Karl Marx, Friedrich Engels, Vladimir Lenin, Joseph Stalin, Enver Hoxha 5 Classics of Marxism Comintern (Stalinist-Hoxhaists) http://ciml.250x.com Georgian Section www.joseph-stalin.net SHMG Press Karl Marx Press of thè Georgian section of Comintern (SH) - Stalinist-Hoxhaists Movement of Georgia V. I. LENIN Opere complete ii 1895-1897 1954 - Edizioni Rinascita - Roma Proprietà letteraria riservata della S. p. A. Editori Riuniti Via T. Salvini 8, Roma NOTA DELL’EDITORE La traduzione del presente volume, che contiene le opere scritte da Lenin negli anni 1895-1897, è stata condotta sul secondo volume della quarta edizione delle Opere complete di Lenin, pubblicato dalVlstituto Marx-Engels-Lenin a Mosca nel 1946 (V. I. Lenin, Socinenia, tom 2, Oghiz Gosudarstvennoie Izdatelstvo politiceskoi literatury, 1946 ). Gli scritti pubblicati in questo volume si possono suddividere in tre gruppi: 1) scritti dedicati all elaborazione dei compiti programmatici, tattici e organizzativi dei marxisti russi: Friedrich Engels, Pro- getto e spiegazione del programma del partito socialdemocratico, I compiti dei socialdemocratici russi, Quale eredità respingiamo? 2) scritti di carattere economico diretti contro i populisti: Le ca- ratteristiche del romanticismo economico, Il censimento del 1894- 1895 degli artigiani del governatorato di Perm, Perle della prò- gettomania populista, ecc.; 3) scritti di carattere propagandistico per gli operai, pubblicati a suo tempo sotto forma di opuscoli o di manifestini: Commento alla legge sulle multe inflitte agli operai nelle fabbriche e nelle officine, La nuova legge sulle fabbriche, Agli operai e alle operaie della Thornton, Al governo zarista, A che cosa pensano i nostri ministri? Le citazioni di Sismondi nello scritto Le caratteristiche del romanticismo economico sono state controllate sul testo origi- nale francese, nell edizione citata da Lenin, FRIEDRICH ENGELS Scritto nell’autunno 1895. Pubblicato per la prima volta nel 1896 in Rabotnik. \ n. 1-2. Qual faro di senno sè spento Qual core cessò di pulsare ! 2 Il 5 agosto 1895 del nuovo calendario (24 luglio) si è spento a Londra Friedrich Engels. Dopo il suo amico Karl Marx (morto nel 1883), Engels fu il più eminente scienziato e maestro del pro- letariato contemporaneo di tutto il mondo civile. Dal giorno in cui la sorte fece incontrare Karl Marx e Friedrich Engels, l’opera a cui i due amici dedicarono la loro vita divenne la loro causa comune. Perciò per rendersi conto di quanto ha fatto Friedrich Engels per il proletariato, bisogna comprendere chiaramente la importanza che la dottrina e l’attività di Marx hanno avuto nello sviluppo del movimento operaio contemporaneo. Marx ed Engels hanno dimostrato per primi che la classe operaia, con le sue rivendicazioni, è il prodotto necessario debordine economico attuale, il quale, insieme con la borghesia, crea e organizza inelut- tabilmente il proletariato; essi hanno dimostrato che non i ten- tativi benevoli di singole personalità generose, ma la lotta di classe del proletariato organizzato libererà l’umanità dalle sven- ture che attualmente la opprimono. Marx ed Engels, nelle loro opere scientifiche, hanno per primi spiegato che il socialismo non è un’invenzione di sognatori, ma lo scopo ultimo e il risultato inevitabile dello sviluppo delle forze produttive nella società con- temporanea. Tutta la storia scritta finora è storia della lotta di classe, della successione del dominio e delle vittorie di alcune classi sociali su altre. E questo continuerà fino a che non scompariranno le basi della lotta di classe e del dominio di classe: la proprietà IO LENIN privata e l’anarchia della produzione sociale. Gli interessi del proletariato esigono la distruzione di queste basi; contro di esse dovrà quindi esser diretta la lotta di classe cosciente degli operai organizzati. E ogni lotta di classe è una lotta politica. Queste concezioni di Marx e di Engels sono ormai assimilate da tutto il proletariato che lotta per la propria emancipazione; ma quando i due amici, fra il 1840 e il 1850, collaborarono alla stampa socialista e presero parte ai movimenti sociali della loro epoca, tali concezioni rappresentavano una novità assoluta. Al- lora v’erano molte persone di talento o inette, oneste o diso- neste, le quali, attratte dalla lotta per la libertà politica, dalla lotta contro il potere assoluto dei re, della polizia e dei preti, non vedevano il contrasto fra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato. Costoro non concepivano neanche lontanamente che gli operai potessero agire come una forza sociale autonoma. Dall’altro lato, v’erano molti sognatori, a volte geniali, i quali pensavano che sarebbe bastato convincere i governanti e le classi dominanti dell’ingiustizia dell’ordine sociale esistente per stabilire con facilità sulla terra la pace e il benessere universale. Essi sognavano di rea- lizzare il socialismo senza lotta. Infine, quasi tutti i socialisti e, in generale, gli amici della classe operaia di quel tempo vedevano nel proletariato solo una piaga ; essi costatavano con spavento come, con lo sviluppo dell’industria, si sviluppava anche questa piaga. Perciò tutti costoro pensavano al modo di frenare lo svi- luppo dell’industria e del proletariato, di fermare la 17 . Il suo amore per Marx vivente e la sua venerazione per la memoria del defunto erano illimitati. Questo militante austero, questo ri- goroso pensatore aveva un’anima profondamente affettuosa. Dopo il movimento del 1848-1849, Marx ed Engels, in esilio, non si occuparono unicamente di scienza. Marx fondò nel 1864 1 Associazione internazionale degli operai , e durante tutto un decennio diresse quest’associazione, al cui lavoro partecipò atti- vamente anche Engels. L’attività dell’ Associazione internazionale, che univa, secondo il pensiero di Marx, i proletari di tutti i paesi, ebbe un enorme importanza per lo sviluppo del movimento ope- raio. E, nonostante lo scioglimento d c\Y Associazione interna - ztonale , avvenuto nel 1872, la funzione unificatrice di Marx e di Engels non s interruppe. Al contrario, si può dire che la loro im- portanza come dirigenti spirituali del movimento operaio crebbe sempre più, perchè il movimento stesso continuò a svilupparsi ininterrottamente. Dopo la morte di Marx, Engels continuò da solo a essere il consigliere e il dirigente dei socialisti europei. A ui si rivolgevano per consigli e direttive sia i socialisti tedeschi, a cui orza cresceva rapidamente e incessantemente nonostante FRIEDRICH ENCELS l 7 le persecuzioni del governo, sia i rappresentanti dei paesi arretrati, per esempio gli spagnuoli, i romeni, i russi, i quali dovevano ben ponderare i loro primi passi. Essi attingevano tutti al ricco patri- monio di conoscenze e di esperienze del vecchio Engels. Marx e Engels, che conoscevano entrambi la lingua russa e leggevano i libri russi, s’interessavano vivamente alla Russia, seguivano con simpatia il movimento rivoluzionario russo e man- tenevano delle relazioni con i rivoluzionari russi. Entrambi erano diventati socialisti dopo essere stati democratici , e il sentimento democratico di odio verso l’arbitrio politico era in essi estremamente vigoroso. Questo sentimento politico innato, unito alla profonda comprensione teorica del nesso esistente tra l’arbitrio politico e l’op- pressione economica, e la ricca esperienza di vita resero Marx ed En- gels sensibilissimi proprio dal punto di vista politico. Perciò la ‘eroica lotta di un esiguo gruppo di rivoluzionari russi contro il potente governo zarista suscitò nell’animo dei due provati rivolu- zionari il più vivo consenso. Al contrario, la tendenza a eludere col pretesto dei vantaggi economici il compito più immediato e importante dei socialisti russi, la conquista delle libertà politiche, non solo sembrò loro sospetta, ma persino un tradimento della grande causa della rivoluzione sociale. « L’emancipazione del proletariato deve essere opera del proletariato stesso » : ecco che cosa insegnavano costantemente Marx ed Engels. Ma, per lottare per la propria emancipazione economica, il proletariato deve con- quistarsi determinati diritti politici. Inoltre Marx ed Engek vede- vano chiaramente che la rivoluzione politica in Russia avrebbe avuto un’enorme importanza anche per il movimento operaio dell’Eu- ropa occidentale. La Russia autocratica è sempre stata il baluardo di tutta la reazione europea. La situazione internazionale estrema- mente favorevole in cui era venuta a trovarsi la Russia in seguito alla guerra del 1870, che seminò per lungo tempo la discordia tra la Germania e la Francia, naturalmente fece aumentare l’impor- tanza della Russia autocratica come forza reazionaria. Soltanto una Russia libera, che non abbia bisogno nè di opprimere i polacchi, i finlandesi, i tedeschi, gli armeni e altri piccoli popoli, nè di aizzare continuamente l’una contro l’altra la Francia e la Ger- mania, permetterà all’Europa contemporanea di liberarsi final- i8 LENIN mente dal peso della guerra, indebolirà tutti gli elementi rea- zionari in Europa e accrescerà la forza della classe operaia europea. Ecco perchè Engels desiderava ardentemente, anche per il successo del movimento operaio in Occidente, l’instaurazione della libertà politica in Russia. I rivoluzionari russi hanno perduto in lui il loro migliore amico. Memoria imperitura a Friedrich Engels, al grande combat- tente e maestro del proletariato! COMMENTO ALLA LEGGE SULLE MULTE INFLITTE AGLI OPERAI NELLE FABBRICHE E NELLE OFFICINE 18 Scritto nell’autunno 1895. Pubblicato per la prima volta in opuscolo a Pietroburgo nel 1895. I Che cosa sono le multe Se domandate a un operaio che cosa sono le multe, egli si stupirà, forse, di una domanda simile. Come potrebbe non sapere che cosa sono le multe, se è costretto a pagarne continuamente? Ce forse bisogno di porre simili domande? Ma solo in apparenza non ce nulla da domandare. In realtà, la maggioranza degli operai non ha un’idea precisa delle multe. Si crede, di solito, che la multa sia un indennizzo pagato al padrone per un danno arrecato dall’operaio. È falso. Multa e in- dennizzo sono due cose diverse. Se un operaio arreca un danno qualsiasi a un altro operaio, quest’ultimo può chiedere un inden- nizzo per il danno subito (ad esempio, per una stoffa rovinata), ma non può infliggergli una multa. Così, se un fabbricante arreca danno a un altro fabbricante (se, per esempio, non gli consegna la merce nel termine stabilito), quest’ultimo può esigere un inden- nizzo, ma non può multàre l’altro fabbricante. L’indennizzo si richiede fra uguali, la multa si impone soltanto a un subordinato. Perciò l’indennizzo dev’essere richiesto per via giudiziaria, mentre la multa viene stabilita dal padrone senza alcun ricorso al tribunale. La multa viene inflitta, talvolta, anche quando nessun danno è stato arrecato al padrone: per esempio, la multa inflitta per aver fumato. La multa è una punizione, non - un indennizzo. Se, poniamo, l’operaio fumando lascia cadere della brace che brucia una stoffa del padrone, quest’ultimo non solo multa l’operaio perchè ha fumato, ma opera anche una trattenuta sul salario per 22 LENIN la stoffa bruciata. Questo esempio mostra chiaramente la differenza fra multa e indennizzo. Lo scopo delle multe non è quello di indennizzare una perdita, bensì quello di creare la disciplina, cioè di sottomettere gli operai al padrone, di costringere gli operai a eseguire gli ordini del padrone, a obbedirgli durante il lavoro. La legge sulle multe dice esplicitamente che la multa è una « sanzione pecuniaria applicata dai direttori di fabbrica, di propria autorità, allo scopo di man- tenere lordine». L’entità della multa non dipende, perciò, dalla gravità del danno, ma dal grado della mancanza commessa dal- l’operaio: la multa è tanto più forte quanto più rilevante è la mancanza, quanto più grave è la disobbedienza al padrone, l’in- frazione alle richieste padronali. Chiunque si impegni a lavorare per un padrone diventa, s’intende, asservito; deve obbedire al padrone, e il padrone ha la facoltà di punirlo. I servi della gleba lavoravano per i grandi proprietari fondiari, e i grandi proprietari fondiari li punivano. Gli operai lavorano per i capitalisti, e i capi- talisti li puniscono. La differenza sta solo nel fatto che allora si colpiva l’uomo asservito col bastone, mentre ora lo si colpisce col rublo. Si potrebbe forse obiettare che il lavoro collettivo di una massa di operai nella fabbrica o nell’officina è impossibile senza disci- plina: e necessario l’ordine nel lavoro, occorre assicurare questo ordine e punire chi lo viola. Perciò, si dirà, le multe non vengono inflitte perche gli operai sono asserviti, ma perchè il lavoro col- lettivo richiede ordine. Questa obiezione e assolutamente falsa benché, a prima vista, possa indurre in errore. Vi ricorre soltanto chi vuole nascondere agli operai il loro stato di asservimento. L’ordine è infatti indi- spensa ile per qualsiasi lavoro collettivo. Ma è forse necessario C . ^ c ^ e l av ora sia sottomessa all’arbitrio dei fabbricanti, cioè di chi non lavora ed è forte solo perchè ha accaparrato tutte le macc ine, g i strumenti e le materie prime? Il lavoro collettivo non può essere eseguito senza ordine, senza che tutti si sottomettano ° r .! ne> ma ^ * avoro collettivo può essere svolto anche X Sr gll T1 °P erai si soggettino ai padroni delle fabbriche e delle officine. Il lavoro collettivo richiede, si, il rispetto dell’ordine, LA LEGGE SULLE MULTE 23 ma non esige affatto che la facoltà di sorvegliare gli altri spetti sempre a colui che non lavora, ma vive del lavoro altrui. Da ciò risulta che le multe non vengono inflitte perche la gente lavora collettivamente, ma perchè, nell’attuale sistema capitalistico, le masse lavoratrici sono prive di qualsiasi proprietà : tutte le mac- chine, gli strumenti, le materie prime, la terra, il grano sono nelle mani dei ricchi. Gli operai sono costretti a vendersi a costoro per non morire di fame. E, una volta vendutisi, debbono, natural- mente, sottomettersi ai ricchi e subire le punizioni che vengono loro inflitte. Di ciò deve rendersi conto ogni operaio che voglia capire che cosa sono le multe. È necessario rendersene conto per confutare il ragionamento corrente (e assolutamente falso) secondo cui le multe sarebbero indispensabili perchè senza di esse il lavoro col- lettivo sarebbe impossibile. È necessario rendersene conto per poter spiegare a ogni operaio che differenza c’è fra la multa e l’inden- nizzo e perchè le multe significano lasservimento degli operai, la loro subordinazione ai capitalisti. II Come venivano inflitte le multe una volta e che cosa ha provocato le nuove leggi sulle multe Le leggi sulle multe esistono da poco tempo: da nove anni appena. Prima del 1886 non vi era nessuna legge sulle multe. I fabbricanti potevano imporre multe in ogni occasione e in qual- siasi misura. Essi infliggevano allora inulte in proporzioni scan- dalose e ne traevano ingenti guadagni. Le multe venivano inflitte, talvolta, « a beneplacito del padrone », senza motivazione. Le multe ammontavano talvolta alla metà del salario y di modo che, su ogni rublo guadagnato, l’operaio restituiva al padrone 50 copechi sotto forma di multa. Succedeva pure che, oltre alle multe, si facesse pagare anche una penale per inadempienza di con- tratto; ad esempio, io rubli per abbandono della fabbrica. Ogni volta che gli affari andavano male, non costava nulla al fabbricante ridurre la paga a dispetto del convenuto. Egli costringeva i capi- 24 LENIN squadra a multare gli operai e a scartare i prodotti con maggiore severità, il che equivaleva a ridurre il salario dell operaio. Gli operai sopportarono per molto tempo tutti questi soprusi, ma col moltiplicarsi delle grandi officine e fabbriche, particolar- mente di quelle tessili, che eliminavano le piccole aziende e i telai a mano, Tindignazione degli operai contro l’arbitrio e le vessazioni diventò sempre più energica. Una decina di anni fa negli affari dei commercianti e dei fabbricanti si ebbe un ristagno , la cosid- detta crisi : le merci non trovavano acquirenti, e i fabbricanti, che subivano delle perdite, cominciarono a rifarsi con le multe. Gli operai, i cui salari erano già ben miseri, non poterono sopportare questi nuovi soprusi, e così nei governatorati di Mosca, di Vladimir e di Iaroslavl nel 1885-1886 si ebbero rivolte operaie. Esasperati, gli operai cessavano il lavoro e si vendicavano terribilmente dei loro oppressori, distruggendo e, a volte, incendiando i locali e il macchinario delle fabbriche, malmenando gli amministratori, ecc. Il più rilevante di tutti questi scioperi fu quello della ben nota manifattura di Timofei Savvic Morozov (situata nel paese di Nikolskoie, presso la stazione di Orekhovo, sulla linea ferroviaria Mosca-Nizni Novgorod). Fin dal 1882, Morozov aveva incomin- ciato a ridurre i salari; dal 1882 al 1884 vi furono cinque riduzioni. Nello stesso tempo le multe venivano inflitte con sempre maggiore severità: esse ammontavano in tutta la fabbrica a circa un quarto del salario (24 copechi di multa per ogni rublo guadagnato), e per alcuni operai raggiungevano a volte la metà del salario. Allo scopo di mascherare queste multe scandalose, Tamministrazione aveva adottato, nell’anno che precedette la devastazione, questa pratica: gli operai le cui multe avevano raggiunto la metà del salario, erano costretti a licenziarsi; potevano, però, farsi riassu- mere anche il giorno stesso, ricevendo un nuovo libretto-paga. In questo modo, i libretti su cui erano segnate multe veramente ec- cessive venivano distrutti. In caso di assenza ingiustificata dal lavoro venivano trattenute tre giornate per ogni giorno di as- senza; ogni infrazione al divieto di fumare veniva punita con una multa di 3, 4, 5 rubli. Esasperati, gli operai, il 7 gennaio 1885, a bandonarono il lavoro e in pochi giorni devastarono lo spaccio di generi alimentari della fabbrica, l’alloggio del caposquadra LA LEGGE SULLE MULTE 25 Sciorin e altri locali della fabbrica. Questa tremenda rivolta cui partecipò una decina di migliaia di operai (gli operai erano 11.000) atterrì il governo: a Orekhovo-Zuievo giunsero immediatamente le truppe, il governatore, i procuratori di Vladimir e di Mosca. Du- rante le trattative, gli scioperanti trasmisero alle autorità le « con- dizioni redatte dagli operai stessi ». Gli operai esigevano che ve- nissero loro rimborsate le multe inflitte dalla Pasqua del 1884 in poi e che, per l’avvenire, le multe non superassero il 5 % del salario, cioè non più di 5 copechi per ogni rublo guadagnato, e che per un giorno di assenza ingiustificata venisse trattenuto non più di un rublo. Inoltre, gli operai esigevano che si ritornasse ai salari del 1881-1882; che il padrone pagasse le giornate in cui gli operai erano costretti a non lavorare per colpa sua; che l’operaio, in caso di li- cenziamento, fosse avvertito 15 giorni prima; che il collaudo dei prodotti fosse effettuato in presenza di testimoni scelti dagli ope- rai, ecc. Questo formidabile sciopero impressionò fortemente il governo, il quale comprese che gli operai rappresentano una forza terribile, quando agiscono di comune accordo, soprattutto se la massa degli operai, unendo i propri sforzi, pone apertamente le proprie rivendicazioni. Anche i fabbricanti intuirono la forza degli operai e si mostrarono più cauti. Il giornale Novoie Vremia 19 comunicava per esempio, da Orekhovo-Zuievo : « La rivolta dell’anno scorso (cioè del gennaio 1885 alla Morozov) ha avuto l’effetto di cam- biare d’un sol colpo i vecchi ordinamenti nelle fabbriche, sia di Orekhovo-Zuievo, sia delle vicinanze». Così, non solo i padroni della Morozov furono costretti a modificare i regolamenti scan- dalosi, allorquando gli operai, tutti uniti, ne richiesero la sop- pressione, ma persino i fabbricanti delle vicinanze fecero alcune concessioni, temendo di vedere devastati anche i loro stabilimenti, « L’importante è — scriveva lo stesso giornale — che gli operai sono oggi trattati in modo più umano, cosa che prima avveniva soltanto da parte di pochissimi amministratori di fabbriche ». Persino le Mosfovsfoe Viedotnosti 20 (questo giornale difende sempre i padroni e di tutto incolpa gli operai) compresero che era impossibile conservare i vecchi regolamenti e dovettero riconoscere che le multe arbitrarie erano « un male che porta agli abusi più ri- 26 LENIN pugnanti», che «gli spacci alimentari delle fabbriche non fanno che derubare gli operai», e che occorreva quindi emanare una legge e un regolamento sulle multe. L’impressione profonda suscitata da questo sciopero fu accen- tuata ancor più dal deferimento di alcuni operai al tribunale. 33 operai furono denunciati sotto l’accusa di aver commesso violenze durante lo sciopero, nonché di aver aggredito una pattuglia di soldati (alcuni operai arrestati durante lo sciopero e rinchiusi in un locale erano riusciti a evadere, sfondando le porte). Il processo si svolse a Vladimir nel maggio del 1886. I giurati assolsero tutti gli imputati, poiché le deposizioni dei testi, fra cui quelle di T. Morozov, proprietario della fabbrica, del direttore Dianov e di molti tessitori rivelarono i soprusi scandalosi ai quali erano sotto- posti gli operai. La sentenza del tribunale fu una condanna diretta, non solo di Morozov e della sua amministrazione, ma di tutti i vecchi regolamenti di fabbrica in generale. I difensori dei fabbricanti si allarmarono e si irritarono terri- bilmente. Le stesse Mosfovsfye V ìedomosti che, dopo la devasta- zione, avevano riconosciuto gli scandalosi abusi dovuti ai vecchi re- golamenti, usarono un linguaggio radicalmente diverso : « La ma- nifattura di Nikolskoie — scrivevano — è fra le migliori. Gli operai non hanno con la fabbrica nessun rapporto di servitù o di coerci- zione; vengono di propria volontà e se ne vanno liberamente. Le multe... ebbene, le multe nella fabbrica sono una necessità; senza di esse non ci sarebbe modo di aver ragione degli operai e non reste- rebbe che chiudere la fabbrica». Tutta la colpa, secondo il gior- nale, sarebbe degli operai stessi, «depravati, ubriaconi e negli- genti >. La sentenza del tribunale può solo « corrompere le masse popolari » *. « Ma è pericoloso scherzare con le masse popolari — esclamavano le Mosf^ovskie V ìedomosti. — Che cosa mai penseran- no gli operai del verdetto di assoluzione pronunciato dal tribunale di Vladimir? La notizia del verdetto si è diffusa in un batter d’oc- • I fabbricanti e i ioro difensori hanno sempre creduto, e credono ancora, che se gli operai cominciano a riflettere sulla propria situazione, a rivendicare 1 propri diritti e a resistere uniti agli scandalosi abusi e alle vessazioni dei padroni, tutto ciò non è che « depravazione *. Naturalmente per i padroni è più vantaggioso che gli operai non pensino alla propria situazione e non prendano Coscienza dei propri diritti. LA LEGGE SULLE MULTE V chio in tutta questa regione manifatturiera. Il nostro corrispon- dente, che ha lasciato Vladimir subito dopo la lettura della sen- tenza, ne ha già sentito parlare in tutte le stazioni ferroviarie...». In tal modo, i fabbricanti cercavano di spaventare il governo: se si fa, essi dicevano, una concessione qualsiasi agli operai, alTin- domani essi ne richiederanno un’altra. Ma le rivolte operaie facevano ancor più paura, e il governo dovette cedere. Nel giugno 1886 fu promulgata la nuova legge che specificava i casi in cui era permesso infliggere multe, ne fissava Tammontare e stabiliva che il provento delle multe non doveva essere inta- scato dai padroni, ma utilizzato per sovvenire ai bisogni de- gli operai. Molti operai non conoscono questa legge, e quelli che la co- noscono pensano che ralleggerimento delle multe sia dovuto al- Tintervento del governo e che pertanto si debba esserne grati alle autorità. Abbiamo visto che le cose non stanno così. Per quanto scandalosi fossero i vecchi regolamenti di fabbrica, le autorità non fecero assolutamente nulla per migliorare la situazione de- gli operai, fino a quando gli operai non si rivoltarono contro questi regolamenti, fino a quando gli operai, nella loro indignazione, non giunsero a distruggere fabbriche e macchine, a incendiare merci e materiali, a malmenare amministratori e padroni. Soltanto allora il governo ebbe paura e cedette. Per Talleggerimento delle multe gli operai non debbono ringraziare le autorità, ma i loro compagni che hanno rivendicato e ottenuto la soppressione di abusi tanto scandalosi. La storia delle devastazioni del 1885 ci fa vedere quale forza immane è la protesta collettiva degli operai. Bisogna soltanto curare che questa forza venga usata nel modo più cosciente, che non venga sciupata inutilmente per vendicarsi di questo o quel padrone di fabbrica o di officina, oppure per devastare questa o quella fabbrica più o meno esecrata; bisogna che tutto il vigore di questo sdegno e di questo odio sia diretto contro tutti i padroni di fabbriche e di officine, contro tutta la classe dei fabbricanti e in- dustriali, che venga utilizzato in una lotta continua e tenace con- tro di essi. 28 LENIN Esaminiamo ora particolareggiatamente le nostre leggi sulle multe. Per conoscerle, occorre analizzare le seguenti questioni: i) In quali casi oppure per quali motivi la legge permette di inflig- gere multe? 2) Quale dev’essere, secondo la legge, Tammontare delle multe? 3) Quale dev’essere, secondo la legge, la procedura secondo la quale vengono imposte le multe, e cioè a chi la legge conferisce il diritto di infliggere multe? Si ha il diritto di fare ricorso? Come de- v’essere comunicata preventivamente all’operaio la tabella delle multe? Come bisogna registrare le multe sul registro-paga? 4) Come debbono essere impiegati, secondo la legge, i proventi delle multe? Dove vengono depositati? In che modo devono essere spesi per i bisogni degli operai, e per quali bisogni precisamente? E infine, l’ultima questione: 5) La legge sulle multe si estende a tutti gli operai? Quando avremo esaminato tutte queste questioni, non solo sapremo che cosa è una multa, ma conosceremo anche tutti i rego- lamenti speciali e le disposizioni particolari delle leggi russe sulle multe. È necessario che gli operai conoscano questa legge per giu- dicare coscientemente ogni caso di illegale imposizione di multe, per poter spiegare ai compagni la ragione di questa o quella in- giustizia, per sapere se è la direzione della fabbrica a trasgredire la legge o se la legge stessa contiene disposizioni ingiuste, per poter scegliere, di conseguenza, la forma più adatta di lotta contro i soprusi. Ili Per quali motivi il jabbricante può infliggere multe La legge stabilisce che i motivi per infliggere multe, cioè le mancanze che danno diritto al padrone della fabbrica o . dell’of- ficina di multare gli operai, possono essere i seguenti: 1) lavoro difettoso; 2) assenza ingiustificata; 3) trasgressione del regolamento. « Nessuna sanzione, dice la legge, può essere applicata per altri mo- tivi ^ *. Esaminiamo ciascuno di questi tre motivi separatamente e attentamente. * La legge in questione è lo Statuto industriale , incluso nella seconda parte del volume XI del Codice russo. La legge è esposta in vari articoli numerati. Gli articoli, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151 e 152 trattano delle multe. LA LEGGE SULLE MULTE 2 9 Primo motivo: lavoro difettoso. La legge dice: «Si considera lavoro difettoso: la produzione di articoli di cattiva qualità, dovuta a negligenza dell’operaio; le avarie causate dall’operaio al ma- teriale, alle macchine o agli altri strumenti di produzione durante il lavoro ». Qui bisogna tenere a mente le parole « dovuta a ne- gligenza». Sono molto importanti. La multa può essere inflitta soltanto per negligenza. Se l’articolo fabbricato risulta di cattiva qualità non a causa di una negligenza delloperaio, ma, per esem- pio, perchè il padrone ha fornito materiale di cattiva qualità, il fabbricante non ha il diritto di imporre una multa. È necessario che gli operai si rendano ben conto di questo, e, nel caso di multa per lavoro difettoso, quando il difetto non è da imputare all’operaio, alla sua negligenza, protestino, perchè in questo caso la multa è semplicemente illegale. Prendiamo un altro esempio: un operaio d’officina lavora alla sua macchina vicino a una lam- padina elettrica. Una scheggia di ferro colpisce la lampadina e la rompe. Il padrone multa l’operaio «per deterioramento di mate- riale». Ha diritto di farlo? No, perchè l’operaio non ha rotto la lampadina per negligenza: non è colpa dell’operaio se la lampadina non è protetta dalle schegge di ferro che volano continuamente durante il lavoro*. Si tratta di sapere se questa legge tutela sufficientemente l’ope- raio, se lo protegge contro l’arbitrio del padrone e contro l’ini- qua imposizione di multe. Certamente no, poiché il padrone de- cide a suo piacimento della buona o della cattiva qualità del pro- dotto; il padrone può sempre trovare da ridire, può sempre ri- correre alle multe per la cattiva qualità del prodotto e sottrarre così all’operaio una maggiore quantità di lavoro con lo stesso salario. La legge lascia l’operaio indifeso e riconosce al padrone la facoltà di commettere soprusi. È chiaro che la legge è parziale, fatta nell’interesse dei fabbricanti e ingiusta. In che modo bisognerebbe proteggere l’operaio? Gli operai • Un caso simile è avvenuto a Pietroburgo, nel porto Nuovo Ammiragliato, il cui comandante, Verkhovski, è celebre per i suoi soprusi verso gli operai. Dopo lo sciopero, egli sostituì le multe per le lampadine rotte con trattenute sui salari di tutti gli operai del reparto. È chiaro che queste trattenute sono altrettanto ille- gali quanto le multe. 30 LENIN l’hanno indicato già da molto tempo: i tessitori della fab- brica Morozov di Nikolskoie avevano, durante lo sciopero del 1885, posto tra le altre la seguente rivendicazione: «stabilire la buona o cattiva qualità dei prodotti fabbricati al momento della consegna e, in caso di contestazioni, farlo in presenza di testimoni scelti tra gli operai che lavorano in prossimità, trascrivendo ogni cosa sul registro di consegna delle merci ». (Questa rivendica- zione fu scritta sul quaderno redatto « col consenso generale degli operai » e trasmesso dalla folla, durante lo sciopero, al procura- tore. Il quaderno fu letto in tribunale). Questa rivendicazione è assolutamente giusta, poiché non vi è altro mezzo per prevenire l’arbitrio del padrone, se non quello di chiamare dei testimoni quando sorgono contestazioni sulla qualità della merce; inoltre questi testimoni debbono essere necessariamente scelti fra gli operai: i capisquadra o gli impiegati non oserebbero mai andare contro il padrone. Il secondo motivo per l’applicazione delle multe è l’assenza ingiustificata. Che cosa intende la legge per assenza ingiustifi- cata? «Si considera assenza ingiustificata, a differenza dell’arrivo in ritardo al lavoro o dell’assentarsi senza permesso dal lavoro — dice la legge — , la non presenza per almeno una metà della giornata lavorativa ». Il ritardo o l’assenza non autorizzata sono qualificati dalla legge, come vedremo, « infrazioni al regolamento » e comportano una multa meno forte. Se l’operaio arriva in officina con un ritardo di alcune ore, ma tuttavia prima di mezzogiorno, non si avrà un’assenza ingiustificata, ma soltanto un’infrazione al regolamento; se invece egli arriva a mezzogiorno, si avrà as- senza ingiustificata. Così se l’operaio abbandona volontariamente, senza permesso, il lavoro dopo mezzogiorno, cioè si assenta per al- cune ore, si avra infrazione al regolamento; se invece egli si as- senta per mezza giornata, allora si ha assenza ingiustificata. La legge stabilisce che se l’operaio non si presenta al lavoro per oltre tre giorni consecutivi, oppure complessivamente per oltre sei giorni in un mese, il fabbricante ha diritto di licenziarlo. Ci si chiede: l’assenza dal lavoro durante una mezza giornata, o una giornata intiera, viene sempre considerata come assenza ingiusti- ficata? No, soltanto quando non vi sono motivi per giustificare LA LEGGE SULLE MULTE 3 1 l’assenza dal lavoro. I motivi che giustificano l’assenza sono spe- cificati dalla legge. Sono i seguenti: i) «Se l’operaio è stato pri- vato di libertà ». Dunque se, per esempio, l’operaio viene arre- stato (per ordine della polizia o per decisione del giudice di pace), il fabbricante non ha diritto di multarlo per assenza ingiu- stificata. 2 ) « Perdita improvvisa di beni in seguito a incidente ». 3) « Incendio ». 4) « Inondazione ». Se per esempio l’operaio, durante la piena primaverile, non può attraversare il fiume, il padrone non ha diritto di multarlo. 5) « Malattia, che impedisce di uscire di casa ». 6) « Morte o grave malattia dei genitori, del marito, della moglie, dei figli ». In tutti questi sei casi l’assenza dell’operaio è considerata giustificata. Se non vuol essere multato per assenza ingiustificata, l’operaio deve soltanto aver cura di esibire una prova: l’amministrazione non gli crede sulla parola se egli afferma che la sua assenza è giustificata. Bisogna dunque chiedere un certificato al medico (in caso di malattia, p. es.), op- pure alla polizia (p. es., in caso d’incendio). Se è impossibile pro- curarsi immediatamente il certificato, bisogna presentarlo anche più tardi, ed esigere, in forza della legge, che la multa non venga imposta o, se è già stata inflitta, venga annullata. A proposito di queste disposizioni della legge sui motivi che giustificano l’assenza dal lavoro, bisogna rilevare che esse sono molto severe, quasi che si trattasse di soldati accasermati, e non di uomini liberi. Queste disposizioni sono state ricalcate sui regola- menti che concernono i motivi per giustificare la non compa- rizione in tribunale: se qualcuno viene accusato di un reato, viene convocato dal giudice istruttore ed è tenuto a presentarsi. La non comparizione è permessa esattamente negli stessi casi in cui è permessa l’assenza dell’operaio dal lavoro*. Per conse- guenza, la legge è altrettanto severa per gli operai, quanto per ogni sorta di truffatori, di ladri, ecc. Ognuno capisce perchè siano tanto severe le norme sulla comparizione in tribunale: la persecu- zione dei reati interessa infatti l’intiera società. Or bene, la pre- senza dell’operaio in fabbrica non interessa affatto tutta la so- cietà, ma soltanto il fabbricante; inoltre, è facile sostituire un • Ad eccezione di un solo caso: « Tincendio », che non è menzionato nella legge sulla comparizione degli imputati. 32 LENIN operaio con un altro in modo che il lavoro non si arresti. Il ri- gore militare della legge non corrisponde dunque a nessuna ne- cessità. Ma i capitalisti non si limitano a sottrarre all’operaio tutto il suo tempo per il lavoro nella fabbrica; essi vogliono anche privare l’operaio di ogni volontà, di ogni altro interesse e pen- siero che non sia quello della fabbrica. Trattano l’operaio come un essere asservito. Ecco perchè vengono creati regolamenti tanto burocratici e cavillosi, impregnati di spirito di caserma. Abbiamo visto, per esempio, che la legge riconosce come motivo di assenza giustificata «la morte o una grave malattia dei genitori, del ma- rito, della moglie, dei figli ». Così dice la legge per la comparizione in tribunale. Identica è la disposizione inclusa nella legge sulla presenza dell’operaio al lavoro. Dunque, se l’operaio perde per esempio, non la moglie, ma la sorella, egli non ha diritto di assen- tarsi per un giorno dal lavoro, non ha diritto di perdere tempo ai funerali : il suo tempo non appartiene a lui, ma al padrone. Dei funerali può incaricarsi anche la polizia; vai forse la pena di pre- occuparsene? Secondo la legge sulla comparizione in tribunale, l’interesse della famiglia deve cedere il passo agli interessi della società, che esigono la persecuzione dei criminali. Secondo la legge sulla presenza al lavoro, gli interessi della famiglia dell’ope- raio devono cedere il passo agli interessi del fabbricante, che ha bisogno di realizzare i profitti. E dopo tutto questo i signori senza macchia, che redigono, applicano e difendono simili leggi, osano accusare gli operai di non apprezzare la vita familiare!... Vediamo ora se è giusta la legge sulle multe per assenza in- giustificata. L’abbandono del lavoro per una giornata o due è considerato come assenza ingiustificata; l’operaio viene punito e, in caso di un’assenza che si protragga per oltre tre giorni conse- cutivi, può essere licenziato. E se il fabbricante sospendesse il la- voro (per esempio, per mancanza di ordinazioni), oppure desse lavoro per soli cinque giorni alla settimana, invece dei sei sta- biliti? Se gli operai avessero veramente gli stessi diritti dei pa- droni, la legge dovrebbe essere uguale tanto per il fabbricante che per 1 operaio. Se l’operaio sospende il lavoro, perde il salario e paga la multa. Di conseguenza, se il fabbricante fa sospendere a suo piacimento il lavoro, dovrebbe anzitutto pagare all’operaio il LA LEGGE SULLE MULTE 33 salario integrale per tutta la durata della sospensione del lavoro in fabbrica e, in secondo luogo, dovrebbe essere passibile di multa. Ma la legge non prevede nè Tuna nè l’altra cosa. Questo esempio conferma chiaramente ciò che abbiamo detto poc’anzi delle multe, e cioè che esse provano l’asservimento degli operai al capitalista, attestano che gli operai rappresentano una classe inferiore, asser- vita, condannata a lavorare tutta la vita per i capitalisti, a creare le loro ricchezze, e a ricevere in compenso pochissimi soldi, ina- deguati per un’esistenza appena decente. Quanto a far pagare ai fabbricanti delle multe per l’arbitraria sospensione del lavoro, non se ne può neanche parlare. Anzi, i fabbiicanti non pagano agli operai neppure il salario, quando il lavoro viene interrotto non per colpa di questi ultimi. È questa una tremenda ingiu- stizia. La legge stabilisce soltanto che il contratto tra il fabbri- cante e l’operaio cessa « in seguito alla sospensione del lavoro nella fabbrica o nell’officina per più di 7 giorni, per incendio, inon- dazione, scoppio della caldaia o altri incidenti del genere ». Gli operai debbono rivendicare una disposizione che obblighi i fab- bricanti a pagare il salario agli operai durante la sospensione del lavoro. Questa rivendicazione è già stata posta pubblicamente dagli operai russi Pii gennaio 1885 durante il famoso sciopero presso T. S. Morozov # , Il quaderno delle rivendicazioni operaie conteneva, fra l’altro, la rivendicazione seguente: «che la trat- tenuta per un’assenza ingiustificata non superi un rublo, e che anche il padrone paghi i giorni di sospensione del lavoro per colpa sua, cioè durante l’arresto del lavoro per la riparazione delle macchine, e che a questo scopo ogni giornata di assenza sia regi- strata sul libro-paga ». La prima rivendicazione degli operai (che la multa per assenza ingiustificata non superi un rublo) è stata # Bisogna rilevare che a quel tempo (1884-1885) le sospensioni del lavoro nelle fabbriche non dovute a colpa degli operai erano molto frequenti. La causa era la crisi commerciale e industriale di quegli anni; i fabbricanti, non trovando acquirenti per le loro merci, cercavano di ridurre la produzione. Per esempio, nel dicembre 1884 la grande manifattura di Voznesensk (governatorato di Mosca, presso la stazione di Talitsa, sulla ferrovia Mosca-Iaroslavl) ridusse le giornate lavo- rative a 4 per settimana. Gli operai, che lavoravano a cottimo, risposero al prov- vedimento con uno sciopero che si concluse ai primi di gennaio 1885 con la sconfitta del padrone. 34 LENIN accettata e inclusa nella legge sulle multe del 1886. La seconda rivendicazione (che il padrone paghi la giornata quando il lavoro viene sospeso per colpa sua) non è stata accolta, e gli operai devono tuttora esigere che essa sia riconosciuta. Affinchè la lotta per questa rivendicazione approdi a risultati positivi, occorre che tutti gli operai si rendano ben conto deiringiustizia della legge, che essi comprendano chiaramente che cosa bisogna rivendicare. In ogni caso particolare, quando una fabbrica o un’officina sono ferme, e gli operai non percepiscono il salario, essi debbono denunciare l’ingiustizia di questo stato di cose; devono richiedere che il padrone sia obbligato a pagare regolarmente i salari, fino a quando il contratto non sarà rescisso; debbono informare della questione l’ispettore, le cui spiegazioni li convinceranno che la legge di fatto non dice nulla a questo proposito, e li indurranno a discutere la legge. Gli operai devono, quando è possibile, ricorrere al tribunale per esigere che si ingiunga al fabbricante di pagarli in base al cot- timo, e, infine, devono porre rivendicazioni generali sul pagamento del salario per i giorni d’inattività. Il terzo motivo per l’imposizione di una multa è c la trasgres- sione del regolamento». La legge qualifica come trasgressione del regolamento i seguenti otto casi: 1) « Il ritardo al lavoro o l’assenza non autorizzata » (abbiamo già detto sopra in che cosa questo caso differisce dall’assenza ingiustificata). 2) « La non osservanza, nei locali dell’officina o della fabbrica, di certe misure precauzionali nell’impiego del fuoco, a meno che il direttore della fabbrica o dell’officina non ritenga necessario denunciare il contratto d’assun- zione deH’operaio, in virtù della clausola n. 1 dell’articolo 105». Ciò significa che se un operaio trasgredisce il regolamento circa le precauzioni nell’impiego del fuoco, la legge lascia al padrone la scelta tra il multare e il licenziare l’operaio (« denunciare il con- tratto d’assunzione », come si esprime la legge). 3) « La non os- servanza della pulizia e dell*igiene nei locali dell’officina o della fabbrica ». 4) « Il turbare la tranquillità, durante il lavoro, con ru- mori, grida, bestemmie, litigi o risse ». 5) «La disubbidienza ». A proposito di questo punto occorre rilevare che il fabbricante ha di- ritto di multare 1 operaio per « disubbidienza » soltanto se l’operaio non esegue un ordine legale, cioè un ordine fondato sul contratto. LA LEGGE SULLE MULTE 35 Se il padrone fa una richiesta arbitraria, che non è fondata sul contratto tra l’operaio ed il padrone, egli non può multare l’ope- raio per « disubbidienza ». Per esempio, un operaio lavora a cot- timo, come è stato convenuto. Il caposquadra gli ordina di lasciare questo lavoro per farne un altro. L’operaio si rifiuta. In questo caso sarebbe ingiusto multarlo per disubbidienza, poiché l’operaio ha un contratto soltanto per quel determinato lavoro e, siccome lavora a cottimo, passare ad un altro lavoro significa per lui lavo- rare gratuitamente. 6) « Il presentarsi al lavoro in stato di ubria- chezza ». 7) < I giuochi d’azzardo con denaro (carte, testa o croce, ecc.) ». 8) « La non esservanza del regolamento interno delle fabbriche ». Questi regolamenti vengono stabiliti da ciascun pa- drone di fabbrica e di officina e sono approvati dall’ispettore di fabbrica. Alcuni estratti vengono riprodotti sui libretti-paga. Gli operai debbono leggere i regolamenti e conoscerli per con- trollare se le multe per la non osservanza del regolamento interno vengono inflitte legalmente o no. È necessario distinguere tra questi regolamenti e la legge. La legge è unica per tutte le fab- briche e officine; i regolamenti interni sono diversi in ogni fab- brica. La legge viene approvata o annullata dal sovrano, i regola- menti interni dall’ispettore di fabbrica. Perciò, se i regolamenti risultano oppressivi per gli operai, è possibile ottenerne la revoca con un reclamo all’ispettore di fabbrica (contro il cui operato, in caso di un suo rifiuto, si può fare appello al consiglio provin- ciale delle fabbriche). Per far comprendere la necessità di distin- guere fra la legge e le norme del regolamento interno, facciamo un esempio: supponiamo che l’operaio venga multato per non essersi presentato al lavoro, nonostante l’ordine del caposquadra, in un giorno festivo oppure dopo l’orario normale. È legale una simile multa? Per rispondere a questa domanda, bisogna cono- scere il regolamento interno. Se il regolamento non dice nulla sull’obbligo dell’operaio di presentarsi al lavoro, dietro richiesta, in ore straordinarie, la multa sarà illegale. Ma se nel regolamento è specificato che l’operaio ha l’obbligo di recarsi al lavoro, dietro ordine dell’amministrazione, nei giorni festivi e nelle ore straor- dinarie, allora la multa sarà legale. Per ottenere la revoca di 3 6 LENIN quest’obbligo, gli operai non devono reclamare contro le multe, ma esigere la modifica delle norme del regolamento interno. Bi- sogna che tutti gli operai si mettano d’accordo, poiché con una azione comune potranno ottenere l’abrogazione di questa norma. IV L'ammontare delle multe Conosciamo adesso tutti i casi in cui la legge permette di mul- tare gli operai. Vediamo che cosa dice la legge in merito all’am- montare delle multe. Essa non stabilisce una misura unica per tutte le fabbriche e officine. Fissa soltanto il limite massimo delle multe. Questo limite è indicato separatamente per ognuno dei tre casi di applicazione delle multe (lavoro difettoso, assenza in- giustificata e trasgressione del regolamento). Il limite massimo delle multe per assenza ingiustificata è il seguente: nel caso del salario a tempo, le multe non devono superare il salario di sei giorni di lavoro (sommando le multe per tutto il mese), e cioè nel corso di un mese non è permesso di infliggere, per as- senza ingiustificata, multe eccedenti il salario di sci giorni *. Se invece il salario è a cottimo, il limite della multa per assenza ingiusti- ficata è di un rublo al giorno, e non può superare i tre rubli al mese. Inoltre, in caso di assenza ingiustificata, l’operaio perde il salario cor- rispondente alla durata delle assenze. Il limite delle multe per trasgressione del regolamento è di un rublo per ogni caso di tra- sgressione. Infine, per quel che riguarda le multe per lavoro di- fettoso, la legge non stabilisce nessun limite. È indicato invece un limite generale per tutte le multe in complesso: per assenza in- giustificata, trasgressione del regolamento e lavoro difettoso. Tutte queste penalità addizionate « non debbono superare ari terzo del salario effettivamente dovuto alToperaio alla data stabilita per la * L ammontare della multa per un giorno di assenza ingiustificata, quando il salario e a giornata, non è stabilito. È detto soltanto: « in proporzione al salano dell operaio ». Come vedremo, Tammontarc delle multe è indicato con precisione nella tabella delle penalità di ogni fabbrica. LA LEGGE SULLE MULTE 37 paga ». Ciò vuol dire che se l’operaio deve percepire, mettiamo, 15 rubli, la legge non permette di prelevare multe che superino 5 rubli per tutte le trasgressioni, le assenze ingiustificate e il lavoro difettoso, presi assieme. Se le multe accumulatesi superano questa somma, il fabbricante deve ridurle al limite fissato. Ma in questo caso la legge concede al fabbricante un altro diritto: egli può rescindere il contratto, se le multe inflitte alFoperaio superano un terzo de! salario*. A proposito delle norme stabilite dalla legge sul limite mas- simo delle multe, bisogna dire che sono troppo severe per 1 operaio e proteggono il solo fabbricante, a scapito dell’operaio. Anzitutto la legge autorizza multe eccessive: fino a ufi terzo del salario. Sono multe scandalosamente alte. Confrontiamo questo limite massimo con casi noti di multe particolarmente alte. Un ispettore di fabbrica del governatorato di Vladimir, il signor Mikulin (che ha scritto un libro sulla nuova legge del 1886), parla delle pro- porzioni raggiunte dalle multe nelle fabbriche prima della promul- gazione di questa legge. Le multe più alte erano praticate nella industria tessile; eppure nelle fabbriche tessili le multe più ele- vate raggiungevano il 10% del salario degli operai, cioè un decimo del salario . Un altro ispettore di fabbrica del governatorato di Vla- dimir, il signor Peskov, cita in un suo rapporto ## esempi di multe particolarmente alte: la più alta era di 5 rubli e 31 cope- chi, di fronte a un salario di 32 rubli e 31 copechi. Tale somma è pari al 16,4 % (16 copechi per rublo), cioè a meno di un sesto del salario . Simile multa viene considerata troppo alta, e non già da un operaio, ma da un ispettore. Orbene, la nostra legge auto- rizza a infliggere multe due volte più elevate, corrispondenti a un terzo del salario , ossia a 33 copechi e un terzo per rublo! Evi- dentemente, nelle fabbriche che più o meno si rispettano, le multe # L’operaio che ritiene ingiusta la rescissione del contratto può ricorrere in tribunale; ma il termine stabilito per tali ricorsi è molto breve: un mese (a partire, beninteso, dal giorno del licenziamento). ** Primo rapporto per l’anno 1885. Soltanto i primi rapporti degli ispettori di fabbrica furono pubblicati. Il governo ne fece cessare immediatamente la pubbli- cazione. Doveva essere un bel regime, quello delle fabbriche, visto che il governo temeva di pubblicarne la descrizione. 3 » LENIN non raggiungevano il limite massimo permesso dalle nostre leggi. Prendiamo i dati relativi alle multe applicate nella manifattura di Nikolskoie di T.S. Morozov prima dello sciopero del 7 gennaio 1885. Secondo le testimonianze rese al processo, in questa fab- brica le multe erano più alte che nelle fabbriche vicine: erano scandalose al punto da far perdere la pazienza a 11.000 operai. Non sbaglieremo di certo nel prendere questa fabbrica come modello di azienda che applica multe sproporzionate. Orbene, qual era qui Pammontare delle multe? Il caposquadra tessitore Sciorin te- stimoniò, come abbiamo già detto, davanti al tribunale che le multe raggiungevano, a volte, la metà del salario, e ammontavano in genere a 30-50 copechi per rublo. Ma questa testimonianza, anzi- tutto, non è confermata da dati precisi e, in secondo luogo, si ri- ferisce o a casi particolari, o a un solo reparto. Durante il processo contro gli scioperanti, sono stati resi pubblici alcuni dati sulle multe. Sono stati citati dati che si riferivano ai salari (mensili) e alle multe inflitte in 17 casi: il salario complessivo ammontava a 179 rubli e 6 copechi, e le multe a 29 rubli e 65 copechi. Si hanno così 16 copechi di multa per ogni rublo di salario. La multa più alta di tutti i 17 casi è di 3 rubli e 85 copechi su un salario di 12 rubli e 40 copechi. Si hanno dunque 31 copechi e mezzo di multa per rublo, sempre meno di quanto è ammesso dalla nostra legge. Ma sarà meglio prendere i dati di tutta la fabbrica. Le multe nel 1884 hanno superato quelle degli anni precedenti: sono ammon- tate a 23 copechi e un quarto per rublo (questa è la cifra più alta: le multe raggiungevano dal 20 e tre quarti al 23 e un quarto per cento). In tal modo, persino in una fabbrica divenuta famosa per le proporzioni scandalose delle multe, Pammontare delle multe era inferiore a quello ammesso dalla legge russa!... Non c T è che dire, una legge simile protegge bene gli operai! Gli scioperanti di Morozov ponevano la seguente rivendicazione: «Le multe non devono superare il 5 % per rublo guadagnato : è inoltre necessario che 1 operaio sia avvertito della qualità scadente del suo lavoro e non sia multato piu di due volte al mese ». Le multe consentite dalle nostre leggi possono essere paragonate solo agli interessi di usura. È poco probabile che un fabbricante si decida a portare le LA LEGGE SULLE MULTE 39 multe a una tale altezza; la legge lo permette, ma gli operai non lo permetteranno*. Le nostre leggi sull Ammontare delle multe non si distinguono solo per la loro ripugnante meschinità, ma anche per la loro estrema iniquità. Se il totale delle multe è troppo alto (oltre un terzo), il fabbricante può rescindere il contratto, mentre adoperalo non è concesso lo stesso diritto, cioè il diritto di lasciare la fab- brica, quando viene colpito da multe che superano un terzo del salario. È evidente che la legge si preoccupa soltanto del fab- bricante, come se le multe avessero quale unica causa le colpe degli operai! Mentre, in realtà, ognuno sa che i padroni di fab- briche e officine moltiplicano spesso le multe senza nessuna colpa degli operai, per esempio per costringere gli operai a la- vorare più intensamente. La legge protegge soltanto il fabbri- cante di fronte all’operaio che commette mancanze, ma non pro- tegge l’operaio dai padroni troppo vessatori. E allora è chiaro che gli operai non hanno a chi rivolgersi per cercare protezione. Gli operai stessi devono pensare a se e alla lotta contro i fabbricanti. V Qual è la procedura per V applicazione delle multe Abbiamo già detto che, a termini di legge, le multe vengono inflitte «di propria autorità» dai direttori delle fabbriche o delle officine. Per quello che concerne il ricorso contro le loro decisioni, la legge dice: «Le decisioni del direttore della fabbrica o del- * Non possiamo non rilevare a questo proposito che il signor Mikhailovski, ex ispettore-capo di fabbrica nel distretto di Pietroburgo, ritiene giusto definire questa legge come « una riforma veramente umanitaria, che rende il più grande onore alla sollecitudine del governo imperiale russo per le classi lavoratrici ». (Questa opinione è espressa nel libro sull’industria manifatturiera russa, edito dal governo russo per l’esposizione internazionale di Chicago del 1893). Ec- cola la sollecitudine del governo russo!!! Prima della legge, e in assenza di qualsiasi legge, si trovavano fra i fabbricanti degli strozzini che trattene- vano sullo stipendio dell’operaio 23 copechi per rublo. Orbene, la legge, piena di sollecitudine per gli operai, ha stabilito: non trattenere più di 33 Vj (trenta tre e un terzo) copechi per rublo! Si può, d’ora innanzi, trattenere legalmente 33 copechi e un terzo. Ecco « una riforma veramente umanitaria » ! 4 o LENIN l’officina circa le sanzioni da infliggere agli operai non sono pas- sibili di appello. Ma, se durante la visita alla fabbrica o all’of- ficina, i funzionari deH’ispezione di fabbrica costateranno, sulla base delle dichiarazioni degli operai, che questi sono stati colpiti da sanzioni non conformi alle disposizioni di legge, il direttore dovrà risponderne ». Questa clausola è, come vedete, molto confusa e contraddittoria: da una parte si dice che non si può fare ricorso contro l’applicazione della multa. E dall’altra si dice che gli operai possono fare « dichiarazioni » all’ispettore sull’applicazione di multe « non conformi alla legge ». « Fare dichiarazioni sull’ille- galità» o «fare ricorso contro l’illegalità » : chi non ha avuto occa- sione di conoscere a fondo le leggi russe, si chiederà dove stia la dif- ferenza. Non vi è differenza; ma lo scopo di questa clausola cavil- losa è ben chiaro: la legge vuol limitare il diritto dell’operaio a inol- trare reclami contro i fabbricanti per l’applicazione ingiusta e ille- gale delle multe. Ora, se un operaio si lagnasse con l’ispettore per una multa illegale, l’ispettore potrebbe rispondergli: «Non è per- messo appellarsi contro l’applicazione di multe ». Non saranno molti gli operai al corrente della subdola legge, che potranno rispon- dere: «Non mi appello, sto facendo soltanto una dichiarazione». Gli ispettori sono stati istituiti appunto per controllare l’applicazio- ne delle leggi sui rapporti tra gli operai e i fabbricanti. Gli ispettori sono tenuti ad ascoltare qualsiasi dichiarazione sulla non osser- vanza delle leggi. L’ispettore, secondo il regolamento (vedi Istru- zioni ai funzionari dell* ispezione di fabbrica, approvato dal mi- nistro delle finanze), deve fissare dei giorni (almeno uno alla settimana) in cui riceve chiunque ne abbia bisogno, e in ogni fab- brica deve esservi un avviso che indica questi giorni. In tal modo, se gli operai conosceranno la legge e saranno fermamente decisi a non tollerare nessuna deroga, l’astuzia della clausola in questione sarà vana e gli operai riusciranno a ottenere l’applica- zione della clausola. Hanno essi il diritto di farsi rimborsare ram- mentare delle multe inflitte loro illegalmente? Secondo il buon senso, bisognerebbe naturalmente rispondere di sì. Difatti, è im- possibile ammettere che il fabbricante possa multare ingiusta- mente l’operaio, senza dover poi restituirgli i soldi trattenuti ir- regolarmente. Orbene, durante la discussione della legge al Con- LA LEGGE SULLE MULTE 41 siglio di Stato, venne deciso a bella posta di passare sotto silenzio questo punto. I membri del Consiglio di Stato ritennero che se si concedesse agii operai il diritto di esigere il rimborso dei soldi trattenuti illegalmente « si indebolirebbe agli occhi degli operai l’autorità che il direttore della fabbrica deve avere, per mantenere l’ordine fra gli operai ». Ecco come gli uomini di Stato giudi- cano gli operai! Se il fabbricante trattiene illegalmente all’operaio del denaro, non bisogna dare all’operaio il diritto di esigerne il rimborso. Ma perchè privare l’operaio dei suoi soldi? Perchè le lagnanze « indebolirebbero l’autorità dei direttori ». Dunque, « l’au- torità dei direttori » e « il mantenimento debordine nelle fab- briche » si reggono unicamente sul fatto che gli operai non cono- scono i propri diritti e « non osano » lagnarsi dei direttori, anche quando questi ultimi violano la legge! Vuol dire che gli uomini di Stato temono che gli operai si mettano in testa di controllare la legalità dell’applicazione delle multe! Gli operai devono rin- graziare i membri del Consiglio di Stato per la loro franchezza, che mostra loro che cosa possono aspettarsi dal governo. Sta agli operai dimostrare che essi si ritengono degli esseri umani a pari titolo dei padroni, e che non intendono lasciarsi trattare come bestie prive di favella. Perciò gli operai debbono considerare come loro dovere il non lasciar passare nessun caso di applicazione illegale di multa senza inoltrare reclami, debbono rivendicare assolutamente il rimborso del denaro, ricorrendo all’ispettore, o, in caso di rifiuto, al tribunale. Anche se gli operai non otterranno niente nè dagli ispettori nè dal tribunale, tuttavia i loro sforzi non saranno stati vani : essi varranno ad aprire gli occhi agli operai, a mostrare loro come le nostre leggi tutelano i diritti degli operai. E così ora sappiamo che le multe vengono inflitte dai direttori « di propria autorità ». Ma l’ammontare delle multe può variare in ogni fabbrica (poiché la legge ne indica soltanto il limite mas- simo), così come possono variare le norme del regolamento interno. Perciò la legge impone che tutte le trasgressioni passibili di multa, nonché l’ammontare della multa per ogni trasgressione, siano indicati anticipatamente nella tabella delle sanzioni. Questa tabella viene compilata da ogni padrone di fabbrica e di officina per 4 2 LENIN conto proprio ed è approvata dall’ispettore di fabbrica. Per legge, dev’essere affissa in ogni reparto. Per poter controllare la legalità dell’applicazione e il numero delle multe, bisogna che tutte le multe senza eccezione siano re- gistrate regolarmente. La legge esige che la multa sia registrata sul libretto-paga dell’operaio « al massimo entro tre giorni da quando è stata inflitta ». La registrazione deve indicare anzitutto il mo- tivo della sanzione (cioè la ragione per la quale la multa è stata inflitta: lavoro difettoso, con la sua specificazione, assenza ingiu- stificata, trasgressione del regolamento e di qual genere precisa- mente) e, in secondo luogo, l’ammontare della multa. La regi- strazione delle multe sul libretto-paga è necessaria perchè gli operai possano controllare la legalità dell’applicazione della multa e fare ricorso in tempo, in caso di irregolarità. Inoltre, tutte le multe devono essere riportate su un registro speciale che dev’essere tenuto in ogni officina o fabbrica, perchè l’ispettore possa con- trollarle. A questo proposito non sarà superfluo aggiungere due parole sui ricorsi contro i fabbricanti e gli ispettori, dato che la maggior parte degli operai non sa come e a chi fare ricorso. Secondo la legge, il ricorso contro qualsiasi infrazione alla legge nella fab- brica o nell’officina deve essere presentato all’ispettore di fab- brica. Egli ha il dovere di accogliere i reclami verbali e scritti. Se l’ispettore di fabbrica non soddisfa la richiesta, si può ricorrere all’ispettore capo, il quale deve, anche lui, fissare i giorni in cui riceve e ascolta i ricorrenti. Inoltre, l’ufficio dell’ispettore capo deve essere aperto tutti i giorni per chiunque abbia bisogno di informazioni o chiarimenti, o intenda presentare un ricorso (vedi Istruzioni ai funzionari dell ispezione di fabbrica , art. 18). Con- tro la decisione dell’ispettore si può fare appello al consiglio di governatorato per gli affari delle fabbriche *. Per questi appelli la legge stabilisce il termine di un mese a partire dal giorno della * Da chi c composto il consiglio di governatorato per gli affari delle fabbriche? Dal governatore, dal procuratore, dal capo della gendarmeria, dall'ispettore di fab- brica e da due fabbricanti. Se aggiungessimo il direttore del carcere e il comandante dei cosacchi, avremmo al completo tutti i funzionari che traducono in pratica « la sollecitudine del governo imperiale russo per le classi lavoratrici ». LA LEGGE SULLE MULTE 43 notifica della decisione dell’ispettore. Entro lo stesso termine, si può anche fare ricorso al ministro delle finanze contro la decisione del consiglio provinciale delle fabbriche. Come vedete, la legge indica un gran numero di persone alle quali si può fare ricorso. Inoltre, fabbricante e operaio hanno uguale diritto di ricorrere. L’unico guaio è che tutto questo ri- mane soltanto sulla carta. Il fabbricante ha la piena possibi- lità di fare ricorsi: ha tempo libero, ha i mezzi per pagare un av- vocato, ecc., e perciò i fabbricanti ricorrono effettivamente contro gli ispettori, arrivano fino al ministro e hanno già ottenuto molte agevolazioni. Ma per l’operaio il diritto di ricorso rimane una pa- rola priva di significato. In primo luogo, l’operaio non ha tempo per andare dai vari ispettori, nei vari uffici! Lavora, e per un’« as- senza ingiustificata » verrebbe multato. Non ha denaro per pagare un avvocato. Non conosce le leggi e perciò non può far valere i propri diritti. E le autorità non solo non si preoccupano di fargli conoscere le leggi, ma, al contrario, cercano di nascondergliele. Per chi stentasse a crederlo, citeremo il seguente comma delle istru- zioni ai funzionari dell* ispezione di fabbrica (queste istruzioni sono approvate dal ministro ed espongono i diritti e i doveri degli ispettori di fabbrica): «Qualunque chiarimento sulle infrazioni alla legge o ai regolamenti obbligatori pubblicati a integrazione di essa, può essere dato dall’ispettore di fabbrica al proprietario dello stabilimento industriale o al direttore solo in assenza dell’ope- raio » # . Ecco come stanno le cose. Se un fabbricante viola la legge, l’ispettore non osi dirglielo in presenza degli operai: il mini- stro lo proibisce! Altrimenti può anche darsi che gli operai im- parino davvero la legge e ne esigano l’applicazione! Non per niente le Mos\ovs\ie V iedomosti hanno scritto che ciò sarebbe sol- tanto « depravazione *1 Ogni operaio sa che gli è quasi impossibile inoltrare reclami, so- prattutto contro l’ispettore. Con ciò non vogliamo, certo, dire che gli operai non debbano inoltrare reclami: al contrario, ogni volta che ve ne sia la pur minima possibilità, bisogna assoluta- mente inoltrarli, poiché soltanto in questo modo gli operai im- • Nota all’art. 26 delle Istruzioni. 44 LENIN parano a conoscere i propri diritti e comprendono nell’interesse di chi sono state scritte le leggi sulle fabbriche. Noi vogliamo soltanto dire che con i reclami non si può ottenere nessun mi- glioramento serio e generale della situazione degli operai. Per conseguire questo scopo vi è una sola via: che gli operai si uni- scano per far valere i propri diritti, per lottare contro i soprusi dei padroni, per ottenere un salario più decente e una giornata la- vorativa più corta. VI Come dev essere impiegato secondo la legge il provento delle multe Passiamo ora all’ultima questione concernente le multe: in che modo viene speso il denaro ricavato dalle multe? Abbiamo già detto che fino al 1886 questo denaro veniva intascato dai pa- droni delle fabbriche e officine. Ma questa pratica causava una tale massa di abusi e irritava talmente gli operai, che i padroni stessi si resero conto della necessità di abolire questo sistema. In alcune fabbriche si stabilì spontaneamente la pratica di dare, coi soldi ricavati dalle multe, sussidi agli operai. Così, per esempio, nella stessa manifattura Morozov, ancor prima dello sciopero del 1885, fu deciso che il provento delle multe per infrazione al divieto di fumare e di introdurre alcool in fabbrica sarebbe stato destinato ai sussidi per gli invalidi, e quello delle multe per lavoro difettoso sarebbe andato al padrone. La nuova legge del 1886 stabilì, come regola generale, che le multe non potevano essere intascate dal padrone, La legge dice: « Le somme trattenute agli operai come multe serviranno alla co- stituzione, presso ogni fabbrica, di un fondo speciale, che verrà amministrato dal consiglio d’amministrazione della fabbrica. Que- sto fondo può essere impiegato, dietro autorizzazione dell’ispet- tore, soltanto per sovvenire ai bisogni degli operai, conformemente al regolamento emanato dal ministro delle finanze d’accordo col ministro degli affari interni ». Quindi, secondo la legge, il rica- vato delle multe dev’essere speso unicamente per i bisogni degli LA LEGGE SULLE MULTE 45 operai. I denari delle multe sono denari degli operai stessi, denari trattenuti sul loro salario. Il regolamento concernente l’impiego del fondo multe, di cui si parla nella legge, è stato emanato solo nel 1890 (il 4 dicembre), cioè ben tre anni e mezzo dopo la promulgazione della legge Esso stabilisce che il ricavato delle multe dev’essere speso per sov- venire, di preferenza , ai seguenti bisogni degli operai : « a) sussidi agli operai che hanno perduto definitivamente la capacità al la- voro, o che, per malattia, sono temporaneamente privi della possibi- lità di lavorare». Attualmente gli invalidi del lavoro rimangono, di solito, privi di qualsiasi mezzo di sussistenza. Per intentare causa al fabbricante, essi si mettono, di solito, nelle mani degli avvocati che, in cambio di un elemosina accordata airoperaio, si prendono una parte enorme del risarcimento stabilito dal tribunale. E, se può ottenere dal tribunale soltanto un modesto compenso, l’operaio non troverà neppure un avvocato. In questi casi, biso- gna assolutamente adoperare il provento delle multe; grazie al sus- sidio tratto dal fondo multe, l’operaio potrà tirare avanti per qual- che tempo e trovarsi un avvocato che difenda la sua causa contro il padrone, senza essere spinto dalla miseria a passare dal giogo del padrone al giogo deiravvocato. Gli operai che hanno perso il lavoro per causa di malattia debbono ottenere un sussidio tratto dal loro fondo multe *. A chiarimento di questo primo punto del regolamento il con- siglio per gli affari delle fabbriche di Pietroburgo ha deciso che i sussidi devono essere accordati, sulla base di un certificato me- dico, in misura non superiore alla metà del salario percepito precedentemente. Rileviamo, tra parentesi, che il consiglio pro- vinciale per gli affari delle fabbriche di Pietroburgo ha preso questa decisione nella seduta del 26 aprile 1895. Il chiarimento è venuto dunque quattro anni e mezzo dopo la pubblicazione del regolamento, e il regolamento tre anni e mezzo dopo la promulgazione della legge. Per conseguenza, ben otto anni sono occorsi soltanto per spiegare sufficientemente la legge ! Quanti # Va da se che, percependo un sussidio dal fondo multe, l’operaio non perde il diritto di esigere dal fabbricante un compenso, per esempio, in caso d’invalidità. 4 6 LENIN anni dovranno ancora trascorrere prima che la legge venga co- nosciuta e realmente applicata? In secondo luogo, i sussidi dal fondo multe sono accordati: « b) alle operaie in stato di gravidanza avanzata, che hanno ces- sato il lavoro due settimane prima del parto ». Secondo il chiari- mento dato dal consiglio per gli affari delle fabbriche di Pietro- burgo, il sussidio può essere concesso soltanto per quattro setti- mane (due prima del parto e due dopo) e in misura non supe- riore alla metà del salario anteriormente percepito. In terzo luogo, i sussidi vengono concessi : « c) in caso di per- dita di beni o di danni causati da incendio o da altre calamità ». Secondo la spiegazione data dal consiglio per gli affari delle fab- briche di Pietroburgo, la prova di tali circostanze deve essere corredata da un certificato della polizia e l’ammontare del sus- sidio non deve superare i due terzi del salario di un semestre (l’ammontare cioè del salario di quattro mesi). In quarto e ultimo luogo, i sussidi vengono concessi : « d) per funerali ». Secondo il commento del consiglio per gli affari delle fabbriche di Pietroburgo, questi sussidi possono essere concessi sol- tanto per gli operai che abbiano lavorato e siano morti nella fab- brica in questione, oppure per i loro genitori e figli. L’ammontare di questi sussidi varia da io a 20 rubli. Sono questi i quattro casi di concessione di sussidi previsti dal regolamento. Ma gli operai hanno diritto di ricevere sussidi anche in altri casi: il regolamento precisa che i sussidi vengono ac- cordati « di preferenza » in questi quattro casi. Gli operai hanno diritto a sussidi per altre loro necessità e non soltanto per quelle sopraelencate. Il consiglio delle fabbriche di Pietroburgo, nel com- mento al regolamento sulle multe (il commento è affisso nelle fab- briche e nelle officine) dice anche : « In tutti gli altri casi il sus- sidio è accordato con l’autorizzazione dell’ispettorato ». Il consiglio aggiunge inoltre che questi sussidi non debbono, in nessun caso, incidere sulle spese della fabbrica per varie istituzioni (per esem- pio, scuole, ospedali, ecc.), nè sulle spese obbligatorie (per esempio, per la manutenzione dei locali destinati agli operai, per l’assisten- za sanitaria, ecc.). Ciò significa che l’elargizione di sussidi dal fondo multe non dà al fabbricante il diritto di considerare ciò come LA LEGGE SULLE MULTE 47 una propria spesa; la spesa non è fatta da lui, ma dagli operai stessi. Le spese del fabbricante devono rimanere invariate. Il consiglio delle fabbriche di Pietroburgo ha anche emanato la seguente disposizione: «il totale dei sussidi accordati in modo permanente non deve superare la metà delPammontare annuo delle multe >. Qui si fa distinzione tra i sussidi permanenti (che vengono elargiti durante un certo periodo di tempo; per esempio a un ammalato o a un invalido) e i soccorsi straordinari (che vengono elargiti una volta tanto; ad esempio, per funerali o in caso di in- cendio). Affinchè rimanga del danaro per i sussidi straordinari elargiti una volta tanto, i sussidi permanenti non debbono superare la metà dell’ammontare di tutte le multe. Come ottenere sussidi dal fondo multe? Gli operai debbono, se- condo il regolamento, rivolgere la domanda di sussidio al padrone, il quale concede il sussidio con l’autorizzazione dell’ispettore. In caso di rifiuto del padrone, bisogna rivolgersi all’ispettore, il quale può concedere un sussidio di propria autorità. Il consiglio delle fabbriche può autorizzare i fabbricanti che godono della sua fiducia a concedere piccoli sussidi (non superiori a 15 rubli), senza chiedere l’autorizzazione dell’ispettore. Il ricavato delle multe che non superi i 100 rubli è custodito dal padrone, ma le somme superiori debbono essere depositate alla cassa di risparmio. In caso di chiusura di una fabbrica o officina, il suo fondo multe viene devoluto al fondo operaio generale del governatorato. Il rego- lamento non dice niente sul modo in cui viene impiegato questo « fondo operaio » (del quale gli operai non sanno assolutamente nulla e nulla possono sapere). Questo fondo, dice, deve essere depo- sitato presso la banca di Stato « fino a nuova disposizione ». Se nella capitale stessa sono occorsi otto anni per elaborare un regolamento sull’impiego del fondo multe nelle singole fabbriche, bisognerà pro- babilmente aspettare qualche decennio perchè venga elaborato un regolamento suH’impiego del « fondo operaio generale del gover- natorato ». Queste sono le norme sull’impiego del denaro proveniente dalle multe. Come vedete, sono eccezionalmente confuse e in- tricate, e perciò non ce da stupirsi se gli operai non ne conoscono 4 8 LENIN ancora l’esistenza. Quest’anno (1895) nelle fabbriche e nelle offi- cine di Pietroburgo vengono affissi avvisi concernenti questo rego- lamento *. Bisogna che gli operai stessi si diano da fare per ren- derlo noto a tutti, perchè gli operai imparino a considerare il sus- sidio concesso dal fondo multe non come una carità del padrone, un’elemosina, ma come denaro proprio, che proviene dalle tratte- nute sul loro salario e che deve essere speso soltanto per sovvenire ai loro bisogni. Gli operai hanno pieno diritto di reclamare que- sto denaro. A proposito di questo regolamento, bisogna dire, anzitutto, in che modo viene applicato, a quali inconvenienti ed abusi dà luogo. Inoltre bisogna vedere se esso è ispirato a equità, se tutela suffi- cientemente gli interessi degli operai. Per quel che riguarda l’applicazione del regolamento, bisogna anzitutto rilevare il seguente chiarimento del consiglio delle fab- briche di Pietroburgo: «Se in un dato momento non vi è denaro proveniente dalle multe..., gli operai non possono avanzare nes- suna pretesa nei riguardi dell’amministrazione di fabbrica ». Ce da chiedersi come faranno gli operai a sapere se c’è denaro pro- veniente dalle multe, e, nel caso che ce ne sia, a quanto ammonti. Il consiglio delle fabbriche ragiona come se gli operai lo sapessero. Eppure, esso non si è dato la pena di informare gli operai sullo stato del fondo multe, nè ha costretto i padroni delle fabbriche e officine ad affiggere avvisi sui fondi provenienti dalle multe. O forse al consiglio delle fabbriche basta che gli operai si informino presso il padrone, il quale opporrà un rifiuto ai postulanti, ad- ducendo la mancanza di fondi disponibili? Sarebbe scandaloso, perchè i padroni tratterebbero gli operai che desiderano un sussidio come dei mendicanti. Gli operai debbono pretendere che in ogni fabbrica e officina venga affisso mensilmente un avviso sullo stato del fondo multe: quanto denaro è disponibile, qual è l’am- • Di conseguenza, a Pietroburgo, soltanto nel 1895 si è cominciato ad appli- care la legge del 1886 sulle multe. Orbene, l’ispettore capo, signor Mikhailovski, che abbiamo già menzionato, diceva nel 1893 che la legge del 1886 «viene ora scrupolosamente applicata ». Questo piccolo esempio ci mostra quali sfacciate men- zogne abbia scritto un ispettore -capo di fabbrica nel libro destinato a far conoscere agh americani i regolamenti delle fabbriche russe. LA LEGGE SLTLLE MULTE 49 montare delle somme percepite durante il mese trascorso, quanto è stato speso e « per quali bisogni ». Altrimenti gli operai non sa- pranno mai quanto possono ottenere; non sapranno se col fondo multe le loro richieste possono essere soddisfatte integralmente o sol- tanto in parte, poiché nel secondo caso sarebbe giusto provvedere ai bisogni più impellenti. Le officine meglio organizzate hanno intro- dotto di propria iniziativa il sistema degli avvisi: a Pietroburgo ciò avviene pare, neirofficina Siemens e Halske e nella fabbrica statale di cartucce. Se l’operaio, in ogni suo colloquio con l’ispettore, insistesse su questo punto e rivendicasse l’affissione di questi avvisi, certamente questo sistema sarebbe introdotto dappertutto. Sarebbe inoltre molto comodo per gli operai, se nelle fabbriche e nelle officine venissero adoperati dei moduli* di richiesta di sussidi dal fondo multe. Tali moduli sono usati, ad esempio, nel governatorato di Vladimir. Non è facile per l’operaio compilare da solo tutta la domanda; egli non saprà neanche scrivere tutto ciò che occorre, mentre il modulo contiene già tutte le indicazioni e l’operaio dovrà soltanto aggiungere alcune parole negli spazi appositamente lasciati in bianco. Se non vengono adoperati i moduli, molti operai dovranno ricorrere a uno scrivano per compilare la domanda, e ciò compor- terà delle spese. È vero che secondo il regolamento le domande di sussidio possono essere anche verbali, ma, in primo luogo, l’operaio deve ugualmente procurarsi il certificato della polizia o del medico, richiesto dal regolamento (mentre se la domanda viene fatta col modulo, il certificato viene trascritto sul modulo stesso) e, in secondo luogo, a una domanda verbale certi padroni potrebbero anche non rispondere, mentre a una domanda scritta essi sono obbligati a dare risposta. I moduli stampati presentati all’ammini- strazione della fabbrica o dell’officina toglierebbero alla richiesta di sussidio il carattere di elemosina che i padroni cercano di at- tribuirle. Molti padroni di fabbriche e di officine sono particolar- mente scontenti del fatto che i proventi delle multe non finiscano nelle loro tasche, ma debbano essere spesi per sopperire alle necessità degli operai. Perciò hanno escogitato molti sotterfugi e • Ossia moduli a stampa con degli spazi bianchi in cui vanno indicati il nome della fabbrica, il motivo della richiesta di sussidio, l’indirizzo e la firma del richiedente, ecc. 4-573 50 LENIN raggiri per truffare gli operai e gli ispettori, ed eludere la legge. Additeremo, per mettere in guardia gli operai, alcuni di questi sotterfugi. Certi fabbricanti segnano le multe sul registro non come multe, ma come somme anticipate adoperalo. Se, per esempio, un operaio viene multato di un rublo, essi scrivono sul registro che gli è stato anticipato un rublo. Quando il rublo viene trattenuto sul salario esso resta in tasca al padrone. Non si tratta di un semplice rag- giro della legge, ma di una vera e propria truffa, di un falso. Altri fabbricanti, anziché registrare le multe per assenza ingiù- stificata, non segnano tutte le giornate lavorative effettuate dal- loperaio; cioè se in una settimana Toperaio si assenta dal lavoro per un giorno non scrivono sul registro cinque, ma quattro gior- nate lavorative: il salario di un giorno (che dovrebbe costituire la multa per assenza ingiustificata ed essere devoluto al fondo multe) viene così intascato dal padrone. Anche questa è una truffa grossolana. Bisogna rilevare che gli operai sono assoluta- mente indifesi contro simili truffe *, poiché non vengono informati sullo stato del fondo multe. Solo mediante resoconti mensili parti- colareggiati (che indichino il numero delle multe per ogni setti- mana e per ogni reparto separatamente) gli operai potranno con- trollare che le multe vengano realmente devolute al fondo multe Chi controllerà la regolarità di tutte queste registrazioni, se non gli operai stessi? Gli ispettori di fabbrica? Ma in che modo potrà l’ispettore sapere che proprio quella data cifra è stata falsificata sul registro? L’ispettore di fabbrica, signor Mikulin, parlando di queste truffe, scrive: « In tutti questi casi, sarebbe stato estremamente diffìcile sco- prire gli abusi, se non vi fossero state indicazioni dirette, sotto forma di reclami degli operai ». Lo stesso ispettore riconosce che gli è impossibile scoprire le truffe, se gli operai non le segnalano. E gli operai non potranno segnalarle, se i fabbricanti non saranno tenuti ad affiggere gli avvisi concernenti le multe. Altri fabbricanti hanno inventato metodi molto più comodi •Che queste truffe vengano praticate, lo dice niente di meno l’ispettore di fabbrica del governatorato di Vladimir, signor Mikulin, nel suo libro sulla nuova legge del 1886. LA LEGGE SULLE MULTE 5 * per truffare gli operai ed eludere la legge, metodi tanto astuti e ca- villosi, che non è facile smascherarli. Numerosi proprietari di coto- nifici del governatorato di Vladimir hanno presentato all’approva- zione dell’ispettore non un’unica tariffa per ogni tipo di tessuto, ma due e anche tre tariffe di cottimo; in una nota aggiunta alle tariffe si specificava che i tessitori per un prodotto di ottima qua- lità avrebbero ricevuto la tariffa massima; per un prodotto di qualità mediocre la tariffa media; per la merce considerata come scarto la tariffa più bassa*. È chiaro lo scopo per cui è stato escogitato un trucco così ingegnoso: la differenza tra la tariffa massima e minima viene intascata dal padrone, mentre in realtà si tratta di una multa per lavoro difettoso e deve, perciò, essere de- voluta al fondo multe. È evidente che questo è un grossolano rag- giro della legge, e non soltanto della legge sulle multe, ma anche della legge sulle tariffe salariali. La tariffa viene fissata perchè il padrone non possa modificare arbitrariamente il salario, ma se in- vece di una le tariffe sono molte, è chiaro che tutto rimane in balìa dell’arbitrio padronale. Gli ispettori di fabbrica hanno rilevato che questa molteplicità di tariffe « tendeva, evidentemente , ad eludere la legge » (lo dice il medesimo signor Mikulin nel libro sopra citato), eppure « non si sono ritenuti in diritto » di opporsi ai rispettabili « signori » fab- bricanti. Ed è naturale! Non è facile opporre un rifiuto ai fabbricanti (il trucco non è stato inventato da uno solo, ma da molti fabbri- canti!). Ma se, invece dei «signori» fabbricanti, fossero stati gli operai a tentare di eludere la legge? Sarebbe interessante sapere se si sarebbe trovato in tal caso, in tutto Timpero russo, un solo ispettore di fabbrica che non si ritenesse in diritto di opporsi al tentativo degli operai di eludere la legge. Così queste duplici e triplici tariffe sono state approvate dal- l’ispettorato di fabbrica e sono entrate in vigore. È risultato però che la questione delle tariffe non interessava soltanto i signori fabbricanti che ricercavano il modo di eludere la legge, o i •Queste tariffe sono praticate anche nelle fabbriche di Pietroburgo; troviamo scritto, per esempio, che per una data quantità di merce Toperaio riceve da 20 a 50 copechi. 4 * 52 LENIN signori ispettori che non si ritenevano in diritto di ostacolare i buoni propositi dei fabbricanti, ma soprattutto... gli operai. Gli operai non hanno manifestato così tenera indulgenza verso le truffe dei signori fabbricanti, ma « si sono creduti in diritto » di impedir loro di infinocchiarli. Queste tariffe, scrive il signor ispettore Mikulin, « hanno su- scitato un tale malcontento fra gli operai che sono state una delle cause principali dei disordini, seguiti da atti di violenza, che hanno reso necessario l’intervento della forza armata >. Ecco, dunque, come vanno le cose in questo mondo! Prima c non si sono ritenuti in diritto » di impedire ai signori fabbricanti di violare la legge e di truffare gli operai, ma quando gli operai, esasperati da questi sistemi scandalosi, si sono ribellati, allora è stata «necessaria» la forza armata! Ma perchè mai questa forza armata è stata « necessaria » contro gli operai che difendevano diritti legali , e non contro i fabbricanti che violavano in modo mani- festo la legge? Comunque sia, soltanto dopo che gli operai si sono sollevati, « simili tariffe sono state abolite per ordine del gover- natore ». Gli operai hanno ottenuto ciò che volevano. La legge non è stata introdotta dai signori ispettori di fabbrica, ma dagli stessi operai, i quali hanno dimostrato che non si sarebbero lasciati ingannare e che avrebbero saputo far valere i propri diritti. « In seguito — dice il signor Mikulin — ispettorato di fabbrica si è rifiutato di approvare simili tariffe ». Così, gli operai hanno inse- gnato agli ispettori ad applicare la legge. Questa lezione è toccata soltanto ai fabbricanti di Vladimir. Ma i fabbricanti sono dappertutto gli stessi: a Vladimir, a Mosca, a Pietroburgo. Il tentativo dei fabbricanti di Vladimir di eludere la legge è fallito; però il metodo da essi escogitato non solo è rimasto, ma è stato persino perfezionato da un geniale padrone di officina di Pietroburgo. In che cosa consisteva l’espediente dei fabbricanti di Vladimir? Nel non adoperare la parola multa e nel sostituirla con altri ter- mini. Se dichiaro che loperaio, in caso di lavoro difettoso, riceverà un rublo in meno, si tratterà di una multa e bisognerà versare il rublo al fondo multe. Ma se invece dichiaro che l’operaio, in caso di lavoro difettoso, verrà pagato secondo la tariffa minima, non LA LECCE SULLE MULTE 53 si tratterà più di multa e il rublo finirà nelle mie tasche. Così ragionavano i fabbricanti di Vladimir, che sono stati però con- futati dagli operai. Si può ragionare anche in modo alquanto diverso. Si può dire: in caso di lavoro difettoso, l’operaio riceve il salario senza premio; anche in questo caso non si tratterà di multa e il rublo verrà intascato dal padrone. È questo il sistema escogitato dairingegnoso Iakovlev, proprietario di un officina mec- canica di Pietroburgo. Egli dice: riceverete un rublo al giorno, ma se non vi renderete colpevoli di nessuna mancanza, nè assenza in- giustificata, nè arroganza, nè lavoro difettoso, riceverete 20 copechi di « premio ». Se invece commetterete qualche mancanza, il pa- drone tratterrà i venti copechi e, naturalmente, se li metterà in tasca, poiché non si tratta di un multa, ma di un «premio». Tutte le leggi che prevedono le mancanze per le quali si possono infliggere multe e Tammontare delle multe, il modo in cui i proventi delle multe devono essere spesi per sopperire ai bisogni degli operai, diventano inesistenti per il sig. Iakovlev. Le leggi parlano di « multe », il sig. Iakovlev di « premi ». L’astuto padrone di officina continua così a truffare gli operai mediante il suo ingegnoso trucco. L’ispettore di fabbrica di Pietroburgo probabilmente non si è « ritenuto in diritto » di impedirgli di eludere la legge. Speriamo che gli operai di Pietroburgo non saranno da meno di quelli di Vladimir e insegneranno all’ispettore e al padrone dell’officina come si deve osservare la legge. Per mostrare a quali ingenti somme ascendano le multe, ci- tiamo alcuni dati suH’ammontare del fondo multe nel governato- rato di Vladimir. Ivi la concessione dei sussidi è cominciata dal febbraio del 1891. Fino all'ottobre 1891 sono stati distribuiti sussidi a 3.665 persone per la somma di 25.458 rubli e 59 copechi. Alla data del i° ottobre 1891 il fondo multe era di 470.052 rubli e 45 copechi. Bisogna menzionare a questo proposito un altro investimento del fondo multe. In una fabbrica il fondo multe ammontava a 8.242 rubli e 46 copechi. Questa fabbrica ha dichiarato fallimento e gli operai sono rimasti neH’inverno senza pane e senza lavoro. Allora, ai circa 800 operai della fabbrica, sono stati distribuiti 5.820 rubli dal fondo. 54 LENIN Dal i° ottobre 1891 al i° ottobre 1892 il totale delle multe in- flitte ha raggiunto la cifra di 94.055 rubli e 47 copechi; a titolo di sussidio sono stati distribuiti 45.200 rubli e 52 copechi a 6.312 persone. I sussidi erano così ripartiti: 200 persone hanno ricevuto a titolo di pensione mensile per inabilità al lavoro 6.198 rubli e 20 copechi, ossia, in media, 30 rubli alunno per uno (si concedono pensioni così misere mentre decine di migliaia di rubli prove- nienti dalle multe rimangono inutilizzati!). Poi, per perdita di patrimonio, a 1.037 persone sono stati distribuiti 17.827 rubli e 12 copechi, cioè, in media 18 rubli per uno. Le donne incinte hanno ricevuto 10.641 rubli e 81 copechi in 2.669 cas ^ e cl °^ in mc di a 4 rubli (per tre settimane: una prima e due dopo il parto). Per malattia 877 operai hanno ricevuto 5.380 rubli e 68 copechi, ossia in media 6 rubli. Per funerali, 4.620 rubli sono stati consegnati a 1.506 operai (in ragione di 3 rubli), e 532 rubli e 71 copechi a 15 persone per cause varie. Conosciamo adesso a fondo le norme del regolamento relative ai proventi delle multe e il modo in cui vengono applicate. Ve- diamo ora se queste norme sono eque e se tutelano adeguatamente i diritti degli operai. Sappiamo che, secondo la legge, i proventi delle multe non appartengono al padrone, ma possono essere spesi soltanto per sovvenire ai bisogni degli operai. Il regolamento circa l’impiego di questo denaro doveva essere approvato dai ministri. A quali risultati si è giunti con questo regolamento? Le somme sono trattenute agli operai e vengono spese per le loro necessità, ma nel regolamento non si dice che i padroni abbiano l’obbligo di informare gli operai sullo stato del fondo multe. Agli operai non e concesso il diritto di eleggere dei propri rappresentanti che con- trollino il regolare versamento del denaro al fondo multe, ricevano le domande degli operai e distribuiscano i sussidi. La legge stabi- lisce che i sussidi vengono concessi dietro « autorizzazione del- I ispettore», mentre dal regolamento emanato dai ministri risulta che le domande di sussidio devono essere presentate al padrone. Perchè bisogna rivolgersi al padrone, se il denaro non è del pa- drone, ma degli operai, e proviene da trattenute sul loro salario? II padrone non ha diritto di toccare questo denaro: se lo spendesse, LA LEGGE SULLE MULTE 55 dovrebbe rispondere di appropriazione indebita e malversazione, come se dilapidasse denaro altrui. È evidente che i ministri hanno emanato questa regola perchè volevano rendere un servizio ai pa- droni : ora gli operai debbono chiedere il sussidio al padrone, come un’elemosina. È vero che se il padrone rifiutasse, l’ispettore po- trebbe ugualmente concedere il sussidio. Ma l’ispettore non sa niente; se il padrone gli parlasse male di un operaio, gli dicesse che non merita un sussidio, l’ispettore gli crederebbe *. E si trove- rebbero, poi, molti operai disposti a rivolgersi alPispettore per i loro reclami, a perdere il tempo di lavoro per andare da lui, per scrivere domande, ecc.? In realtà, dalle disposizioni ministeriali risulta soltanto una nuova forma di dipendenza degli operai dai padroni.' I padroni avranno modo di sottoporre a vessazioni gli operai di cui sono scontenti, forse perchè son quelli che sanno difen- dersi; respingendone la domanda, i padroni procureranno senza dubbio a questi operai un mucchio di noie, forse riusciranno anche a privarli del sussidio. Al contrario, gli operai che cercano di rendersi graditi al padrone, che sono servili verso di lui, che denunciano i loro compagni, potranno ottenere, dietro autorizzazione dei padroni, sussidi rilevanti in casi in cui un altro operaio riceverebbe un rifiuto. Invece della soppressione della dipendenza degli operai dai padroni in fatto di multe, si avrà una nuova dipendenza, che dividerà gli operai, creerà il servilismo e lo spirito d’intrigo. Con- siderate inoltre le esasperanti formalità burocratiche a cui è legata la concessione dei sussidi secondo il regolamento: ogni volta l’ope- raio dovrà richiedere un certificato o al medico, che senza dubbio lo tratterà sgarbatamente, oppure alla polizia che non fa nulla senza prendere denaro sottomano. Lo ripetiamo: niente di ciò esiste nella legge; tutto ciò è stato stabilito dal regolamento mini- * Nel modulo a stampa per la richiesta di sussidio, che è stato distribuito, come abbiamo detto, nelle fabbriche e officine, dal consiglio per gli affari delle fabbriche di Vladimir e che rappresenta l’applicazione del « regolamento » più vantaggiosa per gli operai, è detto: € L’amministrazione della fabbrica autentica la firma e il contenuto della richiesta, aggiungendo che, secondo il suo parere, il postulante merita un sussidio di... ». Dunque, l’amministrazione può sempre scrivere, anche senza indicarne le ragioni, che 4 secondo il suo parere » il postulante non merita un sussidio. Riceveranno così sussidi non coloro che ne hanno veramente bisogno, ma coloro che 4 lo meritano, secondo il parere dei fabbricanti ». 56 LENIN steriale, che è stato elaborato senza dubbio nell’interesse dei fab- bricanti, e che ha evidentemente lo scopo di creare, oltre alla di- pendenza degli operai dai padroni, anche la dipendenza degli operai dai funzionari, di impedire agli operai di pronunciarsi sulla ripartizione del denaro che è stato loro preso con le multe, di tessere una ragnatela di assurde formalità burocratiche che abbrutiscono e demoralizzano * gli operai. Affidare al padrone la distribuzione dei sussidi dal fondo multe è un’ingiustizia scandalosa. Gli operai devono ottenere che la legge riconosca loro il diritto di eleggere alcuni delegati (rappre- sentanti), i quali controllino il versamento delle multe al fondo multe, ricevano e controllino le domande di sussidio presentate dagli operai, rendano conto agli operai dello stato del fondo multe e del suo impiego. Nelle officine dove già esistono dei delegati, essi devono occuparsi del fondo multe, esigere che vengano loro comunicati tutti i dati sulle multe, ricevere le domande degli operai e trasmetterle alla direzione. VII Le leggi sulle multe si estendono a tutti gli operai? Le leggi sulle multe, come la maggioranza delle altre leggi russe, non si estendono a tutte le fabbriche e officine nè a tutti gli operai. Promulgando una legge, il governo russo teme sempre di offendere i signori padroni di fabbriche e officine, teme che l’intricato groviglio dei regolamenti burocratici e dei diritti e doveri dei funzionari, vada a urtare contro qualche altro regola- mento burocratico (e da noi ce n’è un’infinità), contro i diritti e i doveri di altri funzionari, che si riterrebbero mortalmente offesi, se un nuovo funzionario facesse irruzione nel loro campo, e con- sumerebbero barili d’inchiostro dello Stato e risme di carta nello scambio di corrispondenza per la «delimitazione delle compe- tenze!. Perciò e raro che una legge venga introdotta immedia- • Dividono, creano il servilismo e il malcostume. LA LEGGE SULLE MULTE 57 tamente in tutta la Russia, senza eccezioni, senza pusillanimi temporeggiamenti, senza dare ai ministri e ad altri funzionari la possibilità di concedere deroghe alla legge. Tutto ciò si è fatto sentire con particolare vigore nella legge sulle multe, la quale, come abbiamo visto, ha suscitato tanto mal- contento tra i signori capitalisti e che, d'altronde, è stata introdotta soltanto sotto la pressione di tremende rivolte operaie. Anzitutto, la legge sulle multe vige solo in una piccola parte della Russia *. Questa legge fu promulgata, come abbiamo detto, il 3 giugno 1886 e entrò in vigore a partire dal i° ottobre 1886 in tre governatorati soltanto : Pietroburgo, Mosca e Vladimir. Cinque anni dopo la legge fu estesa ai governatorati di Varsavia e di Piotr- kow (11 giugno 1891). Dopo altri tre anni fu estesa ad altri 13 go- vernatorati (e precisamente: governatorati centrali: Tver, Kostro- ma, Iaroslavl, Nizni-Novgorod e Riazan; governatorati baltici: Estonia e Lituania; governatorati occidentali: Grodno e Kiev; go- vernatorati meridionali: Volinia, Podolsk, Kharkov, Kherson), in virtù della legge del 15 marzo 1894. Nel 1892 il regolamento sulle multe fu esteso alle officine e alle aziende minerarie private. Il rapido sviluppo del capitalismo nel sud della Russia e il gigantesco sviluppo deH’industria mineraria concentrano in queste regioni masse di operai e costringono il governo ad affrettarsi. Il governo, come vediamo, rinuncia molto lentamente ai vecchi ordinamenti di fabbrica. Bisogna inoltre rilevare che esso vi ri- nuncia soltanto sotto la pressione degli operai: il rafforzamento del movimento operaio e gli scioperi in Polonia hanno per risul- tato l'estensione della legge ai governatorati di Varsavia e di Piotr-- kow (del governatorato di Piotrkow fa parte la città di Lodz). Il formidabile sciopero della manifattura di Khludov nel distretto di Iegorievo (governatorato di Riazan) porta immediatamente l'estensione della legge al governatorato di Riazan. Appare chiaro che il governo « non si ritiene in diritto » di privare i signori ca- pitalisti della facoltà di infliggere multe senza controllo (arbitraria- mente), finché non intervengono gli stessi operai. * Questa legge fa parte delle cosiddette « disposizioni spedali sui rapporti tra fabbricanti e operai ». Queste « disposizioni speciali » si estendono- soltanto alle « località che si distinguono per uno sviluppo considerevole deirindustria manifat- turiera » e che indicheremo in seguito. 5 « LENIN In secondo luogo, la legge sulle multe, come tutti i regola- menti concernenti il controllo sulle fabbriche e sulle officine, non si estende alle aziende appartenenti allo Stato, nè alle istituzioni governative. Le officine dello Stato hanno una direzione « piena di sollecitudine» verso gli operai, e la legge non vuole scomo- darla con regolamenti sulle multe. E infatti, a che vale controllare le officine dello Stato, se il direttore deirofficina è egli stesso un funzionario? Gli operai possono lagnarsi del direttore col direttore stesso. Non ce da stupirsi se fra questi direttori di officine dello Stato si incontrano canaglie come, per esempio, il signor Verkhov- ski, comandante del porto di Pietroburgo. In terzo luogo, il regolamento concernente il fondo multe, che deve essere speso per i bisogni degli operai, non si estende agli operai delle officine ferroviarie, dove funzionano casse pensioni o casse di risparmio e sussidio. Il provento delle multe viene ver- sato a queste casse. Tutte queste eccezioni sono sembrate non di meno insufficienti; pertanto la legge ha riservato ai ministri (delle finanze e degli interni) la facoltà, da una parte, di « dispensare dairapplicazione » del regolamento « le fabbriche e le officine poco importanti, in caso di effettiva necessità », e, d’altra parte, di estendere il regolamento alle aziende artigiane « importanti ». Così, la legge non solo affida ai ministri l’incarico di elaborare il regolamento sui proventi delle multe, ma conferisce loro anche il diritto di esonerare alcuni fabbricanti dall’osservanza della legge! Ecco fin dove arriva la gentilezza della nostra legge verso i signori fabbricanti! In una nota esplicativa, il ministro dice che accorderà la dispensa soltanto quando il consiglio provinciale delle fabbriche « è sicuro che il proprietario dell* azienda non lederà gli interessi degli operai ». I fabbricanti e gli ispettori di fabbrica sono amici e compari cosi intimi che si credono tra loro sulla parola. Perchè scomodare il fabbricante col regolamento se egli « assicura » che non lederà gli interessi degli operai? E se l’operaio provasse a chiedere al- 1 ispettore o al ministro di dispensarlo dall’osservanza del regola- mento, «assicurando» che non lederà gli interessi del fabbricante? Questo operaio sarebbe, probabilmente, creduto pazzo. LA LEGGE SULLE MULTE 59 Ciò si chiama « parità di diritti » tra operai e fabbricanti. Per ciò che concerne l'estensione del regolamento sulle multe alle aziende artigiane importanti, a quanto se ne sa, il regolamento è stato esteso soltanto (nel 1893) alle ditte che distribuiscono i filati ai tessitori che lavorano a domicilio. I ministri non hanno fretta di estendere il regolamento sulle multe. La massa degli operai che lavorano a domicilio per i padroni, per i grandi ne- gozi, ecc., continua a rimanere nella vecchia situazione, in com- pleta balìa deirarbitrio padronale. Per questi operai è più difficile unirsi, mettersi d'accordo circa le proprie necessità, iniziare una lotta comune contro i soprusi padronali; ecco perchè non sono presi in considerazione. Vili Conclusioni Abbiamo così preso conoscenza delle nostre leggi e dei nostri regolamenti sulle multe, di tutto quel sistema estremamente com- plicato che atterrisce l’operaio con la sua aridità e col suo lin- guaggio burocratico. Possiamo ora ritornare alla questione posta al principio. Le multe, dicevamo, sono generate dal capitalismo, cioè da un regime sociale che divide il popolo in due classi, in coloro che posseggono la terra; le macchine, le fabbriche e le officine, le materie prime e gli alimenti, e in coloro che non detengono alcuna proprietà e sono quindi costretti a vendersi ai capitalisti e a lavorare per loro. Ma è forse avvenuto sempre che gli operai debbano pagare al padrone, per il quale lavorano, multe per qualsiasi mancanza ? Nelle piccole aziende, per esempio presso gli artigiani o i piccoli proprietari delle città, le multe non esistono. Ivi l'operaio non è completamente separato dal padrone; padrone e operaio vivono e lavorano insieme. Il padrone non pensa neppure a introdurre le multe, perchè controlla egli stesso il lavoro e può sempre far modificare ciò che non gli piace. Ma queste piccole aziende e imprese scompaiono gradual- mente. Gli artigiani, i proprietari di bottega, nonché i piccoli con- tadini, non possono sostenere la concorrenza delle grandi fabbriche 6o LENIN e officine e dei grandi proprietari, che adoperano strumenti e mac- chine migliori, che fanno lavorare in uno stesso luogo una massa di operai. Ecco perchè vediamo che gli artigiani, i proprietari di bot- tega e i contadini si rovinano sempre più, vanno a lavorare come operai nelle fabbriche e nelle officine, abbandonano il villaggio e vanno in città. Nelle grandi fabbriche e officine i rapporti fra il padrone e gli operai sono del tutto diversi da quelli che esistono nelle piccole aziende. Per la sua ricchezza, per la sua posizione sociale, il pa- drone della grande fabbrica è così al di sopra dell’operaio che si crea tra essi un abisso; spesso non si conoscono neppure e non hanno niente in comune. L’operaio non ha alcuna possibilità di diventare padrone: è condannato a rimanere eternamente un nul- latenente, il quale lavora per dei ricconi che non conosce. Invece dei due o tre operai che lavorano per il piccolo proprietario, vi c ora una massa di operai che provengono da località diverse e che cambiano continuamente. Invece di singole disposizioni del pa- drone, vi sono regolamenti generali che diventano obbligatori per tutti gli operai. La vecchia stabilità di rapporti fra padrone e ope- raio scompare: il padrone non tiene affatto al suo operaio, perchè gli è sempre facile trovarne un altro tra la folla dei disoccupati disposti a lavorare per chiunque. In tal modo, il potere del pa- drone sugli operai si accresce e il padrone approfitta di questo po- tere, rinchiude l’operaio nell’angusto quadro del lavoro di fab- brica per mezzo delle multe. L’operaio ha dovuto sottomettersi a questa nuova limitazione dei suoi diritti e del suo guadagno, per- chè oggi è impotente dinanzi al padrone. Così, le multe sono venute al mondo da non molto tempo: sono nate con le grandi fabbriche e officine, col grande capitalismo, con la completa scissione tra i padroni-ricchi e gli operai-straccioni. Le multe sono il risultato del pieno sviluppo del capitalismo e del pieno asservimento dell’operaio. Ma lo sviluppo delle grandi fabbriche e l’aumento della pres- sione esercitata dai padroni hanno avuto anche altre conseguenze. Gli operai, trovatisi assolutamente impotenti di fronte ai fabbri- canti, hanno cominciato a comprendere che se continuavano a re- stare disuniti li aspettava la completa degradazione e la miseria. LA LEGGE SULLE MULTE 6l Gli operai hanno cominciato a capire che per sfuggire alla morte per fame e alla degenerazione, di cui li minacciava il capitalismo, vi era un solo mezzo: unirsi nella lotta contro i fabbricanti per un salario più alto e per migliori condizioni di vita. Abbiamo visto a quali scandalose vessazioni i nostri fabbri- canti abbiano sottoposto gli operai tra il 1880 e il 1890, come, non contenti di ridurre le tariffe, abbiano trasformato le multe in un mezzo per diminuire i salari degli operai. L’oppressione dei capitalisti sugli operai ha raggiunto il culmine. Ma questa oppressione ha suscitato anche la resistenza degli operai. Gli operai sono insorti contro gli oppressori e hanno ripor- tato la vittoria. Il governo, spaventato, ha accolto le loro rivendi- cazioni e si è affrettato a decretare l’abolizione delle multe. È stata questa una concessione agli operai. Il governo credeva che; promulgando leggi e regolamenti sulle multe, istituendo sus- sidi coi proventi delle multe, avrebbe dato una soddisfazione immediata agli operai e li avrebbe indotti a dimenticare la loro causa comune, la loro lotta contro i fabbricanti. Ma tali speranze del governo che si atteggia a difensore degli operai non si avvereranno. Abbiamo visto quanto la nuova legge sia ingiusta verso gli operai, quanto infime siano le concessioni fatte agli operai a paragone delle stesse rivendicazioni degli scio- peranti di Morozov; abbiamo visto come la legge lasci dappertutto scappatoie ai fabbricanti che vogliono violarla, come sia stato ela- borato nel loro interesse il regolamento sui sussidi che all’arbitrio dei padroni unisce quello dei funzionari. Quando questa legge e questo regolamento verranno appli- cati, quando gli operai ne prenderanno conoscenza e dai conflitti coi padroni cominceranno a capire come la legge li opprima, allora essi a poco a poco si renderanno conto del proprio stato di asservimento. Capiranno che soltanto la miseria li costringe a lavorare per i ricchi e ad accontentarsi di pochi soldi per il loro duro lavoro. Capiranno che il governo e i suoi funzionari sono dalla parte dei fabbricanti e che le leggi son fatte in modo da aiutare il padrone a opprimere l’operaio. Gli operai comprenderanno, infine, che la legge non potrà migliorare la loro situazione, finché esisterà la dipendenza degli 62 LENIN operai dai capitalisti, perchè la legge sarà sempre a favore dei capi- talisti-fabbricanti, perchè i fabbricanti sapranno sempre escogitare dei sotterfugi per eludere la legge. Dopo aver compreso ciò, gli operai vedranno che rimane loro un solo mezzo di difesa; unirsi per lottare contro i fabbricanti e contro gli ingiusti sistemi sanciti dalla legge. AZIENDE GINNASIALI E GINNASI CORREZIONALI (Russiate Bogatstvo) È nota da molto tempo la soluzione del problema del capita- lismo in Russia proposta dai populisti e avanzata con grande rilievo, recentemente, dalla Russinole Bogatstvo 21 . Senza negare l’esistenza del capitalismo ed essendo costretti ad ammetterne lo sviluppo, i populisti credono tuttavia che il nostro capitalismo non sia un processo naturale e necessario, che conclude la secolare evoluzione deireconomia mercantile in Russia, ma un fenomeno casuale, che non ha salde radici e che rappresenta soltanto una de- viazione dalla via tracciata da tutta la vita storica della nazione. « Dobbiamo — affermano i populisti — scegliere altre vie per la patria », abbandonare la strada del capitalismo e « socializzare » la produzione, avvalendoci delle attuali forze di « tutta » la « so- cietà », la quale già comincia a convincersi della precarietà del capi- talismo. È evidente che, se è possibile scegliere un’altra via per la patria, se tutta la società comincia a rendersi conto di questa necessità, la « socializzazione » della produzione non presenta grandi difficoltà e non richiede un determinato periodo storico di preparazione. Basta soltanto elaborare il piano di questa socializzazione e con- vincere chi di dovere che il piano può essere attuato, perchè la « patria », abbandonata l'erronea strada del capitalismo, si ponga sulla via della socializzazione. Tutti comprendono quale enorme interesse debba suscitare un 6 4 LENIN piano che promette così radiose prospettive e, pertanto, il pubblico russo deve essere molto riconoscente al sig. Iugiakov, uno dei col- laboratori permanenti della Russ\oie Bogatstvo y per essersi as- sunto il gravoso compito di elaborare un simile piano. Nel fa- scicolo di maggio della rivista Russ\oie Bogatstvo troviamo un suo articolo, Un utopia culturale , col sottotitolo Piano per Vintro- duzione dell' istruzione media generale e obbligatoria . Ma che rapporto vi è tra questo e la « socializzazione » della produzione? — chiederà il lettore. Il rapporto più diretto, poiché il piano del sig. Iugiakov è molto ampio. L'autore progetta di isti- tuire in ogni volost un ginnasio * che accolga tutta la popolazione di sesso maschile e femminile in età scolastica (da otto a venti anni, sino a un massimo di venticinque anni). Questi ginnasi deb- bono essere associazioni di produzione, che gestiscano un'azienda agricola e morale e non solo mantengano col loro lavoro la popola- zione dei ginnasi (che, secondo il sig. Iugiakov, rappresenterebbe la quinta parte deirintiera popolazione), ma forniscano inoltre i mezzi di sussistenza a tutta la popolazione infantile . Un calcolo minuzioso, eseguito dall’autore per un ginnasio tipo (detto « gin- nasio-fattoria », « azienda ginnasiale » o « ginnasio agricolo ») da istituire nel volost , dimostra che, in complesso, il ginnasio può man- tenere oltre la metà di tutta la popolazione locale. Se consideriamo che ognuno di questi ginnasi (in complesso vengono previsti per la Russia 20.000 ginnasi doppi, ossia 20.000 maschili e 20.000 femmi- nili) sarà dotato di terra e di mezzi di produzione (il piano pre- vede che gli zemstvo emettano obbligazioni garantite dallo Stato col 4,5 % di interesse e lo 0,5 % di ammortamento), comprendiamo quanto « ampio » sia in realtà il « piano » del sig. Iugiakov. La produzione viene socializzata per una buona metà della popola- zione. Si sceglie così senz’altro una via diversa per la patria! E il fine è raggiunto « senza alcuna spesa [sic!] da parte dello Stato, dello zemstvo e del popolo ». Ciò « sembra un’utopia solo a prima vista », ma in effetti è « assai più realizzabile di quel che non sia l’istruzione elementare generale ». Il sig. Iugiakov attesta che l’ope- razione finanziaria indispensabile a tal fine « non è una chimera nè • Nella Russia zarista i ginnasi comprendevano generalmente otto classi, ultimate le quali si poteva accedere all’università (TV. d. /?.). AZIENDE GINNASIALI E GINNASI CORREZIONALI 65 una utopia » e può essere attuata non soltanto, come abbiamo già vi- sto, senza spesa, senza nessuna spesa, ma persino senza modificare « i programmi didattici stabiliti »! ! Il sig. Iugiakov osserva con piena ragione che « tutto ciò ha un’importanza non irrilevante, se si vuole realizzare veramente Istruzione generale e non limitarsi a un semplice esperimento ». Egli dice, è vero, che « non si è proposto di elaborare un progetto esecutivo », ma nella sua esposizione in- dica il numero probabile di allievi e allieve per ciascun ginnasio, calcola la forza-lavoro^ necessaria per mantenere tutta la popola- zione dei ginnasi, elenca il personale didattico e amministrativo, precisando sia le assegnazioni in natura per la popolazione del ginnasio, sia gli stipendi per gli insegnanti, i medici, i tecnici, gli artigiani. L’autore calcola minuziosamente il numero delle gior- nate lavorative necessarie per i lavori agricoli, la superficie di terra indispensabile per ogni ginnasio e il denaro necessario per le spese d’impianto. Egli prende in considerazione, da un lato, la sorte degli allogeni e dei membri delle sètte, che non possono godere dei benefici deH’istruzione media generale; dall’altro, la sorte di coloro che saranno espulsi dal ginnasio per cattiva con- dotta. I calcoli dell’autore non si limitano al solo ginnasio tipo. Tutt’altro. Egli imposta il problema dell’istituzione di tutti i 20.000 ginnasi e precisa il modo di procurarsi la superficie di terra ne- cessaria a tal fine e il modo di assicurarsi « un adeguato numero di professori, amministratori e tecnici ». Si comprende come un piano simile presenti un grandissimo interesse, e non solamente un interesse teorico (è ovvio che un piano- di socializzazione della produzione, elaborato in maniera tanto concreta, deve persuadere definitivamente tutti gli scettici e demo- lire tutte le tesi che negano la possibilità di realizzare piani di questo genere), ma anche un vivo interesse pratico. Sarebbe strano che il governo non prestasse attenzione al progetto di organizzare l’istruzione media generale e obbligatoria, anche perchè l’autore della proposta sostiene decisamente che non occorrerà « nessuna spesa », e che « s’incontreranno ostacoli non tanto per gli aspetti finanziari ed economici del problema, quanto per gli aspetti cul- turali », ostacoli che tuttavia «non sono insormontabili». Questo progetto impegna direttamente non solo il ministero della pub- 66 LENIN blica istruzione, ma in ugual misura il ministero degli affari in- terni, il ministero delle finanze, il ministero deiragricoltura e persino, come vedremo in seguito, il ministero della guerra. Con ogni probabilità, saranno di competenza del ministero della giustizia i « ginnasi correzionali » previsti dal progetto. Senza dubbio anche i restanti ministeri saranno interessati a questo progetto che, secondo le parole del sig. Iugiakov, « risponderà a tutte le esigenze sopra elencate » (ossia l’istruzione e il manteni- mento) e probabilmente «a numerose altre». Siamo quindi persuasi che il lettore non ce ne vorrà se faremo un’analisi minuziosa di questo importantissimo progetto. L’idea fondamentale del sig. Iugiakov è la seguente: in estate i corsi scolastici vengono interamente sospesi e ci si dedica ai lavori agricoli. Inoltre, gli studenti che hanno terminato gli studi ginnasiali rimangono per un certo periodo nella scuola come lavo- ratori; eseguono i lavori invernali e vengono impiegati nel lavoro artigiano, che è complementare di quello agricolo e dà modo a ciascun ginnasio di mantenere col lavoro delle sue braccia tutti gli studenti e gli operai, tutto il personale didattico e ammini- strativo, e di coprire le spese per l’istruzione. Questi ginnasi, os- serva giustamente il sig. Iugiakov, sarebbero delle grandi artel agricole. Quest’ultima espressione non ci lascia più, tra l’altro, il minimo dubbio che siamo nel giusto, quando consideriamo il piano del sig. Iugiakov come un primo passo verso la « socializzazione » populista della produzione, come una parte di quella nuova via che la Russia deve scegliere per evitare le peripezie del capitalismo. « Attualmente — argomenta il sig. Iugiakov — i giovani fini- scono il ginnasio a 18-20 anni, ma talvolta ritardano di uno o due anni. Con l’istruzione obbligatoria... il ritardo diventerà anche più frequente. Il ginnasio sarà terminato più tardi, e le tre classi superiori saranno composte da allievi di 16-25 anni, se l’età di 25 anni costituirà il limite massimo oltre il quale coloro che non avranno ultimato il corso saranno allontanati. Quindi, se si tiene conto del contingente supplementare di studenti della quinta classe che hanno superato l’età scolastica, si può ritenere, senza tema d’errore, che circa un terzo degli studenti del ginnasio... avrà un’età in cui può lavorare ». Anche se questa percentuale si ridurrà AZIENDE GINNASIALI E GINNASI CORREZIONALI 67 a un quarto, come l’autore afferma più avanti, aggiungendo alle otto classi di ginnasio due classi di scuola elementare preparatoria (in cui si accetterebbero ragazzi analfabeti di otto anni), avremo ugualmente un numero molto elevato di operai, che con l’aiuto dei semioperai potranno eseguire i lavori estivi. Ma « il ginnasio- fattoria di dieci classi — rileva giustamente il sig. Iugiakov — richiede di necessità un determinato contingente di operai inver- nali », Dove trovarli? L’autore propone due soluzioni: 1) l’as- sunzione di operai (« i più meritevoli dei quali potrebbero parte- cipare agli utili»). L’azienda ginnasiale deve essere redditizia e deve giustificare questa assunzione. Ma l’autore « ritiene più im- portante la seconda soluzione » : 2) chi ha ultimato i corsi del gin- nasio sarà costretto a risarcire col lavoro le spese per la sua istru- zione e il suo mantenimento nelle classi inferiori. È questo un « do- vere diretto » — aggiunge il sig. Iugiakov — un dovere, si intende, solo per chi non può pagare il costo dell’istruzione. Questi ex studenti costituiscono il contingente necessario degli operai inver- nali e un contingente supplementare di operai estivi. È questa la prima caratteristica dell’organizzazione progettata, che deve « socializzare » nelle artel agricole un quinto della popo- lazione. Già da essa possiamo vedere di quale natura sarà la scelta di un’altra via per la patria. Il lavoro salariato, che è oggi l’unica fonte di vita per chi « non può sostenere le spese per la sua istru- zione » e per il suo sostentamento, viene sostituito col lavoro obbli- gatorio gratuito. Ma non dobbiamo allarmarci per questo: non bi- sogna dimenticare che, in compenso, la popolazione godrà dei be- nefici dell'istruzione media generale. Proseguiamo. L’autore progetta ginnasi separati per i maschi e le femmine, indulgendo alla prevenzione dominante nel conti- nente europeo contro l’istruzione mista, che in realtà sarebbe più razionale. « 50 allievi per classe, o 500 per tutte le dieci classi, o mille per ogni azienda ginnasiale (500 ragazzi e 500 ragazze) sarà in media il numero pienamente normale » per un ginnasio. Esso avrà 125 « coppie di operai » e un numero corrispondente di semi- operai. « Se si pensa — dice Iugiakov — che questo numero di operai è capace di lavorare, per esempio nella Piccola Russia* • Ucraina ( N . d. I?.). 