anno XIX, 1900-1901, voi. I, n. 18. — Die Revision des Programms der Sozialdemokjatie in Ósterreich (Revisione del programma socialdemocratico austriaco), Die Neue Zeit , anno XX, 1901-1902, voi. I, n. 3, ottobre 1901*: — Tolstoi und Brentano (Tolstoi e Brentano), Die Neue Zeit , armo XIX, 1 900-1 901, voi. II, n. 27. • — Zwei Kritik^er meincr « Agrarfrage » (Due critici della mia « Questione agraria »), Die Neue Zeit, anno XVIII, 1899-1900, voi. I, nn. io, 11,12, 14 e 15. Kavelin, K. D. - Lettera a S. Korsakova del 20 marzo 1863 (Pismo k S. Korsakovoi 20 marta 1865), Viestnik, Ievropy, 1886, n. io. Klawx.1, K. - Vber Konkurrenzfàhigkeit des landwirtschaftlichen Kleinbctriebs (Sulle capacità della piccola azienda agricola di sostenere la concorrenza), Landwir - schaf diche fahrbucher, voi. 28, Berlino, 1899. Kolokoh giornale edito a Londra da Herzen A. I. c Ogariov N. P. Usci regolarmente dal i° luglio 1857 al i° luglio 1867. — 1862, n. 126: Appelli della nobiltà ecc . Kondoidi - Discorso pronunciato Pii gennaio dal signor ammimstratore del governa- torato all’apertura della sessione ordinaria dell’assemblea dello zemstvo (Ree g. upravliaiustcevo guberrnei [Kondoidi], skazannaia n ianuaria pri otkritii ocere- 5*4 INDICE BIBLIOGRAFICO dnoi sessi i gubernskovo zemskovo sobrania). Samarskaia» Gazieta, 1900/ n. 9, 13 gennaio. Koscelev, A. - La Costituzione , l’autocrazia e la Duma degli zemstvo (Konstitutsia, samodergiavie i zcmskaia Duma)» Lipsia, 1862, pp. IV + 59. Kovàlevski, M. M. - La Costituzione del 'conte Loris-Melikov (Konstitutsia grafa Loris-Mclikova), fase. 7 , ediz. del Fondo della stampa russa libera, Londra, 1893. PP- 43 - Kremek, A. - Dell'agitazione (Ob aghitatsii), con un poscritto di P. Axelrod, ediz. dell' « Unione dei socialdemocratici russi», 1896, pp. 43. Kricevski, B. - La lotta economica e politica del movimento operaio russo (Ekono- miceskaia i politiceskaia borba v russkom rabocem dvigenii), Raboceie Dielo, 1900, n. 7, agosto. — Principi , tattica e lotta (Printsipy, taktika i borba), Raboceie Dielo, 1901, n. io, settembre. — Tempi agitati in Francia (Trevoznoie vremia vo Frantsii), Raboceie Dielo, 1899, n. 2-3, agosto. Landwirtschaftlìche Jahrbiicher (Annali di agricoltura). — voi. 25, Berlino, 1896: cfr. Auhagen, H., Uber Grossbetrieb und Kleinbetrieb in der Landwirtschajt . — voi. 28, Berlino, 1899: cfr. Klawki, K., Uber Konkiirrenzfàhigkeit des latidwirt - schajtlichen Kleinbetriebs. Lazarev, A. - A proposito di una scissione (Po povodu odnovo raskola), Nakanunie, 1900, n. 17, giugno. ■ — La scissione nel Partito socialdemocratico russo (Raskol v russkoi sotsialdemokra- ticeskoi partii), Nakanunie, 1900, nn. 15 e 16, aprile e maggio. Lenin, V. I. - À che cosa pensano i nostri ministri (O ciom dumaiut nasci mini- stri), 1895. «— Arruolamento forzato di 183 studenti (Otdacìa v soldaty 183-kh studentov), Iskra, 1901, n. 2, febbraio. — / compiti dei socialdemocratici russi (Zadaci russkikh sotsial-demokratov), ediz. del Partito operaio socialdemocratico russo, tipogr. delPe Unione dei socialdemo^ cratici russi », Ginevra, 1898. — / compiti urgenti del nostro movimento (Nasustcnie zadaci nascevo dvigenia), Iskra, 1900, n. 1, dicembre, — Il nostro compito immediato (Nascia bligiaisciaia zadacia), 1899. . — Il nostro programma (Nascia programma), 1899. — Note occasionali (Sluciainie zametki), Zarià, 1901, n. 1. — La nuova legge sulle fabbriche (Novi fabricni zakon), ediz. del Partito operaio socialdemocratico russo, tipogr. dell’* Unione dei socialdemocratici russi», Gine- vra, 1899, pp. 52. — Il partito operaio e i contadini (Rabociaia partia i krestianstvo), Iskra, 1901, n. 3, aprile. — Protesta dei socialdemocratici russi (Protest rossiiskikh sotsial-demokratov), dai nn. 4-5 del Raboceie Dielo. *— La scissione dell'* Unione dei socialdemocratici russi » all’estero (Raskol v zagra- nicnom soiuze russkikh sotsial-demokratov), Iskra , 1900, n. 1, dicembre. — Cfr. anche Ilin; V. Lettera del Comitato Centrale del Bund alla redazione dell’* Iskra » (Pismo Ts. K. Bunda v redaktsiu « Iskry »), del 29 agosto 1901, Iskra, 1901, n. 8, io set- tembre. INDICE BIBLIOGRAFICO 5 l 5 Lettera del Comitato esecutivo della « Volontà del popolo » ad Alessandro ìli (Pismo ispolnitevo komiteta « Narodnoi Voli# k Alexandru ILI), io marzo 1881. Il testo della lettera fu riprodotto in Letteratura del partito della « Volontà del popolo » (Literatura partii Narodnoi Voli), Mosca, 1907. Lettera di un gruppo di compagni ai giornali socialdemocratici russi (Pismo v russkie sotsial-demokraticeskie organy gruppy tovaristceì). Il testo fu riprodotto dalIV^rj, 1901, n. 12, 6 dicembre (Cfr. nel presente volume, pp. 289-291). Listob (Il foglio): giornale di orientamento liberale costituzionale edito da Dolgo- rukov P. V.; si pubblicò prima a Bruxelles e poi a Londra; dal novembre 1862 al luglio 1864 ne uscirono 22 numeri. — 1862, n. 3: cfr. Dolgorukov, P. V., Opinioni sui principi ecc. Listok Rabocevo Dieia (Il foglio del Raboceie Dielo). — 1901, n. 6: cfr. Una svolta storica. Listob Rabotnifo (Il foglio del «Lavoratore#): edito dal gruppo «Unione dei so- cialdemocratici russi», si