68 LENIN 2.500 desiatine di terra coltivabile, si comprende quale immane forza rappresenti il lavoro dei ginnasi»!... Ma, oltre a questi operai, vi saranno anche gli « operai per- manenti », « che risarciranno col lavoro » le spese dell’istruzione e del loro mantenimento. Quanti saranno costoro? Ogni anno finiranno gli studi 45 studenti e 45 studentesse. Un terzo degli stu- denti dovrà prestare servizio militare (attualmente presta servizio militare un quarto degli studenti. L’autore eleva questa cifra, sino a un terzo, pur riducendo la durata del servizio militare a tre anni) per un periodo di tre anni. « Non sarà ingiusto porre nelle stesse condizioni anche i restanti due terzi, trattenerli cioè nei ginnasi perchè risarciscano col lavoro le spese per la loro istruzione e per quella dei compagni chiamati sotto le armi. Tutte le ragazze po- tranno essere trattenute per la stessa ragione». L’organizzazione dei nuovi ordinamenti, che devono essere instaurati nella nostra patria, la quale ha scelto un’altra via, as- sume una fisionomia sempre più precisa. Attualmente tutti i sud- diti russi hanno obbligo di prestare servizio militare e, poiché il numero dei giovani di' leva è superiore al numero dei soldati richiesti, questi ultimi vengono tirati a sorte. Anche nella produ- zione socializzata le reclute saranno tirate a sorte, ma tutti gli altri dovranno « esser posti nelle stesse condizioni », ossia essere costretti a rimanere per tre anni in servizio, non sotto le armi, ma nel ginnasio. Essi debbono risarcire col lavoro le spese per il mantenimento dei loro compagni chiamati sotto le armi. Avranno tutti questo obbligo? No, lo avrà soltanto chi non può far fronte alle spese per la sua istruzione. L’autore ha già avanzato in pre- cedenza questa riserva; vedremo in seguito come, per chi può so- stenere le spese dell’insegnamento, egli progetti in generale gin- nasi speciali di vecchio tipo. Ma perchè, ci si può domandare, l’obbligo di risarcire col lavoro le spese per il mantenimento dei compagni chiamati alle armi spetta soltanto a chi non può far fronte alle spese per la sua istruzione, e non anche a chi può so- stenerle? Il perchè è assai chiaro. Se gli allievi del ginnasio saranno suddivisi in studenti che pagano e studenti che non pagano, evi- dentemente la riforma lascerà intatta l’attuale struttura della so- cietà: se ne rende conto perfettamente lo stesso sig. Iugiakov. E, AZIENDE GINNASIALI E GINNASI CORREZIONALI 69 com’è ovvio, in questo caso le spese generali dello Stato (per il mantenimento dei soldati) graveranno su chi non ha mezzi di sussistenza*, precisamente come avviene oggi, ad esempio, sotto forma di imposte indirette, ecc. In che cosa si differenzia il nuovo sistema? Nel fatto che oggi chi non possiede mezzi di produ- zione può vendere la forza-lavoro, mentre nel nuovo sistema sarà costretto a lavorare gratuitamente (ossia in cambio del solo mante- nimento). Non ve il minimo dubbio che la Russia eviterà, imboc- cando questa via, tutte le peripezie del sistema capitalistico. Il la- voro salariato, che crea la minaccia della « piaga del proletariato », è eliminato e cede il posto al lavoro obbligatorio gratuito. Non v’è certo da meravigliarsi se gli individui che saranno posti in rapporti di lavoro obbligatorio gratuito si troveranno in una condizione corrispondente a questi rapporti. Ascoltate che cosa afferma il nostro populista (« amico del popolo ») subito dopo il brano precedente: « Se in pari tempo saranno autorizzati matrimoni tra i gio- vani che, ultimati i corsi, rimarranno per tre anni presso il gin- nasio; se saranno costruite abitazioni separate per gli operai con famiglia; se i redditi del ginnasio permetteranno di consegnare a questi giovani, nel momento in cui lasceranno la scuola, un sia pur modesto sussidio in denaro e in natura, allora la perma- nenza di tre anni presso il ginnasio sarà molto meno gravosa del ser- vizio militare»... Non è forse evidente che condizioni così vantaggiose indur- ranno la popolazione a cercare con tutte le forze delFanima di • frequentare il ginnasio? Giudicate voi stessi: in primo luogo sa- ranno permessi i matrimoni. Invero, secondo le leggi civili oggi vi- genti, in generale non vi sarebbe bisogno di una simile autorizza- zione (da parte dei superiori). Ma considerate che qui si tratta di allievi e allieve di ginnasio , i quali hanno sì raggiunto l’età di 25 anni, ma sono tuttavia pur sempre degli studenti ginnasiali. Se gli studenti universitari non sono autorizzati a sposarsi, si può forse concedere questa autorizzazione a studenti ginnasiali? E poi, l’autorizzazione dipenderà dalla direzione del ginnasio, quindi da * Altrimenti non si perpetuerebbe il dominio dei primi sui secondi. ?o LENIN uomini con un titolo di studio superiore: è chiaro che non vi sarà motivo di temere abusi. Ma coloro che hanno finito il ginnasio e sono rimasti presso la scuola come operai permanenti non sono più studenti. Nondimeno anche per loro, che pur hanno già dai 21 ai 27 anni, si parla di autorizzazione a sposarsi. Dobbiamo ricono- scere che la nuova via scelta dalla nostra patria implica una certa limitazione dei diritti civili dei cittadini russi, ma dobbiamo anche ammettere che i benefici deiristruzione media generale non pos- sono ottenersi senza sacrifici. In secondo luogo, per gli operai con famiglia verranno costruite abitazioni separate che non saranno probabilmente peggiori dei bugigattoli dove vivono oggi gli operai di fabbrica. In terzo luogo, gli operai permanenti riceveranno in compenso un «modesto sussidio». Senza dubbio, alle perturba- zioni del capitalismo la popolazione preferirà i vantaggi di una vita tranquilla sotto la protezione dei superiori; li preferirà a tal punto che alcuni operai rimarranno definitivamente presso il gin- nasio (probabilmente in segno di riconoscenza per aver ottenuto il permesso di sposarsi): «Un piccolo contingente di operai per- manenti, rimasti definitivamente presso il ginnasio e associati [sic ! ] ad esso, completerà la forza-lavoro dell’azienda ginnasiale. È questa la forza-lavoro possibile e nuiraffatto utopistica del nostro gin- nasio agricolo ». Scusate! Che c'è qui di «utopistico»? Forse gli operai per- manenti, che lavorano gratuitamente e « si associano » ai padroni, i quali li autorizzano a sposarsi? Ma interrogate ogni vecchio con- tadino ed egli vi dirà, per sua esperienza personale, che tutto ciò è pienamente realizzabile. ( Continua # ) Scritto nell’autunno 1895. Pubblicato in Samarshi Viestni J{ 32 , n. 254, 25 novembre 1895, firmato: K. T-in. La continuazione non è mai stata pubblicata ( Nota deWlMEL), AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE DELLA THORNTON 23 Operai e operaie della fabbrica Thornton! Il 6 e il 7 di novembre debbono essere per noi tutti giorni memorabili... Con la loro compatta resistenza alle vessazioni pa- dronali i tessitori hanno dimostrato che nei momenti difficili si tro- vano ancora in mezzo a noi uomini capaci di difendere i nostri co- muni interessi di operai, e che i nostri benemeriti padroni non sono ancora riusciti a trasformarci definitivamente in miseri schiavi del loro ben fornito portafogli. Conduciamo, compagni, con fermezza e con tenacia la nostra azione sino in fondo, ricordiamo che solo attraverso i nostri sforzi comuni e uniti potremo migliorare la nostra situazione. Anzitutto, compagni, non cadiamo nel tranello che ci è stato teso così astutamente dai signori Thornton. Essi ragionano nel seguente modo: «Oggi, la vendita delle merci in- contra difficoltà, sicché conservando le vecchie condizioni di lavoro nella fabbrica non potremo più ottenere i profitti che ottenevamo in precedenza... E noi non ci accontentiamo di un profitto più basso... Quindi, i fratelli operai dovranno tirare la cinghia, sop- portare le conseguenze dei bassi prezzi di mercato... Purché que- st’azione non sia abbandonata al caso, ma condotta con abilità, affinchè l’operaio non si accorga, nella sua ingenuità, del piatto che gli stiamo preparando... Se colpiremo tutti gli operai a un tempo, essi si solleveranno simultaneamente e non concluderemo 72 LENIN nulla; invece attaccheremo per primi i poveri tessitori; gli altri non sfuggiranno... Non siamo abituati a far cerimonie con questa gente. E a che prò? La scopa nuova spazza meglio...». In questo modo i padroni solleciti* del benessere dell'operaio intendono pre- parare, con cautela e alla chetichella, per gli operai di tutti i re- parti della fabbrica lo stesso avvenire che hanno già assicurato ai tessitori... Se rimarremo indifferenti alle sorti del reparto di tes- situra, ci scaveremo con le nostre stesse mani la fossa, in cui tra breve saremo scaraventati anche noi. Negli ultimi tempi i tessitori guadagnavano, in media, 3 rubli e 50 copechi alla quindicina; una famiglia composta di sette persone doveva vivere con cinque rubli, una famiglia composta di marito, moglie e un figlio, con due rubli soltanto ogni quindici giorni. I tessitori hanno venduto sino airultimo cencio, hanno speso sino airultimo soldo guadagnato con un lavoro infernale, mentre i benemeriti Thornton accumu- lavano milioni su milioni. Ma tutto ciò era ancora poco, e sotto i loro occhi sono state gettate fuori dalla fabbrica le nuove vittime della cupidigia padronale, mentre le vessazioni si accentuavano con la più spietata crudeltà... Senza alcun preavviso, i padroni hanno cominciato a mescolare nella lana noti e fyiops 2 *, per cui la lavorazione del tessuto procedeva assai più lentamente; come per caso si è rallentato il ritmo di consegna dell'ordito, infine si è semplicemente ridotto il numero delle ore lavorative e i pezzi di tessuto di nove scmiz 25 sono stati sostituiti con pezzi di cinque scmiz , e quindi il tessitore ha cominciato a perdere molto più tempo per preparare e tendere l'ordito, operazione che, come tutti sanno, non viene retribuita. I padroni vogliono affamare ed este- nuare i nostri tessitori; il salario di un rublo e 62 copechi la quin- dicina, che è già comparso sui libretti-paga di alcuni tessitori, può diventare fra breve il salario di tutti i tessitori... Compagni, volete forse anche voi ricevere simili carezze dai padroni? Se non lo vo- lete, se i vostri cuori non rimangono di pietra dinanzi alle sof- ferenze di uomini poveri come voi, stringetevi compatti attorno ai tessitori. Formuliamo rivendicazioni comuni e, ogniqualvolta si presenta 1 occasione, conquistiamoci, lottando contro i nostri op- pressori, un destino migliore! Operai del reparto di filatura, non fatevi illusioni sulla vostra stabilità e sull'insignificante aumento AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE DELLA THORNTON 73 del vostro salario... I due terzi quasi dei vostri fratelli sono stati licenziati dalla fabbrica; il vostro aumento salariale è pagato con la fame dei vostri fratelli gettati sul lastrico. Anche questa è una astuta manovra dei padroni; non vi sarà difficile comprenderlo, se sommerete e confronterete i salari percepiti prima da tutto il reparto di filatura e quelli guadagnati oggi. Operai della nuova tintoria! Voi lavorate per 14 ore e un quarto al giorno, dalla testa ai piedi siete impregnati delle mortali esalazioni dei coloranti e guadagnate soltanto dodici rubli al mese! Vedete quali sono le nostre rivendicazioni: noi vogliamo porre fine anche alle illegali trattenute a cui siete sottoposti a causa della scarsa perizia del vostro caposquadra. Manovali e operai non qualificati della fab- brica! Credete forse di poter continuare a guadagnare 60-80 copechi al giorno, quando un tessitore qualificato sarà costretto ad accon- tentarsi di 20 copechi? Compagni, non siate ciechi, non cadete nel tranello tesovi dai padroni, difendetevi con più vigore stando gli uni a fianco degli altri, altrimenti avremo un inverno molto difficile. Dobbiamo seguire con la massima vigilanza le manovre dei nostri padroni miranti a ridurre le tariffe, dobbiamo opporci con tutte le forze a questo intento per noi fatale... Non date retta a tutte le chiacchiere dei padroni, secondo cui gli affari vanno male: per i padroni si tratta soltanto di un profitto più basso, per noi si tratta della fame per le nostre famiglie, si tratta di per- dere l’ultimo tozzo di pane. Si possono forse porre le due cose sulla stessa bilancia? Oggi vengono colpiti per primi i tessitori, e noi dobbiamo chiedere: 1) che le tariffe dei tessitori siano riportate al livello che avevano in primavera, ossia all’incirca a sei copechi per scmiz ; 2) che anche per i tessitori venga applicata la norma di legge, secondo cui prima dell’assunzione l’operaio dev’essere informato sullammontare del salario che percepirà. La tabella delle tariffe, firmata dall’ispettore di fabbrica non deve rimanere sulla carta, ma essere tradotta in pratica, come vuole la legge. Per i tessitori, ad esempio, occorre specificare in appendice alle tariffe esistenti la qualità della lana e la percentuale di noil e \nops in essa conte- nuta, occorre calcolare il tempo necessario per il lavoro preli- minare; 74 LENIN 3) che l’orario di lavoro sia ripartito in modo che non si debba perdere tempo per motivi indipendenti dalla nostra vo- lontà; oggi, per esempio, il lavoro è organizzato in modo che, per ciascun pezzo, il tessitore è costretto a perdere un giorno per pre- parare l’ordito; ora, poiché il pezzo diventerà di quasi due volte più piccolo, il tessitore subirà una perdita doppia, indipendente- mente dalla tabella delle tariffe. Se il padrone vuol rubarci il salario in questo modo, facciamogli capire che sappiamo bene di quanto vuole derubarci; 4) che rispettare di fabbrica controlli che nelle tariffe non vi siano imbrogli, e non vi siano doppie tariffe. Il che significa, per esempio, che nella tabella delle tariffe non devono essere am- messi due prezzi diversi per una stessa merce, anche se denomi- nata diversamente. Per esempio, abbiamo tessuto il biber per 4 rubli e 32 copechi e Yural 28 per 4 rubli e 14 copechi; ma, per ciò che riguarda il lavoro, non si tratta forse della stessa cosa? Una truffa ancor più impudente viene operata quando si stabiliscono due tariffe per merci con la stessa denominazione. In questo modo i signori Thornton hanno eluso le disposizioni della legge sulle multe, nella quale si diceva che la multa può essere imposta sol- tanto per uno scarto causato da negligenza dell’operaio. In questo caso, la trattenuta dev’essere registrata sul libretto-paga sotto la voce multe, al massimo entro tre giorni dalla sua imposizione. Tutte le multe debbono essere registrate, e i loro proventi non possono finire nelle tasche dei fabbricanti, ma debbono essere im- piegati per le esigenze degli operai della fabbrica. Guardate i nostri libretti, sono puliti, non c’è una sola multa. Si potrebbe credere che i nostri padroni siano i migliori padroni del mondo. In realtà, a causa della nostra ignoranza, essi eludono la legge e sistemano agevolmente i propri affarucci... Vedete, non ci infliggono multe, ma ci impongono trattenute, pagandoci secondo la tariffa più bassa, e, finche esisteranno due tariffe, una più alta e una più bassa, non vi sara modo di spuntarla : i padroni imporranno le trattenute e intascheranno le somme corrispettive; 5) che, insieme con l’introduzione di una tariffa unica, ogni trattenuta venga registrata come multa e se ne indichi il motivo. Allora potremo renderci conto delle multe inflitte illegalmente; AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE DELLA THORNTON 75 la parte non pagata del nostro lavoro sarà minore, e diminuirà il numero dei soprusi che si commettono oggi, per esempio nella tintoria, dove gli operai hanno percepito un salario più basso a causa di un capo squadra inesperto, anche se la legge non prevede alcuna trattenuta in casi simili, giacché non si tratta di negligenza dell’operaio. Ma sono forse poche le trattenute del genere che ci vengono imposte, senza che ne abbiamo colpa alcuna? 6) Chiediamo che per Palloggio ci trattengano quanto ci trat- tenevano prima del 1891, ossia un rublo al mese a persona, perchè coi nostri salari non sappiamo come tirar fuori due rubli; e del resto per che cosa li dovremmo tirar fuori?... Per una catapec- chia sudicia, fetida, angusta e pericolosa in caso d’incendio? Non di- menticate che in tutta Pietroburgo Paffuto mensile di un rublo è considerato normale. Solo i nostri solleciti padroni non se ne ac- contentano, ma noi dobbiamo costringerli a contenere le loro cupide pretese. Compagni, sostenendo queste rivendicazioni non ci ribel- liamo affatto; vogliamo soltanto che ci concedano i diritti di cui godono, per legge, tutti gli operai delle altre fabbriche, e che ci hanno tolto nella speranza che saremmo stati incapaci di tutelare i nostri diritti. Dimostriamo dunque questa volta che i nostri « benefattori > si sono sbagliati. Scritto e poligrafato nel novembre 1895. A CHE COSA PENSANO I NOSTRI MINISTRI ? 27 Scritto alla fine del 1895 per il Raboceie Dielo. Pubblicato per la prima volta nel 1924. Il ministro degli interni Durnovo ha scritto una lettera al primo procuratore del Santo Sinodo, Pobiedonostsev. La lettera è stata scritta il 18 marzo 1895, porta il numero 2603 e la dicitura « riservatissima ». Il ministro voleva dunque che la lettera fosse tenuta nella più rigorosa segretezza. Ma vi sono persone che non la pensano come il signor ministro, secondo il quale i citta- dini russi devono ignorare le intenzioni del governo, e oggi questa lettera circola dappertutto in copia manoscritta. Di che cosa parlava il signor Durnovo al signor Pobiedonostsev ? Delle scuole festive. Nella lettera si diceva : « Le informazioni ricevute negli ultimi anni dimostrano che persone sospette per motivi politici, nonché una parte degli studenti orientati in un certo modo, cercano, come nel 1860-1870, di entrare nelle scuole festive in qualità di insegnanti, lettori, bibliotecari, ecc. Questa ten- denza sistematica, che non è neppure giustificata dalla ricerca dei mezzi di sussistenza, poiché in simili scuole il lavoro non è retri- buito, dimostra che quanto s’è detto rappresenta, per gli avver- sari del governo, uno dei mezzi di lotta legale contro Tordinamento politico e il regime sociale vigente in Russia ». Ecco come ragiona il signor ministro! Tra le persone istruite ve ne sono di quelle che vogliono comunicare il loro sapere agli operai; vogliono che l’istruzione sia utile non soltanto a loro ma anche al popolo, e il ministro stabilisce senz’altro che si tratta di «avversari del governo», che in altri termini si tratta di co- spiratori i quali istigano a entrare nelle scuole festive. Ma senza istigazione non poteva venire forse in mente a qualche persona colta l’idea di istruire gli altri? Il ministro tuttavia è sconcertato 8o LENIN dal fatto che i maestri delle scuole festive non percepiscono sti- pendio. È abituato a vedere che le spie e i funzionari alle sue dipendenze lo servono solo per lo stipendio, servono chi li paga meglio; e a un tratto eccovi della gente che lavora, si presta, si oc- cupa di tutto questo... gratis. Ce sotto qualcosa! pensa il ministro e manda le sue spie per vedere di che si tratta. Nella lettera si dice poi: «Dalle seguenti informazioni [avute da spie, la cui esistenza è giustificata dal fatto che percepiscono uno stipendio] si può stabilire che non soltanto fra gli insegnanti vi sono persone che possono essere dannose, ma che spesso le stesse scuole si trovano sotto la direzione segreta di un intiero gruppo di persone sospette, le quali non appartengono affatto al personale ufficiale, sono invi- tate da maestri e maestre che essi stessi hanno messo a quel posto, tengono conferenze serali e insegnano agli allievi... Il sistema che permette a persone estranee alla scuola di tenere conferenze, è un campo aperto che lascia penetrare fra i conferenzieri persone noto- riamente appartenenti agli ambienti rivoluzionari ». Così, se « persone estranee », non raccomandate ed esaminate dai preti e dalle spie, vogliono insegnare agli operai, si tratta di una vera rivoluzione! Il ministro considera gli operai come pol- vere da sparo e la scienza e l’istruzione come una scintilla; il mi- nistro è sicuro che se la scintilla cadrà nella polvere l’esplosione colpirà innanzi tutto il governo. Non possiamo rifiutarci il piacere di rilevare che in questo raro caso siamo pienamente e senza riserve d’accordo con l’opi- nione di Sua Eccellenza. Poi, nella sua lettera, il ministro dà la « prova » dell’esattezza delle sue «informazioni». Belle prove! In primo luogo, «la lettera di un maestro di una scuola fe- stiva con una firma che finora non è stato possibile decifrare ». La lettera è stata sequestrata durante una perquisizione. Vi si parla del programma delle conferenze di storia, dell’idea dell’as- servimento e dell’emancipazione delle classi, delle rivolte di Razin e di Pugaciov. Devono essere questi ultimi nomi a spaventare tanto il buon ministro: davanti agli occhi gli sarà certo apparso il forcone. A CHE COSA PENSANO I NOSTRI MINISTRI? 81 Seconda prova: «Al ministero degli interni è pervenuto, in forma riservata, un programma per conferenze pubbliche in una delle scuole fe- stive di Mosca così compilato: "L’origine della società. La società primitiva. Lo sviluppo del l’organizzazione sociale. Lo Stato e la sua funzione. L ordine. La libertà. La giustizia. Forme di regime statale. Monarchia assoluta e costituzionale. Il lavoro, base della prosperità generale. Utilità e ricchezza. Produzione, scambio e capitale. Come è ripartita la ricchezza. L’interesse personale. La proprietà e la sua necessità. La terra e l’emancipazione dei con- tadini. Rendita, profitto, salario. Da che cosa dipendono il salario e le sue forme. Il risparmio ”. « Sulla base di un tale programma, che indubbiamente non si addice alle scuole popolari, il conferenziere ha piena possibilità di far conoscere a poco a poco agli uditori le teorie di Karl Marx, di Engels, ecc., mentre le persone designate dalle autorità ecclesiastiche per assistere a queste conferenze non sono in grado di riconoscere in esse gli elementi della propaganda socialde- mocratica ». Il signor ministro deve avere una gran paura delle «teorie di Marx e di Engels » se ne scopre gli « elementi » persino in un pro- gramma in cui non se ne vedono le tracce. Che cosa vi ha tro- vato di «cattivo» il ministro? Probabilmente, la questione delle forme del regime statale e della costituzione. Prendete dunque, signor ministro, qualsiasi manuale di geo- grafia e vi troverete queste questioni! Forse che gli operai adulti non debbono sapere quel che si insegna ai bambini? Ma il signor ministro non ha fiducia nelle persone designate daH’autorità ecclesiastica: «È probabile non comprendano di che si parla ». La lettera finisce con una lista di maestri « sospetti » della scuola parrocchiale festiva presso lo stabilimento di Mosca delle ma- nifatture Prokhorov, della scuola festiva di Elets e della scuola che si prevede di istituire a Tiflis. Il signor Durnovo consiglia al signor Pobiedonostsev di occuparsi del « controllo meticoloso delle persone ammesse all’insegnamento nelle scuole ». Ora, quando leg- gerete la lista dei maestri vi si rizzeranno i capelli: tutti ex stu- 82 LENIN denti e anche un ex studentessa. Il signor ministro vorrebbe che i maestri fossero ex caporali. Con particolare orrore il signor ministro rileva che la scuola di Elets « è situata al di là del fiume Sosna dove abita in prevalenza [orrore!] gente del popolo e popolazione operaia e dove si trova lofficina ferroviaria». Bisogna tenere le scuole più lontano, più lontano dalla « gente del popolo e dalla popolazione operaia »! Operai! Voi vedete come i nostri ministri temano maledetta- mente che i lavoratori s’istruiscano! Mostrate dunque a tutti che nessuna forza può togliere agli operai la loro coscienza! Senza istruzione gli operai sono indifesi, istruiti essi sono una forza! PROGETTO E SPIEGAZIONE DEL PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 29 Scritto in carcere nel 1895-1896. Pubblicato per la prima volta nel 1924. 6 * PROGETTO DI PROGRAMMA A i. Sempre più rapidamente si sviluppano in Russia le grandi fabbriche e officine, mandando in rovina i piccoli artigiani e i contadini, trasformandoli in operai nullatenenti, sospingendo sem- pre più il popolo nelle città, nei villaggi e centri manifatturieri- e industriali. 2. Questo sviluppo del capitalismo significa un colossale in- cremento della ricchezza e del lusso di un pugno di fabbricanti, commercianti e proprietari terrieri, e un ancor più rapido au- mento della miseria e deiroppressione degli operai. I perfeziona- menti della produzione e le macchine, introdotti dalle grandi fab- briche, contribuendo a elevare la produttività del lavoro sociale, servono ad accrescere il potere dei capitalisti sugli operai, ad au- mentare la disoccupazione e, quindi, a diminuire la capacità di difesa degli operai. 3. Ma, elevando al massimo l’oppressione del capitale sul la- voro, le grandi fabbriche creano una particolare classe di operai, che ha la possibilità di lottare contro il capitale, perchè le sue stesse condizioni di vita spezzano tutti i legami con la proprietà personale e, riunendo gli operai per mezzo del lavoro collettivo, trasferendoli di fabbrica in fabbrica, rendono compatta la massa operaia. Gli operai cominciano a lottare contro i capitalisti, e appare in mezzo a loro -Ùn’accentuata aspirazione all’unità. Dalle rivolte operaie isolate nasce la lotta della classe operaia russa. 4. La lotta della classe operaia contro la classe dei capitalisti è lotta contro tutte le classi che vivono del lavoro altrui e contro 86 LENIN ogni sfruttamento. Essa può concludersi solamente col passaggio del potere politico nelle mani della classe operaia, col trasferimento di tutta la terra, dei mezzi di lavoro, delle fabbriche, delle mac- chine, delle miniere nelle mani di tutta la società al fine di orga- nizzare la produzione socialista, nella quale quanto è prodotto da- gli operai e tutti i perfezionamenti della produzione debbono andare a favore degli stessi lavoratori. 5. Il movimento della classe operaia russa, per il suo carat- tere e per i suoi fini, fa parte del movimento internazionale (so- cialdemocratico) della classe operaia di tutti i paesi. 6. L’ostacolo principale alla lotta della classe operaia russa per la sua emancipazione è il governo autocratico assoluto con i suoi funzionari irresponsabili. Il governo, fondandosi sui privilegi dei proprietari terrieri e dei capitalisti e servendone gli interessi, viene in pratica a privare completamente di ogni diritto i ceti in- feriori, imbriglia così il movimento degli operai e frena l’evolu- zione di tutto il popolo. Pertanto, la lotta della classe operaia russa per la propria emancipazione suscita necessariamente la lotta con- tro il potere assoluto del governo autocratico. B 1. Il Partito socialdemocratico russo dichiara che è suo compito sostenere la lotta della classe operaia russa, sviluppando la coscienza di classe degli operai, cooperando alla loro organizza- zione, indicando i compiti e gli scopi della lotta. 2. La lotta della classe operaia russa per la propria emancipa- zione è una lotta politica, e il suo primo obiettivo è la conquista della libertà politica. 3. Di conseguenza, il Partito socialdemocratico russo, senza separarsi dal movimento operaio, sosterrà ogni movimento sociale diretto contro il potere assoluto del governo autocratico, contro la classe della nobiltà fondiaria privilegiata e contro tutte le vestigia della servitù della gleba e dello spirito di casta, che limitano la li- bertà di concorrenza. 4. Al contrario, il Partito socialdemocratico russo dichiarerà guerra a tutte le tendenze che mirano a elargire alle classi lavo- ratrici i benefici della tutela del governo assoluto e dei suoi fun- zionari, e a frenare lo sviluppo del capitalismo e quindi lo svi- luppo della classe operaia. PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 87 5. L’emancipazione degli operai deve essere opera degli stessi operai. 6 . Il popolo russo non ha bisogno dell’aiuto del governo as- soluto e dei suoi funzionari, ma ha bisogno di emanciparsi dal- l’oppressione di questo governo. C. Il Partito socialdemocratico russo, movendo da queste con- cezioni, esige anzitutto: 1. La convocazione dell’Assemblea degli zemstvo , composta dai delegati di tutti i cittadini, per l’elaborazione della costi- tuzione. 2. Il diritto al suffragio universale e diretto per tutti i citta- dini russi che abbiano compiuto ventun anno, senza distinzione di confessione religiosa e di nazionalità. 3. Libertà di riunione, di associazione e di sciopero. 4. Libertà di stampa. 5. L’abolizione delle caste e la completa uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. 6. Libertà di culto e parità di diritti per tutte le nazionalità. Trasferimento della tenuta degli atti di nascita nelle mani di fun- zionari civili indipendenti, non subordinati alla polizia. 7. Il riconoscimento a ogni cittadino del diritto di citare a giu- dizio qualsiasi funzionario, senza far ricorso all’autorità superiore. 8. L’abolizione dei passaporti, e la piena libertà di viaggiare e trasferire il proprio domicilio. 9. Libertà di mestiere e di professione, e soppressione delle corporazioni. D. Per gli operai il Partito socialdemocratico russo chiede : 1. L’istituzione di tribunali industriali, in tutti i rami dell’in- dustria, con giudici eletti pariteticamente dai capitalisti e dagli operai. 2. La limitazione per legge della giornata lavorativa a otto ore. 3. Il divieto legislativo del lavoro notturno e dei turni. Il di- vieto del lavoro dei fanciulli in età inferiore ai quindici anni. 4. L’istituzione per legge del riposo festivo. 5. L’estensione della legislazione sulle fabbriche e della ispe- zione di fabbrica a tutti i settori dell’industria in tutta la Russia 88 LENIN e alle fabbriche dello Stato, nonché agli artigiani che lavorano a domicilio. 6. Gli ispettori di fabbrica debbono avere una posizione auto- noma e non dipendere dal ministero delle finanze. I membri dei tribunali industriali debbono avere diritti uguali a quelli degli ispettori di fabbrica nel controllo deirapplicazione delle leggi sulle fabbriche. 7. Il divieto assoluto, in qualsiasi caso, della remunerazione in merci. 8. Il controllo, effettuato da delegati eletti dagli operai, sulla giusta determinazione delle tariffe, sullo scarto delle merci, sul- l’impiego dei proventi delle multe e sulle abitazioni degli operai costruite dalle fabbriche. Una legge, in base alla quale tutte le trattenute sul salario degli operai, qualunque ne sia la destinazione (multe, scarto, ecc.), non possano superare complessivamente i io copechi per rublo. 9. Una legge sulla responsabilità dei fabbricanti per gli infor- tuni sul lavoro con l’obbligo, per il fabbricante, di fornire la prova quando la colpa è attribuita all’operaio. 10. Una legge sull’obbligo per i fabbricanti di organizzare scuole e assicurare l’assistenza sanitaria agli operai. E. Per i contadini il Partito socialdemocratico esige: 1. L’abolizione del riscatto 29 e il risarcimento delle rate già pagate. La restituzione del denaro in più versato all’erario. 2. La restituzione ai contadini delle terre stralciate nel 1861. 3. Piena uguaglianza di tributi e imposte per le terre dei con- tadini e dei grandi proprietari fondiari. 4. L’abolizione della responsabilità collettiva 30 e di tutte le leggi che limitano la facoltà dei contadini di disporre delle proprie terre. SPIEGAZIONE DEL PROGRAMMA Il programma è suddiviso in tre parti essenziali. Nella prima vengono esposte tutte le concezioni da cui derivano le restanti parti del programma. In questa prima parte si indica quale posizione PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 89 occupa la classe operaia nella società contemporanea, quale signi- ficato e importanza assume la sua lotta contro i fabbricanti, e quale è la posizione politica della classe operaia nello Stato russo. Nella seconda parte si espone il compito del partito e si indica quali rapporti il partito ha con le altre tendenze politiche della Russia. Si dichiara qui quale deve essere l’attività del partito e di tutti gli operai coscienti dei propri interessi di classe, e quale deve essere la loro posizione verso gli interessi e le aspirazioni delle altre classi della società russa. La terza parte contiene le rivendicazioni pratiche del partito. Essa è suddivisa in tre sezioni. La prima contiene la richiesta di trasformazioni strutturali dello Stato. La seconda le rivendica- zioni e il programma della classe operaia. La terza le rivendicazioni a favore dei contadini. Esporremo adesso alcuni chiarimenti pre- liminari a queste sezioni, prima di passare alla parte pratica del programma. A 1. Il programma parla anzitutto del rapido sviluppo delle grandi fabbriche e officine, perchè questo è il fenomeno principale della Russia contemporanea, che modifica radicalmente tutte le vecchie condizioni di vita e, in particolare, le condizioni di vita della classe lavoratrice. Nelle vecchie condizioni quasi tutta la massa delle ricchezze veniva prodotta dai piccoli proprietari, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. La popolazione viveva stabilmente nelle campagne, producendo la maggior parte dei beni o per il suo consumo personale o per il piccolo mercato dei villaggi limitrofi, scarsamente collegato con gli altri mercati vicini. Gli stessi piccoli proprietari lavoravano per i grandi proprietari fondiari che li costringevano a produrre preva- lentemente beni per il loro consumo personale. I prodotti dome- stici venivano dati in lavorazione agli artigiani, che vivevano an- ch'essi in campagna o andavano nei dintorni in cerca di lavoro. Ma dall’epoca dell’emancipazione dei contadini queste condi- zioni di vita delle masse popolari hanno subito un mutamento radicale: in luogo dei piccoli laboratori artigiani sono sorte le grandi fabbriche, che si sono sviluppate con straordinaria rapi- dità; esse hanno soppiantato i piccoli proprietari, trasformandoli in operai salariati, e hanno costretto centinaia e migliaia di operai a 90 LENIN lavorare insieme, producendo enormi quantità di merci da ven- dere in tutta la Russia. L’emancipazione dei contadini ha eliminato la stabilità della popolazione e ha posto i contadini in condizioni tali che essi non sono più riusciti a nutrirsi coi pezzetti di terra loro rimasti. La massa del popolo si è gettata alla ricerca di un salario, andando nelle fabbriche, nei cantieri di costruzione delle ferrovie, che col- legano i diversi angoli della Russia e trasportano dappertutto i prodotti delle grandi fabbriche. La massa del popolo è andata nelle città per guadagnarsi un salario, e ha trovato lavoro nella costruzione di fabbriche e di edifici commerciali, nel trasporto di combustibile per le fabbriche, nella preparazione di materiali per queste fabbriche. Molti, infine, lavorano a domicilio, vendendo i prodotti ai commercianti e ai fabbricanti che non fanno in tempo ad ampliare i propri stabilimenti. Le stesse trasformazioni sono av- venute nell’agricoltura: i grandi proprietari fondiari si sono messi a produrre grano per il mercato, sono apparsi grandi agricoltori, provenienti dai contadini e dai commercianti, si è cominciato a ven- dere all’estero centinaia di milioni di pud di grano. Nella produ- zione si sono impiegati operai salariati, e centinaia di migliaia e milioni di contadini, abbandonati i loro minuscoli appezzamenti, sono divenuti braccianti e giornalieri dei nuovi padroni che pro- ducono grano per il mercato. Questi mutamenti delle vecchie con- dizioni di vita sono descritti nel programma, dove si dice che le grandi fabbriche e officine mandano in rovina i piccoli artigiani e i contadini, trasformandoli in operai salariati. La piccola produzione e dappertutto soppiantata dalla grande produzione; e in questa grande produzione le masse operaie sono già costituite da semplici salariati, i quali in cambio di un salario lavorano per il capitalista, che dispone di ingenti capitali, costruisce immensi stabilimenti, acquista enormi quantitativi di materiale e intasca tutto il profitto proveniente da questa produzione di massa degli operai riuniti. La produzione diventa capitalistica e soffoca spietatamente e cru- delmente tutti i piccoli proprietari, mettendo fine alla loro sta- bilita nelle campagne, costringendoli a errare come semplici mano- vali da un angolo airaltro del paese e a vendere il proprio lavoro al capitale. Una parte sempre più vasta della popolazione si al- PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 91 lontana definitivamente dalla campagna e dall’agricoltura e si raduna nelle città, nelle località e nei centri manifatturieri e in- dustriali, dando vita a una particolare classe di uomini che non hanno alcuna proprietà: la classe degli operai salariati, dei pro- letari, che vivono esclusivamente della vendita della loro forza- lavoro. Ecco in che cosa consistono le immani trasformazioni prodotte nella vita del paese dalle grandi fabbriche e officine: la piccola produzione è sostituita dalla grande, i piccoli proprietari sono trasformati in operai salariati. Che cosa dunque significa questa trasformazione per tutto il popolo lavoratore e a che cosa conduce? Di ciò parla più oltre il programma. A 2. La sostituzione della piccola produzione con la grande produzione è accompagnata .dalla sostituzione dei limitati mezzi monetari, che si trovavano nelle mani del singolo proprietario, con ingenti capitali, dalla sostituzione di utili modesti e insignficanti con profitti di milioni. Lo sviluppo del capitalismo conduce quindi dappertutto aH’incremento del lusso e della ricchezza. In Russia si è creata un’intiera classe di magnati della finanza, di fabbricanti, di proprietari di ferrovie, di commercianti, di banchieri, si è creata un’intiera classe di uomini che vivono dei profitti del capitale finanziario, prestato a interesse agli industriali; i grandi proprietari terrieri si sono arricchiti, facendosi pagare dai contadini un elevato riscatto per la terra, approfittando della loro fame di terra per aumentare il prezzo della terra data in affitto, costruendo nelle loro proprietà grandi zuccherifici e distillerie. Il lusso e lo sperpero hanno raggiunto in tutte queste categorie di ricchi proporzioni scandalose; nelle strade principali delle grandi città sono sorti in gran numero palazzi principeschi e dimore sfarzose. Ma di pari passo con lo sviluppo del capitalismo è andata peggiorando la si- tuazione dell’operaio: i salari sono qua e là aumentati dopo l’eman- cipazione dei contadini, ma di poco e per breve tempo, giacche la massa della popolazione affamata che affluiva dalla campagna faceva diminuire i salari, e inoltre i generi di consumo rincaravano, al punto che persino con un salario più alto l’operaio poteva ot- tenere una minor quantità di mezzi di sussistenza; procacciarsi un salario diveniva sempre più difficile, e accanto agli sfarzosi pa- 92 LENIN lazzi dei ricchi (o nelle periferie delle città) sorgevano i tuguri degli operai, costretti ad abitare in sotterranei, in locali sovraffol- lati, umidi, freddi, e persino in capanne di terra, nei pressi dei nuovi stabilimenti industriali. Il capitale, diventando sempre più saldo e più forte, opprimeva gli operai, trasformandoli in poveri, costringendoli a dare tutto il proprio tempo alla fabbrica, spin- gendo al lavóro le loro donne e i loro figli. Ecco dunque in che consiste la prima trasformazione prodotta dallo sviluppo del ca- pitalismo: ingenti ricchezze vengono concentrate nelle mani di un piccolo pugno di capitalisti, mentre le masse popolari si tra- sformano in masse di poveri. La seconda trasformazione consiste nel fatto che la sostituzione della piccola produzione ad opera della grande ha portato con sè numerosi perfezionamenti nella produzione. Anzitutto, al lavoro individuale, isolato in ogni piccolo laboratorio, presso ogni piccolo proprietario separatamente, si è sostituito il lavoro degli operai riuniti, che lavorano insieme in una stessa fabbrica, presso uno stesso proprietario terriero, presso uno stesso appaltatore. Il lavoro collettivo è assai più fruttuoso (più produttivo) di quello individuale e consente di produrre le merci assai più agevolmente e celermente. Ma di tutti questi miglioramenti si avvale solo il capitalista, che paga agli operai una miseria e si appropria gra- tuitamente tutto il profitto derivante dal lavoro collettivo degli operai. Il capitalista diventa più forte, Toperaio più debole, perchè quest’ultimo si abitua a un solo lavoro e incontra maggiori diffi- coltà a cambiare lavoro, a mutare occupazione. Un secondo e assai più rilevante miglioramento della produ- zione è rappresentato dalle macchine che il capitalista introduce. La produttività del lavoro aumenta di molte volte in seguito al- 1 impiego delle macchine; ma il capitalista ritorce anche questo vantaggio contro gli operai: approfittando del fatto che le mac- chine esigono minore sforzo fisico, egli assume donne e ragazzi, pagando loro un salario più basso; approfittando del fatto che le macchine richiedono un numero assai minore di operai, egli li licenzia in massa dalla fabbrica e sfrutta la disoccupazione per asservire piu duramente Toperaio, per prolungarne la giornata lavorativa, per sottrargli il riposo notturno e trasformarlo in una PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 93 semplice appendice della macchina. La disoccupazione, provo- cata dalle macchine e in costante ascesa, annulla ogni capacità di difesa delFoperaio. Il suo mestiere si svilisce, egli viene facil- mente sostituito dal semplice manovale, che rapidamente si abitua alla macchina e lavora volentieri per un salario inferiore. Ogni tentativo di difendersi dalla crescente oppressione del capitale porta al licenziamento. L’operaio isolato è assolutamente impotente di fronte al capitale, la macchina minaccia di schiacciarlo. A 3. Nel commento al paragrafo precedente abbiamo dimo- strato che l’operaio isolato è impotente e inerme di fronte al capitalista che ha introdotto le macchine. L’operaio deve ricercare, a qualunque costo, i mezzi per opporre resistenza al capitalista per difendersi. E questo mezzo lo trova ntWunione. Impotente se isolato, l’operaio diviene una forza quando si unisce ai propri compagni; allora può lottare contro il capitalista e opporgli resi- stenza. L 'unione diventa una necessità per l’operaio dinanzi a cui già sta il grande capitale. Ma è possibile unire una massa di persone estranee tra loro, anche se lavorano nella stessa fabbrica? Il pro- gramma indica le condizioni che preparano gli operai all’unione e sviluppano in loro la capacità e l’attitudine a unirsi. Esse sono: 1) la grande fabbrica con la produzione meccanica, che richiede un lavoro permanente per tutto l’anno, spezza completamente ogni legame dell’operaio con la terra e con la sua proprietà per- sonale, rendendolo un vero e proprio proletario. La proprietà di un pezzetto di terra separava gli operai, suscitava in ognuno di essi un interesse particolare, distinto dagli interessi del compagno, e ostacolava così la loro unione. La separazione dell’operaio dalla terra rimuove questi ostacoli. 2) Inoltre, il lavoro collettivo di centinaia e migliaia di operai educa, di per se, gli operai alla comune discussione delle proprie esigenze, all’azione comune, mettendo in luce l’identità della situazione e degli interessi di tutta la massa operaia. 3) Infine, le continue peregrinazioni di fab- brica in fabbrica educano gli operai a prender contatto con le condizioni e gli ordinamenti delle diverse fabbriche, a paragonarli, a persuadersi che esiste un identico sfruttamento in tutte le fab- briche, ad assimilare l’esperienza degli altri operai nei loro con- 94 LENIN flitti col capitalista, e consolidano così la compattezza e la solida- rietà degli operai. Appunto queste condizioni, nel loro complesso, hanno fatto sì che la nascita delle grandi fabbriche e officine gene- rasse l’unione degli operai. Fra gli operai russi questa unione si esprime più spesso e più energicamente negli scioperi (diremo in seguito perchè i nostri operai non possono unirsi nei sindacati o nelle casse mutue). Quanto più vigoroso è lo sviluppo delle grandi fabbriche e officine, tanto più frequenti, energici e tenaci diventano gli scioperi, giacché quanto più opprimente è il giogo del capitalismo, tanto più necessaria è la resistenza comune degli operai. Gli scioperi e le rivolte isolate degli operai costituiscono, come afferma il programma, il fenomeno attualmente più diffuso nelle fabbriche russe. Ma, quanto più il capitalismo si sviluppa e gli scioperi diventano frequenti, tanto più lo sciopero si rivela un'arma inadeguata, I fabbricanti prendono contro gli scioperi provvedimenti comuni: stipulano tra loro un’alleanza, assumono operai in altre località, ricorrono all’appoggio del potere statale, che li aiuta a spezzare la resistenza degli operai. Contro gli operai non v’è più soltanto il singolo proprietario della singola fabbrica; contro di loro vi è tutta la classe dei capitalisti , sostenuta dal governo. Tutta la classe dei capitalisti comincia a lottare contro tutta la classe degli operai , ricercando misure comuni contro gli scioperi, ottenendo dal governo leggi antioperaie, trasferendo le fabbriche e le officine in località più remote, ricorrendo al lavoro a domicilio e a mille altri raggiri e sotterfugi a danno degli operai. L'unione degli operai di una singola fabbrica, di un singolo ramo dell’industria, si rivela inadeguata a resistere a tutta la classe dei capitalisti; diventa assolutamente indispensabile l’azione comune di tutta la classe degli operai . Così, dalle rivolte operaie isolate nasce la lotta di tutta la classe operaia. La lotta degli operai contro i fabbricanti si trasforma in lotta di classe . Tutti i fabbricanti sono uniti dallo stesso interesse di asservire gli operai e di retribuirli il meno possibile. E i fabbricanti comprendono di non poter soste- nere la propria causa altrimenti che attraverso Tazione comune di tutta la classe dei fabbricanti, altrimenti che esercitando un’in- fluenza sul potere statale. Anche gli operai sono uniti dal comune interesse di non lasciarsi schiacciare dal capitale, di difendere il PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 95 proprio diritto alla vita e a un’esistenza umana. E anche gli operai comprendono che l’unità, l’azione comune di tutta la classe, della classe operaia, è per loro indispensabile, e che quindi essi debbono acquistare influenza sul potere statale. A 4. Abbiamo così chiarito come e perchè la lotta degli operai di fabbrica contro i fabbricanti diventa lotta di classe, lotta della classe Operaia, dei proletari, contro la classe dei capitalisti, contro la borghesia. Ci domandiamo adesso quale significato questa lotta assume per tutto il popolo e per tutti i lavoratori. Nelle attuali con- dizioni, di cui abbiamo già parlato nel commento al primo para- grafo, la produzione effettuata per mezzo degli operai salariati soppianta sempre più la piccola produzione. Il numero di coloro che vivono di lavoro salariato aumenta rapidamente, e non au- menta soltanto il numero degli operai permanenti di fabbrica, ma ancor più quello dei contadini che sono costretti, per sosten- tarsi, a cercare un lavoro salariato. Oggi, il lavoro salariato, il lavoro per il capitalista è divenuto la forma più diffusa di lavoro. Il dominio del capitale sul lavoro si estende alla massa della popo- lazione non solo neH’industria, ma anche neH’agricoltura. Le grandi fabbriche portano al massimo grado di sviluppo lo sfruttamento del lavoro salariato, che è alla base della società contemporanea. Tutti i metodi di sfruttamento applicati da tutti i capitalisti in tutti i rami dell’industria, a causa dei quali soffre l’intiera massa della popolazione operaia della Russia, qui, nell’interno della fab- brica, vengono riuniti, potenziati, resi norma costante, estesi a tutti gli aspetti del lavoro e della vita dell’operaio, creano tutto un ordi- namento, un sistema organico mediante il quale il capitalista sfrutta fino all’ultimo sangue l’operaio. Spieghiamoci con un esempio: sempre e dappertutto, chiunque venga assunto a un lavoro, si riposa, non lavora nel giorno festivo, se questa festività è celebrata nel luogo in cui egli vive. Assolutamente diversa è la situazione nella fabbrica: assumendb il lavoratore, la fabbrica ne dispone a proprio arbitrio, senza tener assolutamente conto delle abitudini dell’operaio, del suo consueto modo di vita, della sua situazione familiare, delle sue esigenze intellettuali. La fabbrica esonera l’operaio dal lavoro solo quando ciò è per essa necessario, costringendolo a uniformare alle proprie esigenze tutta la sua 96 LENIN vita, costringendolo a frazionare il riposo e, col sistema dei turni, a lavorare di notte e nei giorni festivi. Tutti gli abusi che si pos- sono immaginarie per quanto concerne l’orario di lavoro, la fabbrica li mette in pratica e inoltre introduce proprie « norme », propri « regolamenti » che sono obbligatori per ogni operaio. Il regolamento interno della fabbrica è architettato in modo tale che consente di spremere dall’operaio tutta la quantità di lavoro che egli può dare, di spremere l’operaio quanto più rapidamente è pos- sibile per poi buttarlo sul lastrico! Secondo esempio. Chiunque sia assunto a un lavoro si impegna, naturalmente, a ubbidire al padrone, a eseguire ciò che gli si ordina di fare. Ma, impegnandosi a eseguire un lavoro temporaneo, egli non rinuncia affatto alla propria volontà; se ritiene illegittima o eccessiva una richiesta del padrone, se ne va. La fabbrica pretende che loperaio rinunci alla propria volontà; essa impone una disciplina, costringendo loperaio a iniziare il lavoro e a interromperlo al suono della campana, si arroga il diritto di punire loperaio, e per ogni infrazione alle norme da essa stabilite gli infligge una multa o gli impone una trattenuta sul salario. L’operaio diviene così un pezzo di un’im- mensa macchina; egli deve essere altrettanto cieco nell’ubbidienza, sottomesso e privo di volontà, quanto la stessa macchina. Terzo esempio. Chiunque venga assunto a un lavoro, ogni qualvolta è insoddisfatto del padrone, fa ricorso al tribunale o alle autorità. Sia le autorità che il tribunale risolvono di solito la vertenza a vantaggio del padrone, gli tengono bordone; tuttavia questo favoreggiamento degli interessi padronali non si fonda su una norma generale o sulla legge, ma soltanto sul servilismo di taluni funzionari, i quali difendono più o meno i padroni, i quali risolvono ingiustamente la vertenza a vantaggio del padrone, o perchè lo conoscono o perchè ignorano le condizioni di lavoro e sono incapaci di comprendere l’operaio. Ogni singolo caso di una siffatta ingiustizia dipende da ogni singolo conflitto tra operaio e padrone, da ogni singolo funzionario. La fabbrica invece riunisce una tale massa di operai, porta le vessazioni a un tale grado, che diventa impossibile sceverare ogni singolo caso. Si creano norme generali, si elabora una legge sui rapporti tra gli operai e i fabbri- canti, una legge obbligatoria per tutti, dove il favoreggiamento PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 97 degli interessi padronali è sancito dal potere statale. All’ingiustizia di taluni funzionari si sostituisce l’ingiustizia della stessa legge. Si hanno, per esempio, norme secondo le quali in caso di assenza ingiustificata l’operaio non solo perde il salario, ma deve pagare anche una multa, mentre se il padrone manda a spasso un operaio non deve pagargli nulla. Così, il padrone può licenziare loperaio per una risposta insolente, ma l’operaio non può andarsene per la stessa ragione; il padrone ha facoltà di infliggere arbitrariamente multe e imporre trattenute, o di pretendere il lavoro straordi- nario, ecc. Tutti questi esempi dimostrano come la fabbrica intensifichi lo sfruttamento degli operai e lo renda generale, erigendolo a « sistema ». Volente o nolente, l’operaio oggi non è più costretto a subire un solo padrone, la sua volontà e le sue angherie, ma l’ar- bitrio e le vessazioni di tutta la classe padronale. L’operaio com- prende di non essere oppresso da un solo capitalista ma da tutta la classe dei capitalisti, perchè in tutte le fabbriche vige lo stesso sistema di sfruttamento; nessun capitalista può sottrarsi a questo sistema: se egli, per esempio, volesse abbreviare il tempo di lavoro, dovrebbe vendere le merci a un prezzo più alto del suo vicino, del fabbricante che costringe l’operaio a lavorare più a lungo, pagan- dogli lo stesso salario. Se vuole migliorare la propria situazione, l’operaio deve oggi lottare contro tutta la struttura sociale fondata sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Contro l’operaio non ve più la singola ingiustizia di un qualsiasi funzionario, ma l’ingiustizia dello stesso potere statale, che prende sotto la sua protezione tutta la classe dei capitalisti e promulga leggi impera- tive per tutti a vantaggio di questa classe. La lotta degli operai di fabbrica contro i fabbricanti si trasforma quindi ineluttabil- mente nella lotta contro tutta la classe dei capitalisti, contro l’in- tiera struttura sociale fondata sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Perciò la lotta degli operai assume un significato sociale, diventa una lotta in nome di tutti i lavoratori, contro tutte le classi che vivono del lavoro altrui. Perciò la lotta degli operai dischiude una nuova epoca nella storia russa ed è l’alba dell’eman- cipazione degli operai. Su che cosa poggia il dominio della classe dei capitalisti sopra 7-573 9 8 LENIN tutta la massa dei lavoratori? Sul fatto che tutte le fabbriche, le officine, le miniere, le macchine e gli strumenti di lavoro si trovano nelle mani dei capitalisti, come loro proprietà privata; sul fatto che nelle loro mani si trovano immense estensioni di terra, (oltre un terzo di tutta la terra della Russia europea appartiene ai grandi pro- prietari fondiari, i quali non sono in tutto neppure mezzo milione). Gli operai, non possedendo nè strumenti di lavoro nè materie prime, debbono vendere la propria forza-lavoro ai capitalisti, i quali pagano agli operai solo quanto è indispensabile al loro sostenta- mento, intascando tutto il prodotto eccedente del lavoro; i capita- listi remunerano così solo una parte del tempo speso nel lavoro e si appropriano la parte restante. L’aumento della ricchezza pro- veniente dal lavoro collettivo della massa operaia o dai perfeziona- menti della produzione va interamente alla classe dei capitalisti, mentre gli operai, pur lavorando una generazione dopo l’altra, rimangono sempre proletari nullatenenti. Esiste quindi un solo mezzo per porre fine allo sfruttamento del lavoro da parte del ca- pitale: liquidare la proprietà privata degli strumenti di lavoro, trasferire tutte le fabbriche, le officine, le miniere, tutte le grandi proprietà terriere, ecc. nelle mani di tutta la società, e organizzare la produzione socialista, diretta dagli stessi operai. I prodotti del lavoro comune dovranno andare a vantaggio degli stessi lavoratori, e quel che producono in più di quanto è necessario al loro mante- nimento servirà per soddisfare le esigenze degli stessi operai, per sviluppare pienamente tutte le loro capacità, e per farli godere, a pari diritto, di tutte le conquiste della scienza e dell’arte. Nel pro- gramma si dice pertanto che solo in questo modo può concludersi la lotta della classe operaia contro i capitalisti.. Ma a tal fine è indi- spensabile che il potere politico, ossia la direzione dello Stato, dalle mani di un governo influenzato dai capitalisti e dai proprietari terrieri, o dalle mani di un governo composto direttamente da rappresentanti eletti dai capitalisti, passi nelle mani della classe operaia. È questo il fine ultimo della lotta della classe operaia, è questa la condizione della sua totale emancipazione. A questo fine ultimo debbono tendere gli operai coscienti e uniti; ma in Russia essi in- PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 99 contrano ancora enormi ostacoli, che impediscono loro di lottare per la propria emancipazione. A 5. La lotta contro il dominio della classe dei capitalisti è condotta attualmente dagli operai di tutti i paesi europei, nonché dagli operai deirAmerica e dell’Australia. L’unità e la coesione della classe operaia non restano circoscritte nei confini di un paese o di una nazionalità: i partiti operai dei diversi paesi proclamano ad alta voce l’assoluta identità (solidarietà) degli interessi e degli scopi degli operai di tutto il mondo. Essi si riuniscono in con- gressi comuni, presentano alla classe dei capitalisti di tutti i paesi rivendicazioni comuni, istituiscono la festa internazionale di tutto il proletariato unito che aspira alla propria emancipazione (i° maggio), unendo la classe operaia di tutte le nazionalità e di tutti i paesi in un grande esercito operaio. L’unione degli ope- rai di tutti i paesi diventa necessaria, perchè la classe dei capitalisti, che domina sugli operai, non limita il proprio dominio a un solo paese. Le relazioni commerciali fra i diversi Stati divengono sempre più strette e abbracciano un capo sempre più vasto; il capitale viene trasferito continuamente da un paese a un altro. Le banche, questi depositi di capitali che raccolgono il capitale in ogni luogo e lo danno in prestito ai capitalisti, da nazionali diventano internazio- nali, raccolgono capitali in tutti i paesi e li distribuiscono ai capi- talisti d’Europa e d’America. Le grandi società per azioni già si accingono a dirigere le imprese capitalistiche non in un solo paese ma simultaneamente in alcuni paesi; si creano le società interna- zionali dei capitalisti. Il dominio del capitale è internazionale. Ecco perchè anche la lotta degli operai di tutti i paesi per l’emanci- pazione ha successo solo in caso di una lotta comune degli operai contro il capitale internazionale. Ecco perchè il compagno del- l’operaio russo nella lotta contro la classe dei capitalisti è l’operaio tedesco, polacco, francese, così come il suo nemico sono i capitalisti russi, polacchi, francesi. Negli ultimi tempi i capitalisti stranieri si sono mostrati particolarmente propensi a trasferire i propri capi- tali in Russia, a istituirvi succursali delle proprie fabbriche e offi- cine, a fondarvi compagnie per la costituzione di nuove imprese. Essi si gettano avidamente sul giovane paese dove il governo è così ben disposto e servile verso il capitale come in nessun altro luogo, 7 * 100 LENIN dove essi trovano operai meno uniti e meno capaci di opporre resistenza che in Occidente, dove molto più basso è il tenore di vita degli operai, e, quindi, anche il loro salario, sicché questi capitalisti stranieri possono realizzare profitti colossali, mai ottenuti nei loro paesi. Il capitale internazionale ha steso la sua mano anche sulla Russia. Gli operai russi tenderanno la mano al movimento operaio internazionale. A 6. Abbiamo già detto che le grandi fabbriche e officine ele- vano al massimo grado l’oppressione del capitale sul lavoro, che esse creano tutto un sistema di sfruttamento; che gli operai, insor- gendo contro il capitale, giungono ineluttabilmente alla convin- zione che è necessario unire tutti gli operai, che è necessario che tutta la classe operaia conduca la lotta in comune. In questa lotta contro la classe dei capitalisti gli operai entrano in conflitto con le leggi fondamentali dello Stato, leggi che tutelano i capitalisti e i loro interessi. Ma se, unendosi, gli operai si rivelano capaci di strappare delle concessioni ai capitalisti, di opporre loro resistenza, essi potrebbero, con questa stessa unione, influire sulle leggi dello Stato, ottenere che vengano modificate. Così fanno infatti gli operai di tutti gli altri paesi; ma gli operai russi non possono influire direttamente sullo Stato. In Russia le condizioni degli operai sono tali che essi sono privi dei diritti civili più elementari. Gli operai russi non osano riunirsi, discutere collettivamente i loro problemi, fondare associazioni, pubblicare dichiarazioni; in altri termini, le leggi dello Stato non soltanto sono elaborate nell’interesse della classe dei capitalisti, ma privano addirittura gli operai di ogni possi- bilità di influire su queste leggi e ottenere che vengano modificate. Ciò avviene perchè in Russia (e fra tutti gli altri Stati europei nella sola Russia) vige tuttora il potere assoluto del governo autocratico, ossia quella struttura statale nella quale soltanto lo zar può, a suo arbitrio, promulgare leggi imperative per tutto il popolo, e sol- tanto i funzionari da lui designati possono applicare queste leggi. I cittadini non possono prender parte all’elaborazione e alla di- scussione delle leggi, nè proporre nuove leggi, nè richiedere l’abro- gazione delle vecchie. Essi non hanno alcun diritto di chieder conto ai funzionari del loro operato, di controllarli, di denunciarli al- PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO IOI l’autorità giudiziaria. I cittadini non hanno neanche il diritto di discutere i problemi politici, non osano convocare assemblee nè costituire associazioni senza l’autorizzazione dei funzionari. I fun- zionari sono quindi irresponsabili, nel pieno senso della parola; essi costituiscono quasi una casta particolare che sta al di sopra dei cittadini. L’irresponsabilità e l’arbitrio dei funzionari e il fatto che la popolazione sia priva di qualsiasi diritto di esprimere la propria opinione generano da parte dei funzionari abusi di potere così scandalosi e una tale violazione dei diritti del popolo semplice che sono senza dubbio impossibili in altri paesi europei. E così, secondo la legge, il governo- russo ha un potere assolu- tamente illimitato; esso si considera totalmente indipendente dal popolo, al di sopra di tutti i ceti e le classi. Ma se ciò fosse vero, perchè mai in tutti i conflitti tra gli operai e i capitalisti sia la legge che il governo sono sempre dalla parte dei capitalisti? Perchè mai i capitalisti, col moltiplicarsi del loro numero e con l’accrescersi della loro ricchezza, trovano appoggi sempre più vasti mentre gli operai incontrano resistenze e restrizioni sempre maggiori ? In realtà, il governo non sta al di sopra delle classi, ma prende sotto la sua protezione una classe contro l’altra, prende sotto la sua protezione la classe degli abbienti contro i nullatenenti, dei capi- talisti contro gli operai. Un governo assoluto non potrebbe neppure dirigere uno Stato così immenso se non concedesse privilegi e age- volazioni alle classi abbienti. Sebbene il governo sia, secondo la legge, un potere assoluto e autonomo, di fatto i capitalisti e i proprietari terrieri possono in mille modi influire sul governo e sugli affari dello Stato. Essi hanno le loro istituzioni di casta, le associazioni di nobili e di commercianti, i comitati per il commercio e le manifatture, ecc., riconosciuti dalla legge. I rappresentanti da loro eletti o diventano direttamente dei funzionari e partecipano alla direzione dello Stato (ad esempio, i marescialli della nobiltà), o sono invitati a far parte di tutte le istituzioni governative: ad esempio, i fabbricanti per legge siedono nei consigli per gli affari delle fabbriche (si tratta di organi preposti agli ispettori di fabbrica), dove hanno i loro rappresentanti. Ma non si limitano soltanto a questa forma di par- tecipazione immediata alla direzione dello Stato. Nelle loro asso- 102 LENIN dazioni discutono le leggi dello Stato, elaborano progetti, e il governo in genere chiede la loro opinione su ogni problema, sotto- pone al loro esame qualsiasi progetto e li invita a dare il loro parere. I capitalisti e i proprietari terrieri organizzano congressi nazio- nali, nei quali discutono i loro affari, ricercano le misure più vantaggiose per la loro classe, formulano a nome di tutta la nobiltà terriera, a nome dei « commercianti di tutta la Russia > la richiesta di promulgare nuove leggi e di modificare le vecchie. Possono discutere i loro problemi sulla stampa, poiché, per quanto il governo soffochi la stampa con la censura, non oserebbe neppur sognare di privare le classi abbienti del diritto di discutere i propri problemi. Essi hanno libero accesso presso i massimi esponenti del potere statale, possono discutere a loro agio gli arbìtri dei funzio- nari di grado inferiore, facilmente possono ottenere l’abrogazione di leggi e regolamenti particolarmente restrittivi. E se in nessun paese del mondo esiste una tale moltitudine di leggi e regolamenti, una così illimitata sorveglianza poliziesca da parte del governo, sorveglianza cui non sfugge nessuna piccolezza e che soffoca ogni cosa viva, in nessun paese del mondo questi regolamenti borghesi vengono così facilmente infranti, e così facilmente sono eluse queste leggi poliziesche, con la benevola condiscendenza delle autorità superiori. E questa benevola condiscendenza non viene mai ricusata 31 . B i. È questo il punto più importante, il punto principale del programma, perchè precisa in che cosa debbono consistere l’atti- vità del partito che difende gli interessi della classe operaia e l’at- tività di tutti gli operai coscienti. Esso indica in che modo l’aspi- razione al socialismo, l’aspirazione a eliminare reterno sfrutta- mento dell’uomo da parte dell’uomo, debba essere fusa con il mo- vimento popolare, che sorge dalle condizioni di vita create dalle grandi fabbriche e officine. L’attività del partito deve consistere nel sostenere la lotta di classe degli operai. Il partito non ha il compito di escogitare un qualche mezzo alla moda per aiutare gli operai, ma il compito di unirsi al movimento degli operai, di portare la luce in questo mo- vimento, di sostenere gli operai nella lotta che essi stessi hanno PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 103 già iniziato. Il partito ha il compito di tutelare gli interessi degli operai e di rappresentare gli interessi di tutto il movimento operaio. Come deve manifestarsi l'aiuto che è necessario dare agli operai nella loro lotta? Il programma afferma che questo aiuto deve consistere, anzi- tutto, nello sviluppare la coscienza di classe degli operai. Abbiamo già spiegato come la lotta degli operai contro i fabbricanti divenga lotta di classe del proletariato contro la borghesia. Da quanto abbiamo detto a questo proposito risulta pertanto che cosa occorre intendere per coscienza di classe degli operai. Gli operai acquisiscono una coscienza di classe quando comprendono che Tunico mezzo per migliorare la loro situazione e per conse- guire la loro emancipazione sta nella lotta contro la classe dei capi- talisti e dei fabbricanti, classe che è stata creata dalle grandi fab- briche e officine. Inoltre, coscienza degli operai significa compren- sione del fatto che gli interessi di tutti gli operai di un dato paese sono identici, solidali, che gli operai costituiscono un’unica classe, diversa da tutte le altre classi della società. Infine, coscienza di classe degli operai significa consapevolezza del fatto che, per raggiungere i propri scopi, gli operai devono necessariamente poter influire sugli affari dello Stato, come già hanno fatto e continuano a fare i proprietari terrieri e i capitalisti. In che modo gli operai acquisiscono la consapevolezza di tutto questo? Gli operai l'acquisiscono attingendola incessantemente dalla stessa lotta che cominciano a condurre contro i fabbricanti, e che si estende sempre più, diviene sempre più aspra e coinvolge un numero sempre maggiore di operai a mano a mano che si moltiplicano le grandi fabbriche e officine. Ce stato un tempo in cui l’ostilità degli operai contro il capitale si esprimeva soltanto in un confuso sentimento di odio contro i loro sfruttatori, nella confusa coscienza della loro oppressione e schiavitù, nel desiderio di vendicarsi dei capitalisti. La lotta si esprimeva allora in rivolte isolate degli operai, i quali distruggevano gli edifici, infrangevano le macchine, bastonavano i dirigenti delle fabbriche, ecc. È stata questa la prima forma, la forma iniziale del movimento operaio; questa forma era indispensabile, perchè Iodio per il capitalista è stato sempre e dappertutto il primo impulso che ha destato negli LENIN T04 operai Ispirazione a difendersi. Ma il movimento operaio russo ha ormai superato questa fase iniziale. Invece di odiare in modo vago il capitalista, gli operai hanno cominciato a comprendere l’antago- nismo fra gli interessi della classe degli operai e gli interessi della classe dei capitalisti. Invece di sentire confusamente di essere op- pressi, essi hanno cominciato a capire in che cosa e come precisa- mente il capitale li opprime, e insorgono contro l’una o l’altra forma di oppressione, ponendo un limite alla pressione del capi- tale, difendendosi dalla cupidigia del capitalista. Invece di ven- dicarsi dei capitalisti, cominciano oggi a lottare per ottenere delle concessioni, cominciano a presentare alla classe dei capitalisti una rivendicazione dopo l’altra e chiedono il miglioramento delle con- dizioni di lavoro, l’aumento dei salari, la riduzione della giornata lavorativa. Ogni sciopero concentra tutta l’attenzione e tutti gli sforzi degli operai ora sull’una ora sull’altra delle condizioni in cui è posta la classe operaia. Ogni sciopero costringe a discutere queste condizioni, aiuta gli operai a valutarle, a comprendere in che cosa consiste l’oppressione del capitale, con quali mezzi è possi- bile lottare contro questa oppressione. Ogni sciopero arricchisce l’esperienza di tutta la classe operaia. Se lo sciopero è vittorioso, esso dimostra quale forza rappresenta l’unione degli operai, e induce gli altri operai ad avvalersi della vittoria dei compagni. Se fallisce, induce a discutere sulle cause del fallimento e a ricercare metodi di lotta migliori. Il passaggio — che si è iniziato in tutta la Russia — degli operai alla lotta inflessibile per i propri bisogni vitali, alla lotta per ottenere delle concesssioni, migliori condizioni di vita e salariali, la riduzione della giornata lavorativa, costituisce un grande passo in avanti compiuto dagli operai russi; e a questa lotta e al sostegno che è necessario fornirle debbono dedicare la propria attenzione il partito socialdemocratico e tutti gli operai coscienti. Aiutare gli operai significa indicare le esigenze più ur- genti per le quali si deve lottare, esaminare le ragioni che aggra- vano particolarmente la situazione di questi o quegli operai, spie- gare le leggi e i regolamenti sulle fabbriche, la cui violazione (oltre ai trucchi fraudolenti dei capitalisti) espone tanto spesso gli operai a una duplice rapina. Aiutare gli operai vuol dire esprimere in modo più esatto e più preciso le loro rivendicazioni PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 105 e formularle pubblicamente, scegliere il momento più opportuno per la resistenza, scegliere il metodo di lotta, discutere la situa- zione e valutare le forze delle due parti impegnate nella lotta, ricercare se esiste un metodo migliore di lotta (che può essere, forse, una lettera al fabbricante oppure un ricorso all’ispettore o al medico, secondo le circostanze, quando non sia necessario pas- sare direttamente allo sciopero, ecc.). Abbiamo detto che il passaggio degli operai russi a questa lotta dimostra che essi hanno compiuto un grande passo in avanti. Questa lotta pone (conduce) il movimento operaio sulla strada giusta, ed è la sicura garanzia del suo futuro successo. Attraverso questa lotta la massa degli operai impara anzitutto a identificare e a comprendere uno dopo labro i metodi dello sfruttamento ca- pitalistico, impara a considerarli in legame con la legge, con le proprie condizioni di vita, con gli interessi della classe dei capi- talisti. Gli operai, esaminando le diverse forme e i diversi casi di sfruttamento, imparano a comprendere l’importanza e l’essenza dello sfruttamento nel suo complesso, imparano a comprendere il sistema sociale che si fonda sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. In secondo luogo, in questa lotta gli operai sperimentano le proprie forze, imparano a unirsi, a comprendere la necessità e l’importanza di unirsi. Quando questa lotta si estende e i conflitti si moltiplicano, inevitabilmente la lotta si allarga, il sentimento dell’unità, della solidarietà, si sviluppa, dapprima negli operai di una determinata località, in seguito negli operai di tutto il paese, in tutta la classe operaia. In terzo luogo, questa lotta sviluppa la coscienza politica degli operai. Le masse ope- raie sono poste dalle loro stesse condizioni di vita in una si- tuazione tale che (non possono) non hanno nè tempo nè modo di riflettere su una qualsiasi questione politica. Ma gli operai, nel corso della lotta che essi conducono contro i fabbricanti per le proprie necessità quotidiane, sono indotti in modo spontaneo e inevitabilmente a interessarsi degli affari dello Stato, dei pro- blemi politici, a esaminare come è governato Io Stato russo, come vengono promulgate le leggi e i regolamenti e quali interessi essi servono. Ogni vertenza di lavoro pone necessariamente gli operai in conflitto con le leggi e coi rappresentanti del potere statale. Gli io6 LENIN operai ascoltano allora per la prima volta dei «discorsi politici». In un primo tempo sono gli ispettori di fabbrica che spiegano loro che il trucco di cui il fabbricante si è servito per spremerli fino in fondo è basato sull’esatta interpretazione dei regolamenti approvati dal potere vigente, il quale permette al fabbricante di spremere a suo arbitrio gli operai; oppure che le vessazioni del fabbricante sono del tutto legali, perchè costui esercita soltanto un suo diritto, si basa su una legge approvata dal potere statale. Alle spiegazioni politiche dei signori ispettori si aggiungono tal- volta le « spiegazioni politiche », ancor più utili, del signor mini- stro, il quale rammenta agli operai che essi debbono nutrire verso i fabbricanti sentimenti di « amore cristiano » per i milioni che costoro intascano grazie al lavoro degli operai. Alle spiegazioni dei rappresentanti del potere statale e al fatto che gli operai av- vertono direttamente nell’interesse di chi questo potere agisce, si accompagnano i manifestini o le altre spiegazioni dei socialisti, sicché nel corso dello sciopero gli operai ricevono un’educazione politica completa. Essi non solo imparano a comprendere quali sono gli interessi particolari della classe operaia, ma si rendono conto del posto particolare che la classe operaia occupa nello Stato. Ecco dunque in che cosa deve consistere l 'aiuto che il par- tito socialdemocratico può dare alla lotta di classe degli operai: nello sviluppare la coscienza di classe degli operai, sostenendo la loro lotta per le loro necessità più urgenti. Il secondo aiuto deve consistere, come dice il programma, nel cooperare all’organizzazione degli operai. La lotta che abbiamo descritto più sopra esige necessariamente che gli operai si orga- nizzino. L’organizzazione diventa necessaria per lo sciopero, per- chè esso venga condotto con maggiore successo, per le collette a favore degli scioperanti, per l’istituzione di casse mutue, per il la- voro di agitazione tra gli operai, per la diffusione di manifestini, inviti o appelli, ecc. Ancor più necessaria è l’organizzazione per di- fendersi dalle persecuzioni della polizia e della gendarmeria, per impedire che si scoprano le associazioni degli operai, i loro con- tatti e rapporti, per organizzare la consegna di libri, opuscoli, gior- nali, ecc. Dare questo aiuto: ecco il secondo compito del partito. Il terzo compito consiste nell’additare lo scopo reale della lotta, PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO I0 7 ossia nello spiegare agli operai che cos e lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale, su che cosa esso poggia, come la proprietà privata della terra e degli strumenti di lavoro conduce alla miseria le masse operaie, le costringe a vendere il proprio lavoro ai capi- talisti e a cedere loro gratuitamente tutto ciò che l’operaio pro- duce in più di quanto è necessario al suo mantenimento; nello spiegare inoltre come questo sfruttamento suscita inevitabilmente la lotta di classe degli operai contro i capitalisti, quali sono le con- dizioni di questa lotta e i suoi fini ultimi, insomma nell’illustrare ciò che sinteticamente è stato esposto nel programma. B 2. Che cosa vuol dire che la lotta della classe operaia è una lotta politica? Vuol dire che la classe operaia non può lottare per la propria emancipazione se non riesce a esercitare un’influenza sugli affari dello Stato, sulla direzione dello Stato, sulla promulgazione delle leggi. Già da molto tempo i capitalisti russi hanno compreso la necessità di esercitare questa influenza, e noi abbiamo dimo- strato come essi, nonostante tutti i divieti imposti dalle leggi po- liziesche, abbiano saputo in mille modi esercitare un’influenza sul potere statale, e come questo potere serva gli interessi di classe dei capitalisti. Ne consegue pertanto che anche la classe operaia non può condurre la propria lotta, non può nemmeno ottenere un miglioramento costante della propria condizione, se non riesce a influire sul potere statale. Abbiamo già detto che la lotta degli operai contro i capitalisti conduce ineluttabilmente gli operai a un conflitto col governo, e il governo stesso fa del suo meglio per dimostrare con tutti i mezzi agli operai che solo attraverso la lotta e la resistenza unita essi pos- sono esercitare un’influenza sul potere statale. Lo dimostrano con estrema evidenza i grandi scioperi avvenuti in Russia nel 1885-1886. Il governo si è subito interessato alla elaborazione di regolamenti concernenti gli operai, ha promulgato immediatamente nuove leggi sull’ordinamento interno delle fabbriche, accogliendo le pressanti ri- vendicazioni degli operai (sono state introdotte, per esempio, norme relative alla limitazione delle multe e al regolare paga- mento dei salari). Analogamente, gli scioperi attuali (1896) hanno provocato Timmediato intervento del governo; il governo ha com- preso che non può più limitarsi agli arresti e alle deportazioni, io8 LENIN che è ridicolo dispensare agli operai sciocchi sermoni sulla gene- rosità dei fabbricanti (si veda la circolare del ministro delle finanze Witte agli ispettori di fabbrica. Primavera del 1896). Il governo ha visto che « gli operai uniti rappresentano una forza di cui è necessario tener conto », e si è accinto a rivedere la legislazione sulle fabbriche, convocando a Pietroburgo una conferenza di capi ispettori di fabbrica perchè discutano il problema della ridu- zione della giornata lavorativa e altre inevitabili concessioni agli operai. Vediamo quindi che la lotta della classe operaia contro la classe dei capitalisti deve essere necessariamente una lotta politica. Già oggi questa lotta esercita di fatto un’influenza sul potere statale e assume un significato politico. Ma quanto più il movimento ope- raio continuerà a progredire, tanto più chiaramente e recisamente si rivelerà e si farà sentire l’assoluta mancanza di diritti politici degli operai, della quale abbiamo parlato sopra, la totale impos- sibilità per gli operai di esercitare un’influenza diretta e aperta sul potere statale. Pertanto la rivendicazione più urgente degli operai e il primo obiettivo della classe operaia, quando essa avrà influenza sugli affari dello Stato, deve essere la conquista della libertà politica , ossia la partecipazione diretta, garantita dalle leggi (dalla Costituzione), di tutti i cittadini alla direzione dello Stato, la garanzia per tutti i cittadini del diritto di riunirsi liberamente, di discutere i propri problemi, di intervenire negli affari dello Stato mediante le associazioni e la stampa. La conquista della libertà politica diviene la « questione più urgente per gli operai », perchè senza di essa gli operai non hanno nè possono avere alcuna in- fluenza sugli affari dello Stato e rimangono quindi inevitabilmente una classe priva di diritti, umiliata, che non può esprimere la pro- pria opinione. E se persino oggi, quando la lotta degli operai e la loro unione sono appena agli inizi, il governo si affretta a fare concessioni agli operai per frenare lo sviluppo del movimento, non v’è dubbio che quando gli operai si uniranno compatti sotto la guida di un partito politico, essi sapranno costringere il governo a cedere, sapranno conquistare per sè e per tutto il popolo russo la libertà politica! Nei paragrafi precedenti del programma si è precisato quale PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO 109 posto occupa la classe operaia nella società moderna e nello Stato moderno, qual è lo scopo della lotta della classe operaia e in che cosa consiste il compito del partito che rappresenta gli interessi degli operai. Finche il potere del governo è assoluto, in Russia non esistono e non possono esistere partiti politici veri e propri, ma vi sono delle correnti politiche che esprimono gli interessi delle altre classi e che esercitano un’influenza suiropinione pubblica e sul governo. Quindi, per chiarire la posizione del partito social- democratico, è necessario indicare quale atteggiamento esso ha verso le altre correnti politiche della società russa, affinchè gli operai stabiliscano chi e fino a qual punto può essere loro alleato e chi loro nemico. Ciò è indicato nei due paragrafi del programma che seguono. B 3 . Il programma dichiara che alleati degli operai sono, in primo luogo, tutti gli strati della società che lottano contro il po- tere assoluto del governo autocratico. Giacché questo potere as- soluto è Postacolo principale alla lotta degli operai per la propria emancipazione, ne consegue che l’interesse diretto degli operai im- pone che si sostenga ogni movimento sociale diretto contro l’asso- lutismo (assoluto vuol dire illimitato; assolutismo, potere illimitato del governo). Quanto più vigoroso è lo sviluppo del capitalismo, tanto più profonde divengono le contraddizioni tra questa dire- zione burocratica e gli interessi delle stesse classi abbienti, gli interessi della borghesia. Il partito socialdemocratico dichiara per- tanto che sosterrà tutti gli strati e tutte le categorie della borghesia che lotteranno contro il governo assoluto. Per gli operai è infinitamente più vantaggiosa 1 * influenza di- retta della borghesia sugli affari dello Stato, che non la sua attuale influenza esercitata per mezzo di una banda di funzionari venali e corrotti. Per gli operai è assai più vantaggiosa l’influenza aperta della borghesia sulla politica, che non l’attuale influenza camuffata dietro un governo onnipotente che si dice « indipendente », che di- chiara di governare « per grazia di Dio » e dispensa le « sue grazie » ai poveri e operosi proprietari terrieri, agli oppressi e bi- sognosi fabbricanti. Agli operai occorre la lotta aperta contro la classe dei capitalisti, affinchè tutto il proletariato russo possa vedere Ilo LENIN quali sono gli interessi per cui lottano gli operai, possa imparare come occorre lottare perchè i piani e le aspirazioni della borghe- sia non vengano tenuti nascosti nelle anticamere dei grandi prin- cipi, nei salotti dei senatori e dei ministri, nelle impenetrabili can- cellerie dei dicasteri, perchè questi piani e queste aspirazioni affio- rino alla superficie, aprano gli occhi a tutti, e si veda chi, in realtà, ispira la politica del governo e a che cosa mirano i capitalisti e i proprietari terrieri. Combattiamo quindi tutto ciò che camuffa Fat- tuale influenza della classe dei capitalisti, appoggiamo tutti i rap- presentanti della borghesia che lottano contro la burocrazia, contro la direzione burocratica, contro il governo assoluto! Ma, pur dichiarando che appoggerà ogni movimento sociale diretto contro l’assolutismo, il partito socialdemocratico proclama che non si se- parerà dal movimento operaio, perchè la classe operaia ha propri interessi specifici, opposti agli interessi di tutte le altre classi. Gli operai, appoggiando tutti i rappresentanti della borghesia nella lotta per la libertà politica, debbono rammentare che le classi abbienti solo temporaneamente possono essere loro alleate, che gli interessi degli operai e quelli dei capitalisti non possono conci- liarsi, che gli operai hanno necessità di liquidare il potere assoluto del governo soltanto per condurre in modo aperto e ampio la propria lotta contro la classe dei capitalisti. Il partito socialdemocratico dichiara inoltre che darà il suo appoggio a quanti lotteranno contro la classe della nobiltà fon- diaria privilegiata. La nobiltà fondiaria è considerata in Russia la prima casta dello Stato. I residui del suo potere feudale sui con- tadini continuano ancor oggi a opprimere le masse popolari. I contadini continuano a pagare il riscatto per emanciparsi dal potere dei grandi proprietari fondiari. I contadini continuano a restare legati alla terra, perchè i signori proprietari terrieri non rimangano privi di braccianti asserviti e poco costosi. I contadini, ancora oggi considerati come dei minorenni, come gente senza diritti, sono abbandonati alParbitrio dei funzionari, che tengono molto alle loro tasche e intervengono nella vita dei contadini affin- ché i contadini paghino « regolarmente > ai grandi proprietari ul- trareazionari le rate del riscatto o i tributi, affinchè non osino € rifiutarsi » di lavorare per i grandi proprietari, non osino, per PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO III esempio, trasferirsi altrove e costringere così il grande proprietario a far venire da altre località operai che non costino così poco e non siano tanto oppressi dal bisogno. Asservendo milioni e decine di milioni di contadini e tenendoli in uno stato di assoluta mancanza di diritti, i signori grandi proprietari fondiari godono, per questa eccelsa virtù, dei massimi privilegi che lo Stato con- cede. Le più alte cariche dello Stato sono affidate in prevalenza a esponenti della nobiltà fondiaria (la casta nobiliare gode per legge del diritto di priorità neiraccedere alle cariche statali); l'alta aristocrazia fondiaria è la più vicina alla corte e può, in maniera più diretta e agevole, volgere a suo favore la politica del governo. Essa approfitta della sua vicinanza al governo per depredare Pera- rio e ricevere doni e elemosine di milioni di rubli, sottratti ai beni del popolo sotto forma sia di grandi estensioni di terra, sia di « concessioni » *. * Qui s’interrompe il quaderno poligrafato conservato nellTstituto Marx-En- gels-Lenin (Noia dell’lMEL). AL GOVERNO ZARISTA 32 In quest’anno 1896 il governo russo si è già rivolto al pub- blico con due comunicati sulla lotta degli operai contro i fab- bricanti. In altri Stati simili comunicati non sono una rarità; in quei paesi non si cela ciò che avviene nello Stato, e i giornali pub- blicano liberamente notizie sugli scioperi. Ma in Russia il go- verno teme più del fuoco che si dia pubblicità agli ordinamenti delle fabbriche e ai fatti che in esse avvengono. Il governo ha vietato ai giornali di parlare degli scioperi, ha vietato agli ispet- tori di fabbrica di pubblicare i loro rapporti, ha smesso di dibattere le cause relative agli scioperi nei tribunali ordinari, in processi pubblici; in breve, ha preso tutte le misure necessarie per tenere nel più rigoroso segreto tutto ciò che avviene nelle fabbriche e tra gli operai. Ma d’improvviso tutti questi raggiri polizieschi svani- scono come una bolla di sapone e il governo si vede costretto a dire apertamente che gli operai lottano contro i fabbricanti. Che cosa ha provocato un simile mutamento? È vero che nel 1895 gli scioperi operai sono stati molto frequenti; ma gli scioperi cerano anche prima, e tuttavia il governo riusciva a non lasciar trapelare il segreto, sicché gli scioperi non avevano risonanza fra tutta la massa degli operai. È vero che i recenti scioperi sono stati assai più vigorosi dei precedenti e concentrati in un’unica località; ma anche prima si erano avuti scioperi non meno vigorosi; per esem- pio, quelli del 1885-1886 nei governatorati di Mosca e di Vladimir. E tuttavia il governo aveva tenuto duro e non aveva parlato della lotta degli operai contro i fabbricanti. Perchè mai questa volta 8-573 LENIN 114 ha rotto il silenzio? Per il fatto che questa volta gli operai sono stati sostenuti dai socialisti, i quali li hanno aiutati a chiarire le cose, a farle conoscere dappertutto, tra gli operai e nella so- cietà, a formulare con esattezza le proprie rivendicazioni, a dimo- strare a tutti la malafede del governo e a denunciare le sue sel- vagge violenze. Il governo ha compreso che era assolutamente sciocco conservare il silenzio quando tutti erano al corrente degli scioperi, e ha cercato di mettersi al passo. I manifestini dei socia- listi esigevano dal governo una risposta, il governo si è fatto vivo e l’ha data. Esaminiamo questa risposta. In un primo tempo, il governo ha cercato di sottrarsi a una risposta aperta e pubblica. Un ministro, il ministro delle finanze Witte, ha inviato agli ispettori di fabbrica una circolare in cui bollava gli operai e i socialisti come « i peggiori nemici debordine pubblico », consigliava agli ispettori di intimidire gli operai, di far credere loro che il governo avrebbe vietato ai fabbricanti di far concessioni, consigliava di parlare delle buone intenzioni e dei nobili intenti dei fabbricanti, di affermare che i fabbricanti sono pieni di sollecitudine per gli operai e per le loro necessità, che i fabbricanti sono pieni di « buoni sentimenti ». Il governo non ha parlato degli scioperi, non ha detto nulla sulle loro cause, non ha detto in che cosa consistevano le vergognose vessazioni dei fabbricanti e le in- frazioni alla legge, non ha detto che cosa volevano ottenere gli ope- rai. In breve, ha semplicemente dato una falsa versione di tutti gli scioperi avvenuti nell’estate e neirautunno del 1895, ha cercato di nascondersi dietro banali frasi ufficiali sugli atti di violenza e sulle « illegalità » commesse dagli operai, sebbene gli operai non siano ricorsi alla violenza. Le uniche violenze sono venute dalla polizia. Il ministro voleva che la circolare rimanesse segreta, ma gli stessi funzionari a cui era stata affidata non hanno mantenuto il se- greto, e la circolare è diventata di dominio pubblico. Dopo di che e stata stampata dai socialisti. Allora il governo, vedendosi come al solito preso in giro per i suoi « segreti » ormai conosciuti da tutti, ha dato alla stampa la circolare. È stata questa, l’abbiamo già detto, la risposta del governo agli scioperi dell’estate e dell’autunno del 1895. Ma nella primavera del 1896 gli scioperi si sono ripetuti AL GOVERNO ZARISTA 115 con vigore rinnovato. Alle voci che correvano sugli scioperi si sono aggiunti i manifestini dei socialisti. Il governo dapprima ha vilmente conservato il silenzio, aspettando di vedere come sarebbe andata a finire, e poi, quando la rivolta degli operai si è placata, è intervenuto a cose fatte con la sua burocratica saggezza, come con un verbale di polizia stilato in ritardo. Questa volta il go- verno, tutto il governo, ha dovuto prendere posizione aperta- mente. Il suo comunicato è stato pubblicato nel numero 158 del Pravitielstvienny Viestni ^*. Questa volta il governo non è riu- scito, come in precedenza, a dare una falsa versione degli scioperi operai. Ha dovuto dire come erano andate le cose, parlare delle vessazioni dei fabbricanti, delle rivendicazioni degli operai; ha dovuto ammettere che gli operai si erano comportati «bene». Così, gli operai hanno costretto il governo a smetterla con le odiose menzogne poliziesche: lo hanno costretto ad ammettere la ve- rità, quando si sono sollevati in massa, quando si sono serviti di manifestini per far conoscere a tutti i fatti. È questo un grande successo. Gli operai sapranno adesso qual è Punico mezzo per far conoscere le loro esigenze, per rendere di pubblico dominio la lotta degli operai di tutta la Russia. Gli operai sapranno adesso che le menzogne del governo possono essere smascherate solo at- traverso la lotta unita degli operai stessi e attraverso la loro consa- pevole decisione di conquistare un proprio diritto. I ministri, dopo aver detto come sono andate le cose, hanno tentato di escogitare dei sotterfugi, hanno cercato di far credere nei loro comunicati che gli scioperi erano stati provocati esclusivamente « dalle carat- teristiche particolari della produzione di filati e di tessuti di co- tone » — ma guarda un po’ — e non dalle caratteristiche parti- colari di tutta la produzione russa, non dalle caratteristiche della struttura statale russa, che consente alla polizia di perseguitare e arrestare operai inermi, i quali si difendono dalle vessazioni! Ma perchè allora, egregi signori ministri, gli operai chiedevano e leg- gevano avidamente i manifestini in cui non si parlava affatto di co- tone o di filo, ma della mancanza di diritti dei cittadini russi e del selvaggio arbitrio del governo che striscia davanti ai capita- listi? No, questo nuovo sotterfugio è anche peggiore, anche più • Gazzetta ufficiale (N. d. R .). 8* 1 1 6 LENIN ripugnante di quello con cui il ministro delle finanze Witte ha cercato di cavarsela, nella sua circolare, riversando tutta la respon- sabilità sugli « istigatori k II ministro Witte parla dello sciopero come un qualsiasi funzionario di polizia che riceve la mancia dai fabbricanti : sono apparsi degli istigatori ed è cominciato lo sciopero. Oggi, assistendo a uno sciopero di 30.000 operai, i mi- nistri si sono messi tutti insieme a riflettere, e infine sono giunti alla conclusione che gli scioperi non vengono provocati dall’esi- stenza degli istigatori socialisti, ma che i socialisti esistono perchè cominciano gli scioperi, perchè si inizia la lotta degli operai contro i capitalisti. I ministri asseriscono oggi che solo in un secondo tempo i socialisti « hanno aderito » agli scioperi. È una bella lezione per il ministro delle finanze Witte. Osservate, signor Witte, imparate bene! Imparate a comprendere le cause degli scioperi, imparate a considerare le rivendicazioni degli operai, e non i rapporti dei vostri segugi a cui voi stesso non credete affatto. I signori ministri tentano di far credere al pubblico che solo delle « persone male intenzionate s> hanno cercato di imprimere agli scioperi un « criminale carattere politico » o, concessi dicono in un punto, un « carattere sociale » (i signori ministri avrebbero voluto dire socialista, ma per ignoranza o per vigliaccheria burocratica hanno detto sociale; ne è risultata un’assurdità: socialista vuol dire che sostiene gli operai nella lotta contro il capitale, ma sociale significa soltanto sociale. Come si può imprimere a uno sciopero un carattere sociale? Sarebbe come dare ai ministri il titolo di ministro!). È veramente divertente! I socialisti imprimerebbero agli scioperi un carattere politico! Ma lo stesso governo, prima dell’intervento di qualsiasi socialista, prende tutte le misure per dare agli scioperi un carattere politico! Non ha forse cominciato ad arrestare pacifici operai come dei criminali? Ad arrestarli e a deportarli? Non ha forse sguinzagliato dappertutto spie e agenti provocatori? Non ha arrestato quanti gli capitavano fra le mani? Non ha promesso di appoggiare i fabbricanti perchè non cedes- sero? Non ha perseguitato gli operai solo perchè raccoglievano fondi per gli scioperanti? Il governo stesso, meglio di chiunque altro, ha fatto comprendere agli operai che la loro guerra contro i fabbricanti deve essere inevitabilmente una guerra contro il g°' AL GOVERNO ZARISTA 117 verno. Ai socialisti non è rimasto che convalidare e far conoscere tutto questo per mezzo di manifestini. È tutto. Ma il governo russo neirarte dell’ipocrisia nòn è secondo a nessuno, e i ministri hanno avuto cura di non parlare dei mezzi con cui il nostro go- verno «ha impresso un carattere politico agli scioperi». Perchè il governo, che ha detto al pubblico quali date portavano i manife- stini socialisti, non ha detto anche le date delle ordinanze del go- vernatore e degli altri sbirri che decretavano l’arresto di pacifici operai, la mobilitazione delle truppe, l’invio di spie e provocatori? Perchè i ministri, che hanno detto al pubblico quanti manifestini sono stati diffusi dai socialisti, non hanno anche detto quanti operai e socialisti sono stati arrestati, quante famiglie rovinate, quanti uomini deportati e incarcerati senza processo? Perchè? Perchè anche i ministri russi, nonostante la loro sfrontatezza, si guardano bene dal rendere note imprese cosi brigantesche. Su paci- fici operai insorti per difendere i propri diritti, per difendersi dal- l’arbitrio dei fabbricanti, si è abbattuta tutta la forza del po- tere statale, con la sua polizia e il suo esercito, i suoi gendarmi e procuratori; contro gli operai che resistevano, coi propri soldi e con quelli ricevuti dai loro compagni, dagli operai inglesi, polacchi tedeschi e austriaci, è entrata in azione tutta la forza dell’erario, promettendo un aiuto ai poveri fabbricanti. Gli operai non erano uniti. Non potevano organizzare una rac- colta di denaro e attrarre nella lotta altre città e altri operai, sono stati perciò perseguitati dappertutto e hanno dovuto cedere dinanzi a tutta la forza del potere statale. I signori ministri esultano perchè il governo ha vinto! B^lla vittoria! Da una parte 30.000 pacifici operai, privi di denaro; dall’altra, tutta la forza del potere statale, tutta la ric- chezza dei capitalisti! I ministri avrebbero agito in modo più intelligente se avessero atteso a vantarsi della vittoria; la loro millanteria ricorda troppo la millanteria del gendarme che si compiace di essere uscito illeso da uno sciopero. Le « istigazioni » dei socialisti non hanno avuto successo, di- chiara trionfalmente il governo, cercando di rassicurare i capi- talisti. Nessuna istigazione, rispondiamo noi, avrebbe potuto suscitare la centesima parte dell’impressione che l’atteggiamento ii8 LENIN del governo ha prodotto su tutti gli operai di Pietroburgo, su tutti gli operai russi! Gli operai hanno visto chiaramente qual è la politica del governo: passare sotto silenzio gli scioperi operai e darne false versioni. Gli operai hanno visto come la loro lotta unita abbia costretto il governo a rinunciare alle ipocrite menzogne poliziesche. Hanno visto quali interessi difende il governo che ha promesso il suo appoggio ai fabbricanti. Gli operai hanno com- preso qual è il loro reale nemico, quando contro di loro, che non violavano la legge nè turbavano l’ordine, come contro dei nemici sono stati inviati l’esercito e la polizia. Sebbene i ministri parlino di insuccesso della lotta, gli operai vedono che dappertutto i fab- bricanti sono diventati più docili, e sanno che il governo convoca gli ispettori di fabbrica per discutere sulle concessioni da fare agli operai, giacche comprende che talune concessioni sono indispen- sabili. Gli scioperi del 1895-1896 non sono passati invano. Essi hanno reso un grande servigio agli operai russi, mostrando loro come si deve lottare per i propri interessi. Essi hanno educato gli operai a comprendere la situazione politica e le esigenze politiche della classe operaia . Novembre 1896 UU nione di lotta per V emancipazione della classe operaia 33 Scritto in carcere nell'autunno 1896. Poligrafato nel novembre 1896. Copertina elei No toic Sìoio LE CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO (Sismondi e i nostri sismondisti russi) M Scritto nella primavera 1897, Pubblicato per la prima volta in Novoie Slovo “ n. 7-10. Firmato: K. T : n. Ripubblicato in Vladimir Ilin, Stridi e articoli di economia , 189R. L’economista svizzero Sismondi (J.-C.-L. Simonde de Sismon- di), le cui opere risalgono all’inizio di questo secolo, presenta parti- colare interesse per la soluzione dei problemi economici generali che si pongono oggi in Russia con particolare urgenza. Se a ciò si ag- giunge che nella storia deH’economia politica Sismondi occupa un posto a sè, rimanendo estraneo alle correnti principali, che egli è un fervente sostenitore della piccola produzione e protesta contro gli assertori e gli ideologi della grande produzione (così, come pro- testano anche gli odierni populisti russi), il lettore comprenderà perchè intendiamo esporre brevemente la dottrina di Sismondi nei suoi tratti principali e precisare il rapporto che intercorre fra essa e le altre tendenze della scienza economica contem- poranea e posteriore a Sismondi. L’interesse per lo studio di Si- smondi è oggi assai vivo giacché nella rivista Russ\oie Bogatstvo dell’anno scorso, 1896, troviamo un articolo dedicato all’esposizione della sua dottrina (B. Efrusi, Le concezioni economiche e sociali di Simonde de Sismondi , in Russ\oie Bogatstvo , nn. 7 e 8) # . Il collaboratore della Russ\oie Bogatstvo dichiara sin dal- l’inizio che nessun scrittore è stato « valutato in modo così er- rato » come Sismondi, il quale, egli dice, è stato « erroneamente » presentato ora come reazionario ora come utopista. È vero il contrario. Proprio questa valutazione di Sismondi è assolutamente giusta. Ma l’articolo della Russ\oie Bogatstvo , che è una minuziosa e accurata esposizione di Sismondi, ne illustra la teoria in •Efrusi c morto nel 1897. II suo necrologio è apparso sulla rivista Russk,oie Bogatstvo nel numero di marzo di quest'anno. 122 LENIN modo assolutarpente sbagliato*, giacche idealizza Sismondi pro- prio per quegli aspetti della sua dottrina nei quali egli più si accosta ai populisti, mentre ignora e presenta sotto falsa luce il rapporto tra essa e le tendenze posteriori della scienza economica. La nostra esposizione e analisi della dottrina di Sismondi sarà quindi nello stesso tempo una critica deirarticolo di Efrusi. CAPITOLO I LE TEORIE ECONOMICHE DEL ROMANTICISMO Caratteristica della dottrina di Sismondi è la sua teoria del reddito, del rapporto del reddito con la produzione e la popola- zione. L’opera principale di Sismondi si intitola appunto: Nou- veaux principe s cTéconomie politique, ou de la riche sse dans ses rapports avec la population. {Seconde édition. Parigi, 1827, 2 voli. La prima edizione era apparsa nel 1819). Nuovi principi dì eco- nomia polìtica , o della ricchezza nei suoi rapporti con la popola- zione. Questo tema è quasi identico a quello già noto nella lette- ratura populista russa come « la questione del mercato interno nel capitalismo ». Sismondi ha affermato appunto che lo sviluppo della grande produzione e del lavoro salariato nell’industria e nell’agri- coltura fa sì che la produzione superi necessariamente il consumo e sia posta di fronte al problema insolubile di trovare dei consu- matori; egli ha sostenuto che la produzione non può trovare consu- matori all’interno del paese, poiché trasforma la massa della popo- lazione in lavoratori giornalieri, in semplici operai e crea una massa di disoccupati, mentre, a causa dell’ingresso di nuovi paesi capitalistici nell’arena mondiale, sempre più complessa diviene la ricerca di un mercato estero. Il lettore vede che si tratta degli stessi problemi che preoccupano gli economisti populisti, e anzitutto i signori V. V. e N.-on 36 . Esaminiamo dunque più da vicino alcuni aspetti dell’argomentazione di Sismondi e il suo significato scien- tifico. * È ben vero che Sismondi non è un socialista, come afferma Efrusi all inizio dell articolo, ripetendo ciò che aveva già detto Lippert (cfr. Handwor- terbuch dcr Staatswissenschaften , voi. V, articolo Sismondi di Lippert, p. 678). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO I2 3 I Si contrae il mercato interno a causa della rovina dei piccoli produttori? In contrasto con gli economisti classici, i quali nelle loro co- struzioni teoriche prendevano in considerazione il regime capita- listico già costituito e accoglievano resistenza della classe operaia come un dato acquisito, ovvio, Sismondi sottolinea invece il processo di espropriazione del piccolo produttore, processo che conduce alla creazione di quella classe. È incontestabile che l’aver individuato questa contraddizione inerente al regime capita- listico costituisce un merito di Sismondi, ma il problema è che Sismondi, come economista, non è riuscito a comprendere questo fenomeno e ha celato dietro « pii desideri » la propria incapacità di effettuare un’analisi conseguente. La rovina del piccolo pro- duttore è una riprova, secondo Sismondi, del contrarsi del mer- cato interno. « Se un fabbricante venderà più a buon mercato — dice Si- smondi nel capitolo intitolato Come il commerciante estende il suo mercato (cap. Ili, libro IV, t. I, p. 342 e sgg.)* — egli venderà di più perchè gli altri venderanno di meno; l’attenzione del fabbricante è dunque volta costantemente alla ricerca di un risparmio sul lavoro o sul consumo di materie prime, che gli offra la possibilità di vendere a un prezzo più basso rispetto ai suoi colleghi. E dato che le materie prime sono sempre il prodotto di un lavoro passato, il risparmio si riduce sempre, in ultima analisi, all’impiego di una minore quantità di lavoro per la produzione dello stesso prodotto ». « Tuttavia lo scopo del fabbricante non è quello di ridurre il numero degli operai, ma di conservarne iden- tico il numero e di aumentare la produzione. Supponiamo che egli raggiunga il suo scopo, che riesca a togliere i clienti ai suoi con- correnti: egli venderà di più, gli altri venderanno di meno, il prezzo della merce diminuirà. Se tutti gli interessati a questo mercato sono cittadini di uno stesso Stato, vediamo quale ne # Tutte le citazioni successive, quando non venga espressamente indicato, si riferiscono alla succitata edizione dei Nouveaux principe*. I2 4 LENIN sarà il ” risultato nazionale ” ». «Gli altri fabbricanti imiteranno, se potranno, i sistemi 'del primo; allora gli uni o gli altri dovranno, naturalmente, licenziare una parte dei loro operai, e dovranno farlo nella proporzione in cui la nuova macchina accresce la produtti- vità del lavoro. Se il consumo resta invariato, e se lo stesso lavoro viene eseguito da un numero di braccia dieci volte inferiore, allora i nove decimi dei redditi saranno sottratti a questa parte della classe operaia, il cui consumo di ogni genere diminuirà in corrispondenza... Il risultato della scoperta, se la nazione è senza commercio estero e se il suo consumo è invariabile, sarà dunque una perdita per tutti, una diminuzione del reddito nazionale, che ridurrà il consumo generale deiranno successivo » (I, 344). « E così deve essere: il lavoro stesso infatti costituisce una parte importante del reddito [Sismondi si riferisce al salario], e quindi non è possi- bile, senza impoverire la nazione, ridurre la domanda di lavoro. Così, i benefici che ci si aspetta dalla scoperta di un nuovo procedi- mento economico si riferiscono quasi sempre al commercio estero » ( 1 . 345 )- Il lettore può vedere come già in queste parole si dispieghi davanti a noi la nota « teoria » secondo la quale « il mercato in- terno si contrae » a causa dello sviluppo del capitalismo, e diviene pertanto necessario un mercato estero. Sismondi ritorna molto spesso su questa idea, collegando ad essa la sua teoria delle crisi e la « teoria » della popolazione; nella sua dottrina, come in quella dei populisti russi* è questo un tema dominante. Sismondi non ha dimenticato, s’intende, che nelle nuove condi- zioni Timmiserimento e la disoccupazione sono accompagnati dal- 1 incremento della « ricchezza commerciale », che è necessario par- lare di sviluppo della grande produzione, del capitalismo. Egli l’ha compreso perfettamente e sostiene appunto che lo sviluppo del capitalismo fa contrarre il mercato interno: «Come non è indif- ferente per il benessere dei cittadini che l’agiatezza e il consumo di tutti si approssimino all’uguaglianza, o invece che un’esigua minoranza disponga di tutto il superfluo, mentre la maggioranza e ridotta appena al necessario, così queste due forme di distribu- zione del reddito non sono affatto indifferenti per lo sviluppo della CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO I2 5 ricchezza commerciale [rickesse commerciale ] * L uguaglianza del consumo deve portare a un’espansione del mercato dei pro- duttori, la ineguaglianza a una contrazione del mercato » (de le [le marche] resserrer toujours davantagé) (I, 357). Sismondi afferma dunque che il mercato interno si contrae a causa della ineguale distribuzione propria del capitalismo, e che il mercato deve essere creato mediante un’uguale distribuzione. Ma in che modo può avvenire ciò nelle condizioni della ricchezza com - merciale , a cui inavvertitamente passa Sismondi (e a cui non può non passare, perchè altrimenti non potrebbe parlare del mercato )? Egli non esamina il problema. Come dimostra Sismondi che è possibile conservare l’uguaglianza dei produttori nelle condizioni della ricchezza commerciale, cioè della concorrenza tra i singoli produttori? Egli non lo dimostra in nessun modo. Si limita sem- plicemente a decretare che cosi deve essere . Invece di approfondire l’analisi della contraddizione, che ha giustamente individuato, egli comincia ad affermare che in generale le contraddizioni non sono desiderabili. «Forse, allorché la grande agricoltura ha sostituito la piccola, la terra ha assorbito e riprodotto una quantità maggiore di capitali, forse ricchezze più ingenti sono rimaste suddivise fra tutta la massa degli agricoltori»... (ossia il mercato interno, deter- minato appunto dalla quantità assoluta di ricchezza commerciale y si è « forse » esteso? e si è esteso con lo sviluppo del capitalismo?)... « Ma per la nazione il consumo di una famiglia di ricchi fittavoli unito a quello di cinquanta famiglie di giornalieri poverissimi non equivale al consumo di cinquanta famiglie contadine, nessuna delle quali è ricca, ma nessuna delle quali tuttavia è priva di una deco- rosa [moderata] agiatezza » (une honnète aisancé) (I, 358). In altri termini, può lo sviluppo del sistema delle farms creare un mercato interno per il capitalismo? Sismondi è un economista troppo colto e coscienzioso per negare questo fatto, ma... ma a questo punto l’au- tore interrompe la sua ricerca e alla « nazione » della ricchezza commerciale sostituisce direttamente la « nazione » dei contadini. Liberatosi così di un dato di fatto scomodo, che confuta il suo punto di vista piccolo-borghese, Sismondi dimentica persino di aver * Qui, come nelle altre citazioni, il corsivo è nostro se non è indicato il contrario. I2Ó LENIN asserito poco prima che i « fittavoli » si sono sviluppati dai « conta- dini » in seguito allo sviluppo della ricchezza commerciale. « I primi fittavoli — scrive Sismondi — furono semplici contadini... Essi tuttavia non hanno cessato di essere contadini... Non impie- gano quasi mai, per un lavoro collettivo, operai presi a giornata, ma soltanto servi [braccianti, des domestiques ], scelti sempre tra i loro uguali, che essi trattano da pari a pari, coi quali mangiano alla stessa tavola... costituiscono un'unica classe di contadini » (I, 221). Tutto si riduce quindi al fatto che questi contadini patriarcali, con i loro patriarcali braccianti, sono assai più vicini allonimo dell’autore, ed egli semplicemente si rifiuta di vedere le trasforma- zioni prodotte in questi rapporti patriarcali daH’aumento della « ricchezza commerciale ». Sismondi non ha per nulla l’intenzione di ammettere questo fatto. Egli crede ancora di analizzare le leggi della ricchezza com- merciale e, dimenticando le sue riserve, afferma esplicitamente: « Così dunque, con la concentrazione dei beni nelle mani di un piccolo numero di proprietari, il mercato interno si contrae sempre più [!] e l’industria è sempre più costretta a cercare i suoi sbocchi nei mercati esteri, dove la minacciano rivoluzioni ancor più grandi » (de plus grandes révolutions) (I, 361). « Così... il mercato interno non poteva espandersi altrimenti che... con l’estensione del benessere nazionale » (I, 362). Sismondi si riferisce al benessere del popolo, perchè poco prima ha ammesso che il benessere « na- zionale » è possibile col sistema delle farms. Come il lettore può vedere, i nostri economisti populisti ripe- tono alla lettera la stessa argomentazione. Sismondi ritorna su questo problema verso la fine dell’opera, nel libro VII, Della popolazione , nel capitolo VII, che s’intitola: Della popolazione che diviene eccedente a causa dell invenzione delle macchine . « Nelle campagne l’introduzione del sistema delle grandi farms ha fatto scomparire in Gran Bretagna la classe dei contadini fit- tavoli \jermiers paysans ], che lavoravano essi stessi la terra e gode- vano nondimeno di una modesta agiatezza; la popolazione è dimi- nuita considerevolmente; ma il suo consumo si è ridotto ancor più del suo numero. I giornalieri che eseguono tutti i lavori agricoli, rice- CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 127 vendo solo lo stretto necessario, non offrono affatto all’industria ur- bana quell’incentivo \encouragemeni\ che offrivano in precedenza i ricchi contadini * (II, 326-327). «Un analogo mutamento è avve- nuto nella popolazione urbana... I piccoli commercianti, i piccoli imprenditori scompaiono, e un solo grande imprenditore sosti- tuisce centinaia di essi che, forse, tutti insieme non erano tanto ricchi quanto il grande imprenditore. Eppure essi, nel loro insieme, erano dei consumatori migliori del grande imprenditore. Il suo lusso costituisce per l’industria un incentivo assai più debole della modesta agiatezza delle cento aziende che egli ha sostituito » (ivi). A che cosa si riduce, dunque, questa teoria di Sismondi sulla contrazione del mercato interno che s’accompagna allo sviluppo del capitalismo? Al semplice fatto che Fautore, dopo un debole tentativo di affrontare direttamente la questione, elude l’analisi delle condizioni proprie del capitalismo (la « ricchezza commer- ciale » più la grande impresa nell’industria e nell’agricoltura, giac- che Sismondi non conosce il termine di «capitalismo». L’identità dei concetti rende pienamente legittimo l’uso di questo termine, e d’ora in poi diremo semplicemente: «capitalismo»), e sostituisce all'analisi il proprio punto di vista piccolo-borghese, la propria utopia piccolo-borghese. Lo sviluppo della ricchezza commerciale e quindi della concorrenza dovrebbe lasciare intatta la massa uni- forme dei contadini medi con la loro « moderata agiatezza » e con i rapporti patriarcali che intercorrono fra loro e i braccianti. È chiaro che questo pio desiderio è rimasto patrimonio esclusivo di Sismondi e degli altri « intellettuali » romantici, ed è entrato ogni giorno di più in conflitto con la realtà, la quale sviluppa le contraddizioni di cui Sismondi non ha saputo valutare la pro- fondità. È chiaro che l’economia politica teorica, avvicinandosi nel suo ulteriore sviluppo* ai classici, ha stabilito con precisione proprio ciò che Sismondi ha voluto ignorare, ossia che lo sviluppo del ca- pitalismo in generale e lo sviluppo del sistema delle farms in par- ticolare non contrae, ma crea il mercato interno. Il capitalismo si sviluppa di pari passo con l’economia mercantile e, a mano a mano * Si tratta del marxismo ( Nota di Lenin all'edizione del 1908). 9 -573 128 LENIN che la produzione domestica cede il posto alla produzione mer- cantile, mentre la bottega artigiana cede il posto alla fabbrica, si crea il mercato per il capitale . I «giornalieri» espulsi dall’agri- coltura in seguito alla trasformazione dei « contadini » in « fitta- voli » forniscono forza-lavoro al capitale, mentre i fittavoli, diven- tano acquirenti dei prodotti dell’industria e non solo dei beni di consumo (che in precedenza erano prodotti a domicilio dai conta- dini o dagli artigiani rurali), ma anche dei mezzi di produzione, che non possono rimanere gli stessi dopo che la piccola agricoltura è stata soppiantata dalla grande *. Quest 'ultima circostanza merita di essere sottolineata, perchè Sismondi l'ha completamente ignorata quando, nel passo sul « consumo » dei contadini e dei fittavoli da noi citato, ha affermato che esiste soltanto il consumo individuale (con- sumo di pane, di indumenti, ecc.), mentre l'acquisto di macchine, di strumenti, ecc., la costruzione di edifici, depositi, fabbriche, ecc., sarebbero consumo di altra natura, e precisamente consumo prò - duttivo , un consumo fatto non dagli uomini ma dal capitale. È qui necessario rilevare che proprio questo errore, che, come vedremo, Sismondi ha ripreso da Adam Smith, è stato commesso in pieno anche dai nostri economisti populisti**. II Il concetto di reddito nazionale e di capitale in Sismondi Le argomentazioni di Sismondi contro la possibilità del capi- talismo e del suo sviluppo non si limitano soltanto a quelle già esposte. Egli ha tratto le stesse conclusioni anche dalla sua teoria del reddito. Bisogna dire che Sismondi ha interamente ricalcato da A. Smith la teoria del lavoro come fonte di valore e la teoria *Si creano quindi in pari tempo gli elementi sia del capitale variabile (l’ope- rato « libero *) che del capitale costante; di quest’ultimo (anno parte i mezzi di produzione dai quali viene liberato il piccolo produttore. ## Efron non parla di questa parte della dottrina di Sismondi, ossia della con- trazione del mercato interno derivante dallo sviluppo del capitalismo. Vedremo anche in seguito, varie volte, come egli ha trascurato precisamente ciò che carat- tenzza in maniera piò significativa il punto di vista di Sismondi e l’atteggiamento del populismo verso la sua dottrina. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO I2 9 delle tre forme di reddito: la rendita, il profitto e il salario. Egli compie persino in qualche punto il tentativo di riunire le prime due forme di reddito contrapponendole alla terza: così, talvolta le unisce contrapponendole al salario (I, 104, 105); e in qualche passo possia- mo trovare persino il termine di mieux-value (plusvalore 37 ) per de- signarle (I, 103). Non bisogna tuttavia esagerare il significato del- l’uso di questo termine, come invece sembra fare Efrusi allorché af- ferma che « la teoria di Sismondi si approssima alla teoria del plus- valore » {Russinole Bogatstvo, n. 8, p. 41). In realtà, Sismondi non compie neppure un passo in avanti rispetto a Adam Smith, il quale aveva detto che la rendita e il profitto sono una « detrazione dal la- voro», una parte di valore che il lavoratore aggiunge al prodotto (cfr. Ricerche sulla natura e le origini della ricchezza delle nazioni nella traduzione russa di Bibikov, voi. I, cap. Vili, Del salario , e cap. VI, Delle parti che compongono il prezzo delle merci). Si- smondi non va oltre questa posizione. Ma cerca di collegare que- sta divisione del nuovo prodotto in plusvalore e in salario con la teoria del reddito sociale, del mercato interno e della realizza- zione del prodotto nella società capitalistica. Questi tentativi sono estremamente importanti per valutare il significato scientifico della dottrina di Sismondi e per chiarire il nesso tra la sua dottrina e quella dei populisti russi. Varrà dunque la pena di esaminarli in modo più particolareggiato. Ponendo sempre in primo piano il problema del reddito, il problema del rapporto tra il reddito da una parte, e la produzione, il consumo e la popolazione dall'altra, Sismondi doveva analizzare, naturalmente, anche i fondamenti teorici della nozione di «red- dito ». E infatti, airinizio della sua opera troviamo tre capitoli de- dicati al problema del reddito ( 1 . II, cap. IV-VI). Il capitolo IV, Come il reddito deriva dal capitale , esamina la differenza tra ca- pitale e reddito. Sismondi comincia subito a esporre questa questione in rapporto con tutta la società. « Poiché ognuno lavora per tutti — egli dice — , la produzione di tutti deve essere consu- mata da tutti... La differenza tra il capitale e il reddito... diviene essenziale per la società» (I, 83). Ma Sismondi sente che questa differenza « essenziale » non è così semplice per la società come per il singolo imprenditore. « Affrontiamo qui — egli rileva — la que- LENIN ' 13° stione più astratta e più complessa deireconomia politica. La na- tura del capitale e quella del reddito si confondono continuamente nella nostra immaginazione; vediamo che quel che per uno è reddito , per un altro diviene capitale , e lo stesso oggetto, passando di mano in mano, assume denominazioni di volta in volta di- verso (I, 84), ossia viene chiamato ora «capitalo ora «reddito». « Ma — dichiara Sismondi — confonderli è un errore » ( lem con - fusion est ruineuse , p. 477). « Sebbene sia diffìcile distinguere il capitale dal reddito della società, tuttavia questa distinzione è importante ^ (I, 84). Il lettore ha notato, probabilmente, in che cosa consiste la difficoltà di cui parla Sismondi. Se per il singolo imprenditore il reddito è il profitto che egli consuma per acquistare questi o quei beni di consumo *, se per il singolo operaio il reddito è il suo salario, possiamo forse sommare questi redditi per ottenere il « reddito della società » ? Che succede allora dei capitalisti e degli operai i quali producono, per esempio, macchine? Il loro pro- dotto esiste in una forma che non può entrare nel consumo (cioè nel consumo individuale). Questo prodotto non può essere messo insieme ai beni di consumo. Questo prodotto è destinato a ser- vire come capitale. Esso quindi, essendo reddito per i suoi produt- tori (precisamente in quella parte che sostituisce il profitto e il salario), diventa capitale per gli acquirenti. Come uscire da questa confusione, che ostacola la formulazione del concetto di reddito sociale? Sismondi, come abbiamo già visto, si è solo accostato al pro- blema e lo ha eluso subito dopo, limitandosi ad additare le « dif- ficolta ». Egli dichiara esplicitamente che « si è soliti riconoscere tre forme di reddito, col nome di rendita, profitto e salario » (I, 85), e comincia a esporre la teoria di A. Smith su ciascuna di queste forme. Il problema posto, ossia il problema della differenza tra capitale e reddito della società, rimane insoluto. Nell’esposizione stessa non v e piu una distinzione rigorosa tra reddito sociale e red- dito individuale. Ma Sismondi torna poi di nuovo sul problema già accennato ed eluso. Egli afferma che, come esistono diverse forme Più esattamente: quella parte di profitto che non viene accumulata. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 131 di reddito, così esistono « diverse forme di ricchezza » (I, 93), e precisamente: il capitale fisso , ossia macchine, attrezzi, ecc.; il capitale circolante che, a differenza dal primo, è consumato rapi- damente e cambia forma (sementi, materie prime, salario); infine, il reddito del capitale , che è consumato senza riproduzione. Non ci interessa qui che Sismondi ripeta tutti gli errori che Smith com- mette nella sua teoria del capitale fisso e circolante, confondendo queste categorie, che sono proprie del processo di circolazione, con le categorie che derivano dal processo di produzione (capitale co- stante e capitale variabile). Ci interessa invece la teoria di Sismondi sul reddito. Su questa questione, egli trae dalla distinzione sopra indicata delle tre forme di ricchezza le seguenti conclusioni: « È essenziale rilevare che queste tre forme di ricchezza sono destinate in uguale misura al consumo; poiché tutto ciò che viene prodotto ha valore per Tuomo soltanto se soddisfa i suoi bisogni, e questi bisogni vengono appagati soltanto dal consumo. Ma il capitale fisso serve a ciò solo indirettamente \d f une manière indirecte\\ esso si consuma lentamente, giacche aiuta l’uomo a ri- produrre ciò che serve al suo consumo » (I, 94 - 95 ), mentre il capitale circolante (che Sismondi identifica col capitale variabile) passa nel « fondo di consumo dell* operaio » (I, 95 ). Ne consegue che il consumo sociale è, a differenza di quello individuale, di due specie. La differenza tra queste due specie è sostanziale. E tìon si riferisce, naturalmente, al fatto che il capitale fisso viene consumato lenta- mente, ma al fatto che esso viene consumato senza diventare reddito (fondo di consumo) per nessuna classe della società, che esso non viene consumato individualmente, ma produttivamente. Sismondi non si rende conto di ciò e, intuendo di aver ancora una volta smarrito la strada* nella ricerca della differenza tra capitale sociale e reddito sociale, esclama scoraggiato: «Questo movimento della ricchezza è talmente astratto e richiede una tale attenzione per essere ben compreso [pour le bien saisir] che crediamo utile se- # Sismondi ha qui distinto soltanto il capitale dal reddito . Il primo è impiegato per la produzione, il secondo per il consumo. Ma qui si tratta della società. E la società « consuma » anche il capitale fisso. Pertanto la distinzione scompare, e il processo sociale ed economico, che trasforma « il capitale per uno » in « reddito per un altro », resta inesplicato. l 3 2 LENIN guirlo nell’operazione più semplice» (I, 95). L’esempio scelto è effettivamente « il più semplice » : un fittavolo che vive solitario (un fermìer solitairé) ha raccolto cento sacchi di grano; ne ha consumato una parte per se, una parte per le sementi e una terza per gli operai assunti. L’anno successivo raccoglie duecento sacchi. Chi li consumerà? La famiglia del fittavolo non può au- mentare di numero così rapidamente. Sismondi, mostrando con questo esempio (assolutamente inadatto) la differenza tra capitale fisso (le sementi), capitale circolante (il salario) e fondo di con- sumo del fittavolo, dichiara: « Abbiamo distinto tre forme di ricchezza in una singola fami- glia; esaminiamo adesso ciascuna forma in rapporto all’intiera na- zione, e vediamo come il reddito nazionale possa derivare da questa distribuzione » (I, 97). Ma più oltre si dice soltanto che nella società è necessario riprodurre queste tre forme di ricchezza : il ca- pitale fisso (Sismondi sottolinea inoltre che su di esso occorre con- sumare una certa quantità di lavoro, ma non spiega in che modo il capitale fisso sia scambiato con i beni di consumo necessari ai capitalisti e agli operai occupati in questa produzione), le mate- rie prime (che qui Sismondi considera separatamente), il mante- nimento degli operai e il profitto dei capitalisti. È questo tutto ciò che ci offre il quarto capitolo. Evidentemente la questione del reddito nazionale rimane aperta, e Sismondi non solo non esamina la distribuzione, ma neppure il concetto di reddito. Egli dimentica il principio, estremamente importante sotto l’aspetto teorico, se- condo il quale è necessario riprodurre anche il capitale fisso della società e, nel capitolo successivo, ove parla della « distribuzione del reddito nazionale tra le diverse classi dei cittadini» (cap, V), tratta semplicemente di tre forme di reddito; quindi, riuniti la ren- dita e il profitto, afferma che il reddito nazionale consta di due par- ti: il profitto proveniente dalla ricchezza (cioè la rendita e il pro- fitto in senso proprio) e i mezzi di sussistenza degli operai (I, 104- 105). Inoltre, egli dichiara: « Analogamente la produzione annua o il risultato di tutti i lavori eseguiti dalla nazione durante un anno consta di due parti: la prima... e il profitto che deriva dalla ricchezza, la seconda è la capacità di lavorare [la puissance de travailler ], che si suppone CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 133 uguale alla parte di ricchezza con cui è scambiata o ai mezzi di sussistenza di coloro che lavorano». «Così, il reddito nazionale e la produzione annua si bilanciano a vicenda e si presentano come grandezze uguali. Tutta la produzione annua è consumata durante un anno, in parte dagli operai che, fornendo in cambio il loro la- voro, la convertono in capitale e la riproducono, in parte dai capi- talisti che, dando in cambio il loro reddito, la distruggono » (I 105). In tal modo Sismondi, dimenticando completamente quanto aveva detto qualthe pagina prima, elude del tutto la questione della differenza tra capitale nazionale e reddito nazionale, che egli stesso aveva così categoricamente considerato una questione estremamente importante e difficile! Egli non rileva che, eludendo la questione, perviene ad una tesi del tutto assurda: come può la produzione annua essere interamente consumata dagli operai e dai capitalisti sotto forma di reddito, se per la produzione è necessario il capitale, sono necessari, per essere più esatti, i mezzi e gli strumenti di produzione? Essi debbono essere prodotti e vengono prodotti ogni anno (come lo stesso Sismondi ha ammesso poco prima). Ed ecco che tutti gli strumenti di produzione, le materie prime, ecc., vengono d’improvviso messi da parte, e il « difficile » problema della differenza tra capitale e reddito è risolto con l’as- surda affermazione che la produzione annua è uguale al reddito nazionale. Questa teoria, secondo la quale Tintiera produzione della so cietà capitalistica consta di due parti, la parte degli operai (salario o capitale variabile, secondo la terminologia moderna) e la parte dei capitalisti (plusvalore), non è peculiare di Sismondi. Non è sua. Sismondi l’ha ricalcata interamente da A. Smith, com- piendo anzi un passo indietro. Tutta l’economia politica posteriore (Ricardo, Mill, Proudhon, Rodbertus) ha ripetuto questo errore, che soltanto l’autore del Capitale ha scoperto nella III sezione del II volume. Esporremo più oltre gli elementi fondamentali della sua concezione. Per ora osserviamo che anche i nostri economisti populisti hanno ripetuto questo errore. Un confronto tra loro e Sismondi presenta particolare interesse, perchè i populisti trag- gono da questa teoria errata le stesse conclusioni che ha tratto di - ! 34 LENIN rettamente anche Sismondi *, e precisamente la conclusione che nella società capitalistica è impossibile realizzare il plusvalore, che è impossibile accrescere la ricchezza sociale, che è necessario ricor- rere al mercato estero, poiché all’interno del paese il plusvalore non può essere realizzato, e infine che le crisi sono causate da questa impossibilità di realizzare il prodotto mediante il consumo degli operai e dei capitalisti. Ili Conclusioni tratte da Sismondi dalla errata teoria delle due parti della produzione annua nella società capitalistica Affinchè il lettore possa farsi un’idea della dottrina di Sismondi nel suo complesso, esporremo dapprima le principali conclusioni che egli ha tratto da questa teoria, e mostreremo in seguito come Marx abbia corretto nel Capitale l’errore fondamentale di Sismondi. Anzitutto Sismondi deriva dall’errata teoria di Smith la con- clusione che la produzione deve corrispondere al consumo, che la produzione è determinata dal reddito. All’analisi minuziosa di questa « verità » (che rivela l’assoluta incomprensione del carattere della produzione capitalistica) è dedicato il successivo capitolo VI : Determinazione reciproca della produzione da parte del consumo , e delle uscite da parte delle entrate. Sismondi applica direttamente alla società capitalistica la morale del contadino risparmiatore, e crede seriamente di correggere in questo modo la teoria di Smith. All’inizio della sua opera, parlando, nella parte introduttiva (libro I, Storia della scienza ), di A. Smith, Sismondi afferma di « inte- grare * Smith con la tesi che « il consumo è l’unico scopo dell’ac- cumulazione » (I, 51). « Il consumo — egli dice — determina la riproduzione» (I, 1 19-120), «il reddito nazionale deve regolare il consumo nazionale» (I, 113), e altre tesi simili abbondano in tutta 1 opera. In diretta relazione con queste tesi si trovano due *E che si sono prudentemente guardati dal trarre gli altri economisti che hanno ripetuto Terrore di A. Smith. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO l 35 elementi caratteristici della dottrina di Sismondi: in primo luogo, la sua sfiducia nello sviluppo del capitalismo, l'incomprensione del fatto che esso suscita un incremento sempre più grande delle forze produttive, la negazione della possibilità di questo incremento, proprio allo stesso modo dei romantici russi, i quali « insegnano » che il capitalismo determina uno spreco di lavoro, ecc. « Sbagliano coloro che incitano a una produzione illimitata », dice Sismondi (I, 120). L eccedenza della produzione sul reddito provoca la sovrapproduzione (I, 106). L aumento della ricchezza è vantaggioso solo quando «è graduale, quando è proporzionato a se stesso, quando nessuna sua parte si sviluppa in modo troppo rapido » (I, 409). Il buon Sismondi ritiene che uno sviluppo « non proporzionato » non è uno sviluppo (come credono anche i nostri populisti), che questa non proporzionalità non è una legge di un dato sistema di economia sociale e del suo movimento, ma un « errore » del legislatore, ecc., che questa è un artificiosa imitazione deiringhilterra, la quale si è avviata su una strada sbagliata, da parte dei governi europei *. Sismondi nega totalmente la tesi, for- mulata dai classici e pienamente accolta nella teoria di Marx, che il capitalismo sviluppa le forze produttive. Di più, essendo assolu- tamente incapace di spiegare il processo di accumulazione, egli giunge alla conclusione che ogni accumulazione è realizzabile sol- tanto « a poco a poco ». È questo un secondo elemento sommamente caratteristico delle sue concezioni. Sismondi ragiona sull'accumu- lazione in modo estremamente spassoso: « In ultima analisi, il totale della produzione di un dato anno viene sempre scambiato con il totale della produzione deH’anno precedente» (I, 121). In questo modo, l’accumulazione viene asso- lutamente negata; ne consegue che rincremento della ricchezza so- ciale è impossibile nel sistema capitalistico. Il lettore russo non sarà molto meravigliato da questa tesi perchè l'ha già udita sia dal si- gnor V.V. che dal signor N.-on. Ma Sismondi è stato tuttavia un allievo di Smith. Egli sente che sta facendo un’affermazione del tutto assurda, e vuol correggersi: * Cfr., ad esempio, II, 456-457 e molti altri passi. Citeremo in seguito alcuni esempi, e il lettore potrà così vedere come i nostri romantici, del genere del signor N.-on, non si distinguono da Sismondi neppure nel modo di esprimersi. i 3 6 LENIN « Se la produzione aumenta gradualmente — egli continua — lo scambio di ciascun anno deve causare una piccola perdita [une petite perle], migliorando in pari tempo le condizioni per [avve- nire [en tnéme temps qu’elle bonifie la condition future ]. Se que- sta perdita è lieve e ben ripartita, ciascuno la sopporta senza la- mentarsi... Se invece la sproporzione tra la produzione nuova e quella precedente è grande, i capitali vengono dilapidati [soni en - tamés ], ne nasce una sofferenza, e la nazione, invece di andare avanti, regredisce » (I, 121). Sarebbe difficile esprimere la tesi fon- damentale del romanticismo e della concezione piccolo-borghese del capitalismo in modo più concreto e palese di quanto si faccia in questa tirata. Quanto più rapida è l’accumulazione, ossia quanto più celermente la produzione supera il consumo, tanto migliore è la situazione, insegnavano i classici, i quali, sebbene non ab- biano saputo intendere il processo della produzione sociale del ca- pitale, sebbene non siano riusciti a liberarsi dairerrore di Smith, secondo cui il prodotto sociale consta di due parti, hanno tuttavia formulato la tesi pienamente giusta che la produzione si crea un mercato e determina essa stessa il consumo. E noi sappiamo che la concezione dell’accumulazione elaborata dai classici è stata ac- colta nella teoria di Marx, la quale ammette che quanto più ra- pidamente aumenta la ricchezza, tanto più completamente si sviluppano le forze produttive e la socializzazione del lavoro, tanto migliore è la situazione dell'operaio, nella misura almeno in cui può essere migliore nell’attuale sistema dell’economia so- ciale. I romantici affermano esattamente il contrario, e ripongono tutte le loro speranze nel debole sviluppo del capitalismo, im- plorano che questo sviluppo venga frenato. Inoltre, dall incomprensione del fatto che la produzione si crea un mercato trae origine la teoria dell’impossibilità di realiz- zare il plusvalore. « Infine dalla riproduzione deriva il reddito; ma la produzione di per sè non è ancora reddito : assume questa denominazione [ce nomi Dunque la differenza tra la produzione, cioè il prodotto, e il reddito è una semplice differenza di parole!], opera come tale [elle n’opère comme tei] solo dopo essere stata rea- lizzata, solo dopo che ogni prodotto ha trovato il consumatore che ne aveva bisogno o desiderio» (qui en avait le besoin ou le CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO *37 disir) (I, 121). Così, dairidentificazione del reddito con la « pro- duzione > (ossia con tutto ciò che è stato prodotto) scaturisce l’identificazione della realizzazione col consumo individuale . Si- smondi ha già dimenticato, pur avendo affrontato poco prima di- rettamente questa questione, che la realizzazione di prodotti come, per esempio, il ferro, il carbone, le macchine, ecc., e dei mezzi di produzione in generale, segue altre vie. Se si identifica la realizza- zione col consumo individuale si perviene naturalmente alla teoria che i capitalisti non possono realizzare il plusvalore , poiché delle due parti del prodotto sociale il salario è realizzato dagli operai mediante il loro consumo. E Sismondi giunge effettivamente a questa conclusione (svolta in seguito più minuziosamente da Proudhon e costantemente ripetuta dai nostri populisti). In pole- mica con MacCulloch, Sismondi sostiene appunto che costui (esponendo le concezioni di Ricardo) non spiega la realizzazione del profitto. MacCulloch aveva detto che, permanendo la divi- sione del lavoro sociale, una produzione costituisce un mercato per un’altra produzione: i produttori di grano realizzano le merci nel prodotto dei produttori di indumenti, e viceversa *. « L’autore pre- suppone — dice Sismondi — un lavoro senza profitto [un travail sans bénéfice\> una riproduzione che sostituisce soltanto il con- sumo degli operai > (II, 384, il corsivo è di Sismondi)... « egli non lascia nulla per la parte del padrone »... « noi ricerchiamo che cosa divenga l’eccedenza della produzione degli operai sul loro con- sumo * (ivi). Dunque, in questo primo romantico troviamo già affermato in modo estremamente netto che i capitalisti non possono realizzare il plusvalore . Da questa tesi Sismondi trae l’ulteriore conclusione — precisamente la stessa che traggono i populisti — che le condizioni stesse della realizzazione rendono necessario per il capitalismo un mercato estero . « Il lavoro stesso costituisce una parte importante del reddito e quindi non è possibile, senza impo- verire la nazione, ridurre la domanda di lavoro. Così i benefici * Cfr. raggiunta ai N ouveaux prmcipes, 2* edizione, voi. II: Eclairctssements relatifs à la balancc des consommations avec les productions , ove Sismondi tra- duce e commenta l’articolo di un discepolo di Ricardo (MacCulloch), pubblicato nella Edinburgh Review col titolo: Analisi del problema se l'aumento della capa- cità di consumo della società proceda sempre di pari passo con l'aumento della capacità produttiva. i 3 8 LENIN che ci si aspetta dalla scoperta di un nuovo procedimento econo- mico si riferiscono quasi sempre al commercio estero » (I, 345). « Una nazione che abbia l’iniziativa nelle scoperte riesce per un lungo periodo di tempo a espandere il proprio mercato propor- zionalmente al numero delle braccia rese disponibili da ogni nuova invenzione. Essa le impiega immediatamente per accrescere la quantità di prodotti che la sua invenzione le consente di fabbricare a un costo più basso. Ma verrà infine Pepoca in cui tutto il mondo civile costituirà un mercato unico, e in cui non si potranno più tro- vare nuovi compratori in una qualsiasi nuova nazione. La do- manda sul mercato mondiale sarà allora una grandezza invaria- bile [précise]) che le diverse nazioni industriali si contenderanno reciprocamente. Se una nazione fornirà un quantitativo mag- giore di prodotti, ciò avverrà a danno di un’altra nazione. La vendita complessiva non potrà essere accresciuta se non attraverso l’aumento del benessere generale o con l’immissione delle merci, un tempo riservate soltanto ai ricchi, nel consumo dei poveri » (II, 316). Il lettore può vedere che Sismondi espone precisamente la dottrina che i nostri romantici hanno assimilato alla perfezione, e secondo la quale il mercato estero costituisce una via d’uscita dalle difficoltà per quel che concerne la realizzazione del prodotto in generale e la realizzazione del plusvalore in particolare. Da ultimo, dalla stessa dottrina dell’identità fra il reddito na- zionale e la produzione nazionale deriva la teoria di Sismondi sulle crisi. Dopo quanto abbiamo esposto sopra, non riteniamo che occorra citare i numerosi brani dell’opera di Sismondi dedicati a questo problema. Dalla sua teoria della necessità di stabilire un equilibrio fra produzione e reddito consegue naturalmente la con- cezione che la crisi e soltanto il risultato della rottura di questo equilibrio, il risultato di una produzione eccessiva che ha su- perato il consumo. La citazione sopra riportata dimostra chiara- mente che Sismondi considera come causa principale delle crisi precisamente la mancanza di equilibrio fra produzione e consu- mo, e che egli pone in primo piano il sottoconsumo della massa del popolo, degli operai. Pertanto la teoria di Sismondi sulle crisi (fatta propria anche da Rodbertus) è nota nella scienza econo- CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO <39 mica come il modello delle teorie che deducono le crisi dal sotto- consumo ( Untcr\onsumptìon ). IV Qual è l'errore delle teorie dì A . Smith e dt Sismondi sul reddito nazionale? Qual è dunque Terrore fondamentale che ha condotto Sismondi a tutte queste conclusioni? Egli ha interamente ripreso da A. Smith la teoria del reddito nazionale e della sua suddivisione in due parti (una parte degli operai e una parte dei capitalisti). Sismondi non solo non ha ag- giunto nulla alle tesi di Smith, ma anzi, facendo un passo indietro, ha trascurato il tentativo (ancorché fallito) di Adam Smith di dare una dimostrazione teorica di quest’idea. Sismondi non rileva la contraddizione fra questa teoria e la teoria della produzione in generale. In verità, per la teoria secondo cui il valore deriva dal lavoro, il valore del prodotto singolo è costituito da tre parti integranti: una che sostituisce le materie prime e gli strumenti di lavoro (capitale costante); una che sostituisce il salario o il man- tenimento degli operai (capitale variabile), e il « plusvalore » (in Sismondi mieux-value ). L’analisi del prodotto individuale sotto Taspetto del suo valore è ripetuta da Sismondi. Ci si chiede ora come possa il prodotto sociale , che è costituito dalla somma dei prodotti individuali , constare soltanto delle ultime due parti. Dov e andata a finire la prima parte, il capitale costante? Sismondi, lo abbiamo già visto, gira attorno a questo problema, mentre Smith ha dato una risposta. A. Smith sostiene che questa parte esiste au- tonomamente solo nel prodotto isolato. Ma se consideriamo il prodotto .sociale complessivo, essa si suddivide a sua volta in salario e in plusvalore, precisamente in plusvalore dei capitalisti che pro- ducono questo capitale costante. Nel dare questa risposta, A. Smith non spiega tuttavia su quale base, da questa scomposizione del valore del capitale co- stante, per esempio delle macchine, venga nuovamente escluso il capitale costante, ossia, nel nostro esempio, il ferro, di cui son fatte LENIN I4O le macchine, gli strumenti per fabbricarle, ecc. Se il valore di ogni prodotto comprende una parte che sostituisce il capitale costan- te (come ammettono tutti gli economisti), allora l’esclusione di essa da qualsiasi settore della produzione sociale è assolutamente ar- bitraria. Quando A. Smith dice che gli strumenti di lavoro si scom- pongono nel salario e nel profitto, egli dimentica di aggiungere (afferma l’autore del Capitale ): e nel capitale costante che viene impiegato per la loro produzione. A. Smith rimanda semplice - mente da Ponzio a Pilato, da un ramo di produzione a un altro, e da questo a un terzo 38 , senza rilevare che con un simile procedi- mento la questione non muta affatto. Rispondere in questo modo (e la risposta di Smith è stata accolta da tutta l’economia posteriore sino a Marx) significa semplicemente eludere la questione, schivare la difficoltà. Ma la difficoltà esiste effettivamente. Essa consiste nel fatto che il concetto di capitale e di reddito non si può trasferire direttamente dal prodotto isolato al prodotto sociale. Gli economi- sti lo ammettono quando affermano che, dal punto di vista so- ciale, « ciò che per uno è capitale diventa reddito per un altro > (cfr. sopra Sismondi). Ma questa frase si limita soltanto a for- mulare la difficoltà, senza tuttavia risolverla*. La soluzione è la seguente: quando esaminiamo il problema dal punto di vista sociale, non possiamo parlare di prodotti in ge- nerale senza riferirci alla loro forma materiale. In effetti, si parla di reddito sociale, cioè di prodotto destinato al consumo. Ma non ogni prodotto può essere consumato nel senso del consumo indi- viduale : le macchine, il carbone, il ferro e altri prodotti del genere non vengono consumati individualmente, ma in modo produttivo. Per il singolo imprenditore questa distinzione è superflua: se di- ciamo che gli operai consumano il capitale variabile, ammettiamo che essi scambiano sul mercato i beni di consumo con il denaro che i capitalisti hanno ricevuto per le macchine prodotte dagli operai e del quale si sono serviti per pagare gli operai. Qui non ci interessa lo scambio di queste macchine col pane. Ma dal •Indichiamo qui soltanto la sostanza della teoria moderna che ha dato rr?” d - m mod ° più .1*»^ CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 141 punto di vista sociale questo scambio non può essere sottinteso : non si può dire che tutta la classe dei capitalisti, i quali produ- cono macchine, ferro, ecc., vende questi prodotti e quindi li rea- lizza. Il problema è qui di sapere come avviene la realizzazione, cioè la sostituzione di tutte le parti del prodotto sociale. Quindi il punto di partenza nell’analisi del capitale sociale e del reddito so- ciale — o, il che è lo stesso, della realizzazione del prodotto nella società capitalistica — deve essere la distinzione del prodotto so- ciale in due forme radicalmente diverse : nei mezzi di produzione e nei beni di consumo . I primi possono essere consumati solo in modo produttivo, i secondi solo in modo individuale. I primi pos- sono servire soltanto come capitale, i secondi debbono diventare reddito, ossia annullarsi nel consumo degli operai e dei capitalisti . / primi spettano interamente ai capitalisti, mentre i secondi ven- gono ripartiti tra gli operai e i capitalisti . Una volta ammessa questa distinzione e una volta corretto l’errore di A. Smith, il quale ha eliminato dal prodotto sociale la sua parte costante (cioè la parte che sostituisce il capitale co- stante), il problema della realizzazione del prodotto nella società capitalistica diventa più chiaro. Evidentemente, non si può par- lare di realizzazione del salario mediante il consumo degli operai, ma di realizzazione del plusvalore mediante il consumo dei capi- talisti e basta *. Gli operai possono consumare il salario; ma i ca- pitalisti possono consumare il plusvalore solo se il prodotto è co- stituito da beni di consumo, cioè da una sola sezione della produ- zione sociale. Essi non possono « consumare » il prodotto costituito dai mezzi di produzione: questo deve essere scambiato coi beni di consumo. Ma con quale parte (come valore) dei beni di con- sumo possono i capitalisti scambiare il proprio prodotto? Evidente- mente, solo con la parte costante (capitale costante), perchè le altre * Ma proprio così ragionano i nostri economisti populisti, i signori V.V. e N.-on. Ci siamo intenzionalmente soffermati, in modo assai minuzioso, sulle diva- gazioni di Sismondi attorno alla questione del consumo produttivo c individuale, dei mezzi di consumo c dei mezzi di produzione (A. Smith ha approfondito questa distinzione molto più di Sismondi). Volevamo mostrare al lettore che gli esponenti classici della teoria sbagliata ne sentirono Pinsufficienza, videro la con- traddizione e tentarono di rimuoverla. I nostri teorici € originali » invece non solo non vedono e non sentono nulla, ma non conoscono nè la teoria nè la storia della questione su cui ciarlano con tanto zelo. 142 LENIN due parti costituiscono il fondo di consumo degli operai e dei ca- pitalisti che producono beni di consumo. Questo scambio, realiz- zando il plusvalore e il salario nei settori che producono mezzi di produzione, realizza con ciò stesso il capitale costante nei settori che producono beni di consumo. In realtà, per il capitalista che produca, per esempio, zucchero, la parte di prodotto che deve so- stituire il capitale costante (cioè le materie prime, le materie ausi- liarie, le macchine, gli edifici, ecc.) esiste sotto forma di zucchero . Per realizzare questa parte, egli deve ottenere al posto di questo bene di consumo i mezzi di produzione corrispondenti. La realiz- zazione di questa parte consisterà quindi nello scambio del bene di consumo coi prodotti che servono come mezzi di produzione . Rimane ora da spiegare la realizzazione di una sola parte del pro- dotto sociale, e precisamente la realizzazione del capitale costante nella sezione che produce mezzi di produzione. Esso si realizza da un lato nel senso che una parte del prodotto rientra nella pro- duzione sotto la sua forma naturale (ad esempio, una parte del carbone estratto da un’impresa carbonifera è di nuovo impiegata per l’estrazione del carbone; i cereali prodotti dai fittavoli vengono di nuovo impiegati per le semine, ecc.); dall’altro, si realizza me- diante lo scambio tra i singoli capitalisti di questa stessa sezione; per esempio, nella siderurgia è necessario il carbone, mentre nel- l’estrazione del carbone è necessario il ferro. I capitalisti che pro- ducono i due prodotti realizzano mediante uno scambio reciproco quella parte di questi prodotti che sostituisce il loro capitale costante. Quest’analisi (che per la ragione sopra indicata abbiamo esposto in forma concisa) ha risolto la difficoltà di cui già si rendevano conto tutti gli economisti quando affermavano : « Ciò che per uno è capitale diventa reddito per un altro». Quest’analisi ha dimo- strato come sia sbagliato ridurre la produzione sociale al solo consumo individuale. Possiamo adesso esaminare le conclusioni che Sismondi (con gli altri romantici) ha tratto dalla sua errata teoria. Ma riportiamo prima il giudizio che su Sismondi ha espresso l’autore deH’analisi citata, dopo aver esaminato minuziosamente e sotto tutti gli aspetti la teoria di Smith, teoria che Sismondi non ha minimamente in* CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO M3 tegrato, limitandosi soltanto a ignorare il tentativo di Smith di giustificare la contraddizione: € Sismondi, che si occupa particolarmente del rapporto tra ca- pitale e reddito, e in effetti fa della particolare concezione di questo rapporto la differenza specifica dei suoi Nouveaux prin- cipe non ha detto una sola [corsivo delittore] parola scientifica, non ha contribuito minimamente alla chiarificazione del problema » ( Das Kapital , II, p. 385, I ediz.) 41 V L’accumulazione nella società capitalistica La prima erronea conclusione tratta da questa teoria errata concerne l’accumulazione. Sismondi non ha affatto compreso l’ac- cumulazione capitalistica, e neiraccesa polemica che egli ha con- dotto su questa questione con Ricardo, la ragione risultò dalla parte di quest’ultimo. Ricardo sosteneva che la produzione si crea essa stessa un mercato, mentre Sismondi lo nega, e su questa negazione costruisce la propria teoria delle crisi. È vero che nem- meno Ricardo ha saputo correggere l’errore fondamentale di Smith da noi sopra indicato, e pertanto neppure lui è riuscito a risolvere il problema del rapporto tra capitale sociale e reddito e della realizzazione del prodotto (Ricardo non si è neppure po- sto questi problemi), ma egli ha tuttavia caratterizzato istinti- vamente l’essenza stessa del modo di produzione borghese, rile- vando il fatto assolutamente incontestabile che l’accumulazione è un’eccedenza della produzione sul reddito. Ciò è risultato vero anche alla luce dell’analisi moderna. La produzione si crea effetti- vamente un mercato: per la produzione sono necessari i mezzi di produzione, che costituiscono un settore particolare della produ- zione sociale, il quale impiega una determinata parte degli operai e fornisce un particolare prodotto, che viene realizzato in parte al- l’interno di questo stesso settore, in parte mediante lo scambio con l’altro settore, con il settore della produzione dei beni di consumo. L’accumulazione è effettivamente l’eccedenza della produzione sul reddito (beni di consumo). Per estendere la produzione (« accumu- lo - 573 i 4 4 LENIN lare», nell’accezione rigorosa del termine), è necessario produrre anzitutto i mezzi di produzione e a tal fine occorre quindi esten- dere il settore della produzione sociale che produce mezzi di pro- duzione, occorre attrarre verso di esso gli operai che già comin- ciano a chiedere anche beni di consumo. Il « consumo » si sviluppa pertanto sulle orme dell 1 * accumulazione » o sulle orme della « pro- duzione »; per quanto ciò possa sembrare strano, nella società capi- talistica non potrebbe accadere diversamente. Nello sviluppo di questi due settori della produzione capitalistica non solo non è ob- bligatoria l’uniformità, ma al contrario è inevitabile la mancanza di uniformità. E* noto che la legge di sviluppo del capitale con- siste appunto nel fatto che il capitale costante cresce più rapida- mente di quello variabile, ossia una parte sempre maggiore dei capitali di nuova formazione viene indirizzata verso il settore del- Teconomia sociale che produce mezzi di produzione. E quindi questo settore deve svilupparsi più rapidamente di quello che pro- duce mezzi di consumo; avviene cioè quel che Sismondi ha di- chiarato «impossibile», « pericoloso », ecc. Di conseguenza, nel volume complessivo della produzione capitalistica i prodotti per il consumo individuale occupano un posto sempre minore. Ciò cor- risponde pienamente alla « missione » storica del capitalismo e alla sua specifica struttura sociale: la prima consiste appunto nello sviluppo delle forze produttive della società (la produzione per la produzione); la seconda esclude la loro utilizzazione da parte della massa della popolazione. Possiamo adesso valutare appieno la posizione di Sismondi sul problema deiraccumulazione. La sua affermazione che un’accumu- lazione rapida provoca calamità è assolutamente sbagliata e deriva soltanto dalla incomprensione deiraccumulazione, così come le sue insistenti dichiarazioni e richieste che la produzione non superi il consumo, poiché il consumo determina la produzione. Nella realtà avviene esattamente l’opposto, e Sismondi si rifiuta sem- Rammentiamo al lettore come Sismondi abbia impostato questo problema distinguendo nettamente questi mezzi di produzione per una singola famiglia e tentando di fare questa distinzione anche per la società. A rigor di termini, il problema lo ha € impostato » Smith c non Sismondi, il quale si è limitato a CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO I45 plicemente di guardare la realtà nella sua forma specifica, storica- mente determinata, sostituendo airanalisi la morale piccolo-bor- ghese. Particolarmente spassoso è l’effetto che fanno i suoi tentativi di celare questa morale dietro una formula « scien- tifica ». « I signori Say e Ricardo — egli dice nell’avvertenza alla seconda edizione dei Nouveaux principes — sono giunti a credere che... il consumo non abbia altri limiti oltre quelli della produzione, mentre esso è limitato dal reddito... Essi avrebbero dovuto avvertire i produttori di contare soltanto sui consumatori che hanno un reddito » (I, XIII)*. Una simile ingenuità suscita oggi soltanto un sorriso. Ma non sovrabbondano forse di simili cose gli scritti dei nostri romantici attuali, come i signori V.V. e N. on ? « Riflettano bene i banchieri »... se potranno trovare un mercato per le merci (II, 101-102). «Quando l’aumento della ricchezza viene considerato come lo scopo della società, il fine è sempre sacrificato ai mezzi » (II, 140). « Se, invece di attendere l’impulso che deve venire dalla domanda del lavoro [ossia l’impulso impresso alla pro- duzione dalla domanda di prodotti da parte degli operai], si pensas- se che quest’impulso debba essere dato dalla produzione anticipata si agirebbe come uno che invece di caricare la rotella della catena ** [la roue qui porte la chatnette], ne facesse girare all’indietro un’al- tra: allora si spezzerebbe e si arresterebbe tutto il meccanismo» (II, 454). Così Sismondi. Ascoltiamo adesso il signor Nikolai-on. « Abbiamo dimenticato a spese di chi questo sviluppo [ossia l’evo- luzione del capitalismo] avvenga, abbiamo perduto di vista lo scopo di ogni produzione... è un errore estremamente funesto...» (N.-on, Studi sulla nostra economia sociale dopo la riforma , 298). Entrambi gli scrittori parlano di capitalismo, di paesi capitalistici; entrambi danno prova di non comprendere affatto l’essenza del- l’accumulazione capitalistica. Si stenterebbe a credere che il secondo autore scriva a distanza di ben settanta anni dal primo. Come l’incomprensione dell’accumulazione capitalistica dipen- • Com’è noto, su questa questione (se la produzione crei essa stessa un mer- cato) la teoria moderna condivide pienamente la posizione dei classici, i quali hanno dato una risposta affermativa, contro il romanticismo che aveva dato una risposta negativa, t II vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso * (Dos Kapital , in, L, 231)“ •* di un orologio a pendolo (N.d.R.), 146 LENIN da dairerrore che si fa riducendo la produzione complessiva a pro- duzione di beni di consumo, risulta in modo evidente da un esem- pio che Sismondi cita nel capitolo Vili, intitolato Risultati della lotta per ridurre il costo di produzione (libro IV, Della ricchezza commerciale ). Supponiamo, dice Sismondi, che il proprietario di una mani- fattura possegga un capitale circolante di 100.000 franchi, che gli procura 15.000 franchi, dei quali 6.000 rappresentano Tinteresse sul capitale e vengono pagati al capitalista, 9.000 rappresentano il pro- fitto del fabbricante. Supponiamo che egli impieghi il lavoro di cento operai, i cui salari ammontino a 30.000 franchi. Supponiamo infine che si abbia un aumento del capitale, un allargamento della produzione (« accumulazione »). Dai 100.000 franchi iniziali il ca- pitale diventerà pari a 200.000 franchi di capitale fisso più 200.000 franchi di capitale circolante, in totale 400.000 franchi. Il pro- fitto e l’interesse saranno pari a 32.000 più 16.000 franchi, perchè l’interesse è ridotto dal 6% al 4%. Il numero degli operai è rad- doppiato, ma i loro salari sono scesi da 300 a 200 franchi, in totale quindi ammontano a 40.000 franchi. La produzione è pertanto aumentata di quattro volte *. Sismondi tira le somme : il « reddito » 0 il « consumo > erano inizialmente di 45.000 franchi (30.000 di salario -f- 6.000 di interesse -f- 9.000 di profitto), mentre ora am- montano a 88.000 franchi (40.000 di salario + 16.000 di interesse + 30.000 di profitto). « La produzione è aumentata di quattro volte — dice Sismondi — mentre il consumo non è neppure raddop- piato. Non bisogna calcolare il consumo degli operai che hanno fabbricato le macchine. Esso è coperto dai 200.000 franchi che sono destinati a ciò, fa parte del conto di un’altra manifattura dove possono ripresentarsi gli stessi fatti » (I, 405-406). • « Il primo risultato della concorrenza — dice Sismondi — è quello di far ridurre i salari e di far aumentare, nello stesso tempo, il numero degli operai » (I* 4°3)* Non ci soffermiamo qui sugli errori di calcolo di Sismondi: egli ritiene, per esempio, che il profitto sarà dell’8% sul capitale fisso e dell’8% su quello circolante, che il numero degli operai aumenterà proporzionalmente all’aumento del capitale circolante (che egli non sa distinguere, come si dovrebbe, dal capitali variabile), che il capitale fisso entra interamente nel prezzo del prodotto. Nel presente caso tutto ciò non ha alcuna importanza, perchè la conclusione che si trae è giusta: la diminuzione della percentuale del capitale variabile nella compo- sizione generale del capitale e un risultato necessario dell'accumulazione. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 147 Il calcolo di Sismondi mette in risalto la riduzione del reddito connessa con l’aumento della produzione. È un fatto incontestabile. Ma Sismondi non comprende che il suo stesso esempio demolisce la sua teoria della realizzazione del prodotto nella società capi- talistica. È curiosa la sua osservazione che il consumo degli operai i quali producono le macchine « non deve essere calcolato ». Per- chè mai? Anzitutto perchè è coperto dai 200.000 franchi. Il capitale è stato quindi trasferito nel settore che produce mezzi di produ- zione , ma Sismondi non se ne accorge. Il « mercato interno », della cui « contrazione » egli ha parlato, non viene esaurito dai beni di consumo, ma comprende anche i mezzi di produzione. Questi mezzi di produzione costituiscono appunto un prodotto partico- lare, la cui « realizzazione » non consiste nel consumo individuale ; e quanto più celermente avviene l’accumulazione, tanto più vigoro- samente si sviluppa il settore della produzione capitalistica che non fornisce prodotti per il consumo individuale ma per il con- sumo produttivo. In secondo luogo, replica Sismondi, si tratta de- gli operai di un’altra manifattura, dove possono ripresentarsi gli stessi fatti ( où les mémes faits pourront se représenter). Come ve- dete, ciò significa rinviare, alla maniera di Smith, il lettore t da Ponzio a Pilato ». Ma anche questi altra manifattura » impiega il capitale costante e la sua produzione offre un mercato al settore della produzione capitalistica che produce mezzi di produzione! Per quanto trasferiamo la questione da un capitalista a un altro e da quest’ultimo a un terzo, il settore indicato non scompare, e il « mercato interno » non si riduce ai soli beni di consumo. Perciò, quando Sismondi afferma che « questo calcolo confuta... uno degli assiomi sui quali si è insistito di più nell’economia po- litica, e precisamente che una concorrenza più libera determini un più proficuo sviluppo dell’industria» (I, 407), egli non com- prende che « questo calcolo » confuta la sua stessa teoria. Senza dubbio l’introduzione delle macchine soppianta gli operai peg- giorandone la situazione; e Sismondi ha il merito indiscusso di aver per primo richiamato l’attenzione su questo fatto. Il che non toglie che la sua teoria dell’accumulazione e del mercato interno sia ra- dicalmente sbagliata. Il suo calcolo mostra concretamente quel fe- nomeno che Sismondi non solo nega, ma trasforma in un argo- 148 LENIN mento contro il capitalismo dicendo che l’accumulazione e la produ- zione debbono corrispondere al consumo, se si vuole evitare la crisi. Il calcolo mostra precisamente che l’accumulazione e la pro- duzione superano il consumo, e che non può accadere diversa- mente, perchè l’accumulazione si compie soprattutto coi mezzi di produzione, i quali non rientrano nel « consumo ». Ciò che a Sismondi è sembrato un semplice errore, una contraddizione della dottrina di Ricardo — ossia che l’accumulazione è l’eccedenza della produzione sul reddito — , di fatto corrisponde pienamente alla realtà ed esprime una contraddizione inerente al capitalismo. Que- sta eccedenza è necessaria in ogni accumulazione che dischiude un nuovo mercato per i mezzi di produzione , senza espandere in cor- rispondenza il mercato dei beni di consumo, e anzi contraendolo *. In seguito, respingendo la teoria della superiorità della libera con- correnza, Sismondi non rileva che insieme con l’ottimismo gra- tuito egli elimina anche l’incontestabile verità che la libera con- correnza sviluppa le forze produttive della società , come tuttavia risulta evidente dal suo stesso calcolo. (È questa in realtà soltanto un’altra manifestazione dello stesso fatto, che cioè si crea uno spe- ciale settore dell’industria che produce mezzi di produzione, e che si assiste a un suo sviluppo particolarmente rapido). Questo sviluppo delle forze produttive della società senza un corrispondente svilup- po del consumo è certamente una contraddizione, ma una contrad- dizione che esiste nella realtà, che scaturisce dall’essenza stessa del capitalismo e che non può essere elusa con frasi sentimentali. Eppure proprio in questo modo la eludono i romantici. Affinchè il lettore non ci sospetti di aver accusato gratuitamente gli econo- misti contemporanei degli errori di un autore tanto « invecchiato » come Sismondi, riportiamo una breve citazione di uno scrittore «contemporaneo», del signor N.-on. A p. 242 dei suoi Studi egli parla dello sviluppo del capitalismo nell’industria molitoria russa. Riferendosi alla comparsa dei grandi mulini a vapore con stru- Dall analisi sopra condotta risulta che un simile caso è possibile a seconda della misura in cui il nuovo capitale si scompone in capitale costante e capitale varia- bile, e a seconda della misura in cui la riduzione della percentuale relativa del capitale variabile comprende le vecchie industrie. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 149 menti di produzione perfezionati (per la riattrezzatura dei mulini sono stati spesi circa cento milioni di rubli dagli anni settanta in poi) e con una produttività del lavoro più che raddoppiata, l’autore così caratterizza il fenomeno descritto : « L’industria della molitura non si è sviluppata, ma si è soltanto concentrata in grandi im- prese»; egli estende poi questa caratterizzazione a tutti i rami del- l’industria (p. 243), e conclude che «in tutti i casi, senza eccezio- ne, una massa di lavoratori viene resa disponibile e non trova lavoro » (243) e che « la produzione capitalistica si è sviluppata a danno del consumo popolare» (241). Chiediamo al lettore se que- sto ragionamento si distingue, sia pure minimamente, dal ra- gionamento di Sismondi sopra citato. Lo scrittore «contempora- neo» constata due fatti, esattamente gli stessi che abbiamo visto neH’esempio di Sismondi, e cerca di eluderli entrambi serven- dosi di una frase sentimentale. In primo luogo, il suo esempio dimostra che lo sviluppo del capitalismo avviene sempre me- diante lo sviluppo dei mezzi di produzione. Il capitalismo svi- luppa quindi le forze produttive della società. In secondo luogo, il suo esempio dimostra che questo sviluppo segue appunto la strada specifica delle contraddizioni che sono inerenti al capitali- smo: la produzione si sviluppa (la spesa di cento milioni di rubli è un mercato interno per i prodotti che si realizzano mediante un consumo non individuale) senza che si sviluppi in corrispondenza il consumo (Falimentazione del popolo peggiora), si ha cioè la produzione per la produzione. Anche il signor N.-on crede che questa contraddizione cesserà di esistere non appena egli, con l’ingenuità del vecchio Sismondi, affermerà che si tratta di una conti-addizione dottrinaria, di un semplice « funesto errore » : « Ab biamo dimenticato lo scopo della produzione»! Che cosa può es- servi di più caratteristico della seguente frase : « Non si e svilup- pata, ma si è soltanto concentrata »? Evidentemente, il signor N.-on conosce un capitalismo nel quale lo sviluppo potrebbe seguire una strada diversa da quella della concentrazione . È un vero peccato che egli non ci faccia conoscere un capitalismo così « originale », sconosciuto a tutta l’economia politica che ha preceduto il si- gnor N.-on 1 i5o LENIN VI Il mercato estero , « vìa d'uscita dalle difficoltà » per la realizzazione del plusvalore Un altro errore di Sismondi, derivante dall’errata teoria del reddito e del prodotto sociale nella società capitalistica, è la dot- trina dell’impossibilità di realizzare il prodotto in generale e il plusvalore in particolare e, come conseguenza di tale impossibi- lità, la necessità di un mercato estero. Per ciò che si riferisce alla rea- lizzazione del prodotto in generale, l’analisi da noi fatta dimostra che l’« impossibilità » si esaurisce nell’errata esclusione del capitale costante e dei mezzi di produzione. Una volta corretto quest’er- rore, sparisce anche l’« impossibilità ». Ma la stessa cosa si deve anche dire in particolare del plusvalore: Tanalisi spiega anche la sua realizzazione. Non vi è assolutamente nessun motivo ragionevole per separare il plusvalore, per quanto concerne la sua realizzazione, dal prodotto complessivo. L’affermazione contraria di Sismondi (e dei nostri populisti) è dovuta semplicemente all’incomprensione delle leggi fondamentali della realizzazione in generale, è conse- guenza dell’incapacità di distinguere tre (e non due) parti del prodotto in base al valore e due specie di prodotti in base alla forma materiale (mezzi di produzione e beni di consumo). La tesi che i capitalisti non possono consumare il plusvalore è una sem- plice ripetizione volgarizzata dei dubbi di Smith sulla realiz- zazione in generale. Solo una parte del plusvalore consta di beni di consumo, l’altra è composta invece da mezzi di produzione (per esempio, il plusvalore di un industriale siderurgico). Il « con- sumo » di quest* ultima parte del plusvalore si compie con la sua conversione nella produzione ; invece i capitalisti che producono il prodotto sotto forma di mezzi di produzione non consumano il plusvalore ma il capitale costante scambiato con altri capitalisti. Perciò anche i populisti, quando parlano deirimpossibilità di rea- lizzare il plusvalore, debbono logicamente giungere ad ammettere 1 impossibilita di realizzare il capitale costante, e così, ritornerebbero felicemente ad Adamo... Va da se che questo ritorno al «padre dell economia politica » sarebbe un gigantesco progresso per scrit- CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 151 tori che ci ripresentano i vecchi errori sotto la veste di verità, alle quali essi « sarebbero pervenuti con la propria intelligenza >... E il mercato estero? Neghiamo forse noi la necessità di un mercato estero per il capitalismo? Naturalmente, no. Ma il pro- blema del mercato estero non ha assolutamente nulla a che vedere col problema della realizzazione , e il tentativo di ridurre questi due problemi a un tutto unico serve soltanto a caratterizzare i desideri dei romantici di « frenare il capitalismo » e la loro man- canza di logica. La teoria che chiarisce il problema della realiz- zazione lo ha dimostrato con la massima precisione. Il romantico dice: i capitalisti non possono consumare il plusvalore e quindi debbono smerciarlo attesterò. Si chiede: i capitalisti cedono gra- tuitamente i loro prodotti agli stranieri oppure li buttano a mare? Essi vendono, ossia ricevono uh equivalente; esportano alcuni pro- dotti, ossia ne importano altri. Se parliamo della realizzazione del prodotto sociale, eliminiamo con ciò stesso la circolazione del danaro e supponiamo soltanto uno scambio di prodotti, poiché il problema della realizzazione consiste anche nell’analizzare come tutte le parti del prodotto sociale vengano sostituite in base al valore e alla forma materiale. Perciò, iniziare una discussione sulla realizzazione e concluderla dicendo: «smerciano il prodotto in cambio di denaro », è altrettanto ridicolo quanto dare alla do- manda come venga realizzato il capitale costante in beni di con- sumo la risposta: «vendono». Si tratta semplicemente di un gros- solano errore logico : partendo dal problema della realizzazione del prodotto sociale complessivo, ci si smarrisce e si finisce col con- siderare la questione dall’angolo visuale del singolo imprenditore, al quale interessa esclusivamente la « vendita allestero ». Confon- dere il commercio estero, l’esportazione, col problema della realiz- zazione significa eludere il problema, limitarsi a spostarlo su un campo più vasto, senza chiarirlo affatto *. Il problema della rea- # Ciò è tanto chiaro che perfino Sismondi era cosciente della necessità di fare astrazione dal commercio estero neH’analisi della realizzazione. « Per seguire con maggior precisione questi calcoli — egli dice a proposito della corrispondenza fra produzione e consumo — e semplificare il problema» finora abbiamo comple- tamente fatto astrazione dal commercio estero e abbiamo supposto una nazione isolata; la stessa società umana è simile a una nazione isolata, e tutto ciò che vale 152 LENIN lizzazione non farà un passo avanti se noi, invece del mercato di un singolo paese, prendiamo in esame il mercato di un determi- nato complesso di paesi. Quando i populisti asseriscono che il mercato estero rappresenta una « via d'uscita dalle difficoltà » # che il capitalismo incontra nel realizzare il prodotto, sotto questa frase essi nascondono soltanto la triste circostanza che, per essi, il « mercato estero » è una « via d'uscita dalle difficoltà » nelle quali si imbattono a causa dell'incomprensione della teoria... Ma non ba- sta. La teoria che lega il mercato estero al problema della realiz- zazione del prodotto sociale complessivo non solo dimostra che questa realizzazione non è stata compresa, ma rivela anche restre- ma superficialità della concezione delle contraddizioni proprie di questa realizzazione . « Gli operai consumano il salario, i capitalisti non possono consumare il plusvalore ». Si rifletta su questa « teo- ria» dal punto di vista del mercato estero. Come facciamo a sa- pere che « gli operai consumano il salario » ? Su quale base pos- siamo pensare che i prodotti destinati da tutta la classe dei capi- talisti di un dato paese al consumo di tutti gli operai dello stesso paese siano effettivamente di valore pari al loro salario e lo sosti- tuiscano, che per questi prodotti non vi sarà necessità di un mer- cato estero? Decisamente non vi è alcuna ragione di pensare così e, in realtà, non è affatto così. Non solo i prodotti (o parte dei prodotti) che sostituiscono il plusvalore, ma anche i prodotti che sostituiscono il capitale variabile; non solo i prodotti che sosti- tuiscono il capitale variabile, ma anche i prodotti che sostituiscono il capitale costante (del quale si dimenticano i nostri « economisti » che non ricordano più la loro parentela con... Adamo); non solo i prodotti che esistono sotto forma di beni di consumo, ma an- che i prodotti che esistono sotto forma di mezzi di produzione, tutti sono ugualmente realizzati solo attraverso « difficoltà », attraverso continue oscillazioni, che diventano sempre più forti con lo svi- luppo del capitalismo, attraverso una furiosa .concorrenza che ob- bliga ogni imprenditore a cercare di ampliare illimitatamente la produzione, uscendo dai confini del suo Stato, spingendosi alla ri- per una nazione senza commercio estero vale ugualmente per tutto il genere umano » (Ip 115)- • N.-on, p. 205. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 153 cerca di nuovi mercati in paesi non ancora coinvolti nella cir- colazione capitalistica delle merci. Siamo così giunti al problema del perchè sia necessario il mercato estero a un paese capitalistico. Non perchè il prodotto in generale non possa essere realizzato in regime capitalistico. Questa è un assurdità. Il mercato estero è indispensabile perchè è propria della produzione capitalistica la tendenza a espandersi illimitatamente , a differenza di tutti gli an- tichi metodi di produzione, circoscritti entro i confini dello^- stcina , della votcina , della tribù, di un dato territorio o dello Stato. Mentre in tutti questi regimi primitivi la produzione si rinnovava nella stessa forma e con le stesse dimensioni di prima, nel regime capitalistico ciò diventa impossibile : legge della produ- zione capitalistica è Y illimitata espansione, leterno movimento in avanti *. Così la diversa interpretazione della realizzazione (più preci- samente, la sua comprensione da un lato, e la completa incom- prensione da parte dei romantici dairaltro) porta a due concezioni diametralmente opposte circa l’importanza del commercio estero. Per gli uni (i romantici) il mercato estero è l’indice delle «diffi- coltà» che il capitalismo oppone allo sviluppo sociale. Per gli altri, al contrario, il mercato estero mostra come il capitalismo elimini le difficoltà che la storia ha opposto allo sviluppo sociale sotto forma di barriere diverse: comunali, tribali, territoriali, nazionali **. Come vedete, la differenza sta solamente nel « punto di vi- sta»... Sì, «solamente»! La differenza fra i giudici romantici del capitalismo e gli altri sta, in generale, « solamente » nel « punto di vista », « solamente » nel fatto che gli uni giudicano dal punto di vista del passato e gli altri da quello deH’avvenire, gli uni dal punto di vista debordine sociale che il capitalismo distrugge, gli altri dal punto di vista debordine sociale che il capitali- smo crea ### . • Cfr. Sieber, David Ricordo , ecc., Pietroburgo, 1885, p. 466, nota= •• Cfr. più oltre Redc ùber die Froge des FrcihandeU [cfr. p. 249 e sgg. NJJZ.]. • # *Mi riferisco qui solamente al giudizio che i romantici danno del capitalismo e non alla loro concezione del capitalismo. Rispetto a quest’ultima, i romantici non stanno, come abbiamo visto, al di sopra dei classici. *54 LENIN L’errata concezione del mercato estero s’unisce comunemente nei romantici ad accenni sulla «peculiarità» della situazione in- ternazionale del capitalismo di un dato paese, suH’impossibilità di trovare un mercato, ecc.; tutti argomenti che tendono a « disto- gliere » i capitalisti dalla ricerca di un mercato estero. Dicendo « accenni », d’altronde, non ci esprimiamo con esattezza, perchè il romantico non dà del commercio estero del paese, del suo mo- vimento ascendente nel campo dei nuovi mercati, della sua co- lonizzazione, ecc., un’analisi fondata sui fatti. Lo studio e la spie- gazione del processo reale non lo interessano affatto; a lui basta soltanto la morale contro questo processo . Perchè il lettore possa convincersi della completa identità di questa morale negli odierni romantici russi e nel romantico francese, citeremo alcuni esempi dalle argomentazioni di quest’ultimo. Abbiamo già visto come Sismondi abbia prospettato ai capitalisti il pericolo che essi non avrebbero trovato un mercato. Ma egli non si è limitato solo a questo. Ha affermato anche che « il mercato mondiale è già sufficientemente rifornito » (II, 328), dimostrando l’impossibilità di seguire la strada del capitalismo e la necessità di scegliere un’al- tra via... Ha assicurato gli imprenditori inglesi che il capitalismo non avrebbe potuto occupare tutti gli operai resi liberi dal sistema delle farms nell’agricoltura (I, 255-256). « Coloro a cui saranno sa- crificati gli agricoltori troveranno in ciò un vantaggio? Gli agri- coltori sono i più vicini e i più fedeli consumatori dei prodotti delle manifatture inglesi; la mancanza del loro consumo inferirebbe al- l’industria un colpo più fatale della chiusura di uno dei più grossi mercati esteri » (I, 256). Sismondi ha assicurato ai fittavoli inglesi che essi non avrebbero potuto sostenere la concorrenza del con- tadino povero polacco al quale il grano non costava quasi nulla 2 57)> °h e li minacciava l’ancor più temibile concorrenza del grano russo proveniente dai porti del Mar Nero. « Gli americani egli esclamava — hanno seguito un nuovo principio: produrre senza tener conto del mercato [produire sans calculer le marchi ] e produrre il piu possibile », ed ecco « la caratteristica del commer- cio degli Stati Uniti: da un angolo allibro del paese eccedenza di merci di ogni genere sul bisogno del consumo... continui falli- menti sono il risultato di questa eccedenza di capitali commerciali CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 155 che non possono essere scambiati con reddito» (I, 455-456). Buon Sismondi! Che cosa direbbe deirAmerica di oggi, dell’America che si è sviluppata in modo così grandioso proprio mediante quel « mercato interno », che, secondo la teoria dei romantici, doveva « contrarsi »! VII La crisi La terza conclusione errata che Sismondi trae dall’errata teoria di A. Smith, da lui accettata, è la sua teoria delle crisi. Dalla con- cezione di Sismondi che l’accumulazione (raumento della pro- duzione in generale) è determinata dal consumo, e dall’errata spie- gazione della realizzazione del prodotto sociale complessivo (ri- dotto alle quote del reddito spettanti rispettivamente agli operai e ai capitalisti) è scaturita in modo naturale e inevitabile la tesi che le crisi si spiegano con uno squilibrio tra la produzione e il consumo. Sismondi si attiene interamente a questa spiegazione. Anche Rodbertus l’ha accolta, dandole però una formulazione lie- vemente diversa; secondo Rodbertus, le crisi sono dovute al fatto che con l’aumento della produzione diminuisce la parte del pro- dotto spettante agli operai, il che significa che anche Rodbertus di- vide tutto il prodotto sociale complessivo in salario e « rendita » (secondo la sua terminologia, la « rendita » è il plusvalore, ossia l’insieme del profitto e della rendita fondiaria), cadendo nello stesso errore di A. Smith. L’analisi scientifica dell’accumulazione nella società capitalistica * e della realizzazione del prodotto ha demolito dalle fondamenta questa teoria, dimostrando che proprio nelle epoche che precedono le crisi il consumo degli operai si eleva, che l’insufficiente consumo (che dovrebbe spiegare le crisi) è esi- stito nei più diversi regimi economici, mentre le crisi sono un tratto # In connessione con la teoria che il prodotto complessivo consta, nell'economia capitalistica, di due parti, si trova in A. Smith e negli economisti posteriori l’errata concezione dell’* accumulazione del capitale individuale ». Essi appunto insegnano che la parte di profitto accumulata viene spesa interamente per il salario, mentre in realtà essa è spesa: i) per il capitale costante e 2) per il salario. Sismondi ripete anche questo errore dei classici. i 5 6 LENIN caratteristico di un solo regime: quello capitalistico. Questa teoria spiega le crisi con un’altra contraddizione, e precisamente con la contraddizione tra il carattere sociale della produzione (resa sociale dal capitalismo) e il modo privato, individuale dellappro- priazione. La profonda differenza tra queste teorie potrebbe sem- brare tanto chiara da non aver bisogno di altre spiegazioni, tut- tavia dobbiamo soffermarci su di essa più particolareggiatamente, perchè proprio i seguaci russi di Sismondi cercano di cancellare questa differenza e di confondere le cose. Le due teorie di cui parliamo danno spiegazioni affatto diverse delle crisi. La prima le spiega con la contraddizione fra la produzione e il consumo della classe operaia, la seconda con la contraddizione fra il carattere sociale della produzione e il carattere privato deH'appropriazione. La prima vede, quindi, la radice del fenomeno fuori della produ- zione (di qui, per esempio, in Sismondi, gli attacchi contro i clas- sici, ai quali rimprovera di ignorare il consumo, di occuparsi esclu- sivamente della produzione); la seconda vede la radice del feno- meno nelle condizioni della produzione. In breve : la prima spiega le crisi con il sottoconsumo (U nter\onsumption\ la seconda con l'anarchia della produzione. Pertanto, le due teorie, pur spiegando le crisi con una contraddizione della struttura stessa deireconomia, divergono radicalmente neH’individuare questa contraddizione. Ma, si chiede, la seconda teoria nega l’esistenza di una contraddizione fra produzione e consumo, l’esistenza del sottoconsumo? Natural- mente, no. Essa riconosce pienamente che il sottoconsumo esiste, ma lo riconduce al posto subordinato che gli spetta, indicandolo come un fatto concernente solo un settore di tutta la produzione capitalistica. Essa insegna che questo fatto non può spiegare le crisi provocate da un'altra, più profonda, fondamentale contrad- dizione del sistema economico contemporaneo, precisamente dalla contraddizione fra il carattere sociale della produzione e il carattere privato dell’appropriazione. Che dire, dunque, di coloro che, atte- nendosi in sostanza alla prima teoria, adducono a pretesto che i rappresentanti della seconda costatano la contraddizione fra pro- duzione e consumo? Evidentemente, questa gente non ha appro- fondito qual è in sostanza la differenza tra le due teorie, e non ha capito bene la seconda di esse. Fra queste persone vi è, per CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 157 esempio, il signor N.-on (per non parlare del sig. V. V.). Che essi siano seguaci di Sismondi lo ha già accennato nella nostra letteratura il signor T ugan-Baranovski (Le crisi industriali , p. 477, con una strana cautela nei riguardi del signor N.-on, cautela espressa con le parole « a quanto pare »). Ma il signor N.on, commentando la « contrazione del mercato interno » e la « riduzione della capa- cità di consumo del popolo > (punti centrali della sua concezione), fa appello ai rappresentanti della seconda teoria, i quali costatano l’esistenza della contraddizione fra produzione e consumo, resi- stenza del sottoconsumo. S’intende che ciò dimostra soltanto la ca- pacità, che è in generale un tratto caratteristico di questo autore, di fare citazioni fuori luogo.. Per esempio, tutti i lettori che conoscono i suoi Studi ricorderanno certamente la sua « citazione » ove si dice che «gli operai, in quanto compratori della merce, sono importanti per il mercato, ma la società capitalistica ha la tendenza a ridurre al minimo il prezzo della merce sociale che essi vendono, il prezzo della forza-lavoro > (Studi p. 178); ricorde- ranno anche che il signor N.-on vuol da ciò dedurre sia la « contra- zione del mercato interno » (ivi, p. 203 sgg.) che le crisi (p. 298 sgg.). Ma nel riportare questa citazione (che, come abbiamo chiarito, non dimostra nulla) il nostro autore omette la fine della postilla da cui l’ha tratta. Si tratta infatti di una annotazione inserita nel ma- noscritto della seconda sezione del secondo volume del Capitale , che avrebbe dovuto essere « ulteriormente elaborata » e che l’edi- tore ha riportato in nota. In questa annotazione dopo le parole citate si dice: «Tuttavia tutto ciò si riferisce solo alla sezione suc- cessiva » *, cioè alla terza sezione. E qual è la terza sezione? Quella appunto che contiene la critica della teoria di A. Smith sulle due parti del prodotto sociale complessivo (assieme alla già citata osservazione su Sismondi) e l’analisi « della riproduzione e della circolazione del capitale sociale complessivo », cioè della realizzazione del prodotto. Dunque, a conferma delle proprie concezioni, che ripetono quelle di Sismondi, il nostro autore cita un’annotazione che si riferisce « solo alla sezione » che confuta Sismondi, « solo alla sezione » nella quale si dimostra che i capita- Das Kapital, voi. II, p. 304. Trad. russa, p. 232. Il corsivo è nostro 4 *. 58 LENIN listi possono realizzare il plusvalore, e che è assurdo inserire il commercio estero neiranalisi della realizzazione... . Un altro tentativo di cancellare la differenza fra le due teorie e di difendere il vecchio ciarpame romantico appellandosi alle teo- rie più moderne si trova nellarticolo di Efrusi. Nel presentare la teoria delle crisi di Sismondi, Efrusi ne rileva Terroneità ( Russ\oie Bogatstvo y n. 7, p. 162). Ma le sue indicazioni sono estremamente vaghe e contraddittorie. Da un lato egli ripete gli argomenti della teoria opposta, affermando che la domanda nazionale non si esau- risce nei beni di consumo diretto. Dairaltro sostiene che Sismon- di, nella spiegazione delle crisi, « indica solo una delle numerose circostanze che ostacolano la distribuzione della produzione na- zionale secondo la domanda della popolazione e la sua capacità d acquisto ». Si fa così credere al lettore che la spiegazione delle crisi consista proprio nella « distribuzione », e che Terrore di Si- smondi sia solo quello di non aver mostrato tutte le cause che ostacolano questa distribuzione! Ma non è questo Tessenziale... «Sismondi — dice Efrusi — non si ferma a questa spiegazione. Già nella prima edizione dei Nouveaux principes troviamo un ca- pitolo altamente istruttivo, intitolato De la connaissance du marché y dove egli individua le cause fondamentali delTalterazione delTequi- librio fra produzione e consumo [notate!] con una chiarezza quale, su questa questione, troviamo solo in pochi economisti » (ivi). E, riportando citazioni sul fatto che il fabbricante non può conoscere il mercato, Efrusi afferma: «Anche Engels dice quasi la stessa cosa» (p. 163), e fa seguire una citazione che mostra come il fabbricante non possa conoscere la domanda. Riportando in seguito citazioni sugli « altri ostacoli che si incontrano per sta- bilire Tequilibrio fra produzione e consumo » (p. 164), Efrusi af- ferma che « in esse si dà la stessa spiegazione delle crisi, spiega- zione che diviene sempre più dominante»! Ma non basta. L’autore ritiene che « in merito al problema delle cause delle crisi economi- che possiamo, con pieno diritto, considerare Sismondi come il creatore aelle tesi che sono state in seguito sviluppate con maggiore chiarezza e coerenza » (p. 168). Tutto ciò dimostra pero che Efrusi non ha capito nulla! Che cosa sono le crisi? Sovrapproduzione, produzione di merci che non CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO *59 possono essere realizzate, che non trovano una domanda. Se le merci non riescono a trovare una domanda, significa che il fab- bricante, quando le produceva, non conosceva la domanda. Ci si chiede ora; indicare questa condizione di possibilità delle crisi vuol dire spiegare le crisi? Possibile che Efrusi non abbia com- preso la differenza che corre tra l’indicazione di una possibilità e la spiegazione della necessità di un fenomeno? Sismondi dice: le crisi sono possibili perchè il fabbricante non conosce la domanda; esse sono necessarie perchè, nella produzione capitalistica, non può esistere equilibrio tra produzione e consumo (ossia non può essere realizzato il prodotto). Engels dice: le crisi sono possibili perchè il fabbricante non conosce la domanda; esse sono necessarie, ma certo non perchè il prodotto non può essere realizzato, il che è sbagliato. Il prodotto può essere realizzato. Le crisi sono necessarie perchè il carattere collettivo della produzione entra in contrad- dizione col carattere individuale dell’appropriazione. Eppure si trova un economista il quale assicura che Engels dice « quasi la stessa cosa », che Sismondi fornisce « la stessa spiegazione delle crisi»! «Pertanto mi meraviglia — scrive Efrusi — che il signor Tugan-Baranovski... abbia trascurato l’elemento più importante e prezioso della dottrina di Sismondi » (p. 168). Ma il signor Tugan- Baranovski non ha trascurato proprio nulla *. Al contrario, egli ha additato con la massima esattezza la contraddizione fondamentale a cui la nuova teoria riduce il problema (p. 455 e sg.), e ha spie- gato l’importanza di Sismondi che per primo aveva indicato la contraddizione che si manifesta nelle crisi, senza tuttavia saperne dare una giusta spiegazione (p. 457: Sismondi ha messo in rilievo prima di Engels che le crisi derivano dall’attuale organizzazione economica; p. 491: Sismondi ha esposto le condizioni che ren- dono possibili le crisi, ma « non ogni possibilità si traduce in pra- tica »). Efrusi non ha compreso nulla di tutto ciò e, fatto di ogni erba un fascio, « si meraviglia » che ne venga fuori una gran con- fusione! «Noi invero — dice l’economista della Russ\oie Bogatstvo — non troviamo in Sismondi quelle espressioni che hanno oggi * Nello Sviluppo del capitalismo (pp. 16 e 19) ho già rilevato le imprecisioni e gli errori che hanno in seguito condotto in pieno il signor Tugan-Baranovski nel campo degli economisti borghesi ( Nota di Lenin all edizione del 1908), 11-573 i6o LENIN ricevuto diritto di cittadinanza universale, come ” anarchia della produzione”, "mancanza di pianificazione {Planlosig\ett) della produzione", ma in lui è posta in evidenza con molta chiarezza la sostanza che si cela dietro queste espressioni» (p. 168). Con quanta disinvoltura il romantico moderno restaura il romantico dei tempi andati! La questione si riduce a una differenza di pa- role! In realtà tutto si riduce al fatto che Efrusi non capisce le parole che ripete. « Anarchia della produzione », « mancanza di pianificazione della produzione » : che cosa s’intende con queste espressioni? La contraddizione fra il carattere sociale della pro- duzione e il carattere individuale deirappropriazione. E noi chie- diamo a chiunque conosca la letteratura economica da noi esa- minata se Sismondi o Rodbertus ammettessero questa contraddi- zione. Facevano essi derivare le crisi da questa contraddizione? No, non lo facevano nè potevano farlo, perchè nessuno di essi aveva compreso minimamente questa contraddizione . Essi non avevano compreso che non bisogna criticare il capitalismo parlando di pro- sperità universale * ** o dell’errore « della circolazione abbandonata a se stessa » ## , ma esaminando il carattere deH’evoluzione dei rap- porti di produzione. Comprendiamo assai bene perchè i nostri romantici russi si adoperino in ogni modo per cancellare la differenza tra le due teorie sulle crisi sopra menzionate. Essi agiscono così perchè le due teorie sopra esposte determinano direttamente due diversi at- teggiamenti di principio nei riguardi del capitalismo. Infatti, se spieghiamo le crisi con l’impossibiltà di realizzare i prodotti, con la contraddizione fra produzione e consumo, giungiamo a negare la realtà, diciamo che la via seguita dal capitalismo è sbagliata, affermiamo che è una via « falsa » e ci poniamo alla ricerca di « altre vie ». Se attribuiamo le crisi a questa contraddizione, dob- biamo ammettere che quanto più essa si sviluppa tanto più diffi- * Cfr. Sismondi, ivi, I, 8. ** Rodbertus. A questo proposito osserviamo che Bernstein, riprendendo in generale i pregiudizi dell’economia borghese, ha portato confusione anche in questa questione, affermando che la teoria delle crisi di Marx non si differenzia di molto da quella di Rodbertus ( Die Voraussetzungen , ecc., Stoccarda, 1899, p. 67), e che Marx si contraddice riconoscendo come causa ultima delle crisi la scarsezza del consumo delle masse ( Nota di Lenin all'edizione del 1908). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 161 die è uscirne. E abbiamo già visto che Sismondi con estrema in- genuità ha espresso questa opinione, quando ha affermato che se il capitale si accumula lentamente, la situazione può ancora tollerarsi, se invece l’accumulazione è rapida, la situazione diventa insosteni- bile. Al contrario, se spieghiamo le crisi con la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il carattere individuale deirappropriazione, ammettiamo implicitamente che la via capi- talistica di sviluppo è un fatto reale e rappresenta un progresso, e respingiamo come assurdo romanticismo la ricerca di « altre vie ». Riconosciamo con ciò che quanto più questa contraddizione si sviluppa, tanto più fadle è uscirne, e che la via d uscita sta precisa- mente nello sviluppo di quel determinato ordinamento. Come il lettore vede, ci troviamo anche qui di fronte ad una diversità di « punti di vista »... È del tutto naturale che i nostri romantici cerchino conferme teoriche alle loro concezioni. È del tutto naturale che questi ten- tativi li conducano a riesumare il vecchio ciarpame che l’Europa oc- cidentale ha già da tempo gettato via. È del tutto naturale che essi, sapendolo, cerchino di dare a questo ciarpame un nuovo aspetto, sia imbellettando direttamente i romantici deirEuropa oc- cidentale, sia contrabbandando il romanticismo con citazioni fal- sate e fuori luogo. Ma essi sbagliano di grosso, se pensano che questo contrabbando non sarà smascherato. Terminata così l’esposizione della dottrina teorica fondamentale di Sismondi e delle sue principali conclusioni teoriche, ci resta ancora da aggiungere qualche cosa a proposito di Efrusi, Nel suo secondo articolo su Sismondi (che è una continuazione del primo), egli dice: «Ancor più interessanti [rispetto alla teoria del reddito derivante dal capitale] sono le concezioni di Sismondi sulle varie categorie di reddito » (Russ\oie Bogatstvo , n. 8, p. 42). Sismondi, egli dice, distingue il reddito nazionale in due parti, come Rodber- tus : « una va ai proprietari della terra e degli strumenti di produzione, l’altra ai rappresentanti del lavoro » (ivi). Seguono ci- tazioni di Sismondi in cui la distinzione non si applica soltanto al reddito nazionale, ma anche al prodotto complessivo : « La produ- zione annua, ossia il risultato di tutti i lavori compiuti dal po- polo nel corso di un anno, è anch’essa composta da due parti », ecc. ti* IÓ2 LENIN ( Nouveaux principes , I, 105, citato in Russ\oie Bogatstvo , n. 8, p. 43). « I brani citati — conclude il nostro economista — dimo- strano chiaramente che Sismondi ha pienamente assimilato [!] quella classificazione del reddito nazionale che tanta importanza ha tra gli economisti contemporanei, e precisamente la divisione del reddito nazionale in reddito fondato sul lavoro e reddito non dovuto al lavoro [arbeitsloses Ein\ommen\ Anche se, in generale, le opinioni di Sismondi sul problema del reddito non sono sem- pre chiare e precise, tuttavia trapela da esse la coscienza della differenza esistente tra il reddito privato e quello nazionale» (P- 43 )- Il brano citato, replichiamo noi, dimostra chiaramente che Efrusi ha del tutto assimilato la saggezza dei manuali tedeschi, ma che nonostante ciò (o forse proprio per ciò) ha trascurato com- pletamente la difficoltà teorica del problema del reddito nazionale distinto da quello individuale. Efrusi si esprime in modo molto incauto. Abbiamo visto che nella prima parte del suo articolo egli chiamava « economisti moderni » i teorici di una determinata scuola. Il lettore ha motivo di credere che anche questa volta si tratti di essi. Invece qui Tautore intende una cosa completamente diversa. Tra gli economisti moderni figurano adesso i socialisti della cattedra tedeschi, e l’autore difende Sismondi avvicinando la sua teoria alle dottrine di questi ultimi. Ma in che cosa con- siste la dottrina di queste «moderne» autorità di Efrusi? Nel- raffermazione che il reddito nazionale si divide in due parti. Ma questa è la teoria di A. Smith, e non certo degli « economisti moderni»! A. Smith, suddividendo il reddito in salario, profitto e rendita {Ricchezza delle nazioni , libro I, cap. VI; libro II, cap. II), contrapponeva alla prima parte le due ultime come reddito non dovuto al lavoro, e le chiamava detrazione dal lavoro (libro I, cap. Vili), contestando la tesi secondo la quale il profitto è un salario che compensa un lavoro di tipo particolare (libro I, cap. VI). Sia Sismondi, sia Rodbertus, sia i « moderni » autori di ma- nuali tedeschi ripetono semplicemente questa teoria di Smith. L unica differenza e che A. Smith sapeva di non poter riuscire a separare completamente il reddito nazionale dal prodotto nazio- nale, sapeva che sarebbe caduto in contraddizione se avesse eli- CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO i6 3 minato da quest’ultimo il capitale costante (secondo la terminolo- gia moderna), capitale che egli tuttavia includeva nel prodotto indi- viduale. Gli economisti « moderni » invece hanno dato alla dottrina di A. Smith una forma più ampollosa (« classificazione del reddito nazionale»), ricadendo negli stessi errori e perdendo coscienza di quella contraddizione di fronte a cui si era arrestato A. Smith. Questi saranno, forse, procedimenti dottrinali, ma non certo scientifici. Vili Rendita capitalistica e sovrappopolazione capitalistica Continuiamo Tesarne delle concezioni teoriche di Sismondi. Abbiamo già analizzato tutte le sue principali concezioni, quelle cioè che differenziano il suo pensiero dal pensiero di tutti gli altri economisti. Le altre o non svolgono una funzione importante nella sua dottrina generale o costituiscono soltanto una deduzione tratta dalle tesi precedenti. Notiamo che Sismondi, come anche Rodbertus, non con- divide la teoria della rendita di Ricardo. Senza formulare una propria teoria, egli tenta di demolire la teoria di Ricardo con considerazioni più che deboli. Egli si rivela in questo caso un puro ideologo del piccolo contadino; non cerca tanto di confu- tare Ricardo quanto piuttosto di respingere in generale l’esten- sione delle categorie dell’economia mercantile e del capitalismo all’agricoltura. Sotto entrambi gli aspetti la sua posizione è estre- mamente caratteristica per un romantico. Il XIII capitolo del libro terzo # è dedicato alla « teoria del signor Ricardo sulla rendita * Lo stesso metodo espositivo è caratteristico: il III libro tratta della « ric- chezza territoriale » {richesse territoriale ), fondiaria, ossia dell’agricoltura. Il libro successivo, il IV, parla della « ricchezza commerciale » {de la richesse com- merciale ), dell’industria e del commercio. Come se il prodotto della terra e la terra stessa non fossero divenuti una merce nel sistema capitalistico! Pertanto tra i due libri esiste una discordanza. L’industria viene esaminata soltanto nella sua forma capitalistica, contemporanea a Sismondi. L’agricoltura, invece, è descritta come una variegata serie di ogni sorta di sistemi di sfruttamento della terra: lo sfruttamento patriarcale, schiavistico, mezzadrile, lo sfruttamento fondato sulla bar steina, sttìl'obrok , sulle affittanze, sull’enfiteusi (affittanza perpetua trasmissibile 164 LENIN terriera». Dopo aver asserito che la sua teoria contraddice in pieno la dottrina di Ricardo, Sismondi solleva alcune obiezioni: il saggio generale del profitto (che sta alla base della teoria di Ricardo) non si stabilisce mai; un libero trasferimento del capi- tale non esiste neiragricoltura. Nell’agricoltura bisogna considerare il valore intrinseco del prodotto (la valeur intrinsèque ), che non dipende da fluttuazioni del mercato e che fornisce al proprietario un « prodo.tto netto » (produit net), il « lavoro della natura » (I, 306). « Il lavoro della natura... è dunque la fonte del prodotto netto della terra, considerato intrinsecamente» (intrinsèquement) (I, 310). «Noi consideriamo la rendita [le fermage], o meglio il prodotto netto, come derivante immediatamente dalla terra a vantaggio del proprietario... costui non toglie nulla nè al fittavolo nè al consu- matore» (I, 312). Questa ripetizione di vecchi pregiudizi fisiocra- tici si conclude con una morale : « Bisogna sempre diffidare [se défier] delle proposizioni assolute, come delle astrazioni, nell’econo- mia politica » (I, 312)! In una simile « teoria » non c’è nulla da esaminare, perchè una breve annotazione di Ricardo contro il « lavoro della natura » è più che sufficiente *. È una pura e sem- plice rinunzia a compiere un’analisi ed è un gigantesco passo in- dietro rispetto a Ricardo. Con estrema evidenza si rivela qui il romanticismo di Sismondi, il quale si affretta a condannare questo processo, temendo di sfiorarlo con l’analisi. Notate che Sismondi non nega affatto che in Inghilterra l’agricoltura si sviluppa in modo capitalistico, che i contadini vengono sostituiti dai fittavoli e dai giornalieri, che nel continente si segue la stessa direzione. per successione). Il risultato è un vero garbuglio: l’autore non delinca la storia dell’agricoltura, perchè tutti questi « sistemi » non sono connessi tra loro; non presenta un’analisi dell'agricoltura nelPcconomia capitalistica, sebbene quest’ultima sia il vero tema della sua opera e sebbene egli tratti dell’industria soltanto nella sua forma capitalistica. * Ricardo, Opere, nella traduzione di Sieber, p. 35. « Forse che la natura non fa nulla per l'uomo nelPindustria manifatturiera? O le forze del vento e dell’acqua, che mettono in moto le nostre macchine e aiutano la navigazione, non hanno alcuna importanza? La pressione atmosferica e la elasticità del vapore, mediante le quali mettiamo in moto le macchine più meravigliose, non sono forse doni della natura? Senza parlare dell’azione del calore, che rende malleabili e fa fondere i metalli, e della partecipazione dell’aria ai processi di colorazione e fermentazione, non esiste alcun ramo della manifattura nel quale la natura non fornisca all’uomo un aiuto, e per di più un aiuto gratuito e generoso ». CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 165 Semplicemente, egli si rifiuta di considerare questi fatti (che pur dovrebbe esaminare, dal momento che studia l’economia capitali- stica) e preferisce un discorso sentimentale per dichiararsi favore- vole al sistema patriarcale di sfruttamento della terra. Nella stessa maniera procedono i nostri populisti: nessuno di essi tenta nep- pure di negare che l’economia mercantile si estenda all’agricoltura, che essa non può non produrre una trasformazione radicale del carattere sociale dell’agricoltura, ma in pari tempo nessuno di essi, trattando dell’economia capitalistica, imposta il problema del- l’incremento dell’agricoltura mercantile, preferendo eluderlo con l’aiuto di alcune sentenze sulla «produzione popolare». Poiché qui esaminiamo soltanto l’economia teorica di Sismondi, riman- diamo alle pagine che seguono l’analisi minuziosa di questo « sfrut- tamento patriarcale ». Un altro elemento teorico attorno al quale si articola l’esposi- zione di Sismondi è la teoria della popolazione. Rileviamo l’atteg- giamento di Sismondi verso la teoria di Malthus e verso la so- vrappopolazione creata dal capitalismo. Efrusi tenta di farci credere che Sismondi è d’accordo con Malthus solo quando afferma che la popolazione può moltipli- carsi con eccezionale rapidità, dando così origine a straordinarie sofferenze. « In tutto il resto, essi sono assolutamente agli anti- podi. Sismondi imposta tutto il problema della popolazione su un piano storico-sociale » {Russkpie Bogatstvo , n. 7, p. 148). E dietro si- mile formulazione Efrusi occulta completamente il tratto caratte- ristico della posizione di Sismondi (precisamente quello piccolo- borghese) e il suo romanticismo. Che cosa significa « impostare il problema della popolazione su un piano storico-sociale»? Significa studiare la legge della popo- lazione di ogni sistema economico storico separatamente e in- dagare il nesso e la correlazione fra questa legge e quel dato siste- ma. Quale sistema ha studiato Sismondi? Il sistema capitalistico. Il collaboratore della Russipie Bogatstvo ritiene dunque che Si- smondi abbia studiato la legge capitalistica della popolazione. Que- sta affermazione contiene una parte di vero, ma soltanto una parte . Ma poiché Efrusi non ha pensato di ricercare che cosa manchi nei ragionamenti di Sismondi sulla popolazione e afferma che «Si- i66 LENIN mondi è in questa questione il precursore dei più insigni economisti moderni* (p. 148), si ha per risultato quella stessa tendenza ad abbellire il romantico piccolo-borghese che abbiamo visto nella questione delle crisi e del reddito nazionale. Dov e qui l’affinità tra la dottrina di Sismondi e la teoria moderna? Nel fatto che Sismondi ha individuato le contraddizioni inerenti airaccumulazione capitali- stica. Efrusi ha notato questa affinità. In che cosa consiste la diffe- renza fra la dottrina di Sismondi e la teoria moderna? Nel fatto che in primo luogo Sismondi non ha fatto progredire di uno iota l’ana- lisi scientifica di queste contraddizioni e, in taluni casi, ha compiuto un passo indietro rispetto ai classici; in secondo luogo, egli ha dissi- mulato la sua incapacità di condurre un’analisi (e in parte la sua riluttanza a farlo) dietro la morale piccolo-borghese che propugna la necessità di adeguare il reddito nazionale alle spese, la produzione al consumo, eco Efrusi non si è reso conto di questa differenza per nessuno dei punti indicati e ha quindi alte- rato completamente l’autentico significato di Sismondi e il rap- porto tra la sua teoria e la teoria moderna. Assolutamente lo stesso può ripetersi per il problema della popolazione. L’affinità tra Si- smondi e la teoria moderna si limita anche in questo caso al- X individuazione della contraddizione. La differenza consiste anche qui nell’assenza di un’analisi scientifica e nella sostituzione di que- sta analisi con la morale piccolo-borghese. Spieghiamo questo punto. Lo sviluppo dell’industria meccanica capitalistica, a partire dalla fine dello scorso secolo, ha avuto come conseguenza la forma- zione di una sovrappopolazione; l’economia politica ha quindi dovuto dare una spiegazione di questo fenomeno. Com’è noto, Malthus ha cercato di spiegarlo con cause storico-naturali, negando assolutamente che esso derivi da un sistema dato, storicamente determinato, dell’economia sociale e chiudendo gli occhi davanti alle contraddizioni svelate da questo fenomeno. Sismondi ha in- dividuato queste contraddizioni ed ha notato che le macchine * Dobbiamo rilevare, del resto, che non possiamo sapere esattamente a chi Efrusi voglia alludere con l’appellativo di «più insigne economista moderno». Allude forse al rappresentante di una scuola celebre e assolutamente aliena dal romanticismo o all’autore dello Handbuch più voluminoso? CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO I67 sostituiscono gli uomini. È questo un suo merito incontestabile, perchè nell’epoca in cui egli scriveva, questa costatazione rappre- sentava una novità. Ma esaminiamo l’atteggiamento di Sismondi di fronte a questo fenomeno. Nel libro VII (. Della popolazione) il VII capitolo esamina specificamente il problema della « popolazione resa eccedente dal- l’invenzione delle macchine ». Sismondi costata che « le mac- chine sostituiscono gli uomini » ( II, p. 315, VII) e si domanda su- bito dopo se l’invenzione delle macchine sia vantaggiosa 0 no- civa per la nazione. Naturalmente, la « soluzione » di questo pro- blema per tutti i paesi e per tutte le età in generale, e non per un paese capitalistico, rappresenta una banalità priva di contenuto: l’invenzione delle macchine è un vantaggio quando « la domanda dei generi di consumo supera i mezzi di produzione che si trovano nelle mani della popolazione » (les moyens de produire de la po- pulation) (II, 317); è una disgrazia «quando la produzione è pie- namente adeguata al consumo ». In altri termini, la costatazione della contraddizione serve a Sismondi soltanto come un pretesto per ragionare di una società astratta, nella quale non esiste più nessuna contraddizione e per la quale è valida la morale del con- tadino economo! L’autore non tenta neppure di analizzare questa contraddizione, di ricercare quale ne sia l’origine, quali le conse- guenze, ecc., in questa società capitalistica. Egli si avvale di que- sta contraddizione soltanto per esprimere la propria indignazione morale contro di essa. Tutte le altre pagine del capitolo non of- frono assolutamente nulla a proposito del problema teorico in esame e si esauriscono in lamentele, piagnistei e pii desideri. Gli operai sostituiti dalle macchine erano dei consumatori... il mercato interno si contrae... per ciò che concerne il mercato estero, il mondo è sufficientemente rifornito... La moderata agiatezza dei contadini garantirebbe meglio la vendita... non esiste esempio più sorprendente e minaccioso di quello inglese, che è oggi imitato dagli Stati del continente: ecco le sentenze che Sismondi offre in luogo di un’analisi del fenomeno! Il suo atteggiamento verso questo problema è del tutto identico all’atteggiamento dei nostri populisti. Anche i populisti si limitano a costatare l’esistenza della sovrap- popolazione e si avvalgono di questo fenomeno per lagnarsi e i68 LENIN rammaricarsi del capitalismo (cfr. N.-on, V.V. e altri). Sismondi non tenta neppure di studiare il nesso tra questa eccedenza della popolazione e le esigenze della produzione capitalistica; allo stesso modo i populisti non si pongono affatto il problema. Che un simile procedimento sia assolutamente sbagliato è stato messo in rilievo dall’analisi scientifica di questa contraddizione. L’analisi ha stabilito che la sovrappopolazione, rappresentando sen- za dubbio una contraddizione (insieme con la sovrapproduzione e col sovracconsumo) ed essendo un prodotto necessario dell’accu- mulazione capitalistica, è nello stesso tempo una parte integrante necessaria del meccanismo capitalistico *. Quanto più si sviluppa la grande industria, tanto più la domanda di lavoro è soggetta a grandi fluttuazioni, derivanti dalle crisi o dai periodi di pro- sperità della produzione nazionale complessiva o di ogni suo sin- golo ramo. Queste fluttuazioni sono una legge della produzione capitalistica, la quale non potrebbe esistere se non vi fosse una popolazione eccedente (ossia una popolazione che supera la do- manda media di operai da parte del capitalismo), pronta a fornire in ogni momento braccia a qualsiasi ramo industriale o a qual- siasi impresa. L’analisi ha dimostrato che la sovrappopolazione si produce in tutti i rami industriali a cui si estende il capitalismo — nell’agricoltura come nell’industria — e che essa esiste sotto forme # È noto che questo punto di vista sulla sovrappopolazione è stato formulato per la prima volta da Engels in Die Lage der arbeitenden Klasse in England (1845). Dopo aver descritto il ciclo industriale normale nell’industria inglese, l’au- tore afferma: * Ne consegue che in tutti i tempi, eccettuati i brevi periodi di massima prosperità, l’industria inglese deve avere necessariamente una riserva di operai disoccupati appunto per poter produrre nei mesi di maggior attività le masse di merci richieste dal mercato. Questa riserva è più o meno numerosa a seconda che la situazione del mercato determini in grado maggiore o minore l’occupazione di una parte di essa. E se anche nelle condizioni di massima fioritura del mercato i distretti agricoli, l'Irlanda c le branche che sono meno toccate dalla ripresa eco- nomica, possono fornire almeno temporaneamente un certo numero di operai, tuttavia questi, da un lato, costituiscono una minoranza e dall’altro appartengono alla riserva, con l’unica differenza che soltanto la momentanea ripresa economica dimostra che essi vi appartengono » **. In queste ultime parole è importante sottolineare che una parte della popola- zione agricola , che lavora temporaneamente nell'industria, viene compresa nel- l’esercito di riserva. È questo il fenomeno che la teoria ha in seguito denominato forma latente di sovrappopolazione (cfr. Il capitale di Marx). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 169 diverse. Le forme principali sono tre*: 1) Sovrappopolazione flut- tuante . Di questa categoria fanno parte gli operai disoccupati del- l’industria. Con lo sviluppo dell’industria aumenta necessariamente anche il loro numero. 2) Sovrappopolazione latente . Appartiene a questa categoria la popolazione agricola che perde la propria azien- da in seguito allo sviluppo del capitalismo e non trova una occupa- zione non agricola. Questa categoria è sempre pronta a fornire brac- cia a ogni impresa. 3) Sovrappopolazione stagnante . Essa è occupata « in modo assolutamente irregolare », in condizioni che scendono al di sotto del livello normale. Di questa categoria fanno parte so- prattutto gli abitanti dei villaggi e delle città che lavorano a do- micilio per i fabbricanti e per i negozi. L’insieme di questi tre strati della popolazione costituisce la sovrappopolazione relativa o Yesercito di riserva . Quest’ultimo termine indica esattamente di quale popolazione si tratti. Si tratta degli operai che sono necessari al capitalismo per un eventuale ampliamento delle aziende ma che non possono essere mai occupati in modo permanente. Anche su questo problema, dunque, la teoria è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta a quella dei romantici. Per i romantici la sovrappopolazione significa che il capitalismo è im- possibile o «sbagliato». In realtà, è vero proprio l’opposto: la so- vrappopolazione, essendo un complemento necessario della sovrap- produzione, costituisce un attributo indispensabile dell’economia capitalistica, senza il quale essa non potrebbe nè esistere nè svilupparsi . Efrusi ha presentato sotto falsa luce la questione, ta- cendo questa tesi della teoria moderna. Basta confrontare i due diversi punti di vista surriferiti per ve- dere a quale di essi aderiscono i nostri populisti. Il capitolo di Sismondi da noi esposto potrebbe, a buon diritto, essere incluso negli Studi sulla nostra economia sociale dopo la riforma del si- gnor N.-on. Quando costatano il fenomeno della sovrappopolazione in Rus- sia, dopo la riforma, i populisti non si pongono affatto il problema della necessità per il capitalismo di disporre di un esercito di ri- serva di operai. Si sarebbero potute costruire le ferrovie, se non si • Cfr. Sieber. David Ricordo , «c. ? pp. 552-553. Pietroburgo, 1885. 170 LENIN fosse avuto il fenomeno permanente della sovrappopolazione? È noto che la domanda per questo genere di lavoro presenta grandi fluttuazioni da un anno all'altro. Si sarebbe forse potuto svilup- pare l’industria senza questa condizione? (Nei periodi di attività febbrile l’industria richiede una massa di operai per la costruzione di fabbriche, edifici, depositi, ecc., e per ogni genere di lavoro ausi- liario a giornata, in cui è inclusa la maggior parte delle cosid- dette occupazioni non agricole dei contadini). Si sarebbe forse po- tuto, senza questa condizione, creare nelle nostre regioni perife- riche l’agricoltura capitalistica che richiede centinaia di migliaia e milioni di giornalieri, quando la fluttuazione della domanda per questo genere di lavoro è, com'è noto, assai grande? Sarebbe stato possibile senza la sovrappopolazione un disboscamento così ecce- zionalmente rapido da parte delle imprese forestali per coprire il fabbisogno delle fabbriche? (Il lavoro nell’industria forestale ap- partiene alla categoria dei lavori meno retribuiti e che si eseguono nelle condizioni peggiori, come accade per altre forme di lavoro eseguito dalla popolazione rurale per gli imprenditori). Si sa- rebbe forse potuto sviluppare, senza questa condizione, il sistema per cui i commercianti, i fabbricanti e i negozianti danno lavoro a domicilio, in città e in campagna, sistema tanto diffuso nella cosiddetta industria artigiana? In tutti questi settori di lavoro (che si sono sviluppati principalmente dopo la riforma) le oscillazioni della domanda di lavoro salariato sono molto forti. E appunto la sovrappopolazione di cui il capitalismo ha bisogno è determi- nata dalla maggiore o minore fluttuazione di questa domanda. Gli economisti populisti non hanno mai dato prova di conoscere questa legge. Non è nostra intenzione, beninteso, esaminare qura fondo questi problemi *. Ciò non rientra nel nostro tema. Argo- mento del nostro articolo è il romanticismo nell’Europa occidentale e i suoi rapporti con il populismo russo. Anche in questo caso, come in tutti i casi precedenti, si tratta di un rapporto d’iden- tità: circa il problema della sovrappopolazione, i populisti condi- * Non ci occupiamo perciò qui del fatto molto strano che gli economisti populisti non tengano conto di tutti questi operai, assai numerosi, per la ragione che non sono registrati. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO l 7 l vidono appieno la posizione del romanticismo, che è diametral- mente opposta a quella della teoria moderna. Il capitalismo non occupa gli operai resi disponibili, dicono essi. Vuol dire che il capitalismo è impossibile, «sbagliato», ecc.? No, non «vuol dire» affatto ciò. Contraddizione non significa impossibilità ( Wider - spruch non significa Widersinn). L’accumulazione capitalistica, questa autentica produzione per la produzione, è anch essa una contraddizione. Ma ciò non le impedisce di esistere nè di essere la legge di un determinato sistema economico. Lo stesso deve ri- petersi per tutte le altre contraddizioni del capitalismo. Il ragio- namento populista sopra citato « vuol dire » soltanto che tra gli intellettuali russi si è profondamente radicato il vizio di eludere tutte queste contraddizioni con vuote parole. Sismondi, dunque, non ha recato assolutamente nessun con- tributo al Vanalisi teorica della sovrappopolazione. Ma come l’ha vista egli la sovrappopolazione? La sua concezione nasce dalla singolare sintesi tra le sue simpatie piccolo-borghesi e il malthu- sianesimo. « Il grande difetto dell’attuale organizzazione sociale — dice il Sismondi — è che il povero non può mai sapere su quale domanda di lavoro può contare» (II, 261); e comincia a sospirare sui tempi in cui il « calzolaio di campagna » e il piccolo contadino conoscevano esattamente i propri redditi. « Quanto più il povero è privo di ogni proprietà, tanto più egli è esposto al pericolo di sba- gliare circa il proprio reddito e di contribuire ad accrescere una popolazione [ contrihuer à accroitre une population ...] che, non cor- rispondendo alla domanda di lavoro, non troverà mezzi di sussi- stenza » (II, 263-264). Vedete: a questo ideologo della piccola borghesia non basta auspicare che tutta l’evoluzione sociale venga frenata per conservare i rapporti patriarcali di una popolazione semiselvaggia. Egli è pronto a prescrivere qualsivoglia mutilazione della- natura umana, purché essa serva a conservare la piccola bor- ghesia. Ecco alcune citazioni che non lasciano il minimo dubbio su questo ultimo punto: Il sistema di pagamento settimanale del salario all’operaio semi- povero, nella fabbrica, ha educato l'operaio a non vedere l’avvenire oltre il sabato successivo: «in lui sono state affievolite le qualità morali e il sentimento della simpatia » (II, 266), che consiste, come LENIN T 7 2 vedremo, nella «prudenza coniugale»!... «Quanto più la sua famiglia diventerà numerosa, tanto più sarà di peso alla società; e la nazione soffrirà [gémira] sotto il peso di una popolazione non proporzionata [ disproportionnée ] ai mezzi di sussistenza » (II, 267). Conservare a ogni costo la piccola proprietà, anche a prezzo dell’abbassamento del tenore di vita e del pervertimento della natura umana: è questa la parola d’ordine di Sismondi! Dopo aver precisato, dandosi arie da statista, quando l’aumento della popolazione sia « desiderabile », Sismondi in un intiero capitolo si scaglia contro la religione che non condanna i matrimoni « irragio- nevoli». Non appena si tocchi il suo ideale di piccolo borghese, Sismondi si rivela più malthusiano dello stesso Malthus. « I figli generati soltanto per miseria — ammonisce egli rivolgendosi alla religione — sono generati anche soltanto per vizio... L’ignoranza dei problemi dell’ordinamento sociale li [i rappresentanti della re- ligione] ha costretti a escludere la castità dal novero delle virtù proprie del matrimonio ed è una delle cause operanti costantemente per spezzare l’equilibrio stabilitosi in modo naturale fra la popola- zione e i suoi mezzi di sussistenza » (II, 294). « La morale religiosa deve insegnare agli uomini che... rinnovata la famiglia, essi sono nondimeno tenuti a vivere in castità con le proprie mogli, come fanno i celibi con le donne che loro non appartengono » (II, 298). E Sismondi, che in generale non rivendica a se soltanto il titolo di economista teorico ma anche quello di saggio amministratore, calcola qui che per « rinnovare la famiglia » sono necessarie « in generale almeno tre nascite » e raccomanda al governo di « non illudere gli uomini con la speranza di una situazione indipendente, che consenta loro di mantenere una famiglia, quando questa illu- soria istituzione [cet établissement illusoire ] li lascerà in preda alle sofferenze, alla miseria e alla morte » (II, 299). « Quando l’organiz- zazione sociale non separava la classe di chi lavora dalla classe di chi detiene qualche proprietà, la semplice opinione pubblica era già sufficiente per prevenire il flagello [le fléau] della miseria. Per 1 agricoltore la vendita dell’eredità lasciatagli dai genitori, per l’ar- tigiano la dissipazione del suo modesto capitale racchiudono sem- pre in se qualcosa di vergognoso... Ma nello stato in cui si trova oggi l’Europa... gli uomini condannati a non possedere alcuna CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO *73 proprietà non possono provare alcun senso di vergogna allorché sono ridotti in miseria » (II, 306-307). Sarebbe difficile esprimere in modo più plastico la ottusità e ^insensibilità del piccolo proprie- tario! Da teorico Sismondi si trasforma qui in consigliere pratico, il quale predica la morale che, com'è noto, è professata con tanto successo dal contadino francese. Qui Sismondi non è soltanto un Malthus, ma per giunta un Malthus tagliato a bella posta sulla mi- sura del piccolo borghese. Quando si leggono questi capitoli di Si- smondi involontariamente ritornano alla memoria le tirate appas- sionate e veementi di Proudhon, il quale dimostrava che il malthu- sianesimo predica la pratica coniugale... di un certo vizio contro natura # . IX Le macchine nella società capitalistica Il problema della sovrappopolazione è connesso al problema dell’importanza delle macchine in generale. Efrusi parla con calore delle « brillanti osservazioni > di Si- smondi a proposito delle macchine; dice che «sarebbe ingiusto considerare Sismondi un avversario dei perfezionamenti tecnici » (n. 7, p. 155) e che « Sismondi non è stato un nemico delle mac- chine e delle invenzioni » (p. 156). « Sismondi ha insistentemente ripetutto che le macchine e le invenzioni in sè non sono nocive alla classe operaia, ma diventano tali solo nel sistema economico attuale, nel quale relevamento della produttività del lavoro non determina un incremento del consumo della classe operaia nè una riduzione dell orario di lavoro » (p. 155). Tutte queste osservazioni sono assolutamente giuste. E tuttavia questa valutazione di Sismondi mostra con estrema evidenza come il populista non sia affatto riuscito a comprendere il roman- tico , a capire il punto di vista sul capitalismo proprio del roman- ticismo e la differenza radicale tra questo punto di vista e quello * Cfr. l’appendice alla traduzione russa del Saggio sul principio di popolazione di Malthus (Traduzione di Bibikov, Pietroburgo, 1866). Frammento dell’opera di Proudhon Sulla giustizia. i74 LENIN della teoria scientifica. Il populista non poteva comprendere ciò perchè lo stesso populismo non ha mai superato il romanticismo. Ma se le osservazioni di Sismondi a proposito del carattere con- traddittorio dell’impiego capitalistico delle macchine costituirono un grande progresso nella terza decade del nostro secolo, attual- mente è del tutto imperdonabile limitarsi a una critica così pri- mitiva e non intenderne la limitatezza piccolo-borghese. A questo proposito (cioè sul problema della differenza tra la dottrina di Sismondi e la dottrina moderna) # Efrusi rimane fermo sulla sua posizione. Egli non sa neppure impostare il problema. E si accontenta di dire che Sismondi ha rilevato la contraddizione, quasi che la storia non avesse già presentato i più diversi metodi di critica delle contraddizioni del capitalismo. Quando afferma che Sismondi non considerava le macchine nocive in se stesse, ma soltanto a causa della loro azione in un dato sistema sociale, Efrusi non comprende quanto sia primitiva e superficialmente sentimen- tale Topinione contenuta in questo ragionamento. Sismondi ha impostato effettivamente il problema se le macchine siano o non siano nocive, e lo ha « risolto » con una sentenza : le macchine sono utili solo quando la produzione corrisponde al consumo (cfr. le citazioni in Russkpie Bogatstvo , n. 7, p. 156). Dopo quanto ab- biamo esposto non è più necessario dimostrare che una simile « soluzione » altro non è se non la sostituzione deiranalisi scien- tifica del capitalismo con una utopia piccolo-borghese. Non si può far colpa a Sismondi di non aver condotto quest’analisi. I meriti storici non si valutano secondo ciò che le personalità storiche non hanno dato rispetto alle esigenze contemporanee, ma secondo ciò che esse hanno dato di nuovo rispetto ai loro predecessori. Tuttavia qui non stiamo parlando di Sismondi nè della sua primi- tiva e sentimentale posizione, ma dell’economista della Russ\oie Bogatstvo , il quale ancora non comprende la differenza tra questa posizione e la posizione moderna. Egli non capisce che per indi- viduare questa differenza non bisogna domandarsi se Sismondi è stato o non è stato un avversario delle macchine, ma esaminare se Sismondi ha compreso l’importanza delle macchine nel regime * Abbiamo già sottolineato ripetutamente che Efrusi cerca sempre di stabilire questo parallelo tra Sismondi e la teoria moderna. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 175 capitalistico, la funzione delle macchine in questo regime , come fattore di progresso. Se così avesse ragionato, l’economista della Russhpie Bogatstvo avrebbe potuto rilevare che Sismondi, dalla sua posizione piccolo-borghese , utopistica , non poteva impostare que- sto problema e che il tratto caratteristico della teoria moderna consiste proprio nel saper impostare e risolvere questo problema. Efrusi allora avrebbe potuto capire che, sostituendo al problema della funzione storica delle macchine nella società capitalistica il problema delle condizioni in cui le macchine sono in genere « vantaggiose » e « utili », Sismondi è pervenuto naturalmente alla teoria della « pericolosità » del capitalismo e dell’impiego capitalistico delle macchine, ha preconizzato la necessità di « fre- nare », di « moderare », di « regolare » l’evoluzione del capitalismo, ed è così diventato un reazionario. L’incomprensione della fun- zione storica delle macchine, come fattore di progresso, è appunto una delle ragioni per cui la teoria moderna considera reazionaria la dottrina di Sismondi. Non esporremo qui, s’intende, la teoria moderna (ossia la teoria di Marx) sulla produzione meccanica. Rinviamo il lettore al sopra citato studio di N. Sieber, capitolo X, Le macchine e la grande in- dustria, e particolarmente al capitolo XI, Analisi della teoria della produzione meccanica *. Ne indichiamo soltanto, a grandi linee, l’essenza. Questa teoria si riduce a due punti: primo, all’analisi storica che determina il posto della produzione meccanica nella serie delle fasi di sviluppo del capitalismo nonché il rapporto tra l’industria meccanica e queste fasi precedenti (la cooperazione capitalistica semplice e la manifattura capitalistica); secondo, al- l’analisi della funzione delle macchine nell’economia capitalistica e, in particolare, all’analisi della trasformazione di tutte le condi- zioni di vita della popolazione che l’industria meccanica pro- duce. Circa il primo punto, la teoria ha stabilito che l’industria meccanica è soltanto una fase (precisamente la fase suprema) della * « A dire il vero — afferma Sieber all’inizio di questo capitolo — , la teoria delle macchine e della grande industria che qui esponiamo è una fonte così ine- sauribile di nuove idee e di ricerche originali, che se qualcuno pensasse di valutare appieno i pregi relativi di questa teoria, dovrebbe scrivere un intero volume su questo argomento » (p. 473). 12 - 573 176 LENIN produzione capitalistica e ha precisato come questa industria nasca dalla manifattura. Circa il secondo punto, la teoria ha stabilito che l’industria meccanica rappresenta un progresso considerevole nella società capitalistica non solo perchè sviluppa in misura gigantesca le forze produttive e socializza il lavoro di tutta la società # , ma an- che perchè distrugge la divisione manifatturiera del lavorò, impone il passaggio degli operai da alcune occupazioni ad altre, distrugge definitivamente gli antiquati rapporti patriarcali, soprattutto nelle campagne • **, imprime un poderoso impulso al movimento progres- sivo della società sia per le ragioni indicate sia per la concentrazione della popolazione industriale. Questo progresso, come tutti gli altri progressi del capitalismo, è accompagnato da un « progresso » delle contraddizioni, ossia dal loro acuirsi ed estendersi. Il lettore può forse domandare che interesse presentino l’analisi delle concezioni di Sismondi su una questione così universalmente conosciuta e un’esposizione così sommaria della teoria moderna che tutti « conoscono > e che tutti « accettano ». Ebbene, per veder meglio come tutti « accettano » questa teoria, prendiamo il più eminente economista populista, il signor N.-on, il quale ha la pretesa di applicare rigorosamente la teoria moderna. Nei suoi Studi , com’è noto, il signor N.-on si è proposto particolar- mente di esaminare il processo di trasformazione capitalistica del- l’industria tessile russa, che è caratterizzata dal più largo impiego delle macchine. Si pone qui la domanda: quale posizione assume il signor N.-on su questa questione? Quella di Sismondi (del quale, come abbiamo già visto, condivide le opinioni su molti aspetti del capi- talismo) o quella della teoria moderna? È egli, in questo impor- tante problema, un romantico o... un realista ***? • Paragonando la « combinazione del lavoro » nt\Y obsteina e quella nella società capitalistica dotata d’industria meccanica, Sieber rileva molto giusta- mente: tTra il ” termine ” obsteina e il "termine” società con produzione mec- canica esiste approssimativamente la stessa differenza che esiste, per esempio, fra V unità io e V unità 100 » (p. 495), •• Sieber, Op. cit., p. 467. La parola 4 realista » è qui usata al posto della parola marxista solo per ragioni di censura. Per lo stesso motivo i richiami al Capitale sono sostituiti con richiami al libro di Sieber, che ha esposto il Capitale di Marx {Nota di Lenin all’edizione del 1908). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 177 Abbiamo notato che la prima caratteristica della teoria moderna è l’analisi storica della nascita dell’industria meccanica dalla ma- nifattura capitalistica. Si è posto il signor N.-on il problema della genesi dellmdustria meccanica russa? No. Egli ha dimostrato, è vero, che l’industria meccanica russa è stata preceduta dal lavoro a domicilio per il capitalista e dalla « fabbrica » dove si lavora a mano*, tuttavia non solo non ha chiarito il problema dei rap- porti tra l’industria meccanica e la fase precedente, ma non ha neppure « notato » che, secondo la terminologia scientifica, la fab- brica non può essere chiamata una fase precedente (la produzione manuale a domicilio o nellofficina del capitalista), perchè questa fase senza dubbio deve essere caratterizzata come manifattura capitalistica **. E non pensi il lettore che si tratti di una « lacuna t> insignifi- cante. Essa è, invece, di estrema importanza. In primo luogo, il signor N.-on identifica in questo modo il capitalismo con l’ industria meccanica. È un errore grossolano. La teoria scientifica è impor- tante proprio perchè ha illustrato la posizione deirindustria mec- canica come una fase del capitalismo. Se il signor N.-on condivi- desse le posizioni di questa teoria , potrebbe forse rappresentare lo sviluppo e la vittoria dell* industria meccanica come una « lotta tra due forme economiche » : tra una certa « forma » sconosciuta, « fondata sulla proprietà dei mezzi di produzione da parte dei conta- dini » ***, e il « capitalismo > (pp. 2, 3, 66, 198, ecc.), mentre in realtà assistiamo alla lotta tra l’industria meccanica e la manifattura capitalistica ? Su questa lotta il signor N.-on non dice neppure una parola, sebbene proprio nell’industria tessile, che egli ha scelto # P. 108. Citato nella Raccolta di dati statistici sul governatorato di Mosca , voi. VII, parte III, p. 32 (gli statistici espongono qui il contenuto dell’opera di Korsak Sulle forme dell'industria): « La stessa organizzazione dell’artigianato si tra- sforma radicalmente dal 1822. I contadini da produttori artigiani indipendenti diventano semplici esecutori di alcune operazioni nella grande produzione di fab- brica. sono ridotti a ricevere un salario ». •*Sieber rileva giustamente che la terminologia usuale (fabbrica, officina, ecc.) non è appropriata alle ricerche scientifiche e che è necessario distinguere l’industria meccanica dalla manifattura capitalistica, p. 474. *** N.-on, p. 322. Si distingue ciò di un iota dalla idealizzazione del- l'3«ie/ad« contadina patriarcale propria di Sismondi? 12 * 178 LENIN come tema specifico del suo studio (p. 79), sia avvenuta, come egli stesso ha asserito, questa sostituzione di una forma di capitalismo con un’altra, che egli ha deformato presentandola come una sosti- tuzione della « produzione popolare » col « capitalismo ». Non è forse evidente che, in sostanza, il signor N.-on è scarsamente in- teressato al problema dell’ effettivo sviluppo dell’industria mecca- nica e che dietro la « produzione popolare » si cela un’utopia di pretto sapore sismondiano? In secondo luogo, se il signor N.-on impostasse il problema dello sviluppo storico dell’industria mec- canica russa, potrebbe forse parlare di « trapianto del capitalismo » (pp. 331, 283, 323, ecc.), basandosi sul fatto che si sono avuti casi di appoggio e aiuto da parte del governo, così com’è avvenuto anche in Europa? Ci si domanda se egli imiti Sismondi, che aveva par- lato allo stesso modo di « trapianto », o se sia un esponente della teoria moderna, la quale ha studiato la sostituzione della manifat- tura con l’industria meccanica. In terzo luogo, se il signor N.-on impostasse il problema dello sviluppo storico delle forme del capi- talismo in Russia (nell’industria tessile), potrebbe forse ignorare resistenza della manifattura capitalistica nell’« industria artigia- na » * russa ? Ma se egli effettivamente seguisse la teoria e cercasse di esaminare attraverso l’analisi scientifica sia pure un angolino di questa « produzione popolare », che cosa rimarrebbe del suo qua- dro così dozzinale dell’economia sociale russa, quadro che pre- senta una sorta di nebulosa « produzione popolare » e un « capi- talismo » da essa avulso e che comprende soltanto un « pugno » di operai (p. 326, ecc.)? Riepiloghiamo: circa il primo punto che differenzia la teoria moderna suH’industria meccanica da quella romantica, il signor N.-on non può essere in nessun caso considerato un seguace della * Crediamo che non occorra qui dimostrare un fatto cosi universalmente conosciuto. Basti ricordare la fucina di Pavlovsk, la conceria di Bogorodsk, la calzoleria di Kimry, la berretteria del distretto di Molvitin, le botteghe per la pro- duzione di fisarmoniche e samovar di Tuia, le oreficerie di Krasnoie-Sielo e Rybnaia Sloboda, le botteghe per la produzione di cucchiai di Semionovsk, di oggetti di corno di « Ustianstcina », di gualchiere del distretto di Semionovsk, nel governatorato di Nizni-Novgorod, ecc. Citiamo a memoria: basta sfogliare una monografia qual- siasi sull’industria artigiana per prolungare l’elenco all’infinito. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 179 prima , perchè non comprende nemmeno la necessità di impostare il problema della genesi deirindustria meccanica, come una fase particolare del capitalismo , e sottace Inesistenza della manifattura capitalistica, cioè della fase capitalistica che precede le macchine. Al posto dell’analisi storica egli introduce di soppiatto l’utopia della « produzione popolare ». Il secondo punto concerne il principio formulato dalla teoria mo- derna della trasformazione dei rapporti sociali ad opera dell’indu- stria meccanica. Il signor N.-on non ha neppure tentato di esami- nare questo problema. Egli si è molto lamentato del capitalismo, ha pianto sulla fabbrica (esattamente come aveva pianto Sismondi), ma non ha cercato in nessun modo di studiare la trasformazione delle condizioni sociali che la fabbrica # ha prodotto. A tal fine sarebbe stato necessario confrontare l’industria meccanica con le fasi prece- denti , che nel signor N.-on mancano del tutto. Analogamente, l’opi- nione della teoria moderna sulle macchine quali fattori di pro- gresso di una determinata società capitalistica , gli è completamente estranea. Ancora una volta il signor N.-on non ha impostato, nè poteva impostare , questa questione ## , perchè essa è soltanto il risultato dell’analisi storica della sostituzione di una forma del ca- pitalismo con un’altra, mentre per il signor N.-on il « capitalismo » sostituisce tout court la... « produzione popolare ». Se, in base alla « ricerca » del signor N.-on sul processo di trasformazione capitalistica delV industria tessile in Russia , ci po- nessimo la domanda: come il signor N.-on considera le macchine?, non potremmo ricevere una risposta diversa da quella che già cono- sciamo dagli scritti di Sismondi. Il signor N.-on riconosce che le macchine elevano la produttività del lavoro (e sarebbe strano non riconoscerlo!), come già aveva fatto Sismondi. Il signor N.-on, come già Sismondi, afferma che le macchine non sono nocive, ma che dannoso è il loro impiego capitalistico. Il signor N.-on crede, * Non bisogna dimenticare che l’accezione scientifica di questo termine è diversa da quella usuale. Nella scienza esso viene adoperato solo per la grande industria meccanica. ** Che invece è stata impostata, per esempio, da A. Volghin, Le argomenta- ztont del populismo nelle opere del signor Vorontsov (IL IL), Pietroburgo, 1896. i8o LENIN come già Sismondi credeva, che « noi », introducendo le macchine, abbiamo dimenticato che la produzione deve corrispondere alla « capacità di consumo del popolo ». Tutto qui. Il signor N.-on non va oltre. Egli non vuole neppure conoscere i problemi che la teoria moderna ha im- postato e risolto, e infatti non cerca nemmeno di studiare la succes- sione storica delle diverse forme di produzione capitalistica in Russia (sia pure sulla base deiresempio deirindustria tessile da lui scelto), nè la funzione delle macchine come fattore di pro- gresso in un dato sistema capitalistico. E così, anche nella questione delle macchine, questo impor- tantissimo problema deireconomia teorica, il signor N.-on con- divide la posizione di Sismondi. Egli ragiona proprio come un ro- manticoy il che, beninteso, non gli impedisce affatto di fare cita- zioni a iosa. Ciò non vale soltanto per l’esempio deirindustria tessile, ma per tutto il ragionamento del signor N.-on. Basti ricordare l’esempio dell’industria della molitura che abbiamo citato sopra. La costata- zione dell’introduzione delle macchine serve al signor N.-on solo come un pretesto per intonare sentimentali geremiadi sul tema che l’aumento della produttività del lavoro non corrisponde alla « capacità di consumo del popolo ». Egli non pensa nemmeno di esaminare le trasformazioni che l’industria meccanica produce in genere nell’ordinamento sociale (e che di fatto ha prodotto in Russia). Non comprende affatto la necessità di stabilire se queste macchine hanno costituito o no un progresso nella società capi- talistica *. Il parere da noi espresso sul signor N.-on è valido a fortiori anche per gli altri economisti populisti: circa il problema delle macchine, il populismo continua ancor oggi a rimanere sulle posi- zioni del romanticismo piccolo-borghese, sostituendo all’analisi economica i desideri sentimentali. * Nel testo sono delineati, sulla base della teoria di Marx, i temi della critica delle concezioni del signor N.-on che ho in seguito svolto nello Sviluppo del capitalismo ( Nota di Lenin all’edizione del 1908). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 181 X Il protezionismo 45 L’ultima questione teorica che ci interessa nel sistema di Si- smondi è il problema del protezionismo. Non poco posto è riser- vato a questo problema nei Nouveaux principes , ma esso viene esaminato prevalentemente sotto l’aspetto pratico, in connessione col movimento sorto in Inghilterra contro le leggi sul grano. Ve- dremo in seguito quest’ultimo problema, giacche esso implica questioni più ampie. Qui ci interessa soltanto il punto di vista di Sismondi sul protezionismo. E non tanto perchè si tratta di un nuovo concetto economico di Sismondi, che non è stato compreso nell’esposizione precedente, quanto perchè mostra come Sismondi intenda il nesso tra « economia » e « sovrastruttura ». Efrusi fa credere ai lettori della Russ\oie Bogatstvo che Sismondi è « uno dei primi e più insigni precursori della scuola storica moderna », che egli polemizza « contro la separazione dei fenomeni economici da tutti gli altri fattori sociali ». « Nelle opere di Sismondi si so- stiene l’opinione che i fenomeni economici non devono essere isolati dagli altri fattori sociali, ma invece studiati in connessione coi fenomeni che hanno carattere sociale e politico» (Russfoie Bogatstvo , n. 8, 38-39). Vediamo dunque, in base all’esempio scelto, come Sismondi intenda il nesso fra i fenomeni economici e i feno- meni politico-sociali. « I divieti di importazione — dice Sismondi nel capitolo Sulle dogane ( 1 . IV, cap. XI) — sono altrettanto irrazionali e funesti dei divieti di esportazione: sono stati inventati per fornire una nazione di una manifattura che essa ancora non possedeva; non si può negare che per una industria nascente questi divieti valgano come un primo potente incentivo. La manifattura produce forse solo la centesima parte di un dato genere di merci che la nazione con- suma; ma i 100 compratori dovranno lottare tra loro per ottenere la preferenza dell’unico venditore, e i 99 compratori, che il ven- ditore avrà respinto, saranno costretti a provvedersi di merci di contrabbando. In questo caso, la perdita sarà per la nazione pari a 100 e l’utile pari a 1; qualunque sia l’utilità che la nazione i8z LENIN può trarre da una nuova manifattura, essa è senza dubbio ina- deguata a giustificare così gravi sacrifici; si potrebbero sempre trovare mezzi meno dispendiosi per mettere in azione questa ma- nifattura » (I, 440-441). Ecco con quanta semplicità Sismondi risolve il problema: il protezionismo è « irrazionale », perchè la « nazione » subisce una perdita! Di quale « nazione » parla il nostro economista ? Con quali rapporti economici egli confronta il fenomeno sociale e politico in questione? Sismondi non prende in considerazione alcun rapporto concreto, ma parla in generale della nazione quale dovrebbe es- sere secondo la sua concezione del dover essere. E questa conce- zione del dover essere, già lo sappiamo, è fondata suiresclusione del capitalismo e sul dominio della piccola produzione indipendente. Ma è una pura assurdità mettere a confronto un fattore politico- sociale, che si riferisce esclusivamente a una struttura economica concreta, con una qualsiasi struttura immaginaria. Il protezionismo è un «fattore politico-sociale» del capitalismo, eppure Sismondi non lo mette a confronto col capitalismo, ma con una qualsiasi nazione in generale (o con una nazione di piccoli produttori indi- pendenti). Forse egli potrebbe mettere a confronto il protezionismo con la comunità indiana e mostrarne più palesemente il carattere « irrazionale » e « funesto », ma l’« irrazionalità » riguarderebbe in tal caso soltanto il suo ragionamento e non il protezionismo. Si- smondi fa un calcolo puerile per dimostrare che il protezionismo è utile per una minoranza e svantaggioso per la massa. Ma ciò non dimostra nulla, perchè risulta dal concetto stesso di protezionismo (non importa se si tratti della concessione di premi o della liqui- dazione di concorrenti stranieri). È incontestabile che il protezio- nismo esprime una contraddizione sociale. Ma non esistono forse contraddizioni nella vita economica di quel sistema che ha creato il protezionismo? Al contrario, essa è piena di contraddizioni, e Sismondi le ha individuate in tutta la sua esposizione. Invece di dedurre questa contraddizione dalle contraddizioni del sistema economico da lui stesso individuate, Sismondi ignora le con- traddizioni economiche, riducendo il proprio ragionamento a un « pio desiderio » del tutto privo di contenuto. Invece di confrontare CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 183 il protezionismo, che secondo le sue parole è utile a un’esigua minoranza, con la situazione di questa minoranza nell’economia del paese e con gli interessi di questa minoranza, egli paragona il protezionismo all’astratta formula del «bene generale». Vediamo quindi che, in contrasto con l’affermazione di Efrusi, Sismondi isola i fenomeni economici dagli altri fenomeni (esaminando il protezionismo al di fuori di ogni rapporto con la struttura econo- mica) e non comprende affatto il nesso tra i fenomeni economici e quelli politici e sociali. Il brano da noi citato contiene tutto ciò che Sismondi può dare, come teorico, sul problema del protezio- nismo: il resto è soltanto una perifrasi di questo brano. «Si può mettere in dubbio che i governi abbiano compreso appieno a quale prezzo pagassero questo vantaggio [lo sviluppo delle manifatture] e quali gravi sacrifici imponessero ai consumatori » (I, 442-443). « I governi dell’Europa hanno voluto far violenza alla natura » (fair e violence à la nature ). A quale natura ? Forse il protezionismo «fa violenza» alla natura del capitalismo? «La nazione è co- stretta, per così dire [en quelque sorte ], a una falsa attività» (I, 448). « Alcuni governi sono giunti a pagare i propri commercianti per dar loro la possibilità di vendere più a buon mercato: quanto più questo sacrificio era strano e contrastante coi calcoli più sem- plici, tanto più veniva attribuito a ragioni di alta politica... I go- verni pagavano i propri commercianti a spese dei propri sudditi » (I, 421-422), ecc. ecc. Ecco quali ragionamenti somministra Si- smondi! Altrove, come se traesse le conclusioni da questi ragio- namenti, egli afferma che il capitalismo è « artificiale » e « trapian- tato » (I, 379, opulence factice ), « coltivato in serra » (II, 456), ecc. Dopo aver sostituito all’analisi delle contraddizioni concrete i suoi pii desideri, Sismondi finisce per deformare la realtà a favore di questi desideri. Ne deriva che l’industria capitalistica, così fervi- damente « sostenuta », è debole, priva di fondamenta, ecc., non svolge una funzione predominante neH’economia del paese; ne deriva che questa funzione predominante spetta quindi alla pic- cola produzione, ecc. Il fatto indubbio e incontestabile che il pro- tezionismo è stato prodotto solo da una determinata struttura economica e da determinate contraddizioni di questa struttura, che esso esprime gli interessi reali di una classe reale, la quale svolge 184 LENIN una funzione predominante neireconomia nazionale, viene così negato, anzi trasformato nel suo opposto per mezzo di alcune frasi sentimentali! Eccone un esempio (a proposito del protezio- nismo agricolo, I, 265, il capitolo che tratta delle leggi sul grano) : «Gli inglesi ci presentano le loro grandi farms come l’unico mezzo per migliorare l’agricoltura, cioè per ottenere una mag- giore abbondanza di prodotti agricoli a prezzi più bassi, mentre, viceversa, li producono a prezzi più alti »... È assai caratteristico questo frammento, che illustra in modo così vivo la maniera di ragionare dei romantici, assimilata alla perfezione dai populisti russi! Lo sviluppo del sistema delle farms e il progresso tecnico connesso a questo sviluppo sono presentati come un sistema introdotto in modo premeditato : gli inglesi (ossia gli economisti inglesi) presentano questo sistema come l’unico mezzo per perfezionare Tagricoltura. Sismondi vuol dire che « sa- rebbero potuti esistere» anche altri sistemi, oltre quello delle farms ; ossia « sarebbero potuti esistere » in una qualsiasi società astratta, non nella società reale di un periodo storico determi- nato, « società » fondata sull'economia mercantile, della quale parlano gli economisti inglesi e della quale avrebbe dovuto par- lare anche Sismondi. «Migliorare l’agricoltura, cioè procurarsi [chi? la nazione?] una maggiore abbondanza di prodotti». Perchè mai «cioè»? Il miglioramento dell’agricoltura e il miglioramento dell’alimentazione delle masse non sono affatto la stessa cosa; non solo è possibile, ma persino inevitabile che queste due cose non coincidano nel sistema economico che Sismondi cerca con tanto zelo di ignorare. Per esempio, l’estensione delle superfici semi- nate a patate può significare l'elevamento della produttività del lavoro nell’agricoltura (introduzione dei tuberi) e l'aumento del plusvalore, parallelamente al peggioramento dell’alimentazione degli operai. È sempre la stessa maniera del populista... scusate, del romantico, di celare dietro frasi le contraddizioni della vita reale. « Eppure — continua Sismondi — questi fittavoli così ricchi, mtelligenti, favoriti [secondés] da tutti i progressi delle scienze, questi fittavoli che dispongono di mute di cavalli così belle, di siepi cosi solide, di campi liberati dalla malerba, non possono reggere la concorrenza del misero contadino polacco, ignorante, abbrutito CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 185 dalla schiavitù, che trova conforto solo neirubriachezza e la cui agricoltura è ancora nello stadio infantile come tecnica. Il grano raccolto nel centro della Polonia, dopo che si sono pagate le spese di trasporto per varie centinaia di leghe, sui fiumi, per terra e per mare, dopo che si sono pagate le dogane nella misura del 30 e 40% rispetto al suo valore, è tuttavia meno costoso di quello prodotto nelle più ricche contee inglesi » (I, 265). « Questo contrasto diso- rienta gli economisti inglesi ». Essi denunciano il sistema delle imposte, ecc. Ma non è questo il problema. « Il male è nel sistema stesso di sfruttamento, che è fondato su una base pericolosa... Tutti gli scrittori hanno recentemente offerto alla nostra ammirazione questo sistema, ma noi dobbiamo viceversa conoscerlo a fondo per guardarci dairimitarlo » (I, 266). Non è forse infinitamente ingenuo questo romantico che pre- senta il capitalismo inglese (il sistema delle farms) come un errore degli economisti, questo romantico il quale immagina che la « per- plessità » degli economisti che chiudono gli occhi davanti alle contraddizioni del sistema delle farms sia un argomento sufficiente contro i farmersì È ben superficiale la sua interpretazione, che cerca di spiegare i processi economici non con gli interessi dei diversi gruppi, ma con gli errori degli economisti, degli scrittori e dei governi! Il buon Sismondi vuol fare appello alla coscienza dei fittavoli inglesi e anche dei fittavoli del continente, ed esortarli a non «imitare» questi «pessimi» sistemi! Non dimenticate, del resto, che queste parole furono scritte set- tantanni or sono, che Sismondi osservò soltanto gli inizi di questi fenomeni assolutamente nuovi per quel tempo. La sua ingenuità è scusabile, perchè anche gli economisti classici (suoi contempo- ranei) considerarono, con non minore ingenuità, questi nuovi fenomeni come un prodotto delle qualità eterne e innate deiruomo. Ma, ci chiediamo, hanno forse aggiunto i nostri populisti una sola parola originale alle argomentazioni di Sismondi, nelle loro « obie- zioni » contro il capitalismo che si sta sviluppando in Russia? Il ragionamento di Sismondi sul protezionismo dimostra che il punto di vista storico gli è completamente estraneo. Al contrario, egli ragiona, come i filosofi e gli economisti del secolo XVIII, in modo assolutamente astratto, e si differenzia da essi solo perchè i86 LENIN considera normale e naturale non la società borghese, ma una società di piccoli produttori indipendenti. Pertanto non comprende affatto il nesso tra il protezionismo e una determinata struttura economica e cerca di eludere questa contraddizione inerente alla vita sociale e politica con le stesse frasi sentimentali sul carattere « falso », « pericoloso », sbagliato, irragionevole, ecc., con le quali ha già eluso le contraddizioni inerenti alla vita economica. Egli presenta cioè la questione con estrema superficialità, impostando il problema del protezionismo o del free trade 46 come il problema della via « falsa » o « giusta » (ossia, secondo la sua terminologia, della via capitalistica o non capitalistica). La teoria moderna ha messo pienamente in rilievo questi errori, mostrando il nesso tra il protezionismo e una determinata struttura storica deireconomia sociale, tra il protezionismo e gli interessi della classe dominante in questa struttura, interessi sostenuti dai governi. Essa ha dimostrato che il problema del protezionismo e del libero scambio è un problema fra imprenditori (talvolta fra gli imprenditori di diversi paesi, tal altra fra i diversi gruppi di imprenditori di uno stesso paese). Se paragoniamo Tatteggiamento degli economisti populisti verso il protezionismo con queste due posizioni, vediamo che anche in questo caso essi condividono pienamente la posizione dei roman- tici, giacche non fanno riferimento al protezionismo di un deter- minato paese capitalistico, ma a quello di un qualche paese astrat- to, ai « consumatori » tout court , giacche dichiarano che si tratta di appoggio « sbagliato » e « irrazionale » offerto a un capitalismo « coltivato in serra », ecc. Per esempio, circa il problema deirimpor- tazione di macchine agricole esenti da dogana, che provoca un conflitto tra gli imprenditori industriali e quelli agricoli, i populisti difendono a spada tratta, sintende , gli imprenditori... agricoli. Non vogliamo affermare che essi abbiano torto. Ma questo è un fatto, un problema di un determinato momento storico, è il problema di sapere quale gruppo di imprenditori esprima pre- valentemente gli interessi generali dello sviluppo del capitalismo. Anche se i populisti hanno ragione, essi naturalmente hanno ragio- ne non perchè l’imposizione dei dazi doganali significhi un « artifi- ciale » « appoggio al capitalismo », e la loro abrogazione rappre- CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 187 senti un appoggio alla produzione popolare « autoctona », ma semplicemente perchè lo sviluppo del capitalismo agricolo (che ha bisogno di macchine), accelerando il processo di distruzione dei rapporti medioevali nelle campagne e la creazione di un mercato interno per lmdustria, significa una più ampia, più libera e più rapida evoluzione del capitalismo in generale. Prevediamo già che Tinclusione dei populisti tra i romantici a proposito di questo problema susciterà obiezioni. Si dirà forse che è necessario escludere il signor N.