pubblicò dal 1896 al 1898. — 1898, nn. 9-10: cfr. Ivanscin, V., Nota bibliografica ecc. e Statuto della cassa operaia ecc . Lotta (La) proletaria (Proletarskaia borba), ediz. del «Gruppo socialdemocratico degli Urali », n. 1, 1889. Mack, P. - Der Aufschwung unseres Landwirtschajtsbetriebes durch Verbilligung der Produktionskjostcn. Eine Untersuchung iiber den Dienst, den Mas eh inentechnik^ und Ele^trizitàt der Landwirschaft bieten (Lo sviluppo della nostra azienda agricola mediante la diminuzione dei costi di produzione. Indagine sui servigi che la tecnica delle macchine e l’elettricità rendono all’agricoltura), Kónigsberg, 1900. Martov, Iu. O. - Ancora una volta sulla corruzione politica al giorno d'oggi (Iestcio o politiceskom razvrate naseikh dniei), IsJ^ra, 1901, n. io, novembre. — Anniversario della piazza Kazan a Pietroburgo (Iubilei Kazanskoi plostciadi v S.- Peterburghe), lskja y 1901, n. 12, 6 dicembre. — La causa operaia in Russia (Raboceie dielo v Rossii), ediz. dell’ «Unione dei social- democratici russi», Ginevra, 1899, pp. 90. Martynov, A. * Letteratura accusatrice e lòtta proletaria (Oblicitelnaia literatura i proletarskaia borba), Raboceie Dielo t 1901, n. io, settembre. — Problemi urgenti (Ocerednie voprosy), Raboceie Dtelo, 1901, n. 9, maggio. — Socialdemocrazia e classe operaia. - Due tendenze nella socialdemocrazia russa (Sotsial-demokratia i raboci klass. - Dva tecenia v russkoi sotsial-demokratii), ediz. dell’« Unione dei socialdemocratici russi», Ginevra, 1901. Marx, K. - Der Achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte (Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte), 3* ediz., Amburgo, 1885, pp. VI -f- 108. — Critica del programma di Gotha. — Das Rapita! . Kritib der politischen Oe bonomie. Driller Band, zweiter Theil. Buch III: Der Gesamtprozess der bapitnlistischen Production (Il capitale. Critica del- l’economia politica. Voi. II, parte seconda. Libro III: Il processo complessivo della produzione capitalistica), a cura di F. Engels, Amburgo, ediz. Otto Meissner, 1894, pp. IV -|- 422. — Theorien iiber den Mehrwert. Aus dem nachgelassenen Manuskrtpt *Zur Kritib der politischen Oebonomie » (Teoria del plusvalore. Dal manoscritto postumo « Per la critica dell’economia politica »), pubblicato da K. Kautsky, II; David Ricardo, Parte II), Stoccarda, 1905, pp. IV + 384. Marx, K. - Engels, F. - Manifesto del partito comunista. Roma, Editori Riuniti, 1953. Maslov, P. - Della questione agraria ( Critica dei critici) [K. agrarnomu voprosu (Kritika kritikov)], Gizn , 1901, nn. 364. 516 indice bibliocraeico Mehrinc, F. - Gcschichte der Deutschen Soziald emopatie (Storia della socialdemo- crazia tedesca), 2° parte, 1863-1891, Stoccarda, 1898, pp. VI -|- 568. Mosl(ovs{ie Viedomosti (Notizie di Mosca): quotidiano pubblicato a Mosca dal 1756 al 1917. Organo del clero e dei grandi proprietari fondiari, poi dei cento neri. — I9 0I > n - 263: contiene l’articolo Lo sciopero degli siatistici dello zemstvo (Stacka zemskikh statistikov), — 1901, n. 268: contiene l’articolo Un discorso tristemente famoso (Pecialnovo-zna- menitaia ree). — 1901, n. 269: cfr. Nilus, S., Il signor Stakhovic ecc. — 190 1, n. 279: cfr. Znamenski, N. A., Il terzo elemento. — 1901, n. 348: cfr. A. P. G , Di chi è la colpa ecc . Nacialo (L’inizio): rivista mensile politico-letteraria dei « marxisti legali ». Si pub- blicò a Pietroburgo nella prima metà del 1899. — 1899, nn. 1-2 e 3: cfr. Bulgakov, S. N., Sulla questione ecc. Nal^anunie (La vigilia): rivista (« rassegna sociale rivoluzionaria »); si pubblicò a Londra dal gennaio 1899 al febbraio 1902; ne uscirono 37 numeri. — 1899, n. 7: cfr. Serebriakov, E., A proposito dell'appello del gruppo ecc. — 1900, nn. 15 e 16: cfr. Lazarev, A., La scissione ecc. — 1900, n. 17: cfr. Lazarev, A., A proposito di una scissione . Neue Zeit (Die) (Tempo nuovo): rivista della socialdemocrazia tedesca. Si pubblicò a Stoccarda .dal 1883 al 1923. — Anno XVIII, 1899-1900, voi. I, nn. 10-15: cfr. Kautsky, K., Zwei ^riti^er metner « Agrarfrage ». — Anno XIX, 1900- 1901, voi. I, n. 18: cfr. Kautsky, K., Die Ele\trizitàt in der Landwirtschaft. — Anno XIX, 1900-1901, voi. II, n. 27: cfr. Kautsky, K„ Tolstoi und Brentano. — Anno XX, 1901-1902, voi. I, n. 3: cfr. Kautsky, K., Die Revision des Programmi ecc. Nikitenko, A. V. - Appunti e diario (1826-1877 )[Zapiski i dnievnik (1826-1877)], Pietroburgo, 1893; voi. I, pp- Vili -f- 588; voi. Il, pp. 498; voi. Ili, pp, 458. Nikolai-on - Profilo della nostra economia sociale dopo la riforma (Ocerki nascevo poreformennovo obsteestvennovo khoziaistva), Pietroburgo, 1893, pp. XVI -f- 353 + 16 tabelle in appendice, Nilus, S. G. - Il signor Stakhovic al congresso dei missionari a Oriol ( G . Stakhovic na missionerskom siezde v Orle). Rettifica al discorso del signor Stakhovic. Lettera aperta a proposito del signor Stakhovic e al signor Stakhovic. Mos\ovsf{ie Viedo- mosti , 1901, n. 264, 30 settembre. Norme transitorie sulla partecipazione delle zone colpite dalla carestia ai lavori che vengono eseguiti per disposizione dei dicasteri delle vie di comunicazione, dell'agri- coltura e del demanio, sanzionate