-on, il quale afferma apertamente che il problema del libero scambio e del protezionismo è un pro- blema capitalistico e lo ripete anzi molte volte, facendo persino delle « citazioni »... Sì, è vero, il signor N.-on fa persino delle cita- zioni! Ma se ci verranno a citare questo brano dei suoi Studi , noi citeremo altri brani , quelli nei quali egli dichiara che appoggiare il capitalismo significa « trapiantarlo » (anche in Risultati e conclu- sioni. pp. 331, 323, nonché 283), spiega che incoraggiare il capitali- smo è un « nefasto errore » dovuto al fatto che « abbiamo perduto di vista », « abbiamo dimenticato », « abbiamo le idee annebbiate », ecc. (p. 298. Cfr. Sismondi!). Come può essere ciò compatibile con l’affermazione che il sostegno dato al capitalismo (mediante i premi di esportazione) è « una delle numerose contraddizioni di cui abbonda la nostra vita economica * contraddizione che, come tutte le altre, deve la sua esistenza alla forma assunta da tutta la produzione» (p. 286)? Notate: da tutta la produzione ! Chie- diamo a ogni persona imparziale quale posizione condivida uno scrittore che spiega il sostegno dato alla « forma assunta da tutta la produzione » come un « errore ». La posizione di Sismondi o quella della teoria scientifica? Le «citazioni» del signor N.-on si rivelano anche qui (come nelle questioni esaminate sopra) come aggiunte inadatte e inopportune, che non esprimono affatto la reale convinzione che queste « citazioni » siano valide per la realtà russa. Le « citazioni » del signor N.-on sono soltanto l’eti- chetta della teoria moderna, che tende a indurre in errore i lettori. * Così come gli Studi « abbondano » di appelli a « noi », di esclamazioni su « noi » e di altre frasi del genere che ignorano queste contraddizioni. i88 LENIN Sono un abito da « realista » goffamente indossato, sotto il quale si cela un romantico puro sangue *. XI Importanza generale di Sismondi nella storia dell' economia politica Conosciamo adesso tutte le principali tesi di Sismondi che si riferiscono aireconomia teorica. Se tiriamo le somme, vediamo che egli rimane sempre assolutamente fedele a se stesso, che la sua posizione non muta mai. In ogni questione si differenzia dai clas- sici perchè individua le contraddizioni del capitalismo. Questo, da una parte. D’altra parte, in nessuna questione egli può (e del resto non vuole) approfondire l’analisi dei classici, e pertanto si limita a criticare sentimentalmente il capitalismo dal punto di vista del piccolo borghese. La sostituzione deiranalisi scientifica con lamen- tazioni e piagnistei sentimentali rende del tutto superficiale la sua concezione. La teoria moderna, dopo aver fatta sua la costata- zione delle contraddizioni del capitalismo, ha esteso Tanalisi scien- tifica anche a queste contraddizioni e su tutti i problemi è per- venuta a conclusioni che sono radicalmente diverse da quelle di Sismondi e che conducono quindi a una concezione diametral- mente opposta sul capitalismo. Nel volume Per la critica dell economia politica (Zur Kriti\ 47 , trad. russa, Mosca, 1896) l’importanza generale di Sismondi nella storia della scienza viene così definito: « Sismondi non è più irretito nell’idea di Boisguillebert, secondo cui il lavoro che costituisce la fonte del valore di scambio è falsifi- * Abbiamo il sospetto che il signor N,-on consideri queste « citazioni * come un talismano che lo protegga da ogni critica. Sarebbe altrimenti difficile Spiegare perchè il signor N.-on, pur avendo appreso dai signori Struve e Tugan-Baranovski che la sua teoria è considerata affine alla dottrina di Sismondi, « abbia citato » in un suo articolo sulla Russkpie Bogatstvo (1894, n. 6, p. 88) il giudizio dell’espo- nente della teoria moderna, il quale considera Sismondi un reazionario e un utopista piccolo-borghese. Certo egli crede fermamente che una simile « citazione » possa « smentire » l’affinità tra la sua teoria e la dottrina di Sismondi. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 189 cato dal denaro, ma denuncia il grande capitale industriale come Boisguillebert denuncia il denaro » (p. 36). L’autore vuol dire: come Boisguillebert ha considerato superfi- cialmente lo scambio di merci quale forma naturale, insorgendo contro il denaro, in cui vedeva un « elemento estraneo > (p. 30, ivi), così Sismondi ha considerato la piccola produzione come una forma naturale, insorgendo contro il grande capitale, in cui vedeva un ele- mento estraneo. Boisguillebert non ha colto il nesso indissolubile e naturale tra il denaro e lo scambio di merci, non ha compreso che contrapponeva, come elementi estranei, due forme del « lavoro bor- ghese » (ivi, 30-31). Sismondi non ha compreso il nesso indissolu- bile e naturale tra il grande capitale e la piccola produzione indi- pendente, non ha compreso che erano due forme dell’economia mercantile. Boisguillebert, « insorgendo contro una forma del la- voro borghese », « in pari tempo lo idealizza utopisticamente nel- l’altra sua forma » (ivi). Sismondi, mentre insorge contro il grande capitale, ossia contro una forma deH’economia mercantile, e preci- samente la forma più evoluta, idealizza utopisticamente il piccolo produttore (in particolare il contadino), cioè un’altra forma, la forma embrionale deH’economia mercantile. « Se con Ricardo — prosegue l’autore della Critica — l’eco- nomia politica tira senza riserve la sua ultima conseguenza e con ciò conclude, Sismondi completa questo risultato, esponendo i dubbi che essa ha su se stessa » (p. 36). L'autore della Critica riassume quindi l’importanza di Sismondi nel fatto che egli ha sollevato il problema delle contraddizioni del capitalismo e ha posto così la necessità di un’analisi ulteriore. Tutte le concezioni originali di Sismondi, il quale ha voluto dare una risposta a questo problema, sono considerate dal citato autore non scientifiche, superficiali e derivanti da una posizione reazio- naria piccolo-borghese (cfr. i giudizi surriferiti e in seguito un giudizio a proposito di una « citazione » di Efrusi). Se paragoniamo la dottrina di Sismondi a quella del popu- lismo, scopriamo in quasi tutti i punti (ad eccezione della nega- zione della teoria della rendita di Ricardo e dei consigli malthu- siani dati ai contadini) una sorprendente identità che giunge tal- volta a una identità di espressione. Gli economisti populisti con- 190 LENIN dividono in pieno la posizione di Sismondi. Ce ne convinceremo meglio in seguito, quando dalla teoria passeremo alle opinioni di Sismondi sui problemi pratici. Infine, per quanto riguarda Efrusi, egli non ha mai dato una valutazione esatta di Sismondi. Mostrando che Sismondi mette in rilievo e condanna le contraddizioni del capitalismo, Efrusi non rileva affatto la netta differenza tra la teoria sismondiana e la teoria del materialismo scientifico, nè la diametrale opposizione tra la concezione romantica e la concezione scientifica del capita- lismo. La simpatia del populista per il romantico, la loro commo- vente identità di vedute impediscono all’autore degli articoli pub- blicati nella Russkpie Bogatstvo di valutare giustamente questo esponente classico del romanticismo nella scienza economica. Ma Sismondi non ha pensato affatto di limitarsi a una simile funzione (che pure gli garantisce un posto d’onore tra gli econo- misti). Egli, come abbiamo già visto, ha cercato, senza alcun suc- cesso, di risolvere i dubbi. Per giunta, ha attaccato i classici e la loro scienza non perchè quest’ultima si era arrestata davanti al- l’analisi delle contraddizioni, ma perchè avrebbe usato metodi sba- gliati. «La vecchia scienza non ci insegna nè a comprendere nè a prevenire» nuove sciagure (I, XV), dice Sismondi nella prefa- zione alla seconda edizione del suo libro, e spiega questa inca- pacità della scienza non col fatto che l’analisi scientifica è incom- pleta e incoerente, ma col fatto che essa si sarebbe « abbandonata alle astrazioni» (I, 55: i moderni discepoli inglesi di A. Smith si sono lanciati (se soni jetés) in astrazioni, perdendo di vista 1*« uo- mo ») e « procede per una strada sbagliata » (II, 448). In che cosa consistono dunque le accuse che Sismondi muove ai classici, e che gli consentono di trarre una simile conclusione? « Gli economisti più rinomati hanno rivolto troppo scarsa atten- zione al consumo e alla vendita » (I, 124). Dopo Sismondi quest’accusa è stata ripetuta numerose volte. Si e ritenuto necessario separare il « consumo » dalla « produzione », come un settore particolare della scienza; si è detto che la produ- zione dipende da leggi naturali, mentre il consumo è determinato dalla distribuzione, la quale dipende dalla volontà degli uomini, CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 191 ecc. ecc. Come noto, i nostri populisti condividono queste idee, ponendo in primo piano la distribuzione*. Qual è il significato di questa accusa? Essa si fonda esclusiva- mente su una concezione non scientifica deiroggetto stesso deH’eco- nomia politica. Oggetto delleconomia politica non è affatto la (III, 2, 177) 0O . Il punto di vista della teoria moderna, anche qui, è diametral- mente opposto al romanticismo con le sue geremiadi sentimentali. La comprensione della necessità di un fenomeno determina natu- ralmente un atteggiamento del tutto diverso: la capacità di valu- tarne i diversi aspetti. Il fenomeno che stiamo esaminando è una delle contraddizioni più profonde e più generali del sistema capi- talistico. Il distacco della città dalla campagna, il contrasto tra esse e lo sfruttamento della campagna ad opera della città — fenomeni che accompagnano dappertutto il capitalismo in sviluppo — sono un prodotto necessario del predominio della « ricchezza com- merciale » (per usare Tespressione di Sismondi) sulla « ricchezza * II lettore può giudicare da ciò l'acutezza del signor N.-on, il quale nei suoi Studi trasforma senza troppe cerimonie la diminuzione relativa del capitale variabile e del numero degli operai in una riduzione assoluta e trae di qui una serie di assurde conclusioni sulla « contrazione » del mercato interno, ecc. ## A questa condizione appunto ci riferivamo quando dicevamo che la colo- nizzazione interna della Russia complica l’azione della legge dell’aumento della popolazione industriale. Basti ricordare la differenza fra il centro della Russia già popolato da molto tempo, ove l’aumento della popolazione industriale non è avvenuto attraverso lo sviluppo delle città quanto piuttosto attraverso lo svi- luppo dei villaggi e dei centri manifatturieri, e per esempio la Nuova Russia [fra il Mar Nero e il Mar d’Azov. N.d.R.], che è stata popolata nell’epoca successiva alla riforma e ove lo sviluppo delle città è paragonabile, per rapidità, a quello delle città americane. Ci auguriamo di poter esaminare più particolareggiatamente questo problema altrove. 220 LENIN fondiaria » (agricola). Pertanto il predominio della città sulla cam- pagna (sotto l’aspetto economico, politico, intellettuale e sotto tutti gli altri aspetti) rappresenta un fenomeno generale e inevitabile in tutti i paesi nei quali esistano e la produzione mercantile e il capi- talismo, compresa la Russia: solo dei romantici sentimentali pos- sono lamentarsi di questo fenomeno. La teoria scientifica addita, invece, l’aspetto progressivo che il grande capitale industriale in- serisce in questa contraddizione. « Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula... la forza storica motrice della società s> 61 (die geschichtliche Bewegungs\raft der Gesell - schaft) *. Se la preponderanza della città è necessaria, soltanto l’at- trazione della popolazione in città può paralizzare (e, come dimo- stra la storia, paralizza di fatto) il carattere unilaterale di questa preponderanza. Se la città si distacca necessariamente, assumendo una posizione privilegiata, tenendo la campagna in stato di subor- dinazione, di arretratezza, di impotenza e abbrutimento, solo un afflusso di popolazione rurale nelle città, solo questa mescolanza, questa fusione della popolazione agricola con quella non agricola, può liberare la popolazione rurale dal suo stato di impotenza. E quindi, in risposta alle geremiadi e ai piagnistei reazionari dei romantici, la teoria moderna sostiene che questo avvicinamento tra le condizioni di vita della popolazione agricola e di quella non agricola crea le condizioni per eliminare il contrasto tra città e campagna. Ci si chiede ora: quale posizione assumono su questa questione i nostri economisti populisti? Senza dubbio la posizione sentimen- tale romantica. Essi non soltanto non comprendono la necessità dello sviluppo della popolazione industriale nell’attuale ordina- mento dell’economia sociale, ma anzi cercano di non vedere questo fenomeno, comportandosi come lo struzzo. Le osservazioni di P. Struve, secondo cui il signor N.-on commette, ragionando sul ca- * Cfr. inoltre la descrizione particolarmente convincente della funzione pro- gressiva dei centri industriali nello sviluppo intellettuale della popolazione in Die Lage der arbeitenden Klasse in England , 1845“ Il riconoscimento di questa funzione non ha impedito all’autore della Situazione della classe operaia in In- ghilterra di comprendere a fondo la contraddizione che si manifesta nel distacco fra città e campagna, come è dimostrato nella sua opera polemica contro Diihring. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 221 pitalismo, un errore grossolano quando afferma che il capitale variabile subisce una riduzione assoluta (Note critiche , p. 255), se- condo cui è assurdo opporre la Russia all’Occidente in base alla minore percentuale della popolazione industriale e non tener conto del l'ascesa di questa percentuale in seguito allo sviluppo del ca- pitalismo # (Sozialpolitisches Centralblatt , 1893, n. 1), sono rimaste, come era da aspettarsi, senza risposta. Pur parlando continuamente delle particolarità della Russia, gli economisti populisti non sono riusciti neppure a impostare il problema delle reali peculiarità della formazione della popolazione industriale in Russia ## , a cui abbiamo brevemente accennato più sopra. Questa è la posizione teorica dei populisti riguardo al problema. In pratica, allorché parlano della situazione dei contadini nel periodo posteriore alla riforma, non essendo assillati da dubbi teorici, i populisti ammet- tono la migrazione dei contadini, che vengono espulsi dallagri- coltura e sospinti verso le città e i centri industriali, e si limitano a dolersi del fenomeno esattamente come se ne doleva Sismondi ### . * II lettore rammenti che esattamente lo stesso errore ha commesso Sismondi parlando della « fortuna » della Francia col suo 80 % di popolazione agricola, come se si trattasse di una particolarità di una qualsiasi « produzione popolare », ecc. e non fosse segno dell’arretratezza nello sviluppo del capitalismo. # * * *** Cfr. Volghim, Le argomentazioni del populismo nelle opere del signor Vo- ron/sov, Pietroburgo, 1896, pp. 215-216. *** Per la verità, dobbiamo aggiungere che Sismondi, osservando Taumento della popolazione industriale in alcuni paesi e riconoscendo il carattere generale di questo fenomeno, dà prova talvolta di comprendere che non si tratta di una qualsiasi « anomalia », ecc., ma di una profonda trasformazione delle condi- zioni di vita della popolazione, trasformazione nella quale bisogna rilevare qualche aspetto positivo. In ogni caso, il seguente ragionamento di Sismondi sul danno derivante dalla divisione del lavoro rivela una concezione più profonda delle concezioni del sig. Mikhailovski, per esempio, il quale ha escogitato una « formula » generale del « progresso », invece di esaminare le forme concrete che la divisione del lavoro assume nelle diverse formazioni deU’economia sociale e in epoche diverse di sviluppo. « Sebbene l’uniformità delle operazioni, a cui si riduce tutta l’attività degli operai in una fabbrica, sembri dover nuocere al loro sviluppo intellettuale [ intelli- gence ■], tuttavia è giusto riconoscere che, secondo le osservazioni dei migliori esperti f juges], gli operai delle manifatture inglesi sono superiori per intelligenza, cultura e moralità agli operai agricoli [ouvriers des champs ] » (I, 397). E Sismondi addita le cause di questo fatto: « Vivant sans cesse ensemble, moins épuisés par la fatigue, et pouvant se livrer davantage à la conversation, les idées ont circitlé plus rapidement entre eux. Ma — osserva egli malinconicamente — aucun attachement à Yordre établi ». 222 LENIN Il profondo processo di trasformazione delle condizioni di vita delle masse della popolazione, che si è svolto in Russia dopo la ri- forma — processo che ha spezzato per la prima volta la sedentarietà e la stabilità sul fondo dei contadini e che ha cominciato a farli spo- stare, ha avvicinato i lavoratori agricoli e non agricoli, i lavoratori della campagna e della città * — non è stato da loro neppure notato, nè per ciò che concerne il suo significato economico nè per quanto riguarda il suo significato (forse anche più rilevante) morale e culturale, ed è stato un semplice pretesto per sospiri sentimentali e romantici. IV Le aspirazioni pratiche del romanticismo Cercheremo adesso di riassumere il punto di vista generale di Sismondi sul capitalismo (compito che, come il lettore ricorda, si è proposto anche Efrusi) e di esaminare il programma pratico del romanticismo. Abbiamo già visto che a Sismondi va ascritto il merito di aver per primo messo in rilievo le contraddizioni del capitalismo. Ma, dopo averle messe in rilievo, egli non solo non ha tentato di esa- minarle e di spiegarne la genesi, lo sviluppo e la tendenza, ma le ha addirittura considerate come deviazioni dalla norma, innaturali o sbagliate. Egli ha ingenuamente lottato contro queste « devia- zioni* per mezzo di sentenze, accuse e consigli sulla loro liqui- dazione, ecc., quasi che queste contraddizioni non esprimano gli interessi reali di gruppi reali della popolazione, i quali occupano un • Questo processo sì compie in modo diverso nella zona centrale della Russia europea e nelle regioni periferiche. In queste regioni vanno soprattutto gli operai agricoli dei governatorati delle terre nere centrali c in parte gli operai non agricoli dei governatorati industriali, i quali diffondono le loro conoscenze « professionali » c « trapiantano » l'industria in mezzo a una popolazione puramente agricola. Dalla zona industriale gli operai non agricoli vanno in parte verso tutti gli angoli della Russia, ma in prevalenza nella capitale e nei grandi centri industriali; questa corrente industriale, se cosi possiamo esprimerci, è tanto forte che si riscontra una deficienza di operai agricoli , i quali dai governatorati delle terre nere cen- trali vanno nei governatorati industriali (Mosca, Iaroslavl, ecc.). Cfr. S. A. Koro- lenko, Il lavoro salariato , ecc. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 22 3 posto determinato nell’ordinamento generale dell’economia sociale moderna. È questa la caratteristica più rilevante del romanticismo: considerare una contraddizione di interessi (profondamente radi- cata nella struttura stessa deireconomia sociale) come una contrad- dizione o un errore della dottrina, dell’ordinamento o persino dei provvedimenti presi, ecc. L angusto orizzonte del Kleinburger, il quale si tiene in disparte dalle contraddizioni che si sono svilup- pate e assume una posizione intermedia, di mediazione, tra i due antipodi, si unisce qui a un idealismo ingenuo — al burocratismo, stavamo per dire — che spiega un ordinamento sociale me- diante le idee degli uomini (specialmente degli uomini che deten- gono il potere) e non viceversa. Citiamo alcuni esempi che danno un’idea di tutte le opinioni di queste genere professate da Sismondi. «L’Inghilterra, obliando gli uomini per le cose, non ha forse sacrificato il fine ai mezzi? « L’esempio deiringhilterra è tanto più sorprendente perchè essa è una nazione libera, colta, ben governata, e perchè tutte le sue sofferenze provengono esclusivamente dal fatto che essa ha seguito una falsa direzione economica» (I, p. IX). Per Sismondi l’Inghil- terra assume in generale la funzione dell’esempio che deve atterrire il continente, esattamente come per i nostri romantici, i quali credono di offrirci delle novità e non il più logoro ciarpame. «Richiamando l’attenzione dei miei lettori sull’Inghilterra, io volevo mostrare... la storia del nostro stesso avvenire, se continue- remo ad agire secondo i principi che essa ha seguito » (I, p. XVI). « ... Gli Stati del continente ritengono necessario seguire l’In- ghilterra nella sua carriera manifatturiera » (II, 330). « Non esiste spettacolo più sorprendente, più spaventoso di quello offertoci dal- l’Inghilterra » (II, 332)*. • Per mostrare concretamente il rapporto fra il romanticismo europeo c quello russo riporteremo in nota alcune citazioni dallo scritto del sig. N.-on. « Non abbiamo voluto trarre insegnamenti dalla lezione offertaci dairevoluzione econo- mica dell’Europa occidentale. Sino a tal punto ci ha colpito lo splendido sviluppo del capitalismo in Inghilterra e a tal punto ci colpisce l 'incomparabilmente più rapido sviluppo del capitalismo negli Stati deirAmerica », ecc. (323). Come vedete, nemmeno le espressioni del sig. N.-on. si distinguono per originalità! Egli è « col- pito » dallo stesso fenomeno da cui era stato « colpito » Sismondi all’inizio del secolo. 15-573 22 4 LENIN «Non bisogna dimenticare che la ricchezza altro non è che la rappresentazione [ri est que la représentation ] delle dolcezze e delle comodità della vita » (in luogo della ricchezza borghese si parla di nuovo della ricchezza in generale!); «creare una ric- chezza fittizia, condannando la nazione a tutto ciò che costituisce realmente la sofferenza e la povertà, significa scambiare il nome della cosa per la cosa stessa » (pretóre le mot pour la chose) (I- 379)- « ...Finche le nazioni hanno seguito soltanto le indicazioni [ in - dications] della natura e si sono avvalse dei vantaggi forniti dal clima, dal suolo, dairubicazione, dal possesso di materie prime, esse non si sono poste in una situazione innaturale [ une position forcée ]; non sono andate alla ricerca di una ricchezza apparente [une opulence apparente ], che si trasforma per la massa del popolo in miseria reale» (I, 41 1). La ricchezza borghese è solo appa- rente!! «È ben pericoloso per una nazione chiudere le sue porte al commercio estero: essa viene costretta, per così dire [en quelque sorte], a una falsa attività che la condurrà alla rovina» (I, 448) «... Vi è nel salario una parte necessaria, che deve conservare la vita, la forza e la salute li coloro che lo ricevono... Guai a quel governo che tocca questa parte! Esso sacrifica tutto [il sacri fie tout ensemble], e vittime umane e la speranza delle future ricchezze... Questa distinzione ci fa comprendere quanto sia sbagliata la poli- tica di quei governi che hanno ridotto le classi lavoratrici a un salario minimo per accrescere i redditi netti dei fabbricanti, dei commercianti e dei proprietari» (II, 168-169) **. • « ... Sbagliata è la strada economica che abbiamo percorso negli ultimi trentanni» (281)... «Troppo a lungo abbiamo identificato gli interessi del capi- talismo con gli interessi deircconomia nazionale: è un errore estremamente fune- sto... 7 risultati visibili della protezione riservata all’industria... ci hanno offuscato la mente a tal punto che abbiamo del tutto perduto di vista l’aspetto popolare e sociale... abbiamo dimenticato a danno di che cosa avviene questo sviluppo, ab- biamo obliato lo scopo di ogni produzione » (298), tranne che di quella ca- pitalistica! « L’atteggiamento di disprezzo verso il nostro passato... il trapianto del capi- talismo *. ...(283)... «Noi... abbiamo usato tutti i mezzi per trapiantare il capi- talismo »... (323) ...« Noi non abbiamo visto »... (ivi). •• « ... Non abbiamo ostacolato lo sviluppo delle forme capitalistiche di produ- zione, sebbene esse siano fondate sull’ espropriazione dei contadini » (323). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 225 « È infine giunto il momento di domandarsi dove si vuole arrivare » ( oà ion veut alici) (II, 328). « Il loro distacco [ossia il distacco della classe dei lavoratori dalla classe dei proprietari], il contrasto tra i loro interessi è la con- seguenza dell’artificiale organizzazione che abbiamo dato alla società umana... L ordine naturale del progresso sociale non tendeva affatto a distaccare gli uomini dalle cose o la ricchezza dal lavoro; in campagna, il proprietario avrebbe potuto continuare a fare l’ar- tigiano [arti san ] ; la separazione della classe che lavora dalla classe che vive in ozio non era per nulla assolutamente indispen- sabile all’esistenza della società e alla produzione; l’abbiamo in- trodotta per recare a tutti il massimo vantaggio; a noi spetta [il no us appartieni] il compito di regolarla per ottenere veramente questo vantaggio » (II, 347-348). « I produttori, posti così in opposizione gli uni con gli altri [cioè, padroni e operai], sono stati costretti a seguire una strada diametralmente opposta agli interessi della società... In questa lotta permanente per la riduzione del salario, l’interesse sociale, al quale tuttavia ognuno partecipa, è obliato da tutti » (II, 359-360). Prima di questo brano troviamo anche un accenno alle vie indicate dalla storia: « All’inizio della vita associata, ogni uomo possiede un capitale su cui si applica il suo lavoro, e quasi tutti gli artigiani vivono di un reddito che è composto in pari tempo dal profitto e dal salario » (II, 359) *. Credo che basti... Si può essere certi che il lettore, il quale non conosca nè Sismondi nè il signor N.-on, farà fatica a dire quale dei due romantici, quello del testo o quello delle note, sostenga un punto di vista più primitivo e più ingenuo. Pienamente conformi a ciò sono le aspirazioni pratiche di Si- # € Invece di mantenerci saldamente legati alle nostre secolari tradizioni, invece di sviluppare il principio del nesso indissolubile fra i mezzi di produzione e il produttore diretto... invece di elevare la sua [del contadino ] produttività del lavoro mediante la concentrazione dei mezzi di produzione nelle sue mani... invece di tutto ciò ci siamo avviati per una strada del tutto opposta » (322-323). € Abbiamo considerato lo sviluppo del capitalismo come lo sviluppo della produzione popo- lare complessiva... non abbiamo compreso che lo sviluppo dell’uno... poteva av- venire esclusivamente a danno dell’altra » (323). (Il corsivo è nostro). 15 * 22Ó LENIN smondi, alle quali egli ha dedicato tanto spazio nei suoi Nouveaux principe*. La differenza tra noi e A. Smith, dice Sismondi nel primo libro della sua opera, sta nel fatto che «quasi sempre noi invochiamo l’intervento del governo che Adam Smith respingeva » (I, 52). « Lo Stato non rettifica la ripartizione » (I, 80)... « Il legislatore potrebbe concedere al povero alcune garanzie contro la concor- renza universale » (I, 81). « La produzione deve trovare la propria misura nel reddito sociale, e coloro che incoraggiano una produ- zione illimitata, senza curarsi di conoscere questo reddito, spin- gono la nazione verso la rovina, credendo di dischiuderle il cam- mino della ricchezza » [le chemin des richesses ] (I, 82). « Quando il progresso della ricchezza è graduale f graduò], quando è proporzionato a se stesso, quando nessuna delle sue parti si svi- luppa in modo troppo rapido, esso diffonde un benessere univer- sale... Forse il governo ha il dovere di frenare [i ralentir] questo movimento per regolarlo » (I, 409-410). Sismondi non ha la minima idea deirimmenso significato storico che assume lo sviluppo delle forze produttive della società, sviluppo che si compie appunto mediante le contraddizioni e le sproporzioni! « Se il governo esercita un’azione regolatrice e moderatrice sulla ricerca della ricchezza, quest’azione può essere infinitamente bene- fica > (I, 413). «Alcuni regolamenti sul commercio, oggi condan- nati da tutti, se meritano una condanna come incentivi per l’indu- stria, possono forse esser giustificati come un freno » (I, 415)- Già in questi ragionamenti di Sismondi si può cogliere la sua sorprendente insensibilità storica: egli non ha compreso mini- mamente che nell’emancipazione dai regolamenti medioevali era contenuto tutto il significato storico del periodo in cui egli è vissuto. Egli non capisce che i suoi ragionamenti portano acqua al mulino dei sostenitori AfNCancten régime che erano ancora a quel tempo tanto forti anche in Francia, per non parlare degli altri Stati del- l’Europa occidentale continentale dove essi imperavano * Efrusi ha visto in questi rimpianti e desideri di Sismondi il suo « coraggio civico » (n. 7, p. 139), Per esprimere aspirazioni sentimentali c’è proprio bisogno CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO »7 Il punto di partenza delle aspirazioni pratiche di Sismondi è dunque costituito dalla tutela, datazione di freno, dalla regola- mentazione. Questa posizione scaturisce in modo naturale e inevitabile da tutto il sistema di idee di Sismondi. Egli è vissuto nel periodo in cui la grande industria meccanica compiva i primi passi sul conti- nente europeo, in cui sotto l’influenza delle macchine (notate bene, sotto l’influenza deirindustria meccanica e non del « capitalismo » in generale) * si iniziava quella brusca e radicale trasformazione di tutti i rapporti sociali che nella scienza economica viene di solito detta industriai revolution (rivoluzione industriale). Ecco come questa trasformazione viene caratterizzata da uno dei primi econo- misti che abbia saputo valutare tutta la profondità del rivolgimento che alle società patriarcali semimedioevali ha sostituito le società europee moderne: « ... La storia deirindustria inglese negli ultimi sessantanni... [lo scritto è del 1844] non ha l’eguale negli annali dell’umanità. Ses- santa, ottanta anni or sono l’Inghilterra era un paese come tutti gli altri, con piccole città, con poche e primitive industrie, e una rada, sebbene relativamente numerosa, popolazione agricola. Oggi è un paese diverso da tutti gli altri, con una capitale di 2 milioni e mezzo di abitanti, con gigantesche città industriali, con un’industria che rifornisce il mondo intiero e fabbrica quasi tutto con l’aiuto delle macchine più complicate, con una popolazione laboriosa, in- telligente, densa, i due terzi della quale sono occupati nell’industria, e che è composta da classi radicalmente diverse; che costituisce anzi una nazione del tutto diversa con costumi e bisogni diversi da quelli di una volta. La rivoluzione industriale ha avuto per di coraggio civico! Prendete un qualsiasi manuale di storia per i licei e vi troverete scritto che gli Stati dell’Europa occidentale, ne! primo quarto del secolo XIX, erano organizzati secondo il tipo di Stato che la scienza del diritto pubblico denomina col termine di Polizeistaat. Leggerete inoltre che il compito della storia, non solo nel primo quarto del secolo, ma anche in quello successivo, consisteva appunto nel lottare contro questo tipo di Stato. Comprenderete allora che il punto di vista di Sismondi tradisce l’ottusità del piccolo contadino francese, che Sismondi offre un esempio della fusione del romanticismo sentimentale piccolo-bor- ghese con una fenomenale immaturità civica. * In Inghilterra il capitalismo non data dalla fine del secolo XVIII, ma da un’epoca assai più remota. 228 LENIN Tlnghllterra la stessa importanza che la rivoluzione politica ha avuto per la Francia e quella filosofica per la Germania. La dif- ferenza fra l’Inghilterra del 1760 e l’Inghilterra del 1844 è almeno pari alla differenza tra la Francia dtWancien regime e la Francia della rivoluzione di luglio » *. Si trattava del completo. « rivolgimento » di tutti i rapporti an- tiquati, che avevano profonde radici e la cui base economica era la piccola produzione. Ovviamente Sismondi, dalla sua posizione reazionaria, piccolo-borghese, non poteva comprendere l’impor- tanza di questo « rivolgimento» . Ovviamente, egli anzitutto e soprattutto desiderava, pregava, implorava, esigeva che « si ponesse termine a questo rivolgimento » **. Ma come « porre termine al rivolgimento » ? Anzitutto, appog- giando s’intende, la « produzione » popolare... scusate, « patriar- cale», dei contadini e della piccola agricoltura in generale. Si- smondi dedica un intiero capitolo (II, VII, cap. Vili) al seguente problema : « Come il governo deve difendere la popolazione dalle conseguenze della concorrenza». « Per ciò che concerne la popolazione agricola il governo ha il compito generale di assicurare a coloro che lavorano [à ceux qui travaillent ] una parte di proprietà o di favorire [favoriser\ ciò che abbiamo denominato agricoltura patriarcale, dandole la preferenza su ogni altra forma di sfruttamento della terra » (II, 340). « Uno statuto di Elisabetta, che non è stato rispettato, vieta di costruire in Inghilterra una casa rustica [cottage] se non viene affit- tato un terreno di almeno quattro acri. Se questa legge venisse applicata, nessun matrimonio potrebbe essere contratto tra lavo- ratori giornalieri, senza che costoro ricevessero un proprio cottage. e nessun cottager sarebbe ridotto alla più nera miseria. Sarebbe già qualcosa [cest quelque chose\ y ma tuttavia insufficiente; nel clima dell’Inghilterra la popolazione contadina sarebbe ridotta a una vita di stenti con quattro acri di terra per famiglia. Attualmente i cottagers inglesi dispongono, nella loro maggioranza, soltanto di • Engels, Die Lage der arbeitenden Klasse in England ** Osiamo sperare che il signor N.-on non ce ne vorrà perchè prendiamo a pre- stito da lui (p, 345) quest’espressione, che ci sembra estremamente felice e ca- ratteristica. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 229 1^-2 acri di terra per i quali pagano un affitto abbastanza alto... La legge dovrebbe imporre... al grande proprietario fondiario, quando egli divide la propria terra tra molti cottagers, di dare a ciascuno di essi una superficie di terra sufficiente perchè ognuno possa vi- vere » (II, 342-343) *. Il lettore vede che le aspirazioni del romanticismo sono asso- lutamente analoghe alle aspirazioni e ai programmi dei populisti; sono fondate, esattamente alla stessa maniera, sull’ignoranza dello sviluppo economico reale e sull’assurda trasposizione di alcune condizioni, che riproducono quelle patriarcali di tempi remoti, nell’epoca della grande industria meccanica, della frenetica con- correnza e della lotta di interessi. V Il carattere reazionario del romanticismo Sismondi non poteva, s’intende, rendersi conto del modo come procede lo sviluppo reale. Quindi, esigendo P« incoraggiamento della piccola agricoltura » (II, 355), egli dice chiaramente che biso- gnerebbe « dare all’agricoltura un orientamento diametralmente * « Mantenerci legati alle nostre secolari tradizioni (non è questo patriot- tismo?)... sviluppare il principio del nesso indissolubile tra i mezzi di produ- zione e i produttori diretti, principio da noi ereditato »... (signor N.-on, 322). « Ab- biamo abbandonato la strada che avevamo percorso per molti secoli; abbiamo in- cominciato a eliminare la produzione fondata sullo stretto legame tra il produttore diretto e i mezzi di produzione, tra agricoltura e industria di trasformazione, e abbiamo posto a fondamento della nostra politica economica il principio dello sviluppo della produzione capitalistica, fondata sull’espropriazione dei produttori diretti con tutte le sofferenze che ciò comporta e che affliggono attualmente l’Eu- ropa occidentale» (281). Confronti il lettore questo brano con l’opinione sopra menzionata degli stessi « europei occidentali » sulle « sofferenze che affliggono », ecc. « Il principio... di assegnare la terra ai contadini o... di porre a dispo- sizione dei produttori gli strumenti di lavoro » (p. 2)... « le secolari basi po- polari » (75)... « In queste cifre [precisamente nelle cifre che mostrano «quale è il minimo di terra che occorre nella attuale situazione economica per garan- tire i mezzi di sussistenza alla popolazione rurale»] abbiamo quindi uno degli ele- menti per la soluzione del problema economico, ma abbiamo soltanto u no degli elementi » (65). Come vedete, i romantici dell’Europa occidentale, non meno di quelli russi, amano ricercare nelle « tradizioni secolari » la « sanzione » della pro- duzione popolare. 230 LENIN opposto a quello che essa segue attualmente in Inghilterra » (II, 354 - 355 ) *■ «Per sua fortuna, l’Inghilterra ha modo di far molto per 1 suoi contadini poveri, suddividendo tra loro le sue immense terre comunali [ses immenses communaux]... Se le sue terre comunali venissero suddivise in proprietà affrancate [en propriétés franche*] di venti-trenta acri, essi [gli inglesi] vedrebbero rinascere la classe indipendente e fiera dei contadini, quella yeomanry di cui lamen- tano attualmente l’assenza quasi totale » (II, 357-358). Si immagina che i « piani » del romanticismo siano assai facil- mente realizzabili appunto perchè si ignorano gli interessi reali; è questa l’essenza del romanticismo. « Una simile proposta [di di- stribuire piccoli appezzamenti di terra ai giornalieri, imponendo ai proprietari terrieri l’obbligo di aver cura di questi ultimi] farà indignare probabilmente i grandi proprietari fondiari, che soli esercitano attualmente in Inghilterra il potere legislativo; nondi- meno si tratta di una proposta equa... Soltanto i grandi proprietari fondiari hanno bisogno di lavoratori giornalieri; essi li hanno creati, essi dunque debbono mantenerli » (II, 357). Quando si leggono simili ingenuità, scritte all’inizio di questo secolo, non ci si meraviglia: la «teoria» del romanticismo corri- sponde a quello stato primitivo del capitalismo in generale che determina un così primitivo punto di vista. Lo sviluppo effettivo del capitalismo, la comprensione teorica di esso, il modo di con- siderarlo: fra tutto ciò esisteva ancora al tempo di Sismondi una corrispondenza, ed egli si presenta, comunque, come un autore conseguente e fedele a se stesso. « Abbiamo già mostrato altrove — dice Sismondi — quale pro- tezione abbia trovato un tempo questa classe [cioè la classe degli artigiani] nell’istituzione dei mestieri e delle corporazioni [des jurandes et des maitrtses\„ Non si tratta di riesumare la loro bizzarra e oppressiva organizzazione... Ma ih legislatore deve pro- porsi di aumentare la retribuzione del lavoro industriale, deve liberare i lavoratori dell’industria dalla precaria [précaire] situa- * Confrontate il programma populista del signor V.V., che intende « avviare la storia su unaltra via». Cfr. Volghi, op. rii., p. 181. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 231 zione nella quale vivono e, infine, assicurar loro la possibilità di farsi ciò che essi chiamano una posizione * [un état\„. Attualmente gli operai nascono e muoiono come operai, mentre una volta la situazione deiroperaio era soltanto uno stadio preliminare, un primo passo verso una posizione più elevata. L’importante è proprio di restaurare questa possibilità di elevarsi [ cette faculté progressive ]. Bisogna fare in modo che i padroni siano interessati a garantire ai loro operai una posizione più elevata; bisogna fare in modo che l’individuo assunto in una manifattura cominci effet- tivamente a lavorare per un semplice salario, ma che egli nutra sempre la speranza di ottenere, grazie alla buona condotta, una parte dei profitti dell’azienda » (II, 344-345). Sarebbe difficile esprimere in modo più compiuto la concezione del piccolo borghese! Le corporazioni sono l’ideale di Sismondi, e la riserva che egli avanza, quando dice che non è auspicabile la loro restaurazione, ha evidentemente solo il seguente significato: si deve accogliere il principio, l'idea della corporazione (esattamente come i populisti vorrebbero accogliere il principio, l’idea del- Yobstcina e non l’associazione fiscale attuale detta obstcind) e re- spingere le sue assurdità medioevali. Il piano di Sismondi non è assurdo perchè l’autore abbia difeso le corporazioni sino in fondo, perchè ne abbia richiesto la totale restaurazione; egli non si è posto questo problema. II piano di Sismondi è assurdo perchè l’autore sceglie come modello un'associazione sorta dalla ristretta, primi- tiva esigenza di associarsi degli artigiani di una località, e vuole applicare questo metro, questo modello alla società capitalistica, nella quale l’elemento che unifica e socializza è la grande industria meccanica, che abbatte le barriere medioevali e cancella le dif- ferenze locali, provinciali e professionali. Pur comprendendo la necessità di una associazione, di una unione in generale, nell’una o nell’altra forma, il romantico sceglie come modello un’associa- zione che soddisfa le ristrette esigenze di unione della società patriarcale, immobile, e vuole applicarla a una società radicalmente trasformata, con una popolazione mobile, con un lavoro socializ- zato non già nell’ambito di una qualsiasi comunità o di una qual- • Il corsivo è dell'autore. LENIN 2 3 2 siasi corporazione, ma entro i confini di tutto lo Stato e anche oltre i confini di un singolo Stato*. Appunto per quest’errore si dà al romantico la qualifica pie- namente meritata di reazionario , purché si intenda con questo termine non il desiderio di restaurare semplicemente le istituzioni medioevali, ma il tentativo di misurare la nuova società col vecchio metro patriarcale, il desiderio di cercare un modello nei vecchi sistemi e tradizioni che non corrispondono più alle mutate con- dizioni economiche. Efrusi non si è reso affatto conto di questa circostanza. Egli ha interpretato nel senso più grossolano e volgare la definizione di teoria reazionaria data alla teoria di Sismondi. Si è indignato... Come, egli ha detto, che reazionario è mai Sismondi se afferma apertamente di non volere la restaurazione delle corporazioni? E ha concluso che l’« accusa di spirito retrogrado » rivolta a Sismondi è ingiusta; che Sismondi, al contrario, giudicava « in modo giusto l’organizzazione corporativa » e n. 8, p. 57). Egli riporta il frammento succitato, ossia soltanto una piccola parte della definizione data daireconomista tedesco, dalla quale Efrusi ha espunto i periodi che chiariscono il nesso fra la teoria di Si- smondi e una determinata classe della società moderna e il brano ove l’autore trae la conclusione affermando che Sismondi è un rea- zionario e un utopista! Ma non basta. Efrusi non si è limitato a estrarre una piccola parte della definizione che non dà un’idea del giudizio nel suo complesso , presentando così sotto una luce del tutto falsa l’atteggiamento di questo economista nei confronti di Sismondi. Egli ha cercato di abbellire Sismondi, dando l’impres- sione di riferire le concezioni dello stesso economista. « Aggiungiamo a ciò — dice Efrusi — che Sismondi è, per alcune sue concezioni teoriche, il precursore dei più insigni econo- misti moderni*: alludiamo alle sue concezioni sul reddito deri- vante dal capitale, sulle crisi, alla sua classificazione del reddito nazionale, ecc. » (ivi). Così, invece di completare la definizione dei meriti di Sismondi data dall’economista tedesco con la costata- zione, fatta dallo stesso economista, del carattere piccolo-borghese della posizione di Sismondi e del carattere reazionario della sua utopia, Efrusi completa l’elenco dei meriti di Sismondi proprio con quelle parti della sua dottrina (come la « classificazione del reddito nazionale ») che> secondo l’opinione dello stesso economista, non contengono assolutamente nulla di scientifico. Ci si obietterà: Efrusi poteva non condividere affatto l’opinione che la spiegazione delle dottrine economiche vada ricercata nella realtà economica; egli poteva credere fermamente che la teoria di A. Wagner sulla « classificazione del reddito nazionale » fosse la * Del genere di Adolf Wagner? (K. T.). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 2 4 I teoria « più insigne ». D’accordo. Ma quale diritto aveva Efrusi di civettare con quella teoria con cui i signori populisti amano tanto dichiararsi « concordi », mentre di fatto egli non ha minimamente compreso la posizione di questa teoria nei confronti di Sismondi e ha fatto il possibile (e l’impossibile) per presentarla sotto una luce falsa? Non avremmo insistito così a lungo su questa questione, se si fosse trattato del solo Efrusi, un autore il cui nome appare forse per la prima volta nella stampa populista. A noi non interessano allatto nè la persona di Efrusi nè le sue opinioni; ci interessa però la posizione dei populisti in generale verso la teoria del celebre economista tedesco, teoria che essi pretendono di condividere . Efrusi non è affatto un’eccezione. Al contrario, il suo esempio è assolutamente tipico, e, per dimostrare ciò, abbiamo stabilito un parallelo fra la posizione e la teoria di Sismondi e la posizione e la teoria del signor N.-on *. L’analogia si è rivelata perfetta : sia le concezioni teoriche, sia la concezione del capitalismo, sia il carat- tere delle conclusioni e delle aspirazioni pratiche sono risultati ana- loghi nei due autori. Ma poiché le concezioni del signor N.-on pos- sono essere considerate come l’ultima parola del populismo, abbiamo il diritto di concludere che la dottrina economica dei populisti è soltanto una varietà russa del romanticismo europeo . S’intende che le particolari condizioni storiche ed economiche della Russia, da un lato, e la sua incomparabile arretratezza, dal- l’altro, fanno sì che il populismo presenti peculiarità particolar- mente notevoli. Ma queste peculiarità non vanno al di là di pe- culiarità comuni a una stessa specie e non contraddicono V analogia fra il populismo e il romanticismo piccolo-borghese. Forse la peculiarità più notevole e più degna di attenzione è la tendenza degli economisti populisti a mascherare il proprio populismo, dichiarandosi « concordi » con la teoria moderna e in- troducendo frequentissimi riferimenti a questa teoria, sebbene essa abbia una posizione decisamente negativa verso il romanticismo e # Un altro economista populista, il signor V. V., è pienamente solidale con il signor N.-on per ciò che concerne gli importanti problemi sopra ricordati; se ne differenzia soltanto per la posizione ancor più primitiva. 16* 242 LENIN si sia sviluppata attraverso una lotta aspra contro le teorie piccolo- borghesi di tutte le varietà. L analisi della teoria di Sismondi presenta particolare interesse appunto perchè consente di mettere a nudo i metodi generali di questo travestimento. Abbiamo già visto che sia il romanticismo sia la teoria moderna costatano le stesse contraddizioni neireconomia sociale moderna. Di ciò si avvalgono i populisti, i quali adducono il fatto che la teoria moderna riconosce le contraddizioni manifestantisi nelle crisi, nella ricerca di un mercato estero, nell’aumento della produ- duzione accompagnato dalla diminuzione del consumo, nel pro- tezionismo, nelle conseguenze nocive dell’industria meccanica, ecc., ecc. E i populisti hanno pienamente ragione: la teoria moderna riconosce effettivamente tutte queste contraddizioni che ha rico- nosciuto anche il romanticismo. Ma, ci domandiamo, si è mai chiesto un solo populista che cosa distingue l’analisi scientifica di queste contraddizioni, analisi che riconduce le contraddizioni ai diversi interessi sorti sul terreno dell’ordinamento economico mo- derno, dalla semplice costatazione di queste contraddizioni, della quale ci si serve per formulare pii desideri? No, nessun populista si è mai posto questa domanda, che caratterizza appunto la dif- ferenza tra la teoria moderna e il romanticismo. I populisti utiliz- zano la propria denuncia delle contraddizioni solo per esprimere dei pii desideri. Ci domandiamo ancora: si è mai posto un solo populista il problema della differenza tra la critica sentimentale e la critica scientifica, dialettica del capitalismo? Nessun populista si è mai posto questo problema, che caratterizza la seconda importante differenza tra la teoria moderna e il romanticismo. Nessun popu- lista ha creduto necessario prendere come criterio delle sue teorie l’attuale sviluppo dei rapporti economici e sociali (ma appunto 1 applicazione di questo criterio costituisce un tratto fondamentale della critica scientifica). Ci domandiamo infine: si è mai posto un solo populista il pro- blema della differenza tra la posizione del romanticismo, che idea- lizza la piccola produzione e rimpiange che le sue basi siano state CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 243 « rovesciale » dal « capitalismo », e la posizione della teoria mo- derna, che parte per costruire i suoi sistemi dalla grande produ- zione meccanica capitalistica e considera un fenomeno progressivo il « rovesciamento delle basi » ? (Usiamo questa espressione popu- lista corrente che caratterizza plasticamente il processo di trasfor- mazione dei rapporti sociali sotto l’influenza della grande industria meccanica, processo che è avvenuto dappertutto , e non soltanto in Russia, nella forma brusca e violenta che ha sbalordito il pen- siero sociale). No, nessun populista si è mai posto questo problema, nè ha cercato di applicare al « rivolgimento » russo quei criteri che hanno costretto a riconoscere progressivo il « rivolgimento » avvenuto nell’Europa occidentale; essi rimpiangono quelle basi e chiedono che si ponga termine al * rivolgimento », lasciando cre- dere fra le lacrime che la « teoria moderna » così sostenga... Il confronto tra la « teoria » populista, che essi presentano come soluzione nuova e autonoma del problema del capitalismo secondo l’ultima parola della scienza e della vita dell’Europa occidentale, e la teoria di Sismondi mostra concretamente a quale periodo pri- mordiale di sviluppo del capitalismo e di evoluzione del pensiero sociale risalga l’origine di questa teoria. Ma l’essenziale non è che la teoria è vecchia. Sono forse poche le teorie europee assai vecchie, che sarebbero molto nuove per la Russia? L’essenziale è che sin dalle origini questa teoria è piccolo-borghese e reazionaria . VI Il problema dei dazi sul grano in Inghilterra secondo il romanticismo e secondo la teoria scientifica Intendiamo qui completare il confronto fra la teoria del roman- ticismo e la teoria moderna a proposito dei principali problemi dell’economia contemporanea, paragonando le rispettive opinioni su una questione pratica . Il confronto è tanto più interessante se si pensa che, da una parte, questa questione pratica costituisce uno 244 LENIN dei problemi più importanti, fondamentali del capitalismo, e, dall’altra, che su questa questione si sono pronunciati i rappresen- tanti più qualificati delle due teorie avverse. Ci riferiamo alle leggi sul grano in Inghilterra e alla loro abro- gazione 60 . Questo problema ha profondamente appassionato, nel secondo quarto del nostro secolo, non solo gli economisti inglesi ma anche quelli del continente: tutti hanno compreso che non si trattava di un problema particolare di politica doganale, ma del problema generale del libero scambio, della libera concorrenza, delle « sorti del capitalismo ». Bisognava appunto coronare l’edi- ficio del capitalismo introducendo completamente la libera con- correnza, bisognava spianare la strada per portare a compimento quel « rivolgimento » che la grande industria meccanica aveva co- minciato a produrre in Inghilterra verso la fine del secolo scorso, bisognava rimuovere gli impedimenti che ostacolavano questo «rivolgimento» nell 1 agricoltura. In questo modo appunto vede- vano il problema i due economisti continentali di cui si accingiamo a parlare. Nella seconda edizione dei suoi Nouveaux principes Sismondi ha inserito un capitolo dedicato alle « leggi sul commercio dei grani » ( 1 . Ili, cap. X). Egli sottolinea anzitutto l’attualità del problema: «Una metà del popolo inglese richiede oggi l’abrogazione di queste leggi con profonda irritazione contro coloro che le mantengono in vigore; l’altra metà richiede che vengano mantenute in vigore e lancia grida d’indignazione contro chi vuole abrogarle » (I, 251). Esaminando il problema, Sismondi dimostra che gli interessi dei fittavoli inglesi esigono i dazi sul grano, affinchè sia loro assicurato un remunerating price (un prezzo vantaggioso o esente da perdite). Gli interessi dei proprietari di manifatture esigono l’abrogazione delle leggi sul grano perchè le manifatture non possono esistere senza mercato estero e perchè lo sviluppo delle esportazioni inglesi viene frenato da queste leggi che limitano le importazioni : « I proprietari di manifatture dicevano che anche la saturazione, che incontravano sui mercati, era il risultato di queste leggi; che i ricchi del continente non potevano acquistare le CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 245 loro merci, perchè non trovavano a vendere il loro grano» (I, 253-254)*- « L’apertura del mercato ai grani stranieri manderebbe proba- bilmente in rovina i proprietari terrieri inglesi e farebbe ridurre a un prezzo bassissimo le affittanze. Senza dubbio sarebbe un gran male, ma non certo un’ingiustizia» (I, 254). E Sismondi si accinge a dimostrare nella maniera più ingenua che il reddito dei proprietari terrieri deve corrispondere al servigio (sic!!) che essi rendono alla « società » (capitalistica?), ecc. « I fittavoli — continua Sismondi — ritireranno il loro capitale che, almeno in parte, potrà alimentare un’altra industria ». Questo ragionamento di Sismondi (egli si accontenta di que- sto ragionamento) rivela il vizio fondamentale del romanticismo, il quale non rivolge la debita attenzione al processo di sviluppo economico che si svolge nella realtà. Abbiamo visto che lo stesso Sismondi ha notato il graduale sviluppo e l’estensione del sistema delle farms in Inghilterra. Ma egli, invece di studiare le cause del fenomeno, si è affrettato a condannare questo processo. Solo con la fretta, solo col desiderio di imporre alla storia le proprie pie aspirazioni può spiegarsi il fatto che Sismondi non scorga la tendenza generale dello sviluppo capitalistico nell’agricoltura e l’inevitabile acceleramento di questo processo per effetto dell’aboli- zione delle leggi sul grano, ossia il progresso capitalistico dell’agri- coltura in luogo della decadenza predetta da Sismondi. Ma Sismondi è fedele a se stesso. Non appena si trova di fronte la contraddizione di questo processo capitalistico, immediatamente comincia a « confutarla » con ingenuità, cercando di mostrare a qualunque costo che la strada su cui procede la « patria inglese » è una strada sbagliata. «Ma che cosa farà il giornaliero?... Il lavoro cesserà, i campi * Per quanto unilaterale sia questa spiegazione data dai fabbricanti inglesi, che ignorano le cause più profonde e l’inevitabilità delle crisi allorché il mer- cato si espande debolmente, essa contiene senza dubbio un’idea pienamente giu- sta, l’idea cioè che la realizzazione del prodotto mediante la sua vendita all’estero richiede, in generale e in complesso , un’importazione corrispondente. Raccoman- diamo questa indicazione dei fabbricanti inglesi agli economisti che cercano di eludere il problema della realizzazione del prodotto nella società capitalistica mediante la profonda osservazione: «venderanno all’estero». 246 LENIN saranno trasformati in pascoli... Che cosa avverrà delle 54 0 * 000 f a “ miglie cui sarà negato il lavoro? # Supponendo che siano adatte a ogni lavoro industriale, vi è forse oggi un’industria che sia capace di impiegarle?... Vi è forse un governo che possa esporre volon- tariamente una metà della nazione da esso governata a una crisi simile?... Coloro a cui saranno sacrificati gli agricoltori troveranno in ciò un vantaggio? Gli agricoltori sono i più vicini, i più fe- deli consumatori dei prodotti delle manifatture inglesi; la man- canza del loro consumo inferirebbe all’industria un colpo più fatale della chiusura di uno dei più grossi mercati esteri » (255-256). Entra così in scena la famosa « contrazione del mer- cato interno ». « Che cosa perderanno le manifatture in se- guito alla cessazione del consumo di tutta questa classe di agri- coltori inglesi, che costituisce quasi la metà della nazione? Che cosa perderanno le manifatture in seguito alla cessazione del consumo dei ricchi, le cui rendite fondiarie saranno quasi elimi- nate ? » (267). Il romantico si fa in quattro per dimostrare ai fab- bricanti che le contraddizioni inerenti allo sviluppo della loro pro- duzione e ricchezza sono soltanto un loro errore, un frutto della loro imprevidenza. E per « persuadere » i fabbricanti del * peri- colo » rappresentato dal capitalismo, Sismondi descrive minuta- mente la minacciosa concorrenza del grano polacco e russo (pp. 257-261). Egli escogita ogni sorta di argomentazioni e fa ap- pello infine airamor proprio degli inglesi. « Che ne sarà dell’onore delllnghilterra, se l’imperatore russo potrà, ogni qualvolta desideri ottenere una qualsiasi concessione, prenderla per fame, chiudendo i porti del Baltico? » (268). Rammenti il lettore come Sismondi aveva dimostrato l’erroneità dell’« apologia del potere del denaro », sostenendo che nella vendita è facile trarre in inganno... Si- smondi vuol « confutare » i teorici del sistema delle fartns , asserendo che i fittavoli ricchi non possono resistere alla concorrenza di al- • Sismondi, per « dimostrare » il carattere irrazionale del capitalismo, fa qui un calcolo approssimativo (di quelli che tanto piacciono, per esempio, al nostro romantico russo, signor V.V.). 600.000 famiglie, dice egli, sono occupate nel- 1 agricoltura. Se i campi saranno trasformati in pascoli, « sarà necessaria » sol- tanto la decima parte di esse... Quanto meno l'autore comprende il processo in tutta la sua complessiti, tanto più volentieri ricorre a calcoli puerili fatti « a occhio ». CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 247 cuni miseri contadini (citato sopra), e giunge infine alla sua con- clusione preferita, convinto probabilmente di aver dimostrato l’« er- roneità » della strada seguita dalla « patria inglese ». « L’esempio dell’Inghilterra ci dimostra che questa pratica [lo sviluppo del- l’economia monetaria, a cui Sismondi oppone Vhabitude de se fournir soi-méme> il «vivere col lavoro delle proprie mani»] non è priva di pericoli » (263). « Il sistema stesso di sfruttamento [al- lude al sistema delle farms ] è cattivo, riposa su una base pericolosa; e quindi bisogna sforzarsi di modificarlo » (266). Il problema concreto sollevato dal conflitto di interessi deter- minati in un sistema economico determinato è così sommerso in un torrente di pii desideri! Ma il problema era stato impostato dalle stesse parti interessate in maniera così categorica che era del tutto impossibile limitarsi a una simile « soluzione » (come il romanticismo aveva fatto riguardo a tutti gli altri problemi). «Che cosa dunque bisogna fare? — si domanda disperato Si- smondi. — Bisogna aprire o chiudere i porti inglesi? Bisogna con- dannare alla fame e alla morte i lavoratori manifatturieri o quelli agricoli? Invero la questione è spaventosa; la situazione in cui si trova il ministero inglese è una delle più spinose in cui possano trovarsi degli uomini di Stato* (260). E Sismondi ritorna alla « conclusione generale * che il sistema delle farms è « pericoloso », che « è pericoloso subordinare tutta l’agricoltura a un sistema di speculazione ». « Come si potranno prendere in Inghilterra prov- vedimenti efficaci, ma in pari tempo lenti, che restituiscano im- portanza [ remettraient en honneur ] alle piccole farms ì mentre metà della nazione, occupata nelle manifatture, soffre la fame, e le misure da essa invocate minacciano di affamare l’altra metà della popolazione occupata nell’agricoltura? Lo ignoro. Io credo che sia necessario apportare considerevoli mutamenti alla legislazione sul commercio del grano; ma consiglio a coloro che chiedono la completa abolizione di queste leggi di esaminare attentamente i seguenti problemi » (267). Seguono le vecchie lamentazioni e i timori circa la decadenza dell’agricoltura, la contrazione del mer- cato interno, ecc. Così, al primo urto con la realtà, il romanticismo subisce un fiasco completo. Esso è costretto a rilasciare a se stesso un testimonium pau - 248 LENIN pertatis e ad accusarne ricevuta. Ricordate con quanta facilità e sem- plicità il romanticismo «risolveva» tutti i problemi in «teoria»! Il protezionismo è irrazionale, il capitalismo un errore funesto, la strada deiringhilterra è sbagliata e pericolosa, la produzione deve procedere di pari passo col consumo, l’industria e il commer- cio di pari passo con l’agricoltura, le macchine sono utili solo se determinano un aumento dei salari o una riduzione della giornata lavorativa, i mezzi di produzione non devono essere sepa- rati dai produttori, lo scambio non deve superare la produzione, non bisogna giungere alla speculazione, ecc. Il romanticismo ha nascosto ogni contraddizione sotto una frase sentimentale, ha ri- sposto a ogni questione con un pio desiderio e ha denominato « soluzione » dei problemi l’applicazione di queste etichette a tutti i fenomeni della vita corrente. Non v’è dunque da stupirsi se queste soluzioni erano di una semplicità e facilità commoventi; esse ignoravano una piccola circostanza: gli interessi reali, dal cui conflitto nasce la contraddizione. E quando lo sviluppo di questa contraddizione ha posto il romantico di fronte a uno di questi conflitti particolarmente aspri, come la lotta che i partiti hanno com- battuto in Inghilterra per l’abrogazione delle leggi sul grano, il nostro romantico si è smarrito completamente. Si sentiva benis- simo nella nebbia dei sogni e dei pii desideri, coniava con tanta maestria sentenze che si riferivano alla « società » in gene- rale (ma che non riguardavano nessun sistema sociale storica- mente determinato), ma non appena dal mondo della fantasia è caduto nel vortice della vita reale e della lotta degli inte- ressi, è rimasto privo di qualsiasi criterio per risolvere i problemi concreti. L’abitudine alle costruzioni e alle soluzioni astratte ri- duce il problema a una vacua formula: quale popolazione deve andare in rovina, quella agricola o quella manifatturiera? Natu- ralmente, il romantico non poteva non concludere che nessuna popolazione deve andare in rovina, che bisogna « cambiare stra- da »... ma le contraddizioni reali lo assediavano così da vicino che non gli permettevano di ritornare nella nebbia dei pii desideri, e il romantico si vedeva costretto a dare una risposta. Sismondi dà anzi due risposte: la prima: « lo ignoro»; la seconda: « da un lato non si può non riconoscere, dall’altro bisogna ammettere ». CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 249 # # # Il 9 gennaio 1848 Karl Marx pronunciò davanti a una pub- blica assemblea a Bruxelles il Discorso sul libero scambio * In con- trasto col romanticismo, il quale dichiarava che « l’economia poli- tica non è una scienza matematica, ma una scienza morale », egli ha scelto, come punto di partenza della propria esposizione, pre- cisamente il freddo calcolo degli interessi . L’oratore ha esordito con- siderando la questione delle leggi sul grano non già come questione che concerne il « sistema » scelto da una nazione, o come un pro- blema di legislazione (così lo considera Sismondi), ma presen- tandola come un conflitto di interessi tra i fabbricanti e i pro- prietari terrieri, e ha mostrato come i fabbricanti inglesi abbiano tentato di dare al problema l’aspetto di questione nazionale, come abbiano cercato di far credere agli operai che agivano nell’interesse del popolo. In contrasto col romanticismo, il quale esponeva la questione sotto forma di considerazioni di cui il legislatore doveva tener conto nell’attuare la riforma, l’oratore ha ridotto il problema a un conflitto di interessi reali tra le diverse classi della società inglese. Egli ha dimostrato che a fondamento di tutta la questione vi è la necessità dei fabbricanti di acquistare più a buon mercato le materie prime. Egli ha precisato l’atteggiamento diffidente degli operai inglesi, i quali vedevano «in questi uomini pieni di abnegazione, in un Bowring, in un Bright e compagni, i loro più grandi nemici». I fabbricanti « costruiscono, spendendo somme enormi, dei pa- lazzi ove la Lega [Lega contro le leggi sul grano] 68 stabilisca in qualche modo la sua sede ufficiale; mettono in marcia un esercito di missionari diretti verso tutti i punti dell’Inghilterra a predicare la religione del libero scambio; fanno stampare e distribuire gratis migliaia di opuscoli per illuminare l’operaio sui suoi interessi; spendono milioni per guadagnare la stampa alla loro causa; orga- nizzano una vasta amministrazione per dirigere i movimenti li- bero-scambisti, infine sfoggiano tutta la ricchezza della loro elo- * Dùcours sur le libre échange flT . Usiamo la traduzione tedesca: Rede iiber die Frage des Freihatidels. 250 LENIN quenza nei pubblici comizi. Fu appunto in uno di questi comizi che un operaio gridò: ” Se i proprietari fondiari vendessero le nostre ossa, voialtri industriali sareste i primi a comprarle, per get- tarle in un mulino a vapore e farne della farina ”. Gli operai in- glesi hanno compreso assai bene il significato della lotta fra i pro- prietari fondiari e i capitalisti industriali. Essi sanno fin troppo bene che si voleva abbassare il prezzo del pane per diminuire il salario e che il profitto industriale sarebbe aumentato di quanto fosse diminuita la rendita ». Dunque la stessa impostazione del problema è del tutto diversa da quella che troviamo in Sismondi. Ci si pone in primo luogo il compito di spiegare la posizione assunta verso questo problema dalle diverse classi della società inglese dal punto di vista dei loro interessi; in secondo luogo, di illustrare il significato della riforma nell’evoluzione generale dell’economia sociale inglese. Su quest’ultimo punto le opinioni decoratore concordano con quelle di Sismondi nel senso che anch’egli vede qui non un pro- blema particolare, ma il problema generale dello sviluppo del ca- pitalismo in genere, del « libero scambio » come sistema. « L’abo- lizione delle leggi sui cereali in Inghilterra è il più grande trionfo conseguito dal libero scambio nel XIX secolo » ® 9 . « Con l’abolizione delle leggi sul grano la libera concorrenza, l’attuale economia socia- le, è spinta al massimo del suo sviluppo » # . Questo problema si pre- senta quindi per i due autori nel seguente modo : è auspicabile che il capitalismo continui a svilupparsi o che esso si arresti, bisogna cer- care «altre vie», ecc.P Sappiamo che la loro risposta affermativa a questa domanda scaturisce dalla soluzione del problema gene- rale delle « sorti del capitalismo », che è una questione di principio * Die Lage der arbeitenden Klasse in England (1845) T0 . Quest’opera è stata scritta dallo stesso punto di vista prima del l’abrogazione delle leggi sul grano (1846), mentre il discorso esposto nel testo è del periodo posteriore. Ma la diffe- renza non ha per noi importanza: basta paragonare i succitati ragionamenti di Sismondi, che risalgono al 1827, con questo discorso del 1848 per costatare l'asso- luta identità degli elementi del problema in entrambi gli autori. L’idea di un pa- ra co tra Sismondi e 1 economista tedesco posteriore ci è stata suggerita dallo Handworterbuch der Staatswissenschaften , voi. V., articolo Sismondi di Lippert, P« 79- parallele si è rivelato di un interesse cosi palpitante che l’esposizione del signor Lippert ha perduto tutta la sua aridità... scusate e obiettività », ed è di- venuta interessante, viva c persino appassionata. CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO 251 e non si riduce al problema particolare delle leggi sul grano in Inghilterra, poiché il punto di vista qui stabilito è stato appli- cato assai più tardi agli altri Stati. I due autori sostennero queste concezioni nel quarto decennio del nostro secolo, sia riguardo alla Germania, sia riguardo airAmerica *, quando dichiararono che la libera concorrenza aveva per questi paesi una funzione progres- siva. A proposito della Germania uno di essi ha scritto, intorno al 1860, che quel paese non soffriva soltanto a causa del capitalismo, ma anche a causa deirinadeguato sviluppo del capitalismo. Ritorniamo al discorso che stavamo esponendo. Abbiamo già indicato la posizione, diversa in linea di principio, decoratore che ha ricondotto il problema agli interessi delle diverse classi della società inglese. La stessa profonda differenza ritroviamo nell’im- postazione del problema puramente teorico relativo al significato assunto dairabolizione delle leggi sul grano neireconomia sociale. Per l’oratore non si tratta di un problema astratto riguardante il sistema che l’Inghilterra deve seguire, la strada che essa deve sce- gliere (come invece pensava Sismondi, dimenticando che l’In- ghilterra aveva un passato e un presente che determinavano questa strada). No, egli pone sin dall’inizio il problema sul terreno di un determinato ordinamento sociale ed economico ; egli si domanda quale debba essere il passo successivo , nello sviluppo di questo or- dinamento, dopo l’abolizione delle leggi sul grano. La difficoltà di questo problema consisteva nel determinare come l’abrogazione delle leggi sul grano abbia influito sul- V agricoltura, giacche a tutti era chiara l’influenza sull’industria. Per dimostrare i vantaggi derivanti dall’abrogazione anche nel- l’agricoltura, V Anti-corn-law-league aveva istituito tre premi per le migliori opere sulla benefica influenza esercitata dall’abolizione del- le leggi sul grano suH’agricoItura inglese. L’oratore espone breve- mente le opinioni dei tre premiati, Hope, Morse e Greg e si sof- ferma sull’opera di quest’ultimo, che applica in maniera più scien- tifica e rigorosa i principi stabiliti dall’economia classica. Greg stesso, grande fabbricante che si rivolge soprattutto ai grandi fittavoli, dimostra che l'abrogazione delle leggi sul grano • Cfr. in Neue Zeit n gli articoli di Marx, già pubblicati nel Westphàlisches Dampfboot e scoperti recentemente”. 252 LENIN espellerà dall’agricoltura i piccoli fittavoli, i quali si volgeranno al- l’industria, ma avvantaggerà i grandi fittavoli, i quali potranno così affittare la terra per periodi più lunghi, investire in essa maggiori capitali, impiegare un maggior numero di macchine, e quindi una minore quantità di lavoro, che, data la riduzione del prezzo del pane, dovrà costare di meno. I proprietari terrieri dovranno ac- contentarsi di una rendita più bassa, giacche le terre di qualità peggiore non saranno più coltivate, non riuscendo a sostenere la concorrenza del grano importato a minor prezzo. L’oratore ha pienamente ragione di considerare come le più scientifiche questa predizione e l’aperta difesa del capitalismo nel- l’agricoltura. La storia ha confermato la predizione. « L’abolizione delle leggi sul grano diede un enorme impulso all’agricoltura ingle- se... La diminuzione positiva della popolazione operaia rurale pro- cedette di pari passo con l’estensione dell’area coltivata, con l’inten- sificazione delle colture, con un’accumulazione inaudita del capi- tale incorporato al suolo e destinato alla sua lavorazione, con un aumento del prodotto del suolo che è senza paralleli nella storia dell’agronomia inglese, con le ricchissime rendite dei proprietari fondiari e la turgida ricchezza dei fittavoli capitalistici... Condi- zione fondamentale del nuovo metodo era un maggiore esborso di capitale per acro, quindi anche una concentrazione accelerata delle affittanze » *. Ma, s’intende, l’oratore non si è limitato a riconoscere che il •Scritto nel 1867 7H . Circa l’aumento della rendita: per spiegare questo fe- nomeno è necessario prendere in considerazione la legge stabilita dalla moderna analisi della rendita differenziale, secondo cui l’aumento della rendita è possibile con la diminuzione del prezzo del grano, «Quando nel 1846 furono aboliti in Inghilterra i dazi sul grano, i fabbricanti inglesi credettero che avrebbero paupc- rizzato 1 aristocrazia fondiaria. Invece essa divenne più ricca di prima. Come c potuto accadere? È molto semplice. In primo luogo, i proprietari fondiari comin- ciarono a imporre per contratto ai fittavoli un affitto annuo di dodici sterline per acro, anziché di otto sterline; in secondo luogo, i proprietari fondiari, avendo numerosi rappresentanti alla Camera dei Comuni, ottennero dallo Stato una con- siderevole sovvenzione, per il drenaggio delle loro terre e per altre migliorie per- manenti. Poiché non si ebbe la completa eliminazione neppure delle terre peggiori, ma al massimo accadde che queste terre furono impiegate per altri scopi, e nella maggioranza dei casi solo temporaneamente, le rendite crebbero proporzionalmente all aumento degli investimenti di capitale nella terra, e le condizioni del- 1 aristocrazia fondiaria furono migliori di quelle in cui essa si trovava prima» (Dos Kapital , III, 2 , 259 74 ). CARATTERISTICHE DEL ROMANTICISMO ECONOMICO ragionamento di Greg è il più giusto. Sulle labbra di Greg que- sto ragionamento era l’argomentazione di un liberoscambista il quale parlava dell'agricoltura inglese in generale e cercava di dimo- strare l’utilità che la nazione poteva trarre dall’abolizione delle leggi sul grano. Dopo ciò che abbiamo detto, risulta chiaro che non è questa la concezione dell’oratore. Egli spiega che la riduzione del prezzo del pane, tanto glorifi- cata dai liberoscambisti, significa l’inevitabile diminuzione dei salari, il deprezzamento della merce « lavoro > (più esattamente della forza-lavoro); che la riduzione del prezzo del pane non potrà mai compensare per l’operaio la diminuzione del salario; in primo luogo, perchè con la riduzione del prezzo del pane il lavoratore più difficilmente potrà risparmiare sul consumo del pane per pro- curarsi qualche altro articolo; in secondo luogo, perchè il pro- gresso dell’industria ridurrà il prezzo dei beni di consumo, sosti- tuendo la birra con l’acquavite, il pane con le patate, la lana e il lino con il cotone, abbassando così il livello delle esigenze e il tenore di vita del lavoratore. Vediamo dunque che l’oratore, in apparenza , fissa i vari aspetti del problema allo stesso modo di Sismondi: anche egli riconosce che la conseguenza inevitabile del libero scambio sarà la rovina dei piccoli fittavoli, la miseria degli operai industriali e agricoli. I nostri populisti, che si distinguono per la loro inimitabile arte di « citare », sono soliti concludere le loro « citazioni » dichiarando con piena soddisfazione che sono interamente «d’accordo». Ma questo metodo dimostra soltanto che essi, in primo luogo, non capiscono le enormi differenze nell’impostazione del problema, sulle quali abbiamo già richiamato l’attenzione; che essi, in secondo luogo, non vedono che la differenza radicale fra la teoria moderna e il romanticismo è qui soltanto agli inizi : il romantico dai pro- blemi concreti dell’evoluzione reale evade verso i sogni, mentre il realista assume i fatti costatati come criterio per risolvere in un dato modo un problema concreto. Dopo aver parlato del prossimo miglioramento della situa- zione degli operai, l’oratore continua: « Ma allora gli economisti vi diranno : ebbene, conveniamo che la concorrenza fra gli operai, che certo non sarà diminuita in re- 2 54 LENIN girne di libero scambio, non tarderà a livellare i salari sul basso prezzo delle merci. Ma d’altra parte il basso prezzo delle merci farà aumentare il consumo; il maggior consumo esigerà una maggiore produzione, la quale sarà seguita da una più forte domanda di mano d’opera; e a questa più forte domanda di mano d’opera suc- cederà un aumento dei salari. « Tutto il ragionamento si riduce a questo: il libero scambio au- - menta le forze produttive . Se l'industria si sviluppa, se la ricchezza, se la potenza produttiva, se in una parola il capitale produttivo fa aumentare la domanda di lavoro, il prezzo del lavoro e, di con- seguenza, il salario, aumentano egualmente. Dunque la migliore condizione per Voperaio è Vacare scimento del capitale . E bisogna convenirne *. Se invece il capitale resta stazionario, l'industria non si limiterà a restare stazionaria, ma declinerà e in questo caso l’operaio sarà la prima vittima. Perirà prima del capitalista. E nel caso in cui il capitale si accresce, caso che abbiamo definito il migliore per l’operaio, quale sarà la sua sorte? Perirà egual- mente...». L’oratore spiega poi in modo particolareggiato, avvalen- dosi dei dati degli economisti inglesi, come la concentrazione del capitale accentui la divisione del lavoro, deprezzi la forza-lavoro, sostituendo il lavoro che richiede particolare abilità con un lavoro facile, come le macchine sostituiscano gli operai, come il grande capitale mandi in rovina i piccoli industriali e i piccoli rentiers , ac- centui le crisi, accresca ancora il numero dei disoccupati. Dall'ana- lisi risulta quindi che il libero scambio non significa altro che li- bero sviluppo del capitale. L’oratore è così riuscito a trovare il criterio per risolvere la questione, che portava a prima vista allo stesso dilemma insolu- bile, davanti al quale si era arrestato Sismondi: tanto la libertà di scambio quanto la sua regolamentazione determinano la rovina degli operai. Questo criterio è lo sviluppo delle forze produttive . L impostazione del problema sul terreno storico si rivela qui im- mediatamente: invece di paragonare il capitalismo con una qual- siasi società astratta, quale dovrebbe essere (in sostanza cioè con una utopia), l'autore lo paragona con le fasi anteriori dell'economia so- li corsivo è nostro. caratteristiche del romanticismo economico 255 ciale; confronta le diverse fasi del capitalismo nella loro succes- sione e costata l’evoluzione delle forze produttive della società per effetto dello sviluppo del capitalismo. Sottoponendo le argomen- tazioni dei liberoscambisti a una critica scientifica, egli riesce a evitare Terrore consueto dei romantici, i quali, negando a queste argomentazioni qualsiasi valore, «gettano via Tacqua del bagno insieme col bambino»; riesce a cogliere il nucleo sano di queste argomentazioni, ossia il dato incontestabile del gigantesco pro- gresso tecnico. I nostri populisti, perspicaci come sono, trarreb- bero certamente la conclusione che Fautore, schierandosi cosi aper- tamente a favore del grande capitale contro il piccolo produttore , è un « apologeta del potere del denaro », tanto più che egli par- lava dinanzi alTEuropa continentale e estendeva le conclusioni de- sunte dalla vita inglese alla propria patria, in cui la grande indu- stria meccanica compiva a quel tempo i suoi primi timidi passi. Ebbene, proprio sulla base di questo esempio (come sulla base di una serie di esempi simili tratti dalla storia delTEuropa occiden- tale) essi potrebbero studiare il fenomeno che non possono (o forse non vogliono?) comprendere in alcun modo, potrebbero capire che il riconoscimento del carattere progressivo del grande capitale di fronte alla piccola produzione è molto lontano dal T« apologia ». Basta ricordare il capitolo di Sismondi che abbiamo sopra espo- sto e il discorso di cui abbiamo teste parlato, per convincersi della superiorità di quest'ultimo, sia dal punto di vista teorico quanto per la sua ostilità verso ogni « apologia ». L'oratore ha caratteriz- zato le contraddizioni che accompagnano lo sviluppo del grande capitale in maniera assai più precisa, completa, aperta e sincera di quanto abbia fatto qualsiasi romantico. Ma egli non si è mai per- messo una sola frase sentimentale che significasse rimpianto per questo sviluppo. Egli non ha accennato minimamente a una qua- lunque possibilità di « cambiare strada ». Egli ha compreso che certa gente si cela dietro una simile frase soltanto per « sfug- gire » al problema che la vita stessa pone davanti a loro, ossia una determinata realtà economica, un determinato sviluppo eco- nomico, determinati interessi che nascono su questo terreno. II criterio assolutamente scientifico sopra ricordato ha permesso adoratore di risolvere il problema rimanendo un realista coerente. 17-573 256 LENIN * Non crediate, signori — ha detto Foratore — che facendo la critica della libertà di commercio, abbiamo intenzione di difen- dere il sistema protezionistico». Egli costata che il libero scam- bio e il protezionismo hanno la stessa base: il moderno regime di economia sociale; in breve, egli costata il processo di « rivolgi- mento » della vecchia vita economica e dei vecchi rapporti semipa- triarcali negli Stati dell’Europa occidentale che si è compiuto in Inghilterra e sul continente ad opera del capitalismo; sottolinea il fatto sociale che, in determinate condizioni, il libero scambio affretta questo < rivolgimento » *. « Solamente in questo senso, signori — conclude Foratore — io voto in favore del libero scambio » 78 . •Il significato progressivo dell’abolizione delle leggi sul grano è stato chia- ramente precisato^ pnma ancora dell abolizione, anche dall'autore di Die Ugc \ • cit. f p. 179) , il quale ne ha sottolineato l'influenza sulla coscienza dei prò- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 77 Scritto in deportazione nell’estate 1897. Pubblicato in opuscolo a Ginevra nel 1899. 17 * I Che cosa ha provocato la promulgazione della nuova legge sulle fabbriche? Il 2 giugno 1897 è stata promulgata una nuova legge sulla ri- duzione della giornata lavorativa nelle fabbriche e nelle officine e sulla istituzione del riposo festivo. Gli operai di Pietroburgo da molto tempo aspettavano questa legge, che già un anno fa era stata promessa dal governo, spaventato dallo sciopero di massa della primavera del *9 6. A questo sciopero degli operai delle filande e delle tessitorie di cotone erano seguiti altri scioperi; dappertutto gli operai rivendicavano la riduzione della giornata lavorativa. Il governo aveva risposto agli scioperi con selvagge repressioni, ar- restando e deportando senza processo masse di operai; preso dalla paura, aveva cercato di influenzare gli operai con frasi insulse suiramore cristiano dei fabbricanti per gli operai (circolare in- viata dal ministro Witte agli ispettori di fabbrica nel 1895-1896). Ma gli operai avevano risposto con lo scherno, e nessuna persecu- zione era riuscita a frenare il movimento che si era esteso a decine e centinaia di migliaia di operai. Il governo aveva allora compreso che occorreva cedere e accogliere, almeno in parte, le rivendica- zioni degli operai. Oltre alla bestiale persecuzione degli scioperanti e alle frasi bugiarde e ipocrite, gli operai di Pietroburgo avevano avuto dal governo la promessa di una legge sulla riduzione della giornata lavorativa. Questa promessa era stata comunicata agli operai con insolita solennità per mezzo di speciali avvisi affissi 2Ó0 LENIN nelle fabbriche e firmati dal ministro delle finanze. Gli operai aspettavano con impazienza che la promessa fosse mantenuta, aspettavano la legge per il 19 aprile 1897, e già erano disposti a pensare che anche questa promessa, come numerose altre dichiara- zioni del governo, fosse una volgare menzogna. Ma questa volta il governo ha mantenuto la promessa: la legge è stata promulgata. Vedremo in seguito che cosa è questa legge. Qui intendiamo esa- minare soltanto le circostanze che hanno costretto il governo a tener fede alla sua promessa. Molto prima del 1896 il nostro governo si era interessato al pro- blema della riduzione della giornata lavorativa. Il problema era stato posto quindici anni or sono: fin dal 1883 i fabbricanti di Pietroburgo avevano sollecitato la promulgazione di una simile legge. Tali sollecitazioni erano state ripetute in seguito anche da altri fabbricanti (precisamente da quelli polacchi), ma erano state messe nel cassetto come molti altri progetti relativi al migliora- mento delle condizioni degli operai. Il governo russo non ha mai fretta quando si tratta di simili progetti, che rimangono a dor- mire per decine di anni. Non appena si tratta di fare un’elemosina di alcuni milioni di rubli ai bene intenzionati proprietari terrieri russi, che « sollecitano > la carità di un po’ di denaro del popolo, oppure di dare un sussidio o un premio agli « oppressi » signori fabbricanti, il governo russo diventa premuroso e le ruote delle cancellerie burocratiche e ministeriali cominciano a girare più ra- pidamente, come se fossero state « unte » con un « grasso » spe- ciale. Per ciò che riguarda gli operai, invece, non solo i progetti di legge restano a dormire per anni e per decenni (per esempio, il progetto di legge sulla responsabilità degli imprenditori è in « preparazione », a quanto sembra, da venti anni), ma persino le leggi g* a promulgate non vengono applicate, perchè i funzionari del governo imperiale si fanno scrupolo di infastidire i signori fab- bricanti (ad esempio, la legge del 1886 sulla costruzione di ospe- dali da parte dei fabbricanti, nella stragrande maggioranza dei casi non e stata ancora applicata). Perchè, ci chiediamo, questa volta si è improvvisamente presa in esame una questione sollevata tanto tempo fa? Perchè il ministero e il Consiglio di Stato le hanno dato la priorità e l’hanno immediatamente risolta? Perchè LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 2ÒI ha subito assunto la forma di progetto di legge ed è diventata legge? Evidentemente, vi era una forza che spingeva i funzio- nari, che li scuoteva, che infrangeva la loro tenace volontà di non « importunare » con nuove richieste i nostri fabbricanti. Questa forza erano gli operai di Pietroburgo e i poderosi scioperi da loro organizzati nel 1895-1896 e seguiti, grazie all’aiuto dato agli operai dai socialdemocratici (mediante YUnione di lotta), dalla presentazione di determinate rivendicazioni al governo e dalla diffusione di appelli e manifestini socialisti tra gli operai. Il go- verno ha compreso che nessuna persecuzione poliziesca avrebbe spezzato le masse operaie, che erano divenute coscienti dei propri interessi, si erano unite per lottare ed erano guidate dal partito dei socialdemocratici, che difende la causa degli operai. Il governo è stato costretto a fare concessioni. La nuova legge sulle fabbriche è stata strappata dagli operai al governo, è stata strappata dagli operai al loro peggiore nemico, esattamente come lo era stata la legge relativa al regolamento interno di fabbrica, alle multe, alle tariffe, ecc., emanata undici anni prima, il 3 giugno 1886. Allora gli operai dei governatorati di Mosca e di Vladimir ave- vano dato prova del massimo vigore nella lotta. Ne avevano dato prova anche allora attraverso numerosi scioperi; avevano an- che allora presentato chiare e precise rivendicazioni al governo, e, durante il famoso sciopero nella manifattura Morozov, la folla degli operai aveva trasmesso all’ispettore le richieste for- mulate dagli stessi operai. In queste richieste si diceva, per esem- pio, che gli operai esigevano una riduzione delle multe. La legge promulgata subito dopo, il 3 giugno 1886, era una risposta diretta a queste rivendicazioni degli operai e conteneva le norme sulle multe *. Lo stesso avviene oggi. Gli operai hanno rivendicato nel 1896 la riduzione della giornata lavorativa e hanno sostenuto questa rivendicazione con potenti scioperi. Il governo risponde ora a que- sta rivendicazione, promulgando una legge sulla riduzione della giornata lavorativa. Allora, nel 1886, il governo cedette agli operai sotto la pressione delle loro rivolte e si sforzò di ridurre le con- * Cfr. a questo proposito l’opuscolo Sulle multe (nel presente volume a l>. if| e sgg.) (N d.R.h 2&2 LENIN cessioni al minimo, cercò di lasciare qualche scappatoia ai fabbri- canti, di dilazionare l’applicazione delle nuove norme, evitando per quanto era possibile di soddisfare le rivendicazioni presentate dagli operai. Oggi, nel 1897, il governo cede di nuovo solo sotto la pres- sione delle rivolte operaie e di nuovo tende con tutte le forze a ri- durre al minimo le proprie concessioni, cerca di tirare sul prezzo , di sottrarre un’ora o due, aumentando persino la giornata lavorativa proposta dai fabbricanti, si sforza di eliminare, neirinteresse dei fab- bricanti, alcuni giorni festivi, escludendoli dal numero dei giorni di riposo obbligatorio, cerca di ritardare l’applicazione dei nuovi regolamenti, rinviando la formulazione delle norme principali fino al momento in cui i ministri abbiano emanato nuove disposizioni. Le leggi del 3 giugno 1886 e del 2 giugno 1897, queste fondamen- tali leggi sulle fabbriche in Russia, costituiscono dunque una con- cessione forzata, che gli operai russi hanno strappato al governo poliziesco. Queste due leggi dimostrano quale è l’atteggiamento del governo russo di fronte alle più legittime rivendicazioni degli operai. II Che cosa bisogna considerare come tempo di lavoro? Esaminiamo in modo particolareggiato la legge del 2 giugno 1897 *- Come abbiamo già detto, la nuova legge, in primo luogo, delimita la giornata lavorativa per tutti gli operai; in secondo luogo, stabilisce il riposo obbligatorio domenicale e festivo. Prima di fissare le norme sulla durata del tempo di lavoro, la legge deve specificare che cosa propriamente si intende per tempo di lavoro. La nuova legge stabilisce quindi la seguente norma : « Si considera tempo di lavoro o numero delle ore lavorative nel corso di un giorno per ogni operaio il tempo durante il quale, in base al contratto, 1 operaio è tenuto a trovarsi nei locali dell’azienda e a disposizione del direttore per eseguire un lavoro ». Tutto il tempo nel quale 1 operaio, in base all’orario o su richiesta del direttore, •che entrerà in vigore nel novembre 1898. LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 263 rimane nella fabbrica, deve dunque essere considerato tempo di lavoro. È assolutamente indifferente che durante questo tempo l'ope- raio esegua il suo lavoro corrente o normale o che il direttore lo costringa ad effettuare un altro lavoro o semplicemente ad aspet- tare. Tutto il tempo trascórso dairoperaio in fabbrica deve essere considerato tempo di lavoro. Per esempio, in alcune fabbriche, il sabato, dopo il suono della campana, gli operai puliscono le mac- chine; per legge la pulitura delle macchine deve dunque consi- derarsi una parte del tempo di lavoro . Di conseguenza, se il fab- bricante non retribuisce l'operaio per la pulitura delle macchine, vuol dire che egli si serve gratuitamente del tempo di lavoro del- l’operaio da lui assunto. Se il fabbricante, assumendo un operaio a cottimo, lo costringe ad aspettare o lo distoglie dal suo lavoro per fargliene eseguire un altro, senza dargli un compenso spe- ciale (ogni operaio sa che ciò succede spesso) vuol dire che il fab- bricante si serve gratuitamente del tempo di lavoro deiroperaio da lui assunto. Gli operai debbono rammentare la definizione del tempo di lavoro data dalla nuova legge e, in base ad essa, debbono resistere a ogni tentativo del padrone di servirsi gratuitamente della forza-lavoro. È ovvio che questa definizione del tempo di lavoro deve risultare nello stesso contratto di assunzione; a qualche ope- raio la cosa può sembrare talmente chiara che non occorra par- larne. Ma il governo, essendo al servizio dei capitalisti, rende vo- lutamente oscure molte cose che per ogni operaio sono di per sè chiare. Anche qui il governo ha cercato di lasciare una piccola scappatoia ai signori fabbricanti. La legge dice che per tempo di lavoro s'intende il periodo di tempo durante il quale l'operaio è tenuto per contratto a trovarsi nella fabbrica. Ma come compor- tarsi quando il contratto di assunzione non parla dell’obbligo dei- roperaio di trovarsi, per un determinato numero di ore al giorno, nella fabbrica? Accade spesso, per esempio nelle fabbriche mec- caniche, che il contratto fra padrone e onerai stabilisca soltanto che gli operai s'impegnano per un determinato compenso a pro- durre un dato articolo (un pezzo di macchina, un certo numero di viti o di bulloni, ecc.), mentre non dice nulla del tempo che l’ope- raio deve impiegare per eseguire il lavoro. Si può in questo caso 2Ó4 LENIN applicare la nuova legge sul numero delle ore lavorative nel corso di un giorno? Stando al buon senso, naturalmente si può. L’operaio lavora nella fabbrica: com’è quindi possibile non considerare il tempo che vi passa come tempo di lavoro? Ma il « buon senso » dei signori capitalisti e del governo che li sostiene è veramente sin- golare. Stando alla lettera dell’articolo da noi citato, in questo caso è molto facile non applicare la legge sulla riduzione del tempo di lavoro. Il fabbricante può addurre che nel contratto non si obbliga l'operaio a rimanere in fabbrica, e la faccenda è chiusa. Ma poiché non ogni fabbricante è un cavillatore così abile da accorgersi di questo sotterfugio, i funzionari del ministero delle finanze si sono affrettati ad attirare l’attenzione dei commercianti di tutta la Russia su questa scappatoia, per loro vantaggiosa, della nuova legge. 11 ministero delle finanze già da molto tempo pubblica un foglio speciale, il Viestnii { Finansov, Promyscliennosti i Torgovli *, uno di quei fogli ufficiali che, oltre a comunicare le disposizioni del governo, fanno di tutto per esaltare i successi dei capitalisti russi e per magnificare la sollecitudine che, sotto la parvenza di solle citudine per il popolo, il governo ha per la borsa dei banchieri, dei fabbricanti, dei commercianti e dei proprietari terrieri. Subito dopo ia promulgazione della nuova legge, il giornaletto ha pub- blicato un articolo {Viestni\ Finansov , n. 26, 1897) in cui si illu- stra minutamente il significato della legge e si dimostra che spetta appunto al governo di preoccuparsi della salute degli operai. Proprio in questo articolo i funzionari cercavano di suggerire ai fabbricanti la possibilità di trovare una scappatoia per eludere la nuova legge. Si spiegava chiaramente che la nuova legge non è valida nei casi in cui il contratto non parla del tempo di lavoro, giacche quando si affida a un operaio un determinato lavoro « egli non è già più un operaio salariato, ma una persona che riceve un’or- dinazione». Quindi non è difficile per il fabbricante eludere una legge che non gli garba; gli basta chiamare Toperaio non operaio, ma «persona che riceve un’ordinazione»! Invece di dire che per tempo di lavoro s’intende il periodo di tempo durante il quale 1 operaio si trova nella fabbrica a disposizione del padrone, la legge si esprime intenzionalmente in modo meno preciso, parlando del * Bollettino delle finanze, dell’industria c del commercio (, N.d.R .). LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 265 periodo di tempo in cui l'operaio è tenuto per contratto a trovarsi in fabbrica. Può sembrare che si tratti della stessa cosa, ma in realtà nemmeno qui ci si è disdegnati di escogitare, a danno degli operai, una formulazione oscura. Ili Di quanto la nuova legge abbrevia il tempo di lavoro? La legge del 2 giugno 1897 limita il tempo di lavoro, quando si tratta di lavoro diurno, a n ore e mezza su 24. Il sabato e la vigilia dei giorni festivi a io ore su 24. L'accorciamento della giornata lavorativa previsto dalla nuova legge è quindi insignifi- cante. Non sono pochi gli operai, e a Pietroburgo sono forse la maggioranza, per i quali questa legge non solo non apporta alcuna riduzione del tempo di lavoro, ma anzi minaccia persino di pro- lungarlo. Nelle fabbriche di Pietroburgo il tempo di lavoro nor- male è di io o io ore e mezza. L'introduzione per legge di una gior- nata lavorativa così eccessivamente lunga dimostra in modo lam- pante che la legge è una risposta alle rivendicazioni degli operai delle filande e delle tessitorie di cotone di Pietroburgo. A questi operai, infatti, la nuova legge concede forse una riduzione della giornata lavorativa, perchè essi nella maggior parte dei casi lavo- rano da 12 a 14 ore al giorno. (Spiegheremo più oltre perchè di- ciamo « forse *). La giornata lavorativa di dieci ore è stata fis- sata per legge per gli artigiani e per le fabbriche che si trovano alle dipendenze del ministero della guerra. Ma il governo ha deciso che gli operai di fabbrica possono essere costretti a lavorare ancor di più! Persino i fabbricanti di Pietroburgo avevano sollecitato dal governo la riduzione della giornata lavorativa a undici ore! Il governo ha deciso di concedere un'altra mezz'oretta a vantag- gio dei fabbricanti di Mosca, che costringono gli operai a lavorare per 24 ore in due turni e ai quali, a quanto pare, gli operai non hanno ancora dato abbastanza lezioni. Il governo russo, che mena vanto della sua sollecitudine per gli operai, si rivela di fatto taccagno come un bottegaio. Si rivela più taccagno degli stessi fab- bricanti, i quali estorcono agli operai migliaia di rubli per ogni 2 66 LENIN mezzora di lavoro in più. Da questo esempio gli operai possono limpidamente vedere come il governo difenda non solo gli inte- ressi dei fabbricanti, ma per di più gli interessi dei fabbricanti peggiori; come il governo sia un nemico degli operai assai più accanito della stessa classe dei capitalisti. Gli operai di Pietroburgo avrebbero ottenuto una giornata lavorativa più corta , per sè e per tutti gli operai russi, se il governo non Vavesse impedito. Gli operai uniti avevano costretto i fabbricanti a fare concessioni; i fabbri- canti di Pietroburgo erano disposti ad accogliere le rivendicazioni operaie; il governo proibì ai fabbricanti di fare concessioni per non creare un precedente. In seguito, la maggior parte dei fab- bricanti di Pietroburgo si convinse della necessità di fare conces- sioni agli operai e si rivolse al governo chiedendo la riduzione della giornata lavorativa a n ore. Ma il governo difende gli in- teressi non soltanto dei fabbricanti di Pietroburgo, bensì dei fab- bricanti di tutta la Russia e, poiché nella Santa Russia vi sono fabbricanti assai più taccagni di quelli di Pietroburgo, il governo, desideroso di esser « giusto », non poteva permettere che quel- li di Pietroburgo sfruttassero troppo poco i loro operai. Que- sti fabbricanti non dovevano precedere di troppo gli altri fabbri- canti russi, e il governo ha aggiunto una mezz’oretta alla giornata lavorativa richiesta dai capitalisti. È chiaro che da una simile con- dotta del governo gli operai devono trarre tre insegnamenti: Primo insegnamento : gli operai russi d’avanguardia debbono cercare con tutte le loro forze di estendere il movimento ai lavo- ratori più arretrati. Se nella lotta per la causa operaia non sarà mobilitata tutta la massa degli operai russi, gli operai d’avan- guardia, quelli della capitale, otterranno molto poco, anche se costringeranno i loro padroni a concedere qualcosa, perchè il go- verno si distingue per un tal senso di « giustizia » che non permette ai fabbricanti migliori di fare concessioni sostanziali agli operai. Secondo insegnamento: il governo russo è un nemico degli operai assai piu accanito degli stessi fabbricanti russi, perchè non solo di- fende gli interessi dei fabbricanti, non solo ricorre per questo scopo a una selvaggia repressione contro gli operai, agli arresti, alle de- portazioni, all’intervento delle truppe contro gli operai inermi, ma per di piu difende gli interessi dei fabbricanti più taccagni e si LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 267 ribella alla tendenza dei fabbricanti migliori a fare concessioni agli operai. Terzo insegnamento: per conquistarsi condizioni umane di lavoro e ottenere la giornata lavorativa di otto ore, a cui aspirano oggi gli operai di tutto il mondo, gli operai russi debbono contare soltanto sulla forza della loro unione e strappare continuamente al governo una concessione dopo l’altra. Il governo tenta di mer- canteggiare con gli operai e tasta il terreno per vedere se è possi- bile aggiungere ancora una mezz’oretta; gli operai dimostreranno di saper difendere le proprie rivendicazioni. Si direbbe che il go- verno voglia mettere alla prova la pazienza degli operai e si dica: vediamo un po’ se non è possibile cavarsela a minor prezzo, con una piccola concessione; gli operai gli faranno vedere che per la più tenace delle lotte non mancherà loro la pazienza, perchè si tratta di una lotta per la vita, di una lotta contro la completa umiliazione e oppressione del popolo lavoratore. IV Che cos'è secondo la legge il « lavoro notturno »? « Si considera notturno, quando esiste un solo turno di lavoro, il periodo che va dalle nove di sera alle cinque del mattino; quando vi siano due o più turni, il periodo che va dalle dieci di sera alle quattro del mattino ». Così suona la nuova legge. La « notte » per il popolo semplice, che deve lavorare tutta la vita per gli altri, e la « notte » per i gran signori, che possono vivere del lavoro altrui, sono, secondo la « legge », due cose assolutamente diverse. Tanto a Pietroburgo quanto a Mosca alle quattro del mattino, nella maggior parte deiranno, è ancora completamente buio, è ancora notte. Ma la legge russa stabilisce che l’operaio deve adeguare tutta la sua vita agli interessi del capitale, l’operaio deve credere che alle quattro comincia obbligatoriamente il giorno, sebbene manchino ancora alcune ore al sorgere del sole. Se poi l’operaio non vive nei dintorni della fabbrica, deve alzarsi alle tre , e forse anche prima, per giungere alle quattro in fabbrica! Per i funzionari di Pietroburgo il « giorno » comincia alle dodici, anzi all’una, ma i funzionari sono uomini del tutto speciali... Il 268 LENIN «giorno» finisce per gli operai alle dieci di sera; e, uscendo dalla fabbrica sulla strada sprofondata nell’oscurità, l’operaio non deve lasciarsi turbare dal buio: deve ricordare e credere che il «giorno » è appena finito, perchè così stabilisce la legge. Perchè non dichia- rare nella legge che per loperaio il « giorno » comincia quando la campana lo chiama in fabbrica e finisce quando la stessa campana chiama il secondo turno? Sarebbe più sincero e più giusto! In Svizzera già esìste una legge la quale stabilisce che cosa si deve intendere per lavoro notturno, ma come avrebbero potuto gli svizzeri escogitare tutte le astuzie dei funzionari polizieschi russi! Per questi terribili svizzeri la « notte » deiroperaio è uguale a quella di tutti gli altri uomini, e va appunto dalle otto di sera alle cinque (o alle sei) del mattino. L’unica limitazione del « la- voro notturno », prevista dalla nuova legge, consiste nel fatto che gli operai occupati, sia pure parzialmente, durante la notte, non debbono lavorare più di io ore su 24. Tutto qui. La legge non vieta il lavoro notturno. Anche in questo essa è rimasta al di qua delle richieste dei fabbricanti di Pietroburgo, i quali 14 anni or sono (1883) sollecitarono il divieto del lavoro notturno per gli adulti. Anche sotto questo aspetto dunque gli operai di Pietro- burgo avrebbero ottenuto di più dai fabbricanti se non fossero stati ostacolati dal governo che si è battuto per difendere gli in- teressi dei fabbricanti russi più arretrati. Il governo non ha esau- dito i fabbricanti di Pietroburgo per non offendere quelli di Mo- sca, che in gran parte costringono gli operai a lavorare di notte. Come al solito, il governo ha cercato di mascherare dietro frasi e assicurazioni ipocrite il proprio servilismo verso gli interessi dei fabbricanti peggiori . Il Vie Unii { Finansov y edito dal ministero delle finanze, nel commento alla nuova legge affermava che in altri Stati (per esempio, in Francia) il lavoro notturno è proibito. Ma secondo questo giornale, la nostra legge non poteva stabilire un si- mile divieto. « La limitazione del lavoro continuo di un’azienda non e sempre possibile: tutta una serie di industrie richiede, per il suo carattere, la continuità della produzione ». È evidente che si tratta di un semplice pretesto. Qui non si parla di^ industrie speciali che esigono la continuità del lavoro, ma dell industria in generale. Neppure con la legge odierna è LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 269 possibile la continuità della produzione, anche con due turni, senza il lavoro straordinario, perchè essa stabilisce 11 ore e mezza di lavoro diurno e io ore di notturno, che insieme fanno 21 ore e mezza. Pertanto, per le industrie che esigono la continuità del lavoro, la nuova legge prevede delle eccezioni (ossia speciali dispo- sizioni ministeriali, di cui parleremo in seguito). Dunque non esi- steva alcuna « impossibilità » di vietare il lavoro notturno. Abbia- mo già detto che il governo vuol mostrarsi sollecito della salute degli operai; ecco che cosa il ministero delle finanze dice a pro- posito del lavoro notturno: «Il lavoro notturno è, senza dubbio, più faticoso, nocivo alla salute e, in generale, meno naturale del lavoro eseguito alla luce del sole; esso è tanto più nocivo quanto più è prolungato e permanente. Può sembrare che, a causa del ca- rattere nocivo del lavoro notturno, sia meglio vietare questo la- voro anche per gli adulti (come è stato vietato per le donne e per i minorenni di entrambi i sessi in alcuni rami industriali, per i ragazzi in ogni caso); ma, anche dal punto di vista del benes- sere generale dell’operaio, non esiste alcun motivo per introdurre un tale divieto; un lavoro notturno moderato è per l’operaio assai meno nocivo del lavoro diurno troppo prolungato e retribuito in egual misura ». Come sanno buttar polvere negli occhi del po- polo i funzionari del governo zarista! Persino la difesa degli in- teressi dei fabbricanti peggiori viene presentata come sollecitudine per il « benessere dell’operaio ». E come impudente la giustificazio- ne escogitata dal ministero! « Un lavoro notturno moderato », udite, « è meno nocivo* del lavoro diurno troppo prolungato e retri- buito in egual misura ». Il ministero vuol dire che l’operaio è co- stretto al lavoro notturno dal salario basso, da un salario tanto basso che Yoperaio non può fare a meno di un lavoro esagera- tamente prolungato. E cosi il ministero, convinto che l’operaio non otterrà mai un salario migliore, cinicamente dichiara: se l’operaio è costretto a lavorare per un tempo così vergognosa- mente lungo per poter sostentare la sua famiglia, non è forse lo stesso lavorare alcune ore in più di giorno o di notte ? Naturai* mente, se la maggior parte degli operai russi continuerà a perce- pire gli stessi miseri salari, il bisogno li costringerà a lavorare oltre le ore normali; ma quanta impudenza è necessaria per giustifi- 270 LENIN care l’ammissibilità del lavoro notturno con le condizioni di estre- ma miseria dell’operaio! « Il lavoro sarà retribuito in egual misura » — ecco qual è la sostanza per i servi del capitale — « e, dato l’at- tuale livello dei salari, l’operaio non può fare a meno delle ore straordinarie di lavoro*. E simili funzionari, che inventano argo- mentazioni da kulak a favore dei fabbricanti taccagni, osano an- cora parlare di «punto di vista del benessere generale dell’ope- raio ». Ma non sperano essi invano che l’operaio rimanga per sem- pre abbrutito dall’estrema miseria? Accetterà sempre l’operaio di essere « retribuito in egual misura », di ricevere la stessa mi- sera remunerazione per il proprio lavoro? Salario basso e gior- nata lavorativa prolungata procedono sempre di pari passo e l’uno è impossibile senza l’altra. Se il salario è basso, l’operaio deve eseguire del lavoro straordinario, deve lavorare anche di notte per guadagnare di che sostentarsi. Se il tempo di lavoro è troppo lungo, il salario è sempre basso, perchè in questo caso l’operaio fabbrica in un’ora una quantità minore di prodotti di qualità peggiore di quando la giornata lavorativa è più breve; perchè l’ope- raio, estenuato dal lavoro eccessivo, rimarrà sempre abbrutito e impotente davanti all’oppressione del capitale. Se dunque il mini- stero dei fabbricanti russi ha intenzione di conservare immutato l’attuale bassissimo livello dei salari degli operai russi e se in pari tempo chiacchiera di « benessere degli operai », esso dimostra nel modo più lampante l’ipocrisia e la falsità delle sue parole. V Come dimostra il ministero delle finanze che la limitazione del lavoro straordinario sarebbe « ingiusta » nei confronti dell operaio? Abbiamo definito la nuova legge: legge sulla riduzione della giornata lavorativa. Abbiamo già detto che la nuova legge li- mita la giornata lavorativa a 11 ore e mezza (a io ore per il lavoro notturno). Ma la situazione è in realtà assai peggiore. La legge stabilisce queste limitazioni soltanto per il lavoro consueto, nor- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 2?I male, e non parla del lavoro straordinario. In realtà, quindi, non è affatto limitato il « diritto » del fabbricante di costringere gli operai a lavorare per un tempo infinitamente lungo, persino per 24 ore al giorno. Ecco che cosa dice la legge a proposito del lavoro straordi- nario: «Si considera straordinario il lavoro eseguito dagli operai di un’azienda industriale nel tempo in cui, secondo il regolamento interno, essi non sono tenuti a lavorare. Il lavoro straordinario è ammesso soltanto in base a uno speciale accordo fra il direttore dell’azienda industriale e l’operaio. Nel contratto di lavoro possono essere incluse soltanto clausole relative al lavoro straordinario che risulti necessario per le condizioni tecniche della produzione». È questo un articolo estremamente importante della nuova legge, ed è interamente diretto contro gli operai, giacche concede piena li- bertà all’arbitrio del fabbricante. Finora il lavoro straordinario veniva effettuato per consuetudine; la legge non ne parlava. Adesso il governo ha regolato per legge il lavoro straordinario. La precisa- zione della legge, secondo cui per questo lavoro è necessario uno « speciale accordo » tra il padrone e l’operaio, è soltanto una frase vuota, assolutamente priva di senso. Tutti i lavori vengono eseguiti dagli operai «in base a un accordo» coi padroni; gli operai non sono servi della gleba (sebbene moltissimi funzionari russi deside- rino con tutta l’anima di trasformarli in servi); essi lavorano per un salario, ossia lavorano in base a un accordo. È quindi inutile dire che per il lavoro straordinario si richiede un accordo. Il governo ha inserito nella legge questa vuota frase per dare l’impressione che vuol limitare il lavoro straordinario. In realtà non lo limita af- fatto. Il padrone continuerà a dire all’operaio ciò che gli diceva prima: « Se vuoi, lavora oltre l’orario; se non vuoi, vattene! ». Ma mentre ciò accadeva sinora per consuetudine, oggi avviene in base alla legge. Prima il fabbricante, licenziando l’operaio che si era ri- fiutato di eseguire un lavoro straordinario, non poteva richiamarsi alla legge; oggi invece la legge gli suggerisce apertamente il modo di opprimere gli operai. Anziché limitare il lavoro straordinario, questo articolo della legge può determinarne agevolmente l’impiego più frequente. Anzi essa dà al padrone il diritto di includere nel contratto una clausola sul lavoro straordinario, quando questo la- voro sia « necessario per le condizioni tecniche della produzione ». 18-573 2 7 2 LENIN Questa riserva non preoccupa affatto il fabbricante. Come possi- bile stabilire quali lavori sono « necessari per le condizioni tecni- che della produzione» e quali non lo sono? Chi lo stabilirà? Come si potrà confutare l’affermazione di un padrone il quale sostenga che il lavoro assegnato adoperalo oltre dorano normale è «ne- cessario per le condizioni tecniche della produzione»? Nessuno potrà stabilirlo, nessuno potrà confutare l’affermazione del pa- drone. La legge ha soltanto accresciuto l’arbitrio dei padroni, sug- gerendo loro un metodo particolarmente sicuro per angariare gli operai. Adesso basta che il padrone precisi in una clausola del con- tratto che l’operaio non ha il diritto di rifiutarsi di compiere il la- voro straordinario « necessario per le condizioni tecniche della pro- duzione», e daffare è fatto! Se l’operaio tenterà di non eseguire il lavoro straordinario, sarà buttato fuori. E poi (pensa il fab- bricante), sfido chiunque a trovare un operaio che si metta a dimo- strare che un dato lavoro non è « necessario per le condizioni tecniche della produzione ». È persino ridicolo immaginare la pos- sibilità di un simile reclamo da parte di un operaio. Non occorre aggiungere che reclami del genere non saranno mai presentati e che in ogni caso non approderebbero ad alcun risultato. Il governo ha, così, pienamente legalizzato l’arbitrio dei fabbricanti in materia di lavoro straordinario. Fino a qual punto il ministero delle fi- nanze sia sollecito nel servire i fabbricanti e nell’insegnar loro ad avvalersi più ampiamente del lavoro straordinario riparandosi dietro la nuova legge, risulta con particolare evidenza dal seguente ragionamento del Viestni ^ Finansov : « Il lavoro straordinario è ne- cessario anche per le ordinazioni urgenti, che il proprietario della fabbrica o dell’officina* non può prevedere e includere nel piano di produzione, fissato per un breve periodo di tempo, qualora per il proprietario dell’azienda sia impossibile o difficile aumentare il numero degli operai ». Guardate come «interpretano» bene la legge gli zelanti servi * È la solita canzone! Ogni anno i fabbricanti russi, particolarmente quelli della regione centrale, ricevono in occasione della fiera di Nizni-Novgorod ordi- nazioni urgenti, e ogni anno assicurano solennemente a tutti gli stolti, che cre- dono o fingono di credere loro, che non potevano prevederle!... LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 273 dei fabbricanti che siedono al ministero delle finanze! Nella legge si parla soltanto del lavoro straordinario necessario per le con- dizioni tecniche, ma il ministero delle finanze si affretta a consi- derarlo « necessario » anche nel caso di ordinazioni « imprevedi- bili » e persino in caso di « difficoltà » per il fabbricante di aumen- tare il numero degli operai! È questa una pura e semplice beffa ai danni degli operai! Ogni astuto fabbricante potrà sempre dire di essersi trovato in « difficoltà ». Aumentare il numero degli operai vuol dire assumere nuovi operai, ridurre il numero dei disoccu- pati che si affollano dietro ai cancelli delle fabbriche, diminuire la concorrenza tra gli operai, rendere gli operai più esigenti e dover accordare, forse, un salario più elevato. Va da sè che non vi è alcun fabbricante il quale non trovi che tutto ciò è «difficile». Permettendo al fabbricante di fissare a suo arbitrio il lavoro straor- dinario, la legge sulla riduzione della giornata lavorativa perde ogni valore. L’intiera massa degli operai non avrà alcuna ridu- zione, perchè dovrà come prima lavorare da 15 a 18 ore e oltre, rimanendo in fabbrica anche di notte per il lavoro straordinario. L’assurdità di una legge sulla riduzione della giornata lavorativa che non vieti (o almeno limiti) il lavoro straordinario è talmente palese che in tutti i precedenti progetti di legge era stata proposta una limitazione del lavoro straordinario. I fabbricanti di Pietro- burgo (gli stessi fabbricanti!) avevano chiesto, sin dal 1883, che il lavoro straordinario venisse limitato a un’ora al giorno. Quando il governo, spaventato dagli scioperi di Pietroburgo del 1895-1896, nominò immediatamente una commissione che elaborasse una legge sulla riduzione della giornata lavorativa, la commissione pro- pose la limitazione del lavoro straordinario a 120 ore annue*. Re- spingendo tutte le proposte relative a una qualsiasi limitazione del lavoro straordinario, il governo si è assunto direttamente la difesa degli interessi dei fabbricanti peggiori, ha legalizzato apertamente il completo asservimento degli operai, ha espresso senza ambagi la propria intenzione di lasciare tutto immutato, servendosi di frasi che non dicono nulla. Il ministero delle finanze, facendosi in # Lo stesso ministero delle finanze, spiegando la nuova legge, non ha po- tuto non riconoscere che « Taminissione del lavoro straordinario è in un certo senso inopportuna» {Viestnìk. Finansov). 18* 2 74 LENIN quattro per sostenere gli interessi dei fabbricanti, è giunto al punto di mettersi a dimostrare che limitando il lavoro straordi- nario si commetterebbe un’« ingiustizia » nei confronti dello stesso operaio. Ecco le argomentazioni su cui è utile che ogni operaio ri- fletta. « Privar l’operaio del diritto di lavorare in fabbrica oltre un dato numero di ore al giorno sarebbe cosa difficilmente realizzabile in pratica» (perchè? perchè gli ispettori di fabbrica eseguono male il loro dovere, temendo più del fuoco di offendere i signori fabbricanti? perchè tutte le riforme che favoriscono Toperaio russo, privo di diritti e della possibilità di esprimere la propria opinione, sono diffìcilmente realizzabili? Il ministero delle finanze ha detto, senza accorgersene, la verità : in effetti, finché gli operai russi, come tutto il popolo russo, saranno privi di diritti di fronte al governo poliziesco, finché non avranno la libertà politica, nessuna riforma potrà essere efficace)... « e si commetterebbe un’ingiustizia nei con- fronti deiroperaio; non si può perseguire un uomo perchè ricerca i mezzi di sussistenza, perchè tende le proprie forze fino a su- perare talvolta il limite oltre il quale il lavoro può diventare nocivo per la salute». Com’è sensibile e umanitario il governo russo! Inchinati e ringrazia, operaio russo! Il governo è così mi- sericordioso che « non ti priva » del « diritto » di lavorare per 18 e anche per 24 ore al giorno; il governo è così equanime che non vuole perseguirti perchè il fabbricante ti costringe a crepare sul lavoro! In tutti gli altri paesi per il lavoro eseguito in fabbrica oltre Forano normale non si persegue l’operaio, ma il fabbricante... I nostri funzionari lo hanno dimenticato. Del resto, come potreb- bero i funzionari russi decidersi a perseguire i signori fabbricanti? Come sarebbe possibile? Vedremo presto che essi non saranno per- seguiti neppure quando violeranno la nuova legge. In tutti i paesi gli operai hanno il diritto, per « ricercare i mezzi di sussistenza », di organizzare sindacati, casse mutue, di opporsi apertamente al fabbricante, di presentargli le proprie rivendicazioni, di organiz- zare scioperi. Da noi ciò non è ammesso. Ma, in compenso, da noi agli operai è concesso il « diritto » di lavorare « oltre » qualsi- voglia numero di ore al giorno. Perchè mai questi funzionari uma- nitari non hanno aggiunto che il nostro giusto governo « non priva » gli operai russi del « diritto » di finire in carcere senza prò- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 275 cesso o di essere bastonati da qualsiasi poliziotto per ogni tentativo di difendersi dall’oppressione dei capitalisti? VI Quali diritti concede la nuova legge ai ministri ? Abbiamo già detto che per i punti essenziali la nuova legge non stabilisce regole precise, immutabili e obbligatorie per tutti: il governo ha preferito lasciare maggiore libertà alPamministra- zione (precisamente ai ministri) perchè potesse introdurre dispo- sizioni di ogni genere e agevolazioni per i fabbricanti, perchè potesse dilazionare l’applicazione della nuova legge, ecc. I diritti che la legge accorda ai ministri sono straordinariamente ampi. I ministri (precisamente il ministro delle finanze o il ministro delle comunicazioni, ecc., d’accordo col ministro degli affari interni) « hanno facoltà » di emanare disposizioni particolareggiate sull’ap- plicazione della nuova legge. A completa discrezione dei ministri è stata lasciata una massa di questioni concernenti tutti gli articoli della nuova legge sotto tutti gli aspetti. I diritti dei ministri sono così ampi che essi, in fondo, possono fare quello che vogliono della nuova legge; se vogliono, emanano regolamenti tali da con- sentire la reale applicazione della legge; se no, fanno in modo che la legge non sia affatto applicata. Guardate infatti quali rego- lamenti i ministri possono emanare per « integrare la presente legge» (così si esprime la legge; abbiamo già visto con quanto acume sappia «integrare» la legge il ministro delle finanze; la integra in modo tale che gli operai dovrebbero, a suo avviso, ringraziare il governo perchè non li persegue per il troppo lavoro compiuto e perchè non « li priva del diritto » di lavorare per 24 ore su 24). Elencheremmo tutti i problemi toccati in questi rego- lamenti, se fosse possibile; in realtà, però, la legge non solo indica le questioni che debbono essere risolte dai regolamenti ministe- riali, ma riconosce ai ministri il diritto di emanare anche altri regolamenti , senza limitazione alcuna. I ministri hanno facoltà di emanare regolamenti sulla durata del lavoro. Dunque, la 276 LENIN legge sulla durata del lavoro è una cosa, ma oltre ad essa vi saranno i regolamenti ministeriali. I ministri possono emanare di- sposizioni sul sistema dei turni, ma possono anche non emanarle per non importunare i fabbricanti. I ministri hanno facoltà di ema- nare regolamenti sul numero delle squadre (ossia sul numero dei turni, per stabilire il numero dei turni in 24 ore), sugli intervalli, ecc. Sì, la legge dice proprio: ecc. (e così vìa), dice cioè: emanate quel che volete. Se i ministri non vorranno, non avremo alcuna di- sposizione sugli intervalli, e i fabbricanti continueranno a vessare gli operai, negando loro la facoltà di tornare a casa per il pranzo o ne- gando alle madri la possibilità di andare a dar da mangiare ai figli. I ministri possono emanare regolamenti sul lavoro straordi- nario, e precisamente suiresecuzione, sulla ripartizione e sul cal- colo del lavoro straordinario. Essi hanno quindi campo libero. I ministri possono anche modificare le norme della legge, ossia darne un’interpretazione estensiva o restrittiva (la legge ha espres- samente specificato il diritto dei ministri di dare un’interpretazione restrittiva delle norme della nuova legge concernenti i fabbri- canti), in tre casi : primo, « quando ciò sarà ritenuto necessario per le particolarità della produzione (continuità, ecc.) ». Di nuovo la legge aggiunge questo «ecc.», concedendo ai ministri il diritto di trar pretesto da tutte le possibili e immaginabili « particolarità della produzione ». Secondo, quando sia necessario « per il carat- tere del lavoro (sorveglianza delle caldaie a vapore, delle cinghie di trasmissione, riparazioni ordinarie e urgenti, ecc.)». Di nuovo un «ecc.»