dallo zar il 15 settembre 1901 (Vysociaiscie utverzdionnie 15 sentiabria 1901 g. vremennie pravila ob uciastii nasclenia postra- davscikh ot neuragiaia miestnostici v rabotakh, proizvodimykh rasporiagenicm viedomostv putei soobstcenia i zemliedelia i gosudarstvennykh imustcestv). Pravi * telstvenny Viestnik , 1901, n. 208, 22 settembre. Nota bibliografica sull’opuscolo di Lenin « I compiti dei socialdemocratici russi »' (Bi- bliograficeskaia zametka o brosciurc Lenina: « Zadaci russkikh sotsial-demokratov), Rabocetc Dielo, 1899, n. 1, aprile. Novoie Vremia (Tempi nuovi): giornale che si pubblicò a Pietroburgo dal 1868 al 1917. Dapprima liberale moderato, assunse poi, a cominciare dal 1876, un atteg- giamento sempre piò reazionario, fino a divenire l’organo della burocrazia zarista e della nobiltà. INDICE BIBLIOGRAFICO 5 l 7 — 1901, n. 9049: cfr. Comunicato del governo ecc . — 1901, n. 9051: cfr. A proposito dei disordini operai. — 1901, n. 9188: contiene l’articolo Nuovi successi del commercio russo con la Persia (Novie uspiekhi russkoi torgovli s Persiei). — 1901, n. 9191: cfr. Suvorin, A., Brevi lettere. Nuovi ostacoli (Novie rogatki), lskra, 1901, n. 9» ottobre. Obrazovanie (L'educazione): rivista mensile politico-sociale e di divulgazione scien* tifica. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1892 al 1909. Opinioni (Le) delle assemblee degli zemstvo sull'attuale situazione della Russia (Mncnia zemskikh sobranii o sovremennoi pologenii Rossii), Berlino, 1883, pp. 107. Ordinanza imperiale, sanzionata 1*8 giugno 1901, sull’assegnazione a privati di terre demaniali in Siberia (Vysociaisceie povelenie, utvierzdionnoie 8 iunia 1901 g., ob otvode ciastnym litsam kazennikh zemcl v Sibiri), Pravitelstvettny Viestni 1901, n. 167, 31 luglio; Mosk.ovskje Viedomosti y 1901, n. 210, 2 agosto. Organizzazione (L*) (Organizatsia), Svoboda , n. I, 1901. PanteLeiev, L. - Dai ricordi degli anni sessanta (Iz vospominanii o 60-kh godakh), II parte della raccolta Al poito d'onore , 1900. Pietroburgo in base al censimento del 15 dicembre 1890: cfr. Ianson, Iu. E. Pisariev, D. I. - Le topiche di un pensiero immaturo (Promakhi nezreloi mysli), Opere complete , ediz. Pavlenkov, Pietroburgo, 1894, voi. IV. Plekhanov, G. V. - Alla soglia del ventesimo secolo (Na poroghe dvadtsatovo vicka), ìskra , 1901, n. 2, febbraio. — Sui compiti dei socialisti nella lotta contro la fame in Russia (O zadaciakh sotsiali- stov v borbe s golodom v Rossiì), lettere ai giovani compagni, tipografia del Sozial- Demokraty Ginevra, 1892, pp. 89. — Vademecum per la redazione del « Raboceie Dielo » (Vademecum dlia redaktsii « Rabocevo Dicla »), raccolta di materiali editi dal gruppo « Emancipazione del lavoro», febbraio 1900, pp. XLVIII -f- 67. — Cfr. anche Beltov, N. Poriadof^ (L’ordine): giornale politico-letterario di tendenze liberali moderate. Si pub- blicò a Pietroburgo nel 1881-1882. Potresov, A. N. - Sui sogni insensati (O bcssmyslennykh mectaniakh), Iskja , 1901, n. 5, giugno. Pravitelstvenny Viestnili (11 messaggero governativo): giornale, organo ufficiale del governo. Uscì a Pietroburgo dal 1869 al 1917. — 1878, 20 agosto, n. 186: contiene Comunicati governativi (Pravitelstvennie soob- steenia). — 1901, n. 167: cfr. Ordinanza imperiale ecc. — 1901, n. 203: cfr. Comunicato della sezione ecc. — 1901, n. 208: cfr. Norme transitorie ecc. — 1902, n. 1: cfr. Rapporto presentato allo zar ecc. Preobragenski, I. - Lettera all’eminentissimo Ambrogio, arcivescovo di Kharkov (Pismo k preosviasteennomu Amvrosiu, arkhiepiscopu Kharkovskomu), Viera 1 Razum , 1901, n. 8. Priazovsf^i Krai (La regione del Mar d’Azov): giornale che si pubblicò a Rostov sul Don. Iniziò le pubblicazioni nel 1891. Prima lettera ai contadini affamati (Pervoie pismo k golodaiustcim krestianam), mani- festino del «Gruppo della "Libertà del popolo"», 1892. Pringsheim, O. - Land w ir t se ha j die he Manu fa {tur und dentri se he Landwirtschafl 5 i8 INDICE BIBLIOGRAFICO (Manifattura agricola cd agricoltura elettrificata), Architi fùr soziale Gesetzgebung und Statisti^, voi. XV, 1900, pp. 406-418. Progetto di indirizzo ad Alessandro III (Proickt ad resa Alcxandru III), supplemento del Velifaruss, 1861. Prokopovic, S. N. - Il movimento operaio in Occidente. Saggio di esame critico (Ra- boceie dvigenie na zapade. Opyt kriticeskovo issledovania), voi. I, parte I, Ger- mania, Belgio, Pietroburgo, pp. 212 -j~ 120. Protesta dei socialdemocratici russi con un poscritto della redazione del « Raboceie Dielo » (Protcst rossiiskikh sotsial-demokratov s poslesloviem ot redaktsii « Rabo- ccvo Dicla »), dal n. 4-5 del Raboceie Dielo , ediz. dell’ « Unione dei socialdemo- cratici russi», Ginevra, 1899, pp. 15. Raboceie Dielo (La causa operaia): organo non periodico dell’ « Unione dei socialde- mocratici russi » all’estero. Si pubblicò a Ginevra dall’aprile 1899 al febbraio 1902. Ne uscirono complessivamente 12 numeri in 9 fascicoli. — 1899, n. 1: cfr. Nota bibliografica ecc. — 1899, n. 2-3: cfr. Kricevski, B., Tempi agitati in Francia. — 1899, n. 4-5: cfr. Il congresso dei socialdemocratici tedeschi e Lenin, V. I., Pro- testa dei socialdemocratici