! Terzo, quando sia necessario «in altri casi partico- larmente importanti, eccezionali ». I ministri possono inoltre sta- bilire quali industrie siano particolarmente nocive per la salute degli operai (ma possono anche non stabilirlo: la legge non li obbliga a farlo e si limita a conceder loro il diritto... sebbene essi avessero anche in precedenza questo diritto e non abbiano vo- luto avvalersene!) ed emanare regolamenti speciali per queste industrie. Gli operai comprendono ora perchè abbiamo detto che non potevamo elencare i problemi che i ministri hanno facoltà di risolvere: la legge aggiunge sempre: «ecc.», «e così via». In generale, le leggi russe possono essere suddivise in due categorie: le leggi che concedono alcuni diritti agli operai e al popolo LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 277 semplice in generale e le leggi che interdicono, o consentono ai funzionari di interdire, qualcosa. Nelle prime tutti i diritti degli operai, persino i più insignificanti, sono enumerati con assoluta precisione (per esempio, il diritto degli operai di assentarsi dal lavoro per motivi giustificati), e, sotto la minaccia delle più gravi sanzioni, non è ammessa la minima deroga. In simili leggi non tro- verete mai un « ecc. » o un « e così via ». Nelle leggi della se- conda categoria vengono sempre specificate soltanto le cose che sono vietate in generale, senza elencarle in modo preciso , sicché Tamministrazione può vietare tutto quel che vuole\ in queste leggi troverete sempre piccole ma importantissime aggiunte: «ecc.», « e così via ». Queste parolette attestano concretamente l’onnipo- tenza dei funzionari russi, l’assoluta mancanza di diritti del popolo dinanzi a loro, l’assurdità e la brutalità deirimmondo burocratismo e formalismo che pervadono tutte le istituzioni del governo im- periale russo. Ogni legge dalla quale possa provenire anche un briciolo di utilità viene sempre ingarbugliata a tal punto da questa burocrazia che la sua applicazione è dilazionata aH’infinito. Ma non basta; l’applicazione della legge è lasciata completamente aH’arbitrio dei funzionari, che, come ognuno sa, sono sempre pronti a « servire » con tutta l’anima ogni borsa ben rimpinzata e a far porcherie, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, nei con- fronti del popolo semplice. Infatti ai ministri è data facoltà di emanare tutti questi regolamenti per « integrare la presente legge», possono cioè emanarli o non emanarli. La legge non li obbliga a farlo. La legge non fissa alcun termine: essi possono emanare i regolamenti oggi oppure fra dieci anni. Si comprende che relega- zione di alcune norme indicate dalla legge perde così ogni valore e significato: sono vuote parole, che servono soltanto a mascherare l’intenzione del governo di infirmare la legge. Quasi ogni legge che riguardi la vita dell’operaio concede ampi diritti ai ministri. Comprendiamo molto bene perchè il governo agisca in questo modo: esso vuole, quanto più gli è possibile, entrare nelle grazie dei signori fabbricanti. Per il fabbricante è molto più facile influire sul funzionario che applica la legge che non sull’elaborazione stessa della legge. Ognuno sa come sia facile per i nostri pezzi grossi del capitale essere accolti nei salotti dei signori ministri per 278 LENIN intavolare piacevoli conversazioni, come amichevolmente si deli- zino ai loro pranzi, con quanta amabilità offrano ai corrotti fun- zionari del governo imperiale elemosine di decine e centinaia di migliaia di rubli (lo fanno, o direttamente allungando mance, o in- direttamente offrendo azioni di « fondatori » di società oppure po- sti onorari e remunerati in queste società). Così, quanti più di- ritti la nuova legge concede ai funzionari per ciò che concerne la sua applicazione, tanto più ne traggono vantaggio e i funzionari e i fabbricanti : per i funzionari il vantaggio sta nella possibilità di arraffar denaro; per i fabbricanti nella possibilità di ottenere senza fatica privilegi e favori. A titolo d'esempio ricordiamo agli operai due casi che mostrano a che cosa di fatto conducano i regolamenti ministeriali emanati « per integrare la legge». La legge del 3 giugno 1886 stabiliva che le multe sono denaro degli operai, che dev'essere speso per i loro bisogni. Il ministro « ha integrato » la legge in modo tale che, per esempio a Pietroburgo, essa non è stata applicata per ben dieci anni, e quando si è cominciato ad applicarla tutto è stato messo nelle mani dei fabbricanti a cui gli operai dovevano richiedere il proprio denaro come un’elemosina. Secondo esempio. La stessa legge (del 3 giugno 1886) stabilisce che il salario deve essere pagato almeno due volte al mese, ma il ministro « ha integrato » la legge in modo tale che i fabbricanti hanno il diritto di trattenere per un mese e mezzo il salario di un operaio da poco assunto. Ogni operaio comprenderà bene, dopo di ciò, perchè anche questa volta sia stato concesso ai ministri il diritto di « integrare » la legge. Anche i fabbricanti lo comprendono bene e si sono messi al lavoro. Abbiamo già visto che i ministri « hanno facoltà » di emanare regolamenti sul lavoro straordinario. I. fabbricanti hanno cominciato a far pressione sul governo perchè non venga limitato il lavoro straordinario. Il giornale Mos\ovs 1 {ie Viedomosti , che sempre con tanto zelo difende gli interessi dei fab- bricanti peggiori, che con tanta tenacia suggerisce al governo le azioni piu bestiali e più spietate, che si avvale della sua grande influenza « nelle alte sfere » (cioè nell’ambiente degli alti funzio- nari, dei ministri, ecc.), questo giornale ha già iniziato una cam- pagna sostenendo che non bisogna limitare il lavoro straordi- nario. I fabbricanti hanno mille modi per far pressione sul go- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 279 verno: hanno proprie società e istituzioni, fanno parte di nume- rose commissioni e consigli governativi (ad esempio, del consiglio per gli affari delle fabbriche, ecc.), possono recarsi personalmente dai ministri, possono servirsi a loro beneplacito dei giornali per far conoscere i loro desideri e le loro esigenze, e la stampa ha oggi una grande importanza. Gli operai non dispongono di alcun mezzo legale per far pressione sul governo. Gli operai hanno un solo mezzo : unirsi,, diffondere la coscienza dei propri interessi di classe fra tutti gli operai e con le loro forze unite opporre resistenza al governo e ai fabbricanti. Ogni operaio com- prende ora che l’applicazione della nuova legge dipende intera- mente dalla forza che saprà più vigorosamente far pressione sul governo: i fabbricanti o gli operai. Solo attraverso la lotta, attra- verso una lotta consapevole e tenace, gli operai hanno ottenuto che la nuova legge fosse promulgata . Solo con la lotta essi potranno ottenere che la legge venga definitivamente applicata, e applicata neirinteresse degli operai. Senza una lotta tenace, senza la strenua resistenza degli operai uniti a ogni pretesa dei fabbricanti, la nuova legge rimarrà un semplice pezzo di carta, una di quelle eleganti e ipocrite insegne con le quali il nostro governo si sforza di ab- bellire il putrido edificio dell’arbitrio poliziesco, della mancanza di diritti e deiroppressione degli operai. VII In qual modo il nostro governo « cristiano » diminuisce i giorni festivi per gli operai Oltre alle norme sul tempo di lavoro, la nuova legge contiene norme relative al riposo domenicale e festivo obbligatorio per gli operai delle fabbriche e delle officine. I servili pennivendoli, che sono così numerosi fra i gazzettieri e i pubblicisti russi, si sono af- frettati a portare alle stelle, per questa norma, il nostro governo e il suo umanitarismo. Vedremo ora come, in realtà, questa legge umana miri a ridurre il numero dei giorni festivi per gli operai. Ma esaminiamo dapprima le norme generali sul riposo domenicale e a8o LENIN festivo. E rileviamo anzitutto che la statuizione del riposo dome nicale e festivo era stata sollecitata dai fabbricanti di Pietroburgo 14 anni or sono (nel 1883). Anche in questo caso quindi il governo russo ha menato le cose per le lunghe, opponendosi alla riforma finche ne ha avuto la possibilità. Secondo la legge, nella tabella dei giorni festivi, nei quali è fatto divieto di lavorare, sono ob bligatoriamente incluse tutte le domeniche nonché 14 festività, di cui parleremo più particolareggiatamente in seguito. La legge non vieta in modo assoluto il lavoro nei giorni festivi, ma lo ammette alle seguenti condizioni: è necessario, in primo luogo, un « mutuo accordo » tra il fabbricante e gli operai; in secondo luogo, il lavoro in un giorno festivo è, ammesso « in sostituzione del lavoro di un giorno feriale»; in terzo luogo, è necessario informare immediata mente rispettorato di fabbrica in merito all’accordo sulla sostituzio- ne di un giorno festivo con un giorno feriale. In ogni caso, il lavoro nel giorno festivo non deve mai ridurre, secondo la legge, il numeto dei giorni di riposo, perchè il fabbricante è tenuto a sostituire il giorno festivo in cui si lavora con un giorno feriale di riposo. L’operaio deve sempre tenerlo presente e rammentare inoltre che la legge richiede sempre un accordo tra il fabbricante e gli operai. Gli operai, quindi, possono sempre rifiutarsi di accettare , su una base perfettamente legale, questa sostituzione, e il fabbricante non ha tl diritto di costringerveli. In effetti, s’intende, il fabbricante potrà costringere gli operai col seguente sistema: si comincerà col chiedere separatamente a ciascun operaio il suo consenso e nes- suno oserà negarlo, per paura d’essere licenziato. Tale sistema è naturalmente illegale, perchè la legge richiede Y accordo degli ope- rai, ossia di tutti gli operai insieme. Ma in qual modo tutti gli operai di una fabbrica (talvolta sono alcune centinaia, anzi mi- gliaia, dispersi in varie località) possono manifestare il generale consenso? La legge non lo specifica e offre così, ancora una voli a. al fabbricante il mezzo per costringere gli operai ad accettare. (ìli operai hanno un solo modo per impedire una simile vessazione : debbono esigere l’elezione di alcuni delegati degli operai per tra- smettere ai padroni la decisione generale di tutti gli operai. Ponen do questa rivendicazione, gli operai possono appellarsi alla legge, perche essa parla dell’accordo di tutti gli operai , e gli operai non LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 28 ! possono parlare tutti insieme col padrone. In generale, l’istituzione di delegati eletti dagli operai sarà per gli operai stessi cosa molto utile, e varrà anche per gli altri contatti col fabbricante e con lamministrazione, perchè il singolo operaio isolato può molto dif- ficilmente e talvolta anche non può affatto presentare le proprie rivendicazioni, le proprie richieste, ecc. Inoltre, a proposito degli operai di « religione non ortodossa », la legge dice che « si auto- rizza » a non inserire nella tabella dei giorni festivi le festività non celebrate dalla loro chiesa. Ma in compenso esistono altre festività celebrate dai cattolici e non dagli ortodossi. La legge non ne parla, cercando quindi di angariare in qualche modo gli operai non ortodossi. Ancora più forti sono le vessazioni nei confronti de- gli operai non cristiani : per essi, secondo la legge, « si tollera » che vengano inseriti nella tabella dei giorni festivi altri giorni al posto della domenica. «Si tollera» soltanto! Il nostro governo cristiano perseguita così selvaggiamente coloro che non appartengono alla re- ligione dominante che anche in questo caso si trova il modo di an- gariare i non cristiani mediante la nebulosità della legge. E la legge si esprime in modo effettivamente nebuloso. Essa va interpretata nel senso che un giorno della settimana deve essere obbligatoriamente un giorno di riposo e che è tollerata soltanto la sostituzione della domenica con un altro giorno. Ma la religione « dominante » conce- de indulgenze solo ai « signori », mentre nei confronti dell’operaio anch’essa non si lascia sfuggire l’occasione di escogitare tranelli d ogni sorta. Vediamo dunque quali giorni festivi debbono essere obbligatoriamente inseriti nella tabella, secondo la legge. È bene che si parli della istituzione del riposo domenicale e festivo; ma, in realtà, sino ad oggi di solito gli operai, nella maggioranza dei casi, non lavoravano nè di domenica nè nei giorni festivi. La legge può anche stabilire il riposo festivo in modo tale che il numero dei giorni festivi obbligatori risulti di molto inferiore a quello dei giorni considerati festivi per consuetudine. Appunto questo ha fatto il nostro governo cristiano nella nuova legge. Essa stabilisce 66 giorni festivi obbligatori all’anno: 52 domeniche, 8 festività fisse (1 e 6 gennaio, 25 marzo, 6 e 15 agosto, 8 settembre, 25 e 26 dicembre) e 6 festività mobili (il venerdì e il sabato della set- umana di passione, il lunedì e il martedì di Pasqua, l’Ascensione, la 282 LENIN Pentecoste). Ma quanti giorni all’anno sono stati sinora conside- rati per consuetudine festivi nelle nostre fabbriche? Abbiamo a nostra disposizione dati esatti per i governatorati di Mosca e di Smolensk e soltanto per alcune fabbriche. Ma poiché le differenze tra le singole fabbriche e anche tra i due governatorati non sono molto rilevanti, questi dati sono pienamente validi per formulare un giudizio sul reale significato della nuova legge. Nel governa- torato di Mosca sono stati raccolti dati relativi a 47 grandi fab- briche in cui lavorano complessivamente oltre 20.000 operai. È ri- sultato che in un anno di solito ci sono 97 giorni festivi per le fabbriche dove il lavoro viene eseguito a mano, e 98 per le fab- briche meccaniche. Il numero più basso di giorni festivi in un anno è di 78: questi 78 giorni vengono festeggiati senza eccezione in tutte le fabbriche prese in esame. Per il governatorato di Smolensk si hanno dati relativi a 15 fabbriche, in cui lavorano 5-6.000 operai. In un anno si hanno in media 86 giorni festivi, ossia un numero quasi uguale a quello che si ha nel governatorato di Mosca; il numero più basso è stato registrato in una fabbrica dove si sono avuti 75 giorni festivi. A questo numero di giorni festivi concessi abitualmente ogni anno nelle fabbriche russe corrispondeva il nu- mero dei giorni festivi stabilito nelle fabbriche dipendenti dal mi- nistero della guerra; ivi ogni anno si avevano 88 giorni festivi. Un numero quasi identico di giorni viene considerato dalle no- stre leggi festivo agli effetti civili (87 giorni all’anno). Quindi ogni anno agli operai era concesso abitualmente un numero di giorni festivi uguale a quello degli altri cittadini. Il nostro «go- verno cristiano », sollecito della salute degli operai, ha escluso dal numero dei giorni festivi consueti la quarta parte, ossia 22 giorni, lasciando soltanto 66 giorni festivi obbligatori. Elenchiamo i giorni festivi esclusi dal governo nella nuova legge. Dalle festività fisse sono stati esclusi: 2 febbraio, Purificazione; 9 maggio, San Ni- cola; 29 giugno, San Pietro; 8 luglio, Madonna di Kazan; 20 lu- glio, Sant’Elia; 29 agosto, San Giovanni Battista; 14 settembre, Esaltazione della Croce; i° ottobre, Vestizione della Madonna; (il governo ha considerato inutile e facoltativa persino questa festi- vità. Si può essere certi che nessun fabbricante avrebbe mai osato costringere gli operai a lavorare in questo giorno. Il governo anche LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 283 in questo caso difende gli interessi e le angherie dei fabbricanti peggiori); 21 novembre, Presentazione al Tempio; 6 dicembre, San Nicola. In totale, sono stati fatti saltare io giorni festivi fissi *. Dalle festività mobili sono stati esclusi il sabato della settimana grassa e il mercoledì della settimana di passione, ossia due giorni. In complesso, quindi, 12 giorni festivi sono stati esclusi dal nu- mero più basso di giorni festivi finora concessi agli operai per consuetudine generale. Il governo ama tanto definirsi « cristia- no»; rivolgendosi agli operai, i ministri e gli altri funzionari infarciscono i loro discorsi di frasi sullV amore cristiano » e sui « sentimenti cristiani » dei fabbricanti verso gli operai, del governo verso gli operai, ecc. Ma non appena dalle parole si viene ai fatti, tutte le frasi ipocrite e bigotte se ne vanno al diavolo e il governo si trasforma in un meschino bottegaio che cerca di sottrarre quanto più può agli operai. Da molto tempo i fabbricanti, i migliori di essi, sollecitavano l’istituzione del riposo domenicale e festivo. Il governo, dopo 15 anni di rinvìi, promulga infine una legge, san- cisce r obbligatorietà del riposo domenicale e festivo, ma facendo questa concessione agli operai non si lascia sfuggire l’occasione di angariarli, escludendo dall’elenco dei giorni festivi obbligatori la quarta parte dei giorni considerati festivi per consuetudine. Il go- verno si comporta quindi come un vero usuraio: mentre fa una concessione, cerca di rifarsi con un’altra angheria. È molto pro- babile che, dopo la promulgazione di questa legge, i padroni di alcune fabbriche tentino di ridurre il numero dei giorni di riposo concessi agli operai, tentino di costringere gli operai a lavorare anche nei giorni che finora venivano considerati festivi, ma che non sono inclusi dalla legge tra i giorni festivi obbligatori. Per impedire che la situazione peggiori, gli operai debbono anche in questo caso essere pronti ad opporsi a ogni tentativo mirante a ri- durre il numero dei giorni festivi. La legge stabilisce soltanto i giorni festivi obbligatori, ma gli operai hanno diritto di esigere anche altri giorni festivi. Basta soltanto ottenere che tutti i giorni # Abbiamo enumerato soltanto i giorni finora considerati festivi in tutte le fabbriche. Ma vi sono molti altri giorni considerati festivi nella stragrande maggio- ranza delle fabbriche, come, per esempio: l’ultimo giorno di carnevale, il ve- nerdì della settimana grassa, giovedì, venerdì e sabato di Pasqua, ecc. 284 LENIN festivi vengano indicati nelle norme del regolamento interno e non accontentarsi di promesse verbali. Gli operai potranno essere sicuri di non dover lavorare in un giorno di festa solo se questo giorno sarà incluso nelle norme del regolamento interno. Come per i giorni festivi, la nuova legge tenta di perpetuare la situa- zione precedente e persino di peggiorarla anche per quel che ri- guarda i giorni semifestivi. La legge stabilisce un solo giorno semifestivo, la vigilia di Natale; in quel giorno il lavoro deve essere interrotto non più tardi di mezzogiorno. Così accadeva sinora nella maggior parte delle fabbriche, e gli operai che in qual- che fabbrica continuavano a lavorare anche nel pomeriggio, ottenevano in genere mezza giornata di festa alla vigilia di un’al- tra importante festività. In generale, un giorno semifestivo all’anno veniva sinora concesso nella grande maggioranza delle fabbriche. Inoltre, la nuova legge limita la giornata lavorativa per il sabato e la vigilia dei giorni festivi a io ore, ossia la riduce di un’ora e mezza rispetto alla giornata lavorativa normale. Neppure sotto questo aspetto la legge ha migliorato la situazione degli operai e l’ha fors’anche peggiorata : fino ad oggi in quasi tutte le fabbriche di sabato il lavoro veniva interrotto prima del solito. Uno stu- dioso, che ha raccolto molti dati su questa questione e che in generale conosce molto da vicino la vita di fabbrica, ha affermato: si può ritenere senza tema di sbagliare che in media di sabato il lavoro finisce due ore prima dell’orario normale. Dunque la legge neppure qui si è lasciata sfuggire l’occasione, trasformando il ri- poso che vien dato per consuetudine in riposo obbligatorio , di sot- trarre agli operai, in cambio di questa concessione, una mezz’oretta. Mezz ora alla settimana fa 23 ore all’anno (ammettendo che in un anno vi siano 46 settimane lavorative), ossia due giorni di lavoro per il padrone... Mica brutto il dono elargito ai nostri poveri e mi- seri fabbricanti! Si può esser certi che questi cavalieri del sacco di scudi non faranno cerimonie nell’accettare un simile regalo e con ogni mezzo cercheranno di compensarsi dei « sacrifici » loro imposti dalla nuova legge (come amano dire); anche in questo caso quindi gli operai dovranno contare soltanto su se stessi, sulla forza della loro unione. Senza una lotta tenace, neppure in questo LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 285 caso la classe operaia può aspettarsi, nonostante la nuova legge, un miglioramento delle proprie condizioni. Vili Come viene garantita V applicazione della nuova legge? Da che cosa in generale è garantita l’applicazione delle leggi? In primo luogo, dal controllo sull’esecuzione della legge. In se- condo luogo, dalle sanzioni per la non applicazione. Vediamo per- tanto come stanno le cose circa la nuova legge sulle fabbriche. Il controllo sull’applicazione delle leggi è demandato agli ispettori di fabbrica. Finora le disposizioni sul controllo delle fabbriche, emanate nel 1886, non si estendevano affatto a tutta la Russia, ma soltanto ad alcuni governatorati e precisamente ai governatorati più industrializzati. L’estendersi del movimento operaio e degli scioperi è sempre stato seguito dall’ampliarsi del campo di appli- cazione- del controllo sulle fabbriche. Oggi, contemporaneamente alla legge sulla riduzione della giornata lavorativa, è stata promul- gata (Io stesso 2 giugno 1897) una legge sull’estensione del con- trollo alle fabbriche di tutta la Russia e di tutto il regno polacco. Questa estensione delle norme sul controllo a tutta la Russia e l’isti- tuzione degli ispettori di fabbrica costituiscono, certamente, un passo in avanti. Gli operai si avvarranno di ciò per far conoscere a un maggior numero di compagni la loro situazione, le leggi sugli operai, la condotta del governo e dei suoi funzionari verso gli ope- rai, ecc. La subordinazione di tutti gli operai di fabbrica e di offi- cina russi agli stessi regolamenti cui sono subordinati gli operai più progrediti (dei governatorati di Pietroburgo, Mosca, Vladimir, e altri) aiuterà certamente il movimento operaio a estendersi più rapidamente a tutti gli operai russi. Non possiamo qui esaminare nei particolari quanto sia efficace il controllo esercitato dagli ispet- tori di fabbrica sull’esecuzione della legge. Per questo occorre- rebbe scrivere un opuscolo speciale (giacché il tema è molto vasto), e forse un'altra volta riusciremo a parlare agli operai degli ispet- tore di fabbrica. Qui rileviamo soltanto che gli ispettori di fab- 286 LENIN brica sono in Russia cosi pochi che assai di rado si fanno vedere nelle fabbriche. Essi sono pienamente subordinati al ministero delle finanze, il quale li trasforma in servi dei fabbricanti, li costringe a informare la polizia sugli scioperi e sulle agitazioni, li costringe a perseguire gli operai in caso di assenza anche quando il fabbricante non li persegue, insomma, li trasforma in una sorta di agenti di polizia, di sbirri di fabbrica. Il fabbricante dispone di mille modi per influire sugli ispettori di fabbrica e costringerli ad agire come egli vuole. Gli operai non hanno alcun mezzo per influenzare gli ispettori di fabbrica e non ne potranno avere fin quando non godranno del diritto di riunirsi liberamente, di or- ganizzarsi in sindacati, di discutere sulla stampa i propri problemi, di pubblicare giornali operai. Ma poiché sono privi di questi di- ritti, nessun controllo dei funzionari sui fabbricanti potrà essere nè sarà mai serio ed efficace. Non basta il solo controllo perchè la legge venga applicata. Per questo è necessario stabilire sanzioni severe per chi trasgredisce la legge. Altrimenti, a nulla varrà che Tispettore di fabbrica faccia osservare al fabbricante che egli compie delle illegalità. Il fabbricante non ne terrà conto e conti- nuerà a fare come prima. Per questo, quando si promulga una nuova legge, si stabiliscono sempre le sanzioni cui va incontro chi non la rispetti. Ma la nuova legge del 2 giugno 1897 sulla ridu- zione del tempo di lavoro e sul riposo festivo non prevede alcuna sanzione nel caso in cui la legge non venga rispettata . Gli operai pos- sono vedere quanto diverso sia l’atteggiamento del governo nei con- fronti dei fabbricanti e nei confronti degli operai. Quando si pro- mulga una legge nella quale si prevede, per esempio, che gli operai non hanno il diritto di allontanarsi dalla fabbrica prima dell’ora fissata, si indicano immediatamente le pene corrispettive, e persino pene drastiche come l’arresto. Per lo sciopero, ad esempio, la legge commina agli operai l’arresto o anche la detenzione, mentre il fabbri- cante è passibile soltanto di multa, qualora non osservi i regolamenti e provochi uno sciopero. Lo stesso accade ora. La legge esige che il fabbricante conceda il riposo domenicale e festivo agli operai e non li faccia lavorare più di 11 ore e mezza al giorno, ma non prevede alcuna sanzione in caso di trasgressione. Che cosa dovrà temere il fabbricante che trasgredisca questa legge? Alla peg- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 287 gio, dovrà comparire davanti a un giudice di pace, il quale non potrà imporgli una multa superiore a 50 rubli, oppure lo stesso consiglio per gli affari delle fabbriche gli imporrà una pe- nalità sotto forma di multa. Ma può una multa di 50 rubli far paura a un fabbricante? Egli avrà ottenuto un profitto ben su- periore a 50 rubli costringendo tutti gli operai a lavorare la notte 0 in un giorno festivo! Per il fabbricante sarà molto più vantag- gioso violare la legge e pagare la multa. Il fatto che la legge non parli di sanzioni particolari da infliggere al fabbricante nel caso in cui trasgredisca la legge è una vergognosa ingiustizia, la quale attesta in modo lampante che il nostro governo vuole dila- zionare al massimo l’applicazione della legge, che il governo non intende esigere rigorosamente dai fabbricanti il rispetto della legge. Anche in altri paesi è accaduto, in passato, che il governo abbia promulgato leggi sulle fabbriche senza specificare le sanzioni nel caso in cui non vengano rispettate. Tali leggi, in realtà, non sono mai state applicate e sono rimaste lettera morta. Pertanto in questi paesi si è ormai abbandonata l’assurda consuetudine di promulgare leggi senza assicurarne l’applicazione. Oggi il governo russo ricorre al vecchio tranello, sperando che gli operai non se ne rendano conto. Ma si tratta di una speranza infondata. Non appena gli operai conosceranno la nuova legge, cominceranno essi stessi a control- larne rigorosamente l’esecuzione, senza tollerare la minima de- roga, rifiutandosi di lavorare sino a quando non saranno attuate le disposizioni di legge. Questo controllo degli stessi onerai sarà molto più efficace del controllo dei gendarmi di fabbrica. Senza un simile controllo la legge non sarà applicata. IX La nuova legge migliorerà la situazione degli operai? A prima vista può persino sembrare strano che si ponga una simile domanda. La legge riduce Torario di lavoro e stabilisce lob- bligo del riposo domenicale e festivo: come può dunque non mi- gliorare la situazione degli operai? Ma abbiamo già diffusamente dimostrato quanto imprecise e vaghe siano le norme di questa 19-573 288 LENIN legge, quanto spesso la nuova legge, introducendo una norma che migliora la situazione degli operai, infirmi poi la norma stessa la- sciando piena libertà airarbitrio del padrone o limitando il nu- mero dei giorni festivi obbligatori a un totale di molto infe- riore a quello dei giorni considerati festivi per consuetudine. Cerchiamo di calcolare se l’orario di lavoro è stato ridotto per effetto dell’applicazione della nuova legge nel caso in cui il nu- mero dei giorni di riposo non sia superiore a quello da essa sta- bilito, cioè nel caso in cui si concedano agli operai soltanto i giorni festivi obbligatori previsti dalla legge e si riesca a costringere gli operai a lavorare negli altri giorni considerati festivi per con- suetudine. Naturalmente, rimane da vedere se il fabbricante riu- scirà a costringere gli operai a lavorare. Ciò dipenderà dalla re- sistenza degli operai. Ma, senza dubbio, i fabbricanti cercheranno di rifarsi della riduzione della giornata lavorativa diminuendo il numero dei giorni festivi. Altrettanto indubbio è che la legge fa- vorisce in ogni modo questa nobile aspirazione dei capitalisti a sfruttare gli operai. Vediamo dunque che cosa accadrebbe nel caso da noi previsto. Per fare un paragone tra l’orario stabilito dal vecchio regolamento e quello fissato dal regolamento attuale (os- sia dalla legge del 2 giugno 1897), dobbiamo considerare il numero delle ore lavorative annue : solo facendo un simile calcolo, potremo tener conto di tutti i giorni festivi e della riduzione dell’orario di lavoro alla vigilia delle feste. Quante ore all’anno lavora co- munemente l’operaio di fabbrica russo, oggi, cioè prima dell'en- trata in vigore della legge del 2 giugno 1897? Va da sè che non possediamo dati assolutamente precisi, perchè è impossibile calcolare le ore lavorative di ciascun operaio. Bisogna pertanto ser- virsi dei dati raccolti in alcune fabbriche: supporremo che nelle altre fabbriche il numero delle ore lavorative sia approssimati- vamente uguale. Consideriamo i dati raccolti nel governatorato di Mosca. Il numero delle giornate lavorative è stato calcolato con precisione in 45 grandi fabbriche. È risultato che in tutte queste 45 fabbriche, nel loro complesso, le giornate lavorative sono in un anno 12.010, ossia in media, per ogni fabbrica, 267 *. Il numero • Se le giornate lavorative in un anno sono 267, vuol dire che le giornate non lavorative, i giorni festivi, sono 98. Abbiamo già detto che il numero dei LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 289 delle ore lavorative per settimana ammonta in media (secondo i dati relativi ad alcune centinaia di fabbriche) a 74, ossia a 12 ore e un terzo al giorno. In un anno quindi si hanno 267X12 V3 = 3*293 o, in cifra tonda, 3.300 ore lavorative. Per la città di Odessa abbiamo esaminato i dati relativi a 54 grandi fabbriche, delle quali conosciamo il numero delle giornate e delle ore la- vorative effettuate in un anno. Si è costatato che in tutte queste fabbriche la media delle ore lavorative annue è pari a 3.139 ore, è cioè considerevolmente inferiore alla media registrata nel go- vernatorato di Mosca. A Odessa la giornata lavorativa è più breve : nella maggior parte dei casi è di io ore e mezza, la giornata media per tutte le 54 fabbriche è di 10,7 ore. Pertanto il numero delle ore lavorative annue risulta minore, nonostante il minor nu- mero di giorni festivi. Vediamo adesso quante dovrebbero essere le ore lavorative secondo la nuova legge. Determiniamo anzitutto il numero delle giornate lavorative annue. A tal fine, occorre de- falcare da 365 giorni in primo luogo i 66 giorni festivi, in secondo luogo un giorno semifestivo, in terzo luogo il tempo libero concesso aH’operaio alla vigilia dei giorni festivi, quando lavora un’ora e mezza di meno. Le vigilie dei giorni festivi saranno 60 (e non 66, perchè sei giorni festivi sono seguiti da altri giorni festivi). Quindi, la riduzione della giornata lavorativa alla vigilia delle feste darà 60 X 1 Vi = 9° ore lavorative o 8 giornate lavorative. Da 365 si devon togliere 74 giorni festivi e mezzo (66 + Vi + 8 = 74 y 2 ). Abbiamo così 290 giornate lavorative e mezza oppure 290 Y z X n Vi = 3*34° ore lavorative. Appare quindi chiaro che, se i giorni festivi saranno ridotti al numero reso obbligatorio dalla legge, la posizione degli operai non solo non sarà migliorata, ma sarà invece persino peggiorata per effetto dell* applicazione della nuova legge : in generale, il loro tempo di lavoro annuo o rimarrà immutato o sarà aumentato ! Naturalmente questo calcolo è appros- simativo; non è possibile effettuarlo con la massima esattezza. Ma giorni festivi è pari a 89; ma nel nostro caso, in primo luogo, abbiamo preso in esame le sole fabbriche in cui il lavoro è meccanizzato e, in secondo iuogo, abbiamo tenuto conto del numero dei giorni considerati festivi nella maggioranza delle fabbriche, e non del numero medio dei giorni considerati festivi in tutte le fab- briche. 19 * 290 LENIN tuttavia è fondato su dati pienamente validi e ci dimostra chiara- mente quale astuto strattagemma abbia messo in atto il governo per sfruttare gli operai, riducendo il numero dei giorni festivi ob- bligatori rispetto a quello dei giorni considerati festivi per consue- tudine. Questo calcolo dimostra chiaramente che se gli operai non stringeranno le loro file e non opporranno una compatta resistenza ai fabbricanti, la loro situazione potrà essere peggiorata dall’appli- cazione della nuova legge! Notate inoltre che tutto questo calcolo riguarda soltanto il lavoro diurno , il lavoro ordinario. E il lavoro straordinario? La legge non prevede limitazioni di nessun genere, e ignoriamo se i signori ministri ne introdurranno qualcuna nei regolamenti che essi « hanno facoltà » di emanare. Ed è proprio questa omissione che soprattutto ci induce a mettere in dubbio che la nuova legge possa migliorare la situazione degli operai. Se, con la riduzione della giornata lavorativa normale (ordinaria), per la maggior parte degli operai russi il salario rimarrà vergognosa- mente basso come oggi, V operaio dovrà necessariamente accettare il lavoro straordinario , e la sua situazione non sarà migliorata . È necessario che l’operaio lavori al massimo otto ore al giorno per avere così il tempo di riposarsi, di istruirsi, di avvalersi dei propri diritti di uomo, di membro della famiglia e di cittadino. L’operaio non deve ricevere un salario di fame ma un salario che gli con- senta di vivere umanamente, di usufruire anch’egli dei perfezio- namenti introdotti nel lavoro e di non dare tutto il profitto ai suoi sfruttatori. Se invece per lo stesso salario sarà costretto a lavorare un numero di ore uguale a quello di prima, che gli im- porta se il suo eccessivo lavoro si chiamerà ordinario o straordi- nario? La legge sulla riduzione della giornata lavorativa rimarrà in tal caso lettera morta y sarà un semplice pezzo di carta . La nuova legge non lederà minimamente i fabbricanti, non li costringerà a fare concessioni al popolo lavoratore. I funzionari del ministero delle finanze, che cercano di entrare nelle grazie dei capitalisti, alludono già chiaramente a questo fatto: nel già citato arti- colo del Viestml^ Ftnansov essi dicono ai signori fabbricanti, per rassicurarli : « La nuova legge, stabilendo che il contratto di lavoro debba contemplare unicamente il lavoro ordinario, non nega al fabbricante la facoltà di far funzionare l’azienda in ogni ora del LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 2 9 I giorno e della notte e anzi, in caso di necessità» (sì, sì! I nostri poveri e oppressi fabbricanti sentono così spesso la « necessità » del lavoro gratuito degli operai russi!)... «anche nei giorni festivi, purché si stipulino a tale scopo accordi speciali (per il lavoro straordinario) con gli operai ». Guardate come si danno da fare questi servi del sacco di scudi! Signori fabbricanti, dicono, rassicuratevi: potete «far funzionare l’azienda in ogni ora del giorno e della notte », basterà soltanto che il lavoro considerato sinora ordinario venga chiamato straordinario . Basta che chiamiate il lavoro con un altro nome e siete in regola! La cosa più sorprendente in questa dichiarazione è l’impudenza dei funzionari, i quali già sanno in precedenza che non vi sarà alcuna limitazione del lavoro straordinario (perchè se il lavoro straordinario venisse limitato, il fabbricante non potrebbe far fun- zionare l’azienda in ogni ora del giorno e della notte!). Essi già sanno che gli operai non verranno mai a conoscenza del cinico e franco consiglio di non far cerimonie, da loro dato ai fabbricanti. In questo senso anche i funzionari del ministero delle finanze si sono, invero, distinti! Per gli operai sarà molto istruttivo conoscere quali discorsi i funzionari tengono ai fabbricanti e quali consigli danno loro. E una volta che l’avranno saputo, comprenderanno che, al riparo della nuova legge, agiscono contro di loro i vecchi ne- mici, con le loro vecchie mire di asservire l’operaio sulla « base della legge » stessa. X Qual è il significato della nuova legge? Abbiamo così esaminato la nuova legge in tutti i suoi partico- lari. Ci resta ora da vedere quale significato questa legge assuma per gli operai e per il movimento operaio della Russia. Il significato della nuova legge sulle fabbriche sta nel fatto che essa, da una parte, è una concessione forzata del governo, nel fatto che essa è stata strappata al governo poliziesco dagli operai coscienti e uniti. La promulgazione della legge attesta il successo del movimento operaio in Russia, dimostra quale forza immane 292 LENIN racchiude in sè la rivendicazione consapevole e tenace delle masse operaie. Nè le persecuzioni, nè gli arresti o le deportazioni in massa, nè i grandi processi politici, nè le vessazioni sono valsi a nulla. Il governo ha messo in opera tutti i suoi mezzi e tutte le sue forze. Si è abbattuto sugli operai di Pietroburgo con tutto il peso del suo illimitato potere. Ha perseguitato gli operai senza alcun processo, si è accanito contro di loro con inaudita crudeltà, sforzandosi di spegnere a qualunque costo lo spirito di protesta e di lotta che li animava, cercando di soffocare il nascente movi- mento socialista degli operai, che lotta contro i fabbricanti e con- tro il governo. A nulla è valso; il governo ha dovuto riconoscere che nessuna persecuzione contro i singoli operai potrà mai sradi- care il movimento operaio e che è necessario fare concessioni. Il governo assoluto, che si considera onnipotente e indipendente dal popolo, ha dovuto cedere di fronte alle rivendicazioni di al- cune decine di migliaia di operai di Pietroburgo. Abbiamo visto quanto insignificanti ed equivoche siano queste concessioni. Ma si tratta del primo passo. Il movimento operaio è ormai uscito da Pietroburgo; si sviluppa sempre più ampiamente penetrando sem- pre più in profondità tra le masse degli operai industriali di tutto il paese , e quando queste masse, guidate dal solo partito dei socialisti, porranno tutte insieme le loro rivendicazioni, allora il governo non se la caverà con una concessione così insignificante! D’altra parte, il significato della nuova legge sta nel fatto che essa necessariamente e ineluttabilmente imprime un nuovo impulso al movimento operaio russo. Abbiamo visto che la legge cerca di lasciare sempre delle scappatoie ai fabbricanti, di lasciar nel vago le questioni più importanti. La lotta tra i fabbricanti e gli operai per l’applicazione della nuova legge si scatenerà dappertutto; essa si svolgerà in una zona molto più ampia, perchè la legge è valida per tutta la Russia. E gli operai sapranno condurre questa lotta in modo consapevole e deciso, sapranno sostenere le proprie rivendicazioni, sapranno sfuggire agli agguati loro tesi dalle no- stre leggi poliziesche contro gli scioperi. L’introduzione dei nuovi regolamenti di fabbrica, la riduzione della giornata lavorativa nor- male, fissata nella stragrande maggioranza delle fabbriche in tutta la Russia, saranno di grande utilità: esse scuoteranno gli strati più LA NUOVA LECCE SULLE FABBRICHE 2 93 arretrati degli operai, susciteranno dappertutto Tinteresse più vivo per i problemi della vita di fabbrica e le norme che la regolano, offriranno agli operai un occasione ottima, propizia, legale per esporre le loro rivendicazioni , difendere la loro interpretazione della legge , sostenere le vecchie consuetudini , quando queste sono più vantaggiose (debbono, per esempio, esigere che rimangano in vi- gore i giorni festivi già ammessi per consuetudine , la cessazione del lavoro due ore e non unora e mezza prima dellorario normale il sabato), ottenere condizioni più vantaggiose nei nuovi accordi sul lavoro straordinario, ottenere un salario più alto , perchè la ridu- zione della giornata lavorativa torni effettivamente a vantaggio degli operai e non rechi loro alcun danno. APPENDICE I L’opuscolo che tratta della nuova legge sulle fabbriche (legge del 2 giugno 1897) era già stato scritto quando, ai primi di otto- bre, è stato pubblicato il regolamento sull'applicazione della legge, approvato il 20 settembre 1897 dal ministero delle finanze, d’ac- cordo col ministero degli affari interni. Abbiamo già detto prima quale immensa importanza questo regolamento debba avere per tutta la legge. Questa volta il ministero si è affrettato a emanare le disposizioni prima decentrata in vigore della nuova legge, perchè in esse (come presto vedremo) sono indicati i casi nei quali si consente ai fabbricanti di « far funzionare l’azienda » oltre Torà- rio stabilito dalla legge. Se il regolamento ministeriale non fosse stato assolutamente indispensabile per i fabbricanti, gli operai, na- turalmente, avrebbero dovuto aspettarne a lungo l’emanazione. Subito dopo il « regolamento », sono state pubblicate le « istruzioni ai funzionari dell’ispettorato di fabbrica », relative all’applicazione della legge del 2 giugno 1897, col pretesto di illustrare soltanto agli ispettori di fabbrica il modo di applicare la legge. Queste istru- zioni legittimano il più assoluto arbitrio dei funzionari e sono in- teramente rivolte contro gli operai y giacche consentono ai fabbri- canti di eludere in ogni modo la legge. Il governo imperiale ama molto scrivere belle parole nelle leggi, per consentire poi che queste leggi vengano eluse, sostituendole con istruzioni Attraverso una analisi attenta del regolamento vedremo che proprio questo è lo sco- 296 LENIN po delle nuove istruzioni. Rileviamo inoltre che queste « istruzioni » sono state copiate , in gran parte letteralmente , dall’articolo del ViestniJ{ Fìnansov che abbiamo citato più volte nell’opuscolo sulla nuova legge. Abbiamo già ricordato, per esempio, come il Viestnil [ Fìnansov suggeriva ai fabbricanti un cavillo: precisamente, questo giornale spiegava che la nuova legge non era valida nei casi in cui il contratto non parlava espressamente deU’orario di lavoro, perchè in questo caso, diceva l’articolo, l’operaio « non è un operaio salariato, ma una persona che riceve un’ordinazione ». Questa ca- villosa interpretazione è ripetuta testualmente nelle «istruzioni». Il regolamento consta di 22 articoli, molti dei quali si limitano a ripetere integralmente gli articoli della legge del 2 giugno 1897. Notiamo che il regolamento riguarda soltanto i fabbricanti « le cui fabbriche dipendono dal ministero delle finanze » e non l’in- dustria mineraria, le officine ferroviarie, le fabbriche dello Stato. Bisogna distinguere rigorosamente il regolamento dalla legge stessa: il regolamento è stato emanato soltanto a integrazione della legge e i ministri che lo hanno emanato possono completarlo, mo- dificarlo, emanarne un altro. Esso tratta le seguenti cinque que- stioni: 1) gli intervalli; 2) il riposo domenicale e festivo; 3) le de- roghe alla nuova legge; 4) i turni e 5) il lavoro straordinario. Esa- mineremo nei particolari il regolamento e ogni questione trattata nel regolamento, e spiegheremo quindi come il ministero delle fi- nanze raccomandi nelle sue istruzioni di applicare il regolamento. II Per ciò che riguarda gli intervalli, sono state stabilite le se- guenti norme : in primo luogo, gli intervalli non rientrano nel nu- mero delle ore lavorative e l’operaio è libero durante l’intervallo ; gli intervalli debbono essere espressamente indicati nelle norme del regolamento interno. In secondo luogo, l’intervallo deve essere obbligatoriamente fissato solo quando l’orario di lavoro è supe- riore alle dieci ore giornaliere, e deve essere di almeno un’ora. Questa norma non migliora affatto la situazione degli operai. Al contrario. L’intervallo di un’ora è molto breve; nella maggioranza delle fabbriche si è stabilito un intervallo di un’ora e mezza per il LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 297 pranzo e talvolta un intervallo di mezzora per la colazione. I ministri si sono sforzati di scegliere il minimo! In un’ora l’operaio non riuscirà neppure a tornare a casa per il pranzo. Naturalmente, gli operai non permetteranno che venga stabi- lito un intervallo così breve e ne esigeranno uno più lungo. La seconda riserva in merito all’obbligatorietà deirintervallo minaccia di accentuare lo sfruttamento degli operai: l’intervallo è obbliga - torio , secondo il regolamento dei ministri, solo quando la giornata lavorativa supera le dieci ore! Dunque, quando la giornata lavora- tiva è di dieci ore, il fabbricante ha il diritto di non concedere Tintervallo agli operai! Di nuovo spetta agli stessi operai fare in modo che i fabbricanti non possano e non osino avvalersi di un simile diritto. Gli operai possono non accettare una simile norma (qualora venga introdotta nel regolamento interno) e richiedere intervalli più frequenti. Ai ministri persino simili vessazioni sono sembrate troppo poca cosa. In una « nota » si dice che « nei casi in cui esistano considerevoli difficoltà è ammessa una deroga a questa norma », ossia si ammette che i signori fabbricanti non concedano affatto intervalli agli operai! I ministri lo ammettono, ma è poco probabile che lo ammettano gli operai. Inoltre i ministri ammet- tono una deroga quando si riconosca che la disposizione relativa agli intervalli è onerosa per gli operai. Oh, sollecitudine dei signori ministri! Essi hanno pensato che per l’operaio sia «oneroso» in- terrompere il lavoro, ma non hanno neppure sospettato che per l’operaio è « oneroso » pranzare in un’ora o che è ancor più « one- roso » lavorare dieci ore ininterrottamente! La terza norma con- cernente l’intervallo esige che venga data all’operaio la possibilità di consumare un pasto almeno ogni sei ore. Ma il regolamento non prevede intervalli ogni sei ore; qual è dunque il significato di que- sta norma? Come può l’operaio consumare il pasto senza interrom- pere il lavoro? I signori ministri non ci hanno pensato troppo su. Se non c’è intervallo (dice il regolamento) all’operaio « deve essere data la possibilità di consumare un pasto durante il lavoro; inoltre il regolamento interno deve designare il luogo ove si consuma il pasto ». Tutta questa norma è tanto sciocca da far cascar le braccia! Delle due l'una: o il «luogo ove si consuma il pasto» non sarà fissato là dove Voperaìo lavora e allora l 'intervallo è inevitabile. 298 LENIN Oppure questo luogo si troverà là dove l’operaio lavora ; e allora a che varrà designarlo? Se Toperaio non ha diritto di interrom- pere il lavoro, come potrà, senza interrompere il lavoro, con- sumare il pasto? I signori ministri considerano Toperaio come una macchina: la macchina può essere unta anche mentre è in moto; perchè dunque (pensano i nostri « solleciti > servi del capitale, i ministri) Toperaio non può ingozzare il cibo durante il lavoro? Agli operai rimane una sola speranza : una regola tanto sciocca, che poteva essere escogitata soltanto negli uffici dei burocrati russi, in realtà non sarà mai applicata. Gli operai chiederanno che come « luogo per consumare il pasto » non venga designato il luogo dove essi lavorano : gli operai esigeranno un intervallo ogni sei ore. Queste sono le norme relative agli intervalli. I ministri hanno integrato la legge in modo tale che essa potrà soltanto peggiorare la situazione degli operai, se gli stessi operai non si difenderanno e non pretenderanno che vengano applicate le norme loro e non quelle ministeriali. Ili In tema di riposo domenicale e festivo è stata elaborata sol- tanto una breve norma, la quale dice precisamente che di domenica e nei giorni festivi gli operai non debbono lavorare per almeno 24 ore consecutive. Questo è il minimo che si poteva stabilire « a integrazione » della legge sul riposo domenicale e festivo. Meno non si poteva dire. Nè i ministri hanno pensato di stabilire qual- cosa di più per gli operai (per esempio, 36 ore, come avviene in alcuni paesi). Il regolamento non dice nulla a proposito degli operai non cristiani. IV Norme molto particolareggiate sono state elaborate per ciò che concerne le deroghe alla legge. Rammentiamo agli operai che la legge lasciava facoltà ai ministri di introdurre nel regolamen- to dèroghe alla legge, estendendo le richieste della legge (ossia esi- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 299 gendo dai fabbricanti di più in favore degli operai) e restringendo le richieste della legge (esigendo cioè dai fabbricanti dì meno in favore degli operai). Vediamo come si sono comportati i ministri. Prima norma. Deroghe alla legge sono ammesse quando «gli operai svolgono un lavoro continuo , ossia un lavoro che non può essere interrotto arbitrariamente, senza che siano danneggiati gli strumenti, le materie prime o i prodotti». In questi casi i signori fabbricanti possono « far funzionare l’azienda » anche oltre l’orario stabilito dalla legge. Il regolamento esige soltanto in questo caso che, in primo luogo, il numero delle ore lavorative in due giorni consecutivi non superi per l’operaio 24 ore (e qualora non si lavori per un turno completo, 30 ore). Vedremo nel paragrafo sui turni perchè si parli di 24 ore su 48 e non di 12 su 24. In secondo luogo, la norma esige che l’operaio, qualora effettui un lavoro continuo, venga esonerato dal lavoro per quattro giorni al mese, quando la giornata lavorativa supera le otto ore. Dun- que per gli operai delle industrie che lavorano senza interruzione il numero dei giorni di riposo è notevolmente ridotto : quattro gior- ni al mese, 48 all’anno, mentre persino la legge (pur avendo ridotto il numero dei giorni festivi) aveva lasciato 66 giorni festivi ob- bligatori all’anno. Quale motivo plausibile avevano i ministri per ridurre il numero dei giorni festivi? Assolutamente nessuno; la continuità viene ugualmente infranta coi quattro giorni festivi al mese, ossia i fabbricanti debbono ugualmente assumere altri operai nei giorni festivi (se la produzione è effettivamente con- tinua, cioè se non può essere interrotta). Ma allora i signori ministri, hanno ridotto il numero dei giorni festivi soltanto per « angariare » di meno i fabbricanti, per ridurre i casi di assunzione di altri operai! Non basta; le «istruzioni» autorizzano gli ispettori di fab- brica ad approvare i regolamenti interni nei quali venga stabilito un riposo anche più breve per gli operai\ L’ispettore è tenuto soltanto a informare di ciò il dipartimento del commercio e del- l’industria. Questo esempio mostra nel modo più lampante perchè il nostro governo ami tanto le leggi, i regolamenti e le istruzioni particolareggiate che non dicono nulla : per modificare una norma che non va a genio basta fare una domanda al dipartimento... dei 3 00 LENIN redditi innocenti!!! Analogamente l’ispettore di fabbrica può (secondo le istruzioni!) autorizzare l’inclusione, nell’elenco dei lavori continui, di quei lavori che non sono espressamente indicati nell’elenco annesso alle istruzioni. Basta soltanto informare il di- partimento... La nota a questa norma dice che il lavoro continuo deve essere espressamente indicato nel regolamento interno. « De- roghe a questa legge sono ammesse solo quando ciò sia effettiva- mente indispensabile» (così dice il regolamento dei ministri). Ma chi potrà controllare se si tratta di effettiva necessità? Nessuno, tranne gli operai: essi non debbono tollerare che nel regolamento interno si avanzino riserve in merito al lavoro continuo senza una effettiva necessità. Seconda norma. Deroghe alla legge sono ammesse quando gli operai sono occupati in lavori ausiliari presso i diversi reparti (riparazioni ordinarie, sorveglianza delle caldaie a vapore, dei motori e delle cinghie di trasmissione, riscaldamento, illuminazione, rifornimento idrico, servizio di vigilanza e antin- cendio, ecc.). Anche queste deroghe debbono essere espressamente specificate nelle norme del regolamento interno. Il regolamento non dice nulla per ciò che riguarda i giorni di riposo da concedere a questi operai. Gli stessi operai debbono dunque controllare che venga loro concesso il riposo, non debbono cioè accettare un rego- lamento interno che non specifichi i giorni di riposo per questi lavori. Terza norma. Deroghe alle norme sulla giornata lavorativa e sul riposo domenicale e festivo e alle norme del regolamento interno sono ammesse in altri due casi: primo, in caso di improv- viso guasto delle macchine, degli strumenti, ecc., che determini l’interruzione del lavoro di tutta la fabbrica o di un suo reparto. In questo caso si ammette che le riparazioni necessarie vengano ef- fettuate senza tener conto delle norme previste dal regolamento. Secondo, si ammette che alle stesse condizioni vengano eseguiti « lavori provvisori in qualsiasi reparto dell’azienda quando, a causa dì incendio, avaria, ecc., e di altre circostanze imprevedibili, il lavoro di questo o quel reparto dell’azienda venga interrotto per un certo periodo o del tutto sospeso e quando ciò sia necessario per il completo funzionamento degli altri reparti ». (In questo caso il fabbricante deve informare, lo stesso giorno, rispettare di fab- LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 3 01 brica, che autorizzerà tali lavori). Quest’ultima norma prova la grande « sollecitudine » dei ministri perchè i fabbricanti non spen- dano nemmeno un rublo più del necessario. In un reparto della fabbrica si è prodotto un incendio. Il lavoro è interrotto. Fatte le riparazioni, il fabbricante vuole recuperare il tempo perduto. Quindi il ministro lo autorizza a spremere dagli operai quanto lavoro supplementare vuole, costringendoli a lavorare anche per diciotto ore al giorno. Ma che c’entrano qui gli operai? Quando il fabbricante realizza un profitto superiore, lo divide forse con gli operai? Riduce forse la giornata lavorativa? Perchè dunque gli ope- rai debbono prolungare la giornata lavorativa quando il fabbri- cante subisce una perdita? Ciò significa: il profitto lo prendo io, le perdite le riverso sugli operai. Se è necessario recuperare il tempo perduto, perchè non assumere altri operai? È sorprendente come i ministri russi siano « pieni di sollecitudine » per le tasche dei signori fabbricanti! Quarta norma. Deroghe alla nuova legge possono aversi anche « in altri casi particolarmente importanti, eccezionali ». (Ma quali casi ancora? Sono stati enumerati casi così importanti ed eccezionali che, a quanto pare, non ne rimangono altri!). Queste de- roghe vengono approvate di volta in volta, per ogni singolo caso, dal ministro delle finanze e dal ministro degli affari interni. Dun- que, il fabbricante chiede, i ministri approvano, e tutto è in regola. Gli operai non sono neppure interrogati: come è possibile che i « signori» chiedano il parere del basso popolo? Il vile popolo deve lavorare per i capitalisti e non giudicare se è stato un caso « ecce- zionale » o la normale sete di guadagno che ha spinto il fabbri- cante a elemosinare il permesso di derogare alla nuova legge. Queste sono le disposizioni dei ministri per ciò che concerne le deroghe alla nuova legge. Come vediamo, tutte queste disposizioni pre- cisano come e quando si possa non applicare la legge, come si possa ridurre ciò che la legge impone ai fabbricanti a vantaggio degli operai. Quanto ad estendere ciò che la legge impone ai fabbricanti a vantaggio degli operai, i ministri non dicono neppure una parola. Rammentino gli operai ciò che neH’opuscolo sulla nuova legge sulle fabbriche si è detto a proposito degli ampi diritti concessi dalla legge ai ministri! 3 02 LENIN V Sui turni vi è soltanto una breve norma che consente di au- mentare , quando si lavori per diciotto ore in due turni, il numero delle ore lavorative giornaliere a dodici, purché in media, in due settimane, il tempo di lavoro per ogni operaio non superi le nove ore giornaliere. Anche questa norma quindi autorizza a prolungare la giornata lavorativa. Quante norme sul prolungamento della giornata lavorativa e neppure una sulla sua riduzione! In base a questa norma, è possibile costringere gli operai a lavorare per tutta la settimana per 12 ore su 24, e le « istruzioni » aggiungono ancora una volta che gli ispettori di fabbrica possono autorizzare anche altre deroghe alla legge, purché ne informino il direttore * Ai turni si riferisce anche la norma sopra citata che stabilisce, nel caso di un lavoro continuo, un tempo di lavoro di 24 ore su 48 . Le istru- zioni spiegano perchè si dica 24 ore su 48 e non 12 su 24. L’espres- sione è usata per lasciare immutato il vergognoso sistema instau- rato in alcune fabbriche di far lavorare ininterrottamente a turni alterni con otto ore di intervallo fra Vuno e V altro : in tal caso l’operaio lavora un giorno sedici ore, il giorno dopo otto ore, senza avere nè riposo nè sonno regolari. È difficile immaginare qualcosa di più vergognoso di questi turni, eppure i ministri non solo non hanno mosso un dito per migliorare questa situazione, ma hanno avuto persino l’impudenza di affermare nelle « istruzioni » che, sotto molti aspetti, questi turni sono più comodi per gli operai!! Ecco come i ministri si preoccupano della comodità degli operai\ VI A prima vista le norme sui lavoro straordinario contenute nel regolamento sembrano più precise. La limitazione del lavoro stra- ordinario è la questione principale non solo nel regolamento mini- steriale, ma anche in tutta la nuova legge. Abbiamo già parlato dell assoluta imprecisione della legge su questa questione, dell’ini- ziale intenzione del ministero delle finanze di non elaborare alcuna disposizione aggiuntiva circa il lavoro straordinario. Adesso sembra • Il direttore del commercio e delle manifatture ( N.d.R .). LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 3«3 che i ministri limitino il lavoro straordinario precisamente a 120 ore annue, come è stato proposto dalla commissione che ha elabo- rato la nuova legge. Ma in compenso il ministro delle finanze ha ripetuto nelle « istruzioni », a edificazione degli ispettori di fab- brica, tutti i sotterfugi e i cavilli contro gli operai che dal Viestni\ Finansov abbiamo riportato nell’opuscolo sulla nuova legge: le « istruzioni » sono, lo ripetiamo, copiate parola per parola dal Viestni\ Finansov . La prima norma si riferisce alla disposizione della nuova legge secondo cui il fabbricante può includere nel contratto con gli operai una clausola sul lavoro straordinario indispensabile per le condizioni tecniche della produzione. Abbiamo già parlato della imprecisione di questa norma. Eppure quest’articolo della legge ha grande importanza: se la clausola relativa al lavoro straordinario viene inclusa nel regolamento interno, il lavoro straordinario di- venta obbligatorio per l’operaio e tutta la legge rimane quindi inapplicata. Nel regolamento ministeriale l’espressione viene spie- gata nel seguente modo: «necessari per le condizioni tecniche della produzione » possono essere considerati soltanto i lavori resi indispensabili da « deviazioni dal normale corso della produzione assolutamente casuali, e inoltre dipendenti dal carattere della pro- duzione stessa ». Quindi le deviazioni dovute all’aumento delle ordinazioni, per esempio, non sono comprese (esse infatti non di- pendono dal carattere della produzione). Non sono comprese nep- pure quelle provocate da incendi, avarie, ecc., perchè nemmeno esse dipendono dal carattere della produzione. Secondo il buon senso la norma andrebbe interpretata in questo modo. Ma qui in aiuto ai fabbricanti vengono le « istruzioni ». Le « istruzioni » mol- tiplicano brillantemente i casi nei quali il lavoro straordinario può diventare obbligatorio per gli operai, purché previsto nel contratto di lavoro, ossia nelle norme del regolamento interno, in cui in questi casi è possibile far rientrare letteralmente tutto quel che si vuole. Ricordino infatti gli operai come l’articolo del Viestni \ Fi - nansov ha integrato la legge e confrontino l’articolo con le « istru- zioni ». Dapprima le « istruzioni » parlano dei lavori « necessari per le condizioni tecniche della produzione », in seguito sostitui- scono inavvertitamente un’altra espressione : « lavori assoluta- 20 - 573 3°4 LENIN mente necessari» (Bene! Ma chi giudicherà della necessità?); più oltre le istruzioni citano alcioni esempi di c assoluta necessità » : risulta che in questa categoria sono compresi i casi in cui per il fabbricante « è impossibile o difficile (la solita canzone!) aumentare il numero degli operai»; in cui il lavoro deve esser fatto molto rapidamente e d’urgenza (per esempio, nel caso dei lavori stagio- nali); in cui occorre che un giornale esca quotidianamente dalla tipografia; in cui il lavoro non può essere previsto in tempo, ecc. In una parola, si può chiedere quel che si vuole. Gli impudenti servi dei capitalisti che siedono al ministero delle finanze, hanno integrato la legge in maniera tale che il fabbricante ha diritto di includere nel regolamento interno l’obbligo di eseguire qualsiasi lavoro straordinario . E una volta fatto questo , tutta la nuova legge se ne va al diavolo e tutto rimane come prima. Gli operai non debbono ammettere l’inclusione di nessuna clausola del genere nel regolamento interno, altrimenti la loro situazione non solo non sarà migliorata, ma persino peggiorata. Gli operai possono vedere da questo esempio come i fabbricanti e i funzionari si intendano bene sul modo di asservire gli operai sulla base della legge. Le « istruzioni » attestano chiaramente questa intesa, mo- strano il servilismo dèi ministero delle finanze verso gli interessi dei capitalisti. La seconda norma concernente il lavoro straordinario stabi- lisce che questo lavoro non deve superare, per ogni operaio, le 120 ore all’anno; ma in queste ore non è compreso il lavoro straordi- nario previsto dal contratto come obbligatorio per l’operaio « per le condizioni tecniche della produzione », e abbiamo visto or ora che i ministri hanno autorizzato a far rientrare sotto questa deno- minazione qualsiasi caso, anche se nulla ha in comune con le « con- dizioni tecniche della produzione ». Non è compreso nelle 120 ore neppure il lavoro straordinario prestato in caso di incendio, di avaria, ecc., o in seguito all’interruzione del lavoro in un reparto, al fine di recuperare il tempo perduto.- Nel loro complesso, tutte queste norme sul lavoro straordinario rammentano la celebre favola in cui si narra come un leone divise « in parti uguali » il bottino tra i suoi compagni di caccia : prendo la prima parte per diritto, la seconda perchè sono il re della foresta, LA NUOVA LEGGE SULLE FABBRICHE 305 la terza perchè sono il più forte; quanto alla quarta parte poi- chi allungherà la zampa non se ne andrà vivo di qui. In modo assolutamente identico ragioneranno adesso i fabbricanti a pro- posito del lavoro straordinario. In primo luogo, estorceranno « per diritto * agli operai il lavoro straordinario « necessario per le con- dizioni tecniche della produzione*, cioè qualsiasi lavoro purché specificato nelle norme del regolamento interno. In secondo luogo, estorceranno agli operai il lavoro in « casi particolari », ossia quando vorranno far ricadere sulle spalle degli operai le proprie perdite. In terzo luogo, sottrarranno agli operai altre 120 ore airanno, perchè sono ricchi, mentre gli operai sono poveri. In quarto luogo, in « casi eccezionali » otterranno dai ministri particolari facilita- zioni. Gli operai potranno quindi godere « liberamente » di quel che, dopo questo, rimane delle 24 ore giornaliere, senza mai di- menticare che il governo « non li priva affatto del diritto » di lavo- rare anche 24 ore al giorno... Affinchè questa estorsione di lavoro straordinario sia effettuata in conformità con la legge , si stabilisce che i fabbricanti tengano registri speciali per tutte queste categorie di lavoro straordinario. In un registro indicheranno ciò che essi estorcono agli operai «per diritto»; in un altro ciò che estorcono in «casi particolari; nel terzo ciò che estorcono in base a un « accordo particolare » (non più di 120 ore airanno); nel quarto ciò che estorcono in « casi eccezionali ». Anziché un migliora- mento della situazione degli operai, si avranno lungaggini e pra- tiche burocratiche (come è sempre accaduto per tutte le riforme del governo assoluto russo). Gli sbirri di fabbrica si recheranno nelle fabbriche e « vigileranno »... sui registri (sui quali il diavolo in persona si spezzerebbe le corna), e nei momenti liberi da così utili occupazioni informeranno il direttore del commercio e delle manifatture sulle nuove elemosine da elargire ai fabbricanti e il dipartimento di polizia sugli scioperi degli operai. Che gente astuta questi bottegai che vanno a braccetto dei banditi che compongono il nostro governo! Inoltre, per un prezzo ragionevole pagheranno un loro rappresentante all’estero perchè gridi ai quat- tro venti, di fronte air« Europa*: vedete che leggi piene di solleci- tudine per gli operai ci sono da noi! 20* 3°6 LENIN VII In conclusione, diamo uno sguardo d’assieme al regolamento ministeriale. Ricordiamo anzitutto quali norme la nuova legge ha demandato ai signori ministri. Norme di tre categorie: i) norme che spiegano la legge; 2) norme che estendono o restringono le imposizioni della nuova legge nei confronti dei fabbricanti; 3) nor- me sui lavori particolarmente nocivi per gli operai. Come i ministri si sono avvalsi del diritto loro riconosciuto dalla legge? Quanto alla prima categoria, si sono limitati allo stretto ne- cessario, a quel minimo di cui non si poteva fare a meno. Hanno ammesso il lavoro straordinario in misura molto ampia e molto elastica, 120 ore all’anno, introducendo mediante disposizioni una tale serie di eccezioni da privare il regolamento di ogni significato. Sono riusciti a ridurre gli intervalli per gli operai, hanno lasciato immutati i turni con tutte le loro vergognose conseguenze, e forse li hanno peggiorati. Riguardo alla seconda categoria di norme i ministri hanno fatto dì tutto per ridurre le imposizioni della nuova legge nei confronti dei fabbricanti, ossia hanno fatto tutto per i fabbricanti e assolu- tamente nulla per gli operai : non vi è nulla nelle norme che im- ponga qualcosa di nuovo ai fabbricanti a favore degli operai. Quanto alla terza categoria di norme (cioè in favore degli operai costretti a eseguire i lavori più nocivi alla salute), i ministri non hanno fatto assolutamente nulla, non ne hanno neppure parlato. Solo nelle istruzioni si ricorda che gli ispettori di fab- brica possono presentare al dipartimento rapporti sui lavori par- ticolarmente nocivi alla salute! Anche prima gli ispettori di fab- brica potevano « presentare rapporti » su ciò che volevano. Ma, chissà mai perchè, i gendarmi di fabbrica si limitavano a « pre- sentare rapporti » sugli scioperi operai, sui metodi di repressione, e non sul modo di tutelare gli operai occupati in lavori particolar- mente nocivi. Da tutto ciò gli operai stessi possono vedere che cosa deb- bono aspettarsi dai funzionari del governo poliziesco. Se vorranno ottenere la giornata lavorativa di otto ore e il divieto assoluto del lavoro straordinario, gli operai russi dovranno ancora condurre una lotta molto tenace. A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI GIORNALE Nel numero 239 delle Russate Viedomosti 78 del 30 agosto è pubblicato un articoletto del signor N. Levitski Alcuni problemi della vita popolare. « Vivendo in campagna a continuo contatto col popolo », Fautore « si è imbattuto da tempo » in alcuni problemi relativi alla vita del popolo, la cui soluzione per mezzo di « prov- vedimenti » adeguati costituisce una « necessità inderogabile », una « esigenza imperiosa ». L’autore si dichiara sicuro che le sue « brevi note » su un problema tanto importante « troveranno un’eco tra coloro che si interessano dei bisogni del popolo » e manifesta il desiderio di provocare uno scambio di idee circa le questioni da lui sollevate. Lo « stile ricercato » con cui è scritto I’articoletto del signor N. Levitski e l’abbondanza di parole elevate inducono a pensare che si tratti di problemi della vita attuale realmente importanti, improrogabili, vitali. In effetti, le proposte dell’autore forniscono un nuovo esempio, estremamente concreto, della progettomania, davvero degna di Manilov *, alla quale i pubblicisti populisti hanno abituato il pubblico russo. Ecco perchè abbiamo ritenuto non del tutto inutile far sentire la nostra voce sui problemi solle- vati dal signor N. Levitski. L’autore enumera cinque « problemi » (in paragrafi distinti), dando non solo la « soluzione » per ciascuna « questione », ma addi- tando con la massima precisione anche la « misura » adeguata da # Personaggio delle Anime morte di Gogol, citato comunemente per indicare il tipo del sognatore inconcludente ( N.d.R .). 3°8 LENIN prendere. Il primo problema è quello di un credito « conveniente e accessibile », deireliminazione dell’arbitrio degli usurai, « dei kulak e di ogni sorta di parassiti e predoni ». Il provvedimento pro- posto è « la creazione di un tipo più semplice di casse contadine nelle campagne»; secondo il progetto deirautore, i libretti di ri- sparmio delle casse della Banca di Stato non devono essere rila- sciati a singole persone, ma ad associazioni appositamente orga- nizzate, le quali eseguano i versamenti e ricevano i prestiti attra- verso un tesoriere. Ecco la conclusione a cui il lungo « contatto col popolo » ha condotto Fautore nel tanto dibattuto problema dei crediti: la «creazione» di un nuovo tipo di casse! Evidentemente Fautore suppone che da noi non si consumi abbastanza carta e inchiostro per elaborare infiniti « tipi », « modelli », « statuti », « statuti mo- dello », « statuti normali », ecc. ecc. « Vivendo in campagna », il nostro pratico non ha notato nessun problema più importante sorto dallaspirazione a sostituire il « kulak » mediante un « credito conveniente e accessibile». Certo, non parleremo qui del significato del credito: accettiamo come tale lo scopo dell’autore ed esami- niamo sotto l’aspetto puramente pratico i rimedi di cui egli parla con tanta pompa. Il credito è un’istituzione che sorge sulla base di una circolazione mercantile sviluppata. Ci si chiede se una simile istituzione sia possibile tra i nostri contadini, i quali, grazie a numerosi residui di leggi e divieti feudali, sono posti in con- dizioni che escludono una circolazione mercantile normale, libera, ampia e sviluppata. Non è forse ridicolo, allorché si parla dei bisogni vitali e più urgenti del popolo, ridurre il problema del credito all’elaborazione di un nuovo tipo di « statuti » e sottacere del tutto la necessità di abrogare tutta una serie di « statuti » che ostacolano la normale circolazione delle merci tra i contadini, che ostacolano la libera circolazione dei beni mobili e immobili, il libero trasferimento dei contadini da un luogo a un altro e da un occupazione a un’altra, il libero accesso alle associazioni con- tadine di individui che appartengono ad altre classi e ad altri ceti? Lottare contro «i kulak, gli usurai, i parassiti e i predoni», perfezionando gli «statuti» delle casse di credito! Che cosa può esservi di piu comico? L’usura, nelle sue forme peggiori, si man- A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI GIORNALE 3°9 tiene nelle nostre campagne soprattutto a causa deirisolamento feudale in cui esse si trovano, a causa dei mille impedimenti che ostacolano lo sviluppo della circolazione mercantile; eppure, il nostro pratico autore non degna neppure di una parola questi impedimenti e propone, come questione essenziale del credito rurale, la elaborazione di nuovi « statuti ». Con ogni probabilità, i paesi capitalistici progrediti, nei quali la campagna si trova già da molto tempo in condizioni adeguate alla circolazione mercan- tile e nei quali il credito ha assunto largo sviluppo, con ogni pro- babilità tali paesi sono pervenuti a questo successo grazie ai numerosi «statuti» redatti da benevoli funzionari! Secondo problema : la « situazione precaria in cui viene a tro- varsi la famiglia contadina in caso di morte del suo capo » e inoltre la « imperiosa necessità » di « conservare e non lasciar disperdere, con tutti i mezzi e i metodi possibili, la popolazione contadina, la popolazione lavoratrice agricola ». Come vedete, quanto più an- diamo avanti, tanto più i « problemi » del signor N. Levitski di- ventano ampi e grandiosi! Mentre il primo problema riguardava la più banale istituzione borghese, di cui avremmo potuto rico- noscere l’utilità solo con molte riserve, ora ci troviamo davanti un problema di tale e tanta importanza che, « in linea di principio », ne riconosciamo pienamente Fattualità, e non possiamo negare la nostra simpatia alFautore che solleva un simile problema. Ma al- Timmane problema corrisponde, nel populista, un « provvedimen- to » di immane... come esprimerci in modo più delicato?... man- canza di intelligenza. Ascoltate : « ... si pone l’improrogabile necessità di organizzare e introdurre la assicurazione mutua sulla vita , obbli- gatoria [sìc!]> di massa, il meno costosa possibile, per tutta la po- polazione agricola * (per mezzo di società, associazioni, artel , ecc.). È quindi necessario chiarire la funzione e la partecipazione a questa impresa: a) delle società private di assicurazione, b) degli zemstvo , c) dello Stato». Come sono imprevidenti i nostri contadini! Non pensano che, se muore il capo, la famiglia dovrà andare raminga per il mondo; che, se non vi sarà raccolto, essa dovrà morire di fame; che talvolta, * Il corsivo è dell’autore. LENIN 3 IQ anche se vi è raccolto, dovrà tuttavia andare in giro per il mondo, per ritornare dopo aver cercato invano di « guadagnarsi il pane»! Non comprendono, questi stolti contadini, che al mondo esiste r« assicurazione sulla vita », della quale già da tempo si servono molti signori per bene e da cui altri signori per bene (i possessori di azioni delle società di assicurazione) ricavano denaro. Non comprende il « Tizio » affamato che per lui basta costituire una società di mutua assicurazione sulla vita (con un contributo minimo, assolutamente minimo!) con un «Caio» altrettanto affa- mato, perchè le loro famiglie siano al sicuro in caso di morte del loro capo! Per fortuna a questi contadini imprevidenti pensano i nostri colti intellettuali populisti, un rappresentante dei quali, « vivendo in campagna a continuo contatto col popolo », « si è imbattutto da tempo » in queste « progetto » grandioso, grandioso alla follia! Terzo problema. « In rapporto a questo problema, è necessario porre e studiare il problema di costituire un fondo nazionale per rassicurazione sulla vita della popolazione agricola* y così come esistono fondi nazionali per gli approvvigionamenti e contro gli incendi ». S’intende che per creare un’assicurazione, bisogna esa- minare il problema dei fondi. Ma ci sembra che l’egregio autore abbia lasciato qui una lacuna essenziale. E forse, non è « necessario porre e studiare » anche il problema del ministero e della direzione generale da cui deve dipendere l’istituzione progettata? Da una parte essa deve dipendere senza dubbio dal ministero degli interni attraverso la direzione generale dell’economia. Da un’altra parte ad essa è anche interessata direttamente la sezione degli zemstvo del ministero degli interni. Da un’altra parte ancora, le assicura- zioni debbono essere amministrate dal ministero delle finanze. Non sarebbe pertanto più razionale progettare Istituzione di una apposita « direzione generale per l’assicurazione mutua sulla vita, statale, obbligatoria per tutta la popolazione agricola », simile, per esempio alla direzione generale per il patrimonio equino dello Stato ? Quarto problema. «Data l’enorme diffusione di artel di ogni Il corsivo è dell’autore. A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI GIORNALE 3IT tipo in Russia e data la loro indiscussa utilità e importanza per l’economia nazionale, è maturata la necessità imperiosa di 4) orga- nizzare una speciale Società per la cooperazione con le artel agri- cole e di altro tipo ». È incontestabile che le cooperative di qualsiasi tipo sono vantaggiose per le classi della popolazione che le or- ganizzano. È inoltre incontestabile che l’unione di rappresentanti di diverse classi porterà grande vantaggio all’economia nazionale. Ma l’autore si lascia trascinare troppo, quando parla dell’« enorme diffusione di artel di ogni tipo in Russia >. Ognuno sa che in Russia, rispetto a ogni altro paese dell’Europa occidentale, le « artel di ogni tipo » sono incredibilmente pocke y fenomenalmente poche ... « Ognuno lo sa »... ad eccezione del sognatore Manilov. Lo sa, per esempio, anche la redazione delle Russie Viedomosti che, prima dell’articolo del signor N. Levitski, ha pubblicato un articolo molto interessante e ricco di contenuto, I sindacati in Francia. Il signor Levitski avrebbe potuto apprendere da questo articolo quale ampiezza abbia assunto nella Francia capitalistica (in confronto alla Russia non capitalistica) lo sviluppo delle « artel di ogni tipo ». Sottolineo « di ogni tipo », perchè dallo stesso articolo si può com- prendere facilmente che in Francia, per esempio, esistono quattro tipi di sindacati: 1) sindacati operai (2.163 sindacati con 419.172 iscritti); 2) sindacati padronali (1.622 con 130.752 iscritti); 3) sindacati agricoli (1.188 con 398.048 iscritti e 4) sindacati misti (173 con 31.126 iscritti). Tirate le somme, signor Levitski! Avrete quasi un milione di persone (979.000) organizzate in « artel di ogni tipo»; e dite, ora, mettendovi la mano sulla coscienza, se non vi vergognate della frase che vi è sfuggita sull’« enorme diffusione di artel di ogni tipo [sic!!!] in Russia ». È possibile che non vi accor- giate dell’impressione comica, tragicomica suscitata dal vostro arti- colo, pubblicato accanto alle nude cifre sui « sindacati in Francia »? Questi poveri francesi che, evidentemente, la piaga del capitalismo ha privato dell’« enorme diffusione di artel di ogni tipo », proba- bilmente scoppierebbero in omeriche risate alla proposta di orga- nizzare una «società speciale, particolare»... per cooperare all’or- ganizzazione di ogni sorta di società! Ma queste risate, s’intende, sarebbero soltanto una manifestazione della ben nota superficialità francese, incapace di comprendere la profondità russa. Questi fran- 312 LENIN cesi superficiali non solo organizzano artel di ogni tipo, senza costi- tuire in precedenza una « società per la cooperazione con le artel », ma — borritile dictu\ — non elaborano preventivamente nem- meno statuti « modello », statuti « normali » e non creano società « di tipo semplice »! Quinto problema... (è maturata la necessità improrogabile) « di creare in seno a questa società (o separatamente) un organo spe- ciale ... che si dedichi esclusivamente allo studio dell’organizzazione cooperativa in Russia e all’estero »... Bene, bene, signor Levitski! Quando uno ha lo stomaco rovinato e non può mangiare a sazietà, non gli rimane altro che leggere come mangiano gli altri. Ma è probabile che a un uomo così malato i medici non permetterebbero di leggere come banchettano gli altri: una simile lettura potrebbe ridestare in lui un appetito smisurato, non conforme alla sua dieta... I medici sarebbero in questo caso del tutto coerenti. Abbiamo esposto la breve nota del signor N. Levitski in modo abbastanza particolareggiato. Il lettore si domanderà forse se valeva la pena di soffermarsi così a lungo su una breve nota di giornale, se valeva la pena di dedicarle un commento tanto lungo. Che im- portanza ha il fatto che un individuo (sia pure con le migliori in- tenzioni) si lascia sfuggire una sciocchezza sull’assicurazione mu- tua sulla vita, obbligatoria per tutta la popolazione contadina? Ci è accaduto di sentire le stesse opinioni su problemi analoghi. E opinioni più che infondate. Non è certo casuale infatti che i nostri « pubblicisti progressivi » non provino un senso di nausea davanti a un « progetto », ispirato al « socialismo feudale », così fenomenal- mente strambo da far cadere le braccia. Non è nemmeno casuale che periodici e giornali come la Russ{oie Bogatstvo e le Russie Vtedomosti, tutt 'altro che ultrapopulisti, che protestano sempre contro gli estremismi del populismo e contro conclusioni populiste come quelle del signor V. V., periodici che sono pronti a ricoprire i brandelli del loro populismo con la nuova, elegante etichetta di una qualche scuola « etico-sociologica », sottopongano periodica- mente, con grandissima regolarità, al pubblico russo ora l’« utopia suiristruzione » del signor S. Iugiakov 79 , un progetto cioè sul- l’istruzione media obbligatoria in ginnasi agricoli, nei quali i contadini poveri pagherebbero la loro istruzione col lavoro, ora un A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI GIORNALE 3*3 progetto come questo del signor N. Levitski a proposito deH’assi- curazione mutua sulla vita, obbligatoria per tutta la popolazione agricola *. Sarebbe troppo ingenuo spiegare questo fenomeno col caso. In ogni populista ce un Manilov. Il disprezzo per le condizioni oggettive della realtà e per la reale evoluzione economica, la rilut- tanza a esaminare gli interessi reali delle diverse classi della società russa nelle loro reciproche relazioni, l’abitudine a giudicare e a classificare dall’alto le « esigenze > e i « destini > della patria, l’or- goglio per le misere vestigia di associazioni medioevali che sus- sistono nelle obstcine e nelle artel russe, e in pari tempo il di- sprezzo per le associazioni incomparabilmente più evolute, proprie di un capitalismo più sviluppato: tutte queste caratteristiche si trovano in misura maggiore o minore in ogni populista. Per questo è così istruttivo osservare come uno scrittore non molto intelli- gente, ma molto ingenuo, con zelo degno di miglior causa spinga queste caratteristiche sino al loro completo sviluppo logico e le concreti nello splendito quadro di un qualche « progetto ». Questi progetti sono sempre chiari, talmente chiari che basta mostrarli al lettore per dimostrare il danno che Inattuale populismo piccolo- borghese arreca al nostro pensiero sociale e al nostro sviluppo so- ciale. Questi progetti contengono sempre una forte dose di comi- cità; assai spesso, dopo una lettura superficiale, non si ha al- cun’altra impressione se non il desiderio di ridere. Ma provate a analizzarli e allora direte: «Tutto ciò sarebbe ridicolo, se non fosse tanto triste! ». Scritto in deportazione nel settembre 1897. Pubblicato in Novoie Slovo , n. 1, 1897. Firmato: K. Tr. * Se si paragonano questi due progettomani della pubblicistica populista non si può non dare la preferenza al signor Levitski, il cui progetto è un po’ più intelligente di quello del signor S. Iugiakov. TTP0J1ETAPIH BCUXt CTPAHl, COEflHHJlfiTECBJ POCClflCKAA COIHAAbflEIIfOKPATH'IECKAA PABOIAfl IIAPTIH. H. JIEHHHT». SAIA^H pyCCKHXT. Bearne 2 - e. Cl> HPEAHCJIOBIHMH ABTOPA H n.BAKCE/lbPOAA- litanie 3arpa«. Mn PyccH. Pcbojiiouìohho& CouiaAbAOMONpaTlH. 2KEHEBA *IiiDorpA4>w «Asm, Route Caroline, 27. 1902 r. Copertina della seconda edizione dell opuscolo / compiti dei socialdemocratici russi, 1902. I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI Scritto in deportazione verso la fine del 1897. Pubblicato per la prima volta in opuscolo a Ginevra nel 1898. La seconda metà deirultimo decennio del secolo XIX è carat- terizzata da un eccezionale interesse per Timpostazione e la solu- zione dei problemi rivoluzionari russi. L’apparizione di un nuovo partito rivoluzionario, il Diritto del popolo , la crescente influenza e i successi dei socialdemocratici, Tevoluzione interna della Vo- lontà del popolo , hanno provocato vivaci discussioni sulle que- stioni programmatiche, sia nei circoli socialisti, intellettuali e operai, sia nelle pubblicazioni illegali. Basti ricordare, in quest’ulti- mo campo, la Questione urgente e il Manifesto (1894) del partito del Diritto del popolo 81 , il Lietuci listo ì{ « Gruppy narodovoltsev » 82 , fl Rabotni pubblicato all’estero dall'Unione dei socialdemocratici russi 83 , l’intensificata attività nella pubblicazione di opuscoli rivo- luzionari, soprattutto per gli operai, in Russia, il lavoro di agita- zione svolto dalla socialdemocratica Unione di lotta per V emanci- pazione della classe operaia a Pietroburgo in rapporto con i grandi scioperi pietroburghesi del 1896, ecc. Attualmente (fine del 1897) il problema più palpitante è, secondo il nostro modo di vedere, quello dell’attività pratica dei socialdemocratici. Sottolineiamo l’attività pratica della socialdemo- crazia, perchè i problemi teorici hanno già superato, a quanto pare, il periodo più acuto dell’ostinata incomprensione degli avversari, dei loro sforzi continui per schiacciare la nuova tendenza nel momento stesso in cui essa appare, da una parte, e dell’ardente difesa dei principi della socialdemocrazia, daH’altra. Oggi, le concezioni teoriche dei socialdemocratici appaiono sufficientemente chiare nelle loro linee principali e fondamentali . Non si può dire altrettanto delle questioni pratiche della socialdemocrazia, del suo 21-573 LENIN 3* 8 programma politico, dei suoi metodi d’azione, della sua tattica. Secondo noi, soprattutto in questo campo dominano i malintesi e la reciproca incomprensione, il che impedisce il completo avvicina- mento alla socialdemocrazia di quei rivoluzionari i quali in teoria si sono completamente staccati dalla Volontà del popolo , ma in pratica o sono spinti dalla forza stessa delle cose a svolgere un lavoro di propaganda e di agitazione tra gli operai e persino a impostare la propria attività tra gli operai sul piano della lotta di classe , oppure tendono a porre i compiti democratici a base di tutto il programma e di tutta Tazione rivoluzionaria. Salvo errore, quest’ultima tendenza è propria dei due gruppi rivoluzio- nari che agiscono attualmente in Russia accanto ai socialdemocra- tici, e precisamente la Volontà del popolo e il Diritto del popolo. Ci sembra quindi particolarmente tempestivo tentare di spie- gare i compiti pratici dei socialdemocratici e di esporre le ragioni per le quali consideriamo il loro programma come il più razionale fra i tre programmi esistenti e le ragioni per cui riteniamo le obie- zioni mosse a questo programma fondate in larga misura su un malinteso. Nella loro attività pratica i socialdemocratici si propongono, com’è noto, di dirigere la lotta di classe del proletariato e di orga- nizzarla nelle sue due manifestazioni: quella socialista (lotta contro la classe dei capitalisti per la distruzione del regime di classe c l’organizzazione della società 84 socialista) e quella democratica (lotta contro l'assolutismo per conquistare alla Russia la libertà poli- tica e per rendere democratico il suo regime sociale e politico). Ab- biamo detto: coni è noto . Infatti, fin dal momento in cui si sono presentati come una particolare tendenza sociale e rivoluzionaria, i socialdemocratici russi hanno sempre indicato con la massima precisione questo obiettivo della loro attività, hanno sempre sotto- lineato il duplice aspetto e contenuto della lotta di classe del pro- letariato, hanno sempre insistito sul legame indissolubile che esiste tra i loro compiti socialisti e quelli democratici, legame espresso chiaramente nel nome che hanno adottato. Tuttavia, ancor °£g* potete trovare spesso certi socialisti che hanno le idee più false sui socialdemocratici, che li accusano di ignorare la lotta politica, ecc. Soffermiamoci dunque brevemente sulle caratteri- I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 3*9 stiche dei due aspetti dell’attività pratica della socialdemocrazia russa. Cominciamo con l’attività socialista. Da quando l’organizza- zione socialdemocratica Unione di lotta per V emancipazione della classe operaia di Pietroburgo ha cominciato a svolgere la propria attività fra gli operai di questa città, il carattere dell’azione social- democratica, sotto questo aspetto, avrebbe dovuto essere, secondo noi, del tutto chiaro. L’attività socialista dei socialdemocratici russi consiste nella propaganda delle dottrine del socialismo scientifico, nella diffusione tra gli operai di una giusta concezione del regime economico e sociale contemporaneo, delle sue basi e della sua evo- luzione, delle diverse classi della società russa, dei loro rapporti reciproci, della lotta che si svolge fra queste classi, della funzione della classe operaia in questa lotta, del suo atteggiamento verso le classi che declinano e quelle che sono in ascesa, verso il passato e l’avvenire del capitalismo, della funzione storica della socialde- mocrazia internazionale e della classe operaia russa. Inseparabile dalla propaganda è Yagitazione tra gli operai, che naturalmente si pone in primo piano, date le attuali condizioni politiche della Russia e il livello di sviluppo delle masse operaie. L’agitazione fra gli operai consiste nella partecipazione dei socialdemocratici a tutte le manifestazioni spontanee della lotta della classe operaia, a tutti i conflitti tra gli operai e i capitalisti per la durata della giornata lavorativa, il salario, le condizioni di lavoro, ecc. ecc. Noi abbiamo il compito di fondere la nostra azione con le questioni pratiche, quotidiane della vita operaia, di aiutare gli operai a comprendere queste questioni, di richiamare la loro attenzione sugli abusi più gravi, di aiutarli a formulare in modo più preciso e più pratico le loro rivendicazioni contro i padroni, di sviluppare in essi la co- scienza della solidarietà, la coscienza dei loro comuni interessi e della causa comune di tutti gli operai russi, come classe operaia unica che è parte integrante dell’esercito mondiale del proletariato. L’organizzazione di circoli tra gli operai, la creazione di rapporti regolari e clandestini tra questi circoli e il gruppo centrale dei so- cialdemocratici, la pubblicazione e la diffusione della stampa operaia, l’organizzazione della corrispondenza con tutti i centri del movimento operaio, la pubblicazione e la diffusione di manife- 21* 320 LENIN stini e di appelli, la preparazione di un gruppo di esperti agita- tori: queste sono a grandi linee le manifestazioni deH’attività socialista della socialdemocrazia russa. Il nostro lavoro è orientato anzitutto e soprattutto verso gli operai di fabbrica e di officina, verso gli operai della città. La social- democrazia russa non deve disperdere le proprie forze, ma con- centrarle negazione da svolgere tra il proletariato industriale, che è il più pronto ad accogliere le idee socialdemocratiche, il più evoluto intellettualmente e politicamente, il più importante per numero e concentrazione nei grandi centri politici del paese. La creazione di una solida organizzazione rivoluzionaria tra gli operai di fabbrica e di officina, tra gli operai della città, è pertanto il primo e più urgente compito della socialdemocrazia, compito che sarebbe assolutamente irrazionale trascurare in questo momento. Ma, anche se riconosciamo la necessità di concentrare le nostre forze sugli operai di fabbrica e di officina, condannando il fra- zionamento delle forze, non vogliamo affatto dire che la socialde- mocrazia russa debba ignorare gli altri strati del proletariato e della classe operaia russa. Assolutamente no. L’operaio di fabbrica russo, per le sue stesse condizioni di vita, è costretto assai spesso a stabilire legami molto stretti con gli artigiani, con questo proleta- riato industriale disseminato fuori delle fabbriche, nelle città e nei villaggi, e posto in condizioni infinitamente peggiori. L’operaio di fabbrica russo è in contatto diretto con la popolazione rurale (non di rado la sua famiglia vive in campagna) e quindi non può non avvicinarsi al proletariato rurale, ai milioni di braccianti fissi e di giornalieri, nonché ai contadini rovinati che, pur essendo at- taccati a un miserabile boccone di terra, sono occupati in presta- zioni di lavoro e in ogni sorta di « lavori ausiliari » occasionali, ossia in lavori salariati. I socialdemocratici russi ritengono che sia oggi intempestivo orientare le loro forze verso gli artigiani e gli operai agricoli, ma essi non hanno alcuna intenzione di trascurare questi strati e cercheranno quindi di istruire gli operai d’avan- guardia anche sulla vita degli artigiani e degli operai agricoli, affin- chè, venendo a contatto con gli strati più arretrati del proletariato, vi diffondano le idee della lotta di classe, del socialismo, dei compiti politici della democrazia russa in generale e del proletariato russo I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 321 in particolare. Non sarà pratico inviare agitatori tra gli artigiani e gli operai agricoli, fino a quando rimarrà da svolgere una tale mole di lavoro tra gli operai di fabbrica e di officina, tra gli operai della città; ma in moltissimi casi Toperaio socialista, indipendente- mente dalla sua volontà, viene a contatto con quegli strati e deve sapersi avvalere di queste occasioni e comprendere i compiti gene- rali della socialdemocrazia in Russia. Sbagliano pertanto profonda- mente coloro che accusano la socialdemocrazia russa di ristrettezza, di tendenza a ignorare la massa della popolazione lavoratrice per occuparsi esclusivamente degli operai di fabbrica e di officina. Al contrario, l’agitazione tra gli strati avanzati del proletariato è l’unica e la più sicura via per ridestare (a misura che il movimento si allarga) tutto il proletariato russo. La diffusione del socialismo e dell’idea della lotta di classe fra gli operai della città diffonderà inevitabilmente queste idee attraverso i più piccoli e più ramifi- cati canali; perciò è necessario che esse si radichino più profonda- mente in un ambiente meglio preparato e saturino l’avanguardia del movimento operaio russo e della rivoluzione russa. Orientando tutte le sue forze verso l’azione tra gli operai di fabbrica e di offi- cina, la socialdemocrazia russa è pronta a sostenere quei rivolu- zionari russi che in pratica impostano il lavoro socialista sul piano della lotta di classe del proletariato, senza nascondere affatto che tutte le alleanze pratiche con le altre frazioni rivoluzionarie non possono nè debbono condurre a compromessi o concessioni sulla teoria, il programma, gli ideali. Convinti che, ai nostri giorni, una sola teoria rivoluzionaria, la dottrina del socialismo scientifico e della lotta di classe, può servire da bandiera al movimento rivo- luzionario, i socialdemocratici russi cercheranno di diffonderla con tutti i mezzi, di difenderla contro le false interpretazioni, di reagire contro ogni tentativo diretto a legare il movimento operaio russo, ancora giovane, a dottrine meno precise. Le considerazioni teo- riche dimostrano, e l’attività pratica dei socialdemocratici prova che tutti i socialisti in Russia debbono diventare socialdemocratici. Passiamo ai compiti democratici e all’attività democratica dei socialdemocratici. Ripetiamo ancora una volta che questa attività è indissolubilmente legata a quella socialista. Nella loro propaganda tra gli operai, i socialdemocratici non possono ignorare i problemi LENIN P± politici, e considererebbero come grave errore e abbandono dei prin- cipi fondamentali della socialdemocrazia mondiale ogni tentativo di ignorarli o di porli in secondo piano. Insieme alla propaganda del socialismo scientifico, i socialdemocratici russi si assumono il compito di diffondere tra le masse operaie le idee democratiche , di dare un giusto concetto deirassolutismo in tutte le sue manifesta- zioni, del suo contenuto di classe, della necessità di abbatterlo, deirimpossibilità di lottare vittoriosamente per la causa operaia senza conquistare la libertà politica e senza democratizzare il regime politico e sociale della Russia. Nello svolgere tra gli operai un lavoro di agitazione basato sulle rivendicazioni econo- miche immediate, i socialdemocratici legano strettamente a queste ultime l’agitazione basata sulle esigenze politiche immediate, sul- l’angosciosa situazione e sulle rivendicazioni della classe operaia, l’agitazione contro il giogo poliziesco che si manifesta in ogni sciopero, in ogni conflitto tra gli operai e i capitalisti, l’agitazione contro la restrizione dei diritti degli operai, come cittadini russi in generale e come la classe più oppressa e più priva di diritti in particolare, l’agitazione contro ogni alto esponente e servo dell’as- solutismo che si trovi a diretto contatto con gli operai e renda evidente alla classe operaia la sua schiavitù politica. Se nel campo economico non vi è problema della vita operaia che non possa essere utilizzato per l’agitazione economica, anche nel campo politico non vi è problema che non possa servire per l’agitazione po- litica. Queste due forme di agitazione sono inscindibilmente con- nesse tra loro nell’attività dei socialdemocratici, come le due facce di una stessa medaglia. Sia l’agitazione economica che l’agitazione politica sono parimenti indispensabili per sviluppare la coscienza di classe del proletariato; luna e l’altra sono parimenti indispen- sabili come guida della lotta di classe degli operai russi, giacche ogni lotta di classe è una lotta politica. L’una e l’altra forma di agitazione, ridestando la coscienza degli operai, organizzandoli, disciplinandoli e educandoli per un’azione solidale e per la lotta in favore degli ideali socialdemocratici, daranno loro la possibilità di sperimentare le proprie forze sui problemi e sui bisogni più immediati, permetteranno loro di ottenere concessioni parziali dal loro nemico, migliorando così la loro situazione economica, costrin- I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 323 gendo i capitalisti a tenere conto della forza degli operai organiz- zati, costringendo il governo a estendere i diritti degli operai, a prestar orecchio alle loro rivendicazioni, tenendo il governo in continuo timore davanti allo stato d animo ostile delle masse operaie, dirette da una solida organizzazione socialdemocratica. Abbiamo così indicato il legame indissolubile che esiste tra la propaganda e l’agitazione socialista e democratica , il perfetto paral- lelismo del lavoro rivoluzionario nell’uno e neiraltro campo. Ma tra queste due forme di attività e di lotta esiste anche una grande differenza. La differenza sta nel fatto che nella lotta economica il proletariato è assolutamente isolato, poiché ha contro di sè tanto la nobiltà terriera quanto la borghesia, e poiché si può avvalere sol- tanto (e non sempre) deirappoggio degli elementi della piccola borghesia che gravitano attorno al proletariato. Nella lotta poli- tica, democratica, invece, la classe operaia russa non è isolata; al suo fianco si schierano tutti gli elementi dell’opposizione politica, tutti gli strati della popolazione e le classi in quanto sono ostili all’assolutismo e lo combattono in questa o quella forma. A fianco del proletariato si schierano qui gli elementi di opposizione della borghesia o delle classi colte o della piccola borghesia 0 delle nazionalità, religioni e sètte perseguitate dall’assolutismo, ecc. ecc. Qui sorge spontanea una domanda: quali debbono essere i rap- porti tra la classe operaia e questi elementi? E inoltre: deve la classe operaia unirsi ad essi per lottare insieme contro l’assolu- tismo? Se tutti i socialdemocratici riconoscono che la rivoluzione politica deve precedere in Russia la rivoluzione socialista, non dobbiamo forse allearci a tutti gli elementi dell’opposizione poli- tica per lottare contro l’assolutismo e nel frattempo lasciare da parte il socialismo? Non è ciò necessario per rafforzare la lotta contro l’assolutismo? Esaminiamo i due problemi. I rapporti tra la classe operaia, in quanto combattente contro l’assolutismo, e tutte le altre classi e gruppi sociali che si trovano politicamente all’opposizione, sono determinati con la massima precisione dai principi fondamentali della socialdemocrazia esposti nel celebre Manifesto comunista . I socialdemocratici sostengono 3^4 LENIN le classi sociali progressive contro le classi reazionarie, la borghesia contro i rappresentanti della proprietà terriera privilegiata e di casta e contro la burocrazia, la grande borghesia contro le velleità reazionarie della piccola borghesia. Questo appoggio non presup- pone e non implica alcun compromesso con i programmi e i principi non socialdemocratici; è l’appoggio di un alleato contro un nemico determinato , e i socialdemocratici danno questo ap- poggio per accelerare la caduta del comune nemico, ma nulla attendono per sè dai loro alleati temporanei e nulla loro con- cedono. Nella loro lotta per l’uguaglianza dei diritti, i social- democratici sostengono ogni movimento rivoluzionario contro il regime sociale vigente, ogni nazionalità oppressa, ogni religione perseguitata, ogni ceto sociale umiliato, ecc. Nella propaganda, l 'appoggio a tutti gli elementi dell’opposi- zione politica si traduce nel fatto che i socialdemocratici, dimo- strando che l’assolutismo è ostile alla causa operaia, faranno vedere che in pari tempo esso è ostile a questo o quel gruppo sociale, e che la classe operaia è solidale con tali gruppi in queste o quelle questioni , per questi o quei compiti , ecc. Nell’agitazione, l’ap- poggio si traduce nel fatto che i socialdemocratici si avvarranno di ogni manifestazione del giogo poliziesco dell’assolutismo per mostrare agli operai come questo giogo prema in generale su tutti i cittadini russi, e in particolare sui rappresentanti dei ceti, delle nazionalità, delle religioni, delle sètte, ecc. più oppresse, e come questo giogo gravi specialmente sulla classe operaia . Infine, nella pratica, questo appoggio significherà che i socialdemocratici russi saranno disposti a concludere alleanze con i rivoluzionari di altre tendenze per raggiungere questi o quegli scopi parziali; di questa loro disposizione essi hanno già dato concretamente prova più d’una volta. Veniamo così alla seconda questione. Nel porre in rilievo la solidarietà con gli operai di diversi gruppi di opposizione, i social- democratici distingueranno sempre da questi gruppi gli operai, spiegheranno sempre il carattere temporaneo e relativo di questa solidarietà, sottolineeranno sempre che il proletariato è una classe a se, la quale potrà domani diventare avversaria dei suoi alleati di oggi. Si obietterà: «Questo indebolirà tutti coloro che lottano I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 325 per la libertà politica nel momento presente». No, questo raffor- zerà invece tutti coloro che combattono per la libertà politica, risponderemo noi. Forti sono soltanto quei combattenti che si ap- poggiano sugli interessi reali, effettivamente riconosciuti come tali , di classi determinate, e ogni tentativo di nascondere gli interessi di classe che svolgono già una funzione dominante nella società contemporanea, indebolirebbe soltanto i combattenti. Ciò in primo luogo. In secondo luogo, nella lotta contro l’assolutismo, la classe operaia deve assumere una posizione indipendente perchè soltanto essa è fino in fondo un nemico coerente e irriducibile dell’assolu- tismo, perchè soltanto per essa è impossibile ogni compromesso con l’assolutismo, perchè soltanto nella classe operaia la democrazia può trovare un partigiano senza riserve e senza indecisioni, che non guarda al passato. In tutte le altre classi, gruppi, strati della popolazione, l’ostilità verso l’assolutismo non è incondizionata , il loro democratismo è sempre rivolto al passato. La borghesia non può non riconoscere che l’assolutismo frena lo sviluppo industriale e sociale, ma essa teme di rendere pienamente democratico il regime politico e sociale e può sempre allearsi con l’assolutismo contro il proletariato. La piccola borghesia ha per sua natura due facce: da una parte gravita attorno al proletariato e alla demo- crazia, dall’altra gravita attorno alle classi reazionarie, cerca di fermare il corso della storia, è capace di prestarsi agli esperimenti e di cedere alle profferte dell’assolutismo (sotto la forma, magari, della « politica popolare » di Alessandro III), è capace di concludere un’alleanza con le classi dirigenti contro il proletariato pur di consolidare la propria situazione di classe piccolo-proprietaria. Gli uomini colti, gli « intellettuali » in generale, non possono non insorgere contro la selvaggia oppressione poliziesca dell’assolutismo che iugula il pensiero e la scienza, ma i loro interessi materiali li legano all’assolutismo, alla borghesia, li costringono a essere incoe- renti, a stipulare compromessi, a vendere il loro ardore di oppo- sitori e rivoluzionari per uno stipendio statale o per la partecipa- zione a profitti o a dividendi. Quanto agli elementi democratici delle nazionalità oppresse e delle religioni perseguitate, ognuno sa e vede che le contraddizioni di classe aU’interno di questi gruppi della popolazione sono assai più profopde e acute della solidarietà 326 LENIN fra tutte le classi in uno di questi gruppi nella lotta contro l’assolu- tismo e per le istituzioni democratiche. Solo il proletariato può essere — e per la sua situazione di classe non può non esserlo — coe- rentemente democratico sino in fondo, nemico deciso dell’assolu- tismo, incapace di qualsiasi concessione, di qualsiasi compromesso. Solo il proletariato può essere il combattente d'avanguardia per le libertà politiche e per le istituzioni democratiche, perchè, in primo luogo, loppressione politica grava soprattutto sul proletariato e non trova nessun correttivo nella situazione di questa classe, che non ha alcuna possibilità di accedere al potere supremo nè alla burocrazia, e che non ha influenza sull’opinione pubblica. In secondo luogo, soltanto il proletariato è capace di democratizzare sino in fondo il regime politico e sociale, poiché questa democratiz- zazione metterebbe tale regime nelle mani degli operai. Ecco perchè la fusione delazione democratica della classe operaia con il demo- cratismo delle altre classi e degli altri gruppi indebolirebbe il movimento democratico, indebolirebbe la lotta politica, la rende- rebbe meno decisa, meno coerente, più suscettibile di compro- messi. Viceversa, se si distinguerà la classe operaia come combat- tente d’avanguardia per le istituzioni democratiche, si rafforzerà il movimento democratico, si rafforzerà la lotta per la libertà politica, perchè la classe operaia spingerà avanti tutti gli altri ele- menti democratici e dell’opposizione politica, spingerà i liberali verso i radicali, indurrà i radicali alla rottura definitiva con tutto il regime politico e sociale della società attuale. Abbiamo già detto che tutti i socialisti della Russia devono diventare socialdemo- cratici. Aggiungiamo ora: tutti i veri e coerenti democratici della Russia debbono diventare socialdemocratici . Chiariremo il nostro pensiero con un esempio. Consideriamo i funzionari, la burocrazia, come uno strato particolare di uomini specializzati nell’amministrazione e che godono di una situazione privilegiata rispetto al popolo. Se dalla Russia assolutistica e semiasiatica passiamo all’Inghilterra evoluta, libera e civile, notiamo che dappertutto questo istituto è un organo indispensabile della società borghese. All’arretratezza della Russia e al suo assolutismo corrisponde la mancanza assoluta di diritti del popolo di fronte ai funzionari, la mancanza assoluta di controllo sulla burocrazia I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 327 privilegiata. In Inghilterra esiste un forte controllo popolare sul- ramministrazione, ma anche là questo controllo è tutt'altro che completo , anche là la burocrazia conserva non pochi privilegi ed è sovente il padrone e non il servitore del popolo. Anche in Inghil- terra troviamo gruppi sociali potenti, i quali sostengono la situazione privilegiata della burocrazia e ne impediscono la completa demo- cratizzazione. Perchè? Perchè la sua completa democratizzazione si accorda con gli interessi del solo proletariato: gli strati più pro- grediti della borghesia difendono alcune prerogative della buro- crazia, si dichiarano contrari alla eleggibilità di tutti i funzionari, alla completa soppressione del diritto censitario, alla diretta re- sponsabilità dei funzionari davanti al popolo, ecc., perchè questi strati sentono che una simile totale democratizzazione sarebbe utilizzata dal proletariato contro la borghesia. Lo stesso avviene in Russia. Contro Ignipotente, irresponsabile, venale, selvaggia, ignorante e parassitarla burocrazia russa si levano gli strati più numerosi e più diversi del popolo russo. Ma, tranne il proletariato, nessuno di questi strati ammetterebbe la completa democratiz- zazione della burocrazia, perchè tutti (borghesia, piccola borghesia, « intellettualità » in genere) sono legati alla burocrazia, perchè tutti sono imparentati con la burocrazia russa. Chi non sa con quale facilità nella santa Russia un intellettuale radicale, un intellettuale socialista si trasforma in un funzionario del governo imperiale, in un funzionario che si consola al pensiero di essere « utile > nei limiti della prassi burocratica, in un funzionario che giustifica con questa « utilità » la propria indifferenza politica, il proprio ser- vilismo verso il governo della frusta e del bastone? Solo il proleta- riato è incondizionatamente ostile airassolutismo e alla burocrazia russa, solo il proletariato non ha alcun legame con questi organi della società aristocratico-borghese, solo il proletariato è capace di un odio implacabile, è capace di condurre contro di essi una lotta decisiva. Quando dimostriamo che il proletariato, diretto nella sua lotta di classe dalla socialdemocrazia, è il combattente d’avanguardia della democrazia russa, ci troviamo di fronte allopinione molto diffusa e molto strana che la socialdemocrazia russa porrebbe in secondo piano i problemi politici e la lotta politica. Come vediamo, 328 LENIN quest’opinione è diametralmente opposta alla verità. Come si può spiegare allora una così sorprendente incomprensione dei principi della socialdemocrazia, che sono stati più volte esposti nelle prime pubblicazioni socialdemocratiche russe, negli opuscoli pubblicati all’estero e nei libri del gruppo Emancipazione del lavoroni Crediamo che la spiegazione di questo fatto sorprendente vada ri- cercata nelle tre circostanze seguenti: In primo luogo, nella generale incomprensione dei principi socialdemocratici da parte dei rappresentanti delle vecchie teorie rivoluzionarie, abituati a costruire programmi e piani di azione sulla base di idee astratte e non sulla base dell’analisi delle classi che agiscono realmente nel paese e che la storia ha posto in rapporti determinati. Proprio la mancanza di una discussione realistica degli interessi su cui poggia la democrazia russa ha potuto far nascere l’opinione che la socialdemocrazia russa lasci nell’ombra i compiti democratici dei rivoluzionari russi. In secondo luogo, non si è compreso che la fusione dei problemi economici e politici, dell’azione socialista e democratica in un tutto organico, in un’unica lotta di classe del proletariato , non indebo- lisce ma rafforza il movimento democratico e la lotta politica, accostandoli agli interessi reali delle masse popolari, traendo i problemi politici fuori dagli « angusti studi degli intellettuali » per portarli nella strada, tra gli operai e le classi lavoratrici, sosti- tuendo alle idee astratte sull’oppressione politica le manifestazioni reali di quest’oppressione, di cui il proletariato soffre maggior- mente e sul cui terreno svolge la propria agitazione la socialde- mocrazia. Sembra spesso al radicale russo che il socialdemocratico il quale, anziché chiamare direttamente e immediatamente gli operai d’avanguardia alla lotta politica, addita la necessità di svi- luppare il movimento operaio e di organizzare la lotta di classe del proletariato, si allontani così dal suo democratismo e respinga in secondo piano la lotta politica. Ma se vi è qui una ritirata , è il caso di dire come nel proverbio francese : « Il faut reculer pour mieux sauterl > (bisogna indietreggiare per saltare meglio). In terzo luogo, l’incomprensione proviene dal diverso significato che il concetto stesso di « lotta politica » ha tra i seguaci della Volontà del popolo e del Diritto del popolo da una parte, e tra i I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 329 socialdemocratici dall’altra. I socialdemocratici intendono la lotta politica in modo diverso, in modo molto più ampio che non i rap- presentanti delle vecchie teorie rivoluzionarie. Un’illustrazione lam- pante di questa affermazione, che può sembrare paradossale, ci è data dal Lietuci listo\ « Gruppy narodovoltsev », n. 4 del 9 di- cembre 1895. Mentre salutiamo con tutta Tanima questa pubbli- cazione, che prova la profonda e feconda attività intellettuale degli odierni seguaci della Volontà del popolo , non possiamo non segna- lare l’articolo di Lavrov Sulle questioni programmatiche (pp. 19-20), che mette in risalto la diversa concezione della lotta politica dei membri della Volontà del popolo della vecchia tendenza « ... Vi è ^ui — scrive Lavrov, facendo un confronto tra il programma della Volontà del popolo e quello dei socialdemocratici — un solo fatto essenziale: è forse possibile organizzare, sotto l’asso- lutismo, un forte partito operaio senza organizzare un partito rivoluzionario diretto contro l’assolutismo?» (p. 21, colonna 2). La stessa cosa è detta più sopra (colonna 1): «...organizzare un partito operaio russo sotto il dominio deirassolutismo, senza orga- nizzare in pari tempo un partito rivoluzionario contro questo asso- lutismo ». Queste differenze, che per Lavrov sono di capitale im- portanza, per noi sono assolutamente incomprensibili. Come dunque? «Un partito operaio senza un partito rivoluzionario diretto contro l’assolutismo»?? Ma lo stesso partito operaio non è forse un partito rivoluzionario? Non è forse diretto contro l’as- solutismo? La spiegazione di questa stranezza ci è fornita dal seguente brano dell’articolo di Lavrov: «Siamo costretti 4 creare l’organizzazione di un partito operaio russo nelle condizioni deter- minate dall’esistenza deirassolutismo con tutte le sue delizie. Se i socialdemocratici riuscissero a far ciò, senza organizzare nello stesso tempo una cospirazione # politica contro l’assolutismo, con * L’articolo di P.L. Lavrov, pubblicato nel n. 4, è solo un « estratto » di una lunga lettera di P.L. Lavrov destinata ai Documenti. Abbiamo saputo che nella scorsa estate (1897) sono apparse all’estero sia la lettera di P. L. Lavrov nel suo testo integrale sia la risposta di Plekhanov; ma non abbiamo potuto vedere nè l’una nè l’altra. Ignoriamo inoltre se sia uscito il n. 5 del Lietuci listo % « Gruppy narodovoltsev », nel quale la redazione aveva promesso di pubblicare un editoriale a proposito della lettera di P. L. Lavrov. Cfr. il n. 4, p. 22, colonna i a , nota. * Il corsivo è nostro. 33 ° LENIN tutte le condizioni che una simile cospirazione # implica, natural- mente il loro programma politico sarebbe il vero programma dei socialisti russi, poiché l’emancipazione degli operai per opera degli operai stessi sarebbe in via di realizzazione. Ma ciò è molto dubbio, se non impossibile» (p. 21, colonna 1). Ecco dunque di che cosa si tratta! Per un seguace della Volontà del popolo il con- cetto di lotta politica si identifica col concetto di cospirazione po- litica! Bisogna riconoscere che con queste parole P. L. Lavrov è riuscito a chiarire perfettamente la differenza fondamentale fra la tattica della Volontà del popolo e quella della socialdemocrazia nella lotta politica. La tradizione blanquista 86 della cospirazione è così tenacemente radicata nei seguaci della Volontà del popolo che essi non riescono a immaginare la lotta politica altrimenti che sotto forma di cospirazione politica. I socialdemocratici non peccano di siffatta ristrettezza di vedute; essi non credono alle cospirazioni, pensano che il periodo delle cospirazioni è ormai passato da molto tempo, ritengono che ridurre la lotta politica alla cospirazione si- gnifica, da una parte, restringerla eccessivamente e, dall’altra, sce- gliere i mezzi di lotta meno adatti. Tutti comprendono che le parole di Lavrov : « l’attività dell’Occidente è per i socialdemo- cratici russi un modello obbligatorio » (p. 21, colonna 1), sono soltanto una battuta polemica, e che in realtà i socialdemocratici russi non hanno mai dimenticato la nostra situazione politica, non hanno mai sognato la possibilità di creare in Russia un partito ope- raio legale, non hanno mai scisso la lotta per il socialismo dalla lotta per la libertà politica. Essi invece hanno sempre pensato e continua- no a pensare che questa lotta non deve essere condotta da cospira- tori, ma da un partito rivoluzionario che si appoggi sul movimento operaio. Ritengono che la lotta contro l’assolutismo non deve consi- stere nell’organizzare complotti, ma nell’educare, nel disciplinare e nell’organizzare il proletariato, nel condurre tra gli operai un’agita- zione politica che stigmatizzi ogni manifestazione dell’assolutismo, inchiodi alla gogna tutti i paladini del governo poliziesco e costringa quest’ultimo a fare concessioni. A Pietroburgo non è forse stata proprio questa l’attività dtlYUnione di lotta per V emancipazione Il corsivo è nostro I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 331 della classe operaia ? Questa organizzazione non è forse precisa- mente l'embrione di un partito rivoluzionario che si appoggia sul movimento operaio, dirige la lotta di classe del proletariato, la lotta contro il capitale e il governo assoluto, senza organizzare alcuna cospirazione, attingendo le proprie forze appunto dalla fusione della lotta socialista e della lotta democratica neirunica e insepa- rabile lotta di classe del proletariato di Pietroburgo? L’azione svolta dall'Unione, nonostante la sua breve esistenza, non ha forse già dimostrato che il proletariato guidato dalla socialdemocrazia è una forza politica considerevole, della quale il governo è costretto a tener conto e alla quale si affretta a fare concessioni? La legge del 2 giugno 1897*, sia per la fretta con cui è stata promulgata, sia per il suo contenuto, tradisce chiaramente il suo significato di con- cessione forzata al proletariato, di posizione conquistata al nemico del popolo russo. La concessione è minima, la posizione insignifi- cante, ma è pur vero che l'organizzazione della classe operaia, che è riuscita a strappare questa concessione, non si distingue neanche essa nè per ampiezza, nè per solidità, nè per anzianità, nè per ricchezza di esperienza o di mezzi. L 'Unione dì lotta è stata fon- data, come noto, solo nel 1895-1896 e i suoi appelli agli operai si sono limitati a manifestini poligrafati e litografati. Si può forse negare che un’organizzazione di questo tipo, che comprendesse al- meno i centri principali del movimento operaio russo (regioni di Pietroburgo, Mosca-Vladimir, del sud, e le principali città, come Odessa, Kiev, Saratov, ecc.), che disponesse di un giornale rivolu- zionario e godesse tra gli operai russi deirautorità di cui YUnione di lotta gode tra gli operai di Pietroburgo, si può forse negare che un’organizzazione di questo tipo sarebbe uno dei più importanti fattori politici della Russia contemporanea, un fattore di cui il governo dovrebbe tener conto in tutta la sua politica interna ed estera? Dirigendo la lotta di classe del proletariato, sviluppando lo spirito di organizzazione e di disciplina fra gli operai, aiutandoli a lottare per i loro bisogni economici immediati e a strappare al capitale una posizione dopo l’altra, educando politicamente gli operai e lottando in modo sistematico e tenace contro l’assolutismo, * Cfr. nel presente volume p, 259 (NJ.R-). LENIN 33 2 dando la caccia a ogni cane da guardia dello zarismo che fa gravare sul proletariato la pesante zampa del governo poliziesco, una simile organizzazione sarebbe in pari tempo una organizzazione del partito operaio adeguata alle nostre condizioni e un forte par- tito rivoluzionario diretto contro l’assolutismo. Ma discutere preventivamente sul mezzo a cui questa organizzazione dovrà ricorrere per infliggere il colpo decisivo all’assolutismo, discutere preventivamente se essa preferirà, per esempio, l’insurrezione o lo sciopero politico di massa o un altro mezzo di attacco, discutere preventivamente e risolvere oggi questa questione sarebbe vuoto dottrinarismo. Saremmo come dei generali che si riunissero in con- siglio di guerra prima ancora di radunare e mobilitare l’esercito o di entrare in campagna contro il nemico. Quando l’esercito del proletariato lotterà decisamente, sotto la guida di una forte organizzazione socialdemocratica, per la propria emancipazione economica e politica, l’esercito stesso indicherà ai suoi generali i metodi e i mezzi per l’azione. Allora e soltanto allora si potrà ri- solvere il problema del colpo definitivo da infliggere all’assolu- tismo, perchè la soluzione del problema dipende precisamente dalla situazione del movimento operaio, dalla sua ampiezza, dai metodi di lotta elaborati dal movimento stesso, dalle qualità del- l’organizzazione rivoluzionaria che lo dirige, dall’atteggiamento che gli altri strati sociali assumono verso il proletariato e verso l’assolutismo, dalle condizioni della politica estera e interna, in una parola da mille condizioni che è impossibile e inutile indovinare fin d ora. È quindi assolutamente sbagliato anche il seguente ragiona- mento di Lavrov: « Se sarà loro [ai socialdemocratici] necessario raggruppare in un modo o nell’altro non solo le forze operaie per la lotta contro il capitale, ma anche gli individui e i gruppi rivoluzionari per la lotta contro l’assolutismo, i socialdemocratici russi, qualunque de- nominazione assumano, accetteranno di fatto [corsivo dell’autore] il programma dei loro avversari, il programma della Volontà del popolo. Le divergenze di opinioni suìYobstcina, sui destini del capitalismo in Russia, sul materialismo economico sono parti- colari di scarsissima importanza per l’azione reale, in quanto I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 333 favoriscono od ostacolano la soluzione di problemi particolari, di particolari metodi di elaborazione dei punti essenziali, ma nulla di più » (p. 21, colonna i). È persino strano dover contestare quest’ultima affermazione per cui le divergenze d opinione sulle questioni fondamentali della vita russa e deirevoluzione della società russa, sui problemi fonda- mentali della concezione della storia, sono soltanto dei « partico- lari»! Già da molto tempo è stato detto che senza teoria rivolu- zionaria non può esistere movimento rivoluzionario, e oggi non è più necessario dimostrare questa verità. La teoria della lotta di classe, l’interpretazione materialistica della storia russa e la valuta- zione materialistica dell’attuale situazione economica e politica della Russia, la riconosciuta necessità di imperniare la lotta rivolu- zionaria sugli interessi determinati di una classe determinata, esa- minando i rapporti tra questa classe e le altre classi: definire queste questioni rivoluzionarie di estrema importanza come dei semplici « particolari » è così enormemente sbagliato e sorprendente da parte di un veterano della teoria rivoluzionaria, che siamo quasi disposti a considerare questo brano come un lapsus. Ma ancor più colpisce l’erroneità della prima parte del brano citato. Dichiarare per iscritto che i socialdemocratici raggruppano soltanto le forze operaie per lottare contro il capitale (ossia soltanto per la lotta economica!), senza tendere a unire gli individui e i gruppi rivoluzionari per lottare contro l’assolutismo, significa che o non si conoscono o non si vogliono conoscere i fatti universalmente noti dell’attività dei socialdemocratici russi. Oppure, forse, Lavrov non considera come « individui rivoluzionari » e come « gruppi rivoluzionari » i social- democratici che svolgono un lavoro pratico in Russia?! Oppure (ed è forse più esatto) per « lotta » contro l’assolutismo egli intende soltanto le cospirazioni contro l’assolutismo? (cfr. p. 21, colonna 2: « ... Si tratta... dell’organizzazione di una cospirazione rivoluzio- naria ». Il corsivo è nostro). Forse, secondo P. L. Lavrov, chi non organizza cospirazioni politiche non conduce una lotta politica? Lo ripetiamo ancora una volta: questa idea corrisponde piena- mente alle vecchie tradizioni della vecchia Volontà del popolo , ma non corrisponde affatto nè alle concezioni attuali sulla lotta politica, ne alfa realtà attuale. 22 - 573 334 LENIN Dobbiamo ancora dire alcune parole sui seguaci del Diritto del popolo. Lavrov ha perfettamente ragione, secondo noi, quando afferma che i socialdemocratici « qualificano i seguaci del Diritto del popolo come gli elementi più sinceri, e sono pronti a sostenerli pur senza confondersi con loro» (p. 19, colonna 2); bisognerebbe soltanto aggiungere : come i democratici più sinceri, e nella misura in cui agiscono come democratici coerenti. Purtroppo questa con- dizione riguarda piuttosto l’auspicabile avvenire che non il reale presente. I seguaci del Diritto del popolo hanno manifestato il desiderio di liberare i compiti democratici dal populismo e in gene- rale da ogni legame con le forme antiquate del « socialismo russo », ma essi stessi hanno dimostrato di non essersi ancora liberati dai vecchi pregiudizi e di non essere coerenti quando hanno denomi- nato il loro partito, che è solo un partito di riforme poli' tiche, partito «sociale (? ?!)-rivoluzionario » (cfr. il loro Manifesto del 19 febbraio 1894) e quando hanno dichiarato nello stesso Ma- nifesto che « la nozione di diritto del popolo comprende Porganiz- zazione della produzione popolare » (siamo costretti a citare a memoria), introducendo così di soppiatto i pregiudizi del po- pulismo. Non aveva dunque del tutto torto Lavrov quando li definiva « politici da carnevale » (p. 20, colonna 2). Ma forse è più giusto considerare la dottrina del Diritto del popolo come una dot- trina di transizione, alla quale non si può negare il merito di es- sersi vergognata del primitivismo delle dottrine populiste e di aver polemizzato apertamente contro i più repugnanti reazionari del populismo, i quali si permettono di dire, di fronte all’assolutismo poliziesco di classe, che sono auspicabili le trasformazioni econo- miche e non quelle politiche (cfr. Una questione urgente , edita dal partito del Diritto del popolo). Se nel partito del Diritto del popolo vi sono effettivamente solo ex socialisti i quali nascondono la loro bandiera socialista per ragioni tattiche e che di uomini po- litici non socialisti hanno soltanto la maschera (come suppone P. L. Lavrov; p. 20, colonna 2), questo partito non ha allora, natu- ralmente, alcun avvenire. Ma se in questo partito vi sono anche dei politici non socialisti, seri, e non da carnevale, se vi sono dei de- mocratici non socialisti, allora il partito potrà recare grande utilità adoperandosi ad avvicinare gli elementi della nostra borghesia che I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 335 hanno un atteggiamento di opposizione politica, a ridestare la coscienza politica di classe della nostra piccola borghesia, dei pic- coli commercianti, dei piccoli artigiani, ecc., di questa classe che dappertutto, neirEuropa occidentale, ha svolto una determinata funzione nel movimento democratico, che in Russia ha progredito in modo assai rapido nel campo culturale e in altri campi, nel- l’epoca seguita alla riforma, e che non può non sentire il giogo del governo poliziesco e il cinico appoggio dato da questo governo ai grandi industriali, ai grandi monopolisti della finanza e del- l’industria. Ma a tal fine è necessario soltanto che i seguaci del Diritto del popolo si propongano di accostarsi effettivamente ai diversi strati della popolazione e non si limitino sempre a quella « intellettualità », la cui impotenza, derivante dal suo distacco dagli interessi reali delle masse, è riconosciuta anche nella Que- stione urgente. A tal fine è necessario che i seguaci del Diritto del popolo abbandonino ogni pretesa di voler fondere elementi sociali eterogenei e di mettere da parte il socialismo di fronte ai compiti politici, abbandonino quella falsa vergogna che impedisce loro di accostarsi ai ceti borghesi della nazione; è necessario, cioè, che essi non solo parlino di un programma di uomini politici non so- cialisti, ma agiscano conformemente a questo programma, risve- gliando e sviluppando la coscienza di classe di quei gruppi sociali e di quelle classi che non hanno affatto bisogno del socialismo, ma sentono sempre di più il giogo deirassolutismo e la necessità della libertà politica. ##* La socialdemocrazia russa è ancora molto giovane. Esce appena dallo stato embrionale in cui i problemi teorici avevano un posto predominante. Comincia appena ora a sviluppare la sua attività pratica. Invece di criticare le teorie e i programmi socialdemo- cratici, i rivoluzionari delle altre frazioni debbono, per forza di .cose, criticare Yattività pratica dei socialdemocratici russi. E bisogna riconoscere che quest’ultima critica è nettamente diversa dalla critica teorica, è tanto diversa che si è potuto diffondere la ridicola diceria secondo cui YUnione di lotta di Pietroburgo non sarebbe 22* 33 6 LENIN un organizzazione socialdemocratica. La possibilità stessa di una simile diceria mostra già l’infondatezza delle accuse che circolano, le quali rimproverano ai socialdemocratici di trascurare la lotta politica. La possibilità stessa di una simile diceria dimostra che molti rivoluzionari, i quali non si erano lasciati convincere dalla teorìa dei socialdemocratici, cominciano a essere convinti dalla loro attività pratica . La socialdemocrazia russa ha ancora dinanzi a sè un immenso campo di lavoro tuttora quasi intatto. Il risveglio della classe operaia russa, la sua spontanea aspirazione alla cultura, all’unione, al socia- lismo, alla lotta contro i suoi sfruttatori e oppressori, si rivelano ogni giorno più vivi e più ampi. I giganteschi progressi che il capitalismo russo ha compiuto negli ultimi tempi ci garantiscono che il movimento operaio crescerà costantemente in ampiezza e in profondità. Stiamo oggi attraversando, evidentemente, quella fase del ciclo capitalistico nella quale l’industria « fiorisce », il commercio si espande, le fabbriche lavorano a pieno rendimento, nella quale nuove aziende, nuove officine, società per azioni, ferrovie, ecc. ecc., sorgono numerose come i funghi dopo la pioggia. Non è necessario esser profeti per predire il crollo inevitabile (più o meno violento) che seguirà a questa « prosperità » industriale, e manderà in rovina la rilassa dei piccoli proprietari, getterà masse di operai nelle file dei disoccupati e porrà così in forma acuta da- vanti alle masse operaie le questioni del socialismo e della demo- crazia, già da molto tempo poste davanti a ogni operaio cosciente e pensante. I socialdemocratici russi debbono far sì che questo crollo trovi il proletariato russo più cosciente, più unito, consape- vole dei compiti della classe operaia russa, capace di resistere alla classe dei capitalisti che mietono oggi ingenti profitti e aspirano a far sempre ricadere le perdite sugli operai, capace di impegnare, alla testa della democrazia russa, la lotta decisiva contro l’assolu- tismo poliziesco che tiene legati mani e piedi gli operai russi e tutto il popolo russo. Al lavoro dunque, compagni 1 Non sprechiamo un tempo prezioso! I socialdemocratici russi hanno ancora moltissimo da fare per soddisfare le esigenze del proletariato che si risveglia, per I COMPITI DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI 337 organizzare il movimento operaio, per rafforzare i gruppi rivolu- zionari e i legami tra di essi, per dare agli operai pubblicazioni di propaganda e di agitazione, per unire i circoli operai e i gruppi socialdemocartici disseminati in tutti gli angoli della Russia in un unico partito operaio socialdemocratico\ L’« UNIONE DI LOTTA » AGLI OPERAI E AI SOCIALISTI DI PIETROBURGO I rivoluzionari di Pietroburgo stanno attraversando un mo- mento difficile. Il governo ha raccolto tutte le sue forze per schiac- ciare il movimento operaio appena nato e già sviluppatosi con tanto vigore. Gli arresti hanno assunto proporzioni insolite, le carceri sono piene zeppe. Si arrestano intellettuali, donne e uomini, si arrestano e deportano in massa gli operai. Non passa giorno che non giunga notizia di nuove vittime del governo poliziesco, che si scaglia con furia contro i suoi nemici. Il governo si è proposto di non permettere alla nuova corrente del movimento rivoluzionario russo di rinvigorirsi, di prender forza. I procuratori e i gen- darmi già vantano di essere riusciti a sbaragliare YUnione di lotta. Questa vanteria è una menzogna. L'Unione di lotta è ben viva, nonostante tutte le persecuzioni. Con piena soddisfazione rile- viamo che gli arresti in massa favoriscono la sua azione, perchè di- vengono un potente strumento di agitazione tra gli operai e tra gli intellettuali socialisti; che il posto dei rivoluzionari caduti viene occupato da altri rivoluzionari pronti a schierarsi con le loro energie fresche tra coloro che combattono per il proletariato russo e per tutto il popolo russo. Senza sacrifici non può esservi lotta, e alla selvaggia persecuzione dei banditi zaristi rispondiamo sere- namente: i rivoluzionari cadono, evviva la rivoluzione! L’intensificarsi delle persecuzioni ha provocato sinora soltanto un indebolimento momentaneo di alcune attività àcWUnione di lotta , una momentanea deficienza di attivisti e propagandisti. 340 LENIN Questa deficienza appunto è oggi più sensibile e ci costringe a fare appello a tutti gli operai coscienti e a tutti gli intellettuali che intendono porre le proprie forze al servizio della causa rivolu- zionaria. All'Unione di lotta occorrono uomini. Tutti i circoli e i singoli che desiderano lavorare in un qualsiasi, sia pure ristretto, campo delTattività rivoluzionaria, lo comunichino a chi è in con- tatto con VUnione di lotta . (Nel caso — poco probabile — che qualche gruppo non riesca a mettersi in contatto con queste per- sone, potrà rivolgersi al centro estero dell* Unione dei socialdemo- cratici russi). Ci occorrono militanti per ogni genere di lavoro, e quanto più i rivoluzionari saranno specializzati in singoli settori delTattività rivoluzionaria, quanto più saranno capaci di escogitare sistemi cospirativi e metodi per nascondere il proprio lavoro, quanto più decisamente si accingeranno a un lavoro modesto, umile, minuto, tanto più sicura sarà tutta Tazione, tanto più diffi- cilmente i gendarmi e le spie potranno scoprire i rivoluzionari. Il governo ha già teso la rete dei propri agenti non solo attorno ai centri che già esistono, ma anche attorno a quelli potenziali e probabili di elementi antigovernativi. Il governo sviluppa costan- temente in estensione e in profondità Tazione dei suoi servi, che perseguitano i rivoluzionari, escogita nuovi metodi, si avvale di nuovi provocatori, cerca di far pressione sugli arrestati mediante intimidazioni, false testimonianze, false firme, biglietti apocrifi e altri mezzi del genere. La lotta contro il governo non può essere condotta se non si rafforzano e non si potenziano la disciplina rivoluzionaria, l’organizzazione e Tattività clandestina. Il lavoro clandestino richiede anzitutto che alcuni gruppi e singoli militanti si specializzino in determinati settori di attività e che la funzione unificatrice venga affidata a un nucleo centrale dell* Unione di lotta , numericamente molto piccolo. Le forme dell’attività ri- voluzionaria sono estremamente varie: occorrono propagandisti che vivano nella legalità, che sappiano parlare agli operai in modo da non poter essere denunciati per questo all’autorità giudiziaria, che sappiano dire soltanto a , lasciando agli altri il compito di dire b e c. Occorrono persone che diffondano i libri, gli opuscoli e i manifestini. Occorrono organizzatori di circoli e gruppi operai. Occorrono corrispondenti da tutte le fabbriche e officine, che in- l’« UNIONE DI LOTTA » AGLI OPERAI E AI SOCIALISTI 34 1 formino su tutto ciò che accade. Sono necessari militanti che pedi- nino le spie e i provocatori. Occorrono organizzatori dei recapiti clandestini. Occorrono elementi che consegnino le pubblicazioni, che trasmettano le istruzioni, che tengano collegamenti di ogni ge- nere. Occorrono dei collettori. Sono necessari attivisti che lavorino tra gli intellettuali e gli impiegati, che abbiano contatti con gli ope- rai e con la vita delle fabbriche e delle officine, che siano in contatto con Tamministrazione (con la polizia, con Pispettorato di fabbrica, ecc.). Occorrono uomini che stabiliscano collegamenti con le di- verse città della Russia e degli altri paesi. Occorrono persone che conoscano i diversi sistemi per riprodurre a macchina ogni genere di pubblicazione. Occorrono persone presso cui depositare la stampa e altre cose, ecc. ecc. Quanto più limitato e minuto sarà il lavoro che si assumerà il singolo gruppo o il singolo militante, tanto maggiori saranno le possibilità di riuscire a impostarlo con ponderatezza e garantirlo meglio dal fallimento, a discutere tutti i particolari cospirativi, usando tutti i sistemi possibili per eludere la vigilanza dei gendarmi e per trarli in errore, tanto più sicuro sarà il successo del lavoro, tanto più difficilmente la polizia e i gen- darmi potranno individuare il rivoluzionario e il suo legame con Porganizzazione, tanto più agevolmente il partito rivoluzionario potrà sostituire i funzionari e i militanti caduti con altri uomini, senza recar danno a tutta la sua attività. Sappiamo che questa specializzazione è difficile, difficile perchè richiede dal militante grandissima padronanza di sè e abnegazione, perchè richiede che si dedichino tutte le forze a un lavoro oscuro, monotono, che non permette di tener contatti con i compagni e che subordina tutta Inesistenza del rivoluzionario a regole rigide e severe. Ma sol- tanto a queste condizioni i corifei delPazione rivoluzionaria in Russia sono riusciti a compiere le più grandi imprese, spendendo anni per prepararle fin nei minuti particolari. Siamo convinti che i socialdemocratici russi non hanno minore abnegazione dei rivolu- zionari delle generazioni precedenti. Sappiamo inoltre che per molte persone impazienti di dedicare le proprie energie all’attività rivolu- zionaria, se si applica il sistema da noi proposto, molto gravoso risul- terà questo periodo preparatorio, durante il quale YUnìone di lotta raccoglierà le informazioni necessarie sulla persona o sul gruppo 342 LENIN che si offre per lavorare e ne sperimenterà la capacità con singoli incarichi. Ma senza questa prova preliminare razione rivoluzio- naria nella Russia odierna è impossibile. Proponendo questo metodo di lavoro ai nostri nuovi compagni, diciamo loro che queste sono le conclusioni alle quali ci ha con- dotto la nostra lunga esperienza, profondamente convinti che il successo delibazione rivoluzionaria sarà meglio assicurato. pJiajWMÌprb JinbHHb. sioioumm BTÌOJIJjI H CTATbK. Hfr- c.-nETEPBypi*b» TicD'AHTorpa^u A. JUftftrpm. Boa. Mopoufl. 66. 1B99L Copertina della raccolta Studi e articoli di economia IL CENSIMENTO DEL 1894-1895 DEGLI ARTIGIANI DEL GOVERNATORATO DI PERM E I PROBLEMI GENERALI DELL’INDUSTRIA « ARTIGIANA » 87 Scritto in deportazione nel 1897. Pubblicato per la prima volta nel 1898 in Vladimir Ilin, Studi e articoli di economia. ARTICOLO PRIMO (/. Dati generali — IL L\ artigiano » e il lavoro salariato — 111. « La successione fondata sul lavoro in seno a//'obstcina »). In preparazione della mostra di Nizni-Novgorod del 1896, le società scientifiche di Perm hanno intrapreso, con la collabora- zione dello zemstvo , un ampio lavoro che reca il titolo di Rasse- gna della regione di Perm . Si sono raccolti documenti per oltre 200 fogli di stampa; Tintiera opera doveva constare di otto volumi. Ma, come spesso accade, non si è riusciti a finire il lavoro per Tinaugurazione della mostra, e si è dato alle stampe soltanto il primo volume, che contiene uno studio suirindustria artigiana del governatorato * Lo Studio presenta grande interesse per la novità, la ricchezza e l'ampiezza del materiale in esso esaminato. Il ma- teriale era stato raccolto mediante uno speciale censimento degli artigiani , effettuato nel i 894-*95 coi fondi dello zemstvo ; si tratta di un censimento per fuoco, poiché ciascun capofamiglia è stato cen- sito separatamente. I dati sono stati raccolti dai capi degli zemstvo . Il censimento aveva un piano molto ampio, perchè abbracciava la composizione delle famiglie degli artigiani padroni, il lavoro sala- riato impiegato dagli artigiani, la loro azienda agricola e i dati re- lativi airacquisto delle materie prime, alla tecnica della produ- zione, alla distribuzione dei lavori durante i mesi deiranno, alla • Rassegna della regione di Perm. Studio sulla situazione dell’industria arti - giana nel governatorato di Perm. Edito coi fondi dello zemstvo del governatorato di Perm. Perm, 1896. P. II + 365 + 232 pagine di tabelle, 16 diagrammi e una carta del governatorato di Perm. Prezzo: 1 rublo e 50 copechi. 34 6 LENIN vendita dei prodotti, alunno di nascita dell’azienda, ai debiti degli artigiani. Per quanto ne sappiamo, dati così esaurienti vengono pubblicati nella nostra letteratura forse per la prima volta. Ma a chi molto si è dato, molto si chiede. La ricchezza del materiale ci dà il diritto di pretendere dagli statistici un’attenta rielaborazione dei dati, ma purtroppo lo Studio è ben lontano dal soddisfare in pieno quest’esigenza. Sia i dati forniti nelle tabelle che il metodo di clas- sificazione ed elaborazione dei dati presentano molte lacune che l’autore del presente scritto è stato costretto a colmare in parte, scegliendo i dati che gli occorrevano e facendo i calcoli necessari. È nostra intenzione far conoscere ai lettori il materiale rac- colto per mèzzo del censimento, i metodi di elaborazione di questo materiale, le conclusioni che scaturiscono dai dati relativi alla realtà economica delle nostre « industrie artigiane ». Abbiamo sottolineato le parole: «realtà economica», perchè vogliamo par- lare soltanto di ciò che esiste nella realtà e domandarci perchè questa realtà sia precisamente quale essa è e non diversa. Per ciò che concerne l’estensione delle conclusioni desunte dai dati rac- colti nel solo governatorato di Perm a tutte « le nostre industrie artigiane » in generale, il lettore si convincerà, attraverso la nostra esposizione, della legittimità di un simile metodo, perchè nel go- vernatorato di Perm i tipi di « artigianato » sono estremamente vari e comprendono tutte le forme possibili di artigianato di cui si parla nella nostra letteratura sull’argomento. Raccomandiamo però vivamente ai lettori di voler fare una di- stinzione rigorosa tra i due aspetti della nostra esposizione: l’ana- lisi e l’elaborazione dei dati concreti, da una parte; il giudizio sulle concezioni populiste degli autori dello Studio , dall’altra. I Dati generali Il censimento del 1894-95 abbraccia 8.991 famiglie di artigiani di tutti i distretti del governatorato (escluse le famiglie degli ope- rai salariati), ossia il 72% circa del numero complessivo degli ar- tigiani di Perm, come ritengono gli autori, che in base ad altri dati IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 347 hanno rintracciato altre 3.484 famiglie. La suddivisione principale degli artigiani secondo le lora caratteristiche, adottata nello Studio , consiste nel distinguere due gruppi di artigiani (nelle tabelle i gruppi sono indicati con le cifre romane I e II), e precisamente coloro che hanno un’azienda agricola (I) e coloro che non la pos- seggono (II), nonché tre sottogruppi (indicati con le cifre arabe: 1, 2, 3) per ciascun gruppo, e precisamente: 1) artigiani che lavo- rano per il mercato; 2) artigiani che lavorano per i committenti consumatori; 3) artigiani che lavorano per i committenti s\upstciki. Negli ultimi due sottogruppi l’artigiano di solito riceve le ma- terie prime dal cliente. Soffermiamoci brevemente su questa classifi- cazione. La distinzione degli artigiani in agricoltori e non agricoltori è, naturalmente, del tutto fondata e necessaria. L’elevato numero di artigiani privi dj terra nel governatorato di Perm, spesso con- centrati in villaggi industriali, ha indotto gli autori ad attenersi in modo sistematico a questa classificazione e ad introdurla nelle tabelle. Apprendiamo così che un terzo del numero complessivo degli artigiani (in 8.991 laboratori lavorano 19.970 operai, tra membri della famiglia e operai salariati), e precisamente 6,638 persone, appartengono alla categoria di coloro che non posseggono un’azienda agricola *. Già da questo risulta quindi l’inesattezza delle ipotesi e delle affermazioni correnti sul legame esistente fra l’industria artigiana e l’agricoltura come fenomeno generale, le- game che viene talvolta presentato come una particolarità della Russia. Se dal numero degli « artigiani » si escludono i reme sieri- ni{i** rurali (e urbani), tra essi erroneamente compresi, si vede che delle restanti 5.566 famiglie ben 2.268, ossia i 2/5 del numero complessivo degli artigiani che lavorano per il mercato, sono prive di terra. Purtroppo, lo Studio non si attiene in modo conseguente a questa classificazione fondamentale. In primo luogo, essa è appli- cata soltanto nei confronti degli artigiani padroni, mentre non esistono dati sugli operai salariati. Questa lacuna è dovuta al fatto che il censimento degli artigiani trascura, in generale, gli operai * In realtà, più di un terzo degli artigiani è privo di terra, poiché il censi- mento comprende una sola città. Di questo tratteremo in seguito. ** Cfr. più avanti a p. 349 ( N.d.R .). 23 — 573 34 8 LENIN salariati e le loro famiglie, registrando esclusivamente i laboratori e i padroni. Invece di questi termini nello Studio viene usata, in modo del tutto inesatto, Fespressione : «famiglie occupate nelle in- dustrie artigiane»; infatti le famiglie che forniscono operai sala- riati artigiani «sono occupate nelle industrie artigiane» non meno delle famiglie che assumono operai salariati. La mancanza di dati sulle famiglie degli operai salariati (il loro numero è pari a *4 del numero complessivo degli operai) è una grave lacuna del censi- mento. Questa lacuna è assai caratteristica per i populisti, che si pongono senz’altro dal punto di vista del piccolo produttore e tra- scurano il lavoro salariato. Vedremo spesso in seguito che i dati sugli operai salariati sono molto lacunosi; per ora ci limitiamo a osservare che, sebbene la mancanza di dati riguardanti le fami- glie degli operai salariati sia un fenomeno normale nella lette- ratura sulle industrie artigiane, tuttavia esistono delle eccezioni. Nelle pubblicazioni statistiche dello zemstvo di Mosca si trovano qua e là dati relativi alle famiglie dei salariati, raccolti in modo sistematico; un numero maggiore di dati di questo genere si trova nel noto studio dei signori Kharizomenov e Prugavin, Le indu- strie del governatorato di Vladimir , nel quale ci sono anche censi- menti per fuoco che registrano accanto alle famiglie dei padroni le famiglie degli operai salariati. In secondo luogo, comprendendo tra gli artigiani la massa degli artigiani senza terra, gli autori hanno naturalmente scalzato dalle fondamenta il metodo consueto e assolutamente sbagliato di escludere dalla categoria degli « artigia- ni » gli artigiani urbani . Vediamo infatti che nel censimento degli artigiani del 1894-95 è stata compresa la città di Kungur (vedi ta- bella 33), ma soltanto quella. Lo Studio non dà alcuna spiegazione in proposito, e non si comprende perchè nel censimento sia stata considerata soltanto una città e precisamente quella città; si tratta di un caso fortuito o esistono motivi precisi? Ne vien fuori una grande confusione, che fa scadere il valore dei dati generali. In linea di massima, quindi, il censimento degli artigiani ripete Ter- rore abituale dei populisti di distinguere la campagna (« l’artigia- no ») dalla città, sebbene molto spesso una determinata zona in- dustriale comprenda la città e i villaggi circostanti. Sarebbe ora di ripudiare questa distinzione fondata su un pregiudizio e sulla IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 349 accentuazione delle barriere tra ceto e ceto, che hanno fatto il loro tempo. Abbiamo già nominato più d’una volta i remeslenni{i, rurali e urbani, ora distinguendoli dagli artigiani ora includendoli tra di essi. La realtà è che queste oscillazioni sono caratteristiche di tutta la letteratura sulle industrie « artigiane » e dimostrano che il ter- mine di € artigiano » è impropriamente usato nella ricerca scienti- fica. È opinione universalmente accettata che bisogna considerare ar- tigiani soltanto coloro che lavorano per il mercato, soltanto i pro- duttori di merci, ma in realtà è difficile trovare un solo studio sulle industrie artigiane che non comprenda fra gli artigiani anche i re - meslennikj , ossia coloro che lavorano per i committenti consumatori (nello Studio , sottogruppo 2). Anche nei Lavori della commissione per lo studio dell industria artigiana e nelle Industrie del governa- torato di Mosca i remeslennif{i sono inclusi fra gli « artigiani ». Ci sembra superfluo discutere sul significato del termine artigiano poi- ché, come vedremo in seguito, non esiste alcuna forma d'industria (tranne forse l’industria meccanica) che non sia compresa in questo termine tradizionale, assolutamente improprio nelle ricerche scien- tifiche. È incontestabile che bisogna fare una distinzione rigo- rosa tra i produttori di merci che lavorano per il mercato (sotto- gruppo 1), e i remeslenniki che lavorano per i committenti con- sumatori (sottogruppo 2), poiché questi tipi di industria sono radi- calmente diversi per le loro caratteristiche economiche e sociali. Il tentativo, compiuto nello Studio , di attenuare queste differenze, è fallito (cfr. pp. 13, 177); assai più giustamente è stato rilevato in un’altra pubblicazione statistica dello zemstvo sull’industria artigiana di Perm che « i remeslenniki hanno pochissimi punti di contatto con l’industria artigiana, meno comunque di quanti ne abbia quest’ultima con Tindustria di fabbrica » *. Tanto l’industria di fabbrica quanto il primo sottogruppo degli « artigiani » rientrano nella produzione mercantile , che non esiste nel secondo sotto- gruppo. Altrettanto rigorosamente bisogna distinguere nel terzo * li. Krasnopekov, L'industria artigiana del governatorato di Perm alla Mostra scientifico-industriale della Siberia e degli Urali tenuta a ìekaterinburg nel 1887. Tre parti. Perm, 1888- 1889. Parte prima, p. 8. Citeremo quest’utile pubblicazione, indicandola con l’abbreviazione Ind. art., precisando la parte e la pagina. 23* 35 ° LENIN sottogruppo gli artigiani che lavorano per gli s\upstct\i (e per i fabbricanti), i quali si differenziano sostanzialmente dagli « arti- giani » dei primi due sottogruppi. Sarebbe bene che tutti gli stu- diosi della cosiddetta industria « artigiana » si attenessero a questa distinzione e usassero termini economici e politici esatti invece di attribuire un significato arbitrario a parole d’uso corrente. Riportiamo i dati relativi alla suddivisione degli « artigiani * in gruppi e sottogruppi : 1 Gruppo 1 Gruppo 11 □ sottogruppi e 3 sottogruppi totale Totale genera] 1 I 2 3 $ 1 2 3 ( 2 285 2 821 1 013 6 119 935 604 1 333 2 872 8 991 37,3 46,1 16,6 100 32,6 21,0 46,4 100 — 1 membri della I famiglia 4 201 4 146 1 957 10 304 1 648 8B1 2 233 4 762 15 066 Numero J degli operai Wariati 1 753 6B1 594 3 028 750 282 844 1 876 4 904 \ totale 5 954 4 827 2 551 13 332 2 398 1 163 3 077 6 638 19 970 Numera dei laboratori che impiegano operai salariati 700 490 251 1 441 353 148 482 983 2 424 Prima di trarre conclusioni da questi dati rammentiamo che la città di Kungur è stata inclusa nel II gruppo, il quale contiene quindi dati misti sugli artigiani rurali e su quelli urbani. Vediamo dalla tabella che gli agricoltori (I gruppo), i quali predominano considerevolmente fra gli artigiani e i remeslenni\i rurali , sono più arretrati per lo sviluppo delle forme industriali che i non agri- coltori (II gruppo). Tra gli agricoltori la produzione primitiva per il cliente e assai più sviluppata della produzione per il mercato. Il maggiore sviluppo del capitalismo tra i non agricoltori si espri- me nella più elevata percentuale di operai salariati, di laboratori che impiegano operai salariati e di artigiani che lavorano per gli IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 35 1 s\upstcij{i. Si può quindi concludere che il legame con l’agricoltura tende a mantenere le forme più arretrate di industria e, viceversa, lo sviluppo del capitalismo neirindustria determina una frattura tra l’industria e l’agricoltura. Purtroppo, non disponiamo di dati precisi suirargomento e dobbiamo accontentarci di queste sugge- stive indicazioni. Per esempio, lo Studio non ci dice come la popo- lazione rurale della provincia di Perni è ripartita tra agricoltori e non agricoltori, e pertanto non possiamo stabilire in quale delle due categorie siano più sviluppate le industrie artigiane. È stato inoltre trascurato il problema estremamente interessante delle zone industriali (gli autori disponevano di dati molto precisi per ogni villaggio preso a se), della concentrazione degli addetti all’in- dustria nei villaggi non agricoli, ove sorgono fabbriche, e in ge- nerale nei villaggi commerciali e industriali; è stato anche tra- scurato il problema dei centri di ciascuna branca industriale, del- l’estendersi delle industrie artigiane da questi centri alle località circostanti. Se a ciò si aggiunge che le notizie relative alla data di nascita di ciascun laboratorio (ne parleremo in seguito, § in) per- mettevano di precisare il carattere dello sviluppo delle industrie artigiane, ossia se esse si estendono dal centro verso le località circostanti o viceversa, se sono maggiormente diffuse tra gli agri- coltori o fra i non agricoltori, ecc., non possiamo non rammari- carci del fatto che i dati siano stati insufficientemente elaborati. Su questo problema lo Studio ci fornisce soltanto i dati relativi alla distribuzione delle industrie artigiane nei diversi distretti. Per por- tare a conoscenza del lettore questi dati, ci avvarremo della divi- sione dei distretti in gruppi, proposta dallo Studio (p. 31): 1) «di- stretti con la massima percentuale di artigiani che lavorano per il mercato e, in pari tempo, con un grado di sviluppo dell’industria artigiana relativamente alto »: cinque distretti; 2) «distretti con un grado di sviluppo dell’industria artigiana relativamente basso, ma in cui predominano gli artigiani che lavorano per il mercato » : cinque distretti; 3) «distretti anch’essi con un grado di sviluppo dell’industria artigiana basso, ma in cui predominano abbastanza spesso gli artigiani che lavorano su ordinazione dei consumatori * : due distretti. Se riassumiamo i dati principali dei tre gruppi di distretti, otteniamo la seguente tabella: 352 LENIN 3 -g 13 1 ih ili l * apnot 36 803 100 11 075 100 6 362 100 54 240 100 ■|o)uS« «paglia a un ounvq non eqa ® r~ « m" O m io m « ^ « 'O V r* m m m 19 587 36,1 audojd qiuuSt apnaiza no» 21 320 57,9 7 335 66,2 5 998 94.3 34 653 63,9 0 « 1 ^ * -s (non -jjo) puopuadip 53.4 38.4 9,9 46,1 oivojam p jsd onajoaif aqo N in m eo | r-" | ri | t~ OS « « N co e-j in io c* e* n CB IO O* Tf « CM * a 3 »pn » 2*4 operai 319 559 251 810 143 44,8 1,76 0,78 2,54 » » 5-9 » 59 111 249 360 53 89,8 1,88 4,22 6,10 » con 10 e più » 26 56 374 430 26 100.0 2,15 14,38 16,53 CoMplesiivammnte 749 1 069 876 1 945 224 29,9 1,43 1,16 2,59 Questi dati particolareggiati confermano quindi pienamente la tesi sopra esposta, che a prima vista sembrava paradossale: quanto più grande è il laboratorio per il numero complessivo degli operai, tanto maggiore è il numero degli operai membri della famiglia che spetta a ciascun laboratorio, e quindi tanto più ampia è la «cooperazione familiare >; ma in pari tempi si allarga anche la cooperazione capitalistica, e si allarga in modo incomparabilmente più rapido. Gli artigiani più agiati, sebbene dispongano di un nu- mero maggiore di operai membri della famiglia, assumono ancora numerosi operai salariati : la « cooperazione familiare » è la garan- zia e la base della cooperazione capitalistica. Esaminiamo i dati del censimento del 1894-1895 sul lavoro fa- 24 - 573 3 6 4 LENIN miliare e salariato. Secondo il numero degli operai membri della famiglia, i laboratori sono così suddivisi: Bisogna qui rilevare che predominano i laboratori con un solo operaio: essi sono più della metà. Anche se ammettessimo che in tutti i laboratori nei quali il lavoro familiare è combinato col lavoro salariato si ha al massimo un operaio membro della famiglia, risulterebbe che i laboratori in cui lavora una sola persona sono circa 2.500. Sono questi i rappresentanti dei produttori più isolati, i rappresentanti del massimo isolamento dei piccoli laboratori, isola- mento proprio, in generale, della tanto lodata « produzione popo- lare». Vediamo il polo opposto, i laboratori più grandi: Laboratori % Numero degli operai salariati* Numero degli operai salariati per laboratorio con 0 op. Baiar iati 6.567 73,1 » 1 P P 1.537 17,2 1.537 1 n 2 » P 457 5,1 914 2 D 3 • B 213 2,3 639 3 P 4 » » 86 0,9 352 4 » 5 b lì 44 0,5 220 5 ■ 6-9 lì P 41 0,4 290 7.1 » 10 e più B (ss 44 ' { 0,9 0,5’ 1 1.242 952 ’ il 4,6 21,7 ’ T otala 8.991 100,0 4.904 0,5 I « piccoli » laboratori degli artigiani raggiungono quindi tal- volta dimensioni considerevoli: negli 85 maggiori laboratori è con- • Calcolato secondo i dati dello Studio (p. 54 e numero complessivo degli operai salariati). IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 365 centrato quasi un quarto del numero complessivo degli operai sa- lariati; in media, un laboratorio di questo tipo occupa 14,6 operai salariati. Si tratta già di fabbricanti, di proprietari di stabilimenti capitalistici *. La cooperazione su basi capitalistiche trova qui una concreta applicazione: nel laboratorio ove lavorano 15 operai è possibile, in misura più 0 meno considerevole, anche la divisione del lavoro, si fa una grande economia di locali e anche di stru- menti, pur possedendone una quantità maggiore e un assorti- mento più vasto. L’approvvigionamento di materie prime e la ven- dita dei prodotti si fa qui necessariamente su grande scala, il che riduce considerevolmente il costo delle materie prime e le spese di trasporto, facilita la vendita dei prodotti, consente di stabilire normali rapporti commerciali. Più oltre, citando i dati relativi ai redditi, troveremo una conferma di questo fatto nel censimento del 1894-1895. Qui basta ricordare i principi teorici noti a tutti. È chiaro che anche la fisionomia tecnica ed economica dei grandi la- boratori si differenzia radicalmente da quella dei laboratori con una sola persona; e non si può non restare stupiti del fatto che gli statistici di Perm abbiano ciò nondimeno deciso di riunire i due tipi di laboratori e. di compilare una « media » generale. Si può affermare a priori che una simile media sarà assolutamente fittizia e che l’elaborazione dei dati raccolti per ciascun laboratorio do- veva fornire necessariamente, oltre alla suddivisione degli arti- giani in gruppi e sottogruppi, la loro suddivisione in categorie distinte secondo il numero degli operai (sia membri della fami- glia che salariati) occupati nei laboratori. Senza una simile suddi- visione è assurdo voler ottenere dati esatti sia sui redditi, sia sulle condizioni di acquisto delle materie prime e di vendita dei pro- dotti, sia sulla tecnica della produzione, sia sulla situazione degli operai salariati rispetto a quella degli artigiani individuali, sia sul rapporto fra grandi e piccoli laboratori; e sono questi appunto i problemi più importanti per lo studio dell’economia dell’« artigia- nato ». Gli studiosi di Perm tentano, beninteso, di sminuire l’im- portanza dei laboratori capitalistici. Se esistono laboratori con cin- * La stragrande maggioranza delle nostre « fabbriche e officine » (come vengono chiamate dalla statistica ufficiale), ossia 15.000 su 21.000, impiega meno di 16 operai. Cfr. V indicatore delle fabbriche c delle officine del iSyo. 24 * 3 66 LENIN que e più operai membri della famiglia, dicono essi, vuol dire che la concorrenza tra la « forma artigianale di produzione » (sic!) e quella « capitalistica » può aver importanza solo se nel laboratorio vi sono più di cinque operai salariati; e tali laboratori rappresentano appena Vi %. Si tratta di un ragionamento assolutamente artifi- cioso : in primo luogo, i laboratori con cinque operai membri della famiglia e quelli con cinque operai salariati sono una vuota astra- zione, dovuta airinsufficiente elaborazione dei dati, poiché il la- voro salariato è sempre combinato col lavoro familiare. Un labo- ratorio con tre operai membri della famiglia, se assume altri tre operai, avrà più di cinque operai e si troverà, rispetto ai labora- tori con un solo operaio, in condizioni di concorrenza del tutto particolari. In secondo luogo, se gli statistici avessero voluto studiare effettivamente il problema della « concorrenza » fra i singoli laboratori che si differenziano per Timpiego di lavoro salariato, perchè mai non hanno fatto ricorso ai dati del censimento per fuoco? Perchè non hanno raggruppato i laboratori secondo il numero degli operai e non hanno fornito le cifre relative al red- dito? Non sarebbe stato più opportuno che gli statistici, disponendo di un materiale ricchissimo, avessero studiato il problema in con- creto, invece di offrire al lettore ogni sorta di congetture personali e di affrettarsi a passare dai fatti alla « battaglia » contro i nemici del populismo? ... « Ai sostenitori del capitalismo questa percentuale apparirà forse sufficiente per profetizzare Tinevitabile degenerazione della forma artigianale in forma capitalistica, ma in realtà essa non pre- senta sotto questo aspetto alcun sintomo minaccioso, in virtù so- prattutto delle seguenti circostanze » (p. 56)... Bello tutto questo, vero? Invece di affaticarsi a ricavare dal ma- teriale di cui disponevano dati esatti sui laboratori capitalistici , gli statistici hanno messo insieme questi stabilimenti e i laboratori che occupano un solo operaio, ed hanno cominciato a muovere obie- zioni a non si sa quali « profeti»! Non sappiamo che cosa potreb- bero « profetizzare » quei « sostenitori del capitalismo » così sgra- diti agli statistici di Perm; noi, dal canto nostro, diciamo sol- tanto che tutte queste frasi servono unicamente a camuffare il ten- tativo di eludere i fatti. Ma i fatti attestano che non esiste nessuna IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 367 particolare « forma artigianale di produzione » (è questa un’inven- zione degli economisti che usano metodi « artigianeschi »), che dai piccoli produttori di merci traggono origine i grandi stabili- menti capitalistici (nelle tabelle abbiamo trovato artigiani con 65 operai salariati! p. 169), che gli statistici avevano il dovere di rag- gruppare i dati in modo tale che fosse possibile analizzare questo processo e mettere a confronto i diversi laboratori secondo che si av- vicinano più o meno al tipo di stabilimento capitalistico . Gli statisti- ci di Perm non solo non l’hanno fatto, ma hanno tolto anche a noi la possibilità di farlo, poiché nelle tabelle tutti i laboratori di un deter- minato sottogruppo sono messi insieme, ed è impossibile distinguere il fabbricante dall’artigiano individuale. Gli autori cercano di celare queste lacune con sentenze prive di significato. I grandi laboratori, guardate un po’, rappresentano appena l’i %, e se si escludono questi laboratori, le conclusioni tratte basandosi sul rimanente 99% non vengono modificate (p. 56). Ma questo 1 % questa centesima parte, non è uguale alle altre! Un solo grande laboratorio equivale a oltre 15 laboratori di artigiani individuali che costituiscono oltre i 30 «centesimi» (del numero complessivo dei laboratori)! Così stanno le cose se facciamo il calcolo secondo il numero degli operai. Ma se prendiamo in esame i dati sulla produzione globale o sul reddito netto, costatiamo che un solo grande laboratorio equivale non a 15, ma forse a 30 laboratori *. In questa « centesima parte » dei laboratori è concentrato un quarto del numero complessivo de- gli operai salariati; il che dà in media per ogni laboratorio 14,6 operai. Per illustrare al lettore quest’ultima cifra ci serviamo dei dati relativi al governatorato di Perm desunti dalla Raccolta di dati sull industria di fabbrica e di officina della Russia (pubblicazione del dipartimento del commercio e delle manifatture). Poiché le ci- fre oscillano notevolmente di anno in anno, prendiamo la cifra me- dia di un periodo di sette anni (1885-1891). Per il governatorato di Perm otteniamo così la cifra di 885 « fabbriche e officine » (consi- derate tali dalla nostra statistica ufficiale), con una produzione che • Saranno più oltre citati i dati relativi alla suddivisione dei laboratori in base al reddito netto. Secondo questi dati, 2.376 laboratori con reddito minimo (fino* a 50 rubli) hanno un reddito netto complessivo di 77.900 rubli, mentre 80 laboratori con reddito massimo hanno un reddito complessivo di 83.150 rubli. Il che significa per ogni «laboratorio»: 32 rubli e 1.039 rubli. LENIN 368 ammonta a 22,645.000 rubli e con 13.006 operai; si hanno quindi « in media » per ogni fabbrica 14,6 operai . A conferma della loro opinione che i grandi stabilimenti non hanno molta importanza, i compilatori dello Studio asseriscono che degli operai salariati occupati nei laboratori artigiani pochis- simi lavorano tutto l’anno (8%), la maggioranza lavora a cottimo (37%), a termine (30%) e a giornata (25%, p. 51). I cottimisti « di solito lavorano a domicilio, con i loro attrezzi e con vitto a proprie spese », mentre i giornalieri vengono assunti « temporanea- mente », come gli operai agricoli. In queste condizioni, «il nu- mero relativamente grande di operai salariati non è ancora per noi un indice incontestabile del carattere capitalistico di questi la- boratori » (p. 56)... « Secondo la nostra convinzione, nè il cottimista, nè il giornaliero in generale formeranno i quadri di una classe ope- raia simile al proletariato deirEuropa occidentale; questi quadri possono essere costituiti soltanto da operai fissi che lavorano tutto Tanno ». Non possiamo non elogiare i populisti di Perm per il loro in- teressamento al problema del rapporto tra gli operai salariati russi e « il proletariato delTEuropa occidentale ». È un problema inte- ressante, non c’è che dire! Preferiremmo tuttavia avere dagli stati- stici affermazioni fondate sui fatti, e non su «convinzioni perso- nali ». Non sempre infatti esprimendo la propria « convinzione » si possono convincere gli altri... Non sarebbe stato meglio se invece di far conoscere al lettore le «convinzioni» dei signori X e Y, si fosse offerta una maggior mole di fatti? Ma purtroppo i dati sulla situazione degli operai salariati, sulle loro condizioni di la- voro, sulla giornata lavorativa nei laboratori di diverse dimensioni» sulle famiglie degli operai salariati, ecc., sono incredibilmente scarsi nello Studio. E se i ragionamenti circa la differenza tra gli operai russi e il proletariato delTEuropa occidentale servono soltanto a mascherare questa lacuna, siamo costretti a rimangiarci il nostro elogio... Tutto ciò che apprendiamo dallo Studio a proposito degli operai salariati e che essi si dividono in quattro categorie: operai ad anno, a termine, cottimisti e giornalieri. Per poter conoscere queste categorie, dobbiamo ricorrere ai dati sparsi nel libro. Per 29 indù- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 369 strie (su 43) è indicato il numero degli operai di ciascuna catego- ria e il loro salario. In queste 29 industrie lavorano 4.795 operai salariati con un salario complessivo di 233.784 rubli. In tutte le 43 industrie lavorano 4.904 operai salariati con un salario di 238.992 ru- bli. Ossia, la nostra tabella riassuntiva comprende il 98% degli operai salariati e il loro salario. Ecco, en regard , le cifre dello Studio * ** e quelle della nostra tabella: Operai salariati secondo lo Studio % Cifre della nostra tabella Numero degli operai salariati % complessivo in rubli Salario per ogni operaio %” ad anno 379 8 351 7,4 26.978 76,8 100 a termine 1496 30 1432 29,8 40.956 28,6 37 cottimisti 1612 37 1577 32.9 92.357 56,5 76,1 giornalieri 1217 25 1435 29,9 73.491 51,2 66,7 Totale 4904 100 4795 100 233.784 48,7 Risulta quindi che la tabella dello Studio contiene o errori re- dazionali o refusi. Ma questo conta poco. L’interesse principale è costituito dai dati sul salario. Il salario dei cottimisti, dei quali lo Studio dice che « il lavoro a cottimo rappresenta di fatto la fase più vicina a quella del padrone indipendente» (p. 51, probabil- mente «secondo la nostra convinzione»?), si rivela considerevol- mente inferiore a quello degli operai che lavorano ad anno. Se Taf- fermazione degli autori, secondo cui un operaio che lavora ad anno riceve di solito il vitto dal padrone, mentre il cottimista deve pro- curarselo da sè, se questa affermazione non è basarti soltanto su una loro « convinzione », ma anche sui fatti, la differenza sarà allora anche maggiore. In modo ben strano nel governatorato di Perm gli artigiani padroni assicurano ai loro operai « il cammino verso l’indipendenza»! Lo assicurano mediante la riduzione del • P. 50. Nello Studio non sono sommati i dati relativi alPammontarc del salario. ** I! salario deH’operaio ad anno è considerato pari a 100. 370 LENIN salario... Come vedremo, le oscillazioni dei periodi di lavoro non sono tanto grandi da giustificare questa differenza. È inol- tre interessante rilevare che il salario di un giornaliero rap- presenta il 66,7% della P a g a & un operaio ad anno. Quindi ogni giornaliero lavora in media circa otto mesi all’anno. È chiaro che qui sarebbe stato più giusto parlare di « temporaneo » allon- tanamento dalla produzione (se effettivamente i giornalieri si al- lontanassero dalla produzione e non fosse il padrone a lasciarli senza lavoro) che non dell’« elemento temporaneità dominante nel lavoro salariato» (p. 52). Ili « La successione fondata sul lavoro in seno all ' obstcina » Grande interesse presentano le notizie relative alla data di nascita dei laboratori raccolte dal censimento degli artigiani per quasi tutti i laboratori presi in esame. Ecco i dati generali: Laboratori fondati prima del 1845 640 nel 1845-1855 251 » 1855-1865 533 » 1865-1875 1.339 » 1875-1885 2.652 » 1 885-1895 3-469 Totale 8.884 Vediamo quindi che il periodo posteriore alla riforma ha dato uno sviluppo particolare all’industria artigiana. Le condizioni che hanno favorito questo sviluppo hanno agito e agiscono evi- dentemente in modo più vigoroso col passare del tempo, poiché di decennio in decennio si moltiplica il numero delle aziende. Questo fenomeno attesta in modo concreto la forza con cui si sviluppa fra i contadini la produzione mercantile, attesta il di- stacco dell agricoltura dall’industria, lo sviluppo del commercio e dell industria in generale. Diciamo: «distacco deiragricoltura dall industria », perche questo distacco comincia prima del distac- co di coloro che lavorano per l’agricoltura da coloro che lavorano IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 371 per l’industria: ogni azienda che produce per il mercato deter- mina uno scambio fra gli uni e gli altri. Sicché l’apparire di una azienda significa che il prodotto non viene più fabbricato in casa dagli agricoltori, ma acquistato sul mercato, e che quest’acquisto esige la vendita di prodotti agricoli da parte del contadino. L’au- mento del numero delle aziende commerciali e industriali signi- fica quindi un’accentuazione della divisione sociale del lavoro, base generale dell’economia mercantile e del capitalismo # . Nella letteratura populista si è espressa l’opinione che il rapido trasformarsi della piccola produzione in industria nel periodo po- steriore alla riforma è un fenomeno di carattere non capitalistico; si è detto che lo sviluppo della piccola produzione dimostra che que- sta produzione possiede forza e vitalità superiori a quelle della grande produzione (signor V.V.). Questo ragionamento è del tutto sbagliato. Lo sviluppo della piccola produzione nella campagna significa che compaiono nuove industrie, che nuove branche di lavorazione delle materie prime si staccano e formano dei settori indipendenti dell’industria, significa un progresso nella divisione sociale del lavoro — che è il processo iniziale del capitalismo — , mentre l’assorbimento dei piccoli laboratori da parte dei grandi significa che il capitalismo ha fatto un nuovo passo in avanti sulla via che conduce al trionfo delle sue forme superiori. La dif- fusione dei piccoli laboratori fra i contadini espande l’economia mercantile, prepara il terreno per il capitalismo (creando i pic- coli padroni e gli operai salariati), mentre l’assorbimento dei pic- coli laboratori da parte della manifattura e della fabbrica altro non è se non l’utilizzazione di questo terreno da parte del grande capitale. Il fatto che in un paese si svolgano simultaneamente questi processi in apparenza contraddittori, in realtà non contiene in se nessuna contraddizione: è del tutto naturale che il capitali- smo progredisca nella regione più evoluta del paese o nella branca più evoluta dell’industria, attirando i piccoli artigiani nella fab- brica meccanica, mentre nelle regioni più sperdute o nelle bran- che più arretrate dell’industria il processo di sviluppo del capi- * Pertanto, se gli attacchi del signor N.-on contro il « distacco dell'industria dal- l’agricoltura » non fossero soltanto platoniche lamentazioni di un romantico, egli dovrebbe dolersi della comparsa di ogni laboratorio artigiano. 37 2 LENIN talismo è ai suoi inizi e si manifesta con il sorgere di nuovi rami di produzione e di nuove industrie artigiane. La manifattura capitalistica « s’impadronisce della produzione nazionale solo in maniera molto frammentaria e che poggia sempre sull’artigia- na to urbano e sull’industria sussidiaria domestica rurale, che ne costituiscono l’ampio sfondo [ Hintergrund ]. Se la manifattura distrugge l’industria domestica rurale in una forma, in particolari branche di attività, in certi punti, la richiama poi in vita in altri punti, in altre branche e forme » {Das Kapital , I 2 , p. 779 88 ). I dati relativi alla data di nascita dei diversi lavoratori sono elaborati inadeguatamente nello Studio: essi si riferiscono sol- tanto a singoli distretti, e non sono raccolti per gruppi e sot- togruppi; mancano inoltre altre classificazioni (secondo le di- mensioni dei laboratori, le località in cui sono situati: in un centro artigiano o nei villaggi circostanti, ecc.). Non avendo rie- laborato i dati del censimento neppure in base ai gruppi e sot- togruppi da loro adottati, i populisti di Perm hanno ritenuto ne- cessario, anche a questo proposito, offrire al lettore sentenze che colpiscono per la loro mellifluità ultrapopulista e per... la loro assurdità. Gli statistici di Perm hanno scoperto che nella « forma artigianale di produzione » esiste una particolare « forma di suc- cessione » dei laboratori, e precisamente quella « fondata sul la- voro in seno zlYobstcina », mentre nell’industria capitalistica predomina «la successione nei beni patrimoniali»; che «la succes- sione fondata sul lavoro in seno a ÌYobstcina trasforma organi- camente l’operaio salariato in padrone indipendente» (xw 7 ), e si manifesta nel seguente modo: quando il padrone di un labora- torio muore senza lasciare eredi tra i familiari che lavorano, il la- boratorio passa a un’altra famiglia, « forse a un operaio salariato dello stesso laboratorio ». Inoltre « il possesso comune della terra as- sicura in uguale misura, sia al padrone di un’azienda artigiana che all’operaio salariato, la possibilità di essere o di diventare, in base al lavoro, degli artigiani indipendenti » (pp. 7, 68 e altre). Non mettiamo in dubbio che « il principio, valido nell’indu- stria artigiana, della successione fondata sul lavoro in seno al- 1 obstcìna », invenzione dei populisti di Perm, occuperà nella futura storia della letteratura un posto conveniente accanto alla IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 373 melata teoria dei signori V.V., N.-on e degli altri sulla « produ- zione popolare ». Le due teorie sono dello stesso stampo, entrambe imbellettano e deformano la realtà mediante frasi alla Manilov. Tutti sanno che i laboratori, i materiali, gli strumenti, ecc. degli artigiani costituiscono un patrimonio che è di loro proprietà, che viene trasmesso per eredità e non in base a un dato diritto pro- prio òtWob steina \ tutti sanno che Yobstcina non assicura affatto l’indipendenza non solo neH’industria, ma neppure nell’agricol- tura; che all’in terno stesso dell’ obsteina ha luogo lo stesso sfrut- tamento e la stessa lotta economica che esiste fuori di essa. Il semplice fatto che il piccolo padrone, avendo un piccolo capitale, è costretto a lavorare, e che l’operaio salariato può diventare pa- drone (naturalmente se sarà economo e frugale) — anche nello Studio vengono citati esempi a questo riguardo, a p. 69... — è stato trasformato nella singolare teoria del « principio della sue- - cessione fondata sul lavoro in seno all 'obsteina ». Tutti i teorici della piccola borghesia si sono sempre consolati pensando che nella piccola produzione l’operaio può diventare padrone, e i* loro ideali si sono sempre limitati a quello di trasformare gli operai in padroni. Lo Studio compie anche il tentativo di fornire « i dati sta- tistici che costatano il principio della successione fondata sul la- voro in seno all 'obsteina » (p. 45). I dati si riferiscono alla concia delle pelli: 90 concerie su 129 (ossia il 70%) sono sorte dopo il 1870, mentre nel 1869 se ne contavano 161 (secondo « il prospetto dei centri abitati »), e 153 nel 1895. Nel fatto che l’azienda è passata da alcune famiglie ad altre si ravvisa il « principio della succes- sione fondata sul lavoro in seno a W'obsteina». Va da se che sarebbe semplicemente ridicolo polemizzare contro questo desi- derio di scorgere un « principio » speciale nel fatto che i piccoli laboratori vengono aperti e chiusi facilmente, e facilmente pas- sano di mano in mano, ecc. A proposito deirindustria della concia in particolare aggiungiamo che, in primo luogo, i dati relativi alla nascita dei laboratori dimostrano che quest’industria si è svilup- pata in modo considerevolmente più lento delle altr^, e che, in se- condo luogo, il confronto tra il 1869 e il 1895 non offre assolu- tamente nessuna garanzia, perchè il concetto di « conceria arti- giana » viene costantemente confuso col concetto di « stabilimento 374 LENIN per la concia». Nel governatorato di Perm tra il 1860 e il 1870, nella grande maggioranza degli « stabilimenti per la concia » (se- condo la statistica delle fabbriche e delle officine) il volume della produzione era inferiore ai mille rubli (cfr. Egegodni ministerstva finansov *, parte I, Pietrobitfgo, 1869. Tabelle e note), mentre fra il 1890 e il 1900, da una parte, le concerie con una produzione in- feriore ai 1.000 rubli sono state escluse dalla categoria delle fabbri- che e officine e, d’altra parte, fra le « concerie artigiane » sono stati inclusi molti stabilimenti con una produzione superiore ai 1.000 ru- bli e sono state incluse fabbriche con una produzione di 5.000-10.000 rubli e più (p! 70 dello Studio ; pp. 149, 150 delle tabelle). Data que- st’assoluta mancanza di precisione nel distinguere la conceria arti- giana dallo stabilimento per la concia, quale importanza possono avere i dati comparati del 1869 e del 1895? In terzo luogo, anche se fosse vero che il numero delle concerie artigiane è diminuito, non po- trebbe ciò significare che sono stati chiusi molti piccoli laboratori, al cui posto sono sorti gradualmente laboratori più grandi? O forse una 'simile «sostituzione» sarebbe una conferma del «principio della successione fondata sul lavoro in seno alYobstcinaì ». Il colmo dei colmi è poi che tutte queste frasi melate sul « principio delFeredità », sulF« indipendenza del lavoro assicurata in seno al Yobstcina», ecc. vengono dette precisamente a propo- sito dell’industria della concia, dove gli artigiani agricoltori costi- tuiscono il tipo più puro del piccolo borghese (cfr. più avanti), e che e concentrata in grandissima misura in tre grandi stabilimenti (fabbriche), che vengono inclusi nella stessa categoria degli arti- giani insieme agli artigiani individuali e ai remeslennihj. Ecco i dati relativi a questa concentrazione. Quest’industria abbraccia complessivamente 148 laboratori. Vi lavorano 267 operai membri della famiglia -f- 172 operai salariati “ * 439* H valore della produzione ammonta a 15 1.022 rubli. Il red- dito netto ammonta a 26.207 rubli, compresi i 3 laboratori che hanno zero operai membri della famiglia + 65 operai salariati = 65. Il valore della produzione ammonta a 44.275 rubli e il reddito netto a 3.391 rubli (p. 70 del testo e pp. 149 e 150 delle tabelle). Annuario del ministero delle finanze (N.d.R.). IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 375 Ossia in tre laboratori su 148 (« solo il 2,1 °/ 0 », come dice lo Stu- dio a p. 76 per rassicurare il lettore ) è concentrato quasi un terzo della produzione complessiva dell’* industria artigiana della con- eia », il che procura ai padroni redditi di migliaia di rubli, senza che essi partecipino in alcun modo alla produzione. Vedremo in se- guito che anche per altre industrie si danno esempi altrettanto curiosi. Ma nel descrivere l’industria della concia gli autori dello Sludio si sono soffermati sui tre laboratori indicati, come se si trattasse di un’eccezione. Di uno di essi dicono che il padrone (agricoltore!) « si interessa evidentemente soltanto delle operazioni commerciali, avendo negozi di pellami nel villaggio di Bieloiarskoie e nella città di Iekaterinburg » (pp. 76-77). Piccolo esempio, questo, del modo come il capitale investito nella produzione si unisce col capitale investito nel commercio. Ne prendano atto gli autori dello Studio , che raffigurano i « kulak » e le operazioni commerciali co- me qualcosa di estraneo, separato dalla produzione! In un altro laboratorio la famiglia è composta da cinque persone di sesso maschile, ma nessuna di esse lavora : « il padre si occupa del com- mercio dei suoi prodotti, ma i figli (che hanno da 18 a 53 anni), che sanno tutti leggere e scrivere, hanno scelto probabilmente strade diverse, più attraenti del lavoro di spostare le pelli da un bottale all’altro e di risciacquarle» (p. 77). Gli autori ammettono magnanimamente che questi laboratori « hanno un carattere capi' talistico », « ma alla domanda : in che misura l’avvenire di questi laboratori sarà retto dai principi della successione nei beni patrimo- niali, rispondono: soltanto l’avvenire potrà dare una risposta defi- nitiva » (p. 76). Quale profondità di pensiero! « Alla domanda sul- l’avvenire potrà rispondere soltanto l’avvenire». Sacrosanta verità! Ma è forse questo un motivo sufficiente per snaturare il presente? ARTICOLO SECONDO (IV. L’agricoltura degli « artigiani — V. Laboratori grandi e piccoli — Redditi degli artigiani ). IV L’agricoltura degli « artigiani » Il censimento ha raccolto dati interessanti suireconomia agri- cola degli artigiani padroni e piccoli padroni. Ecco i dati ‘ di- stinti nello Studio in sottogruppi : Sottogruppi Per ogni famiglia Percentuale delle famiglie seminativi desiatine cavalli* vacche * senza cavalli senza vacche 1° produttori di merci 7.1 2.1 3.2 7,4 5 2° r emetlenniki 6,2 1,9 2.1 9,0 6 3° che lavorano per gli skupsiciki 4,5 1.4 1,3 61,0 13 Totale 6,3 1,8 2,0 9,5 6 Quindi quanto più gli artigiani sono benestanti come indu- striali tanto più sono agiati come agricoltori. Quanto più modesta # Nelle cifre fornite dallo Studio vi è un evidente refuso (cfr. p. 58) da noi corretto. 378 LENIN è la loro funzione neirindustria, tanto peggiore è la loro situa- zione come agricoltori. I dati del censimento dell’industria arti- giana confermano pienamente l’opinione già espressa in varie pubbli- cazioni che la disgregazione degli artigiani nell’industria procede di pari passo con la disgregazione di quegli stessi artigiani come agricol- tori (A. Volghin, I fondamenti del populismo , ecc., p. 211 e sgg.). E poiché gli operai salariati che lavorano per gli artigiani vi- vono in una situazione peggiore (o non migliore) di coloro che lavorano per gli s\upstci\i y abbiamo ragione di concludere che tra di essi il numero degli agricoltori andati in rovina è ancor più alto. Come abbiamo già rilevato, il censimento per fuoco ha escluso gli operai salariati. In ogni caso, già i dati riportati dimostrano in modo lampante quanto sia spassosa l'affermazione dello Studio , secondo la quale « il possesso comune della terra garantisca in pari misura sia al padrone di un’azienda artigiana che all’operaio sa- lariato la possibilità di essere o di diventare, in base al lavoro, degli artigiani indipendenti ». La mancanza di dati particolareggiati suireconomia agricola degli artigiani individuali, dei piccoli e grandi padroni, sminuisce sensibilmente il valore dei dati esaminati. Per colmare almeno par- zialmente questa lacuna, dobbiamo ricorrere ai dati concernenti le singole industrie; qualche volta si trovano notizie sul numero degli operai agricoli impiegati dai padroni*, ma non esiste nello Studio un compendio generale di questi dati. I conciatori agricoltori hanno 131 aziende. Essi impiegano 124 operai agricoli salariati; ogni azienda ha 16,9 desiatine di semi- nativo, 4,6 cavalli e 4,1 vacche (p. 71). Gli operai salariati (73 fissi e 51 stagionali) ricevono salari che ammontano a 2.492 rubli, ossia a 20,1 rubli a testa, mentre il salario medio dell’operaio occupato nell industria della concia è di 52 rubli. Anche qui si osserva pertanto un fenomeno comune a tutti i paesi capitalistici, si riscontra cioè che la situazione degli operai è peggiore nel- 1 agricoltura che nell’industria. Gli « artigiani » conciatori rap- È noto che spesso gli operai industriali che lavorano presso un contadino sono costretti a eseguire lavori agricoli. Cfr. Ind. arU y ecc., Ili, p. 7. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 379 presentano evidentemente il tipo più puro di borghesia contadina, e la famosa « unione deirindustria artigiana con l’agricoltura tanto decantata dai populisti, consiste nel fatto che i padroni agiati di aziende commerciali e industriali trasferiscono il capitale dal commercio e dall’industria nell’agricoltura, pagando ai loro operai agricoli salari estremamente bassi*. Prendiamo gli artigiani produttori di olio. Di essi 173 sono agricoltori. Ogni azienda dispone di 10,1 desiatine di seminativo, di 3,5 cavalli e di 3,3 vacche. Non vi sono aziende senza cavalli e senza vacche. Gli operai agricoli fìssi e stagionali sono 98 e ricevono salari ammontanti a 3.438 rubli, ossia 35,1 rubli a testa. « La sansa, che si ottiene dalla lavorazione dell’olio, è il miglior mangime per il bestiame, sicché è possibile concimare in maggior misura i campi. L’azienda trae quindi un triplice vantaggio dall’in- dustria artigiana: il reddito derivante direttamente da quest’in- dustria, il reddito che proviene dal bestiame e un raccolto migliore » (p. 164). « L’agricoltura viene da loro praticata [dai produttori di olio] su larga scala; molti, non contenti dei loro appezzamenti, prendono in affitto terra da aziende povere » (p. 168). I dati relativi alla superfìcie coltivata a lino e a canapa nei singoli distretti dimo- strano l’esistenza di una « certa relazione fra l’estensione delle superfici seminate a lino e a canapa e la diffusione della industria artigiana dell’olio nei distretti del governatorato > (p. 170). Le cosiddette aziende agricole tecniche, il cui sviluppo carat- terizza sempre il progresso deH’agricoltura capitalistica e com- merciale, sono quindi in questo caso aziende commerciali e in- dustriali. Prendiamo i mugnai padroni. La maggior parte sono agri- coltori: 385 su 421. Ogni azienda dispone di n desiatine di semina- • Nell’agricoltura l'operaio stagionale riceve sempre più della metà del salario annuo. Ammettiamo che qui gli operai stagionali ricevano soltanto la metà della paga del salariato fìsso. In tal caso la paga del salariato fìsso sarà 2.492: (73 + 51/2) = 25,5 rubli. Secondo i dati del dipartimento dell’agricoltura, nel governatorato di Perm il salario medio di un decennio (1881-1891) del salariato agricolo fisso che riceve anche il vitto dal padrone è di 50 rubli. 25 -573 38° LENIN tivo, di 3 cavalli e 3,5 vacche. Gli operai agricoli salariati sono 307 e ricevono salari che ammontano a 6.211 rubli. Come la produ- zione di olio, anche « la produzione di farina è per i padroni dei mulini un mezzo per vendere sul mercato i prodotti della propria azienda nella forma più vantaggiosa » (p. 178). Mi pare che questi esempi siano assolutamente sufficienti per di- mostrare quanto sia assurdo considerare T« artigiano agricoltore » come qualcosa di omogeneo e immutabile. Tutti gli agricoltori di cui abbiamo parlato sopra sono rappresentanti deiragricoltura pic- colo-borghese, e metterli in un sol mucchio con gli altri contadini, compresi i contadini andati in rovina, significa voler occultare i tratti più caratteristici della realtà. A conclusione della descrizione dell’industria artigiana del- l’olio, i compilatori dello Studio tentano di polemizzare contro la « dottrina capitalistica », secondo cui la differenziazione dei contadini è evoluzione del capitalismo. Questa tesi, secondo loro, si fonda sull’« affermazione assolutamente arbitraria che la diffe- renziazione dei contadini è il risultato di un periodo più recente ed è un indizio palese del rapido sviluppo de facto del regime capitalistico nell’ambiente contadino, nonostante resistenza de jure del possesso comune della terra » (p. 176). Gli autori obiettano che Yobstcina non ha mai escluso e non esclude le differenze nel patrimonio, ma che essa «non le consolida, non crea classi»; obiettano che «queste differenze passeggere, anziché acuirsi con l’andar del tempo, si sono gradualmente attenuate » (p. 177). Natu- ralmente, una simile affermazione, a cui sostegno vengono ad- dotte le artel (ne parleremo in seguito, § VII), le spartizioni per famiglia (sic!) e le ripartizioni della terra (!), può soltanto susci- tare ilarità. Definire «arbitraria» la tesi suìl’accentuarsi e l’esten- dersi della differenziazione dei contadini, significa ignorare fatti universalmente noti: una gran massa di contadini resta priva di cavalli e abbandona la terra, mentre, al tempo stesso, ci sono fatti comprovanti il « progresso tecnico dell’economia contadina » (vedi Correnti progressive nell economia contadina del signor V. V.); si moltiplicano i casi di cessione e le ipoteche sui nadiel contadini, mentre aumenta 1 affitto; aumenta il numero delle aziende com- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 3 8! merciali e industriali, mentre aumenta anche il numero di coloro che vivono di lavori non agricoli, degli operai salariati senza domi- cilio fisso, ecc. ecc. Il censimento per fuoco degli artigiani avrebbe dovuto fornire una ricca documentazione sul problema estremamente interes- sante del rapporto fra i redditi e i guadagni degli artigiani agri- coltori da una parte e i redditi degli artigiani non agricoltori dall’altra. Nelle tabelle c’erano tutti i dati di questo genere, ma nello Studio mancava la tabella riassuntiva; pertanto siamo stati costretti a compilarne una, servendoci dei dati del volume. La nostra tabella riassuntiva si fonda, in primo luogo, sulle tabelle che lo Studio fornisce per ciascuna industria artigiana. Ci siamo quindi limitati a riunire i dati relativi alle diverse industrie. Ma nelle tabelle del libro non tutte le industrie erano comprese. Tal- volta abbiamo dovuto convincerci che esse contenevano errori redazionali o refusi, conseguenza naturale della mancanza di totali di controllo. La nostra tabella è fondata, in secondo luogo, su una scelta di dati numerici desunti dalla descrizione di alcune industrie artigiane. In terzo luogo, in assenza di queste due fonti, siamo ricorsi direttamente alle tabelle (per esempio, a proposito deir« industria estrattiva >, ultima nell’elenco). È ovvio che, data l’eterogeneità del materiale, la nostra tabella non può non con- tenere errori e inesattezze. Riteniamo tuttavia che, sebbene le cifre complessive della nostra tabella non coincidano con quelle date nel volume, le conclusioni tratte possono servire pienamente allo scopo, poiché le grandezze medie e i rapporti (di cui ci avvaliamo soltanto per le conclusioni) muterebbero in misura insignificante nel caso di una correzione. Per esempio, il reddito globale per ogni operaio è, secondo i risultati delle tabelle dello Studio , di 134,8 rubli; secondo la nostra di 133,3 rubli. Il reddito netto per ogni operaio membro della famiglia è rispettivamente di 69 e di 68 rubli. Il salario di un operaio salariato è di 48,7 rubli e di 48,6 rubli. Ecco i risultati della nostra tabella, che determinano il reddito globale, il reddito netto e il salario degli operai secondo i gruppi e sottogruppi: Numero degli operai :82 LENIN Totale del II gruppo IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 383 Ecco le conclusioni principali che si possono trarre dalla tabella : 1) La popolazione artigiana non agricola prende parte alla produzione artigiana in misura incomparabilmente maggiore (in rapporto al suo numero) di quella agricola. Quanto al numero de- gli operai, esso è per i non agricoltori circa la metà di quello che è per gli agricoltori. Quanto alla produzione globale, i primi ne for- niscono quasi la metà: 1.276.772 rubli su 2.655.007, cioè il 48,1 %. Quanto al reddito ricavato dalla produzione, ossia per il reddito netto dei padroni più il salario degli operai salariati, i non agricoltori superano persino gli agricoltori, con un reddito di 647.666 rubli su 1.260.335, P ar i a l 5 M%- Risulta pertanto che gli artigiani non agricoltori, pur essendo inferiori per numero, non sono inferiori agli agricoltori per il volume della produzione. È questo un fatto molto importante per valutare la dottrina populista tradizionale, secondo cui l’agricoltura è la « base principale » della cosiddetta industria artigiana. Da questo fatto scaturiscono naturalmente anche altre con- clusioni : 2) La produzione globale dei non agricoltori (reddito globale) per ogni operaio è considerevolmente più elevata di quella degli agricoltori: 192,2 rubli contro 103,8, ossia quasi il doppio . Come vedremo, il periodo di lavoro dei non agricoltori è più lungo di quello degli agricoltori, ma questa differenza non è affatto grande, sicché la più elevata produttività del lavoro dei non agricoltori non può essere messa in dubbio. Questa differenza raggiunge il minimo nel sottogruppo 3, fra gli artigiani che lavorano per gli s\upstciì{i\ cosa assdlutamente naturale. 3) Il reddito netto dei padroni e dei piccoli padroni non agricoltori è piti del doppio di quello degli agricoltori: 113,0 rubli contro 47,1 rubli (quasi due volte e mezzo). Questa differenza si riscontra in tutti i sottogruppi, ma è più accentuata nel sotto- gruppo 1, tra gli artigiani che lavorano per il mercato. S’intende che neppure questa differenza può essere spiegata con la diversa durata del periodo di lavoro. Non v’è dubbio che essa dipende dal fatto che il legame con la terra riduce il reddito degli artigiani; il mercato tiene conto del reddito che gli artigiani ricavano dal- l’agricoltura, e gli artigiani agricoltori sono costretti ad acconten- 3 8 4 LENIN tarsi di un guadagno molto basso. A ciò si aggiungono probabil- mente le gravi perdite che subiscono gli agricoltori quando ven- dono i loro prodotti, le spese elevate che essi sostengono per pro- curarsi le materie prime e la maggiore dipendenza dai commer- cianti. Comunque, è un fatto che il legame con la terra riduce il reddito dell’ artigiano. Non ce bisogno di insistere troppo sul- Timmensa importanza di questo fatto, che spiega il significato reale del « potere della terra * nella società moderna. Basti ram- mentare quale grande peso ha il ba$so livello del salario sulla conservazione di metodi di produzione schiavistici e primitivi, sul ritardo deirimpiego delle macchine e sulTabbassamento del tenore di vita degli operai *. 4) La retribuzione degli operai salariati è dappertutto più elevata presso i non agricoltori che presso gli agricoltori, ma questa differenza non è affatto così grande come per i redditi dei padroni. Nella media di tutti e tre i sottogruppi, Toperaio salariato guadagna presso un padrone agricoltore 43 rubli, presso un non agricoltore 57,8 rubli, cioè un terzo di più. Questa differenza può dipendere in misura considerevole (ma non interamente) dalla diversa durata del periodo di lavoro. Quanto al rapporto esistente tra questa differenza e il legame con la terra, non possiamo dir nulla, perchè non disponiamo dei dati relativi agli operai salariati agricoltori e non agricoltori. Oltre airinfluenza del periodo di lavoro qui, naturalmente, si fa sentire anche Tinfluenza del diverso grado di esigenze. 5) La differenza tra il reddito dei padroni e il salario degli operai salariati è incomparabilmente maggiore tra i non agri* • Osserviamo, in rapporto a quest’ultimo (ma primo per importanza) punto, che lo Studio non contiene dati relativi al tenore di vita degli agricoltori e dei non agricoltori. Ma altri studiosi hanno costatato, anche per il governatorato di Perm, questo fenomeno consueto: il tenore di vita degli artigiani non agri- coltori e incomparabilmente più elevato di quello degli agricoltori « comuni ». Cfr. Resoconti e ricerche sull artigianato in Russia^ Ed. del ministero dell’agricol- tura c del demanio, voi. Ili, articolo di Egunov. L’autore rileva che in alcuni villaggi privi di terra il tenore di vita è assolutamente «urbano»; dice che l’arti- giano non agricoltore aspira a vestirsi e a vivere « da uomo » (abito di foggia europea, compresa la camicia inamidata; samovar; grande consumo di tè, zuc- c ero, pane bianco, carne, ecc.). L’autore si basa sui bilanci delle pubblicazioni statistiche degli zemstvo. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 385 coltori che tra gli agricoltori: nella media di tutti e tre i sotto- gruppi dei non agricoltori, il reddito del padrone è quasi il doppio della paga del salariato (113 rubli contro 57,8), mentre tra gli agricoltori il reddito del padrone supera i salari in misura insi- gnificante: 4,1 rubli (47,1 e 43,0)! Queste cifre sono sorprendenti, ma dobbiamo dire che lo sono ancor più quelle riguardanti i reme - slennif{i agricoltori (I, 2), tra i quali il reddito dei padroni è più basso del salario degli operai! Tuttavia questo fenomeno diverrà pienamente comprensibile quando riporteremo i dati che mo- strano lenorme differenza tra il reddito dei grandi e quello dei piccoli laboratori. I grandi laboratori, elevando la produttività del lavoro, offrono la possibilità di pagare un salario che supera il reddito degli artigiani poveri, ossia degli artigiani individuali, la cui « indipendenza » è assolutamente fittizia, perchè essi sono sog- getti al mercato. Questa considerevole differenza fra i redditi dei grandi e dei piccoli laboratori si manifesta in entrambi i gruppi, ma soprattutto tra gli agricoltori (a causa della maggiore sogge- zione dei piccoli artigiani). La differenza minima tra il reddito del piccolo padrone e il salario deiroperaio mostra concretamente che il reddito del piccolo artigiano agricoltore, che non impiega operai salariati, non è più elevato e spesso è più basso del salario dell’operaio salariato. Infatti il reddito netto del padrone (47,1 rubli per ogni operaio membro della famiglia) è il reddito medio per tutti i laboratori, grandi e piccoli, per i fabbricanti e per gli artigiani individuali. Si comprende che la differenza tra il reddito netto del grande padrone e la paga deiroperaio salariato non è di 4 rubli, ma di 10-100 volte superiore; ciò significa che il reddito del piccolo artigiano individuale è di molto inferiore a 47 rubli, ossia non solo non è più elevato, ma spesso è più basso della paga delloperaio salariato. I dati del censimento degli artigiani relativi alla suddivisione dei laboratori secondo il loro reddito netto (cfr. più avanti, § V) confermano pienamente questa conclusione, che è in apparenza paradossale. Ma questi dati si riferiscono a tutti i laboratori in generale, senza alcuna distinzione tra artigiani agri- coltori e non agricoltori, e proprio per questo è per noi particolar- mente importante il risultato della tabella sopra riportata: da essa abbiamo appreso che i guadagni più bassi spettano appunto agli 3 86 LENIN agricoltori, e che il « legame con la terra » riduce di molto il guadagno. Quando abbiamo parlato della differenza tra i redditi degli agricoltori e quello dei non agricoltori, abbiamo detto che non è possibile spiegare questa differenza con la diversa durata del periodo di lavoro. Esaminiamo adesso i dati che su questo pro- blema ci dà il censimento degli artigiani. Il censimento, come ab- biamo appreso dall’* introduzione », si proponeva di svolgere un’in- dagine « sull’intensità della produzione nel corso di un anno, in base al numero degli operai membri della famiglia e degli operai salariati occupati nella produzione nei singoli mesi » (p. 14). Poiché il censimento è stato fatto per fuoco, ossia ogni azienda è stata censita separatamente (purtroppo, allo Studio non è annesso il modello del questionario distribuito ai capifamiglia), dobbiamo supporre che per ciascun laboratorio sono stati raccolti i dati rela- tivi al numero degli operai mese per mese o i dati relativi al numero dei mesi di lavorò in un anno per ogni laboratorio. Questi dati sono riassunti nello Studio in una tabella unica (pp. 57, 58), nel- la quale per ogni sottogruppo di entrambi i gruppi è indicato il numero degli operai (sia membri della famiglia che salariati) occu- pati in ogni mese dell’anno. Il tentativo del censimento del 1894-1895 di stabilire con tanta precisione il numero dei mesi di lavoro degli artigiani è estrema- mente istruttivo e interessante. In effetti, senza queste informa- zioni i dati sui redditi e sui salari sarebbero stati incompleti, e le conclusioni tratte dai calcoli statistici sarebbero state approssima- tive. Ma purtroppo i dati sul periodo di lavoro sono stati elaborati in modo del tutto insufficiente: oltre alla citata tabella generale, sono riportati soltanto i dati per alcune industrie artigiane sul numero degli operai mese per mese, talvolta con la suddivisione in gruppi, talvolta senza questa suddivisione; la divisione in sot- togruppi non viene data per nessuna industria. Su questo pro- blema sarebbe stato particolarmente importante classificare a parte i grandi laboratori, poiché abbiamo il diritto di supporre — tanto a priori quanto in base ai dati di altre statistiche dell’industria artigiana che i periodi di lavoro sono diversi presso i piccoli e i grandi artigiani. Inoltre, è evidente che nella stessa tabella di IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 387 p. 57 sono sfuggiti errori redazionali o refusi (per esempio, nei mesi: febbraio, agosto, novembre; i dati della seconda e terza co- lonna del gruppo II sono stati evidentemente scambiati tra loro, perchè gli operai del sottogruppo 3 sono più numerosi 'di quelli del sottogruppo 2). Ma anche se si correggono queste inesattezze (correzione talvolta approssimativa), la tabella suscita non poche perplessità, e sarebbe arrischiato servirsene. Infatti se esaminiamo i dati della tabella per i sottogruppi, vediamo che nel sottogruppo 3 (gruppo I) il numero degli operai occupati raggiunge il massimo in dicembre con 2.91 1 operai. Ora lo Studio ritiene che nel sotto- gruppo 3 vi siano complessivamente 2.551 operai. Lo stesso si ve- rifica nel sottogruppo 3 del II gruppo: il massimo è di 3.221, ma il numero reale degli operai è di 3.077. Viceversa, nei sottogruppi il massimo di operai occupati in uno dei mesi è inferiore al numero reale degli operai. Come si spiega questo fenomeno? Col fatto che non sono stati raccolti i dati relativi a tutti i laboratori? È molto probabile, ma lo Studio non dice nulla al riguardo. Nel sottogruppo 2 del gruppo II non solo il massimo degli operai (febbraio) è maggiore del numero reale degli operai (1.882 rispetto a 1.163), ma anche la media degli operai occupati in un mese (ossia la quota ot- tenuta dividendo per 12 la somma degli operai occupati in 12 mesi) è superiore al numero reale degli operai (1.265 rispetto a 1.163)! Ci si domanda quale numero gli statistici hanno considerato reale: la media per un anno, la media per un periodo determinato (ad esempio, per Tinverno) o il numero degli operai in un determi- nato mese deiranno? L'analisi dei dati relativi al numero degli operai occupati mensilmente nelle diverse industrie artigiane non ci aiuta a dissipare tutti questi dubbi. Nella maggior parte delle 23 industrie di cui vengono riferiti i dati, il massimo di operai oc- cupati in uno dei mesi dell’anno è inferiore al numero reale degli operai. In due industrie questo massimo è superiore al numero reale degli operai: in quelle del ramaio (239 rispetto a 233) e del fabbro (gruppo II: 1.811 rispetto a 1.269). due industrie il mas- simo è pari al numero reale degli operai (fabbricazione di corde e produzione di olio, gruppo II). In queste condizioni è impossibile avvalersi dei dati sulla ri- partizione mensile degli operai per confrontarli con l’ammontare 3 88 LENIN del salario, col numero reale degli operai, ecc. Non resta, quindi, che utilizzare questi dati in senso assoluto, e confrontare nei vari mesi il massimo e il minimo degli operai occupati. Così si pro- cede nello Studio , ma lo si fa comparando i singoli mesi. Noi cre- diamo più giusto confrontare l’inverno e Testate: così è possibile vedere in quale misura l’agricoltura distoglie gli operai dal lavoro artigiano. Se consideriamo come normale il numero medio degli operai occupati d’inverno (ottobre-marzo), e commisuriamo ad esso il numero degli operai occupati in estate, otteniamo il numero dei mesi lavorativi estivi. La somma dei mesi invernali e estivi ci dà il numero dei mesi lavorativi in un anno. Spieghiamoci con un esempio. Nel sottogruppo i del I gruppo in sei mesi invernali sono occupati 18.060 operai, ossia in un mese invernale sono occu- pati in media (18.060: 6) 3.010 operai. D’estate ne sono occupati 12.345, ossia il periodo di lavoro estivo è di (12.345: 3.010) 4,1 mesi. Quindi il periodo di lavoro del sottogruppo 1 del I gruppo è di 10,1 mesi alTanno. Questo modo di elaborare i dati ci è sembrato il più giusto e il più appropriato. Il più giusto perchè è fondato sul confronto tra i mesi invernali e quelli estivi, e quindi stabilisce con precisione in quale misura gli operai sono distolti dall’artigianato per Tagricol- tura. Che si sia fatto bene a scegliere i mesi invernali è confermato dal fatto che da ottobre a marzo il numero degli operai di entrambi i gruppi è superiore al numero medio annuo. Precisamente tra set- tembre e ottobre il numero degli operai aumenta maggiormente, e precisamente tra marzo e aprile diminuisce maggiormente. Del resto, se si fossero scelti altri mesi, le conclusioni sarebbero cam- biate di poco. Pensiamo di aver seguito il metodo più adatto perchè il periodo di lavoro viene espresso nel modo più preciso, consen- tendo così di fare sotto questo rapporto un confronto tra i gruppi e i sottogruppi. Ecco i dati ottenuti con l’applicazione del nostro metodo : Gruppo I In Gruppo II In Per , . j. entrambi sottogruppi med,a sottogruppi media i gruppi 1 2 3 123 Periodo di lavoro (in mesi) 10,1 9,6 10,5 io,< ,0 10,0 10,4 10,9 10,5 10,2 IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 3 8 9 Questi dati portano alla conclusione che la differenza tra agricoltori e non agricoltori, per ciò che riguarda il periodo di lavoro, è minima : il periodo di lavoro dei non agricoltori è supe- riore soltanto del 5%. Ma proprio perchè questa differenza è mi- nima nasce il dubbio che le cifre npn siano esatte. Per controllarle, abbiamo fatto alcuni calcoli e riassunto del materiale disperso nel volume e siamo giunti alle seguenti conclusioni : Lo Studio riferisce i dati relativi alla ripartizione mensile degli operai in 23 industrie artigiane su 43; inoltre per 12 (13)* ** indu- strie i dati sono divisi per gruppi, per io mancano. Risulta che in tre industrie (produzione di pece e catrame, candeggiatura e pro- duzione di laterizi) il numero degli operai è maggiore in estate che in inverno: nei sei mesi invernali sono occupati complessi- vamente 1.953 operai per tutte e tre le industrie, e nei sei estivi 4.918. In queste industrie il numero degli agricoltori supera di molto quello dei non agricoltori, costituendo 1*85,9% del nu ' mero complessivo delle persone occupate. È chiaro che mettere insieme nei risultati generali per gruppi queste industrie, per così dire, estive, e le altre è assolutamente sbagliato, poiché equivale a unire cose eterogenee e ad accrescere artificialmente il numero degli operai estivi occupati in tutte le industrie. Esistono due modi di correggere Terrore che ne deriva. Il primo consiste nel defal- care i dati concernenti le tre industrie dalle cifre riassuntive del I e del II gruppo riportate nello Studio Si ottiene così un periodo di lavoro di 9,6 mesi per il gruppo I e di 10,4 mesi per il II. Qui la differenza fra i due gruppi è maggiore, ma tuttavia poco rile- vante: 8,3%, Il secondo modo di correggere Terrore consiste nel raggruppare i dati relativi alle 12 industrie, per le quali lo Studio riporta i dati sulla distribuzione degli operai per mese, separata- mente per il I e per il II gruppo. Questo raggruppamento com- prenderà il 70% del numero complessivo degli artigiani, e inoltre il paragone tra il I e il II gruppo sarà più corretto. È risultato che in queste 12 industrie il periodo di lavoro è di 8,9 mesi per il I * La produzione di stuoie ha soltanto il gruppo I. ** Prendendo come valore normale l’8 5,9 % per il I, la distribuzione degli operai in queste tre industrie tra il I e il II gruppo c fatta in modo approssi- mativo. LENIN 590 gruppo e di 10,7 mesi per il II gruppo; per entrambi i gruppi la media generale è di 9,7 mesi. Qui il periodo di lavoro dei non agri- coltori supera del 20,2% quello degli agricoltori. Destate gli agricoltori sospendono il lavoro per 3,1 mesi, i non agricoltori sol- tanto per 1,3 mesi. Anche se prendiamo come valore normale il rapporto massimo tra i periodi di lavoro nel II e nel I gruppo, risulterà che non soltanto la differenza fra la produzione globale fornita dagli operai del I e del II gruppo, o tra il reddito netto dei rispettivi laboratori, ma persino la differenza fra il salario degli operai che lavorano presso gli agricoltori e quello degli operai che lavorano presso i non agricoltori non può essere spiegata con la diversa durata dei periodi di lavoro. Quindi rimane pienamente va- lida la conclusione tratta sopra che il legame con la terra riduce il guadagno degli artigiani. Bisogna pertanto considerare sbagliata Topinione dei compila- tori dello Studio , i quali vorrebbero spiegare la differenza tra il guadagno degli agricoltori e quello dei non agricoltori con la di- versa durata dei periodi di lavoro. Il loro errore deriva dal fatto che essi non hanno tentato di esprimere la differenza dei periodi di lavoro in cifre esatte, e questo li ha tratti in inganno. Per esempio, a p. 106 dello Studio si dice che la differenza tra i gua- dagni dei pellicciai agricoltori e dei pellicciai non agricoltori « è determinata principalmente dal numero delle giornate lavorative dedicate a quest’industria ». Ma in quest’industria i redditi dei non agricoltori superano quelli degli agricoltori di 2-4 volte (ad ogni operaio membro della famiglia nel sottogruppo 1 spettano ri- pettivamente 65 e 280 rubli; nel sottogruppo 2, 27 e 62 rubli), mentre il periodo di lavoro dei non agricoltori è superiore soltanto del 28,7% (8,5 mesi contro 6,6). La diminuzione del guadagno derivante dal legame con la terra non poteva sfuggire neppure ai compilatori dello Studio , i quali tuttavia l’hanno espressa con la consueta formula populista della « superiorità » della forma artigianale su quella capitalistica : «Unendo l’agricoltura con l’artigianato, l’artigiano... può vendere i propri prodotti a un prezzo più basso degli articoli prodotti in fabbrica » (p. 4); può, in altri termini, accontentarsi di un guada- gno minore. Ma dov’e la « superiorità » del legame con la terra, IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 391 se il mercato domina ormai su tutta la produzione del paese al punto da poter tener conto di questo legame e ridurre il guadagno dell’artigiano agricoltore? Se il capitale sa avvalersi di questo «le- game » per premere maggiormente sull’àrtigiano agricoltore, che ha minori possibilità di difendersi, di scegliere un altro padrone, un altro cliente, un’altra occupazione? La riduzione del salario (e del guadagno derivante dall’artigianato in generale) nel caso in cui l’operaio (e il piccolo artigiano) possegga un pezzetto di terra è un fenomeno comune a tutti i paesi capitalistici, un fenomeno ben noto a tutti gli imprenditori che da molto tempo apprezzano l’enorme « superiorità » degli operai legati alla terra. Però nel pu- trido Occidente le cose vengono chiamate col loro nome, mentre da noi la riduzione del guadagno, l’abbassamento del tenore di vita dei lavoratori, il ritardo nell’impiego delle macchine, l’accen- tuazione di ogni forma di asservimento vengono chiamati « supe- riorità » della « produzione popolare », « che unisce l’agricoltura all’artigianato »... Concludendo l’analisi dei dati del censimento degli artigiani del 1894-1895 sul periodo di lavoro, non possiamo non esprimere anche qui il nostro rammarico per la mancanza di elaborazione dei dati ottenuti e non possiamo fare a meno di augurarci che l’insuccesso non sconforti gli altri studiosi dell’interessante problema. Il me- todo di ricerca — la determinazione del modo come la forza-lavoro è distribuita ogni mese — bisogna riconoscerlo, è scelto bene. Ab- biamo già riportato i dati concernenti il periodo di lavoro distinti in gruppi e sottogruppi. Per i dati dei gruppi abbiamo potuto ef- fettuare un certo controllo. Sono invece assolutamente incontrol- labili i dati dei sottogruppi, poiché nel libro manca qualsiasi noti- zia sulla diversa durata del periodo di lavoro per i vari sottogruppi. Pertanto, esponendo questi dati, dobbiamo osservare che non pos- siamo garantirne l’assoluta esattezza, e se tuttavia continuiamo a trarre delle conclusioni, lo facciamo soltanto per sollevare il pro- blema e per richiamare su di esso l’attenzione degli studiosi. Una delle conclusioni più importanti è che nei gruppi I e II la diffe- renza tra i periodi di lavoro è minima nel sottogruppo 1 sol- tanto dell’i%: 10,1 e 10,0 mesi), ossia gli artigiani più agiati e gli agricoltori più facoltosi sono distolti dal lavoro agricolo meno 39 2 LENIN degli altri. La differenza è maggiore tra i remeslenniki (sotto- gruppo 2: 9,5 e 10,4 mesi), ossia tra coloro che sono meno toccati dall’economia mercantile e tra gli agricoltori medi. Il fatto che gli agricoltori agiati vengano distolti in misura minore dal- l’agricoltura dipende dunque o dal numero più elevato dei mem- bri delle loro famiglie, o dal maggiore sfruttamento di lavoro sa- lariato nelle loro aziende, o dall’assunzione di lavoratori agricoli; e il fatto che i remeslenniki vengano distolti in misura maggiore dall’agricoltura è legato alla loro minore disgregazione come agri- coltori, al perdurare dei rapporti patriarcali e del lavoro diretto per i clienti agricoltori che d’estate riducono le loro ordinazioni *. Il « legame con l’agricoltura », secondo i dati del censimento, si riflette in modo molto forte su \Y istruzione degli artigiani; il grado di istruzione degli operai salariati, purtroppo , non è preso in consi- derazione. Si costata che nella popolazione non agricola ** il numero di coloro che sanno leggere e scrivere è molto più elevato che tra la popolazione agricola; e questo rapporto si riscontra senza ecce- zioni in tutti i sottogruppi, sia tra gli uomini che tra le donne. Ecco in extenso i dati del censimento che riguardano questo pro- blema, in percentuale (p. 62): Gruppo I (agricoltori) Gruppo II (non agricoltori) I Percentuale sottogruppi 0 A sottogruppi s A 1 1 2 3 § 0 1 2 3 e s 9 delle persone che sanno leggere e l maschi 32 33 20 31 41 45 33 39 33 scrìvere rispetto al numero degli abitanti ( femmine 9 6 4 7 17 22 14 17 9 delle persone che sanno leggere e ^ maschi i femmine 39 37 26 36 44 57 51 49 40 scrivere fra coloro che partecipano personalmente alla produzione 13 17 4 10 53 21 23. 30 19 delie famiglie con membri che hanno un'istruzione 49 43 34 44 55 63 50 55 47 # Esiste una sola eccezione: la candeggiatura, che è un mestiere esercitato esclusivamente dai remeslenniki , e dove il lavoro estivo predomina su quello invernale. ** Ricordiamo che qui è stata compresa solo eccezionalmente una città (e per di piu soltanto capoluogo di distretto): su 4.762 operai membri della famiglia del II gruppo solo 1.412, ossia il 29,6%, sono cittadini. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 393 È interessante rilevare che nella popolazione non agricola Istruzione si diffonde molto più rapidamente fra le donne che fra gli uomini. Fra gli uomini la percentuale di coloro che sanno leggere e scrivere è nel II gruppo superiore di i l / 2 - 2 volte a quella del I gruppo, mentre fra le donne questa percentuale è superiore di 2 / 2 - 5 % volte. Riassumendo le conclusioni che derivano dal censimento degli artigiani del 1894-1895 a proposito del « legame deiragricoltura con l’artigianato », possiamo costatare che questo legame : 1) tiene in vita le forme più arretrate di produzione e frena lo sviluppo economico; 2) riduce i guadagni e i redditi degli artigiani, sicché i sot- togruppi piu agiati degli agricoltori padroni guadagnano, in com- plesso e in media, meno dei sottogruppi più poveri degli operai salariati che lavorano per i non agricoltori, senza parlare poi dei non agricoltori padroni. Anche in confronto agli operai sala- riati del I gruppo, i padroni di questo stesso gruppo ottengono red- diti molto bassi, che superano di poco i salari degli operai sala- riati, mentre talvolta sono ad essi persino inferiori; 3) frena lo sviluppo culturale della popolazione, che ha minori esigenze ed è molto più arretrata dei non agricoltori per ciò che riguarda l’istruzione. Queste conclusioni ci saranno utili in seguito, quando daremo un giudizio del programma populista di politica industriale. 4) Tra gli artigiani agricoltori si costata una differenziazione parallela alla differenziazione degli artigiani non agricoltori. Le categorie superiori (sotto l’aspetto della situazione materiale) di agricoltori rappresentano il tipo puro di borghesia contadina, che fonda la propria economia suH’impiego di braccianti e di giornalieri. 5) Il periodo di lavoro degli agricoltori è più breve di quello dei non agricoltori, ma la differenza non è grande (5 %-20 %). V Laboratori grandi e piccoli . Redditi degli artigiani È necessario analizzare in modo più particolareggiato i dati del censimento degli artigiani del 1894-1895 concernenti i redditi 394 LENIN degli artigiani. Il tentativo di raccogliere i dati sui redditi per fuoco è stato molto istruttivo, e sarebbe stato sbagliato limitarsi alle « medie » generali per i diversi sottogruppi (citate sopra). Ab- biamo spesso ripetuto che sommando gli artigiani individuali e i padroni di grandi laboratori e dividendo tale somma per il numero dei suoi addendi, si hanno « medie » fittizie. Cercheremo di ricavare dallo Studio i dati sul problema in questione per mostrare e dimo- strare perchè queste « medie » sono fittizie, per dimostrare che nelle ricerche scientifiche e nell’elaborazione dei dati di un cen- simento per fuoco è necessario raggruppare gli artigiani in cate- gorie, secondo il numero degli operai (membri della famiglia e salariati) occupati nei laboratori, e riordinare tutti i dati del censimento secondo queste categorie. I compilatori dello Studio non potevano non accorgersi del fatto lampante che i grandi laboratori hanno redditi più elevati, e hanno cercato di attenuarne l’importanza. Invece di fornire dati esatti sui grandi laboratori (non sarebbe stato difficile ricavarli), si sono ancora una volta limitati a fare ragionamenti, considera- zioni e deduzioni generali per controbattere le conclusioni che non vanno a genio ai populisti. Esaminiamo queste conclusioni. « Se in simili [grandi] laboratori notiamo che il reddito della famiglia è sproporzionatamente elevato rispetto ai piccoli labora- tori, non dobbiamo tuttavia perdere di vista il fatto che una parte considerevole di questo reddito rappresenta la riproduzione, in primo luogo, del valore di una parte del capitale fisso trasfe- rito nei prodotti, in secondo luogo, del valore del lavoro e del valore delle spese commerciali e di trasporto, che nulla hanno a che fare con la produzione, e, in terzo luogo, del valore del vitto degli operai salariati che ricevono i pasti dai padroni. A questi soli fatti [bei fatti!] si limita la possibilità di farsi delle illusioni e un idea esagerata dei vantaggi del lavoro salariato, o, il che è lo stesso, dell elemento capitalistico nella produzione artigiana » (p.15). Naturalmente nessuno mette in dubbio che è assai auspicabile, per una ricerca scientifica, « limitare » la possibilità di illusioni, ma per farlo e necessario opporre alle « illusioni » i dati concreti rac- colti dal censimento e non i propri ragionamenti, che talora rien- trano interamente fra le « illusioni ». Non è forse, infatti, un’illu- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 395 sione il ragionamento degli autori sulle spese commerciali e di trasporto? Chi non sa che per un grande industriale queste spese sono, per unità di prodotto, incomparabilmente inferiori a quelle di un piccolo industriale *, che il primo acquista le ma- terie prime a costi più bassi e vende i prodotti a prezzi più ele- vati, sapendo (e potendo) scegliere il tempo e il luogo per ven- derli? Il censimento degli artigiani fornisce notizie su questi fatti universalmente noti: cfr., per esempio, pp. 204 e 263. È un pec- cato che lo Studio non contenga dati concreti concernenti le spese per l’acquisto delle materie prime e per la vendita dei prodotti da parte dei produttori grandi e piccoli, da parte degli artigiani e degli s\upstcil{i . Ancora. Per ciò che concerne la parte del caipitale fisso trasferita nel prodotto, gli autori, lottando contro le illusioni, sono nuovamente caduti in balia delle illusioni. La teoria dice che le grandi spese per il capitale fisso riducono, per unità di pro- dotto, la parte del valore che viene logorata e trasferita nel pro- dotto. « Un’analisi comparativa dei prezzi di alcune merci prodotte artigianalmente o con lavoro di tipo manifatturiero e dei prezzi delle stesse merci prodotte dalle macchine dà in generale il risultato che nel prodotto delle macchine la parte costitutiva del valore dovuta al mezzo di lavoro cresce relativamente, ma di- minuisce in assoluto. Vale a dire: la sua grandezza assoluta di- minuisce, ma cresce la sua grandezza in rapporto al valore com- plessivo del prodotto, per esempio, di una libbra di refe » (Das Kapital, I 2 , p. 406 89 ). Il censimento ha calcolato anche le spese di produzione, in cui rientrano (p. 14, § 7) la « riparazione degli strumenti e delle macchine». Per quale motivo si dovrebbe pen- sare che i grandi padroni omettono più spesso dei piccoli di registrare queste spese di riparazione? Non avviene forse preci- samente il contrario? Riguardo al mantenimento degli operai sala- riati, lo Studio non riporta nessun dato concreto : noi non sappiamo quanti operai ricevano il vitto dal padrone, quante siano le lacune del censimento su questo problema, quanti padroni agricoltori man- * Va da sè che è possibile stabilire un confronto solo tra gli artigiani di uno stesso gruppo , e non fra il produttore di merci e il remeslennik. o l’artigiano che lavora per lo s^upstei^. 2 6 *573 396 LENIN tengano i salariati coi prodotti della loro azienda, quanti padroni inseriscano nel capitolo delle spese di produzione il costo del mante- nimento degli operai. Analogamente, nessun dato concreto è ripor- tato a proposito dell’ineguale durata del periodo di lavoro nei grandi e nei piccoli laboratori. Non intendiamo affatto negare che il periodo di lavoro nei grandi laboratori sia, con ogni probabilità, più lungo che nei piccoli, ma, in primo luogo, la differenza del reddito è incomparabilmente maggiore della differenza del pe- riodo di lavoro; in secondo luogo, bisogna costatare che ai dati concreti precisi del censimento per fuoco (che citeremo più oltre), gli statistici di Perm non hanno saputo opporre una sola obiezione convincente, fondata su dati esatti, in difesa delle « illusioni * populiste. Abbiamo ottenuto i dati sui grandi e sui piccoli laboratori nel seguente modo : dopo aver esaminato le tabelle annesse allo Studio , abbiamo preso in considerazione i grandi laboratori (quando siamo riusciti a distinguerli, ossia quando non erano confusi con la massa dei laboratori in una cifra complessiva) e li abbiamo confrontati con le cifre riferite dallo Studio a proposito di tutti i laboratori di uno stesso gruppo e sottogruppo. Il problema è così importante che vogliamo augurarci che i lettori non ce ne vorranno per la sovrabbondanza di tabelle: nelle tabelle i dati acquistano maggior rilievo e organicità. Industria degli stivali di feltro: X o Numero degli Reddito Salario degli Reddito assolutamente fittizie, che non dànno un’idea della realtà, nascondono le differenze radicali e presentano come omo- genee cose diverse e assolutamente eterogenee. 2) I dati relativi a numerose industrie dimostrano che i grandi (per il numero complessivo degli operai) laboratori si distinguono da quelli medi e piccoli: a) per la produttività del lavoro, incomparabilmente più elevata; * Cfr. Tindustria delle carrozze, p. 308 del testo e pp. 11 e 12 delle tabelle; quella delle cassapanche, p. 335; la sartoria, p. 344, ecc.. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 403 b) per i salari degli operai più elevati; c) per il reddito netto, incomparabilmente più elevato. 3) Tutti i grandi laboratori che abbiamo considerato a parte impiegano, senza eccezione alcuna e in misura incomparabilmente maggiore (rispetto ai laboratori medi della stessa industria), mano d’opera salariata che ha una funzione molto più rilevante del lavoro familiare. La produzione dei questi laboratori raggiunge un valore di decine di migliaia di rubli; gli operai salariati sono dieci e più per laboratorio. Questi grandi laboratori sono quindi veri e propri stabilimenti capitalistici. I dati del censimento degli artigiani dimo- strano pertanto che nella famosa produzione « artigiana > si hanno leggi e rapporti puramente capitalistici ; dimostrano che gli stabi- limenti capitalistici, fondati sulla cooperazione degli operai sala- riati, sono nettamente superiori ai laboratori degli artigiani indi- viduali e dei piccoli artigiani in generale, sia sotto l’aspetto della produttività del lavoro, sia sotto l’aspetto della retribuzione del lavoro degli stessi operai salariati. 4) In numerose industrie il guadagno dei piccoli artigiani in- dipendenti risulta non superiore e spesso inferiore al salario degli operai salariati della stessa industria. Questa differenza si accentua se al salario degli operai aggiungiamo il vitto che alcuni di essi ricevono dal padrone. Vogliamo distinguere quest’ultima conclusione dalle prime tre perchè quelle riflettono fenomeni che, secondo le leggi della pro- duzione mercantile, sono fenomeni generali e necessari, mentre qui non possiamo vedere un fenomeno generale e necessario. For- muliamo quindi il concetto nel seguente modo: data la minore produttività del lavoro dei piccoli laboratori, dato lo stato d'infe- riorità dei piccoli padroni (particolarmente degli agricoltori) sul mercato, è pienamente possibile che il reddito dell’artigiano indi- pendente risulti inferiore al salario dell’operaio, e i dati confer- mano che ciò accade nella realtà molto spesso. Il valore dimostrativo delle conclusioni sopra riportate è incon- testabile, perchè abbiamo esaminato numerose industrie non le abbiamo scelte a caso, ma abbiamo considerato tutti i grandi labo- ratori che le tabelle ci consentivano di esaminare a parte; inoltre, non abbiamo esaminato soltanto alcuni laboratori, ma tutti i LENIN 421 laboratori di uno stesso tipo, mettendoli sempre a confronto con alcuni grandi laboratori di diversi distretti. Sarebbe però stato desiderabile dare ai fenomeni descritti una definizione più gene- rale e precisa. Fortunatamente i dati dello Studio permettono di appagare in parte questo desiderio. Si tratta dei dati relativi alla suddivisione dei laboratori secondo il loro reddito netto . Per alcune industrie lo Studio indica quanti laboratori hanno un reddito netto che ammonta sino a 50 rubli, sino a 100 rubli, sino a 200 rubli, ecc. Noi abbiamo raggruppato proprio questi dati. È risultato che questi dati esistono per 28 industrie*, che compren- dono 8.364 laboratori, ossia il 93,2% del numero complessivo (8.991). In tutto, queste 28 industrie comprendono 8.377 laboratori (13 laboratori non sono classificati secondo il reddito) con 14.135 operai membri della famiglia + 4.625 salariati, complessivamente 18.760 operai, ossia il 93,9% del numero complessivo degli operai. È chiaro che, in base ai dati riguardanti il 93 % degli artigiani, ab- biamo il pieno diritto di trarre conclusioni su tutti gli artigiani, poiché non v’è alcun motivo per supporre che il restante 7% differisca da questo 93%. Prima di esporre i dati del nostro pro- spetto, è necessario osservare quanto segue: 1) I compilatori dello Studio , facendo questa classificazione, non hanno sempre usato rigorosamente la stessa denominazione per ogni gruppo. Per esempio, dicono: « sino a 100 rubli », « meno di 100 rubli », talvolta anche « 100 rubli ». Non sempre è indi- cata la cifra minima e massima della categoria, cioè talvolta la classificazione viene fatta a cominciare dalla categoria « sino a 100 rubli », un’altra volta dalla categoria « sino a 50 rubli », « sino a io rubli », ecc.; talvolta la classificazione termina con la categoria «1.000 rubli e più», talaltra invece con la categoria «2.000-3.000 rubli », ecc. Tutte queste imprecisioni non possono avere grande importanza. Abbiamo raggruppato tutte le categorie citate nello Studio (sono 15: sino a io rubli, sino a 20, sino a 50, sino a 100, sino a 200, sino a 300, sino a 400, sino a 500, sino a 600, sino a 700, sino a 800, sino a 900, sino a 1.000, 1.000 rubli e più, 2.000-3.000 * Questi dati esistono inoltre per l’industria dei merletti, delle fisarmoniche e del fabbro, ma li abbiamo omesse, perchè non disponiamo delle notizie concer- nenti la suddivisione dei laboratori in base al numero degli operai membri della famiglia. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4°5 rubli) e abbiamo rettificato queste piccole imprecisioni, includendo i dati dubbi in una di queste categorie. 2) Nello Studio è dato soltanto il numero dei laboratori che hanno redditi di questa o quella categoria, ma non è indicato il reddito che spetta a tutti i laboratori di ciascuna categoria. Eppure a noi occorrono proprio questi ultimi dati. Abbiamo pertanto ritenuto che il reddito dei laboratori di una data categoria può essere determinato con sufficiente esattezza moltiplicando il nu- mero dei laboratori della categoria rispettiva per la grandezza media del reddito, ossia per la media aritmetica del massimo e del minimo della categoria (per esempio, 150 rubli nella categoria 100-200 rubli, ecc.). Solo per le due categorie inferiori (sino a io rubli e sino a 20 rubli) abbiamo adottato i redditi massimi (io ru- bli e 20 rubli) invece di quello medio. Il controllo ha dimostrato che un simile procedimento (ammissibile in generale nei calcoli statistici) fornisce cifre molto vicine alla realtà. Infatti il reddito netto complessivo delle famiglie artigiane occupate in queste 28 industrie è, secondo i dati dello Studio , di 951.653 rubli, mentre secondo i nostri dati approssimativi, che si fondano sulle cate- gorie distinte secondo il reddito, abbiamo ottenuto 955.150 rubli, ossia 3.497 rubli (= 0,36 %) in più. La differenza o Terrore non è nemmeno di quattro copechi ogni io rubli. 3) Il nostro prospetto ci dà il reddito medio per ogni famiglia (di ciascuna categoria) e non per ogni operaio membro della famiglia. Per determinare quest’ultimo è stato necessario fare un calcolo approssimativo. Conoscendo la suddivisione delle fa- miglie in base al numero degli operai membri della famiglia (e separatamente, in base al numero degli operai salariati), abbiamo supposto che quanto più piccolo è il reddito per famiglia, tanto più piccolo è il numero dei componenti della famiglia (ossia, il numero degli operai membri della famiglia per ogni laboratorio) e tanto più piccolo è il numero dei laboratori che impiegano operai salariati. Viceversa, quanto più elevato è il reddito per famiglia, tanto più grande è il numero dei laboratori che impie- gano operai salariati, tanto più grande è il numero dei compo- nenti della famiglia, cioè il numero degli operai membri della famiglia di ogni laboratorio. È evidente che questa supposizione è la più favorevole per chi voglia confutare le nostre conclusioni. 40 6 LENIN In ài iti termini, se fosse stata fatta qualsiasi altra supposizione, le nostre conclusioni ne avrebbero guadagnato. Riportiamo ora la tabella dei dati relativi alla suddivisione degli artigiani in base al reddito dei laboratori. Categorie Numero dei laboratori Reddito medio Reddito di tutti i laboratori Categorìe Numero dei laboratori Reddito medio per laboratorio Reddito di tutti i laboratori Categorìe Numero dei laboratori Reddito medio per laboratorio Reddito di tutti i laboratori (approflB.) (approai.) (approsa.) Sino a 10 r. 127 10 1 270 Sino a 300 r. 602 250 150 050 Sino a 800 r. 22 750 16 500 • » 20 » 139 20 2 780 a a 400 » 208 350 72 800 a a 900 a 20 850 17 000 » » 50 a 2 110 35 73 850 a a 500 a 112 450 50 400 a a 1000 a 17 950 16 150 > a 100 a 3 494 75 262 050 a a 600 a 40 550 22 000 1 000 r. e più 19 1 500 28 500 a a 200 a 1414 150 212 100 a a 700 a 38 650 24 700 2 000-3000 r. 2 2 500 5 000 Totale dei laboratori 8 364 1 955 150 Questi dati sono troppo frammentari, sicché è necessario rag- grupparli in rubriche più semplici e più chiare. Prendiamo cinque categorie di artigiani distinte secondo il reddito : a) poveri, con un reddito sino a 50 rubli per famiglia; b) poco agiati, con un reddito di 50-100 rubli per famiglia; c) medi, con un reddito di 100-300 ru- bli per famiglia; d) agiati, con un reddito di 300-500 rubli per fami- glia; e) ricchi, con un reddito superiore a 500 rubli per famiglia. In base ai dati sul reddito dei laboratori aggiungiamo a queste categorie la suddivisione approssimativa dei laboratori secondo il numero degli operai membri della famiglia e degli operai sala- riati*. Otteniamo la seguente tabella: Gli 8.377 laboratori compresi nelle 28 industrie si suddividono, secondo il numero degli operai membri della famiglia e degli operai salariati, nel seguente modo. 95 laboratori con nessun operaio membro della famiglia; 4.362 laboratori con un opefaio; 2.632 con due operai; 870 con tre; 275 con 4; 143 con 5 e più. I aboraton che impiegano operai salariati sono 2.228, di cui: 1.359 con un operaio salariato; 447 con due operai; 201 con tre; 96 con 4; 125 con 5 e più. In totale vi sono 4.625 operai salariati con un salario complessivo di 212.096 rubli (45,85 rubli per operaio). Suddivisione approssimativa delle IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 407 ™ U II 8 364 100 955 150 100 «« «.S 2 632 .70 275 143 82 1 359 447 201 96 125 408 LENIN Questi dati portano a conclusioni molto interessanti, che esamineremo per ogni categoria di artigiani: a) Oltre un quarto delle famiglie artigiane (28,4%) rientra nella categoria dei poveri, avendo un reddito medio approssima- tivo di 33 rubli per famiglia. Ammettiamo che questo reddito spetti per intero a un solo lavoratore membro della famiglia, che gli artigiani di questa categoria siano tutti individuali. In ogni caso il reddito di questi artigiani è considerevolmente più basso del salario medio dell’operaio che lavora per Tartigiano (45 rubli e 85 copechi). Se la maggior parte degli artigiani individuali appar- tengono al sottogruppo inferiore (sottogruppo 3), ossia lavorano per gli s^upstei^i , ciò significa che i « padroni > pagano i lavo- ratori a domicilio meno degli operai salariati impiegati nel la- boratorio. Anche se ammettessimo che per questa categoria di artigiani il periodo di lavoro è di più breve durata, tuttavia il loro guadagno è estremamente misero. b) Oltre i due quinti del numero complessivo degli artigiani (41,8%) appartengono ai poco agiati , avendo in media un red- dito di 75 rubli per famiglia. Questi artigiani non sono tutti individuali (mentre la precedente categoria era costituita unica- mente da artigiani individuali): quasi la metà delle famiglie dispone di due operai membri della famiglia, e quindi il red- dito medio di un operaio membro della famiglia non ammonta nemmeno a 50 rubli, ossia non è superiore o è persino inferiore al salario dell operaio che lavora per V artigiano (oltre ai salario in danaro, di 45 rubli e 85 copechi, una parte degli operai riceve il vitto dal padrone). Così sette decimi del numero complessivo degli artigiani si trovano , per ciò che concerne il loro guadagno , allo stesso livello degli operai salariati che lavorano per gli arti- giani , e spesso in condizioni peggiori. Pur essendo sorprendente, questa conclusione corrisponde interamente ai dati sopraccitati relativi alla superiorità dei grandi laboratori sui piccoli. Quanto sia basso il reddito di questi artigiani si può giudicare dal fatto che il salario medio di un operaio agricolo del governatorato di Perm, che lavora tutto Tanno, è di 50 rubli oltre il vitto # . Per- • Il costo del vitto è di 45 rubli airanno. I dati medi per un periodo di IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4O9 tanto i sette decimi degli artigiani « indipendenti > si trovano, quanto al loro tenore di vita, in una situazione non migliore di quella degli operai agricoli! I populisti diranno, naturalmente, che si tratta di un gua- dagno supplementare a quello che traggono dal ragricol tura; ma, in primo luogo, non è già forse stato stabilito da molto tempo che Tagricoltura può assicurare soltanto a una minoranza di con- tadini il necessario per sostentare la famiglia, dopo che sono state pagate le rate del riscatto, Paffuto e le spese dell'azienda? E noi confrontiamo il reddito deirartigiano col salario del bracciante che riceve il vitto dal padrone. In secondo luogo, nei sette de- cimi del numero complessivo degli artigiani debbono essere in- clusi anche i non agricoltori. In terzo luogo, anche se risultasse che l’agricoltura assicura il mantenimento degli artigiani agri- coltori di queste categorie, rimarrebbe tuttavia indubbia la stra- ordinaria diminuzione dei guadagni causata dal legame con la terra. Ancora un confronto: nel distretto di Krasnoufimsk il salario medio di un operaio che lavora per un artigiano è pari a 33,2 rubli (p. 149 delle tabelle), mentre il guadagno medio di chi lavora a domicilio per conto di una fabbrica, ossia di un contadino fabbro, è, secondo la statistica dello zemstvo , di 78,7 rubli (cfr. Materiali statistici per il governatorato di Perm, Distretto di Krasnoufimsf ^ . Mandamento Zavod. Perm, 1894), è quindi più del doppio. E il guadagno dei fabbri che lavorano a domicilio per una fabbrica è sempre più basso, com’è noto, del salario degli operai « liberi » delle fabbriche e officine. Si può così comprendere a prezzo di quale contrazione dei bisogni, di quale abbassamento del tenore di vita, per cui l’artigiano si trasforma in povero, Partigiano russo paghi la sua famosa « indipendenza », « fondata sui principi del legame organico tra Partigianato e l’agricoltura»! c) Nella categoria degli artigiani « medi » abbiamo incluso le famiglie che hanno redditi da 100 a 300 rubli, in media 180 rubli circa per famiglia. Esse sono approssimativamente un quarto del io anni (1881-1891) sono torniti dal dipartimento deiragricoltura (cfr. s.a. koro- lenko . Il lavoro salariato , ree.). 410 LENIN numero complessivo degli artigiani (24,1 %). Il loro reddito è in assoluto molto basso: tenuto conto che ci sono 2,5 operai membri della famiglia per laboratorio, a ciascun operaio spettano 72 rubli circa, una somma del tutto insufficiente, che non farà certo gola a nessun operaio di fabbrica e di officina. Ma rispetto al guadagno della massa degli artigiani questa somma è abbastanza rilevante! Risulta che anche questa così modesta « agiatezza » viene acqui- stata a spese altrui: la maggior parte degli artigiani di questa categoria impiega operai salariati (approssimativamente l’85 % dei padroni impiega operai salariati, e in media per ognuno dei 2.016 laboratori vi è più di un operaio salariato). Per uscir fuori dalla massa degli artigiani oppressi dalla miseria, essi debbono quindi, dati i rapporti mercantili capitalistici esistenti, conqui- starsi r« agiatezza » a spese altrui, entrare nella lotta economica, re- spingere sempre più indietro la massa dei piccoli produttori, tra- sformarsi in piccoli borghesi. O la miseria e rabbassamene del tenore di vita sino al nec plus ultra , o (per una minoranza ) la con- quista del proprio benessere (estremamente modesto in assoluto) a spese altrui: ecco il dilemma che la produzione mercantile pone al piccolo produttore. Così parlano i fatti. d) Nella categoria degli artigiani agiati rientra soltanto il 3,8 % delle famiglie, con un reddito medio di circa 385 rubli e di circa 100 rubli per ogni lavoratore membro della famiglia (te- nendo conto che di questa categoria fanno parte padroni con 4 e 5 lavoratori membri della famiglia per laboratorio). Questo reddito, che è il doppio del reddito in denaro deiroperaio sala- riato, si fonda qui sul largo impiego di lavoro salariato: tutti i laboratori di questa categoria occupano operai salariati, in media circa tre per laboratorio. e) Gli artigiani ricchi, con un reddito medio di 820 rubli per famiglia, costituiscono complessivamente Fi, 9 °/ 0 . In questa cate- goria vanno inclusi, in parte, i laboratori con cinque operai mem- bri della famiglia, e, in parte, i laboratori senza operai membri della famiglia, che impiegano cioè esclusivamente lavoro sala- riato. Se calcoliamo che vi sia un solo lavoratore membro della famiglia per laboratorio, il reddito che gli spetta è di circa 350 rubli. L’alto reddito realizzato da questi «artigiani» dipende IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4II dal gran numero di operai salariati, che sono, in media per ogni laboratorio, circa io * Si tratta già di piccoli fabbricanti, di pro- prietari di aziende capitalistiche, la cui inclusione nel ceto degli « artigiani », accanto agli artigiani individuali, ai remeslenniki rurali e a coloro che lavorano a domicilio per i fabbricanti (e talvolta, come vedremo in seguito, per gli stessi artigiani ricchi!), dimostra soltanto, come abbiamo già osservato, l’assoluta impre- cisione e indeterminatezza del termine «artigiano». Per concludere l’esposizione dei dati del censimento relativi ai redditi degli artigiani dobbiamo ancora osservare quanto segue. Si può obiettare che la concentrazione dei redditi nelle industrie artigiane non è molto rilevante: al 5,7% dei laboratori spetta il 26,5% del reddito; al 29,8% dei laboratori, il 64,4%. A ciò ri- spondiamo: in primo luogo, anche una simile concentrazione dimostra che i ragionamenti generici sull’« artigiano » e le cifre «medie» relative all’artigiano non hanno nessun valore e nulla hanno di scientifico. In secondo luogo, non possiamo tra- scurare il fatto che in questi dati non sono compresi gli s\upstciki , e che pertanto la distribuzione dei redditi viene presentata in modo estremamente impreciso. Abbiamo rilevato che 2.346 famiglie e 5.628 operai lavorano per gli s\upstciki (sottogruppo 3); quindi il reddito principale spetta qui agli skiipstcìkj. La loro esclusione dal ceto degli artigiani è assolutamente artificiosa e ingiustificata. Come la descrizione dei rapporti economici esistenti nella grande industria di fabbrica e di officina sarebbe sbagliata se non fossero indicati i redditi dei fabbricanti, così la descrizione dell’economia dell’industria « artigiana » è sbagliata se non si indicano i redditi degli sf{upstcif{i, redditi ricavati dalla stessa produzione nella quale sono occupati gli artigiani e che costituiscono una parte del valore dei prodotti da loro fabbricati. Abbiamo quindi il diritto e il dovere di concludere che la reale distribuzione dei redditi nell’industria artigiana è incomparabilmente più ineguale di quella sopra indicata, poiché in essa mancano le categorie dei maggiori produttori. * Sui 2.228 laboratori con operai salariati, compresi nelle 28 industrie, 46 la- boratori occupano io e più operai salariati, complessivamente 887 operai sala- riati, ossia in media 19,2 operai salariati per laboratorio. 2 7 - 573 ARTICOLO TERZO (VI. Che cose lo skupstcik? — VII . « Fenomeni confortanti» nel- l'industria artigiana — Vili. Il programma populista di politica industriale ). VI Che cose lo « skupstcik, »? Più sopra abbiamo definito gli sfapstcify come i maggiori produttori. Dal punto di vista abituale del populismo questa è un’eresia. Da noi si è abituati a immaginarsi lo s\upstci\ come qualcosa che sta fuori della produzione, come qualcosa di esterno, di estraneo alla stessa industria, che dipende «soltanto» dallo scambio. Non è questo il luogo per esaminare particolareggiatamente gli errori teorici che contiene questa concezione, fondata sull’in- comprensione del sostrato generale e fondamentale, della base e deirambiente deirindustria moderna (compresa quella artigiana), ossia r economia mercantile , della quale il capitale commerciale e parte integrante e non un annesso casuale e marginale. Qui dob- biamo attenerci ai fatti e ai dati forniti dal censimento degli ar- tigiani, e il nostro compito consisterà neiresaminare e nell’analiz- zare a fondo i dati sugli sl(upstcil(i. Una circostanza che agevola la nostra analisi è la distinzione degli artigiani che lavorano per gli s^upstci^i in un sottogruppo particolare (il sottogruppo 3). 