russi . — 1900, n. 6: cfr. Savinkov, B., Il movimento operaio ecc. — 1900, n. 9: cfr. Kricevski, B., La lotta economica ecc . — 1901, n. 9: cfr. Martynov, A., Problemi urgenti. — 1901, n. io: cfr. Kricevski, B., Principi, tattica e lotta e Martynov, A., Lettera- tura accusatrice ecc . Rabociaia Gazieta (Gazzetta operaia): organo illegale di un gruppo di socialdemocratici di Kiev. Ne uscirono due numeri, il primo nell’agosto e il secondo nel dicembre 1897. Rabociaia Mysl (Il pensiero operaio): giornale degli « economisti ». Si pubblicò dall’ot- tobre 1897 al dicembre 1902, ne uscirono 16 numeri, i nn. 3-1 1 e 16 a Berlino e gli altri a Pietroburgo. — 1899, n. 1: cfr. Editoriale ecc. — 1901, n. 12: cfr.' Replica ecc. Rapporto presentato allo zar dal ministro delle finanze relativo al bilancio dello Stato per il 1902 (Vsiepoddanneisci doklad ministra finansov po povodu rospisi gosu- darstvennikh dokhodov i raskhodov na 1902 g.), Pravitelstvenny Viestnik^, 19 02 » n. y, gennaio. Rapporto sul movimento socialdemocratico russo al Congresso internazionale socialista di Parigi, 1900 (Doklad o russkom sotsial-demokraticcskom dvigenii mezduna- rodnomu kongressu v Parige 1900 g), ediz. dell’ «Unione dei socialdemocratici russi», Ginevra, 1901, pp. 38. Rassegna della tabacchicoltura in Russia : cfr. Stcerbacev, V. S. Replica dell’Unione di lotta di Pietroburgo (Ot Peterburgskovo Soiuza borby), Rabo- ciaia Mysl , 1901, n. 12, luglio. Revue des deux mondesi rivista letteraria, scientifica, filosofica e politica. Si pubblica a Parigi dal 1829. — 1862, 15 giugno: contiene: De Mazade, C., La Russia sotto l’imperatore Ales- sandro U (La Russie sous l’empereur Alexandre II). Riazanov, N. - Osservazioni sul programma del Raboceie Dielo (Zameciania na pro- grammu « Raboccvo Dieia »), Zartà, 1901, n. 1, aprile. Rinascita (La) del rivoluzionarismo in Russia (Vozrozdenie rcvoliutsionizma v Ros- ski), pubblicazione del «Gruppo rivoluzionario socialista Svoboda », 1901, pp. IV _L fi a rr INDICE BIBLIOGRAFICO 519 Risposta della redazione del Raboceie Dielo alla « Lettera » di P. Axelrod e al € Va- demecum » di G. Plel^hanov (Otviet redaktsii « Rabocevo Dicla » na « Pismo » P. Akselroda i € Vademecum » G. Plekhanova), ediz, dell’« Unione dei socialde- mocratici russi», Ginevra, 1900, pp. 80. R. M. - La nostra realtà (Nascia deistvitelnost), Supplemento alla Rabociaia Mysl> ediz. dell' < Unione » di Pietroburgo, Berlino, Pietroburgo, settembre 1899. R. N. S. (Struve, P. B-] - Prefazione e note al promemoria confidenziale del ministro delle finanze S. lu. Witte « L'autocrazia e lo zemstvo » (Predislovie i primeciania k konfidentsialnoi zapiske ministra finansov S. Iu. Witte « Samodergiavie i zem- stvo »), ediz. Dietz, Stoccarda, 1901, pp. XLIV. Rossia (Russia): giornale liberale moderato. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1899 al 1902. Russata Starina (L'antichità russa); rivista storica mensile, pubblicata a Pietroburgo dal 1870 al 1918. Russie Viedomosti (Notizie russe): quotidiano, organo della borghesia e dei grandi proprietari terrieri liberali. Si pubblicò a Mosca dal 1863 a l 1918. - 1901, n. 244: contiene l'articolo II distretto di Buguruslan (Buguruslanski uiezd). Russ^oie Bogatstvo (La ricchezza russa): rivista mensile che passò all'inizio degli anni novanta nelle mani dei liberali populisti. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1876 al 1918. — 1900, nn. 4, 7, 8 c io: cfr. Cerno v V., / tipi dell’evoluzione ecc. — 1900, n. il; cfr. Cernov, V., La questione dell’evoluzione ecc. Russ^oie Slovo (La parola russa): rivista politico-letteraria. Organo progressivo che ebbe una grande influenza sulla gioventù democratica intorno al 1860. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1859 al 1866. Samar skaia Gazieta (La gazzetta di Samara). — 1900, n. 9: cfr. Discorso pronunciato ecc. Sanin, A. A. - Chi farà la rivoluzione politica? (Kto soverscit politiceskuiu revoliut- siu?), Raccolta La lotta proletaria , n. 1, ediz. del « Gruppo dei socialdemocratici de- gli Urali », 1899. Saratovski Viestnik, (Il messaggero di Saratov). — 1901, n. 187: cfr. Alimentazione del bestiame ecc. Savinxov, B. - Il movimento operaio pietroburghese e i compiti pratici della social - democrazia (Peterburgskoie dvigenie i prakticeskie zadaci sotsial-demokratov), Ra- boceie Dielo , 1900, n. 6, aprile. Sciakhovskoi, V. N., principe - Le industrie agricole fuori sede (SeJsko-khoziaistven- nie otkhogie promysly), Mosca, 1896, pp. VII + 253 + IL Serebriaxov, E. - A proposito dell’appello del gruppo di autoemancipazione degli operai (Po povodu vozzvania gruppy « Samoosvobozdenia rabocikh »), Nak^anunie , Londra, 1899, anno I, n. 7, luglio. Seufferheld, A. - Die Anwendung der Elcktrizìtàt im landwirtschaftlichen Betriebe aus cigcner Erfahrung mitgeteilt (L'applicazione dell'elettricità nella produzione agricola), comunicazione basata sull’esperienza personale, Stoccarda, 1899. Sievernaia Poeta (La posta del nord): quotidiano edito dal ministero degli interni. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1862 al 1868. Sovremiennif^ (Il contemporanco): rivista mensile, politica c letteraria, fondata da Pusckin. Uscì a Pietroburgo dal 1836 al 1866. Fu Tergano dei democratici rivo- luzionari. Soziai -demolirai (Il socialdemocratico): prima rivista dei socialdemocratici russi, ras- segna politico-letteraria pubblicata aU'estero dal gruppo « Emancipazione del la- voro ». Dal 1890 al 1892 ne uscirono complessivamente 4 fascicoli. — 1890, fase. I: cfr. Zasulic, V., Rivoluzionari ecc. Sozialistischc Monatshefte . Internationale Revue des Sozialismus (Quaderni mensili so- S20 INDICE BIBLIOGRAFICO cialisti. Rivista internazionale del socialismo): principale organo degli opportunisti in seno alla socialdemocrazia tedesca e uno degli organi delPopportunismo inter- nazionale. Si pubblicò a Berlino dal 1897' al 1933. — 1899, n. 2, febbraio: cfr. David, E., Bàuerliche Barbaren. Spedizione (Una) poliziesca contro la letteratura (Politzieski nabieg na literaturu), ìsfya, 1901, n. 5, giugno. Sprenger - Die Lage der Landwirtschaft in Baden (La situazione dell’agricoltura nel Baden), Karlsruhe, 1884. Starover [Potresov, A. N.] - Che cosa è accaduto? (Cto slucilos?), Zarià, 1901, n. 1. aprile. — Cfr. anche Potresov, A. N. Statisti^ des Deutschen Reìchs. Neue Folge. Band 1 12. Die Landwirtschaft im Deutschen Reich. Nach der landwìrtschafilichen Betriebszdhlung vom 14 funi 1895 (Statistica dell’Impero tedesco. Nuova serie. Voi. 112. L’agricoltura neU’Impero tedesco. In base al censimento delle imprese agricole del 14 giugno 1895), Berlino, 1898, pp. Vili + 70 + 50.0 + tabelle. Statistique agricole de la France. Publiée par le ministcre de l'Àgriculture. Resultati gènèreaux de Venquéte decennale de 1892, Parigi, 1897, pp. 451 365 -f- atlante- Statuto della cassa operaia, redatto dagli operai di Pietroburgo (Ustav rabocei kassy, vyrabotanni v SPB rabocim), Listo ^ Rabotnifa, 1898, n. 910, novembre. Stcerbacev V, S. - Rassegna della tabacchicoltura in Russia (Obzor tabakovodstva v Rossii), fasce. II e III, Pietroburgo, 1894, pp. II + 193* Strana (Il paese): giornale politico-letterario di orientamento liberale moderato. Si pubblicò a Pietroburgo dal 1880 al 1883. Struve, P. B. - L'autocrazia e lo zemstvo (Sàmodergìavic i zemstvo), lskjra y 1904, nn. 2, e 4, febbraio e maggio. — Osservazioni critiche sulla questione dello sviluppo economico della Russia (Kriti- ceskie zametki k voprosu ob ekonomiceskom razvitii Rossii), parte I, Pietroburgo 1 894, pp. X 4- 291. — Cfr. anche R. N. S. Supplemento spedale alla Rabociaia Mysl (Otdielnoie prilogenie k «Rabocei Mysli»), ediz. dell' «Unione» di Pietroburgo, Pietroburgo, pp. 34. Suvorin, A. - Brevi lettere (Malenkie pisma), Novoie Vremia, 1901, n. 919 1, 5 ottobre. Svoboda (La libertà): rivista per gli operai, edita dal « Gruppo rivoluzionario socia- lista Svoboda ». — 1901, n. 1*. cfr. L'organizzazione. Svolta (Una) storica (Istoriceski povorot), Listof{ Rabocevo Dieia , 1901, n. 6, aprile. T. Kh.: cfr. Lenin, V. I., Note occasionali. Torgovo-Promysclennaia Gazieta (La gazzetta dell’industria e del commercio). — 1901, n. 109: contiene l’articolo Le fiere (Iarmarki). ijbersichtliche Darstellung der Ergebnisse der in den Erhebungsgemeinden angestellteu Ertragsberechnungen (Compendio dei risultati dei calcoli del gettito delle imposte nelle circoscrizioni fiscali), Erhebungen iiber die Lage der Landwirtschaft im Grosshcrzogthum Baden t voi. IV, Appendice VI. V adtmecum\ cfr. Plejchanov, G. V. Vclikpruss (Il grande russo): giornale costituzionale moderato; ne uscirono tre numeri nel secondo semestre del 1861. Vieta i Razum (Fede e ragione): rivista teologico -filosofica; si pubblicò a Kharkov dal 1884. INDICE BIBLIOGRAFICO 521 — 1901, n. 8: cfr. Preobragenski, I,, Lettera all eminentissimo ecc . Viestnik, levropy (Il messaggero d’Europa): rivista mensile di storia, politica c lette- tura; si pubblicò a Pietroburgo dal 1866 all'estate 1918. — 1 866, n. io: cfr. Kavelin, K. D., Lettera a S. Korsa^ova ecc . Vigilia (La) della rivoluzione (Kanun re voliutsii), rassegna non periodica su questioni di teoria e di tattica, -curata da L. Nadezdin, 1901, n. 1, ediz. del «Gruppo ri- voluzionario socialista Svoboda », pp. 132. Volf{sstaat (Lo Stato popolare): giornale, organo centrale degli eisenachiani, ala marxi- sta della socialdemocrazia tedesca. Si pubblicò a Lipsia dal 1869 al 1876 sotto la direzione di W. Liebknecht, — 1872: cfr. Engels, F., 7 .ut Wohnungsjrage . Volnoie Slovo (La libera parola): giornale fondato a scopo provocatorio, su ispirazione dei circoli governativi, a Ginevra nel 1881. fclel 1882 divenne effettivamente l’organo dell’ « Unione degli zemstvo». Cessò le pubblicazioni nel 1883. Vorwàrts (Avanti): quotidiano, organo centrale della socialdemocrazia tedesca. Si pub- blicò a Berlino dal 1876 al 1933. — 1877, n. 65: cfr. Il congresso dei socialdemocratici tedeschi. Webb, Sidney e Beatrix - Teoria e pratica del tradunionismo inglese ( Democrazia industriale) [Teoria i praktika angliskovo tred-iunionizma (Industriai Dcmocracy)], trad. di Vladimir Ilin (Lenin, V. I.), Biblioteca di economia a cura di P. Struve, ediz. Popova, voi. I, Pietroburgo, 1900; voi. Il, Pietroburgo, 1901, complessiva- mente pp. XVI -j- 768. Zana (L’aurora): rivista politico-scientifica, pubblicata a Stoccarda nel 1901 -1902 dalla redazione dell 'lsf{ra. Ne uscirono 4 numeri. — 1901, n. 1: cfr. Riazanov, N., Osservazioni sul programma del Raboceie Dielo . — 1901, n. 1: cfr. Starover [Potresov, A. N.], Che cosa è accaduto ? — 1901, n. 1: cfr. T. Kh, [Lenin, V. I.], Note occasionali. — 1901, n. 2-3; cfr. Zasulic, V., Nota bibliografica ecc. Zasulic, V. - A proposito degli avvenimenti attuali (Po povodu sovremennikh sobitii), Isfya, 1901, n. 3, aprile. — Nota bibliografica, dedicata a due pubblicazioni del « Gruppo rivoluzionario sociali- sta Svoboda ».' l’opuscolo « La rinascita del rivoltizionarismo in Russia » e la rivista « Svoboda » (Bibliograficeskaia zamietka, posviasteionnaia dvum izdaniam « revo- liutsionno-sotsialisticeskoi » gruppy « Svoboda » - brosciure « Vozrozdcnie revo- liutsionizma v Rossii » i giurnal «Svoboda»), Zarià , 1901, n. 2-3, 3 dicembre. — Rivoluzionari provenienti dall’ambiente borghese (Revoliutsioniery iz burgiuaznoi sredy), Soziai- Demokrat, Londra, 1890, fase. I, febbraio. Znamenski, N. A. - Il terzo elemento (Treti elemcnt), Mosk^ovskje Vie do mosti, lyoi, n. 279, io ottobre. 34 - 754 INDICE DEI NOMI Adamovic, lu. (Vorovski, V. V.) -^474. A fonasi Ivanovie - 421. Agnese - 131, 132. A^aJ(i Akakievie - 258. Alccvski - 78, 79. Alessandro I, zar di Russia - 282, 285. Alessandro II, zar di Russia - 37, 38, 41, 52, 58, Ò2, 282. Alessandro HI, zar di Russia - 43, 44, 52, 53. 59. 69, 282. Alessio, figlio di Pietro I - 270. Alcxandrov - 256, 257. AJexcicv, P. A. - 413. Ambrogio - 269. Annenski, N. F. - 260. Annibaie Barca - 51, 52, 53, 55, 57» 67. Antonovic - 261. Arakcciev, A. A. - 30. Auer, I. - 436. Auhagen, H. « 148. Àxakov, I. S. - 29, 44. Axelrod, P. B. - 60, 340, 358, 377, 387, 400. Bakunin, A. A. - 27. Bakunin, M. A. * 27, 303, 342. Bakunin, N. A. - 27. Ballhorn, J. - 379. Bebel, A. - 330, 331, 379, 426, 436, 470. Belinski, V. G. * 341. Beltov, N. (Plekhanov, G. V.) - 363. Bensing, F. - 114, 115, 116. Berdiaiev, N. A. - 61, no, 134, 135, 479. Bernstein, E. - 129, 130» 131, 171. 325, 3*6, 330, 331, 334, 337, 362, 374, 375 445- Berthclot, M. - 132. Bismarck, O. - 69. Bleichrcder * 308. Bleklov, S. M. - 261, 262. Bobrikov, N. I. - 286. Braun, H. - 122, 131. Brentano, L. - 94. 102, i 33l , 34i ,35. ' Bulgakov, S. N. - 91, 92, 94, 95i 97> 98, 99, 100, ioip 102, 103, X05, 106, 107, 108, no, in, 112, u 3i n 4> 116, n>7. 118, 119, 120, 121, 122, 124, 125, 126, 129, 130» 131, , 33 , I37i , 40i 146, 147. M9. 150, 154, i 55i I57i , 58i 159, 160, 162, 164, 165, 167, 169, 170, 171, 174. i75. 176, 177, 178» 179, 184! 185, 186, 187, 188, 189, i 95> 200, 338, 479* Burtsev, V. L. - 28, 64. B-v (Savinkov, B. V.) - 4IO , 4,2, 43I , 432. 433. 434. 435. 44*- Cernov, V. M. - 91, 112, 127, 128, 129, 130, 131. *32, 133. *37, 138, 141, 142, 143, 156, 162, 164, 167, 191, i 93i i 94 . Cernyscevski, N. G. * 28, 29, 32, 58, 341. Cicerin, B. N. - 43, 53. Dakhin, E. S. - 225. David, E. * Ji6, 117, 129, 130, 131, i 4 o, I4I, I 4 2 , 144, 162, 191, 193, 330. Dickens, C. - 245. Dietz, J. H. W - 25. Dittenbcrger - 159. Dobrotiubov, N. A. - 299. Dolgorukov, P. V. - 64. Dragomanov, M. P. - 26, 27, 38, 39, 45. Diihring, E. K. - 329. Dunckcr - 355. Engelhardt, A. P. - 240, 242. Engels, F. - 21, 135, 136, 138, 139, 326, 3^9. 338, 34i. 343. 346, 360, 368, 391. Erostrato - 334. 524 INDICE DEI NOMI Filarete - 269, 270. Fighner, V. N. - 442. Fischer, G. - 158. Fourier, C. - 342. Frey (Lenin) - 279. Fuhling * 1 13. Gavrilov, A. I. - 225, 226. Geliabov, A. I. - 413, 442, 470. Giukovski, V. A. - 270. Giulio Cesare - 232, Goethe, J. W. - 171. Gogol, N. V. - 258. Goltz, T. - 120, 12 1. Gordicnko, E. S. - 261. Goremykin, I. L. - 25, 49, 50. Gorki, M. - 298, 299. Gradovski, A. D. - 43. Gucsdc, J. - 379. Guglielmo II - 69, 406. Hasselmann, V. - 362, 426, Hecht, M. - 140, 141, 142, i43 f 144, 145, 146, 147, 163, 164, 184, 191, 193. Hegel, G. W. F. - 139, 341. Hellriegel, G. - 132, 133. Hertz, F. C». - 91, 112, 113, 1 1 6, 1 1 7, 1 1 9, 120 124. 127, 128, 129, 130, 1 3 1 , 13 2 > *33. *34, *40, ML M2, M3, M4, 148, I55>, 1 59» 160, 161, 162, 163, 169, 191, 193, 194. 196, 338. Herzen, A. I. - 31, 32, 58, 341. Hirsch, M. - 351, 355. Hòchbcrg - 362. Huschkc, L. - 158. Iakovlcva M. - 226, 227. Icrmakov, A. I. - 225. Iermolov, A. S. - 82. Ignatiev, A. P. - 44, 45, 63. Ilinski, A. - 11 2. Ilovaiski, D. I. - 329. ìudusckji Golovliov - 236, Iurìev - 78. I. V. (Ivanscin, V. P.) - 350, 357, 358, 359- Ivanov - 19, 20. Ivanovski, N. I. - 266, Jaurès, J. - 208. Kablukov, N. A. - 138. Kareicv, N. I. - 363. Katkov, M. N. - 27, 43, 44, 46, 70, 263, 270, 398. Kautsky, K. - 91, 92, no, 114, 116, 117, 1 1 8, 119, 120, 121, 122, 124, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 136, 137, 138,' 140, 141» M3 , m8, 158, *59, 167, 175, 176, 178, 186, 196, 353, 379, 444, 486. Kavelin, K. D. * 30, 31, 32, 38. Kcnnan, D. - 38. Khalturin, S. V. - 413. Kinkcl, G. - 295. Kit Kitic - 260. Klawki, K. - 149, 150, 151, 152, 153, *54, 155, 156, 157, 163, 183. Klingenberg - 244. Knight, R. - 391, 392. Kondoidi - 257, 258, 264. Koscclev, A. I. - 30, 31. Kricevski, B. N. - 280, 328, 329, 330, 359, 360, 363, 376, 392, 412, 419, 438, 449, 455, 464, 470, 479, 480, 484, 496, 487. Kruglov - 206. Kruze, N. F. - 36. K. T. - 272. Kuskova, E. D. - 335. Kutzlcb - 113. Lafargue, P, t 379. Laghermark - 300. Langedorf - 159, Lanskoi, S. S,. - 33. Lassalle, F. - 295, 296, 319, 329, 355, Lavrov, P. L. - 438. Leroy -Beau lieu, A. - 33. Liebig, I. - 102, 132, 136. Liebknccht, W. - 9, i 0 , 362, 391, 42 6 . Liubostcinski, M. N. - 36. Lokhtin - 257, Lomonosov - 377, 378, 379> 3 g 0 Loris-Melikov, M. T. - 40, 41, 42 , 43) 44, 53, 63. Luigi XVI - 4 i. Macario - 270. Mack, P. - 122, 124, 125. Makarov - 257. Malthus, T. - 100, 102. Manilov - 87, 184. Martynov, A. S. - 209, 294, 313, 360, 367. 