27 * 4 i4 LENIN Ma su questa questione le lacune e i punti rimasti oscuri, che ostacolano notevolmente la ricerca, sono molto più numerosi. Man- cano i dati sul numero degli s{upstci{i, sui grandi e sui piccoli skupstcikì , sui loro legami con gli artigiani agiati (stessa provenien- za sociale, legami tra le operazioni commerciali dello s\upstci\ e la produzione del suo laboratorio, ecc.) e sulle aziende degli s\up- stciki. I pregiudizi populisti, che considerano lo s\upstciJ{ come qualcosa di estraneo alla produzione, hanno impedito alla mag- gior parte degli studiosi dell’industria artigiana di impostare il problema delle aziende degli s{upstcify\ ma è evidente che per un economista questo è il primo e principale problema. È neces- sario studiare in modo minuzioso e attento come lo s\upstci\ conduce i suoi affari, come si forma il suo capitale, come questo capitale opera nel settore deirapprovvigionamento delle materie prime e della vendita dei prodotti, in quali condizioni (sociali ed economiche) opera il capitale in questi settori, a quanto ammon- tano le spese dello skupstciì{ per l’organizzazione della compra- vendita, come queste spese vengono impiegate a seconda della grandezza del capitale commerciale e del volume della compra- vendita, per quali motivi talvolta la lavorazione parziale delle materie prime avviene nei laboratori dello s\upstcil [ mentre l’ul- teriore lavorazione è affidata agli operai a domicilio (e inoltre l’ulti- ma rifinitura è talora eseguita nuovamente dallo s\upstci\ ), o le materie prime sono vendute ai piccoli artigiani per acquistare in seguito da loro gli articoli sul mercato. È necessario confrontare il costo di produzione dei prodotti del piccolo artigiano, del grande produttore che li fabbrica in un laboratorio in cui sono riuniti alcuni operai salariati e dello skupstci\ che distribuisce le materie prime perchè siano lavorate a domicilio. È necessario considerare come unità di indagine ciascuna azienda , ossia ogni skupstci\ separata- mente, stabilire il volume dei suoi affari, il numero di coloro che lavorano per lui nel laboratorio o nei laboratori e a domicilio, il numero degli operai impiegati per Tapprovvigionamento delle materie prime, per la conservazione delle materie prime e dei prodotti e per la loro vendita. È necessario fare un confronto fra la tecnica del processo produttivo (quantità e qualità degli stru- menti e delle installazioni, divisione del lavoro , ecc.) del piccolo IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 415 padrone, quella del padrone di un laboratorio con operai salariati e quella dello s\upstci\. Soltanto una simile indagine economica può dare una risposta scientificamente esatta alla domanda: che cose lo s\upstcì\\ e può risolvere il problema della funzione che ha lo s\upstci\ nell’economia e nello sviluppo storico delle forme industriali della produzione mercantile. La mancanza di questi dati nelle conclusioni di un censimento per fuoco, che ha esa- minato particolareggiatamente tutti questi problemi per ogni sin- golo artigiano, dev’essere considerata una grave lacuna. Anche se (per diversi motivi) fosse impossibile registrare e analizzare l’azienda di ogni singolo s\upstci\ ;, si sarebbe tuttavia potuto ricavare un gran numero di dati dalle notizie relative agli arti- giani che lavorano per gli shupstciki . Nello Studio troviamo invece soltanto le trite e ritrite frasi populiste, secondo cui il « kulak » è « in fondo estraneo alla produzione vera e propria » (p. 7); ma in pari tempo fra i kulak sono compresi, da una parte, gli s\upstci\i e i loro laboratori di montaggio e, dall’altra, gli usurai. Nello Studio si ripete che « il lavoro salariato non è dominato dalla propria concentrazione tecnica come avviene nella fabbrica [?], ma dallo stato di dipendenza finanziaria in cui versano gli artigiani... che è una delle forme di sfruttamento dei kulak» (309-310); che « l’origine dello sfruttamento del lavoro... non risiede nella pro- duzione, ma nello scambio » (101); che nell’industria artigiana si osserva spesso non « la trasformazione capitalistica della produ- zione », ma «la trasformazione capitalistica del processo di scam- bio » (265). Naturalmente non abbiamo alcuna intenzione di accusare di originalità gli autori dello Studio: essi si sono limitati a copiare alla lettera le sentenze che sono così copiosamente sparse, per esempio, nelle opere del « nostro celebre » sig. V .V . Per valutare il vero significato di queste frasi, basta rammen- tare che in una delle branche principali della nostra industria, e precisamente nell’industria tessile, lo « s\upstci\^ è stato l’imme- diato predecessore, il padre del grande fabbricante che dirige la grande produzione meccanica. La distribuzione dei filati agli arti- giani perchè li lavorino a domicilio costituisce il recentissimo pas- sato di tutte le nostre fabbriche tessili; si tratta infatti di lavoro per lo « s^upstci{ », per il « kulak », il quale, non avendo un prò- 4IÓ LENIN prio laboratorio (« è estraneo alla produzione »), si « limita » a distribuire i filati e a ricevere i prodotti finiti. I nostri bravi populisti non hanno neppure tentato di risalire all’origine di questi s{upstci{i, di vedere in quale modo essi sono i successori diretti dei proprietari dei piccoli laboratori, qual è la loro fun- zione come organizzatori delPacquisto di materie prime e della vendita del prodotto, qual è la funzione del loro capitale che con- centra i mezzi di produzione, riunisce le masse dei piccoli produt- tori dispersi, introduce la divisione del lavoro e prepara gli elementi di una produzione altrettanto grande, ma già meccanizzata. I bravi populisti si sono limitati a rammaricarsi e a lamentarsi di questo fenomeno «triste», «artificiale», ecc. ecc.; si sono poi consolati al pensiero che non si tratta della « trasformazione capitalistica » della produzione, ma « soltanto » della « trasformazione capita- listica » del processo di scambio, e hanno parlato con tono mellifluo di « altre vie per la patria », mentre i « kulak » « artificiali » e « senza alcuna base nella produzione » hanno continuato a pro- cedere per la loro vecchia strada, hanno continuato a concentrare il capitale, a « riunire » i mezzi di produzione e i produttori, ad acquistare una maggior quantità di materie prime, a dividere sempre più la produzione in singole operazioni (preparazione dell’ordito, tessitura, tintura, finitura, ecc.), a trasformare la raa- nifattura capitalistica frazionata, tecnicamente arretrata, fondata sul lavoro a mano e sull’asservimento, in un'industria capitalistica meccanica. Attualmente nella maggior parte delle nostre cosiddette in- dustrie « artigiane » si verifica lo stesso, identico processo, e nello stesso, identico modo i populisti si rifiutano di studiare la realtà nel suo sviluppo; nello stesso, identico modo sostituiscono al pro- blema delPorigine dei rapporti esistenti e della loro evoluzione il problema di ciò che potrebbe essere (se non ci fosse ciò che c’è), nello stesso, identico modo si consolano al pensiero che per ora si tratta « soltanto » di s\upstcibi , e idealizzano e abbelliscono gli aspetti peggiori del capitalismo, peggiori nel senso dell’arretra- tezza tecnica, dell'incompleto sviluppo economico, della situazione sociale e culturale delle masse lavoratrici. Ritorniamo ai dati del censimento degli artigiani di Perm. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 417 Cercheremo di colmare, dove è necessario, coi dati desunti dal so- praccitato volume L'industria artigiana del governatorato di Perni, ecc.j le lacune indicate. Distinguiamo anzitutto le industrie in cui è occupata la maggior parte degli artigiani che lavorano per gli sJ^upstcify (sottogruppo 3). A questo scopo dobbiamo ricorrere al nostro prospetto, i cui risultati (come abbiamo già detto) non coincidono con quelli dello Studio . Industrie Numero d pe I gruppo elle famiglie r gli skupttci II gruppo :he lavorano ki Totale calzoleria ... 31 605 636 produzione stivali di feltro 607 12 619 fabbro 70 412 482 produzione di stuoie . . 132 10 142 produzione di mobili e falegnamerìa 38 49 87 produzione di carrozze 32 28 60 sartoria 4 42 46 Totale per le 7 industrie . 914 1158 2072 Totale degli artigiani del sottogruppo 3 . 1016 1320 2336 Così, i 9/10 circa degli artigiani che lavorano per gli s\upstcil{i sono concentrati nelle sette industrie enumerate. Esaminiamo in primo luogo queste industrie. Cominciamo dalla calzoleria. L’immensa maggioranza dei cal- zolai che lavorano per gli s\upstci\i è concentrata nel distretto di Kungur, che è il centro della produzione di pelli del governa- torato di Perm. La maggior parte degli artigiani lavora per i proprietari di fabbriche per la lavorazione delle pelli. A p. 87 dello Studio sono indicati 8 s\upstciki per i quali lavorano 445 labo- LENIN 418 ratori *. Tutti questi s\upstci{i sono « di padre in figlio » proprie- tari di fabbriche per la lavorazione delle pelli, e il loro nome si può trovare nell’ U\azatel fabrì\ i zavodov per gli anni 1890 e 1879 e nelle postille àe\YEgegodni\ ministertstva finansov , parte I del 1869 fi0 . I proprietari di queste fabbriche tagliano le pelli e le consegnano quindi agli « artigiani * per la confezione. Il montaggio viene eseguito a parte da alcune famiglie, su ordi- nazione dei fabbricanti. In generale, all’industria delle pelli sono legati numerosi mestieri « artigiani », varie operazioni sono cioè eseguite a domicilio. Esse sono: 1) finissaggio delle pelli; 2) con- fezione delle calzature; 3) incollatura a strati dei ritagli di cuoio per i tacchi; 4) lavaggio delle stecche per stivali; 5) fab- bricazione delle punte per stivali; 6) confezione dei gambali; 7) preparazione della cenere per la concia; 8) preparazione del «tannino» (scorza di salice) per lo stesso scopo. I residui della lavorazione delle pelli vengono utilizzati dall’industria artigiana del feltro e della colla (. Ind . art ., Ili, pp. 3-4, ecc.). Accanto alla di- visione del lavoro in operazioni particolari (ossia alla divisione della produzione di un articolo in alcune operazioni, eseguite da persone diverse), si è sviluppata in quest’industria la divisione del lavoro per articolo: ogni famiglia (talvolta ogni strada di un centro artigiano) produce un tipo di calzature. Notiamo, come curiosità, che nel volume Ind . art. y ecc. l’« industria per la lavo- razione delle pelli di Kungur » viene proclamata « espressione tipica del concetto del legame organico tra l’industria di fabbrica e l’industria artigiana per il vantaggio reciproco » (si? !)... che la fabbrica si allea in modo razionale (//V!) con l’industria artigiana ponendosi lo scopo, nel suo stesso interesse (appunto)!, non di sof- focare... ma di sviluppare le forze deirindustria artigiana (III, p. 3). Per esempio, il fabbricante Fominski ha ottenuto alla Mo- stra di Iekaterinburg deh 1887 una medaglia d’oro non solo per l’eccellente lavorazione delle pelli, ma anche per « la grande pro- duzione, che offre la possibilità di un guadagno alla popolazione • Di questi, 217 lavorano per due sì^upstciks (Ponomariov e Fominski). In totale nel distretto di Kungur 470 laboratori di calzoleria lavorano per gli Skj4pstcikj. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4I9 dei dintorni » (ivi, p. 4, il corsivo è dell’autore). Appunto: Fo- minski ha 1.450 operai, dei quali 1.300 lavorano a domicilio; per un altro fabbricante, Sartakov, 100 operai su 120 lavorano a do- micilio, ecc. I fabbricanti di Perm gareggiano quindi con molto successo con gli intellettuali populisti per ciò che concerne l’intro- duzione e lo sviluppo delle industrie artigiane... Assolutamente analoga è l’organizzazione dell’industria delle calzature nel distretto di Krasnoufimsk ( Ind . art., I, 148-149): i proprietari delle fabbriche confezionano stivali, parte nei loro laboratori, parte dando le pelli da lavorare a domicilio; uno dei maggiori proprietari di concerie e calzolerie occupa circa 200 operai fissi. Ora possiamo farci un’idea abbastanza chiara dell’organizza- zione economica dell’industria delle calzature e di molte altre industrie « artigiane » ad essa legate. In questo caso le aziende non sono altro che reparti dei grandi opifici capitalistici (« fab- briche», secondo la terminologia della nostra statistica ufficiale), non sono altro che sottosettori dei grandi Settori capitalistici per la lavorazione delle pelli. Gli imprenditori hanno organizzato l'ac- quisto su larga scala delle materie prime, hanno costruito fab- briche per la lavorazione delle pelli, hanno creato tutto un sistema per le operazioni successive, sistema fondato sulla divisione del lavoro (come condizione tecnica) e sul lavoro salariato (come condizione economica): alcune operazioni vengono eseguite nei loro laboratori (taglio delle pelli), altre a domicilio dagli « arti- giani » che lavorano per loro; gli imprenditori fissano il volume della produzione, il cottimo, i tipi di merce da confezionare e la quantità di articoli per ogni tipo. Ed essi stessi organizzano la vendita aH’ingrosso dei prodotti. È evidente che, secondo la ter- minologia scientifica, qui si tratta di manifattura capitalistica , che in parte già passa alla sua forma superiore, alla fabbrica (proprio in quanto vengono impiegati nella produzione macchine e com- plessi di macchine: le grandi fabbriche per la lavorazione delle pelli dispongono di caldaie a vapore). Considerare a parte alcuni settori di questa manifattura, quasi fossero una speciale forma « artigianale » di produzione, è un’evidente assurdità, che cerca 420 LENIN di nascondere il fatto fondamentale: il predominio del lavoro salariato e la subordinazione di tutta la produzione delle pelli e cal- zature al grande capitale. Invece di fare ridicoli ragionamenti, dicendo che per quest’industria sarebbe augurabile « lorganizza- zione cooperativistica dello scambio » (p. 93 dello Studio ), non sarebbe stato inutile studiare più a fondo come la produzione viene organizzata nella realtà, studiare le condizioni che in- ducono i fabbricanti a preferire il lavoro a domicilio. È indiscusso che i fabbricanti considerano questo sistema più vantaggioso; e anche noi ne comprenderemo i vantaggi se ricordiamo quanto basso è in generale il guadagno degli artigiani, e in particolare quello degli artigiani agricoltori e degli artigiani del sottogruppo 3. Gli imprenditori, distribuendo il materiale a domicilio, spen- dono meno per i salari, riducono, le spese per i locali e in parte per gli strumenti e la sorveglianza, sfuggono agli obblighi non sempre piacevoli imposti ai fabbricanti (essi non sono fabbricanti, ma commercianti!), si servono di operai più isolati, più dispersi, meno capaci di difendersi, di sorveglianti che non costano niente, di « capoccia » o « maestri » (termini in uso nella nostra industria tessile, quando vige il sistema della distribuzione del filato a domi- cilio), i quali non son altro che gli stessi artigiani che lavorano per loro e assumono per proprio conto operai salariati (le 636 fa- miglie di calzolai che lavorano per gli s\upstciki impiegano 278 operai salariati). Abbiamo già visto dalla tabella generale che questi operai salariati (del sottogruppo 3) ricevono salari molto bassi. E non c’è da stupirsi, perchè essi sono soggetti a un du- plice sfruttamento: allo sfruttamento del loro padrone che spreme loro un « piccolo utile » e allo sfruttamento del proprietario della fabbrica che distribuisce il materiale ai piccoli' padroni. Com’è noto, questi piccoli maestri, che conoscono alla perfezione le condizioni locali e le condizioni particolari di ogni operaio, sono veramente inesauribili nell’escogitare ogni sorta di vessazioni, nel- 1 imporre contratti capestro, il truc\-system 91 , ecc. È noto che in questi laboratori e in queste izbe artigiane la giornata lavorativa e estremamente lunga; e non possiamo non rammaricarci del fatto che il censimento degli artigiani del 1894-1895 non fornisca quasi nessun materiale su problemi tanto importanti, materiale che IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4 21 potrebbe gettar luce sul « nostro » sweating-sy sterri *, con la sua massa di intermediari, che accentuano la pressione sugli operai, con il suo incontrollato e impudente sfruttamento. Lo Studio , purtroppo, non fornisce quasi nessun dato sul- l’organizzazione deirindustria degli stivali di feltro (seconda, per numero assoluto di famiglie che lavorano per gli s\upstci\i). Ab- biamo già visto che in quest'industria lavorano artigiani con decine di operai salariati, ma non è possibile sapere se essi danno lavoro a domicilio, se fanno eseguire una parte delle ope- razioni fuori del loro laboratorio **. Rileviamo soltanto un fatto già costatato dai compilatori dello Studio , ossia che in questa industria le condizioni igieniche sono estremamente insoddisfa- centi {Studio, p. 1 19; Ind . art.. Ili, 16): caldo insopportabile, pol- vere in quantità, atmosfera soffocante. E questo nelle ìzbe stesse dove vivono gli artigiani! Risultato naturale: gli artigiani non resistono più di 15 anni al lavoro e muoiono di tubercolosi. LI. Mol- leson, che ha studiato le condizioni igieniche del lavoro, dice: « Nelle aziende dove si confezionano stivali di feltro lavorano per lo più operai dai 13 ai 30 anni. E sono quasi tutti facilmente riconoscibili per il pallore, il colore opaco della pelle, l’aspetto estenuato di uomini consunti dal male» (III, p. 145, corsivo del- ittore), La conclusione pratica del Molleson è la seguente: «È necessario imporre ai padroni di costruire laboratori [di feltreria] molto più vasti, in modo che a ciascun operaio spetti un volume d'aria determinato e costante»; «il laboratorio dev’essere destinato esclusivamente al lavoro. Bisogna assolutamente vietare che gli operai dormano nei laboratori » (ivi). Così, gli ispettori sanitari chiedono, per questi artigiani, la costruzione di fabbriche e il divieto del lavoro a domicilio. Non resta che augurarci 1 attua- zione di questo provvedimento, che, eliminando una massa di inter- mediari, farebbe compiere un passo avanti al progresso tecnico, spianerebbe la strada alla regolamentazione della giornata lavo- * Supcrsfru «amento ( N.d.R .). _ # * Così è organizzata l’industria artigiana dei teìtro nei distretti di Arzamas e Semionov, nel governatorato di Nizni-Novgorod. Cfr. i Lavori della commissione per lo studio dell’ artigianato e i Materiali della statistica dello zemstvo di Nizm- Novgorod. 422 LENIN rativa e delle condizioni di lavoro, eliminerebbe, insomma, gli abusi più scandalosi nella nostra industria «popolare». Nell’industria artigiana delle stuoie, tra gli sfopstcify figura un commerciante di Osa, Butakov, che secondo i dati del 1879 possedeva in quella città una fabbrica di stuoie con 180 operai*. Questo fabbricante dev’essere forse considerato « estraneo alla stessa produzione » perchè ha trovato più vantaggioso il lavoro a domicilio? Sarebbe inoltre interessante sapere in che cosa gli s\upstcihj esclusi dalla categoria degli artigiani si distinguono dagli « artigiani » che, non avendo operai tra i loro familiari, « acquistano la fibra di tiglio e la danno in lavorazione ai cottimisti, i quali la trasformano con i loro telai in stuoie e sacchi » (. Studio , 152). Ecco un esempio concreto della confusione a cui i pregiudizi populisti hanno condotto gli autori. Le condizioni igieniche di questo lavoro sono al di sotto di ogni critica: locali angusti, spor- cizia, polvere, umidità, fetore, giornata lavorativa eccessivamente lunga (12-15 ore giorno): tutto ciò trasforma i centri artigiani in veri e propri « focolai di tifo petecchiale » **, epidemia che non di rado ha colpito questi centri. Anche per quanto riguarda i fabbri lo Studio non ci dice nulla sull’organizzazione del lavoro per gli s\upstci\i y e dobbiamo nuo- vamente ricorrere al volume Ind . art ecc. che contiene una de- scrizione molto interessante di questa industria a Nizni-Taghil. La produzione di vassoi e di altri articoli è suddivisa fra alcuni laboratori: quello per la ribaditura , dove si lavora il ferro; quello per la stagnatura e quello per la verniciatura. Alcuni artigiani padroni hanno laboratori di tutti questi tipi e sono quindi pro- prietari di manifatture di tipo puro. Altri eseguono nel loro labo- ratorio soltanto una delle operazioni, e affidano la stagnatura e la verniciatura degli articoli confezionati ad artigiani a domicilio. Quindi, qui appare con particolare concretezza l’omogeneità del- l’organizzazione economica deH’artigianato, sia quando il lavoro viene dato a domicilio, sia quando il padrone possiede alcuni labo- ratori specializzati in determinate fasi della lavorazione. Gli * Indicatore delle fabbriche e delle officine , 1879. I produttori di stuoie che lavorano per gli sf{upstcH{i sono concentrati soprattutto nel distretto di Osa. # * Studio , p. 157. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 42 3 artigiani skjipstciki, che danno il lavoro a domicilio, rientrano nella categoria dei grandi padroni (sono 25), che organizzano l’acquisto delle materie prime nelle condizioni più vantaggiose e la vendita di grosse partite di prodotti: questi 25 artigiani (e sol- tanto essi) si recano alla fiera o hanno negozi propri. Oltre a co- storo rientrano nella categoria degli s\upstciì(i i grandi « fabbri- canti-commercianti », che hanno esposto i prodotti alla mostra di Iekaterinburg, nella sezione fabbriche e officine: l’autore del vo- lume li include nell 1 * industria artigiana-di fabbrica » (sic!) (Itid. art.y I, pp. 98-99). In generale abbiamo un quadro estremamente tipico del modo come la manifattura capitalistica si intreccia in maniera varia e bizzarra con i piccoli laboratori. Per mostrare in concreto quanto poco la divisione dei produttori in « artigiani » e « fabbricanti », in « produttori » e < s^upstei^i » ci aiuti a orien- tarci in questi complessi rapporti, ci avvarremo delle cifre ripor- tate nel libro citato e rappresenteremo i rapporti economici del- l’artigianato nella seguente tabella: Produzione indipendente per il mercato Lavoro per gli akupttciki Operai Valore della Operai Laboratori membri della famiglia « ’u - totale produzione (in migliaia di rubli) Laboratori membri della famiglia ■3 *5 totale a) artigiani dipendenti per ciò che concerne la vendita b) artigiani dipendenti aia per la vendila che per la produzione E adesso ci verranno a dire che gli sfapsteifo, come gli usu- rai, sono « estranei alla produzione vera e propria », che il loro LENIN 4M dominio significa soltanto « trasformazione capitalistica del pro- cesso di scambio», e non «trasformazione capitalistica della pro- duzione »! Un esempio assai tipico di manifattura capitalistica è costituito inoltre dall’industria artigiana delle cassapanche {Studio, pp. 334- 339; Ind. art. y I, pp. 31-40). Essa è organizzata nel seguente modo: alcuni grandi padroni, che posseggono laboratori con operai sa- lariati, si procurano il materiale, lo lavorano parzialmente y ma soprattutto lo distribuiscono a piccoli laboratori specializzati, mon- tano nei propri laboratori le parti della cassapanca e, dopo la rifi- nitura, inviano la merce sul mercato. La divisione del lavoro, condizione tipica e base tecnica della manifattura, è applicata su larga scala: la fabbricazione di una cassapanca si suddivide in 10-12 operazioni, eseguite ciascuna separatamente da artigiani spe- cializzati. L’organizzazione dell’industria è: unione di operai par- ziali ( Theilarbeiter y come vengono chiamati nel Capitale ), sotto il comando del capitale . Una risposta chiara alla demanda se il capitale preferisca il lavoro a domicilio al lavoro degli operai salariati nel laboratorio è fornita dai dati del censimento del 1894- 1895 relativi ai vari laboratori della fabbrica di Neviansk, nel di- stretto di Iekaterinburg (uno dei centri di quest’industria), ove accanto ai laboratori di montaggio troviamo gli artigiani specia- lizzati. Un confronto tra gli uni e gli altri è quindi pienamente possibile. Diamo nella tabella i dati comparativi (p. 173 delle tabelle) : 1 0 •e 0 s 0 Numero degli operai Reddito globale Salario Reddito netto Operai della fabbrica di Neviansk Gruppo Sottogrnp] 3 '2 TJ % 1 membri della famiglia salariati totale 0 > S 0 ì per operaio complessivo per operaio salariato complessivo per operaio membro della famiglia “SfcupjtciJti,, | II 1 2 1 13 14 5 850 418 1 300 100 1 617 808.5 • “Artigiani,, J II 3 8 11 8 19 1 315 70,3 351 44 984 89,4 # Per ogni azienda. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 4 2 5 Esaminiamo questa tabella, facendo rilevare fin dairinizio che se invece della sola fabbrica di Neviansk avessimo preso tutti i dati relativi ai sottogruppi 1 e 3 (p. 335 dello Studio ), avremmo ottenuto gli stessi risultati. Il reddito globale dei due sottogruppi non può evidentemente essere comparato, poiché lo stesso materiale passa per le mani di diversi operai specializzati e attraverso i laboratori di montaggio. Ma caratteristici sono i dati sul reddito e sul salario. Risulta che il salario degli operai dei la- boratori di montaggio è superiore al reddito degli artigiani indi- pendenti (100 rubli e 89 rubli), sebbene questi ultimi sfruttino anche operai salariati, il cui salario è meno della metà di quello degli operai dei laboratori di montaggio. Ebbene, come potreb- bero i nostri imprenditori non preferire l’industria « artigiana » a quella di fabbrica, dal momento che la prima offre loro « van- taggi » così sostanziali! Esattamente allo stesso modo è organiz- zato il lavoro per lo s^itpstci^ nell’industria delle carrozze {Studio, p. 308 e sgg.; Ind . art ., I, p. 42 e sgg.); identici i laboratori di mon- taggio, di cui i padroni sono « skupstcik} » (che distribuiscono il materiale e danno il lavoro) nei confronti degli artigiani specializ- zati; parimenti più in alto è il salario dell’operaio salariato che la- vora nel laboratorio rispetto al guadagno dell’artigiano indipendente (senza parlare dell’operaio salariato che lavora per quest’ultimo). Il salario è più alto sia per gli agricoltori (I gruppo) che per i non agricoltori (II gruppo). Nell’industria del mobilio gli skupstcik } , che sono proprietari di negozi di mobili a Perm {Studio, 133; Ind. art., II, 11), insieme con le ordinazioni, danno agli artigiani i modelli, il che ha tra l’altro « perfezionato gradualmente la tecnica della produzione ». Nell’industria dell’abbigliamento, i negozi di confezioni di Perm e Iekaterinburg distribuiscono la stoffa agli artigiani perchè la lavorino. È noto che la sartoria e l’industria delle confezioni hanno un’organizzazione assolutamente identica anche in altri paesi capitalistici dell’Europa occidentale e dell’America. La dif- ferenza tra l’Occidente « capitalistico » e la Russia, con la sua « produzione popolare », sta nel fatto che in Occidente questi sistemi vengono chiamati Schwitz-system *, e si ricercano i mezzi Sfruttamento a sangue ( N.d.R .)■ 426 LENIN per lottare contro questo abietto sistema di sfruttamento, come fanno per esempio i sarti tedeschi che riescono a ottenere dai loro padroni la costruzione di fabbriche (ossia « trapiantano arti- ficialmente il capitalismo », come concluderebbe il populista russo), mentre da noi questo « sistema di sfruttamento a sangue » viene benignamente definito « industria artigiana », e se ne discutono i vantaggi a confronto del capitalismo. ### Abbiamo così esaminato tutte le industrie che abbracciano la stragrande maggioranza degli artigiani i quali lavorano per gli s\upstci\i. Quali sono i risultati di questo esame? Ci siamo con- vinti che la tesi populista, secondo cui gli s\upstciì{i e anche i la- boratori di montaggio sono la stessa cosa degli usurai, degli elementi estranei alla produzione, ecc., è del tutto priva di fonda- mento. Sebbene i dati dello Studio siano, come abbiamo già detto, incompleti, sebbene nel piano del censimento non figurino i pro- blemi concernenti le aziende degli s\upstcìki , siamo tuttavia riu- sciti a stabilire che nella maggior parte delle industrie artigiane esiste un legame indissolubile tra gli s\upstciì(i e la produzione e persino una diretta partecipazione di costoro alla produzione. Essi « partecipano » alla produzione in qualità di proprietari di aziende che impiegano operai salariati. Non v’è nulla di più as- surdo delFopinione che il lavoro degli s\upstci\i sia soltanto il risultato di non so qual abuso, del caso, di non so quale « tra- sformazione capitalistica del processo di scambio » e non della pro- duzione. Viceversa, il lavoro per gli s\upstci\i è precisamente una forma particolare di produzione , una particolare organizza- zione dei rapporti economici di produzione, organizzazione svilup- patasi direttamente dalla piccola produzione mercantile (« piccola produzione popolare », come si è soliti dire nella nostra letteratura che tutto idealizza), e ancora oggi a questa legata da migliaia di fili, poiché i piccoli padroni più agiati, gli « artigiani » più progrediti sono coloro che danno inizio a questo sistema, ampliando il volume dei propri affari mediante la distribuzione del lavoro a IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 427 domicilio. Direttamente connesso all’azienda capitalistica che im- piega operai salariati, e spesso soltanto una continuazione di questa azienda o una sua succursale, il lavoro per gli s\apstci\ì è semplicemente un 'appendice della fabbrica , intendendo quest’ul- tima espressione non nel significato scientifico, ma in quello cor- rente nella lingua parlata. Secondo la classificazione scientifica delle forme d’industria, nel loro successivo sviluppo, il lavoro per lo s\upstci\ rientra soprattutto nella manifattura capitalistica , per- chè esso: 1) si fonda sul lavoro a mano e su una larga base di pic- coli laboratori; 2) introduce la divisione del lavoro fra questi laboratori, sviluppandola anche all’interno del laboratorio; 3) pone alla testa della produzione il commerciante, così come accade nella manifattura, che presuppone una produzione su larga scala, l’acquisto all’ingrosso delle materie prime e la vendita all’ingros- so dei prodotti; 4) riduce i lavoratori alla situazione di operai sa- lariati occupati nell’azienda del padrone o a domicilio. Com’è noto, proprio questi sono gli elementi che caratterizzano il con- cetto scientifico di manifattura, come grado particolare di svi- luppo del capitalismo neH’industria (cfr. Das Rapita /, I, cap. XII). Questa forma d’industria significa già, com’è noto, un ampio dominio del capitalismo, essendo la forma che precede diretta- mente la forma ultima e superiore, ossia la grande industria mec- canica. Il lavoro per lo s^upstci^ è quindi una forma arretrata di capitalismo, e nella società moderna questa arretratezza ag- grava particolarmente la situazione dei lavoratori, sfruttati da tutta una serie di intermediari (sweating-system), isolati, costretti ad accontentarsi del salario più basso, a lavorare in condizioni estremamente antigieniche e per un numero d’ore eccessivo, ma soprattutto in condizioni che riducono di molto la possibilità di un controllo sociale sulla produzione. **# Abbiamo così concluso l’analisi dei dati del censimento arti- giano del 1894-1895. Quest’analisi ha confermato in pieno 1 osser- vazione già fatta che il termine « artigianato », così come è usato 28 - 573 428 LENIN in questo censimento, è assolutamente privo di contenuto. Ab- biamo visto che esso abbraccia le forme più diverse dell’indu- stria, possiamo anzi dire: quasi tutte le forme di industria che la scienza conosce. Infatti vi sono stati inclusi i remeslenni\i pa- triarcali, che lavorano su ordinazione dei clienti con il loro (dei clienti) materiale e che sono pagati ora in natura ora in danaro. Sono stati inclusi i rappresentanti di una forma assolutamente diversa di industria: i piccoli produttori di merci che lavorano con la loro famiglia. Sono stati compresi i proprietari di laboratori capitalistici che impiegano operai salariati, e gli stessi operai salariati, il cui numero è di alcune decine per laboratorio. Sono stati inclusi gli imprenditori manifatturieri forniti di grandi ca- pitali, i quali dominano su tutto un sistema di laboratori spe- cializzati. Sono stati inclusi gli operai che lavorano a domicilio per i capitalisti. Inoltre in tutte queste categorie sono stati consi- derati « artigiani » gli agricoltori e i non agricoltori, i contadini e gli abitanti della città. Questa confusione non è certo una par- ticolarità dello studio sugli artigiani di Perm. Niente affatto. Essa si ripete sempre e dappertutto , quando e dove si parla e si scrive sull’industria « artigiana ». Chiunque conosca, per esempio, i la- vori della commissione per lo studio dell’ artigianato sa che anche in quest’opera figurano tra gli artigiani tutte le categorie citate. Il metodo preferito dalla nostra economia populista consiste nel fare un sol fascio di tutte queste forme d’industria, le cui varietà sono infinite, nel chiamare il risultato industria « artigiana », « popo- lare » e — risum teneatis, amici! — nel contrapporre questa as- surdità al «capitalismo», all’« industria di fabbrica e di officina». Questo stupefacente metodo, che rivela la straordinaria profon- dità di pensiero e l’eccezionale cultura del suo iniziatore è « stato fondato », se non andiamo errati, dal sig. V. V., il quale, nelle prime pagine della sua opera Saggi sull’ artigianato y stabilisce un paragone tra il numero ufficiale degli operai « di fabbrica e di officina » dei governatorati di Mosca, Vladimir, ecc., e il numero degli « artigiani », e ne risulta, naturalmente, che nella santa Russia 1 « industria popolare » è molto più sviluppata del « capi- talismo»; ma il nostro «autorevole» economista tace prudente- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 429 mente il fatto ripetutamente costatato da altri studiosi* che la stragrande maggioranza di questi « artigiani » lavora per gli stessi fabbricanti. Attenendosi fedelmente ai pregiudizi populisti, i compilatori dello Studio usano lo stesso metodo. Sebbene il va- lore della produzione annua dell’industria « artigiana » nel go- vernatorato di Perm ammonti a 5.000.000 di rubli ## soltanto, e quella dell’industria « di fabbrica e di officina » a 30.000.000 di rubli, « l’industria di fabbrica e officina occupa 19.000 braccia e l’industria artigiana 26.000 » (p. 364). La classificazione, come ve- dete, commuove per la sua semplicità: a) operai di fabbrica e officina . . . 19.000 b) artigiani 26.000 Totale 45.000 È chiaro che una simile classificazione spalanca le porte ai ra- gionamenti sulla «possibilità di un’altra via per la patria»! Ma perchè servirci di questi dati quando disponiamo di quelli del censimento artigiano per fuoco, censimento che ha studiato le forme d’industria? Tentiamo perciò di fare una classificazione che corrisponda ai dati del censimento (dei quali la classificazione populista si è semplicemente fatto beffa) e alle diverse forme d’in- dustria. Il rapporto percentuale fornito dal censimento di 20.000 operai sarà da noi applicato al numero che gli statistici hanno au- mentato in base ad altre fonti, ossia a 26.000 operai. • Cfr. anche l’articolo del sig. Kharizomenov, Importanza dell industria arti- giana , in luridiccski Viestni{ ”, nn. 11 e 12, 1883, che dà i dati riassuntivi del materiale statistico allora esistente. # * Non parliamo poi dello strano metodo con cui è stata ricavata questa cifra. Per esempio, la voce più importante è rappresentata dall’industria molitoria (1,200.000 rubli), perchè in essa è stato calcolato il costo di tutti i cereali macinati ,dai mulini! Nelle tabelle e nel testo dello Studio è stato indicato soltanto un red- dito globale di 143.000 rubli (cfr. p. 358 e nota). La calzoleria dà 930.000 rubli, buona parte dei quali è costituita dalla cifra d’affari dei jabbrtcanti di Kungur. E così via di seguito. 25* 43 ° LENIN A . Produzione mercantile I. Operai impiegati in modo capitalistico. 1) Operai « di fabbrica e di officina > (secondo i dati relativi a un periodo di sette anni, 1885-1891, in media spettano a ogni labo- ratorio 14,6 operai) 2) Operai salariati che lavorano per gli « ar- tigiani > (25 % del numero complessivo). (Un quarto lavora in laboratori che hanno ciascuno, in media, 14,6 operai) 3) Coloro che lavorano a domicilio per gli sfapsteify, ossia artigiani del sottogruppo 3 che lavorano coi membri della famiglia, 20%. (Molti lavorano per gli stessi fabbri- canti per cui lavorano gli operai dei punti 1 e 2) Numero degli operai I9.OOO \ 42.2 % 6.5OO 14.4 % 5.200 11,6% 3O.7OO 68,2% II. Piccoli produttori di merci, ossia artigiani membri della famiglia del sottogruppo 1, 3°%. (Un terzo circa impiega operai sala- riati) 7.800 * 74 % B. Artigianato Remeslennibj rurali (in parte urbani), ossia ar- tigiani membri della famiglia del sottogruppo 2 > 2 5 %• (Una piccola parte impiega operai sa- lariati) 6.500 44% Totale . . 45.000 100% Ci rendiamo perfettamente conto che anche in questa classifi- cazione ci sono degli errori: non figurano qui i proprietari di fab- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 431 briche ed officine, e vi sono invece artigiani con decine di operai salariati; vi sono inclusi casualmente alcuni proprietari di manifat- ture, che tuttavia non sono stati distinti dagli altri, mentre altri ancora sono stati esclusi perchè considerati « sl{upstciJ{i »; qui figu- rano i remeslenni\i urbani di una sola città e mancano quelli di altre 11 città, ecc. Comunque, questa classificazione è basata sui dati del consimento degli artigiani relativi alle forme d'industria , e gli errori indicati, in sostanza, riguardano i dati e non la classifi- cazione*. In ogni caso, questa classificazione dà un’idea esatta della realtà, mette in luce i reali rapporti economici e sociali tra i diversi gruppi che partecipano alla produzione, e quindi la loro situazione e i loro interessi; e proprio in questo sta il com- pito supremo di ogni ricerca economica scientifica. VII « Fenomeni confortanti» nell'industria artigiana Ci si potrebbe accusare di unilateralità, si potrebbe osservare che abbiamo messo in luce i soli aspetti negativi deirindustria arti- giana, se passassimo sotto silenzio i fatti citati nello Studio che do- vrebbero mettere in evidenza « gli aspetti positivi » e « i fenomeni confortanti ». Ci si dirà, per esempio, che il lavoro salariato assume nella produzione artigiana un certo significato particolare, perchè qui il salariato è un operaio di tipo particolare, che « fa vita in comune » col padrone e « può » egli stesso diventare un padrone. Tra i « fe- nomeni confortanti » rientra quindi il pio desiderio di trasformare tutti gli operai in piccoli padroni **! Non tutti d’altronde, ma soltanto alcuni, perchè « la tendenza a sfruttare il lavoro altrui è * Si obietterà forse che gli operai salariati i quali lavorano presso gli arti- giani rcmeslcnnikì (il 20 % del numero complessivo degli operai salariati lavora presso gli artigiani) non debbono essere inclusi nella produzione mercantile, ma neH’artigianato. Qui però la stessa forza-lavoro è una merce e la sua compraven- dita è una caratteristica essenziale del capitalismo. •• Ma nulla ci vien detto sul modo come la < vita in comune » si ripercuote sul sistema e sulla regolamentazione dei salari, sui metodi di assunzione, sul- l’asservimento delloperaio c sul truck^-system. 432 LENIN senza dubbio propria di tutti gli uomini in generale, gli artigiani compresi » ( Studio , p. 6). Questa frase è impareggiabile per l’inge- nuità con cui « tutti gli uomini » vengono senz’altro identificati coi piccoli borghesi! Non ce da stupirsi se colui che guarda tutto il mondo attraverso gli occhiali del piccolo borghese scopre ve- rità così straordinarie. A p. 268 una piccola fabbrica con 8 operai salariati, con una produzione di 10.000 rubli, viene dichiarata «per le sue condizioni di lavoro [szcì] azienda artigiana nel senso stretto del termine ». Nelle pp. 272-274 si racconta come un altro piccolo fabbricante (con 7 operai salariati e 5 apprendisti, e una produzione di 7.000 rubli) avesse costruito un altoforno su un terreno preso in affitto dal Yobstcina e avesse chiesto alla banca artigiana un prestito di 5.000 rubli per la costruzione di un cubilotto, spiegando che « tutta la sua azienda avrebbe avuto un interesse puramente locale, poiché l’estrazione del minerale si sarebbe fatta nelle terre d t\Y obstcina dai contadini del posto ». La banca ha respinto la richiesta per ragioni formali. E lo Studio ci offre a questo proposito un quadro attraente della trasformazione di questa azienda in un’azienda cooperativa, sociale : ciò « andrà senza dubbio a genio » al padrone, « in quanto egli è sollecito non solo degli interessi della produzione, ma anche di quelli dei membri d AYobstcina ». L’azienda « abbraccerà la massa degli in- teressi inerenti al lavoro dei membri àe\Yobstcina y i quali estrar- ranno e trasporteranno in fabbrica i minerali e il legname ». « I capifamiglia porteranno alla fabbrica i minerali, il carbone, ecc., così come le loro donne portano al caseificio dell 'obstcina il latte. Certo, qui si presuppone una organizzazione più complessa di quella dei caseifici collettivi, soprattutto se i maestri e i mano- vali del luogo saranno impiegati nella produzione stessa dell’azien- da, ossia nella produzione della ghisa ». Che idillio! I manovali (« membri dell y obstcina ») « porteranno nella fabbrica » il mine- rale, il legname, ecc., come le contadine portano il latte al caseificio! Non vogliamo negare che la banca artigiana potrà (se non glielo impedirà la sua organizzazione burocratica) assol- vere la stessa funzione delle altre banche e sviluppare la produ- zione mercantile e il capitalismo, ma sarebbe molto triste se conti- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 433 nuasse in pari tempo a sviluppare il fariseismo e il vaniloquio alla Manilov di quegli imprenditori che chiedono un prestito. Finora abbiamo visto come aziende che impiegano un gran numero di operai salariati siano state dichiarate « artigiane » per- chè gli stessi padroni vi lavorano. Ma un simile criterio sarebbe limitativo per i piccoli borghesi, e lo Studio si premura di am- pliarlo: ne vien fuori che anche l’azienda la quale «impiega esclu- sivamente lavoro salariato > può essere detta artigiana, se il suo « successo » è dovuto alla « partecipazione personale » del padrone (p. 295), o se i padroni son costretti a limitare la loro partecipazione, perchè occupati in svariate faccende inerenti alla conduzione del- l’azienda » (p. 301). Vero che i populisti di Perm « progrediscono » con successo? «Lavoro personale», «partecipazione personale», « svariate faccende ». Mein Liebchen, was willst du noch mehrì * A quanto pare il lavoro nell’industria dei laterizi offre « particolari vantaggi » (302) agli operai salariati che trovano un « guadagno accessorio » nelle fabbriche di mattoni, mentre ai padroni di que- ste fabbriche manca spesso « il denaro necessario per assumere operai ». Lo Studio conclude che la banca artigiana deve accor- dare crediti a simili padroni, « includendo queste aziende, se- condo la nota del terzo comma dell’art. 7 dello statuto della banca artigiana, nei casi particolarmente motivati » (p. 302). L’espres- sione non è molto corretta, ma in compenso è assai suggestiva e significativa! «In conclusione abbiamó motivi sufficienti per dire — leggiamo alla fine della descrizione dell’industria dei laterizi — che in quest’industria gli interessi dei padroni e degli operai sa- lariati delle campagne si identificano a tal punto che, sebbene for- malmente le artel di questa industria non siano registrate, di fatto esiste un solido legame fraterno tra ì padroni e i loro operai sala- riati » (305). Rimandiamo il lettore al prospetto statistico sopra ri- portato che mostra questi «legami fraterni». È degno di nota — come esempio della confusione esistente nei concetti economici po- pulisti — il fatto che lo Studio difenda e in pari tempo dipinga a rosee tinte il lavoro salariato, affermando che il kulak non è affatto * Mia adorata, che vuoi di più? (Verso della lirica di Heine Die Heirn- kehr . N.d.R.). 434 LENIN il padrone che ha operai salariati, ma il possessore del capitale mone- tario, il quale « sfrutta il lavoro tanto del padrone artigiano quanto dei suoi operai salariati » (!), e si abbandoni poi nel modo più irrazionale e smodato alla difesa dei kulak: «Tuttavia i kulak, per quanto tetri siano i colori con cui li si dipinge, sono per ora una rotella necessaria nel meccanismo dello scambio della produzione artigiana... Se consideriamo i successi deirindustria artigiana, bi- sogna riconoscere che, senza dubbio, i kulak sono un bene, a para- gone della situazione, in cui, senza i kulak, senza mezzi finan- ziari, l’artigiano è costretto a restare senza lavoro > (p. 8) * Ma questo « per ora » fino a quando durerà ? Se si fosse detto che il capitale commerciale e usurario è un momento necessario nello sviluppo del capitalismo, una rotella necessaria nel meccanismo di una società capitalistica poco sviluppata (come la nostra), l’affer- mazione sarebbe stata giusta. In una simile interpretazione, le pa- role « per ora » debbono essere intese così : per ora, cioè sino a quando le innumerevoli limitazioni della libertà deH’industria e della libera concorrenza (soprattutto fra i contadini) conserve- ranno da noi le forme peggiori e più arretrate del capitalismo. Te- miamo però che quest’interpretazione non piaccia ai populisti di Perm e agli altri populisti! Passiamo alle arici , che sono la manifestazione più immediata e più notevole di quei cosiddetti principi collettivistici che i popu- listi vogliono vedere a tutti i costi nelle industrie artigiane. È in- teressante esaminare i dati del censimento per fuoco degli artigiani di tutto il governatorato, censimento che si proponeva appunto di registrare e studiare le artel (p. 14, § 2). Potremo quindi conoscere non soltanto i diversi tipi di artel> ma anche la loro diffusione. • Troviamo le stesse idee nel libro ìnd. art. y I, p. 39 e sgg., ove si polemizza col giornale Dìelovoi Korrespondcnt m > il quale aveva scritto che i kulak (padroni dei laboratori di montaggio nella produzione delle cassepanche) non dovreb- bero essere inclusi nel settore artigiano. « Tutta la nostra industria arti- giana — leggiamo nella risposta a quest’affermazione — è vincolata dal capitale privato e quindi, se includessimo nel settore artigiano solo coloro che smerciano gli articoli di propria produzione, il nostro settore artigiano sarebbe perfettamente vuoto come se fosse stato spazzato da cima- a fondo ». Non si tratta forse di un’am- missione sommamente indicativa ? Abbiamo già messo in luce, servendoci dei dati del censimento, questi « vincoli del capitale privato » che tiene nelle sue mani le industrie artigiane. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 435 Produzione di olio. « Artél consuetudinaria nell'accezione rigo- rosa del termine»: nel villaggio di Pokrovki e nella contrada di Gavriati cinque fratelli posseggono due oleifici di cui, pur essendosi divisa la proprietà, usufruiscono a turno. Questi fatti presentano « profondo interesse », perchè « pongono in luce le clausole contrat- tuali della successione fondata sul lavoro dei laboratori artigiani in seno alla obstcina ». È evidente che simili « artél » consuetudinarie « costituiscono un precedente importante per ciò che riguarda il problema della diffusione, neH’ambiente artigiano, di aziende di tipo industriale, fondate su principi cooperativistici » (pp. 175-176). Così Yartel , nell'accezione rigorosa del termine, come precedente della cooperazione, come manifestazione dello spirito collettivistico, consiste nella proprietà comune di eredi che non hanno diviso Vere- dità\ È chiaro che se così stanno le cose, il diritto civile romano e il nostro decimo volume, con gli istituti del condominium , della proprietà comune degli eredi e dei non eredi è l'autentico palladio dello «spirito collettivistico» e della «cooperazione»! « NelPindustria molitoria... si è soprattutto manifestato in origi- nali forme tradizionali lo spirito di iniziativa cooperativistico dei contadini ». Molti mulini vengono sfruttati in comune da coopera- tive e persino da intieri villaggi. Ecco i metodi di sfruttamento dei mulini: il più diffuso è quello del turno; segue la divisione del red- dito netto in parti proporzionali alle spese di ogni comproprietario; in « simili casi i padroni-soci di rado lavorano personalmente nel- l’azienda, che impiega di solito lavoro salariato» (p. 181; lo stesso può dirsi delle artel per la distillazione del catrame, p. 197). Che originalità e che spirito cooperativistico rivela questa proprietà co- mune di piccoli padroni che assumono in comune degli operai! Il fatto che gli artigiani utilizzino a turno i mulini, le distillerie di catrame e le fucine dimostra al contrario l’estremo frazionamento dei produttori, che nessuna proprietà comune riesce a spingere alla cooperazione. «Una delle forme di organizzazione cooperativistica sono le fucine-arte/ » (239). I fabbri-padroni per far economia di com- bustibile si riuniscono in un'unica azienda, assumono un solo ti- ramantici (economia di operai!) e prendono in affitto dal pro- prietario della fucina, a un prezzo stabilito, sia il locale che la 43 6 LENIN mazza. Così, affittare a una persona, dietro pagamento di un prezzo stabilito, una cosa che appartiene a titolo di proprietà privata a un’altra persona, significa «organizzazione cooperativistica »! Deci- samente il diritto romano dev’essere chiamato codice dell’« organiz- zazione cooperativistica»!... « Nell’organizzazione cooperativistica... troviamo una riprova dell’inesistenza fra gli artigiani di una diffe- renziazione di classe nella produzione, una riprova del fatto che nell’ambiente agricolo e artigiano le differenziazioni scompaiono, come abbiamo osservato nei mulini -artel » (p. 239). E, dopo questo, certi malvagi osano ancora parlare di disgregazione del conta- diname! Finora quindi non abbiamo visto nessun caso di associazione degli artigiani per la compera delle materie prime e la vendita dei prodotti, senza parlare poi dell’associazione per la produ- zione. Tuttavia simili associazioni esistono. Il censimento per fuoco degli artigiani del governatorato di Perm registra almeno quattro associazioni del genere, che si sono organizzate con l’aiuto della banca artigiana: tre nell’industria delle carrozze e una nella pro- duzione di macchine agricole. Una delle artel impiega operai sa- lariati (due apprendisti e due «aiutanti» salariati); in un’altra due soci utilizzano, pagando una certa somma, una fucina e un labo- ratorio appartenenti a un terzo socio. In comune acquistano le materie prime e vendono i prodotti, ma lavorano in laboratori se- parati (tranne il caso già menzionato di affitto della fucina e del laboratorio). Le quattro artel riuniscono 21 operai membri della famiglia. La banca artigiana di Perm funziona da alcuni anni. Supponiamo che essa « riunisca » (per dar loro la possibilità di affittare la fucina del vicino) in un anno non venti ma cinquanta operai membri delle famiglie. In questo caso i 15.000 operai mem- bri delle famiglie artigiane « saranno riuniti » dall’« organizzazione cooperativistica » esattamente in trecento anni. E quando quest’ope- ra sara condotta a termine, si comincerà a « riunire » gli operai sala- riati che lavorano presso gli artigiani... I populisti di Perm escla- mano trionfalmente: «Concezioni economiche tanto importanti, create daiPattività autonoma del pensiero dell’ambiente artigiano, costituiscono una solida garanzia del progresso economico della produzione in questo ambiente, sulla base del principio dell’in- IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 437 dipendenza del lavoro dal capitale, giacche i fatti citati rivelano non soltanto la tendenza spontanea degli artigiani all’indipendenza nel lavoro, ma anche la loro piena consapevolezza > (p. 333). Scu- sate, signori! Certo non è possibile concepire il populismo senza frasi alla Manilov, ma tutto ha un limite! Come abbiamo visto, nessuna artel è espressione del « principio dell’indipendenza del lavoro dal capitale » : tutte le artel sono associazioni di padroni e di piccoli padroni; molte di esse impiegano operai salariati. In queste artel non esiste cooperazione, persino la compera delle materie prime e la vendita dei prodotti in comune sono rare sino al ridi- colo, poiché associano un numero addirittura insignificante di padroni. Si può affermare con certezza che in nessun paese capi- talistico la registrazione di circa 9.000 piccoli laboratori con 20.000 operai rivelerebbe un frazionamento così sorprendente e un tale imbarbarimento dei produttori, fra i quali si sono trovati soltanto alcune decine di casi di proprietà comune e meno di dieci casi in cui tre o cinque piccoli padroni si sono associati per comperare le materie prime e per vendere i prodotti! Questo frazionamento costituirebbe la più sicura garanzia della stagnazione economica e culturale, priva di ogni prospettiva , se non avessimo visto che, per fortuna, il capitalismo mina dalle radici giorno per giorno l’artigia- nato patriarcale, con la limitatezza locale dei piccoli padroni auto- sufficienti, e giorno per giorno distrugge i piccoli mercati locali (da cui è sorretta la piccola produzione), sostituendoli col mercato nazio- nale e mondiale, costringendo non solo i produttori della contrada di Gavriati, ma anche i produttori delPintiero paese e persino di diversi paesi a costituire associazioni, facendo sì che queste asso- ciazioni superino i limiti dei soli padroni e piccoli padroni, po- nendole davanti a problemi ben più ampi della questione del ri- fornimento di legname 0 di ferro a prezzi più convenienti, o della questione della vendita più vantaggiosa di chiodi e carri. Vili Il programma populista di politica industriale Dal momento che le proposte e i provvedimenti pratici ven- gono sempre legati a ciò che nella realtà si considera « confor- 438 LENIN tante» e ricco di prospettive, si comprende a priori quali siano i desideri a proposito dell’industria artigiana espressi nello Stu- dio , che trasforma tutti i fenomeni in « fenomeni confortanti », descrivendo a rosei colori il lavoro salariato nella piccola pro- duzione ed esaltando le associazioni di piccoli padroni, che sono assai poco numerose e unilaterali. Questi desideri, che ripetono le solite ricette populiste, colpiscono da un lato per il loro ca- rattere contraddittorio e, dall’altro, per la profusione di « prov- vedimenti » banali, presentati, con Paiuto di frasi eloquenti, come soluzioni di grandi problemi. Fin dalPinizio dello Studio , nell'in- troduzione, prima ancora che vengano esposti i dati del censi- mento, troviamo ragionamenti ampollosi sul « compito dei crediti artigiani », che è quello di « eliminare (jir/) la mancanza di de- naro », sulla « organizzazione cooperativistica dello scambio fra pro- duzione e consumo » (p. 8), sulla « diffusione delle organizzazioni cooperativistiche», sull’organizzazione di magazzini artigiani, di consulenze tecniche, di scuole tecniche, ecc. (p. 9). Questi ragiona- menti sono ripetuti nel volume molte volte. « L’economia artigiana dev’essere organizzata in modo che l'artigiano disponga di de- naro; o, più semplicemente, l’artigiano dev’essere liberato dal giogo del kulak» (119). «All'epoca nostra spetta il compito di con- durre a termine l'emancipazione degli artigiani mediante il cre- dito », ecc. (267). « È necessario razionalizzare i processi di scam- bio », far sì che « nell'economia contadina penetrino in profon- dità i principi razionali del credito, dello scambio e della pro- duzione » (362), è necessario « organizzare economicamente il la- voro » (sic 1 p. 363), « organizzare razionalmente l’economia na- zionale », e così di seguito. Come vedete, è la ben nota panacea populista, appiccicata ai dati del censimento. E come per ribadire definitivamente la loro ortodossia populista, i compilatori dello Studio non si son lasciati sfuggire l'occasione di condannare l’eco- nomia monetaria in generale, dicendo sentenziosamente al lettore che l'artigianato « reca un grande servizio all’economia nazio- nale, assicurandole la possibilità di evitare la trasformazione del- l’economia naturale in economia monetaria ». « Gli interessi vitali deH’economia nazionale esigono che le materie prime da essa prodotte vengano lavorate sul posto e, nei limiti del possibile, IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 439 senza alcun intervento del denaro nel processo di scambio » (360). Il programma populista è qui esposto con ampiezza e sin- cerità così complete che nulla lasciano a desiderare! Abbiamo detto : « programma populista », perchè a noi non interessa ciò che distingue gli autóri dello Studio dagli altri populisti, ma, al contrario, proprio ciò che ad essi li accomuna. Ci interessa il programma pratico dei populisti suirartigianato in generale. È facile vedere che nello Studio sono appunto messi in evidenza i tratti essenziali di questo programma: 1) condanna dell’econo- mia monetaria e simpatia per l’economia naturale e l’artigianato primitivo; 2) diversi provvedimenti per sostenere la piccola pro- duzione contadina, come per esempio i crediti, lo sviluppo della tecnica, ecc.; 3) sviluppo di ogni tipo di associazione e unione tra padroni e piccoli padroni: associazioni per la compera delle materie prime, per l’uso dei magazzini, per il prestito e il rispar- mio, associazioni di credito, di consumo, di produzione; 4) «or- ganizzazione del lavoro », frase che ricorre dovunque, ogniqual- volta i populisti esprimono le loro aspirazioni. Esaminiamo dun- que questo programma. Anzitutto, nella condanna dell’economia monetaria, quando si tratta dell’industria artigiana, il programma assume un ca- rattere puramente platonico. Persino nel governatorato di Perm la produzione del remeslennil \ è stata respinta in secondo piano dalla produzione mercantile e si trova in condizioni così pietose che nello stesso Studio leggiamo che è auspicabile « liberare l’arti- giano dalla soggezione », ossia eliminare la dipendenza del re - meslenni\ dal committente-consumatore, «cercando i mezzi per ampliare, oltre i limiti della domanda per il consumo locale, la sfera stessa delle vendite» (p. 33). In altri termini, la con- danna dell’economia monetaria in teoria, e in pratica l’aspirazione a trasformare l’artigianato in economia mercantile! E questa contraddizione non è affatto attributo esclusivo dello Studio , ma è comune a tutti i progetti populisti: per quanto i populisti si battano contro l'economia mercantile (monetaria), la realtà cac- ciata dalla porta rientra dalla finestra, e le misure che essi sostengono sviluppano appunto l’economia mercantile. Un esem- pio è dato dal credito. Dai loro piani e dalle loro aspirazioni, i 44 ° LENIN populisti non escludono la stessa economia mercantile. Lo Studio , per esempio, non dice mai che le riforme proposte non debbano fondarsi sulleconomia mercantile. Al contrario, esso auspica sol- tanto basi razionali per lo scambio, vuole l’organizzazione coo- perativistica dello scambio. L’economia mercantile rimane, dev’es- sere soltanto riorganizzata su basi razionali . L’utopia non è affatto nuova, avendo essa avuto nella vecchia letteratura economica celebri esponenti. La sua inconsistenza teorica è stata ormai ri- velata da molto tempo, sicché non è il caso di soffermarsi su que- sto problema. Non sarebbe stato meglio, invece di pronunciare frasi assurde sulla necessità di «razionalizzare» l’economia, «ra- zionalizzare » prima le proprie idee sull’economia reale , sui rap- porti sociali ed economici reali, esistenti nella massa estrema- mente varia ed eterogenea degli « artigiani », la cui sorte i nostri populisti vogliono determinare in modo così burocratico e su- perficiale, dall’alto? Non ci mostra forse ad ogni istante la realtà che i provvedimenti pratici dei populisti sull’« organizzazione del lavoro », ecc., architettati secondo le ricette di sedicenti idee « pure », in pratica finiscono per aiutare e sostenere il « contadino padrone », il piccolo fabbricante o lo s\upstci\, e in generale tutti i rappresentanti della piccola borghesia? E questo non è affatto dovuto al caso nè all’imperfezione o all’insuccesso di singole mi- sure. Al contrario, sulla base generale deireconomia mercantile, del credito, dei magazzini in comune, delle banche, delle consu- lenze tecniche, ecc., si avvantaggiano inevitabilmente e necessa- riamente anzitutto e soprattutto i piccoli borghesi. Ma se le cose stanno così, ci si obietterà, se i populisti con le loro misure pratiche contribuiscono inconsapevolmente e contro la loro stessa volontà a sviluppare la piccola borghesia e quindi il capitalismo in generale, perchè dunque attaccare i loro pro- grammi che, in linea di principio, considerano lo sviluppo del capitalismo come un fatto progressivo? È forse ragionevole at- taccare, a causa dell’erroneità o, per esprimerci in modo più deli- cato, a causa della discutibilità dei loro paludamenti ideologici, programmi praticamente utili? Poiché a nessuno verrà in mente di negare l’« utilità » dell’istruzione tecnica, del credito, delle unioni e associazioni tra produttori! IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 44 1 Queste obiezioni non sono inventate. In questa o quella forma, con questo o quel pretesto esse vengono sollevate costantemente in risposta alla polemica contro il populismo. Non staremo qui a dire che queste obiezioni, anche se fossero giuste, non smenti- rebbero per nulla il fatto che il presentare progetti piccolo-bor- ghesi paludati in sublimi panacee sociali arreca già di per sè un gra- ve danno alla società. Intendiamo porre il problema sul terreno pra- tico delle esigenze immediate e vitali del mondo contemporaneo, e da questo punto di vista, volutamente ristretto, dare una valu- tazione del programma populista. Sebbene molti provvedimenti populisti siano in pratica utili perchè contribuiscono allo sviluppo del capitalismo, tuttavia essi in generale sono: i) al massimo grado incoerenti; 2) dottrinari e sterili; 3) meschini rispetto ai compiti reali che il capitalismo in sviluppo pone dinanzi alla nostra industria. E ci spieghiamo. Ab- biamo detto, in primo luogo, che i populisti sono incoerenti come uomini pratici. Accanto ai provvedimenti sopra indicati, che in genere sono definiti come politica economica liberale e vengono sempre scritti sulla bandiera dei capi della borghesia occidentale, i populisti riescono a conservare l’intenzione di porre un freno allo sviluppo economico così come esso si verifica, di ostacolare il progresso del capitalismo, di appoggiare la piccola produzione che si estenua nella lotta contro la grande produzione. Essi difendono le leggi e le istituzioni che ostacolano la mobilizzazione della terra, la libertà di trasferirsi, che conservano il carattere chiuso, di casta della massa contadina, ecc. Ci si domanda: esistono mo- tivi ragionevoli per frenare lo sviluppo del capitalismo e della grande industria? Dai dati del censimento abbiamo visto che la famosa « indipendenza » non preserva affatto gli artigiani dal- lesser sottomessi al capitale commerciale, dallo sfruttamento nella sua forma peggiore; abbiamo visto che in realtà la situazione della stragrande maggioranza degli artigiani « indipendenti » è spesso più misera di quella degli operai salariati che lavorano per gli artigiani; che i loro guadagni sono infimi, le condizioni di lavoro (sotto laspetto igienico e per la durata della giornata lavorativa) estremamente insoddisfacenti, la produzione spezzet- tata, tecnicamente primitiva e non sviluppata. Ci si domanda: 44 2 LENIN esistono forse motivi ragionevoli per mantenere in vigore le leggi di polizia che sanciscono « il legame con la terra », che vietano di spezzare questo legame che tanto intenerisce i populisti? # , I dati del « censimento degli artigiani » del governatorato di Perm del 1894-1895 attestano in modo lampante che il vincolo artifi- cioso dei contadini con la terra è assolutamente assurdo. Questo vincolo non fa che ridurre il loro guadagno, il quale, quando esiste un « legame con la terra », è meno della metà di quello dei non agricoltori, abbassa il tenore di vita, accentua l’isolamento e la dispersione dei produttori nelle campagne, accresce la loro impotenza dinanzi a ogni s\upstci\ e ad ogni maestro. Il legame con la terra frena in pari tempo lo sviluppo del capitalismo, pur non essendo in grado di impedire il sorgere della classe della piccola borghesia rurale. 1 populisti evitano di impostare il pro- blema in questo modo: frenare o non frenare lo sviluppo del ca- pitalismo. Essi preferiscono discutere sulla « possibilità di altre vie per la patria », Ma poiché si parla di provvedimenti pratici immediati, ogni uomo politico deve necessariamente porsi sul terreno della via che si è imboccata **. Fate dunque tutto quel che volete per «trascinare» la patria su un’altra via! Una simile azione non susciterà alcuna critica (se non quella del riso). Ma- non difendete ciò che artificialmente frena quel determinato svi- luppo, non celate sotto le frasi concernenti l’« altra via » il pro- blema della rimozione degli ostacoli dalla via che si è imboccata. Un’altra circostanza che occorre tener presente nella valuta- zione del programma pratico dei populisti è la seguente. Abbia- mo già visto che i populisti cercano di formulare le proprie aspi- razioni nel modo più astratto, di presentarle come esigenze astratte della scienza « pura », della giustizia « pura », e non come • Lo Studio parla con molto patos dell’utilità òcW'obstcina e dei danni derivanti all’agricoltura dalla « mobilizzazione * delle terre, che determinerebbe il sorgere del « proletariato * (p, 6). La contrapposizione della mobilizzazione a Wobstcina sottolinea proprio il tratto più reazionario e nocivo dell’« obstana *• Sarebbe interessante sapere se vi è un solo paese capitalistico in cui il « proletario » che guadagna 33 o 50 rubli all’anno non venga messo nella categorie dei poveri. ## Che questa via sia quella dello sviluppo del capitalismo non è stato negato, a quanto ci consta, neppure dai populisti, nè dal sig. N.-on, nè dal sig. V.V., nè dal sig. Iugiakov, ecc. ecc. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 443 esigenze reali di classi reali che hanno interessi determinati. Il credito — questa esigenza vitale di ogni padrone e piccolo pa- drone nella società capitalistica — il populista lo presenta come un elemento qualsiasi nel sistema deirorganizzazione del lavoro; le unioni e le associazioni di padroni vengono rappresentate come l’espressione embrionale dell’idea della cooperazione in gene- rale, deH’idea dell’« emancipazione degli artigiani », ecc., mentre ognuno sa che tutte queste associazioni perseguono di fatto scopi che nulla hanno a che vedere con una materia così elevata, ma si riallacciano puramente e semplicemente al reddito dei pic- coli padroni, al consolidamento della loro situazione, all’aumento del loro profitto. La trasformazione di banali aspirazioni bor- ghesi e piccolo-borghesi in panacee sociali toglie a queste aspira- zioni ogni vi gore , le priva di ogni base vitale, garanzia della loro necessità e della possibilità che si realizzino. I problemi essen- ziali di ogni padrone, s\upstci\, commerciante (il credito, le asso- ciazioni, la consulenza tecnica) vengono presentati dal populista come problemi generali, che stanno al di sopra degli interessi par- ticolari. Il populista immagina di accrescerne in questo modo Tim- portanza, crede di sublimarli, mentre in effetti trasforma un pro- blema vivo, che interessa questi o quei gruppi della popolazione, in una aspirazione filistea, in una speculazione astratta, in un burocratico «calcolo dei vantaggi». A ciò è direttamente con- nessa una terza circostanza. Non comprendendo che i provve- dimenti pratici, come il credito, Vartel , la consulenza tecnica, ecc., esprimono le esigenze del capitalismo in sviluppo, il populista non riesce a esprimere le esigenze generali e fondamentali di questo sviluppo, ricorrendo a piccoli espedienti scelti a caso, a mezze mi- sure, che prese a se non possono esercitare alcuna azione efficace e sono inevitabilmente condannate al fallimento. Se il populista si fosse messo apertamente e conseguentemente dal punto di vista di colui che esprime le esigenze dello sviluppo sociale in senso capitalistico, avrebbe saputo cogliere le condizioni generali , le esi- genze generali di questo sviluppo, avrebbe visto che, permanendo queste condizioni generali (di cui la principale nel presente caso è la libertà dell’industria), tutti i suoi meschini progetti e provve- dimenti si sarebbero realizzati da soli, ossia grazie all’attività degli 29-573 444 LENIN stessi interessati, mentre ignorando queste condizioni generali e presentando soltanto provvedimenti pratici con un carattere as- solutamente particolare ci si riduce necessariamente a pestare l’ac- qua nel mortaio. Prendiamo, ad esempio, il problema della li- bertà dell’industria. Da una parte, si tratta di un problema così generale e fondamentale tra i problemi della politica industriale, che la sua analisi è particolarmente opportuna. D’altra parte, le particolarità del modo di vita del territorio di Perm ci offrono un’interessante conferma dell’importanza cardinale di questo problema. Com’è noto, il principale fenomeno della vita economica in questo territorio è costituito dall’industria metallurgica, che le ha dato un’impronta del tutto particolare. Alla situazione e agli interessi dell’industria metallurgica degli Urali è connessa anche la storia delle colonizzazioni e la situazione attuale della regione. « In generale i contadini sono stati trasferiti negli Urali per- chè lavorassero per i proprietari di fabbrica », leggiamo nella lettera di un certo Babusckin, della fabbrica di Novo-Serghinsk, nei Lavori della commissione per lo studio dell'industria artigiana, ecc. *. Con queste candide parole è espressa in modo molto giusto la grande funzione dei proprietari di fabbrica nella vita della regione, la loro importanza come grandi proprietari fondiari e come fabbricanti nello stesso tempo, la loro abitudine a dominare in modo assoluto e illimitato, la loro situazione di monopolisti i quali basano l’industria sul loro diritto di proprietà e non sul capitale e sulla concorrenza. I principi monopolistici dell’industria metallurgica degli Urali hanno trovato la loro espressione legi- slativa nel celebre articolo 394 del libro VII del Codice (Statuto minerario), articolo di cui tanto si è parlato e si parla nella let- teratura sugli Urali. Questa legge, promulgata nel 1806, prevede in primo luogo che è di competenza della direzione delle miniere concedere l’autorizzazione di aprire nuove fabbriche nelle città mi- nerarie, e in secondo luogo vieta l’apertura nei distretti industriali di « qualsiasi manifattura o fabbrica, la cui produzione si fondi prin- cipalmente sull’impiego del fuoco, che richiede carbone e legna ». • Parte XVI, pp. 594-595. Citato nel volume Ind. art., I, 140. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 445 Nel 1861 i proprietari di fabbriche degli Urali hanno sostenuto con particolare insistenza che dopo Temancipazione dei conta- dini era necessario emanare questa legge, e l’articolo n del rego- lamento sui capimastri che lavorano nelle officine contiene un analogo divieto*. Il resoconto dellamministrazione della banca artigiana del 1895 dice fra l'altro : « Ma assai spesso vengono pre- sentati reclami riguardanti il divieto fatto dai funzionari del di- partimento delle miniere e dai proprietari delle officine avute in appalto dallo Stato di aprire nei territori da essi dipendenti aziende che impiegano il fuoco; si hanno inoltre reclami contro ogni sorta di limitazioni applicate nell’industria artigiana per la lavorazione dei metalli » {Studio, p. 223). Così, gli Urali conservano ancor oggi le incrollabili tradizioni del « buon tempo antico », e l'atteg- giamento assunto verso la piccola industria contadina è qui in piena armonia con l’« organizzazione del lavoro » che assicura alle officine una popolazione operaia legata alla località. Queste tradizioni sono illustrate col massimo rilievo nella seguente noti- zia pubblicata dal Perms^ie Gubernsfye Viedomosti** y n. 183 del 1896, citata nello Studio e giustamente definita «molto signifi- cativa». Eccola: «Il ministero deiragricoltura e delle terre dema- niali ha proposto ai proprietari delle officine metallurgiche degli Urali di esaminare la possibilità di prendere alcuni provvedi- menti per sviluppare l’industria artigiana degli Urali. I proprie- tari di officine hanno reso noto al ministero che lo sviluppo del- l’industria artigiana negli Urali arrecherà danno alla grande in- dustria, poiché già oggi, pur essendo l’industria artigiana scarsa- mente sviluppata, la popolazione degli Urali non può garantire * Cfr. Ind. art. y I, 18-19; Studio , 222, 223, 244; Resoconti e studi sull’indù - stria artigiana , editi dal ministero dell’agricoltura c delle terre demaniali, articolo di Iegunov nel voi. III. Pubblicando l’articolo di Iegunov, il ministero dichiara in una nota che le opinioni deH’autore « sono radicalmente diverse dalle conce- zioni e dai dati del dipartimento delle miniere *. Nel distretto di Krasnoufimsk, per esempio, sono state chiuse, in base alle leggi citate, circa 400 fucine. Cfr. Lavori della commissione per lo studio dell’ industria artigiana , parte XVI, articolo di V.D. Bielov, L' artigianato degli Urali in rapporto con l’industria metallurgica. L’au- tore osserva che gli artigiani, temendo di esser colpiti dalla severità delle leggi, na- scondono le loro macchine. Un artigiano ha montato su ruote un forno per il getto, in modo da poterlo nascondere più facilmente! (p. 18 dell’articolo citato). ** Notiziario del governatorato di Perm ( N.d.R .). 446 LENIN alle officine il numero necessario di operai*; se la popolazione troverà lavoro a domicilio, le officine rischieranno di restare del tutto ferme » ( Studio , p. 244). Questa notizia ha indotto gli autori dello Studio a proclamare: «Naturalmente, per ogni tipo di industria, grande , media e piccola , la prima condizione neces- saria è la libertà dell’industria... In nome di questa libertà tutte le branche dell' industria debbono godere, sotto l’aspetto giuridico, di uguali diritti. L’industria artigiana per la lavorazione dei me- talli negli Urali deve essere liberata dalle limitazioni di carattere eccezionale poste dalla regolamentazione delle officine al fine di frenarne il naturale sviluppo» (ivi. Il corsivo è nostro). Nel leggere questa tirata, sentita e profondamente giusta, in difesa della « libertà dell’industria », abbiamo ripensato alla celebre favola del metafisico che tarda a uscire dal fosso domandando che cosa sia la corda che gli è stata gettata: «una semplice fune». Così i populisti di Perm, quando si parla della libertà dell’industria, della libertà di sviluppo del capitalismo, della libera concorrenza, domandano con tono sprezzante che cosa sia questa libertà del- l’industria: una semplice rivendicazione borghese! Essi hanno aspirazioni molto più elevate: non vogliono la libera concorrenza (che aspirazione bassa, angusta, borghese!), ma l’« organizzazione del lavoro»... Basta però che questi sogni alla Manilov si trovino « faccia a faccia » con la nuda e prosaica realtà perchè di colpo questa realtà esali odore di un’« organizzazione del lavoro » di tal fatta che il populista dimentichi i « danni » e i « pericoli » del capitalismo, la « possibilità di altre vie per la patria », e chieda la « libertà dell* industria ». Lo ripetiamo, secondo noi questa aspirazione è profondamente giusta e riteniamo che un simile punto di vista (condiviso non soltanto dallo Studio , ma da quasi tutti gli autori che hanno scritto su questo problema) fa onore ai populisti. Però... che • Pei chiarire la questione al lettore osserviamo che la statistica della nostra industria estrattiva e metallurgica ha ripetutamente costatato che negli Urali il numero degli operai occupati è incomparabilmente più alto, in rapporto alla pro- duzione che essi forniscono, del numero occupato nelle regioni minerarie del sud o della Polonia. Il basso salario, risultato del fatto che gli operai sono vincolati alla terra, fa sì che gli Urali siano ad un livello tecnico incomparabilmente più basso di quello del sud o della Polonia. IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 447 volete farci! Non è possibile elogiare i populisti senza aggiungere subito dopo un grande « però»; però a questo proposito dobbiamo fare due osservazioni essenziali. Prima. Possiamo esser certi che l’immensa maggioranza dei populisti respingerà come non giusta Pidentificazione da noi fatta della «libertà dell’industria » con la «libertà del capitalismo». Essi diranno che eliminare i monopoli e le vestigia della servitù feudale significa « semplicemente » rivendicare l’uguaglianza giu- ridica, fare l’interesse di « tutta » l’economia popolare in generale e di quella contadina in particolare e non ^interesse del capita- lismo. Sappiamo che i populisti parleranno così. Ma sbaglieranno. Più di cento anni sono trascorsi da quando la « libertà dell’indu- stria » veniva considerata in modo così idealistico e astratto, poiché in essa si vedeva un fondamentale e naturale (cfr. la parola sotto- lineata nello Studio) « diritto dell’uomo ». Da allora alcuni paesi hanno rivendicato la « libertà dell’industria » e hanno tradotto in pratica questa esigenza, che è diventata dappertutto l’espressione dell’incompatibilità fra il capitalismo in sviluppo e i residui dei monopoli e delle regolamentazioni; dappertutto essa è stata la parola d’ordine della borghesia avanzata; dappertutto ha condotto soltanto al pieno trionfo del capitalismo. Da allora la teoria ha spiegato pienamente quanto ingenua fosse l’illusione secondo cui la « libertà dell’industria » sarebbe una esigenza della « ragione pura », un’esigenza dell’astratta « parità di diritti », e ha dimo- strato che il problema della libertà dell’industria è un problema capitalistico. La realizzazione della « libertà dell’industria » non è affatto una trasformazione soltanto «giuridica», ma una pro- fonda riforma economica. L’esigenza della «libertà dell’indu- dustria » è sempre l’espressione deirincompatibilità tra le norme giuridiche (le quali riflettono rapporti di produzione che hanno fatto il loro tempo) e i nuovi rapporti di produzione che si sono sviluppati nonostante le vecchie norme, le hanno sorpassate e esigono la loro soppressione. Se gli ordinamenti che esistono negli Urali fanno sì che oggi da ogni parte ci si appelli alla « libertà dell’industria », vuol dire che le regolamentazioni, i monopoli e i privilegi, i quali sono stati tramandati a vantaggio dei grandi proprietari fondiari e dei proprietari di officine, com- 44 8 LENIN primono determinati rapporti economici , determinate forze eco- nomiche. Quali sono questi rapporti e queste forze? Sono i rap- porti dell economia mercantile . Sono le forze del capitale , che dirige l’economia mercantile. Rammentate la succitata « ammis- sione » del populista di Perm : « tutta la nostra industria arti- giana è vincolata dal capitale privato ». Ma anche senza questa ammissione i dati del censimento degli artigiani parlano da sè in modo abbastanza eloquente. Seconda osservazione. Noi salutiamo il fatto che i populisti difendono la libertà dell’industria. Ma soltanto nella misura in cui essi sostengono coerentemente questa difesa. La « libertà del- l’industria» consiste forse soltanto nell’abrogare i divieti vigenti negli Urali relativi all’apertura di aziende che impiegano il fuoco? O l’impossibilità del contadino di uscire da Wobstcina, di eser- citare un qualsiasi mestiere o fare un qualsiasi lavoro non co- stituisce forse una limitazione della « libertà dell’industria » assai più sostanziale? O l’impossibilità di spostarsi, l’impossibilità, san- cita dalle leggi, per ogni cittadino di scegliersi come domicilio una qualsiasi obstcina urbana o rurale dello Stato non limita forse la libertà dell’industria? Il carattere chiuso, di casta dell 'obstcina contadina, l’impossibilità per i membri della classe commerciale e industriale di far parte dell 'obstcina non restringe forse la li- bertà dell’industria? Ecc. ecc. Abbiamo indicato tra le limita- zioni alla libertà deH’industria, le più importanti, più generali e più diffuse, quelle che esercitano la loro influenza su tutta la Russia e, in principal modo, su tutta la massa contadina. Se la « grande, media e piccola » industria devono avere uguali diritti, la piccola industria non deve forse godere dello stesso diritto di alienare la terra, di cui godono le prime due? Se le leggi sull’in- dustria metallurgica degli Urali sono « limitazioni di carattere eccezionale, che ostacolano lo sviluppo naturale », la responsabilità solidale, l’inalienabilità dei nadiel y le speciali leggi e norme corpo- rative sulle migrazioni, sui trasferimenti di proprietà, sui mestieri artigiani e sulle occupazioni non sono forse « limitazioni di carat- tere eccezionale » ? Non « ostacolano » forse « lo sviluppo na- turale » ? La verità e che anche su questo problema il populismo dà IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 449 prova di quella incoerenza e ambiguità che sono proprie di ogni ideologia del -Kleinbilrger. Da una parte, i populisti non negano che nella nostra vita esistono numerose vestigia di quella « orga- nizzazione del lavoro » le cui origini risalgono ai tempi del sistema feudale e che è in stridente contrasto col regime econo- mico attuale, con tutto lo sviluppo economico e culturale del paese. Dall’altra parte, essi non possono non vedere che questo regime economico e questo sviluppo minacciano di mandare in rovina il piccolo produttore, e, spaventati per la sorte di questo palladio dei loro « ideali », si sforzano di frenare la storia, di arrestarne lo sviluppo, chiedono e implorano che « si impedisca », che « non si consenta », e mascherano questo pietoso balbettio reazionario con frasi sull’* organizzazione del lavoro », che non possono non suonare come amara ironia. Certamente il lettore avrà ormai ben compreso qual è l’obie- zione principale ed essenziale che noi muoviamo al programma pratico populista per ciò che riguarda i problemi deirindustria moderna. I provvedimenti populisti, nella misura in cui fanno parte della trasformazione che dai tempi di Adam Smith viene detta libertà deirindustria (nell’accezione larga del termine) o coincidono con essa, sono progressivi. Ma in questo caso in essi non vi è, in primo luogo, nulla di « populista », nulla che sostenga in modo particolare la piccola produzione e le « vie particolari » per la patria. In secondo luogo, questo lato positivo del pro- gramma populista perde ogni vigore e si snatura allorché al problema generale ed essenziale della libertà dell’industria si sostituiscono progetti e provvedimenti parziali e marginali. Le aspirazioni populiste, nella misura in cui si oppongono alla libertà deirindustria, cercando di frenare lo sviluppo attuale, sono rea- zionarie e assurde, e la loro realizzazione non può apportare null’altro che danno. Facciamo qualche esempio. Il credito. Il credito è una istituzione della più sviluppata circolazione mer- cantile, il grado più evoluto di scambio fra i cittadini. Con l’instau- razione della « libertà dell’industria » vengono inevitabilmente fondati istituti di credito, come enti commerciali, si elimina il carattere chiuso, di casta del contadiname, si rendono i con- tadini più simili alle classi che più usufruiscono del credito, si LENIN 450 spingono gli interessati a costituire in modo autonomo società di credito, ecc. Al contrario, che importanza possono avere i prov- vedimenti sul credito imposti ai « contadini » dai sostenitori dello zemstvo e dagli altri «intellettuali», fin quando le leggi e le istituzioni porranno i contadini in una situazione che esclude una circolazione mercantile normale e sviluppata, in una situazione in cui invece della responsabilità patrimoniale (base del credito) sono molto più facili, realizzabili, accessibili e diffuse... le otrabotfyì In queste condizioni i provvedimenti riguardanti il credito ri- marranno sempre piante esotiche, straniere, trapiantate su un terreno inadatto, daranno alla luce un aborto che poteva es- sere concepito solo da intellettuali sognatori alla Manilov e da funzionari benintenzionati, di cui ridono e rideranno i veri com- mercianti del capitale monetario. Per non fare affermazioni gra- tuite, riportiamo un passo di IegunoV (articolo citato), che nes- suno può sospettare di... « materialismo ». Dei magazzini arti- giani, egli dice: «Persino nella situazione locale più favorevole, un magazzino fisso, e per di più unico in tutto un distretto, non sostituirà mai e non potrà sostituire il commerciante che è mosso da un interesse personale e viaggia di continuo ». A proposito della banca artigiana di Perm, leggiamo: per ottenere un prestito, Partigiano deve far richiesta alla banca o a un suo agente e fornire i nomi dei garanti. L'agente arriva, controlla la dichiarazione dell’artigiano, raccoglie informazioni minuziose sulla produzione, ecc., «e tutto questo mucchio di carte, addebitate all’artigiano, le manda alla direzione della banca ». Accordato il prestito, la banca invia, mediante l’agente o attraverso Tamministrazione del volost , una dichiarazione di debito. Il debitore potrà ricevere il denaro, sol- tanto dopo aver firmato (la firma dovrà es.sere legalizzata dalle au- torità del volost) e rispedito alla banca la dichiarazione di debito. Se il prestito viene richiesto da un' artel , è necessario esibire una copia del contratto di associazione. Gli agenti debbono controllare che il denaro venga speso esclusivamente per lo scopo per cui è stato ri- chiesto, che gli affari dei clienti non vadano male, ecc. « È evidente che il credito bancario non può essere considerato in nessun caso ac- cessibile agli artigiani; si può affermare con certezza che l’artigiano preferirà rivolgersi a un ricco del luogo piuttosto che sottoporsi a IL CENSIMENTO DEGLI ARTIGIANI 451 tutte le seccature descritte, pagare le spese di posta, del notaio e del volost , aspettare per mesi, dalla data in cui ha richiesto il prestito sino alla data della sua concessione, e in tutto questo tempo restare sotto controllo > (p. 170 deirarticolo citato). Tanto assurda è la concezione populista che possa esserci un credito anti- capitalistico, quanto inadatti, inopportuni e inefficaci sono questi tentativi (compiuti con mezzi inadeguati) di fare con le forze degli « intellettuali » e dei funzionari ciò che sempre e dappertutto è proprio dei commercianti. Istruzione tecnica. Ci pare che ormai, si potrebbe anche non parlarne... Ricordiamo il progetto di « im- peritura memoria » del nostro celebre scrittore progressivo sig. Iu- giakov, progetto che prevedeva la creazione in Russia di ginnasi agricoli, affinchè i contadini poveri, maschi e femmine, risarcissero col lavoro il costo della loro istruzione, facendo per esempio i cuochi o le lavandaie*... Le arteL Chi non sa che gli ostacoli principali frapposti alla loro diffusione sono le tradizioni di quella stessa « organizzazione del lavoro » che ha avuto il suo riflesso anche nelle leggi minerarie degli Urali? Chi non sa che l’instau- razione della completa libertà dell’industria ha avuto dappertutto e sempre come risultato la fioritura e lo sviluppo di ogni tipo di unione e di associazione? È cosa sommamente comica vedere come il populista si sforzi di presentare l’avversario quale nemico del- Yartely dell’associazione, ecc. in generale. Ciò significa veramente fare a scaricabarili! La realtà è che, quando ci si pone alla ricerca dell’idea dell’associazione e dei mezzi per realizzare questa idea, non bisogna guardare indietro, verso il passato, verso l’artigianato patriarcale e la piccola produzione, che generano l’isolamento, il frazionamento, l’imbarbarimento dei produttori, ma bisogna guar- dare avanti, all’avvenire, allo sviluppo del grande capitalismo in- dustriale. Sappiamo molto bene che il populista assumerà un atteggia- mento di sublime dispregio verso questo programma di politica industriale opposto al suo programma. Libertà dell’industria! Che aspirazione vecchia, angusta, manchesteriana **, borghese 94 ! Il * Cfr. larticolo successivo. ** Alcuni forse penseranno che la « libertà dell’industria » non ammetta prov- 452 LENIN populista è convinto che per lui questo è un uberwundener Stand- punk}*, è convinto di aver saputo elevarsi al di sopra degli inte- ressi transitori e unilaterali che stanno alla base di quest’aspira- zione, di aver saputo innalzarsi sino alle idee più profonde e più pure sull’* organizzazione del lavoro»... Ma, in realtà, egli è sol- tanto caduto dall’ideologia borghese progressiva all’ideologia picco- lo-borghese reazionaria, che tentenna impotente fra l’aspirazione ad affrettare l’attuale sviluppo economico e l’aspirazione a frenarlo, fra gli interessi dei piccoli padroni e gli interessi del lavoro. Per la questione esaminata, questi ultimi interessi coincidono con gli interessi del grande capitale industriale. vedimenti come le leggi sulle fabbriche, ecc. Per « libertà dell’industria » inten- diamo la distruzione degli ostacoli, delle vestigta del passato, che impediscono Io sviluppo del capitalismo. La legislazione sulle fabbriche, invece, come le altre misure della cosiddetta Soeialpoliti^ attuale, presuppone un ampio sviluppo del ca- pitalismo e a sua volta porta avanti questo sviluppo. • Punto di vista superato (N.d.R.). PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA (S. N. Iugiakov. Problemi dell istruzione. — Saggi di pubblicistica. — La riforma della scuola media. — Sistemi e compiti dell istruzione superiore. — 1 libri di testo per i ginnasi . — Il problema dellistru- zione generale . — La donna e V istruzione. Pietroburgo, 1897, pp. Vili + 283. Prezzo: 1 rublo c 50 copechi) 95 Scrìtto in deportazione verso la fine del 1897. Pubblicato per la prima volta nel 1898 in Vladimir Ilin, Studi e articoli di economia. I Con questo titolo il sig. Iugiakov ha pubblicato una raccolta di suoi articoli apparsi sulla Russate Bogatstvo fra il 1895 e 1897. L’autore ritiene che i suoi articoli « abbraccino i principali tra questi problemi », ossia tra « i problemi dell’istruzione », e « costi- tuiscano nel loro insieme una rapida rassegna delle esigenze più mature e imperiose, ancorché scarsamente soddisfatte, della nostra cultura intellettuale » ( Prefazione , p. V). A p. 5 si sottolinea ancora una volta che l’autore intende soffermarsi « prevalente- mente sulle questioni di principio ». Ma tutte queste frasi rive- lano soltanto la predilezione del sig. Iugiakov per i voli del pen- siero o, meglio, per i voli della penna. Lo stesso titolo del volume è oltremodo ampio: in realtà, come risulta anche dagli articoli elencati nel sottotitolo, l’autore non esamina affatto « i problemi dell’istruzione », ma soltanto i problemi della scuola, e, anzi, sol- tanto i problemi della scuola media e superiore. L’articolo più serio del libro è quello relativo ai libri di testo adottati nei no- stri ginnasi. L’autore vi analizza minutamente i manuali di lingua russa, di geografia e di storia in uso nei ginnasi, dimo- strando come essi non siano assolutamente all’altezza del loro compito. L’articolo susciterebbe maggiore interesse se non affa- ticasse con la prolissità che è propria dell’autore. È nostra inten- zione richiamare l’attenzione del lettore su due soli articoli, e precisamente su quelli che trattano della riforma dell’istruzione media e dell’istruzione generale, perchè essi affrontano realmente questioni di principio e consentono, per le loro caratteristiche, di 456 LENIN illustrare le idee preferite della Russ\oie Bogatstvo. Soltanto i signori Grinevic e Mikhailovski sono costretti a frugare nel leta- maio dei rifiuti della poesia russa per scovare nella dottrina avver- saria esempi di conclusioni mostruosamente stolte. Noi invece non abbiamo bisogno di riesumare, per lo stesso scopo, cose così poco allettanti: ci basta ricorrere alla Russ\oie Bogatstvo e a uno dei suoi indiscussi « pilastri ». II Il secondo paragrafo deirarticolo Principi della riforma del- l'istruzione media è stato intitolato dal sig. Iugiakov Compiti della scuola media . Interessi di classe e scuola di classe (cfr. l'in- dice). Come potete vedere, l’argomento presenta vivissimo interesse, perchè promette di chiarire uno dei problemi più importanti non solo deiristruzione, ma deirintiera vita sociale in genere, e per di più quel problema appunto che è fonte di una delle principali divergenze fra i populisti e i « discepoli » 90 . Esaminiamo quindi le idee del collaboratore della Russ\oie Bogatstvo in merito « agli interessi di classe e alla scuola di classe ». L’autore dice molto giustamente che la formula : « la scuola deve preparare l’uomo alla vita» è del tutto priva di contenuto e che la questione sta nel determinare che cosa occorre per la vita e # (8); parlando dell’* opportunità e del pericolo » che costituiscono, dal « punto di vista statale e nazionale» (9), i programmi scolastici di classe; dicendo che gli esempi storici mettono in risalto soltanto « quello straordinario sviluppo antinazionale del regime di classe e degli interessi di classe, di cui abbiamo parlato sopra e che abbiamo considerato pericoloso per il bene della nazione e per lo stesso Stato» (n), che «dappertutto il sistema della direzione di classe è stato in un modo o neiraltro abolito» (11), che la «pericolosa» divisione in classi provoca « l’antagonismo tra i diversi gruppi della popolazione » e distrugge a poco a poco « il sentimento della solidarietà nazionale e il patriottismo» (12), che «gli inte- ressi della nazione, considerata come un tutto organico, dello Stato e dei singoli cittadini, se intesi in modo ampio, giusto, lun- gimirante, non debbono essere contrastanti (almeno nello Stato moderno)» (15), ecc. ecc. Tutte queste frasi sono pure menzogne, vuote parole, che velano l’essenza stessa della realtà attuale me- diante le « aspirazioni », prive di ogni significato, del Kleinburger , aspirazioni che si trasformano inavvertitamente in una caratteriz- zazione di quel che esiste. Se si vuole trovare un’analogia con una simile concezione del mondo, da cui queste frasi scaturiscono, bisogna ricorrere ai rappresentanti di quella scuola « etica » del- TOccidente, che è stata l’espressione naturale e inevitabile della viltà teorica e dello smarrimento politico della borghesia occi- dentale. * Delle due l’una, egregio sig. Kleinburger : o parlate di una società divisa in classi o di una società che non è divisa in classi. Nel primo caso non può aversi un’ìstmzione non di classe. Nel secondo non possono esistere nò uno Stato di classe, nè una nazione di classe, nè individui che appartengano a una classe. In entrambi i casi, la frase è priva di significato ed esprime soltanto il pio desiderio del Kleinburger , che vilmente chiude gli occhi davanti a uno dei tratti più salienti della realtà contemporanea. PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 461 Dal canto nostro, ci limitiamo a contrapporre un piccolo fatto a questa sublime eloquenza e a questo ottimismo, a questa stu- penda perspicacia e lungimiranza. Il sig. Iugiakov affronta il problema della scuola di casta e della scuola di classe. Riguardo alla prima si possono trovare dati statistici esatti, almeno per i ginnasi e proginnasi * maschili e per gli istituti tecnici. Riferiamo i dati tratti da una pubblicazione del ministero delle finanze, Le forze produttive della Russia (Pietroburgo, 1896. Sezione xix. Pubblica istruzione, p. 31): « La distribuzione degli studenti per ceti (in % rispetto al loro numero complessivo) risulta dalla seguente tabella: Nei ginnasi e proginnasi maschili del ministero della pubblica istruzione Negli istituti tecnici Figli 1880 1884 1892 1880 1884 1892 dei nobili per titolo ereditario o per meriti personali e dei fun- zionari ..... 47,6 49,2 56,2 44,0 40,7 38,0 dei popi ..... 5,1 5,0 3,9 2.6 1.8 0,9 degli appartenenti ai ceti nrbani 33,3 35,9 31,3 37,0 41,8 43,0 degli appartenenti ai ceti rurali (comprese le minoranze nazio- nali e i funzionari di grado in- feriore) ..... 8,0 7,9 5.9 10,4 10.9 12.7 degli stranieri .... 2.0 2.0 1,9 3.0 4.8 5.4 degli appartenenti agli altri ceti . 2,0 compresi sopra 3,0 compresi sopra | 100,0 100.0 100,0 100,0 100.0 100,0 | Questa tabella ci mostra chiaramente con quanta imprudenza si sia espresso il sig. Iugiakov quando ha dichiarato che noi d’un sol tratto e recisamente (??) «abbiamo ripudiato la scuola di casta ». Al contrario, il sistema di casta predomina ancor oggi nelle nostre scuole medie, se persino nei ginnasi (senza parlare poi degli istituti privilegiati per nobili, ecc.) il 56% degli studenti è costituito da figli di nobili e di funzionari. Gli unici che facciano loro una seria concorrenza sono i ceti urbani, che predominano adesso negli istituti tecnici. La percentuale dei ceti rurali, soprat- Ginnasi di quattro o sci anni anziché di otto ( NJ.R .). 462 LENIN tutto se si considera la loro immensa superiorità numerica ri- spetto agli altri ceti, è assolutamente insignificante. La tabella dimostra quindi concretamente che chiunque voglia parlare del carattere della nostra scuola media odierna deve comprendere che si può parlare soltanto di scuola di casta e di scuola di classe, e che se « noi » ripudiamo effettivamente la scuola di casta, ciò avviene esclusivamente a vantaggio della scuola di classe. Con questo, s’intende, non intendiamo affermare che il problema della sosti- tuzione della scuola di casta con quella di classe e del migliora- mento di quest’ultima sia un problema secondario o privo di inte- resse per le classi che non usufruiscono e non possono usufruire della scuola media; al contrario, il problema non è per loro privo di interesse, perchè il sistema di casta, sia nella vita, sia nella scuola, grava particolarmente su di loro, perchè la sostituzione della scuola di casta con la scuola di classe non è che un anello del processo generale e multiforme di europeizzazione della Russia. Intendiamo solamente dimostrare che il sig. Iugiakov ha snaturato la questione e che il suo preteso « ampio » punto di vista è di fatto incomparabilmente più angusto perfino del punto di vista borghese. A proposito di mentalità borghese: il sig. A. Manuilov non riesce a capire perchè P. B. Struve, che ha definito con tanta pre- cisione l’unilateralità di Schulze-Gàwernitz, « diffonda > nondi- meno «le sue idee borghesi > {Russinole Bogatstvo y n. 11, p. 93). L’incomprensione del sig. A. Manuilov deriva interamente ed esclusivamente dalla sua incomprensione delle concezioni fonda- mentali non solo dei « discepoli » russi, ma anche di tutti i di- scepoli dell’Europa occidentale, e non solo dei discepoli, ma anche del maestro. O forse il sig. Manuilov vuol negare che alle con- cezioni fondamentali del « maestro » — concezioni che come un filo rosso passano attraverso tutta l’attività teorica, letteraria e pratica del «maestro» — appartiene l’irriducibile ostilità verso coloro che hanno la passione per gli « ampi punti di vista », e che dietro le frasi dolciastre celano la divisione in classi della società contemporanea ? o vuole negare che tra le concezioni fondamentali del « maestro » sì trova il riconoscimento del carat- tere progressivo delle « idee borghesi » aperte e coerenti e la pre- ferenza per queste idee rispetto a quelle dei Kleinbùrger y che PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 463 anelano a frenare e arrestare il capitalismo? Se ciò per il sig. Ma* nuilov è oscuro, rifletta sulle opere del suo collega sig. Iugia- kov. Immagini pure che, riguardo al problema che qui c’interessa, noi vediamo a fianco del sig. Iugiakov un esponente dichiarato e coerente delle « idee borghesi », che sostiene appunto il carat- tere di classe della scuola moderna, dimostrando che è quanto di meglio si possa concepire, tanto se si aspira a liquidare compieta- mente la scuola di casta, quanto se si aspira a rendere vieppiù accessibile (nel senso sopra indicato) la scuola di classe. È chiaro che simili idee sarebbero incomparabilmente superiori a quelle del sig. Iugiakov; l’attenzione si concentrerebbe sulle esigenze reali della scuola contemporanea, ossia sulla distruzione della sua esclusività di casta e non sull*« ampio punto di vista », così vago, del Kleinburger. L’aperta spiegazione e la difesa del carattere unilaterale della scuola contemporanea offrirebbe una giusta in- terpretazione della realtà, e questa stessa unilateralità basterebbe a illuminare la coscienza dell’altra parte *. Invece, le « ampie » perorazioni del sig. Iugiakov corrompono la coscienza sociale. Infine, l’aspetto pratico del problema... ma purtroppo il sig. Iu- giakov non supera affatto i confini della scuola di classe non solo in quest’articolo, ma neppure nella sua « utopia », a cui adesso passiamo. III L’articolo del sig. Iugiakov che esamina il « problema del- l’istruzione generale» (vedi il titolo del volume) è intitolato: • Ci rendiamo perfettamente conto che per i collaboratori della Russkoìe Bo~ gatstvo è molto difficile comprendere un argomento di questo genere. Ancora una volta ciò si deve al fatto che essi non solo non comprendono i « discepoli », ma neanche il « maestro ». Sentite, per esempio, come uno dei «maestri» dimostra, sin dal 1845, i vantaggi derivanti agli operai inglesi dall’abolizione delle leggi sul grano. Quest'abolizione, egli scriveva, trasformerà i fittavoli in « liberali, ossia in borghesi coscienti », e questo elevamento della coscienza di una parte condurrà necessaria- mente allelevamento della coscienza dell’altra parte (fr. engels, The condition oj thè working class in England in 1844 , New York, 1886, p. 179) 97 . Perche mai, signori collaboratori della Russ\oic Bogatstvo t fate la riverenza davanti ai « maestri » e non li accusate di « far la propaganda delle idee borghesi? ». 4 del sig. Iugiakov promette molto di più. « In nessun caso meno di questo, cari lettori, senza alcuna concessione o compro- messo... — così l’autore inizia l’articolo. — Istruzione ginnasiale completa per tutta la popolazione di entrambi i sessi, istruzione obbligatoria per tutti e senza alcuna spesa da parte dello Stato, dello zemstvo e del popolo: è questa la mia grande utopia cul- turale »! (201). Il buon sig. Iugiakov crede evidentemente che le «spese» siano il nocciolo della questione; nella stessa pagina ripete che Istruzione elementare generale richiede delle spese, mentre l’istruzione media generale, secondo il suo « piano », non ne richiede alcuna. Ma il piano del sig. Iugiakov non si limita a non imporre alcuna spesa: esso promette molto di più che non l’istruzione media per tutto il popolo. Per presentare in tutta la sua ampiezza quel che il collaboratore della Russ\oie Bogatstvo ci promette, dobbiamo anticipare e riportare le trionfali esclama- zioni dell’autore, dopo che egli ha già esposto tutto quanto il suo progetto e ne è compenetrato d’ammirazione. Secondo il piano del sig. Iugiakov, l’istruzione ginnasiale sarà unita al lavoro pro- duttivo degli « studenti », i quali si manterranno da sè: « ...La col- tivazione di un pezzo di terra... garantisce un vitto abbondante, gustoso e sano a tutta la giovane generazione, dalla nascita sino alla fine degli studi ginnasiali; assicura inoltre il vitto ai giovani, che con il loro lavoro risarciscono le spese dell’istruzione [di questo istituto dello Zufanftsstaat* di Iugiakov parleremo più minutamente in seguito], e a tutto il personale: amministratori, insegnanti e fattori. A tutti costoro sono assicurate le calzature, nonché la confezione degli indumenti. Inoltre da quel pezzo di terra si ricaverà una somma di 20.000 rubli circa, e precisamente 15.000 rubli dalla vendita delle eccedenze del latte e del grano primaverile... e circa 5.000 rubli dalla vendita di pelli, setole, piume e altri prodotti simili» (216). Rifletti dunque, lettore: il manteni- mento di tutta la giovane generazione sino alla fine del ginnasio, Stato clellavvenire ( N.d.R .). PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 465 ossia sino all’età di 21-25 ann * (p* 203)! E questo significa il mantenimento della metà dell’intiera popolazione del paese*! il mantenimento e l’istruzione di decine di milioni di cittadini! Questa sì è una vera «organizzazione del lavoro»! Evidente- mente, il sig. Iugiakov si dev’essere fortemente adirato contro quei malvagi i quali affermano che i progetti populisti di « orga- nizzazione del lavoro» sono vacue frasi di vacui chiacchieroni, e ha deciso di annientare definitivamente questi malvagi, pubbli- cando un « piano » organico di « organizzazione del lavoro » che può essere realizzato « senza alcuna spesa »... Ma non è ancora tutto: «...strada facendo, abbiamo esteso il compito; alla stessa organizzazione abbiamo affidato il mantenimento dell’intiera po- polazione infantile; ci siamo preoccupati di assicurare ai giovani, dopo la fine degli studi, una dote che è considerevole per gente che vìve in campagna; abbiamo scoperto la possibilità che ogni ginnasio, cioè ogni volost , assuma con gli stessi fondi un medico, un veterinario, un agronomo, un giardiniere diplomato, un tec- nico e almeno sei artigiani (che eleveranno il livello culturale e soddisferanno il fabbisogno locale)... Tutti questi compiti sa- ranno assolti, sotto l’aspetto finanziario ed economico, se sarà realizzato il nostro piano...»**. Che figura ci faranno adesso le male lingue, secondo le quali il celebre « noi » dei populisti è un « ignoto misterioso », un ebreo con due papaline, ecc.I Che inde- gna calunnia I D’ora in avanti basterà richiamarsi al « progetto » del sig. Iugiakov per dimostrare l’onnipotenza di questo « noi » e la possibilità di realizzare i « nostri » progetti. L’espressione: possibilità di realizzare, susciterà forse nel let- tore qualche perplessità. Forse il lettore osserverà che il sig. Iu- giakov, definendo la sua creazione un’utopia, ha in tal modo scartato il problema della possibilità di realizzarla. E il lettore non avrebbe torto, se il sig. Iugiakov non avesse avanzato riserve assai sostanziali circa il termine di « utopia », se non avesse ripe- tutamente sottolineato, in tutta la sua esposizione, la possibilità di realizzare il piano. « Ho l’audacia di credere — dichiara egli • Per ciò che riguarda l’età degli abitanti della Russia, Buniakovski dice che su 1.000 abitanti ve ne sono 485 in età da o a 20 anni e 576 in età da 0 a 25 anni. ** P. 237. I significativi puntini di sospensione sono stati posti, in entrambi i casi, dallo stesso sig. Iugiakov. Non abbiamo osato omettere qui una sola sillaba. 466 LENIN all’inizio dell’articolo — che questa istruzione media generale sem- bri un’utopia solo a prima vista » (201)... Che volete di più?... « Ho inoltre l’audacia di affermare che una simile istruzione per tutta la popolazione è assai più realizzabile dell’istruzione elementare generale, già attuata in Germania, in Francia, in Inghilterra, ne- gli Stati Uniti, e che è in via di attuazione in alcuni governatorati della Russia » (201). Il sig. Iugiakov è talmente convinto della possi- bilità di realizzare il suo piano (è evidente, dopo quanto abbiamo già detto, che l’espressione « piano » è più esatta del termine di utopia) che nell’elaborarlo non trascura i « particolari pratici » più minuti, lasciando per esempio volutamente intatto, per rispetto verso « la prevenzione dominante nel continente europeo contro l’istruzione mista », il sistema dei due ginnasi separati, maschile e femminile, e sottolineando con forza che il suo piano « consente di rispettare i programmi scolastici stabiliti per i ginnasi maschili e femminili, prevede un maggior numero di ore e quindi un più elevato compenso per il corpo insegnante »... « Tutto ciò ha un’importanza non irrilevante, quando non ci si voglia limitare a un esperimento, ma si desideri realizzare effettivamente l’istru- zione generale» (205-206). Molti sono stati nel mondo gli uto- pisti che hanno fatto a gara tra loro nel creare utopie allettanti e costruite con una certa organicità, ma è difficile trovarne anche uno solo che presti tanta attenzione ai « programmi scolastici sta- biliti » e al compenso del corpo insegnante. Siamo certi che i po- steri additeranno ancora per lungo tempo il sig. Iugiakov come un « utopista » realmente pratico e pieno d’iniziativa. È chiaro che, date queste promesse dell’autore, il suo piano per l’istruzione generale è degno dell’analisi più attenta. IV Il principio da cui muove il sig. Iugiakov è il seguente: il gin- nasio dev’essere nello stesso tempo un’azienda agricola, deve ga- rantire la propria esistenza col lavoro effettuato dagli allievi du- rante l’estate. Questa è l’idea fondamentale del piano. «Nessuno può mettere in dubbio che quest’idea è giusta » (237), rileva il PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 467 sig. Iugiakov; e noi concordiamo con lui che si tratta di un’idea effettivamente giusta, che però non può essere assolutamente ap- plicata ai « ginnasi » nè alla possibilità di « coprire le spese » dei ginnasi col lavoro degli studenti. L’idea giusta è che non si può concepire l’ideale di una società futura senza unire l’istruzione al lavoro produttivo della giovane generazione: nè l’istruzione e l’educazione ayulse da un lavoro produttivo, nè il lavoro pro- duttivo avulso dall’istruzione e dall’educazione potrebbero essere posti all’altezza richiesta dall’attuale livello della tecnica e dal presente stato delle cognizioni scientifiche. I grandi utopisti del passato avevano già espresso quest’idea, che è interamente condi- visa dai « discepoli », i quali appunto per questa ragione, fra l’altro, non polemizzano in linea di principio contro il lavoro delle donne e degli adolescenti nell’industria, considerano reazio- nario ogni tentativo di porre un divieto assoluto a questo lavoro e lottano perchè esso si svolga in condizioni pienamente igieni- che. È pertanto priva di senso la seguente frase del sig. Iugiakov: « Vorrei soltanto suggerire un’idea » (237)... L’idea è già stata suggerita da molto tempo, e non osiamo credere (fino a prova contraria) che il sig. Iugiakov potesse ignorarla. Il collaboratore della Russ\oie Bogatstvo voleva darci e ci ha dato, per la realizza- zione di quest’idea, un piano assolutamente originale. Solo in questo senso, però, esso dev’essere considerato originale, ma in compenso l’originalità giunge fino alle... alle colonne d’Èrcole. Per unire il lavoro produttivo generale con l’istruzione generale occorre, evidentemente, imporre a tutti l’obbligo di partecipare al lavoro produttivo. Può sembrare che si tratti di cosa d’una chiarezza lampante. In realtà, però, non è così. Il nostro « populista » risolve il problema nel senso che l’obbligo del lavoro fisico deve essere stabilito effettivamente come un principio generale, ma soltanto per i poveri e non per tutti . Il lettore penserà forse che stiamo scherzando. Tutt’altro! « I ginnasi puramente urbani per le persone facoltose, che sono pronte a pagare in denaro l’intiero costo dell’istruzione, po- trebbero conservare la loro forma attuale » (229). A p. 231 i « fa- coltosi » sono in generale inclusi direttamente nelle « categorie della popolazione » esonerate dall’obbligo di studiare nei « gin- 4 68 LENIN nasi agricoli ». Quindi il lavoro produttivo obbligatorio non è per il nostro populista una condizione dello sviluppo generale e mul- tiforme dell’uomo, ma semplicemente una tassa scolastica. Proprio così. Fin dalFinizio del suo articolo il sig. Iugiakov esamina il pro- blema degli operai necessari al ginnasio agricolo durante l’in- verno. Il metodo più « logico » per assicurare al ginnasio gli operai durante Finverno è, secondo Fautore, il seguente. Gli stu- denti delle classi inferiori non lavorano, e quindi godono gra- tuitamente del mantenimento e delFistruzione, senza risarcire le spese per loro sostenute dal ginnasio. « Se le cose stanno in questo modo, non è forse un preciso obbligo dello studente quello di risarcire col lavoro queste spese, dopo aver finito gli studi? Que- st obbligo, attentamente considerato e rigorosamente fissato per chiunque non possa pagare il costo dell* istruzione , fornirà al- l’azienda ginnasiale il necessario contingente di operai per Fin- verno e un contingente supplementare di operai per l’estate... Sotto Faspetto teorico la questione è semplice, facilmente com- prensibile e assolutamente incontestabile » (205, il corsivo è no- stro). Che cosa infatti può esservi di « più semplice > ? Se hai soldi, paga; se non ne hai, lavora! Ogni bottegaio ammetterà che si tratta di una questione assai «facilmente comprensibile». E poi è estremamente pratica! Ma... ma che c’entra qui F« utopia»? E perchè il sig. Iugiakov insozza con simili piani la grande idea fondamentale che avrebbe voluto porre a base della sua utopia? Le prestazioni gratuite di lavoro degli studenti poveri sono il fondamento di tutto il piano del sig. Iugiakov. Egli ammette, in verità, anche un altro modo per assicurarsi gli operai durante Finverno, l’assunzione di operai salariati *, ma lo pone in se- condo piano. Le prestazioni gratuite di lavoro sono obbligatorie per tre anni (e, in caso di necessità, anche per quattro) per tutti coloro che non vengono chiamati sotto le armi, ossia per i due • « Un'azienda ginnasiale, diretta da un individuo esperto e preparato, dotata di tutti gli attrezzi più perfezionati e di un contingente di operai abili e istruiti, non può non essere un'azienda redditizia, e giustifica l’assunzione del contin- gente necessario di operai, i più meritevoli dei quali [ sic ! ] potrebbero parteci- pare agli utili. In una certa misura ciò andrebbe probabilmente fatto, soprattutto per coloro che avranno terminato i corsi del ginnasio e non posseggono terra * (204). PERLE DELLA PROGETTOMANIÀ POPULISTA 469 terzi degli studenti e per tutte le donne. « Soltanto questo siste- ma — dichiara apertamente iì si g. Iugiakov — dà la chiave per risolvere il problema dell’istruzione generale, e non solo di quella elementare, ma di quella media » (207-208). « Un esiguo contin- gente di operai permanenti, che sono rimasti definitivamente nel ginnasio e sono stati ad esso associati [1?], integra la manodopera dell’azienda ginnasiale. Queste sono le braccia possibili e nul- l’affatto utopistiche del nostro ginnasio agricolo » (208). S’intende che costoro eseguiranno anche gli altri lavori; e son forse pochi in un’azienda? <11 personale supplementare per la cucina e la lavanderia, nonché i segretari, potranno essere scelti agevolmente tra gli operai che avranno finito il ginnasio» (209). I ginnasi avranno bisogno inoltre di artigiani: sarti, calzolai, falegnami, ecc. Naturalmente sarà possibile « dar loro dei garzoni, scegliendoli tra gli studenti che eseguono le prestazioni gratuite di lavoro per tre anni » (210). Che cosa riceveranno per il loro lavoro questi operai agricoli (o ginnasiali agricoli? In verità, non so come chiamarli). Riceveranno quanto basterà loro per vivere, « un vitto abbondante e saporito ». Il sig. Iugiakov fa i suoi calcoli con precisione, prendendo come norma la quantità di derrate alimentari «che si danno di solito al- l’operaio agricolo ». Per dire il vero, egli « non pretende di nu- trire in questo modo la scuola » (210), ma tuttavia lascia immu- tata questa norma, perchè gli studenti raccoglieranno dalla loro terra patate, piselli, lenticchie, semineranno la canapa e il gira- sole per l’olio, riceveranno nei giorni grassi 200 grammi di carne e due bicchieri di latte. Non creda il lettore che il sig. Iugiakov si limiti a sfiorare questa questione, ad enunciarla a titolo di esem- pio. Tutt’altro, egli fa calcoli minuziosi, conta i vitelli, di uno o due anni, tratta del vitto dei malati e del mangime per il pollame. Non trascura neppure la risciacquatura dei piatti, le frattaglie, le bucce dei legumi (212). L’autore non omette nulla. Gli indu- menti e le calzature saranno confezionati nel ginnasio con mezzi propri. «Ma i tessuti di cotone per la biancheria personale, da letto e da tavola, nonché per gli indumenti estivi, le stoffe più pesanti per gli indumenti invernali e le pellicce, sia pure di pe- cora, per il cappotto, naturalmente dovranno essere acquistati. 47 ° LENIN È sottinteso che gli insegnanti e gli impiegati con le loro fa- miglie dovranno procurarsi da sè la materia prima, anche se avranno il diritto di servirsi dei laboratori. Per ciò che riguarda gli studenti e gli operai che prestano gratuitamente il loro lavoro per tre anni, si può stabilire, senza lesinare, che questa somma s’aggirerà sui 50 rubli all’anno ovvero sui 60 mila rubli annui per tutto l’istituto » (213). Lo spirito pratico del nostro populista comincia effettivamente a commuoverci. Pensate: « noi », la « società », introdurremo un’or- ganizzazione così grandiosa del lavoro, daremo al popolo l’istru- zione media generale, e tutto questo senza alcuna spesa e con quali immense conquiste morali! Che meravigliosa lezione per i « nostri » operai agricoli — che nella loro grande ignoranza, inso- lenza e rozzezza si rifiutano di lavorare per 61 rubli all’anno, pur essendo mantenuti dal padrone * — quando vedranno che gli operai agricoli dei ginnasi lavorano per 50 rubli all’anno! Si può esser certi che persino la Korobocka ** converrebbe col sig. Iugia- kov che i fondamenti teorici del suo piano sono assai « facil- mente comprensibili ». V In che modo sarà diretta e amministrata l’azienda ginnasiale? Come abbiamo già visto, la sua economia sarà mista: in parte naturale e in parte monetaria. Naturalmente il sig. Iugiakov for- nisce indicazioni molto particolareggiate su questo importante problema. A p. 216 calcola con precisione che ogni ginnasio avrà bisogno di 160-170.000 rubli, sicché tutti i 15-20.000 ginnasi avranno complessivamente bisogno di tre miliardi di rubli. Ebbene, naturalmente si venderanno i prodotti agricoli e si realizzerà il denaro necessario. Il nostro autore è così previdente che prende in considerazione le condizioni generali dell’economia mercantile * Secondo i dati del dipartimento dell'agricoltura e dell'industria rurale, il salario medio deU’operaio agricolo assunto per un anno è, nella Russia europeai di 61 rubli c 29 copechi (nel decennio 1881-1891), più il mantenimento che ammonta a 46 rubli. Personaggio delle Anime morte di Gogol; proprietaria fondiaria parsimo- niosa e buona amministratrice, ma ottusa (N.d.R.), PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 471 capitalistica contemporanea. « I ginnasi situati nei dintorni delle città o in prossimità delle stazioni ferroviarie non lontane dai grandi centri dovranno essere di un tipo radicalmente diverso. L ’orticultura, la frutticultura, la produzione del latte e l’artigia- nato potranno sostituire interamente la coltivazione dei cereali » (228). Il commercio non sarà quindi una cosa da poco. Ma l’au- tore non ci dice chi se ne occuperà. È da supporre che le com- missioni didattiche dei ginnasi si trasformeranno parzialmente in commissioni commerciali. Gli scettici vorranno forse sapere che cosa accadrà nel caso in cui 1 ginnasi facciano bancarotta e se, in generale, questi ginnasi saranno capaci di fare del commercio. Ma si tratta naturalmente di cavilli infondati; se il commercio è praticato da commercianti senza alcuna istruzione, com’è pos- sibile dubitare del successo, quando esso sarà praticato da rap- presentanti della nostra intellettualità? Per condurre un’azienda i ginnasi avranno bisogno, s’intende, di terra. Il sig. Iugiakov scrive : « Credo... che se quest’idea ve- nisse sottoposta a un esperimento pratico, ai primi ginnasi agricoli del genere si dovrebbero assegnare appezzamenti di 6-7.000 de- siatine » (228). Per una popolazione di 109.000.000 di abitanti — 20.000 ginnasi — occorrerebbero circa 100.000.000 di desia- tine, ma non bisogna dimenticare che nel lavoro agricolo sono occupati solo 80.000.000 di persone. « Soltanto i loro figli dovreb- bero frequentare i ginnasi agricoli ». Inoltre bisogna togliere circa 8,000.000 di persone comprese in varie categorie della popolazione*, sicché ne rimangono 72 mi- • Riportiamo l'elenco delle categorie di quei fortunati che sono esonerati dall’obbligo di frequentare i ginnasi agricoli: « Le persone facoltose, i corri- gendi, le ragazze maomettane, gli appartenenti alle minoranze nazionali, i fanatici seguaci di sètte, i ciechi, i sordomuti, gli idioti, gli alienati, i malati cronici e contagiosi, i criminali» (231). Mentre leggevamo l’elenco, provavamo una stretta al cuore: Signore, pensavamo, riusciremo a fare includere tra gli esone- rati almeno i nostri cari? Le finanze, certo, non consentono loro di rientrare nella prima categoria l Con un’astuzia, le donne potranno farsi includere tra le ragazze maomettane; ma i maschi? Non ci rimane che sperare nella terza cate- goria. Com'è noto, il sig. Mikhailovski, collega del sig. Iugiakov, senza tanti complimenti ha incluso P. B. Struvc nella categoria delle minoranze nazionali. Speriamo che ci faccia la grazia di includerci tutti fra gli « appartenenti alle mi- noranze nazionali », per esimere i nostri cari dall’obbligo di frequentare i ginnasi agricoli! 47 * LENIN lioni. Per costoro occorrono soltanto 60-72.000.000 di desiatine. «Naturalmente, è ancora molto» (231), ma il sig. Iugiakov non si scompone. L’erario dispone di grandi estensioni di terra, an- che se in località non facili a raggiungersi. «Così, nella Polcssia settentrionale vi sono 127.600.000 desiatine, ove, applicando, se oc- corre, soprattutto il sistema dello scambio delle terre private e dei contadini con quelle deaerano, al fine di concedere le prime alle scuole, probabilmente non sarebbe difficile assicurare gra- tuitamente la terra ai nostri ginnasi agricoli. Altrettanto buona è la situazione»... nel sud-est (231). Hum... «buona»! Ma allora istituiamo i ginnasi nel governatorato di Arcangelo! È vero che finora questo governatorato è servito soprattutto come luogo di deportazione e che laggiù le foreste di proprietà deaerano non sono nemmeno « sistemate », ma ciò non conta. Basterà inviarvi gli studenti ginnasiali con degli insegnanti istruiti, ed essi abbatte- ranno le foreste, dissoderanno e coltiveranno la terrai Nella regione centrale si potrà organizzare il riscatto della terra: occorreranno appena un 80.000.000 di desiatine! Si emette- ranno « obbligazioni garantite » ; il pagamento, s’intende, dovrà es- sere effettuato dai « ginnasi che hanno ricevuto gratuitamente gli appezzamenti» (232), e l’affare sarà fattoi II sig. Iugiakov assi- cura che non è il caso di spaventarsi per la « grandiosità dell’ope- razione finanziaria. Non è una chimera o un’utopia» (232). Si tratterà, « in fondo, di un’ipoteca perfettamente garantita ». E come potrebbe non esser garantita! Però, ancora una volta che c’entra qui l’« utopia » ? O forse il sig. Iugiakov ritiene davvero i nostri contadini così abbrutiti e arretrati da sperare nel loro consenso per un simile piano? Dover pagare il riscatto per la terra, « gli interessi e l’ammortamento del prestito per le spese d’impianto » # , mantenere per di più tutto il ginnasio e pagare lo stipendio a tutti gli insegnanti, e a coronamento di tutto ciò (os- sia del fatto che sono stati assunti professori retribuiti?) dover an- cora lavorare gratuitamente per tre anni! Non è forse un po’ troppo, illuminato signor c populista » ? Avete voi pensato, ripub- blicando nel 1897 un’opera già apparsa nella rivista Russiate Bo- * P. 216. 10.000 rubli per ginnasio. PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 473 gatstvo del 1895, dove vi condurrà l’amore sviscerato che tutti i po- pulisti nutrono per le più diverse operazioni finanziarie e per i di- versi riscatti? Rammenti il lettore che gli era stata promessa un’istru- zione generale « senza alcuna spesa da parte dello Stato, dello zemstvo e del popolo». E in effetti il nostro geniale finanziere non pretende neppure un rublo -dallo Stato o dallo zemstvo. E dal «popolo»? O, più esattamente, dai contadini poveri ?* ** Con il loro denaro si riscatterà la terra e si organizzeranno i ginnasi (perchè essi pagheranno gli interessi e Tammortamento del capi- tale impiegato ‘a questo scopo), si retribuiranno gli insegnanti e verranno mantenuti tutti i ginnasi. Per di più i contadini poveri dovranno eseguire prestazioni gratuite di lavoro. E perchè? Per- chè, risponde l’inesorabile finanziere, gli allievi delle classi infe- riori non avranno pagato per la loro istruzione e il loro manteni- mento (204). Ma, in primo luogo, fra coloro che non lavorano a causa dell’età sono stati inclusi soltanto gli allievi delle « classi preparatorie e delle prime due classi ginnasiali » (206), poi ven- gono già i semioperai. E in secondo luogo, questi bambini sono mantenuti dai fratelli maggiori, i quali retribuiscono gli inse- gnanti perchè istruiscano i loro fratelli minori. No, sig. Iugiakov, non solamente oggi, ma anche ai tempi di Arakceiev * # , un simile piano sarebbe stato assolutamente irrealizzabile , perchè esso è ef- fettivamente un « utopia » feudale. Per ciò che concerne l’amministrazione dei ginnasi, il sig. Iugiakov fornisce pochissimi dati. Per dire il vero, calcola con esattezza il numero degli insegnanti ed assegna a tutti loro uno stipendio « relativamente basso » (ossia Talloggio, il mantenimento dei figli, « metà della spesa per il vestiario »). Pensate forse che lo stipendio ammonti a 50 rubli all’anno? No, è alquanto più alto : « Per il direttore, per la direttrice e per Tagronomo capo 2.400 rubli, per Tispettore », ecc., a seconda del grado, scen- * Infatti i contadini agiati vengono esclusi. Lo stesso Iugiakov ha il dubbio che « una certa percentuale della popolazione agricola preferirà inviare i figli nelle scuole medie urbane a pagamento » (230). E come no! ** Conte Alexei Andreievic Arakceiev (1769-1834), generale e uomo di Stato, al cui nome è lagata tutta un’epoca di dispotismo poliziesco e di feroce ar- bitrio {N.d.R.). 