369, 37i, 373, 374, 375, 376, 377I INDICE DEI NOMI 525 378. 379. 380. 383, 384. 386, 387, 389, 39i. 392, 394. 395. 396, 399. 400. 401, 412, 416, 419. 455. 464, 465, 471, 476, 479. 480, 485. 487- Marx, K. - 67, 89, 94. 97, 99, ioo, 101, 102, 103, 104, 105, *06, 107, 108, 109, iio, 114, 1 1 6, 123, 132, 134, 135, 137, 164, 295, 296, 319, 326, 340,. 346, 353, 360, 391, 471- Maslov, P. P. - no, 122. Mchring, F. - 362. Mestcerski, V, P. - 398. Mikhailov, A. D. - 442. Mikhailov, M. I. - 28. Mikhailov, N. N. - 350. Mikhailova - 225. Mikhailovski, N. K. - 132, 363, 478. Miliutin, D. A. - 53. Miliutin, N. A. - 27, 33. Millerand, A. - 325, 3*26. Most, I. - 329, 362, 426. Mulberger - 139, 329. Mysckin, I. N. - 413, 442. Nadezdin, L. (Zelenski E. O.) - 313, 455, 457, 461, 463, 464, 465, 4 66, 467, 472, 473, 474, 475- Napoleone III, - 69. Nicola I, zar di Russia - 28, 30, 32, 270. Nicola II, zar di Russia - 47, 52, 53, 54, 271, 282, 286. Nikanor - 7. 66 . Nikitenko, A. V. - 26, 37. Nikolai-on, vedi N.-on. Nikon - 270. N. N. (Prokopovic, S. N.) - 416. Nobel, fratelli - 77. N.-on, Nikolai-on (Danielson, N. F.) 138, 254. Novosiedov, M. A* - 266. Nozdrev - 330. Oblomov - 312. Obolenski, I. M. - 232, 233. 234. Obrucev, V. A., - 27, 28. Om. - 243. Owen, R. - 342. Ozerov, I. Kh. - 420, 421, 422, 425. Panteleiev, L, F. - 28, 29. Parvus (Helphand, A. L.) - 485. Pasteur, L. - 132. Perels, E. - 113. Piereverzev D. - 267, 268. Pierovskaia, S. L. - 442. Pietro I il Grande, zar di Russia - 270, 271. Pietro III, zar di Russia - 271. Pisariev, D. 1. - 471. Plekhanov, G. V. - 218, 297, 328, 358, 377, 378, 379, 38o f 412, 413, 4 i 4> 442, 471, 484. Pobiedonostsev, K. P. - 270. Preobragenski, I. - 269. Pringsheim, O. - 122, 124, 125. Prokopovic, S. N. - 324, 335, 355> 375> 479- Proudhon, P. J. - 139, 354. Pul^heria Ivanovna - 421. Radistcev, A. N. - 30. Ranke - 160. Riabuscinski, P. P. - 79. Ricardo, D. - 99, 100, 102, 107, 109. Richter, E. - 131, 132. Rittinghauscn, M. - 444. R. M. - 55, 56, 375, 380, 479, 480. R. N. S. (Struve, P. B.) - 25, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, f>3> 65, 316. Robespierre, M. - 265. Rodbertus-Jagetzow, K. - 106. Rodzianko, M. N. - 261. Rogacev, D. M. - 442. Rothschild, M. A. - 130, 30&. Rozdestvienski, P. - 266. Ruge, A. - 295. Rymarenko - 29. Saint-Simon, C. H. - 342. Saltykov-Stcedrin, M. E. - 171, 433> Schiemann, T. - 32. Schippel, M. - 129. Schramm, K. - 362. Schulze-Delitsch, F. - 355. Schweitzer, J. - 362. Sciakhovskoi, N. V. - 86, 154. Sciuvaìov, A. P. - 36. Scnakenburg - 256, 257. Serebriakov, E. - 422. Serno-Soloviovic, A. A. - 32. Serno-Soloviovìc, N. A. * 29, 32. Seufferheld, A. - 122. Sipiaghin, D. S. - 50, 86, 211, 214, 216 217, 223, 224. 234. 235, 236, 237’ 238! 5 2Ó INDICE DEI NOMI 239, 240, 241, 243, 245. 250. 253. 254. 256, 264, 309. Skvortsov, A. I. - 97. Skvortsov, V, M. - 266. Solari - 132. Sprengcr - 165. Stakhovic, M. A. - 264, 265, 266, 267 268, 311, 312, 313, 314. Starover (Potresov A. N.) - 331. Stcedrin; vedi Sahykov-Stccdrin, M. E. Stirner, M. - 303, Stolbovski, R, Z. - 29. Struve, P, B. (vedi anche R, N. S.) - 50, 94, 98, 105, 117, 133, 134, 135, I7 i, 333. 355. 375. 474. 479- Stumpfe, E. - 113. Suvorin, A. S. - 26^. Ternatscv, V. A. - 266. Tikhomirov, L. A. - 38, 42. Tkaciov, P. N. - 472. T. Kh. (Lenin) - 229. Tolstoi, D. A. - 45, 46. Tolstoi, L. N. - 133, 271. T. P. (Lenin) - 23. Tugan-Baranovski, M. I. - 94, 117. Tulin, K. (Lenin) - 333. Tuporylov Narcisò - 364, 375, 413, Turgheniev, I. S. - 32, 132, 234. Unkovski, A. M. - 58. Uspenskaia - 232, Ustimovic - 45 Vahlteich, K. - 329. Valuiev, P. A, - 33, 34 . 42. Vanderbilt - 130. Vaneiev, A. A. - 347. 349- Vannovski, P. S. - 33, 34, 86, 300. Vasiliev - 420. Velepolski, A. - 43. Ville, G. - 132. V. I-n, vedi anche I. V, (Ivanscin, V. p.) - 479- Vinogradski, S. N. - 132. Vollmar - 326. Vorosdlov - 132, 133, 137, 138, 140, i 43 , 144, 150, 159, 163, 196. V. V. (Vorontsov, V. P.) . 351, 352> ^ 360, 363. Wagntr - 17 1. Webb, S. e B. - 373, 444. Weitling, W. - 354. West, R. - 100, 102. Wilfahrt, N. - 132. Witte, S. Iu, - 25, 26, 28, 38, 40, 41, 42, 43. 44. 4 8 . 49. 5°. 52, 53, 59, 61, 62, 65. 3°5» 306, 307, 308, 309, 316, 402. Wolrmann, L. - 360. Worms, A. E. - 420. Zasulic, V. ]. - 42, 440. Znamenski, N. A. - 262. Zubatov, S. U. - 290, 292, 295, 334, 355 , 357, 420, 421, 422, 425. GLOSSARIO Arici n : Arici : Desiai ina: Khutor : Kulak,: O bucina: Pud : Raznocintsy: Volo il : Zemski naciaìnik: m. 0,711 organizzazione economica volontaria, di tipo corporativo-cooperati- vistico, della Russia zarista, costituita anche allo scopo di miglio- rare le condizioni di ingaggio degli associati come salariati; aveva breve durata (anche una sola stagione) ed era priva di personalità giuridica. ha 1,092 piccola proprietà terriera fuori dell’abitato, costituita da un appezza- mento di terra con casa ed accessori. contadino agiato che impiegava lavoratori a salario e li sfruttava con contratti iugulatori. (letteralmente comunità ) organizzazione contadina di villaggio a carattere amministrativo e di ceto, per i cui membri vigeva, per ciò che concerneva il fìsco, il principio della responsabilità collet- tiva; i membri ócWobstcina, inoltre, possedevano la terra in co- mune, senza alcun diritto di proprietà sugli appezzamenti coltivati. kg. 16,38 elementi intellettuali della borghesia liberale e democratica della Russia del XIX secolo non . appartenenti al ceto nobiliare e pro- venienti dagli strati borghesi e piccolo-borghesi della società (clero, mercanti, contadini, ecc.). circoscrizione territoriale rurale, la piu piccola unità amministrativa della Russia zarista; più volost gravitanti attorno ad una città co- stituivano un uiczd (distretto). funzionario locale, con ampi poteri amministrativi e giudiziari, istituito nel 1889 per restaurare il potere^ dei grandi proprietari fon- diari nelle campagne. Veniva designato su proposta del governatore, dopo l’approvazione del ministro degli interni. 528 GLOSSARIO Zemskt sobor: Zemstvo : nella Russia dei secoli XVI e XVII, assemblea dei rappresentanti dei ceti, convocata per essere consultata dal governo (corrispondeva agli Stati generali). sistema delle istituzioni di autoamministrazione locale cui potevano accedere i soli elementi provenienti dalla borghesia e dalla nobiltà. INDICE DEL VOLUME Nota delT editore 5 1901 Da che cosa cominciare? 9 Un nuovo eccidio 17 I PERSECUTORI DEGLI ZEMSTVO E GLI ANNIBALI DEL LIBERALISMO 23-67 L 26 IL 32 iil 3 s IV. 44 V. 5I VI. 60 Una preziosa confessione 68 Gli insegnamenti della crisi 75 I feudali al lavoro 80 II congresso degli zemstvo 86 La questione agraria eic critici di marx > H9-202 L La c legge » della fertilità decrescente del terreno, p. 91 - IL La teorìa della rendita, p. 103 - IIL Le marrfiinr od- l’agrìcoitura, p. 112 - IV. L eliminazione dell’antagonismo tra citta c campagna. Questioni particolari sollevate dai < cri- tici », p. 127 - V. c La proferita delle odierne piccole azien- de d’avanguardia ». L’esempio del fìaden, p. 140 - VI. La produttività della piccola e delia grande azienda. Un esem- pio della Prussia orientale, p. 147 - VII. L’inchiesta baderne sull’azienda contadina, p. 160 - Vili. I dati generali della sta- tistica agraria tedesca per gii anni 1882 e 1895. La questione delle medie aziende, p. 172 - DL La produzione bttiero-ca- searìa c le cooperative agrìcole in Germania. La popolazione 532 INDICE DEL VOLUME rurale della Germania in base alla sua situazione nell’azienda, P . 184. Il congresso di unificazione delle organizzazioni del posdr all’estero - 21-22 SETTEMBRE (4-5 OTTOBRE) 190I 203 1. Discorso del 21 settembre (4 ottobre), p. 205 - 2. Doman- de presentate all* « Unione dei socialdemocratici russi » nel congresso di « unificazione » del 21 settembre (4 ottobre) 1901, p. 2lO« La LOTTA CONTRO GLI AFFAMATI 21 I Risposta al comitato di Pietroburgo 218 La situazione all’estero 220 Norme carcerarie e condanna ai lavori forzati 222 Rassegna di politica interna 229-27 I. La carestia, p. 231 - II. Atteggiamento verso la crisi e verso la carestia, p. 250 - III. Il terzo elemento, p. 257 - IV. I discorsi di due marescialli della nobiltà, p. 264. Prefazione all’opuscolo «documenti del congresso di uni- ficazione » 278 La protesta del popolo finlandese 282 La rivista Svoboda 287 Un colloquio con i sostenitori dell’economismo 289 Il venticinquesimo anniversario dell’attività’ rivolu- zionaria di G. V. Plekhanov 297 L’inizio delle manifestazioni 298 Una lettera degli « operai del sud» 302 Anarchia e socialismo 303 1902 A PROPOSITO DEL BILANCIO DELLO STATO 3O5 L’agitazione politica e il «punto di vista di classe» 31 i Risposta a un « lettore » 317 Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento 319-49° Prefazione 321 /. Dogmatismo e « libertà di critica » 324 a) Che cosa significa « libertà di critica », p. 324 - b) I nuovi difensori della « libertà di critica », p. 327 - c) La critica in Russia, p. 332 - d) Engels e l’importanza della lotta teorica, p. 338. INDICE DEL VOLUME 533 //. La spontaneità delle masse e la coscienza della socialde- mocrazia 344 a) Inizio dell’ascesa del movimento spontaneo, p. 345 - b) La sottomissione alla spontaneità. La Rabociaia Mysl } p. 348 - c) Il opMax 60Xfl6‘/i«- ByM. ji. 15,75. nei. n. 31,82. y^. H3A. ji. 32,1. VÌ3&. M 20055. 3aKa3 Nt 754. UeHa 1 p. 31 k. THpa>K 5100 3 K 3 . H3Aare^bCTB0 «FTporpecc* rocyflapcTBeHHoro KOMHxexa CoBeTa Mhhhctpob CCCP no flenaM H3AaTeJibcxB, no;iHrpaHH H KHHJKHOfl TOprOBJIH. MocKaa r-2I, 3y6oBCKHfi OyjibBap, 21. flpocjiaocKHft non«rpa(J)KOM 6 HHaT «Coio 3 nojiHrpa