474 LENIN derido nella scala gerarchica fino a 200 rubli per gli impiegati di grado inferiore (214). Come vedete, non si tratta di una car- riera disprezzabile per quei rappresentanti della società colta che « avranno preferito » il ginnasio agricolo alla scuola urbana a pagamento! Notate questa «metà della spesa per il vestiario», assicurata ai signori insegnanti: secondo il piano del nostro po- pulista, gli insegnanti potranno servirsi dei laboratori ( l’abbiamo già visto), ossia potranno farsi cucire e rammendare i vestiti dagli « studenti del ginnasio ». Non è forse vero che il sig. Iu- giakov è molto sollecito verso... i signori insegnanti? D’altronde egli ha cura anche dei « ginnasiali » come un buon padrone ha cura del suo bestiame: lo nutrisce, gli dà da bere, lo rinchiude nella stalla e... lo fa accoppiare. State a sentire : « Se... saranno autorizzati matrimoni tra i giovani che, ulti- mati i corsi, rimarranno per tre anni presso il ginnasio..., la perma- nenza di tre anni presso il ginnasio sarà molto meno gravosa del servizio militare» (207). «Se saranno autorizzati matrimoni»! Quindi potranno anche non essere autorizzati? Ma per questo è necessaria una nuova legge, egregio signor progressista, una legge che limiti i diritti civili dei contadini . Ma può forse stupire un si- mile « lapsus » (?) del sig. Iugiakov, se in tutta la sua « utopia», mentre analizza minutamente le questioni degli stipendi degli insegnanti, delle prestazioni gratuite di lavoro degli studenti, ecc., egli non rammenta neppure una sola volta che non sarebbe male — almeno in un’« utopia » — concedere agli stessi «allievi» al- cuni diritti per ciò che concerne l’amministrazione del « ginnasio » e la direzione dell’azienda, dal momento che essi mantengono tutto l’istituto e lo lasciano all’età di 23-25 anni, dal momento che non sono soltanto dei «ginnasiali», ma anche dei cittadini ? Il nostro populista ha completamente dimenticato questa inezia! In compenso però ha esaminato attentamente la questione della cattiva condotta degli «studenti». «Un quarto tipo di ginnasio dovrebbe essere istituito per gli studenti espulsi dai ginnasi nor- mali per cattiva condotta. Se si obbliga tutta la giovane gene- razione a frequentare i corsi d’istruzione media, è irrazionale eso- nerarne alcuni per cattiva condotta. Per le ultime classi po- trebbe costituire una tentazione e un incitamento alla cattiva con- PERLE DELLA PROGETTOMANIA POPULISTA 475 dotta. [Così appunto è scritto a p. 299!] L'istituzione di ginnasi speciali per gli espulsi sarebbe la logica integrazione di tutto il sistema». Questi ginnasi verrebbero denominati . I discepoli non « si sca- gliano » contro « l’eredità > (questa è una menzogna assurda), ma contro le aggiunte romantiche e piccolo-borghesi all’eredità fatte dai populisti. Passiamo adesso a queste aggiunte. II Le aggiunte del populismo all\ eredità » Da Skaldin passiamo a Engelhardt. Anche le sue lettere Dalla campagna sono dei saggi sullo stesso argomento, sicché il con- tenuto del libro e persino la forma sono molto simili al volume di Skaldin. Engelhardt ha molto più talento di Skaldin, le sue lettere dalla campagna sono scritte in uno stile incomparabilmente più vivace e ricco di immagini. Nel libro di Engelhardt non vi sono i lunghi ragionamenti del ponderato autore di Nella pro- vincia e nella capitale , ma in compenso molto più numerose sono le osservazioni giuste ed acute e le esemplificazioni. Non c’è da stu- pirsi se il libro di Engelhardt gode di così solida simpatia presso il pubblico che legge, tanto che è stato recentemente ristampato, mentre il volume di Skaldin è ormai quasi del tutto dimenticato, sebbene la pubblicazione delle lettere di Engelhardt nelle Otiece- stviennye Zapiskj sia stata iniziata appena due anni dopo l’uscita del volume di Skaldin. Non riteniamo pertanto necessario esporre il contenuto dell’opera di Engelhardt, e ci limitiamo a dare in breve un 504 LENIN giudizio su due aspetti delle sue concezioni: in primo luogo, le concezioni proprie dell’« eredità » in generale e comuni, in par- ticolare, a Engelhardt e a Skaldin; in secondo luogo le concezioni specificamente populiste. Engelhardt è già populista , ma nelle sue concezioni sono ancora così numerosi i tratti comuni a tutti gli illuministi, così numerosi i tratti respinti o modificati dal populismo attuale che è difficile dire se l’autore debba esser an- noverato tra i rappresentanti dell’« eredità » in generale, senza sfumature populiste, o tra i populisti. Engelhardt è vicino ai primi anzitutto per la straordinaria sobrietà delle sue concezioni, per la capacità di descrivere sempli- cemente e sinceramente la realtà, per la denuncia spietata di tutti i tratti negativi, delle « basi » in generale e dei contadini in parti- colare, di quelle stesse « basi », la cui falsa idealizzazione e il cui imbellettamento è parte integrante del populismo. Il populismo di Engelhardt, essendo espresso in modo assai debole e timido, si trova quindi in aperta e stridente contraddizione col quadro della realtà della campagna che l’autore ha tratteggiato con tanto ta- lento; e se un economista o un pubblicista ponesse a base delle sue considerazioni sulla campagna i dati e le osservazioni di En- gelhardt *, da tale documentazione sarebbe impossibile trarre conclusioni populiste. L’idealizzazione del contadino e àt\Y obsteina è una delle parti integranti del populismo, e i populisti di tutte le sfumature, dal sig. V.V. sino al sig. Mikhailovski, hanno dato un ricco contributo a questa tendenza a idealizzare e abbellire Vob* stana . In Engelhardt non ve traccia di simili abbellimenti. In contrasto con le frasi correnti sullo spirito collettivista del nostro contadino, in contrasto con l’abitudine di contrapporre a questo « spirito collettivista » l’individualismo delle città, la concorrenza neH’economia capitalistica, ecc., Engelhardt mette implacabilmente • Rileviamo di sfuggita che ciò sarebbe non solo sommamente interessante e istruttivo, ma anche pienamente legittimo per l’economista che fa una ricerca. Se gli scienziati prestano fede ai documenti forniti dalle inchieste (risposte e giudizi di molti padroni, i quali sono spesso parziali e incompetenti, non si sono formati una concezione organica e non hanno approfondito le proprie opinioni), perchè non dovrebbero prestar fede alle osservazioni che, nel corso di undici anni, ha raccolto un uomo dotato di un notevole spirito di osservazione, di assoluta sin- cerità e che ha studiato a fondo ciò di cui parla? QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5°5 a nudo lo straordinario individualismo del piccolo coltivatore. Egli dimostra con ricchezza di particolari che i nostri « contadini sono, in materia di proprietà, i proprietari più incalliti » (p. 62, si cita secondo l’edizione del 1885), che essi non possono sopportare il « lavoro in comune » e lo odiano per gretti motivi personali ed egoistici: ognuno «teme», con questo sistema, «di lavorare più degli altri » (p. 206). Il timore di lavorare più degli altri diventa estremamente comico (o, meglio, tragicomico) allorché l’autore narra come alcune donne, pur vivendo nella stessa casa e pur essendo legate dall’azienda comune e da vincoli di parentela, lavano ognuna per proprio conto l’angolo di tavolo su cui man- giano, o mungono una dopo l’altra dalle vacche il latte necessario per il proprio bambino (temendo che il latte venga nascosto) e preparano ciascuna separatamente la pappa per il proprio bam- bino (p. 323). Engelhardt descrive in modo cosi minuzioso questi fatti, li convalida con una tal mole di esempi che è impossibile cre- dere che siano casuali. Delle due luna: o Engelhardt è un os- servatore inetto e non degno di fede, o le chiacchiere sullo spirito collettivista e sulle inclinazioni collettiviste del nostro contadino sono una pura e semplice invenzione, che attribuisce a \Y azienda contadina caratteri che sono estranei alla forma di possesso fon- diario (della quale inoltre vengono ignorati tutti gli aspetti fiscali e amministrativi). Engelhardt dimostra che il contadino nella sua attività economica ha tendenze da kulak: «in ogni contadino ce una determinata dose di spirito kulak» (p. 491), «gli ideali del kulak dominano nell’ambiente contadino»... «Ho dimostrato più duna volta che tra i contadini sono assai sviluppati l’individualismo, l’egoismo, la tendenza a sfruttare »... « Ognuno si vanta di essere un luccio e cerca di divorare la carpa ». Che il contadino non sia affatto incline al sistema d tlYobstcina, nè alla « produzione po- polare », ma al più comune sistema piccolo-borghese, proprio di tutte le società capitalistiche, viene magistralmente dimostrato da Engelhardt. L’autore descrive e dimostra in modo irrefutabile come il contadino agiato abbia la tendenza a lanciarsi in opera- zioni commerciali (363), a dar grano in cambio di lavoro, a com- perare il lavoro del contadino povero (p. 457, 492 e altre), ossia dimostra, per parlare in termini economici, come i contadini rispar- 506 LENIN miatori si trasformino in borghesia rurale. « Se i contadini non si uniranno nelle artcl — dice Engelhardt — e condurranno cia- scuno per proprio conto la loro azienda, anche se vi sarà ab- bondanza di terra tra i contadini coltivatori esisteranno contadini senza terra e braccianti. Dirò di più; io credo che la diffe- renza di condizione economica fra i contadini sarà molto più rilevante di oggi. Nonostante il possesso comune della terra, accanto ai '' ricchi ” vi saranno molti contadini di fatto privi ui terra. Che interessa a me o ai miei figli il diritto alla terra, se non posseggo nè capitali, nè strumenti di lavoro? Sarebbe come dare la terra a un cieco! Mangiala, se vuoi! » (p. 370). Con amara ironia « l'azienda cooperativa » è menzionata qui semplicemente come un pio, innocente desiderio, che non soltanto non risulta dai dati sui contadini, ma viene anzi senz'altro smentito ed escluso da que- sti dati! Un altro elemento che avvicina Engelhardt ai rappresentanti dell'eredità che non hanno alcuna sfumatura populista è il fatto ch'egli è convinto che la causa principale e fondamentale della miseria dei contadini va ricercata nelle vestigia della servitù della gleba e nella regolamentazione ad essa inerente. Distruggete queste vestigia e questa regolamentazione, e tutto andrà per il meglio. L'atteggiamento nettamente negativo di Engelhardt verso la regolamentazione, il suo sarcasmo verso ogni tentativo di col- mare di benefici il contadino per mezzo di una regolamentazione dall'alto, sono diametralmente opposti alle speranze riposte dai populisti «nella saggezza e nella coscienza, nella cultura e nel patriottismo delle classi dirigenti » (parole del sig. Iugiakov sulla Russ\oie Bogatstvo, 1896, n. 12, p. 106), contrastano coi progetti utopistici del populismo circa l'« organizzazione della produ- zione », ecc. Ricordiamo con quanto sarcasmo Engelhardt si scagli contro la norma che vieta la vendita dell'acquavite nei mulini, norma che mira a «fare del bene» al contadino; rammentiamo con quanta indignazione egli parli della prescrizione, approvata da alcuni zemstvo nel 1880, che impone il divieto di seminare la segala prima del 15 agosto; del brutale intervento — determi- nato sempre da sollecitudine per il bene del contadino — degli « scienziati » di laboratorio nell'economia di « milioni di coltiva- QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5°7 tori-padroni » (424). Dopo aver ricordato le norme e le disposi- zioni che vietano di fumare in un bosco di conifere, di prender lucci in primavera, di tagliare le betulle in « maggio », di distrug- gere i nidi, ecc., Engelhardt osserva sarcasticamente: «...la sol- lecitudine per il contadino ha sempre costituito e costituisce la principale preoccupazione degli intellettuali. Chi mai vive per se stesso? Tutti vivono per il contadino!... Il contadino è sciocco, da se non riesce a organizzarsi la vita. Se nessuno ha cura di lui, egli incendia tutte le foreste, uccide tutti gli uccelli, pesca tutti i pesci, rovina la terra e si rovina » (398). Dicci tu, lettore, se En- gelhardt poteva nutrire simpatia per le leggi, care ai populisti. suH’inalienabilità dei nadielì Poteva egli dire qualcosa di si- mile alla citata frase di un pilastro della Russie Bogatstvo? Poteva condividere l’opinione di un altro pilastro della stessa ri- vista, il sig. N. Karyscev, il quale rimprovera ai nostri zemstvo di governatorato (tra il 1890 e il 1900!) di «non aver trovato il modo » « di fare stanziamenti considerevoli, sistematici e impor- tanti per organizzare il lavoro agricolo»?*. Indichiamo un terzo elemento che accosta Engelhardt a Skaldin: l’atteggiamento inconsapevole di Engelhardt verso molte aspirazioni e misure puramente borghesi. Non che egli cerchi di abbellire i piccoli borghesi, di escogitare pretesti la V. V.) perchè non si dia questa qualifica all’uno o all’altro imprenditore. Tutt’altro. Engelhardt, essendo un padrone, un pratico, è sem- plicemente attratto da ogni progresso, da ogni miglioramento del- l’azienda, e ignora del tutto che la forma sociale di questi mi- glioramenti è la migliore confutazione della sua stessa teoria suH’impossibilità del capitalismo in Russia. Rammentiamo, per esempio, come egli si appassioni ai successi realizzati nella sua azienda mediante il sistema del cottimo (per la macerazione del lino, la trebbiatura, ecc.). Engelhardt non sospetta neppure che la sostituzione del salario a tempo col salario a cottimo sia uno dei metodi più diffusi dell’economia capitalistica in sviluppo, la quale può in tal modo ottenere un lavoro più intenso e accrescere la quota del plusvalore. Un altro esempio. Engelhardt deride il • Russinole Bogatstvo, 1896, n. 5, maggio. Articolo del sig. Karyscev sugli stanziamenti degli zemstvo provinciali per i provvedimenti economici, p. 20. 33 - 573 508 LENIN programma della Zemliedielcesfaia Gazieta 107 : «cessazione del metodo deiraffitto delle terre a gruppi di contadini, organizza- zione di un’economia basata sul lavoro bracciantile, introduzione di macchine e strumenti perfezionati, di animali di razza, appli- cazione del sistema di avvicendamento, miglioramento dei prati e pascoli, ecc. ecc.». «Ma queste son soltanto frasi generiche! » — esclama Engelhardt (128). E tuttavia proprio questo programma Engelhardt ha realizzato nella sua azienda, ottenendo un pro- gresso tecnico mediante l’organizzazione del lavoro bracciantile. O ancora: abbiamo già visto con quanta franchezza e serietà Engelhardt abbia denunciato le tendenze reali del contadino risparmiatore; ma ciò non gli ha impedito di affermare che « non v’è bisogno di fabbriche e di officine, ma di piccole [il cor- sivo è di Engelhardt] distillerie e di caseifici rurali », ecc (p. 366), ossia che « è necessario » il passaggio della borghesia rurale alla produzione agricola tecnica; e questo è stato sempre e dappertutto uno dei sintomi principali del capitalismo nell’agricoltura. Risulta qui che Engelhardt non è un teorico, ma un padrone, un pratico. Un conto è discutere sulla possibilità di progredire senza capita- lismo, un altro dirigere un’azienda. Proponendosi di organizzare razionalmente la propria azienda, Engelhardt è stato costretto dalla forza delle circostanze a seguire metodi puramente capi- talistici e a lasciare da parte tutti i suoi dubbi teorici e astratti sul « bracciantato ». In teoria, Skaldin ragionava come un tipico man- chesteriano, senza rendersi affatto conto che i suoi ragionamenti avevano appunto questo carattere e corrispondevano alle esigenze dell’evoluzione capitalistica della Russia. In pratica, Engelhardt è stato costretto ad agire come un manchesteriano tipico, nono- stante la sua protesta teorica contro il capitalismo e il suo desi- derio di credere nella possibilità di vie particolari per la patria. Engelhardt ci credeva, il che appunto ci costringe a definirlo un populista. Egli vede già con chiarezza la tendenza reale dello sviluppo economico della Russia e comincia a eludere le contrad- dizioni di questo sviluppo. Egli si sforza di dimostrare che il capitalismo è impossibile nell'agricoltura russa, cerca di dimo- strare che « da noi non esiste il salariato agricolo » (p. 556), sebbene egli stesso abbia confutato nel modo più minuzioso tutte le chiac- QUALE EREDITA RESPINGIAMO 509 chiere riguardanti lelevato costo dei nostri operai, sebbene egli stesso abbia mostrato per quale misero compenso lavori nella sua azienda il bovaro Piotr con la sua famiglia, alla quale, detratte le spese per il mantenimento, rimangono sei rubli alunno « per comprare il sale, l’olio, il vestiario » (p. io). « E tuttavia è invi- diato; se infatti lo licenzierò, troverò subito cinquanta persone desiderose di sostituirlo» (p. n). Mostrati i successi della sua azienda, ricordata la destrezza con cui gli operai maneggiano l’aratro, Engelhardt esclama trionfalmente: «E chi sono gli ara- tori? Gli ignoranti e poco coscienziosi contadini russi» (p. 225). Dopo aver confutato, portando ad esempio la sua stessa azienda e denunciando Pindividualismo contadino, ogni illusione con- cernente « lo spirito collettivistico », Engelhardt tuttavia non solo « crede » che i contadini potranno riunirsi in aziende cooperative, ma esprime anche la « convinzione » che ciò accadrà, che proprio noi russi compiremo questa grande impresa, introdurremo nuovi sistemi di conduzione dell’azienda. « In questo appunto consiste il carattere tutto proprio, l’originalità della nostra economia » (p. 349). L’Engelhardt realista si trasforma nell’Engelhardt ro- mantico, il quale sostituisce all’assoluta assenza di « originalità » nei metodi di conduzione usati nella sua azienda, nei metodi che ha osservato presso i contadini, la « fiducia » nella futura « ori- ginalità»! Breve è il passo da questa fiducia ai tratti ultrapo- pulisti che — sia pur isolati — s’incontrano in Engelhardt, breve è il passo che porta all’angusto nazionalismo sconfinante nello sciovi- nismo («scinderemo l’Europa»; «anche in Europa il contadino sarà con noi » [p. 387], sostiene Engelhardt parlando della guerra con un grande proprietario fondiario), e persino all’idealizzazione delle otrabot^iì Sì, lo stesso Engelhardt, che ha dedicato tante eccellenti pagine del suo libro alla descrizione dello stato di ab- brutimento e di umiliazione dei contadini, i quali ricevono in pre- stito denaro o grano in cambio di lavoro e sono costretti a lavorare quasi gratuitamente nelle peggiori condizioni di asservimento per- sonale *, lo stesso Engelhardt è giunto a sostenere che « sarebbe * Rammentate la scena in cui lo starosta (ossia Tamministratore del grande proprietario fondiario) chiama a lavorare per il padrone il contadino quando già 33 * 5*0 LENIN bene che il medico [si parla dell’utilità e della necessità del me- dico in campagna. V. /.] avesse una propria azienda; così il conta- dino potrebbe pagare il costo della cura col lavoro» (p. 41). Ogni commento è superfluo. In generale, se paragoniamo i tratti positivi della concezione del mondo di Engelhardt (ossia i tratti comuni a lui e ai rappre- sentanti dell’« eredità » che non hanno alcuna sfumatura popu- lista) con i tratti negativi (ossia populisti), dobbiamo riconoscere che i primi predominano in modo assoluto nellautore del vo- lume Dalla campagna , mentre i secondi sono quasi un’interpo- lazione fortuita, che è stata suggerita daH’esterno e non concorda con il tono fondamentale del libro. Ili È tornato a vantaggio dell' «eredità» il legame col populismo? — Ma che cosa, insomma, intendete per populismo? — domanderà probabilmente il lettore. — Si è detto sopra quale contenuto sì attribuisce al concetto di « eredità », ma del concetto di « populismo » non si è data alcuna definizione. — Per populismo intendiamo quel sistema di idee che contiene i tre seguenti tratti: 1) L'opinione che il capitalismo rappresenta in Russia decadimento e regresso . Di qui le tendenze e le aspira- zioni a « frenare », « arrestare », « porre termine al rivolgimento » delle basi secolari ad opera del capitalismo, e simili geremiadi reazionarie. 2) L'opinione che il sistema economico russo in generale, e il contadino con /'obsteina e /'artel, ecc., in particolare , hanno un carattere loro proprio. Non si ritiene necessario appli- care ai rapporti economici della Russia le concezioni elaborate dalla scienza moderna sulle diverse classi sociali e sui conflitti di classe. I contadini organizzati nell* obsteina vengono considerati come qualcosa di superiore e di migliore rispetto al capitalismo; si nel campo di quest’ultimo cadono i chicchi del grano maturo, e lo costringe ad andare, soltanto ricordandogli le « frustate * nel volost . QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5“ idealizzano le « basi ». Si nega e si elude resistenza tra i contadini delle contraddizioni inerenti a ogni economia mercantile e ca- pitalistica, si nega il nesso tra queste contraddizioni e la loro forma più evoluta nell’industria capitalistica e nell’agricoltura capitalistica. 3) Sì ignora il legame esistente tra l'« intellettualità » e le istituzioni giuridiche e politiche del paese da una parte, e gli interessi materiali di determinate classi sociali dall'altra. La negazione di questo legame, l’assenza di una spiegazione materia- listica di questi fattori sociali induce a vedere in essi la forza capace di « trascinare la storia su un’altra strada » (sig. V. V.), di « far cambiar strada » (sig. N.-on, sig. Iugiakov, ecc.), ecc. Ecco che cosa intendiamo per « populismo ». Il lettore vede quindi che usiamo questa parola nell’accezione più larga, come fanno tutti i « discepoli russi », che polemizzano contro tutto il sistema di idee e non contro alcuni suoi esponenti. Tra questi esponenti singoli esistono, naturalmente, differenze talora non lievi. Nessuno ignora queste differenze. Ma i tratti della conce- zione del mondo sopra citati sono comuni ai più diversi rappre- sentanti del populismo, dal... sig. Iuzov, per esempio, sino al sig. Mikhailovski. I sigg. Iuzov, Sazonov, V.V., e compagni, uni- scono ai tratti negativi sopra menzionati altri tratti negativi che, p. es., mancano nel sig. Mikhailovski e in altri collaboratori del- l’attuale Russkoie Bogatstvo. Certo, sarebbe sbagliato negare che esistono queste differenze tra i populisti nel senso stretto della parola e i populisti in generale, ma sarebbe ancor più sbagliato ignorare che le concezioni sociali ed economiche fondamentali di tutti i populisti coincidono coi punti principali sopra ricordati. E poiché i « discepoli russi » confutano precisamente queste concezioni fondamentali, e non soltanto le « tristi deviazioni » da queste concezioni verso il lato peggiore, essi hanno evidentemente tutto il diritto di usare il concetto di « populismo » nell’accezione più ampia del termine. E non solo ne hanno il diritto, ma non pos- sono agire diversamente. Ritornando alle concezioni fondamentali del populismo trat- teggiate sopra, dobbiamo anzitutto considerare che nulla in co- mune hanno F« eredità » e queste concezioni . Esiste tutta una serie di rappresentanti e custodi indiscussi dell’« eredità » che non 512 LENIN hanno niente a che vedere col populismo, che non pongono nep- pure il problema del capitalismo, che non credono affatto al- ìoriginalità della Russia, del Yobstcina y ecc., che non scorgono negli intellettuali e nelle istituzioni giuridiche e politiche un fattore capace di far « cambiar strada ». Abbiamo già citato co- me esempio l’editore e direttore della rivista Viestni\ Evro - py 108 , che di tutto può essere accusato tranne che di calpestare le tradizioni dell’eredità. E viceversa esistono individui le cui concezioni contengono i principi fondamentali del populismo già ricordati, e che tuttavia « ripudiano » apertamente e pubbli- camente « l’eredità ». Lo stesso sig. I. Abramov, di cui parla anche il sig. Mikhailovski, o il sig. Iuzov ne sono un esempio. Il popu- lismo contro cui lottano i « discepoli russi » non esisteva affatto quando (per usare un linguaggio giuridico) il testamento « venne aperto », ossia negli anni sessanta. Germi, elementi di populismo esistevano naturalmente non solo in quel periodo, ma anche negli anni quaranta e forse prima ancora *, ma non è la storia del popu- lismo che ci interessa qui. A noi importa, lo ripetiamo ancora una volta, stabilire che l’« eredità » degli anni sessanta, così come l’abbiamo tratteggiata sopra, non ha nulla in comune col popu- lismoj ossia, per ciò che concerne l’essenza delle concezioni, l’una e l’altro non hanno nulla di comune: si pongono problemi di- versi. Esistono custodi dell’* eredità » non populisti ed esistono populisti «che ripudiano l’eredità». Naturalmente, esistono an- che populisti custodi dell’« eredità », o che pretendono di esserlo. Appunto per questo noi diciamo qui che esiste un nesso fra l’ere- dità e il populismo. Vediamo dunque che cosa ha dato questo nesso. In primo luogo, il populismo ha compiuto un grande passo in avanti rispetto all’eredità, ponendo dinanzi al pensiero sociale, perchè li risolvesse, problemi che i custodi dell’eredità in parte non potevano (al loro tempo) porre, in parte non hanno posto e non pongono a causa della limitatezza di orizzonti che è loro propria. L 'aver posto questi problemi costituisce un grande me- rito storico del populismo, ed è del tutto naturale e compren- sibile che il populismo, avendo dato una soluzione (qualunque Cfr. il libro di Tugan-Baranovski, La fabbrica in Russia , Pietroburgo, 1898. QUALE EREDITA RESPINGIAMO 513 essa sia) a questi problemi, abbia perciò occupato una posizione di avanguardia tra le correnti progressive del pensiero sociale russo. Ma a nulla è servita la soluzione che il populismo ha dato di questi problemi, essendo essa fondata su teorie arretrate, già da tempo buttate a mare dall’Europa occidentale, essendo essa basata sulla critica romantica e piccolo-borghese del capitalismo, sul- l’ignoranza dei principali avvenimenti della storia e dei fatti della realtà russa. Finche lo sviluppo del capitalismo e delle sue contraddizioni era in Russia ancora molto debole, questa critica primitiva del capitalismo era ancora valida. Ma è incon- testabile che il populismo non corrisponde più abituale sviluppo del capitalismo in Russia, allo stato attuale delle nostre cognizioni sulla storia e sulla realtà economica russa, non può più soddi- sfare le esigenze che attualmente vengono poste alla teoria socio- logica. Il populismo, che è stato a suo tempo un fenomeno pro- gressivo, giacche ha posto per la prima volta il problema del capitalismo, è divenuto oggi una teoria rèazionaria e nociva , che mette su una falsa strada il pensiero sociale, favorisce la stagna- zione e ogni sorta di asiatismi. Il carattere reazionario della critica populista del capitalismo conferisce oggi al populismo persino dei tratti che lo pongono un gradino pià in basso rispetto alla concezione del mondo che si limita a custodire fedelmente l’ere- dità *. Cercheremo di dimostrare che così stanno le cose analiz- zando ciascuno dei tre tratti principali già citati della concezione del mondo populista. Il primo consiste nel credere che il capitalismo rappresenti per la Russia decadimento e regresso. Non appena è stato posto il problema del capitalismo in Russia, è apparso chiaro che il no- stro sviluppo economico è capitalistico, e i populisti hanno pro- clamato che questo sviluppo costituiva un regresso, un errore, una deviazione dalla strada segnata da tutta la storia della na- • Abbiamo già avuto occasione di rilevare nell’articolo sui romanticismo economico che i nostri avversari danno prova di straordinaria miopia quando intendono i termini di reazionario e piccolo-borghese come semplici battute pole- miche, mentre queste espressioni hanno un significato storico-filosofico assoluta- mente determinato. (Cfr. nel presente volume p. 208 N.d.R.) 5M LENIN zione, dalla strada consacrata dalle basi secolari, ecc. ecc. La fede ardente degli illuministi in questo sviluppo sociale è stata sostituita dalla diffidenza, l’ottimismo storico e la forza morale sono stati sostituiti dal pessimismo e dallo scoraggiamento, nati dalla con- vinzione che quanto più le cose sarebbero andate avanti come andavano, tanto più difficile e complessa sarebbe stata la soluzione dei problemi posti dallo sviluppo storico; sono apparsi inviti a « frenare » e ad « arrestare » questo sviluppo, è nata la teoria secondo cui la felicità della Russia sta nell’arretratezza, ecc. Tutti questi aspetti della concezione populista del mondo non solo non hanno nulla in comune con l’« eredità » ma sono, anzi, in netto contrasto con essa. Chi considera il capitalismo russo come « de- viazione dalla strada », decadimento, ecc., snatura tutta l’evolu- zione economica della Russia, snatura quel « cambiamento » che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Trascinato dal desiderio di frenare e arrestare la demolizione delle basi secolari ad opera del capitalismo, il populista cade preda di una sorprendente insensi- bilità storica, dimentica che prima del capitalismo altro non esiste se non lo stesso sfruttamento, unito a infinite forme di schiavitù e asservimento personale, che aggravano la situazione del lavora- tore, altro non esiste se non la routine e la stagnazione nella produzione sociale e quindi in tutti i campi della vita sociale. Lottando contro il capitalismo dal suo punto di vista romantico, piccolo-borghese, il populista butta a mare ogni realismo storico e paragona sempre la realtà del capitalismo con una falsa rappre- sentazione degli ordinamenti precapitalistici. L’« eredità » degli anni sessanta, con l’ardente fiducia nel carattere progressivo di quel determinato sviluppo sociale, con lo spietato odio rivolto intera- mente ed esclusivamente contro le vestigia del passato, con la convinzione che basti distruggere queste vestigia perchè tutto vada nel migliore dei modi, questa « eredità » non solo non ha nulla di comune con le concezioni del populismo, ma è con esse in netto contrasto. Il secondo tratto del populismo è la fede nell’originalità della Russia, l’idealizzazione del contadino, del Yobstcina, ecc. La teoria dell originalità della Russia ha costretto i populisti a menar vanto di quelle teorie che nell’Europa occidentale sono ormai sorpas- QUALE EREDITA RESPINGIAMO 515 sate, li ha indotti a un atteggiamento di incredibile leggerezza verso numerose conquiste della civiltà dell’Europa occidentale: i popu- listi si consolavano dicendo che se da noi mancano questi o quei tratti propri dell'umanità civile, « siamo destinati », in compenso, ad additare al mondo nuovi metodi di direzione economica, ecc. L'analisi del capitalismo e di tutte le sue manifestazioni, compiuta dal pensiero d’avanguardia dell’Europa occidentale, non solo non era considerata valida per la santa Russia, ma, al contrario, tutti gli sforzi erano diretti ad escogitare riserve che consentissero di non trarre, per il capitalismo russo, le stesse conclusioni che erano state tratte per quello europeo. I populisti si inchinavano dinanzi agli autori di questa analisi e... continuavano imperterriti a rimanere gli stessi romantici, contro cui quegli autori avevano lottato per tutta la vita. Questa teoria circa l’originalità della Rus- sia, comune a tutti i populisti, non solo non ha nulla a che vedere, ancora una volta, con l’« eredità », ma è persino in aperto contrasto con essa. Gli « anni sessanta » aspiravano, invece, a europeizzare la Russia; in quel periodo si aveva la certezza che la Russia sarebbe stata conquistata dalla civiltà europea, si cercava di trapiantare le istituzioni di questa civiltà sul nostro suolo, tutt'altro che originale. Ogni teoria sull’originalità della Russia si trova in netto contrasto con lo spirito degli anni sessanta e con le loro tradizioni. Ancor meno corrispondono a queste tradizioni l’idealizzazione e l’ab- bellimento della campagna propri dei populisti. Questa falsa idealizzazione, che cerca ad ogni costo di vedere nella nostra campagna qualcosa di particolare, qualcosa di completamente diverso dalla struttura di ogni altra campagna, di ogni altro paese nel periodo dei rapporti precapitalistici, è in stridente contrasto con le tradizioni sobrie e realistiche dell'eredità. Quanto più profondamente si sviluppava il capitalismo, quanto più vigorosa- mente si manifestavano nella campagna le contraddizioni inerenti a ogni società mercantile capitalistica, tanto più netto appariva il contrasto fra le melliflue chiacchiere dei populisti sul « collet- tivismo », sul « cooperativismo » del contadino, ecc., da una parte, e l’effettiva scissione dei contadini in borghesia rurale e in prole- tariato agricolo, dall’altra; tanto più rapidamente i populisti, che continuavano a guardare la realtà con gli occhi del contadino, si 5 ì6 LENIN trasformavano da romantici sentimentali in ideologi della piccola borghesia, poiché nella società attuale il piccolo produttore si trasforma in produttore di merci. La falsa idealizzazione della campagna e le fantasticherie romantiche sul « collettivismo » por- tavano i populisti ad assumere una posizione estremamente su- perficiale verso i bisogni reali dei contadini, originati dallo stesso sviluppo economico. In teoria era possibile parlare quanto si voleva della forza delle basi, ma in pratica ogni populista com- prendeva chiaramente che la distruzione delle vestigia del passato, delle vestigia deirordinamento precedente alla riforma, le quali le- gano tuttora mani e piedi i nostri contadini, apriva la strada verso lo sviluppo capitalistico e non verso un altro qualsiasi sviluppo. Meglio la stagnazione che il progresso capitalistico : è questa in sostanza la posizione del populista sul problema della campagna, sebbene, come ovvio, non ogni populista osi riconoscerlo francamente e apertamente con l’ingenua sincerità del sig. V. V. « I contadini inchiodati al loro nadiel e alla loro obstcina , non potendo lavorare là dove il lavoro è più produttivo e redditizio per loro, sono rima- sti fermi a quella tediosa, animalesca, improduttiva forma di vita che conducevano nel momento in cui erano usciti dalla servitù della gleba » : così, dalla sua caratteristica posizione di « illuminista », un rappresentante dell 1 * eredità » considerava la realtà. « È meglio che i contadini continuino a restare immobili nel loro modo di vita sta- gnante, patriarcale, anziché venga spianata la strada al capita- lismo nella campagna»: così in fondo ragiona ogni populista. E infatti, probabilmente, non si troverà un solo populista il quale osi negare che il carattere chiuso, di casta, dell 'obstcina contadina, con la sua responsabilità collettiva, il divieto di alienare la terra e di rinunciare al nadiel y non sia in netto contrasto con la realtà economica contemporanea, con gli attuali rapporti mercantili capitalistici e con il loro sviluppo. È impossibile negare questo contrasto, ma il nocciolo della questione è che i populisti temono come il fuoco di porre questo problema, di mettere a confronto la posizione giuridica dei contadini da una parte e la realtà econo- mica e lo sviluppo economico dairaltra. Il populista vuol credere ad ogni costo in uno sviluppo senza capitalismo, in uno sviluppo inesistente, da lui romanticamente fantasticato, e quindi... è pronto QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5*7 a frenare lo sviluppo che segue la via capitalistica. Di fronte a problemi quali il carattere chiuso, di casta, deNobstcina contadina, la responsabilità collettiva, il diritto dei contadini a vendere la terra e a rinunciare al loro nadiel , il populista non soltanto assume un atteggiamento di estrema prudenza e di timore per le sorti delle « basi » (le basi della routine e della stagnazione), ma cade così in basso da accogliere con soddisfazione il divieto poliziesco, imposto ai contadini, di vendere la terra. « Il contadino è stolto — si può dire a questo populista con le parole di Engelhardt — , non riesce da se a organizzarsi la vita. Se nessuno ha cura di lui, incendia tutte le foreste, uccide tutti gli uccelli, pesca tutti i pesci, rovina la terra e si rovina ». Il populista « rinuncia » qui aperta- mente allV eredità * e diventa un reazionario. E notate inoltre che, con lo sviluppo delleconomia, la distruzione del carattere chiuso, di casta, del Yobstcina diventa sempre più una necessità imperiosa per il proletariato agricolo, mentre gli inconvenienti che ne derivano per la borghesia rurale non sono affatto rile- vanti. Per il « contadino risparmiatore » non è difficile prendere terra in affitto altrove, aprire un’azienda in un altro villaggio, andare in qualsiasi momento là dove Io chiamino gli interessi del suo commercio. Ma per il « contadino » che vive soprat- tutto della vendita della propria forza-lavoro, il fatto di es- sere legato al suo nadiel e alla sua obstcina rappresenta un enorme ostacolo per la sua attività economica, non gli permette di trovare un padrone che gli dia un salario più alto, lo costringe a vendere la sua forza-lavoro agli acquirenti locali, che pagano sempre di meno e cercano ogni mezzo per asservirlo. Caduto in balia delle fantasticherie romantiche, postosi Tobiettivo di soste- nere e salvaguardare le vecchie basi a dispetto dello sviluppo eco- nomico, il populista, senza avvedersene, scivola lungo un piano inclinato fino a trovarsi a fianco deH’agrario che aspira con tutta l’anima a conservare e rafforzare « il legame del contadino con la terra». Basta rammentare che il carattere chiuso, di casta, del- Yobstcina contadina ha dato vita a metodi particolari di assun- zione degli operai : i proprietari di fabbriche e di fattorie inviano loro agenti nelle campagne, soprattutto tra i contadini morosi, per reclutare operai a condizioni più vantaggiose. Per fortuna lo svi- 5 i8 LENIN luppo del capitalismo nell’agricoltura, distruggendo il « domicilio fisso » del proletario (è questo l’effetto delle cosiddette occupa- zioni ausiliarie), sostituisce progressivamente a questo asservimento la libera assunzione. Un’altra e non meno evidente conferma della nostra tesi sul carattere nocivo delle attuali teorie populiste ci è data da un fenomeno comune tra i populisti: V idealizzazione delle otrabot\i . Più sopra abbiamo portato l’esempio di Engelhardt, il quale, caduto nel populismo, è giunto al punto di affermare che « sarebbe stato bene » sviluppare il sistema delle otrabotlfi nella campagna! La stes- sa cosa abbiamo trovato nel celebre progetto del sig. Iugiakov sui ginnasi agricoli ( Russkpie Bogatstvo , 1895, n. 5). Alla stessa idealiz- zazione si è abbandonato nei suoi seri articoli di economia un colle- ga di Engelhardt, il sig. V.V., il quale ha affermato che il contadino ha avuto la meglio sul proprietario fondiario, il quale avrebbe voluto introdurre il capitalismo; purtroppo però il contadino ha cominciato a lavorare le terre del grande proprietario fondiario, ricevendo in compenso terra « in affitto » ; è stato cioè restaurato 10 stesso identico sistema economico che esisteva al tempo della servitù della gleba. Sono questi gli esempi più lampanti dell'at- teggiamento reazionario dei populisti verso i problemi della nostra agricoltura. Quest’idea, in forma meno palese, la ritrovate in ogni populista. Ogni populista parla dei danni e dei pericoli che rappresenta il capitalismo per la nostra agricoltura, poiché il capitalismo, guardate un po’, sostituisce al contadino indipendente 11 bracciante. La realtà del capitalismo (il « bracciante ») è opposta alla finzione del contadino «indipendente»: questa finzione si basa sul fatto che il contadino dell’epoca precapitalistica possiede i mezzi di produzione; ma si tace pudicamente che questi mezzi di produzione debbono essere pagati il doppio del loro valore, che essi servono per le otrabotki , che il tenore di vita di questo contadino « indipendente » è talmente basso che in ogni paese capitalistico egli verrebbe incluso nella categoria dei poveri, che alla miseria nera e all’inerzia intellettuale di questo contadino « indipendente » si aggiunge la dipendenza personale che accompagna inevitabilmente le forme precapitalistiche di eco- nomia. QUALE EREDITA RESPINGIAMO 519 Il terzo tratto caratteristico del populismo — ossia il voler ignorare il legame esistente fra T« intellettualità » e le istituzioni giuridiche e politiche del paese, da un lato, e gli interessi materiali di determinate classi sociali, dall’altro — è indissolubilmente con- nesso ai precedenti: solo una simile mancanza di realismo nei pro- blemi sociologici poteva generare la teoria secondo cui il capi- talismo russo è un «errore» e sarebbe possibile «cambiar strada». Anche questa concezione del populismo non ha nulla a che vedere con l’« eredità » e con le tradizioni degli anni sessanta, ma, al con- trario, è in netto contrasto con queste tradizioni. Da questa con- cezione scaturisce in modo naturale l’atteggiamento dei popu- listi verso le numerose vestigia della regolamentazione della vita russa nell’epoca precedente la riforma, atteggiamento che non poteva essere condiviso in nessun caso dai rappresentanti dell’« eredità ». Per definire quest’atteggiamento ci permettiamo di avvalerci delle eccellenti osservazioni fatte dal sig. V. Ivanov neH’articoIo Una pessima invenzione (Novoie Slovo , settembre 1897). L’autore parla del noto romanzo del sig. Boborykin inti- tolato In un altro modo e mostra come il romanziere non abbia compreso la discussione tra i populisti e i « discepoli ». Il sig. Bobo- rykin fa rivolgere ai « discepoli » dal protagonista del suo romanzo, un populista, l’accusa che essi sognano « una caserma con l’insop- portabile dispotismo della regolamentazione ». Il sig. V. Ivanov rileva a questo proposito: «Essi [i populisti] non solo non dicono che l’insopportabile dispotismo della ” regolamentazione ” è un ” sogno ” dei loro avversari ma, rimanendo populisti , non possono e non potranno dirlo. La sostanza della loro discussione contro i seguaci del ” ma- terialismo economico ” consiste in questo campo precisamente nel fatto che i residui della vecchia regolamentazione, conservatisi in Russia, possono costituire, secondo i populisti, la base per lo sviluppo ulteriore della regolamentazione. L’insopportabilità di questa vecchia regolamentazione è celata ai loro occhi, da una parte, dall’idea che la stessa ” anima contadina (unica e indivi- sibile) si evolve ” nel senso della regolamentazione, e, dall’altra, dalla convinzione che gli ” intellettuali ”, la ” società ” e, ” in gene- rale, le classi dirigenti ” hanno o avranno una morale elevata. 520 LENIN Essi non accusano i seguaci del materialismo economico di sim- patia per ” la regolamentazione ”, ma al contrario di simpatia per gli ordinamenti dell’Europa occidentale basati sull’assenza di regolamentazione. E in effetti i seguaci del materialismo eco- nomico affermano che le vestigia della vecchia regolamentazione, sorta sulla base dell’economia naturale, diventano di giorno in giorno ” più intollerabili ” in un paese che è passato all’economia monetaria, la quale produce infinite modificazioni sia nella situa- zione di fatto che nella fisionomia intellettuale e morale dei di- versi strati della popolazione. Pertanto essi ritengono che le con- dizioni necessarie perchè si affermi una nuova e benefica ” regola- mentazione ” della vita economica del paese possono scaturire non dai residui di una regolamentazione adeguata all’economia naturale e alla servitù della gleba, ma soltanto in un’atmosfera in cui sia del tutto assente, sotto ogni suo aspetto, questa vecchia regolamentazione, così come lo è nei paesi progrediti dell’Europa occidentale e dell’America. A questo stadio è giunto il problema della ” regolamentazione ” nel dibattito fra i populisti e i loro avversari» (pp. 11-12, 1 . c.). L’atteggiamento dei populisti verso « le vestigia della vecchia regolamentazione » rappresenta forse il più netto distacco del populismo dalle tradizioni dell’« eredità ». Come abbiamo già visto, i rappresentanti dell’eredità si distin- guevano appunto per la loro condanna irrevocabile e accanita di ogni sorta di residuo della vecchia regolamentazione. Sotto que- st’aspetto quindi i « discepoli » sono incomparabilmente più vicini alle « tradizioni » e all’« eredità » degli anni sessanta che non i populisti. La mancanza di realismo in sociologia, oltre a esser causa del gravissimo errore già ricordato, conduce i populisti a pensare e ragionare dei problemi e delle questioni sociali in modo sin- golare, modo che può esser definito meschina presunzione intel- lettuale o, meglio, modo di pensare burocratico. Il populista ra- giona sempre della strada che « noi » dobbiamo scegliere per la patria, delle sventure a cui andiamo incontro se « noi » avviamo la patria su quella determinata strada, delle vie d’uscita che « noi » potremo assicurarle se sfuggiremo ai pericoli della via per- corsa dalla vecchia Europa, se «prenderemo ciò che vi è di QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5 2I buono» sia in Europa che nel nostro secolare spirito collettivista, ecc. ecc. Di qui l’assoluta sfiducia e il disprezzo del populista per le tendenze autonome di singole classi sociali che fanno la storia in conformità coi loro interessi. Di qui la sorprendente superficialità con cui il populista (dimenticando la situazione che lo circonda) si lancia in ogni sorta di progetti sociali utopistici, incominciando da una qualsiasi « organizzazione del lavoro agricolo » per finire alla « socializzazione della produzione », raggiunta mediante gli sforzi della nostra « società ». Mit der Griindlichkeit der geschichth - chen Action tvird also der Umfang der Masse zunehmen, deren Action sie ist » In queste parole è espressa una delle più pro- fonde e più importanti tesi della teoria storico-filosofica che i nostri populisti non vogliono e non possono comprendere. A mano a mano che si estende e si intensifica l’attività creativa storica degli uomini, deve accrescersi quella massa della popola- zione che è un fattore storico cosciente. Il populista invece parla sempre della popolazione in generale, e della popolazione lavo- ratrice in particolare, come dell’oggetto a cui devono essere ap- plicati provvedimenti più o meno razionali, come di una massa greggia che può essere indirizzata su questa o quella strada, e non considera mai le diverse classi della popolazione come fattori storici indipendenti nell’ambito di un determinato indirizzo, non pone mai il problema delle condizioni di questo indirizzo, condi- zioni che possono sviluppare (o viceversa paralizzare) l’attività consapevole e indipendente di questi creatori della storia. Così, sebbene il populismo, impostando il problema del capita- lismo in Russia, abbia compiuto un grande passo in avanti rispetto all’« eredità » degli illuministi, la soluzione che esso ha dato di questo problema è risultata così inadeguata, a causa del punto di vista piccolo-borghese e della critica sentimentale del capitalismo, che in tutta una serie di questioni fondamentali della vita sociale il populismo è rimasto indietro rispetto agli «illuministi». L’ade- sione del populismo all’eredità e alle tradizioni dei nostri illu- ministi si è rivelata in fin dei conti una cosa negativa: i nuovi *Marx, Die heilige Femilie t no. In Beltov p. 235. («Con l’approfondimento delazione storica si accrescerà dunque l’ambito della massa della quale essa è azione» 10 °. Marx, La sacra famiglia^ Edizioni Rinascita, Roma, 1954» P- N.d.R.). 522 LENIN problemi che lo sviluppo economico del periodo posteriore alla riforma ha posto in Russia dinanzi al pensiero sociale russo non sono stati risolti dal populismo, che si è limitato a versarci sopra lacrime sentimentali e reazionarie, e che, col suo romanticismo, ha complicato i vecchi problemi che erano già stati posti dagli illuministi e ne ha ritardato la completa soluzione. IV « Illuministi », populisti e « discepoli » Possiamo adesso tirare le somme dei confronti fatti. Cerchiamo di definire brevemente le posizioni che le tre correnti del pensiero sociale indicate nel titolo assumono le une di fronte alle altre. L’illuminista crede nel presente sviluppo sociale perchè non si rende conto delle contraddizioni ad esso inerenti. Il popu- lista teme questo sviluppo sociale perchè si è già reso conto di queste contraddizioni. Il « discepolo » crede nel presente sviluppo sociale perchè vede la garanzia di un avvenire migliore solo nel pieno sviluppo di queste contraddizioni. La prima e la terza corrente cercano quindi di sostenere, affrettare, agevolare il pre- sente sviluppo, tentano di rimuovere tutti gli ostacoli che im- pediscono e frenano questo sviluppo. Il populismo invece aspira a frenarlo e ad arrestarlo, teme la distruzione di alcuni osta- coli che impediscono lo sviluppo del capitalismo. La prima e la terza corrente sono pertanto caratterizzate da ciò che può chiamarsi ottimismo storico: quanto più le cose andranno come vanno ora, e quanto più rapidamente andranno, tanto meglio sarà. Il populismo invece conduce naturalmente al pessimismo storico: quanto più le cose andranno come vanno ora, tanto peggio sarà. Gli « illuministi » non hanno posto il problema del carattere dello sviluppo del periodo posteriore alla riforma; si sono limitati esclusivamente a combattere contro le vestigia del- l’ordinamento esistente prima della riforma, si sono limitati al compito negativo di spianare la strada allo sviluppo europeo della Russia. Il populismo ha posto il problema del capitalismo in Rus- sia, ma lo ha risolto affermando che il capitalismo ha un QUALE EREDITÀ RESPINGIAMO 523 carattere reazionario, e quindi non ha potuto appropriarsi intera- mente l’eredità degli illuministi: i populisti hanno sempre lottato contro coloro che aspiravano a europeizzare la Russia in generale, dal punto di vista dell’« unità della civiltà»; hanno combattuto non perchè non potevano limitarsi agli ideali di questi uomini (una simile lotta sarebbe stata giusta), ma perchè non volevano procedere troppo oltre nello sviluppo di quella determinata ci- viltà, ossia della civiltà capitalistica. I « discepoli » risolvono il problema del capitalismo in Russia affermando che il capi- talismo ha un carattere progressivo, che quindi non solo posso- no, ma debbono accettare interamente l’eredità degli illuministi e arricchirla con l’analisi delle contraddizioni del capitalismo dal punto di vista dei produttori nullatenenti. Gli illumini- sti non rivolgevano un’attenzione particolare a nessuna classe della popolazione; essi parlavano non solo di popolo in ge- nerale, ma anche di nazione in generale. I populisti si sono proposti di rappresentare gli interessi del lavoro, senza tuttavia riferirsi a gruppi determinati dell’attuale sistema economico; in pratica essi si sono sempre posti dal punto di vista del piccolo produt- tore, che il capitalismo trasforma in produttore di merci. I « di- scepoli » non solo prendono come metro gli interessi del lavoro, ma si riferiscono a gruppi economici ben determinati dell’econo- mia capitalistica, e precisamente ai produttori nullatenenti. La prima e la terza corrente rispondono, per il contenuto delle loro aspirazioni, agli interessi di quelle classi che vengono create e svi- luppate dal capitalismo; il populismo risponde, per il suo con- tenuto, agli interessi della classe dei piccoli produttori, della pic- cola borghesia, che occupa una posizione intermedia fra le al- tre classi della società moderna. Perciò l’atteggiamento contrad- dittorio del populismo verso l’« eredità» non è affatto casuale, ma è il risultato necessario del contenuto stesso delle concezioni populiste: abbiamo visto che uno degli aspetti fondamentali della concezione degli illuministi consisteva nella loro ardente aspira- zione a europeizzare la Russia; ma i populisti, continuando a ri- manere populisti, non possono in nessun caso condividere piena- mente quest’aspirazione. Siamo giunti infine alla conclusione che più di una volta 34-573 5 2 4 LENIN abbiamo indicato sopra in singoli casi, siamo giunti cioè alla con- clusione che i discepoli salvaguardano l'eredità con assai maggiore coerenza e fedeltà dei populisti . Essi non solo non ripudiano l’eredità, ma al contrario si propongono, come uno dei loro com- piti principali, di combattere quei timori romantici e piccolo-bor- ghesi che costringono i populisti a respingere, in numerosi e im- portanti problemi, gli ideali europei degli illuministi. Ma è ovvio che i « discepoli > non salvaguardano leredità come gli archivisti custodiscono le vecchie carte. Salvaguardare leredità non significa affatto limitarsi all’eredità; alla difesa degli ideali generali del- l’europeismo i « discepoli » uniscono l’analisi delle contraddizioni che il nostro sviluppo capitalistico racchiude in se e la valuta- zione di questo sviluppo dal punto di vista specifico sopra in- dicato. V // sig. Mibjiailovsbj e il ripudio dell' eredità da parte dei « discepoli » Per concludere ritorniamo al sig. Mikhailovski e all’analisi della sua affermazione circa il problema che ci interessa. Il sig. Mi- khailovski non solo dichiara che costoro (i discepoli) « non de- siderano avere alcun rapporto di continuità col passato e decisa- mente ne respingono l’eredità » (1. c., 179), ma anche che « essi * (insieme con altri esponenti delle più diverse correnti, compresi il sig. Abramov, il sig. Volynski e il sig. Rozanov) « si scagliano contro l’eredità con straordinario astio » (180). Di quale eredità parla il sig. Mikhailovski? Dell’eredità degli anni sessanta, dell’ere- dità che hanno solennemente respinto e che respingono le Moskp- vs\ie Vie domasti (178). Abbiamo già asserito che se si parla dell’* eredità » spettante ai contemporanei, bisogna distinguere due eredità : una è l’eredità degli illuministi in generale, di coloro che avversavano senza ri- serve tutto ciò che esisteva prima della riforma, di coloro che si battevano per gli ideali europei e per gli interessi delle larghe masse della popolazione. L’altra è l’eredità populista. Abbiamo già asserito che sarebbe un errore grossolano confondere cose QUALE EREDITA RESPINGIAMO 5 2 5 tanto diverse, perchè ognuno sa che sono esistiti ed esistono uo- mini che vogliono salvaguardare le « tradizioni degli anni sessanta > pur non avendo nulla in comune col populismo. Tutte le osserva- zioni del sig. Mikhailovski sono basate interamente ed esclusiva- mente sulla confusione di queste due eredità radicalmente diverse. Ma poiché il sig. Mikhailovski non può non conoscere questa diffe- renza, il suo attacco assume il carattere ben determinato di un attacco non solo assurdo, ma anche calunnioso. Si sono forse sca- gliate le Moskpvskje Viedomosti in modo speciale contro il po- pulismo? Nient’affatto: questo giornale si è scagliato con non mi- nore, se non con maggiore forza contro gli illuministi in gene- rale, e considera il Viestni\ Evropy , assolutamente estraneo al populismo, un nemico, non meno di quanto consideri nemica la populista Russkpie Bogatstvo. Certo le Moskpvsfye Viedomosti in molti punti non si sarebbero trovate d’accordo con quei po- pulisti che hanno respinto con maggiore decisione l’eredità, per esempio con Iuzov, ma è poco probabile che si sarebbero scagliati con astio contro di lui; comunque lo avrebbero elogiato per es- sersi differenziato dai populisti che intendono salvaguardare l’eredità. Si sono mai scagliati contro il populismo il sig. Abramov o il sig. Volynski? Mai. Il primo è egli stesso un populista; e entrambi si sono scagliati contro gli illuministi in generale. E si sono forse scagliati i « discepoli russi » contro gli illu- ministi russi? Hanno forse mai respinto l’eredità, che ci impe- gnava ad essere irriducibilmente ostili al modo di vita del periodo precedente la riforma e alle sue vestigia? Non solo non l’hanno respinta, ma al contrario hanno denunciato la tendenza dei po- pulisti a sostenere alcuni di questi residui a causa delle loro paure piccolo-borghesi dinanzi al capitalismo. Si sono essi mai scagliati contro l’eredità che ci impegnava ad accogliere gli ideali europei in generale? Non solo non si sono mai scagliati contro l’eredità, ma al contrario hanno smascherato i popu- listi che, invece di accettare gli ideali europei, escogitavano su molte questioni importanti ogni sorta di stoltezze sull’originalità della Russia. Si sono mai scagliati i discepoli contro l’eredità che ci impegnava ad esser solleciti per gli interessi delle masse lavo- ratrici della popolazione? Non solo non si sono mai scagliati 34* 5 2Ó LENIN contro, ma al contrario hanno smascherato i populisti, dimo- strando che la loro sollecitudine per questi interessi non è conse- guente (perchè essi fanno una gran confusione tra borghesia rurale e proletariato agricolo); che il valore di questa solleci- tudine viene annullato dal fatto che essi sognano ciò che po- trebbe essere, invece di concentrare la loro attenzione su ciò che è; che le loro preoccupazioni sono molto meschine, poiché essi non hanno mai saputo valutare adeguatamente le condizioni (economiche e di altro genere) che rendono facile o difficile a queste masse di preoccuparsi di se stesse. Il sig. Mikhailovski può non considerare giuste queste de- nunce e, essendo un populista, naturalmente non le considera giu- ste, ma parlare di attacchi * astiosi » contro « l’eredità degli anni sessanta e settanta » da parte di coloro che in effetti attaccano « con astio » soltanto il populismo , e lo attaccano perchè esso non ha sa- puto risolvere nello spirito di questa eredità, e senza contraddirla , i nuovi problemi sollevati dalla storia dopo la riforma; arrivare a dire questo significa addirittura snaturare le cose. Il sig. Mikhailovski è comicamente indignato perchè i « disce- poli » confondono volentieri « noi » (ossia i pubblicisti della Russkjoie Bogatstvo) coi « populisti > e con altri individui che nulla hanno a che vedere con la Russ\oie Bogatstvo (p. 180). Questo ridicolo tentativo di distinguersi dai « populisti », pur non abbandonando tutte le concezioni fondamentali del populismo, non può che provocare ilarità. Tutti sanno che i « discepoli russi » usano i termini « populista » e « populismo » in un’accezione molto larga. Nessuno dimentica o nega che fra i populisti esistono non poche sfumature: nè P. Struve, nè N. Beltov, per esempio, hanno mai «confuso» nei loro libri il sig. N. Mikhailovski non solo col sig. V.V., ma neppure col sig. Iugiakov, ossia non hanno mai celato le differenze esistenti tra i loro modi di vedere, non hanno mai ascritto all’uno le concezioni deiraltro. P. B. Struve anzi ha sottolineato la differenza che corre tra le opinioni del Iugiakov e quelle del sig. Mikhailovski. Una cosa è confon- dere concezioni diverse, un’altra è generalizzare e includere in una stessa categoria scrittori che, nonostante le loro divergenze su molti problemi, sono solidali circa i punti fondamentali e prin- QUALE EREDITA RESPINGIAMO 527 cipali, contro cui appunto insorgono i « discepoli 1. A un « disce- polo » non importa affatto di mostrare, per esempio, la vacuità delle concezioni che fanno distinguere un qualsiasi sig. Iuzov da- gli altri populisti: a lui importa confutare le concezioni comuni al sig. Iuzov , al sig . Mi\hailovs\i e a tutti i populisti in generale , ossia il loro atteggiamento di fronte all’evoluzione capitalistica della Russia, la loro analisi dei problemi economici e sociali dal punto di vista del piccolo produttore, la loro incomprensione del materialismo sociale (o storico). Questi tratti sono patrimonio co- mune di tutta una corrente del pensiero sociale, la quale ha svolto una funzione storica importante. Quest’ampia corrente comprende le più diverse sfumature, una destra e una sinistra, individui che sono giunti sino al nazionalismo e airantisemitismo, ecc., e in- dividui che di ciò non hanno alcuna responsabilità; individui che hanno un atteggiamento sprezzante verso molto di quel che l’« ere- dità » ci ha tramandato e individui che si sono sforzati di salva- guardare tutto questo nei limiti del possibile (ossia nei limiti in cui ciò è possibile per un populista). Nessun « discepolo russo » ha negato queste differenze di sfumatura, nessuno di essi potrebbe essere accusato dal sig. Mikhailovski di aver ascritto le opinioni di un populista di una sfumatura a un populista di un’altra sfuma- tura. Dal momento che polemizziamo contro le concezioni fonda- mentali, comuni a tutte queste sfumature, perchè mai dovremmo parlare delle particolari differenze che esistono in seno alla cor- rente nel suo insieme? È questa una pretesa completamente as- surda! L’identità delle concezioni sul capitalismo russo, sulla obsteina contadina, sull’onnipotenza della cosiddetta « società » in scrittori che non erano affatto solidali su tutto, è stata sottolineata più volte nella nostra letteratura molto tempo prima dell’appari- zione dei « discepoli », e non solo è stata sottolineata ma persino elogiata come una felice particolarità della Russia. Il termine di « populismo » nel senso ampio della parola è stato usato nella no- stra letteratura molto tempo prima della comparsa dei « discepoli ». Il sig. Mikhailovski non solo ha collaborato per molti anni alla stessa rivista a cui collaborava il sig. V.V., un « populista » (nel senso stretto della parola), ma ha anche condiviso le già ricordate posizioni fondamentali della concezione populista. Il sig. Mikhai- 528 LENIN lovski, avanzando negli anni tra l’8o e il *90, e tra il 90 e il 900 obiezioni contro alcune conclusioni del sig. V.V., confutando le sue incursioni nel campo della sociologia astratta, asserisce tuttavia, sempre in quegli anni, che la sua critica non è affatto rivolta contro gli scritti economici del sig. V.V., che egli è solidale con costui per ciò che riguarda la concezione fondamentale circa il capitalismo russo. Pertanto se oggi i pilastri della Russkpie Bogatstvo , che tanto hanno fatto per sviluppare, consolidare e diffondere le concezioni populiste (in senso ampio), pensano di poter evitare la critica dei « discepoli russi », dichiarando semplicemente che non sono « po- pulisti » (in senso stretto), che essi costituiscono una speciale « scuola etico-sociale», è naturale che simili trucchi possano suscitare sol- tanto un’ironia ben meritata aH’indirizzo di uomini tanto corag- giosi e in pari tempo tanto diplomatici. A p. 182 del suo articolo il sig. Mikhailovski adduce inoltre con- tro i « discepoli » il seguente fenomenale argomento. Il sig. Ka- menski attacca velenosamente i populisti 110 ; questo, vedete, « dimostra che egli si adira; il che non può essergli consentito [sic!!]. Noi "vecchi soggettivisti", così come i "giovani soggetti- visti ", possiamo, senza cadere in contraddizione con noi stessi, per- metterci una simile debolezza. Ma i rappresentanti di una teoria che è ” giustamente orgogliosa della sua implacabile obiettività ” (espressione usata da un " discepolo ”) sono in tutt’altra situa- zione ». Che succede?! A coloro i quali esigono che le concezioni dei fenomeni sociali siano fondate su un’analisi implacabilmente og- gettiva della realtà e dello sviluppo reale, non può essere consentito di adirarsi?! Ma ciò significa dire spropositi, assurdità! Non avete mai sentito dire voi, signor Mikhailovski, che il celebre trattato sul Capitale e giustamente considerato come uno dei più straordinari modelli di implacabile obiettività nell’analisi dei fenomeni sociali? Numerosi scienziati ed economisti ritengono che la principale e fondamentale deficienza di questo trattato sia proprio la sua im- placabile obiettività. Eppure, quanto «cuore», quanti attacchi po- lemici appassionati e ardenti contro i rappresentanti delle conce- zioni sorpassate, contro i rappresentanti delle classi sociali che, se- condo l’autore, frenano lo sviluppo sociale, troverete in questo QUALE EREDITÀ RESPINGIAMO 529 trattato di raro rigore scientifico! Lo scrittore che ha dimostrato con implacabile obiettività come le concezioni, per esempio, di Proudhon costituiscano un riflesso naturale, comprensibile e inevi- tabile delle opinioni e dello stato d’animo del petit bourgeois fran- cese, nondimeno « si è scagliato » con grandissima passione e con ardente veemenza contro quest’ideologo della piccola borghesia. Non crede forse il sig. Mikhailovski che qui Marx « cada in con- traddizione con se stesso » ? Se una determinata dottrina esige da ogni sociologo un’analisi implacabile, oggettiva della realtà, per qual miracolo si può da ciò dedurre che questo sociologo non deve provar simpatia per questa o quella classe, che ciò « non gli è consentito»? È addirittura ridicolo parlare qui di dovere, perchè non ce uomo pensante che possa non porsi dalla parte di questa o quella classe (dopo averne compresi i rapporti reciproci), che possa non rallegrarsi per il successo di una data classe, che possa non do- lersi per i suoi insuccessi, che possa non indignarsi contro coloro che le sono ostili, contro coloro che ne ostacolano lo sviluppo, diffon- dendo concezioni arretrate, ecc. La vacua battuta polemica del sig. Mikhailovski dimostra soltanto che egli non è ancora riuscito a orientarsi nella questione elementarissima della differenza tra de- terminismo e fatalismo. « ” Il capitale è in marcia! ” non ce dubbio — scrive il sig. Mi- khailovski — ma [sic!!] il problema è di sapere in qual modo accoglierlo » (p. 189). Il sig. Mikhailovski scopre TAmerica, accenna a un « problema » su cui i « discepoli russi », evidentemente, non hanno riflettuto per nulla! Le divergenze tra i « discepoli russi » e i populisti, a quanto pare, non sono affatto sorte su questa questione! Il capitalismo che si sviluppa in Russia può essere « considerato » solo in due modi: o come un fenomeno progressivo o come un fenomeno re- gressivo; o come un passo innanzi sulla giusta strada, o come una deviazione dalla giusta strada; o valutandolo dal punto di vi- sta della classe dei piccoli produttori, che il capitalismo distrugge, o dal punto di vista della classe dei produttori nullatenenti che il capitalismo crea. Qui non ce via di mezzo *. Quindi, se il sig. Mi- * Non parliamo, s’intende, di quel modo di accogliere il capitalismo che non ritiene affatto necessario farsi guidare dagli interessi del lavoro o per cui la stessa 530 LENIN khailovski considera sbagliata la posizione dei « discepoli » verso il capitalismo, vuol dire che egli assume una posizione popu- lista, che nei suoi precedenti articoli ha formulato molte volte con assoluta precisione. Il sig. Mikhailovski non ha aggiunto nulla alle sue vecchie opinioni su questo problema nè le ha modificate, rimanendo come in precedenza un populista. — Non sia mai detto! Egli non è un populista, dio ce ne guardi! Egli è un rappresentante della « scuola etico-sociologica »... « E non si parli — continua il sig. Mikhailovski — dei futuri benefici che lo sviluppo del capitalismo porterà con se ». Il sig. Mikhailovski non è un populista: egli si limita a ri- petere per intiero gli errori dei populisti e il loro modo sbagliato di ragionare. Quante volte è stato ripetuto ai populisti che una simile impostazione del problema « del futuro » è sbagliata, che non si tratta di mutamenti « futuri », ma di cambiamenti reali, progressivi dei rapporti precapitalistici, che già si verificano e che lo sviluppo del capitalismo in Russia produce (e non: produrrà),! Trasferendo la questione nel campo del « futuro », il sig, Mikhailo- vski in effetti dà per dimostrate proprio quelle tesi che i « disce- poli » confutano. Egli dà per dimostrato che nella realtà, in ciò che accade sotto i nostri occhi, lo sviluppo del capitalismo non produce alcun cambiamento progressivo nei rapporti economici e sociali. Questa appunto è la concezione populista, contro di essa appunto polemizzano i « discepoli russi », dimostrando il contrario. Non esiste un solo opuscolo pubblicato dai « discepoli russi » nel quale non si dica e non si dimostri che la sostituzione delle otrabot^i col lavoro salariato neiragricoltura, la sostituzione della cosiddetta industria « artigiana » con Tindustria di fabbrica è un fenomeno reale, che si manifesta (e con quale rapidità) sotto i nostri occhi, e nient’affatto un fenomeno «futuro»; che que- sta sostituzione è sotto tutti i rapporti un fenomeno progres- sivo; che essa distrugge la produzione a mano, la piccola, spezzettata produzione caratterizzata da una secolare immobilità, sintesi espressa col termine « capitalismo » è incomprensibile e oscura. Per quanto importanti siano nella vita russa le correnti del pensiero sociale che vi si riferiscono, nella discussione tra i populisti e i loro avversari esse contano poco e non è il caso di parlarne. QUALE EREDITA RESPINGIAMO 531 dalla routine e dalla stagnazione; che essa eleva la produttività del lavoro sociale e crea così la possibilità di elevare il tenore di vita del lavoratore; che essa crea quelle condizioni che trasformano questa possibilità in necessità, e precisamente le condizioni che tra- sformano il « proletario sedentario », sia in senso fisico che morale, sepolto nella più « remota provincia », in un proletario che può muoversi, condizioni che mutano le forme asiatiche di lavoro, di cui sono propri l’asservimento senza limiti e ogni forma di dipen- denza personale, in forme europee; che « per impiegare con suc- cesso le macchine, il modo di pensare e di sentire europeo non è meno necessario [notate: necessario. V. /.] del vapore, del carbone e della tecnica » *, ecc. Tutto ciò viene detto e dimostrato, lo ripe- tiamo, da ogni « discepolo », ma tutto ciò, a quanto pare, non ha alcun rapporto col sig. Mikhailovski e < compagni » : tutto ciò viene scritto soltanto contro i « populisti », che con la Russkpie Bogatstvo « non hanno nulla a che fare ». La Russìpie Bogatstvo è infatti una « scuola etico-sociologica », la cui essenza sta nello spacciare il vec- chio ciarpame sotto una nuova etichetta. Come abbiamo rilevato sopra, il nostro articdlo si propone di confutare le menzogne più diffuse sulla stampa liberal-populista, secondo cui i « discepoli russi » respingono l'c eredità », spezzano ogni legame con le migliori tradizioni della parte migliore della società russa, ecc. Non sarà privo di interesse notare che il sig. Mi- khailovski, ripetendo queste frasi trite e ritrite, ha detto in so- stanza esattamente quel che aveva affermato molto tempo prima e con assai maggiore decisione il sig. V. V., il « populista » che con la Russipie Bogatstvo « non ha nulla a che fare ». Conosce il let- tore gli articoli del giornale Nedielia m , su cui il sig. V.V. ha pub- blicato tre anni or sono, verso la fine del 1894, una risposta al libro di P.B. Struve? Devo dire che, secondo me, se non ha letto questi articoli non ha perduto assolutamente nulla. L’idea principale in essi espressa è che i « discepoli russi » spezzano il filo democratico che corre attraverso tutte le correnti progressive del pensiero so- ciale russo. Non si tratta forse della stessa idea, ma espressa con altre parole, ripetuta oggi dal sig. Mikhailovski, quando egli accusa •Parole di Schulze-Gawernitz in Schmollcrs Jahrbuch y 1896, nel suo articolo sull'industria cotoniera nei governatorati di Mosca e Vladimir. 532 LENIN i « discepoli » di respingere l’« eredità », contro la quale le Mos\ov- s\ie Viedomosti si scagliano astiosamente? In realtà, come ab- biamo visto, gli autori di questa menzogna riversano sugli altri le proprie colpe, affermando che Tirrevocabile rottura dei « discepoli » con il populismo equivale alla rottura con le migliori tradizioni del- la parte migliore della società russa. Non sarà forse l’opposto, si- gnori ? Questa rottura non significherà forse la liberazione di queste migliori tradizioni dal populismo ? NOTE 1 Rabotnif{ (Il lavoratore): rivista non periodica pubblicata all’estero dall’* Unione dei socialdemocratici russi» dal 1896 al 1899, per iniziativa di Lenin. Il 25 aprile (7 maggio) 1895 Lenin si recò all’estero per mettersi in contatto col gruppo dell’« Emancipazione del lavoro » e per conoscere da vicino il movi- mento operaio dell’Europa occidentale. In Svizzera discusse i problemi relativi alla nuova pubblicazione con G. V. Plekanov, P. B. Azelrod e altri membri del gruppo. Tornato in Russia nel settembre dello stesso anno, svolse un in- tenso lavoro per assicurare alla rivista articoli e corrispondenze dalla Russia e raccogliere i fondi necessari. Il primo numero del Rabotni{> sul quale, oltre all’articolo Friedrich Engels , comparvero anche alcune corrispondenze di Lenin, usci verso il marzo 1896. Complessivamente uscirono 6 numeri del Rabotnif^ (in tre fascicoli) c io numeri del Listof{ « Rabolnifa » [Foglio de «Il lavo- ratore»]. - P. 8. 2 Dal poema di N. A. Nckrasov In memoria di Dobroltubov. - P. 9* 3 F. Engels, La guerra dei contadini in Germania , Roma, Edizioni Rinascita, 1949, p. 24. - P. 9. 4 F. Engels, Die Lage der arbeitenden Klasse in England t Berlin, Dietz Verlag, 1952, pp. 399- - P- 12 . 6 K. Marx - F. Engels, La sacra famiglia, ovvero critica della Critica critica. Con- tro Bruno Bauer e consorti , Roma, Edizioni Rinascita, 1954. - P. 13. e Della rivista Deutsch-Franzosische ]ahrbucher y fondata da K. Marx e da A. Ruge a Parigi nel 1844, uscì un solo fascicolo (doppio). - P. 14. 7 F. Engels, Umrisse zu eìner Kritif{ der Nattonaloe bonomie , in Marx -Engels Gesamtausgabe y Erste Abteilung, B. 2: Fr. Engels IVer/^e und Schnften bis An- jang 1844, Berlin, Marx-Engels Verlag, 1931, pp. 379-4°4- ' P» M* 8 La Lega dei comunisti , prima organizzazione internazionale del proleta- riato, venne fondata a Londra neH'estate del 1847 in un congresso cui inter- vennero delegati delle organizzazioni proletarie rivoluzionarie di vari paesi. Essa visse sino al 1852. Per la sua storia cfr. l’articolo di F. Engels, Per la 536 NOTE storia della Lega dei comunisti , in K. Marx-F. Engels, Il Partito e l'internazio- nale , Roma, Edizioni Rinascita, 1948, pp. 11-31. - P. 14. 9 Neue Rheinische Zeitung : si pubblicò a Colonia dal i° giugno 1848 al 19 maggio 1849. «Nessun giornale tedesco — scrisse Engels — nè prima, nè dopo, ha mai posseduto tanta forza e tanta influenza, ha mai saputo elettriz- zare le masse proletarie quanto la Neue Rheinische Zeitung » (cfr, Marx e la « Neue Rheinische Zeitung » (1848-1849), in K. Marx-F. Engels, Il Partito e l’internazionale , ed. cit., p. 86. Nel suo articolo Karl Marx Lenin definisce questo giornale « il migliore organo di stampa, mai piu superato, del prole- tariato rivoluzionario » (cfr. la Bibliografia in appendice all’articolo Karl Marx ; voi. 21 della presente edizione). - P. 14. 10 La traduzione russa dell’ Antiduhring, che fu pubblicata per la prima volta nel 1904, fu definita da Lenin estremamente insoddisfacente (cfr. Prefazione di Lenin, in K. Marx, Lettere a Kugelmann, Roma, Edizioni Rinascita, 1950, p. 11. Per Lo sviluppo del socialismo scientifico cfr. F. Engels, L'evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Roma, Edizioni Rinascita, 1951, p. 13. - P. 15. 11 F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato , Roma, Edizioni Rinascita, 1950. - P. 15. 12 F. Engels, Ludovico Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica te- desca , Roma, Edizioni Rinascita, 1950. - P. 15. 13 Sozial-Demokjat (Il socialdemocratico): rassegna politico-letteraria, pubblicata * all’estero negli anni 1890-1892 dal gruppo «Emancipazione del lavoro»; complessivamente ne uscirono quattro numeri. L’articolo di Engels Die auswdr - tige Politi^ des r assise hen Zarenlhums (La politica estera dello zarismo russo) fu pubblicato per la prima volta in tedesco in Neue Zeit, 1890, Vili, 5, e con- temporaneamente in inglese in Time , giugno 1890. - P. 15. 14 F. Engels, La questione delle abitazioni, Roma, Edizioni Rinascita, 1950. - P. 15. lj I due articoli di Engels Soziales aus Russland (Sulla società russa) furono pubblicati nel 1875 SU 1 Voll{sstaat e ripubblicati nel volume F. Engels, Inter - nationales aus dem VoU{sstaat , Berlino, 1894. P cr l a traduzione italiana cfr. Cose internazionali estratte dal « V olkjsstaat », in Marx-Engels-Lassalle, Opere, voi. IV, Milano, Soc. Ed. «Avanti!», 1914. - P. 15. 16 Secondo l'indicazione di Engels, Lenin chiama quarto volume del Capitale 1 opera di Marx Teorie sul plusvalore. Nella prefazione al secondo volume del Capitale Engels scrive: « Mi riservo di pubblicare come Libro IV del Capitale la parte critica di questo manoscritto [Teorie sul plusvalore ], escludendo i numerosi passi già svolti nei Libri II e III » (cfr. K. Marx, Il Capitale , Roma, Edizioni Rinascita, 1953, Libro II, 1, p. io). Quest'opera venne pubblicata nel 1905-1910, a cura di Kautsky, dopo la morte di Engels. - P. 16. 17 Lettera di Engels a J.-Ph. Becker del 15 ottobre 1884. - P. 16. NOTE 537 18 L’opuscolo Commento alla legge sulle multe inflitte agli operai nelle fabbriche e nelle officine fu scritto da Lenin nell’autunno 1895 e pubblicato con una tiratura di 3.000 copie aH’Lnizio di dicembre dalla tipografia clandestina del gruppo della « Volontà del popolo » di Pietroburgo. Sulla copertina dell’opuscolo, per eludere la sorveglianza della polizia, figuravano dei dati immaginari: « Edizione della libreria di A. E. Vasiliev. Kherson, tipografia di K. N. Subotin, via Iekaterina, Casa Kalinin. In vendita presso tutte le librerie di Mosca e Pie- troburgo »; «Approvato dalla censura. Kherson, 14 novembre 1895». La se- conda edizione dell’opuscolo usci a Ginevra nel 1897. - P. 19. ^ Novoie Vremia (Tempo nuovo): giornale pubblicato a Pietroburgo dal 1868 al- l’ottobre del 1917. Appartenne a diversi editori e mutò ripetutamente il suo orientamento politico: da principio liberale moderato, divenne, dopo il 1876, l’organo della nobiltà e della burocrazia reazionaria. Sovvenzionato dal governo zarista, il giornale cominciò a lottare non solo contro il movimento rivoluzio- nario, ma anche contro il movimento liberale borghese. Dopo il 1905 divenne uno degli organi dei Cento neri. - P. 25. 20 Moskjovshie Viedomosti (Notizie da Mosca): uno dei più vecchi giornali russi. Pubblicato dapprima (dopo il 1756) dall’università di Mosca come un modesto foglietto, negli anni sessanta assunse un orientamento monarchico e nazionalistico e sostenne le opinioni degli strati più reazionari dei grandi proprietari fon- diari e del clero. Dopo il 1905 diventò uno degli organi principali dei Cento neri. Cessò le pubblicazioni dopo la Rivoluzione d’Ottobre. - P. 25. 21 Russate Eogatstvo (La ricchezza russa): rivista mensile, pubblicata dal 1876 alla metà del 1918. A partire dall’inizio degli anni novanta divenne l’organo dei populisti liberali e fu diretta da Krivenko e Mikhailovski. La rivista, che propugnava una politica di conciliazione col governo zarista e la rinuncia a ogni lotta rivoluzionaria, lottò ad oltranza contro il marxismo mediante una critica disonesta e calunnie rivolte contro i marxisti russi. - P. 63. 22 Samarskji Viestnik^ (Il messaggero di Samara): si pubblicò a Samara (oggi Kuibyscev) dal 1883 al 1904. Negli anni novanta pubblicò articoli di marxisti russi. - P. 70. 23 II manifesto Agli operai e alle operaie della Thornton fu scritto nel novembre 1895 in occasione dello sciopero organizzato il 5 novembre sotto la guida dell'c Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia » di Pietroburgo, sciopero cui presero parte 500 tessitori della fabbrica Thornton, per ottenere mi- gliori condizioni di lavoro. Lo sciopero si concluse con la vittoria degli operai. Nella primavera del 1896 il manifesto venne ripubblicato all’estero sul n. 1-2 di Kabotnì\. - P. 71. 24 No/7: pettinaccio di lana, dalla fibra corta, poco adatto alla filatura; si ot- tiene trattando la lana con la pettinatrice. Knop : fibra corta, ottenuta mediante la cimatura e poco adatta alla fila- tura. - P. 72. 53 » NOTE 25 Scmizi misura di lunghezza uguale a cinque arscin (3,5 metri circa); veniva usata per fissare le tariffe dei tessitori. - P. 72. 26 Biber e uraì : due tipi di panno. - P. 74. 27 A che cosa pensano i nostri ministri?: uno degli articoli che dovevano com- parire sul Raboceie Dieìo t giornale progettato dall'* Unione di lotta per l’eman- cipazione della classe operaia » di Pietroburgo. Sul primo numero del Raboceie Dielo, scritto quasi completamente da Lenin, avrebbero dovuto comparire i se- guenti articoli di Lenin: l’editoriale Agli operai russi, A che cosa pensano i no- stri ministri?, Friedrich Engels, Lo sciopero di ìaroslavl del 189$. Più tardi in Che fare? Lenin descriverà il contenuto del primo numero del giornale: « Com- pletamente pronto per la stampa, questo numero fu sequestrato dai gendarmi durante una perquisizione operata la notte dall’8 al 9 dicembre 1895 presso uno dei membri del gruppo, Anat. Ales. Vaneiev, cosicché, nella sua prima edizione, il Raboceie Dielo non potè vedere la luce. L’editoriale di quel giornale (che, forse, fra una trentina d'anni una rivista del tipo della Russkjiia Starinà rie- sumerà dagli archivi della polizia) indicava i compiti storici della classe operaia in Russia, e il primo di essi era la conquista della libertà politica. Seguiva un articolo A che cosa pensano i nostri ministri ?, sulle devastazioni poliziesche dei Comitati per l’istruzione elementare, e una serie di corrispondenze non solo da Pietroburgo, ma anche da altre località della Russia (per esempio, su un massacro di operai nel governatorato di ìaroslavl) ». (Ctr. Che jare ?, in Lenin, Opere scelte (in due volumi), voi. I, Mosca 1949, pp. 161-162). I manoscritti di questi ultimi articoli non sono ancora stati rintracciati. Fra le carte di polizia degli archivi di Stato sull'* Unione di lotta* è stata trovata, nel gennaio 1924, soltanto una copia di A che cosa pensano i nostri ministri? - P. 77. 28 Scritto da Lenin mentre si trovava nel carcere di Pietroburgo: il Progetto di programma verso la fine del 1895, la Spiegazione del programma nell’estate del 1896. Nell’archivio dell’Istituto Marx-Engels-Lenin si conservano tre copie del Progetto. La prima, trovata nell’archivio personale di Lenin del 1900-1904, fu scritta da una mano ignota con inchiostro simpatico fra le righe di un arti- colo della rivista Naucnoie Obozrienie (Rassegna scientifica), 1900, n. 5. Questa copia è senza titolo. Le pagine sono numerate a matita da Lenin e contenute in una busta, su cui è scritto di pugno di Lenin: «Vecchio (1895) progetto di programma ». La seconda copia, trovata anch’essa nell’archivio personale di Lenin dello stesso periodo, e dattiloscritta su carta sottile, reca il titolo: «Vecchio (1895) progetto di programma del partito socialdemocratico ». La terza copia, un quaderno ciclostilato, a differenza dalle prime due, non contiene soltanto il Progetto , ma anche la Spiegazione del programma. P, 83. 29 Con lo Statuto del 19 febbraio 1861 sulla soppressione della servitù della gleba, il governo zarista costrinse i contadini a riscattare quel pezzo di terra « che ap- parteneva loro da secoli e che essi avevano irrorato col loro sangue » (Stalin). Il prezzo del riscatto era di due o tre volte più alto del prezzo reale dei lotti di terra assegnati ai contadini. (Cfr. Storia del Partito Comunista ( bol- scevico ) dell URSS , Mosca, Edizioni in lingue estere, 1949, p. 7 e sgg.) - P. 88. NOTE 539 30 Responsabilità collettiva \ i contadini di ogni obstcina erano collettivamente re- sponsabili per la tempestiva e completa esecuzione dei versamenti in denaro c degli obblighi di ogni tipo nei confronti dello Stato e dei grandi proprietari fon- diari (tributi, quote del riscatto, reclutamento, ecc.). Questa forma di asservi- mento dei contadini, conservatasi anche dopo la soppressione della servitù della gleba in Russia, fu eliminata soltanto nel 1906. - P. 88. 31 Dopo la parola « ricusata » il copista probabilmente non è riuscito a decifrare alcune parole dell'originale. Il quaderno ciclostilato reca qui la parola < [la- cuna I # ] », dopo di che segue un frammento di frase: « il dominio dei fun- zionari irresponsabili, che ogni intervento della società negli affari del governo, quanto più volentieri essa offre la possibilità [lacuna II *] ». - P. 102. 32 II manifestino Al governo zarista fu scritto da Lenin in carcere nell’autunno del 1896 e pubblicato in novembre dall'« Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia » di Pietroburgo. Il comunicato del governo sugli scioperi dell'estate del 1896 a Pietroburgo fu pubblicato sul n. 158 del Pravitielstvienny Viestnik, [ (Gazzetta ufficiale) del 19 (31) luglio 1896. - P. 113. 33 L’« Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia» fu organizzata da Lenin nell’autunno del 1895, al fine di riunire tutti i circoli operai mar- xisti di Pietroburgo. L’« Unione di lotta » diresse il movimento operaio rivoluzionario, legando la lotta degli operai per le rivendicazioni economiche alla lotta politica contro lo zarismo: incominciava così ad attuarsi, per la prima volta in Russia, la fusione del socialismo col movimento operaio t il passaggio dalla propaganda marxista in una cerchia ristretta di operai avanzati all’agitazione politica tra le larghe masse della classe operaia. L’«t Unione di lotta » pubblicò mani- festini e opuscoli, fu alla testa degli scioperi, estese la propria influenza in località assai lontane da Pietroburgo e diede un poderoso impulso al raggrup- pamento dei circoli operai in analoghe unioni anche in altre città e regioni della Russia. Nella notte dall'8 al 9 (20-21) dicembre 1895 il gruppo dirigente del- l’« Unione » fu tratto in arresto. Rinchiuso in carcere, Lenin continuò la sua attività rivoluzionaria, aiutando l'« Unione » con consigli e direttive, inviando i testi di manifestini e opuscoli. In carcere scrisse inoltre il progetto di pro- gramma del partito. « L’ ''Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia ” di Pietro- burgo costituì, come disse Lenin, il primo embrione di un partito rivoluzionano basato sul movimento operaio', in ciò risiede la sua importanza» (Cfr. Storia del Partito Comunista ( bolscevico ) dclVURSS , ed. cit., pp. 19-22). - P. 118. 34 II saggio Le caratteristiche del romanticismo economico fu scritto da Lenin nella primavera del 1897, mentre era deportato in Siberia, e fu pubbli- cato per la prima volta in quattro numeri successivi (7-1°» aprile-luglio 1897) della rivista Novoie Slovo , con la firma K. T-n; in seguito apparve nel volume Vladimir Ilin, Studi e articoli di economia t pubblicato nell’ottobre 1898 (nella copertina e nel frontespizio era indicato l’anno 1899). Nel 1908 fu ristampato, con alcune rettifiche e abbreviazioni, nella raccolta La questione agraria. 540 NOTE Nel preparare le edizioni legali del 1897 e del 1898, Lenin fu costretto, per ragioni di censura, a scrivere « teoria moderna » invece di « teoria di Marx» e «teoria del marxismo»; «il noto economista tedesco» invece di «Marx» o «Karl Marx»; «realista» anziché «marxista»; «il trattato» an- ziché « Il Capitale», ecc. Neiredizione del 1908 Lenin corresse nel testo la mag- gior parte delle suindicate espressioni, o le spiegò in nota. Nella seconda e terza edizione delle Opere le correzioni di Lenin sono state riportate in nota a pie’ di pagina. Nella presente edizione sono state riportate nel testo. P. 119. 35 Novoie Slovo (Parola nuova): rivista scientifica, letteraria e politica pubblicata a Pietroburgo a cominciare dal 1894, dapprima dai populisti liberali, poi, dalla primavera del 1897, dai «marxisti legali ». Venne soppressa dal governo zarista nel dicembre 1897. Mentre era deportato in Siberia, Lenin pubblicò sul Novoie Slovo oltre al presente saggio, l’articolo A proposito di una nota di giornale. La rivista pubblicò inoltre articoli di Plekhanov e racconti di Gorki. - P. 119. 38 V. V. (pseudonimo di V. P. Vorontsov) e N.-on, o Nikolai-on (pseudonimo di N. F. Danielson), ideologi del populismo liberale fra il 1880 e il 1900. - P. 122. 37 Negli scritti dell’ultimo decennio del secolo scorso Lenin usò, accanto al ter- mine di « plusvalore » {pribavocnaia stoimost, letteralmente « valore supple- menti »: termine abituale per indicare il «plusvalore» in lingua russa), quello di « super valore » ( svierkh stoimost , che ricalca il tedesco Mehrwert). In seguito Lenin usò esclusivamente il primo termine. - P. 129. 38 K. Marx, // Capitale , ed. cit., 1954, Libro II, 2, p. 31. - P. 140. 39 Ivi, pp. 7-186. - P. 140. 40 A questo punto, nelle edizioni del 1897 e del 1898 Lenin rinviava al volume di M. I. Tugan-Baranovski Promysclennye f^rizisy (Le crisi industriali), parte IL Neiredizione del 1908 Lenin sostituì il riferimento con l’indicazione del suo libro Lo* sviluppo del capitalismo tn Russia, la cui prima edizione apparve nel 1899 (voi. 3 della presente edizione). - P. 140. 41 K. Marx, Il Capitale, ed. cit., Libro II, 2, p. 49. - P. 143. 42 K. Marx, Il Capitale , ed. cit., 1954, Libro III, i, p. 306- - P. 145. 43 K. Marx, Il Capitale , ed. cit., Libro II, 1, p. 333. - P. 157. 44 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, ed. cit., pp. 124-126. P. 168. 45 rfoteziomsmo: sistema in base al quale si impongono elevati dazi doganali sulle merci importate dall’estero, allo scopo di proteggere dalla concorrenza straniera 1 industria capitalistica, nonché le aziende agricole dei grandi proprie- tari fondiari e dei contadini ricchi di un dato paese. Nell'epoca dell'imperialismo la politica protezionistica si propone di assicurare ai monopoli capitalistici la NOTE 54 1 possibilità di vendere le merci sul mercato interno a prezzi più alti e di realizzare un sovrapprofitto monopolistico depredando le masse popolari. - P. 181. 46 Libero scambio : teoria che sosteneva la libertà di commercio; esprimeva gli interessi della borghesia industriale. Fra il 1830 e il 1850 baluardo del libero scambio in Inghilterra furono gli industriali della città di Manchester; i libero- scambisti vennero perciò chiamati anche manche steriani. Il libero scambio ha trovato la sua giustificazione teorica nelle opere di A. Smith e D. Ricardo. - P. 186. 47 Zur Kriti\: inizio del titolo dell’opera di Marx, Zur Kritik der politischen Òkpnomic (Per la critica dell’economia politica) (cfr. Karl Marx, Zur Kritik der politischen Òkpnomic , Erstes Heft. Berlin, Dietz Verlag, 1951, p. 59). Lenin riporta un frammento dalla traduzione russa, non sempre accurata, a cura di P. P. Rumiantsev, pubblicata nel 1896. - P. 188. 48 Nelle edizioni del 1897 e del 1898, Lenin, a causa della censura, non rimandava qui direttamente a Marx, ma a Struve, il quale aveva citato, dalla Critica del programma di Gotha di Marx, il seguente brano: « Prescindendo da quanto si è detto sin qui, era soprattutto sbagliato fare della cosiddetta ripartizione l’essenziale e porre su di essa l’accento principale. « La ripartizione degli oggetti di consumo è ogni volta soltanto conse- guenza della ripartizione delle condizioni di produzione... Il socialismo vol- gare ha preso dagli economisti borghesi (e, a sua volta, una parte della demo- crazia l’ha ripresa dal socialismo volgare) l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione... Dopo che il rapporto reale è stato da molto tempo messo in chiaro, perchè ritornare nuo- vamente indietro? » ( Critica del programma di Gotha, in K. Marx-F. Engels, Il Partito e V Inter nazionale , ed. cit., pp. 232-233). Nell’edizione del 1908 Lenin rimanda direttamente alla Critica del pro- gramma di Gotha di Marx. Nella presente edizione la correzione di Lenin è stata introdotta nel testo. - P. 192. 49 K. Marx, Das Kapital , Dritter Band, Berlin, Dietz Verlag, 1949, pp. 934. 938-939. 940. - P- 193- 60 K. Marx, Das Kapital, Dritter Band, Berlin, Dietz Verlag, 1949, p. 895. - P. 194. 51 G. V. Plekhanov (N. Beltov), K voprosu 0 razvitii monisticeskovo vzghada na istoriti (Sul problema dello sviluppo della concezione monistica della storia). 1 93 8, p. 32, ed. russa. - P. 196. 62 Cfr. Karl Marx, Theorien iiber den Mehrwert. Aus dem nachgelassenen Ma- nuskript « Zur Kritik der politischen Ókonomie », herausgegeben von Karl Kautsky. II. David Ricardo. /, Stuttgart, Dietz, 1910, p. 309. - P. 196. 53 Allusione al populista S. N. Iugiakov. - P. 202. 36 * 54 2 NOTE 64 A causa della censura, Lenin ha qui sostituito la parola « socialisti » (nel- l’originale tedesco Sozialisten ) con la parola « scrittori ». Cfr. Karl Marx, Miseria della filosofia, Roma, Edizioni Rinascita, 1950, p. 120. - P. 204. 65 Ivi, pp. 55-57. - P. 207. 66 K. Marx, Per la critica dell economia politica , ed. cit., pp. 96-97. - P. 209. 67 Nella prima e nella seconda edizione del presente scritto (Novoie Slovo, 1897; Studi e articoli di economia , 1898), Lenin, in conseguenza della cen- sura, non cita il nome di Marx e riporta questo brano de // diciotto brumaio di Luigi Bonaparte dal volume di N. Beltov (G. V. Plekhanov), Sul problema dello sviluppo della concezione monistica della storia. Nella terza edizione {La questione agraria, 1908) Lenin rimanda diretta- mente a Marx e al suo libro, riportando il brano dal volume: K. Marx, Raccolta di scritti storici , Pietroburgo, 1906. Nella presente edizione si è tenuto conto di questa rettifica di Lenin. Cfr. il passo citato da Lenin in K. Marx-F. Engels, Il 1848 in Germania e in Francia , Roma, Edizioni Rinascita, 1948, pp. 286-287. - P. 213. 58 Russ^aia Mysl (Il pensiero russo): rivista mensile orientata in senso liberal- populista, apparsa dopo il 1880. Divenne, dopo la rivoluzione del 1905, organo del partito dei cadetti e fu diretta da P. B. Struve. Venne soppressa verso la metà del 1918. - P. 213. e& K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista , Roma, Edizioni Rina- scita, 1953, p. 125. - P. 218. 60 K. Marx, Dos Kapital , Dritter Band, Berlin, Dietz Verlag, 1949, p. 687. - P. 219. 61 K. Marx, // Capitale , ed. cit., I, 2, p. 218. - P. 220. 62 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra , ed. cit., pp. 55-113. - P. 220. 63 Ivi, pp. 46-47. - P. 228. 84 Karl Marx, Il Capitale , I, 2, ed. cit., p. 216, nota. Nelle edizioni del 1897 e del 1898, alla fine della citazione le parole di Marx « della rivolu- zione sociale » {der soztalen Revolution ) furono da Lenin sostituite a causa della censura con le parole: « della trasformazione sociale ». Nella edizione del 1908 Lenin tradusse queste parole con l’espressione: «del rivolgimento sociale ». La correzione di Lenin è stata introdotta nella presente edizione. - P. 236. 05 In conseguenza della censura Lenin tradusse le parole « questo socialismo » {dìeser Sozialìsmus) con « questa dottrina » « questa tendenza », e la frase « le NOTE 543 stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza » con la frase « le stri- denti sproporzioni nella produzione». A differenza dalla seconda e dalla terza edizione, nella presente edizione le parole « nella produzione » sono sostituite con le parole « nella distribuzione della ricchezza ». Cfr. K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, ed. cit., pp. 122- 125. - P. 239. 66 Con le leggi sul grano , introdotte nel 1815, furono stabiliti in Inghilterra alti dazi doganali sul grano importato dagli altri paesi e talvolta venne addirit- tura vietata l'importazione di grano dall’estero. Le leggi sul grano davano ai grandi proprietari terrieri la possibilità di maggiorare i prezzi del grano sul mercato interno e di ottenere enormi redditi. Attorno a queste, leggi venne condotta una lotta aspra e lunga fra i grandi proprietari fondiari e la borghesia, lotta che si concluse nel 1846 con l’abrogazione delle leggi stesse. - P. 244. 67 Discorso sul libero scambio, in K. Marx, Miseria della filosofia , ed. cit., pp. 157-171* - P- 2 49- 08 L ’Anti-Corn-Law-League (Lega per l’abrogazione delle leggi sul grano) fu fondata verso il 1840 a Manchester. La lega, che era diretta dai fabbricanti tessili Cobden e Bright, lottò per la soppressione degli alti dazi doganali sul grano importato dall’estero, dazi che garantivano redditi ingenti ai grandi proprietari terrieri, e ottenerne la diminuzione del prezzo del grano al fine di ridurre il salario degli operai e accrescere il profitto dei capitalisti. Essa sostenne la necessità del libero scambio in generale e, nel 1846, riuscì a far abrogare dal governo le leggi sul grano. - P. 249. 69 K. Marx, Miseria della filosofia , ed. cit., p. 157. - P. 250. 70 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, ed. cit., p. 253. - P. 250. 71 Die Neue Zeit (Tempo nuovo): rivista della socialdemocrazia tedesca, pub- blicata a Stoccarda dal 1883 al 1923. Fino al 1917 fu diretta da K. Kautsky, dopo il 1917 da G. Cunow. Fra il 1885 e il 1895 vennero pubblicati nella Neue Zeit alcuni articoli di F. Engels, che diede spesso consigli alla redazione della rivista e la criticò aspramente per le sue deviazioni dal marxismo. Dopo il 1890 la rivista cominciò a pubblicare sistematicamente articoli dei revi- sionisti, e durante la prima guerra imperialistica mondiale assunse un atteg- giamento centrista, kautskiano, e sostenne il socialsciovinismo. - P. 251. 72 Si tratta di una parte dello scritto di K. Marx e F. Engels Die deutsche ideologie (L’ideologia tedesca), pubblicato nel 1847 con la firma di Marx sotto forma di articoli sparsi nel mensile Das W cstphàlisches Dampjboot (Il vapore della Vest- falia), e ripubblicato nel 1899 sull’organo della socialdemocrazia tedesca Die Neue Zeit. L’opera completa fu pubblicata per la prima volta nel 1932 in Marx -Engels Gesamtausgabe , ed. cit., Erste Abteilung, Band 4. - P. 251. 73 K. Marx, // Capitale, ed. cit., Libro I, 3, pp. 13 t-i3 2 - - p - 2 5 2 * 74 K. Marx, Das Kapital , Dritter Band, Dictz Vcrlag, Berlin, 1949, p. 774. - P. 252. 544 NOTE 75 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra , ed. cit., p. 324. - P. 256. 70 In conseguenza della censura, Lenin modificò (o cancellò) alcune parole del brano citato di Marx. Egli tradusse le parole « affretta la rivoluzione sociale* con «affretta questo "rivolgimento”*; la frase «solamente in questo senso rivoluzionario * con « solamente in questo senso ». Cfr. K. Marx, Miseria della filosofìa , ed. cit., p. 17 1 - P. 256. 77 L’opuscolo La nuova legge sulle fabbriche fu scritto da Lenin nell’estate del 1897, mentre si trovava deportato in Siberia; l’appendice fu scritta nell’autunno dello stesso anno, dopo la promulgazione (all’inizio di ottobre) del regolamento relativo all’applicazione di questa legge. Il manoscritto dell’opuscolo giunse all’estero solo nell’autunno 1898 e fu pubblicato a Ginevra nel 1899 dal gruppo « Emancipazione del lavoro », nella tipografia dell’Unione dei socialde- mocratici russi. - P. 257. ™ Russie Viedomosti (Notizie russe): giornale pubblicato a Mosca dal 1863, organo degli intellettuali liberali moderati. Dopo il 1905 divenne organo dell’ala destra del partito borghese dei cadetti. Nel 1918 venne soppresso assieme ad altri giornali controrivoluzionari. - P. 307. 70 L’articolo del populista S. N. Iugiakov Prosvietitelnaia utopia (Un’utopia cultu- rale), che recava il sottotitolo Piano per l’istruzione media obbligatoria generale , venne pubblicato nel numero di maggio del 1895 della Russkoie Bogastsvo. Negli articoli Aziende ginnasiali e ginnasi correzionali (cfr. nel presente vo- lume, pp. 63-70) e Perle della progettomania populista (cfr. nel presente volume, pp. 453-485) Lenin denunciò il carattere utopistico e reazionario di questo «piano». - P. 312. 80 L’opuscolo / compiti dei socialdemocratici russi fu scritto da Lenin verso la fine del 1897, mentre si trovava deportato in Siberia, e fu pubblicato per la prima volta a Ginevra nel 1898 dal gruppo «Emancipazione del lavoro». Il manoscritto originale non è stato ritrovato; ne esiste soltanto una copia dovuta ad una mano ignota. L’opuscolo apparve nel 1902 in seconda edizione e nel 1905 in terza edizione, con prefazione di Lenin, e venne inoltre incluso nella raccolta VI. Ilin, In 12 anni , apparsa nel 1907. Nelle edizioni del 1902, del 1905 e del 1907 manca il proclama L'* Unione di lotta » agli operai e ai socialisti di Pietroburgo , presente nella copia manoscritta e, sotto forma di appendice, nella prima edizione. Questo proclama, pubblicato nella prima, nella seconda e nella terza edizione delle Opere, è stato incluso anche nella presente edizione. La copia del manoscritto contiene alcuni errori dovuti al copista. Le inesattezze, contenute anche nella prima edizione dell’opuscolo, vennero corrette dallo stesso Lenin nelle successive edizioni. - P. 315. 81 II partito Naroanoie pravo (Il diritto del popolo), organizzazione clandestina di intellettuali democratici, fu fondato nel 1893 con la partecipazione di ex seguaci della Narodnaia volia , e fu sciolto dal governo zarista nella primavera del 1894. Questa organizzazione pubblicò due documenti programmatici: Una questione urgente e un Manifesto. Per ciò che concerne la valutazione NOTE 545 del Narodnoie pravo come partito politico da parte di Lenin, cfr., nella presente edizione, voi. i (pp. 336-339)» nonché il presente volume, pp. 333-335. La maggior parte dei seguaci del Narodnoie pravo entrò in seguito nel partito dei socialisti-rivoluzionari. - P. 317. 82 II gruppo della «Volontà del popolo», fondato nel 1891, cessò di esistere nel 1896; dal populismo esso passò a poco a poco alla socialdemocrazia. Alcuni suoi membri divennero in seguito militanti attivi del POSDR. Il gruppo stampò, nella propria tipografìa, alcune pubblicazioni dell’« Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia » di Pietroburgo, ad esempio l’opuscolo di Lenin Commento alla legge sulle multe inflitte agli operai nelle fabbriche e nelle officine. Nella stessa tipografia si sarebbe dovuto stampare l’opuscolo Sugli scioperi, che Lenin aveva inviato dal carcere nel 1896, ma non fu possibile perchè la tipografia venne devastata dal governo zarista (finora non si è trovato il manoscritto dclPopuscolo). - P. 317. 83 L'« Unione dei socialdemocratici russi all’estero » fu fondata a Ginevra nel 1894 per iniziativa del gruppo «Emancipazione del lavoro». Essa aveva una propria tipografia, in cui stampava pubblicazioni rivoluzionarie e la rivista Rabotnii{ (Il lavoratore). All’inizio il gruppo « Emancipazione del lavoro » dirigeva l’Unione c ne redigeva le pubblicazioni. In seguito in seno all'Unione ebbero il sopravvento gli elementi opportunisti (« giovani », « economisti »). Nel novembre del 1898, al I Congresso dell’Unione, il gruppo «Emancipa- zione del lavoro » si rifiutò di continuare a redigerne le pubblicazioni. La rot- tura definitiva e l’uscita del gruppo « Emancipazione del lavoro » dall’Unione avvenne nell’aprile 1900, al II Congresso dell’Unione, quando questo gruppo e alcuni suoi seguaci abbandonarono il congresso e crearono l’organizzazione indipendente «Il socialdemocratico». - P. 317. 84 A questo punto nel manoscritto non era scritto « obsteestva » (« della società »), ma *pr-va» (« proizvodstva »: «delia produzione»). Nella prima edizione (1898) questa parola venne decifrata erroneamente come « pravitielstva » («del governo»). Nella seconda edizione (1902), curata da Lenin, l’evidente errore venne corretto. La parola « governo » fu sostituita con la parola « so- cietà ». Questa correzione di Lenin fu introdotta nel testo dell’edizione del 1905 * della raccolta In 12 anni , del 1907* “ P- 3^- 80 II gruppo « Emancipazione del lavoro », primo gruppo marxista russo, venne fondato a Ginevra (in Svizzera) nel 1883 da Plekhanov ed esistette fino al II Congresso del POSDR (1903). Questo gruppo compì un grande lavoro per diffondere il marxismo in Russia, fondò teoricamente la socialdemocrazia e fece il primo passo verso il movimento operaio (cfr. Stona del Partito Comu- nista ( bolscevico ) delVURSS , ed. cit., pp. M c 2 4 )- ^ sso tradusse in lingua russa, pubblicò all’estero e cominciò a diffondere clandestinamente in Russia le opere dei fondatori del marxismo: Manifesto del Partito comunista, Lavoro salariato e capitale di Marx, L’evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza di Engels. Plekhanov e il suo gruppo « Emancipazione del lavoro » assestarono un colpo decisivo al populismo, ma al tempo stesso commisero gravi errori, che 54 6 NOTE furono l’embrione delle future concezioni mensceviche di Plekhanov e di altri membri del gruppo. Per una valutazione dell’attività di questo gruppo e della sua funzione storica cfr. il I cap. della Storia del Partito Comunista ( bolscevico ) dell'URSS, ed. cit. - P. 328. 80 Blanquismo: tendenza del movimento socialista francese, capeggiata da Louis- Auguste Blanqui (1805-1881). Blanqui prese parte attiva al movimento rivo- luzionario francese, fu condannato per due volte a morte e tenuto in carcere per una metà circa della sua vita. I classici del marxismo-leninismo, pur considerando Blanqui un vero rivo- luzionario e un ardente sostenitore del socialismo, in pari tempo lo criticarono aspramente per il suo settarismo e per i suoi metodi cospirativi. « 11 blanquismo — scrisse Lenin nel 1906 nell’articolo Sui risultati di un congresso — è una teoria che nega la lotta di classe. Il blanquismo attende la liberazione dell’uma- nità dalla schiavitù salariata non dalla lotta di classe del proletariato, ma dalle congiure di una piccola minoranza di intellettuali ». - P. 330. 87 L’articolo 11 censimento del 1894-1895 degli artigiani del governatorato dì Perm e i problemi generali dell industria « artigiana » fu scritto nel 1897, in Siberia. I materiali di questo articolo furono utilizzati da Lenin nel volume Lo sviluppo del capitalismo in Russia (voi. 3 della presente edizione). L’articolo venne pubblicato per la prima volta nel 1898, in Studi e articoli di economia ; venne in seguito ristampato nella raccolta La questione agraria (1908). - P. 343. 88 K. Marx, Il Capitale, ed. cit., Libro I, 3, p. 207. - P. 372. 88 K. Marx, Il Capitale, ed. cit., Libro I, 2, p. 92. - P. 395. 80 legegodnil^ Ministerstva Finansov (Annuario del ministero delle finanze), Pie- troburgo, 1869, parte I, p. 225. - P. 418. 81 Truc\-system\ sistema di remunerazione degli operai a mezzo di merci distri- buite dagli spacci istituiti nelle fabbriche e appartenenti ai fabbricanti. I pa- droni costringono gli operai a ricevere, invece del salario in denaro, articoli di consumo di cattiva qualità e a prezzi elevati. Questo sistema, che è un mezzo supplementare per sfruttare gli operai, era diffuso in Russia prevalentemente nei distretti in cui fiorivano le industrie artigiane. - P. 420. 02 ìuridiceski V\estni\ (Bollettino giuridico): rivista mensile di tendenze liberali borghesi; usci a Mosca dal 1867 al 1892. - P. 429. 88 Dielovoi kprrespondent (Il corrispondente degli affari): uscì dal 1886 al 1898 a Iekaterinburg (oggi Sverdlovsk). - P. 434. 84 Cfr. nota 46. - P. 451. c art \ C ^° ^ cr ^ e della progettomania populista venne scritto da Lenin verso la fine del 1897, durante la sua deportazione in Siberia, per la rivista Novoie Slavo , NOTE 547 soppressa dal governo nel dicembre 1897, fatto di cui Lenin non era informato. Nel 1898 l’articolo fu incluso da Lenin in Studi e articoli di economia. - P. 453. 06 1 « discepoli » erano i seguaci di Marx e di Engels. Questo termine venne usato nell’ultimo decennio del secolo XIX quale denominazione legale dei marxisti. - P. 456. 97 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra , ed. cit., p, 325. - P. 463. 98 Grande utopista russo : N. G. Cernyscevski (1828-1889), democratico rivo- luzionario, grande scienziato e critico. Nella rivista Sovremiennik, (Il contem- poraneo), da lui diretta, Cernyscevski fece passare « attraverso tutti gli ostacoli e le barriere della censura l'idea della rivoluzione contadina, l’idea della lotta delle masse per il rovesciamento di tutte le vecchie autorità » (cfr. Lenin, La « riforma contadina» e la rivoluzione contadina-operaia ; voi. 17 della pre- sente edizione). Nel proclama rivoluzionario Ai contadini dei signori , scritto dopo la pubblicazione del manifesto sulla « emancipazione » dei contadini (1861), Cernyscevski fece appello alle masse contadine perchè insorgessero contro lo zar e contro i grandi proprietari fondiari. Marx definì Cernyscevski un grande scienziato e critico russo che seppe mostrare magistralmente il fallimento del l’economia politica borghese. « Cernyscevski — scrisse Lenin — è l’unico scrittore veramente grande, il quale, dagli anni sessanta fino a tutto il 1888, ha saputo restare all'altezza di un materialismo filosofico coerente... Ma Cernyscevski non ha saputo, o meglio non ha potuto, a causa dell’arre- tratezza della vita russa, sollevarsi sino al materialismo dialettico di Marx ed Engels » (Cfr. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo , Roma, Edizioni Rina- scita, 1953, p. 338). Nel 1862, il governo zarista arrestò e condannò Cernyscevski a 7 anni di lavori forzati e alla deportazione a vita in Siberia, Ma queste perse- cuzioni non piegarono Cernyscevski, che continuò a lottare decisamente contro l'autocrazia sino alla fine della sua vita. - P. 476. 99 Noi'us ; pseudonimo di P. B. Struve. - P. 482, 100 K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, ed. cit., p. 80. In seguito Lenin cita questo brano più ampiamente (cfr. la nota a p. 483 del presente volume. - P. 482. 101 A p. 39 della rivista Novoie Slovo (n. 9, giugno 1897), si trova il brano qui menzionato dell’articolo di Lenin Le caratteristiche del romanticismo economico (cfr., nel presente volume, p. 220). - P. 483. 102 K. Marx, Il Capitale , ed. cit., Libro I, 2, p. 218. - P. 483. 103 K. Marx-F. Engels, // 1848 in Germania e in Francia, ed. cit., pp. 249-358. P. 483. 104 Questo articolo, che Lenin scrisse verso la fine del 1897, durante la sua de- portazione in Siberia, venne pubblicato nel 1898 nella raccolta Studi e articoli di economia. - P. 487. 548 NOTE 108 N c i suo articolo Soziales aus Russland (Sulla società russa) (1875), Engels definì Skaldin un conservatore moderato (cfr. nota 15). - P. 502. 106 Parlando dell’* eredità » ideologica degli anni sessanta, Lenin fu costretto, a causa della censufa, a riferirsi a Skaldin. Difatti, Lenin vedeva il principale rappresentante di questa « eredità » in Cernyscevski. In una lettera dalla Siberia del 26 gennaio 1899 (cfr. voi. 34 della presente edizione) Lenin scriveva: « ... non ho mai proposto di accettare Peredità di Skaldin. Che occorra accettare l'eredità di altri è indiscutibile. Mi sembra che la nota a p. 237 [p. 502 del presente volume], in cui appunto alludo a Cernyscevski e indico i motivi per cui mi è sembrato inopportuno sceglierlo per il confronto, mi possa servire da difesa » (contro eventuali attacchi degli avversari). - P. 502. 107 Zemliedielces^aia Gazieta (Gazzetta agricola): pubblicata, a cura del ministero del demanio e delFagricoltura, a cominciare dal 1834, cessò di esistere nel 1917. - P. 508. 108 Viestntk, Evropy (Il messaggero d’Europa): rivista mensile, uscì a Pietroburgo dal 1866 aU’estate del 1918. La rivista propugnava le concezioni della borghesia liberale russa; a cominciare dagli anni novanta condusse una lotta sistematica contro il marxismo. - P. 512. 109 K. Marx-F. Engels, La sacra famiglia , ed. cit., p. 88. - P. 521. 110 N. Kamens\i\ pseudonimo col quale Plekhanov firmava gli articoli pubblicati sul Novoie Slovo. Lenin allude agli attacchi di Mikhailovski contro l’articolo di Plekhanov 0 materialistices^om ponimanii istorii (Sulla concezione materia- listica della storia), pubblicato sul Novoie Slovo nel settembre 1897. - P. 528. 111 Nedielia (La settimana): settimanale populista liberale; uscì a Pietroburgo dal 1866 al 1901. Il giornale lottò contro l'autocrazia e propugnò la cosiddetta teoria delle «piccole cose»: invitò cioè gli intellettuali a rinunciare alla lotta rivoluzionaria e ad interessarsi di «cultura». - P. 531. CRONACA BIOGRAFICA (1895-1897) i«95 18 o 19 febbraio Lenin partecipa, a Pietroburgo, assieme a socialdemocratici (203 marzo) provenienti da diverse città della Russia, ad una confe- renza nella quale si discute il passaggio dalla propaganda del marxismo in circoli ristretti alla agitazione politica di massa, e la pubblicazione di scritti divulgativi per gli operai. aprile 25 aprile (7 maggio) maggio Viene pubblicato, nella raccolta Materiali per uno studio del nostro sviluppo economico , lo scritto di Lenin (firmato eoa lo pseudonimo K. Tulin) Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve . Il vo- lume viene sequestrato dalla censura zarista e quasi tutte le copie vengono bruciate. Lenin si reca al Pesterò per stabilire contatti col gruppo « Emancipazione del lavoro » e per studiare il movimento operaio detPEuropa occidentale. In Svizzera, Lenin conosce i membri del gruppo «Eman- cipazione del lavoro » (Plekhanov e altri), coi quali prende accordi per stabilire legami permanenti e per pubblicare all’estero la raccolta Rabotni\. fine di maggio-giugno ( giugno- primi di luglio ) Risiede a Parigi dove conosce Paul Lafargue. luglio Viene ricoverato in un sanatorio svizzero per un breve periodo di cura. seconda metà di luglio- primi di settembre Durante il suo soggiorno a Berlino, frequenta la biblioteca (prima metà di ago - pubblica, studia la letteratura marxista dei paesi occidentali, sto-metà di settembre) prende parte ad alcune riunioni di operai. 552 CRONACA BIOGRAFICA 25 luglio (6 agosto) 7 (19) settembre fra il y e il 29 settem- bre (19 settembre- 11 ottobre ) 29 settembre (11 ottobre ) autunno novembre non prima del 7 (19) novembre 2$ novembre (y dicembre ) novembre- primi di dicembre ( novembre- metà di dicembre ) 3 (15) dicembre 8 (20) dicembre notte dell'8 (20) dicembre 21 dicembre (2 gennaio 1896) fine dell anno Partecipa a un’assemblea socialdemocratica nel sobborgo ope- raio di Niederbarnim a Berlino. Lenin torna dall’estero. In una valigia a doppio fondo porta pubblicazioni marxiste clandestine. Va a Vilno, Mosca e Orekhovo-Zuevo, dove prende accordi coi gruppi socialdemocratici locali per sostenere la rivista Rabotni \ . Ritorna a Pietroburgo. Fonda a Pietroburgo l’« Unione di lotta per Pemancipazione della classe operaia ». Invia all’estero, per la rivista Rabotni# numerose corrispon- denze sul movimento operaio russo. L’« Unione di lotta » di Pietroburgo pubblica il manifestino Agli operai e alle operaie della fabbrica Thornton, stilato da Lenin. Sul giornale Somari# Viestnik^ viene pubblicato l’articolo Aziende ginnasiali e ginnasi correzionali. Lenin prepara la pubblicazione del primo numero del gior- nale clandestino Raboceie Dielo , organo dell’* Unione di lotta » di Pietroburgo; scrive l’editoriale Agli operai russi , l’articolo A che cosa pensano i nostri ministri ? e altri articoli; redige tutta il numero. Viene dato alle stampe l'opuscolo Commento alla legge sulle multe inflitte agli operai nelle fabbriche e nelle officine. In una riunione del gruppo direttivo dell'« Unione di lotta », presieduta da Lenin, si discute il primo numero del giornale Raboceie Dielo . Vengono arrestati Lenin e i suoi compagni dell'*: Unione di lotta » di Pietroburgo. Nella casa di A. A. Vaneiev la polizia sequestra il materiale del primo numero del Raboceie Dielo, pronto per la stampa. Dopo l’arresto Lenin viene rinchiuso nel carcere giudiziario. Primo interrogatorio di Lenin in carcere. Lenin scrive il progetto di programma del partito social- democratico. CRONACA BIOGRAFICA 553 l 89 ó 1896 Dal carcere Lenin riprende i contatti coi membri dell’* Unio- ne di lotta » di Pietroburgo rimasti in libertà, aiuta l’Unione con consigli e direttive, invia manoscritti di opuscoli e ma- nifestini. primi di gennaio In carcere, comincia a preparare Lo sviluppo del capitalismo in Russia, non prima di marzo Il n. 1-2 del Rabotni\> pubblica l’articolo Friedrich Engels t scritto nel 1895. 30 marzo (11 aprile) Secondo interrogatorio di Lenin in carcere. 7 (19) maggio Terzo interrogatorio. 27 maggio (8) giugno Quarto interrogatorio. estate Lenin scrive la Spiegazione del programma del partito so- cialdemocratico. prima del 25 novem- bre (7 dicembre) L’« Unione di lotta » di Pietroburgo pubblica il manifestino Al governo zarista , stilato in carcere. tè 97 29 gennaio (io febbraio) Il governo zarista decreta che Lenin venga deportato nella Siberia orientale per tre anni e posto sotto la sorveglianza della . polizia. 1 3 (23) febbraio La sentenza viene comunicata a Lenin. 14 (26) febbraio Lenin esce dal carcere, gli viene permesso di restare a Pie- troburgo fino alla sera del 17 febbraio (1 marzo). 14-17 febbraio Si incontra a Pietroburgo con altri «vecchi» membri del- (26 febbraio- 1 marzo ) I‘« Unione di lotta », lasciati in libertà prima di essere in- viati in deportazione, e con rappresentanti dei « giovani ». Nel corso della riunione Lenin critica aspramente l’cecono- mismo » che comincia a manifestarsi tra i « giovani ». 17 febbraio ( 1 marzo ) Lenin parte da Pietroburgo per il suo luogo di deportazione in Siberia. 18-22 febbraio ( 2-6 marzo) Durante il viaggio verso la Siberia Lenin soggiorna a Mosca presso la madre, trattenendosi due giorni in più del tempo consentitogli dalla polizia. 554 CRONACA BIOGRAFICA 22 febbraio (6 marzo) Parte da Mosca. 4 ( 16) marzo Giunge a Krasnoiarsk. 9 marzo-30 aprile Durante la sua permanenza a Krasnoiarsk, Lenin frequenta (2/ marzo-11 maggio) la biblioteca privata di un commerciante del luogo, G. V. Iu- din, per studiare le questioni dello sviluppo economico della Russia. Lo scritto Le caratteristiche del romanticismo economico viene pubblicato nei nn. 7-10 della rivista Novoie Slovo. Nel carcere di Krasnoiarsk Lenin incontra N. E. Fedoseiev. Lenin parte da Krasnoiarsk alla volta di Minusinsk, donde raggiungerà il villaggio di Sciuscenskoie, luogo di depor- tazione. Arriva a Minusinsk. Arriva a Sciuscenskoie (distretto di Minusinsk, governato- rato dello Ienisei). Scrive l’opuscolo La nuova legge sulle fabbriche e la relativa Appendice . Si reca a Minusinsk, dove conosce alcuni seguaci della « Volontà del popolo » e del « Diritto del popolo », ivi de- portati. 29 settembre-4 ottobre Da Minusinsk Lenin si reca nel villaggio di Tesinskoie, presso {11-16 ottobre ) alcuni socialdemocratici ivi deportati. novembre Lascia « senza permesso » Sciuscenskoie e si reca a Minusinsk. seconda metà dell’anno Scrive / compiti dei socialdemocratici russi , Il censimento degli artigiani del governatorato di Perm del 1894-189$ e i problemi generali dell’ industria « artigiana », Perle della progettomania populista , A quale eredità rinunciamo? 1897 Pur trovandosi in deportazione, Lenin continua ad avere contatti coi centri dirigenti del movimento operaio in Russia e col gruppo «Emancipazione del lavoro» all’estero; è inol- tre in corrispondenza coi socialdemocratici deportati in altre località; continua a lavorare al volume Lo sviluppo del ca- pitalismo in Russia. Aiuta con consigli di carattere giuridico i contadini di Sciu- scenskoie e dei dintorni, acquistando fra di essi un grande prestigio. aprile-luglio fine di aprile (metà di maggio) 30 aprile (1 2 maggio) 6 (18) maggio 8 (20) maggio estate e autunno 27-28 settembre ( 9-10 ottobre ) INDICE DEI NOMI Abramov, I. V. - 512, 524, 525. Adler, F. - 16. Alessandro, re di Macedonia - 482, Alessandro III, imperatore di Russia 325. Arakceiev, A. - 473. Atkinson, W. - 206. Babusckìn, I. V. - 444. Bauer, Bruno e Edgar - 14. Bazarov, V. A. - 213. Beltov, N. (pseudonimo di Plekhanov) - 521, 526. Bernstein, E. - 160. Bibikov - 129, 173, Bielov, V. D. - 445. Boborvkin, P. D, - 519. Boisguillebert, P. - 188, 189, 205. Bonaparte, L. - 483. Bowring, J. - 249. Bright, J. - 249. Buniakovski, V. J. - 464. Butakov, S. N. - 422. Danielson, N. V. - V. Nikolai-on. Dianov - 26. Diihring, E. - 15, 220. Durnovo, P. N. - 79, 81. Efrusi, B. - i2i, 122, 128, 129, 158, 159, 161, 162, 165, 166, 169, 173, 174, 183, 189-191, 194, 222, 226, 232-235, 239-241. Elisabetta, regina d’Inghilterra - 228. 36-573 Engelhardt, A. N. - 503-510, 517, 518. Engels, F. - 9-18, 81, 158, 168, 228, 463. 483* 502. Felenev, F. - V. Skaldin W. Feuerbach, L. - 15. Fominski - 418, 419. Fourier, F. * 202, 234. Gogol, N. - 307, 470, 482. Greg, R. - 251, 253. Grinevic, P. - 456. Hegel, G. - 11, 12. Heine, H. - 433. Hope, G. - 251. Iakovlev - 53. Iegunov, A. N. - 384, 445. Iugiakov, S. N. - 64-68, 312, 313, 355, 442, 455-482, 511,518, 526. Iuzov (pseudonimo di O. I. Kablitsa) - 511, 512, 527. Ivanov, I. - 519. Kablitsa, O. I. - V. Iuzov. Kamenski, H. (pseudonimo di Plekha- nov) - 528. Karyscev, N. - 507. Kharizomenov, S. A. - 348, 429. Kit Kityc - 216. Koroboc\a - 470. Korolenko, S. A. - 222, 409. 55 6 INDICE DEI NOMI Korsak, A. K. - 177. Krasnopcrov, E. I. - 349. Krivenko, S. N. - 214. Labriola, A. - 481. Lavrov, P. - 329, 330, 33 2 '334* Levitski, N. - 307, 309, 311-313. Lippert, I. - 122, 250. MacCulloch, J. R. - 137. Malthus, T. R. - 165, 166, 172, 173, 196. Manilov - 307, 311, 313, 373. 437. 44^, 45°' Manuilov, A. A. - 462, 463, 481, 485. Marx, K. - 9-17, 81, 134-136. 160, 175, 180, 192, 196, 204, 213, 236, 238, 249, 251, 482, 483, 485, 521, 529. Maycr, R. - 192. Mikhailovski, N. K. - 39, 48, 221, 456, 471, 481-489. 504, 5”. 512, 524-53I- Mikulin, A. A. - 37, 50-52. Mill, J. - 133- Minski, N. - 489. Molleson, I. I. - 421. Morozov, T. S. - 24-26, 30, 33, 38, 44, 261. Morse, A. - 251. Muiron, J. - 202, 234, Nikolai-on (pseudonimo di N. V. Da- nielson) - 141, 145, 148, 149, 152, 157, 168, 169, 176-180, 187, 188, 200, 201, 203, 205, 207, 208, 210, 219, 220, 223, 225, 228, 229, 238, 239. 241, 354, 371, 373, 442, 478, 483, 511. Novus (pseudonimo di Struve) - 482- 484. Ostrovski, A. N. - 216. Owen, R. - 202, 234, 236. Pereire, I. - 209, 210. Peskov - 37. Plekhanov, G. V. - 15, 329 (v. anche Beltov e Kamenski). Pobiedonostev, K. P. - 79- 81. Ponomariov - 418. Prokhorov - 81. Proudhon, P. J. - 133, 137, i 73 , 207 , 208. Pragavin, V. S. - 348. Ricardo, D. - 133, 137, 143, 148, 163, 164, 189, 193-197- Rodbertus-Jagetzow, K. - 133, 138, 155, 160-163, ! 9 2 - Rozanov, V. V. - 524. Ruge, A. - 14. Saint-Simon, H. - 209. Sartakov - 419. Sazonov, G. P. - 51 1. Say, J. B. - 145. Schulze-Gàwernitz, H. - 462, 531. Sciarapov, S. - 478-481. Sciorin - 38. Skaldin (pseudonimo di F. P. Iele- nev) - 490-504. 507. 508. Sieber, N. I. - 153, 164, 169, 175-177. Sismondi, J. G. - 121-135, 137-151, 154-169, 171-185, 187-198, 201, 203, 206, 208, 212, 213, 216-219, 221, 223, 225-240, 243-247, 250, 251, 253- 255. 483. Smith, A. - 128-131, 133-136, 139-144, 147, 150, 155, 157, 162, 163, 190, 192, 193, 226, 449, 502. Stasiulevic, M. M. - 501. Stepanov, I. I. - 213. Struve, P, B. - 188, 192, 202, 220, 462, 471, 526, 531, (v. anche Novus). Thompson, W. - 202, 234. Thornton W. T. - 71, 72. Tugan-Baranovski, M. 1. - 157, 159, 188, 512. V. V. (pseudonimo di Vorontsov) - 141, 145, 179, 214, 221, 230, 241, 312, 354, 355» 362, 373, 380, 415, 428, 442, 504, 507, 51 1, 516, 518, 526- 528, 531. Verkhovski - 58. Volghin, A. - 179, 221, 230, 378. Volynski, A. - 524, 525. Vorontsov, V. - Vedi V. V. Wagner, A. - 240. Wittc, S. I. - 108, 114, 116, 259. Zasulic, V. - 15. Zlatovratski, N. N. - 483. INDICE DEI GIORNALI E DELLE RIVISTE Deuisch - Franzo stsche Jahrbiicher (An- nali franco-tedeschi) - 14. Dielovoi Korrcspondcnt (Il corrispon- dente degli affari) - 434. Edinburgh Rcview (Rivista di Edim- burgo) - 137. Egegodni\ ministerstva finansov (An- nuario del ministero delle finanze) - 374. 418. luridicesbj Vicstm\ (Bollettino giuridi- co) - 429. Lictuci hsto\ « Gruppy narodovoltscv » (Foglio volante del gruppo c Volon- tà del popolo») - 317, 324. Moskpvskie Vicdomosti (Notizie da Mo- sca) - 25, 26, 43, 278, 489, 498, 524, 525. 532. Ncdiclia (La settimana) - 531. Ncuc Zcit (Tempo nuovo) - 251. Novoic Slovo (Parola nuova) - 214, 313, 475, 519. Novoie Vremia (Tempi nuovi) - 25. Neue Rhcinische Zeitung (Nuova gaz- zetta renana) - 14. Oticccstviennyc Zapiski (Annali patrii) - 490, 503. Fermshic Gubcrnskie Vicdomosti (Noti- ziario del governatorato di Perm) - 445. Praviticlstvienny Vicstni\ (Gazzetta uf- ficiale) - 115. Rabotniì{ (Il lavoratore) - 317. Russfaia Mysl (Il pensiero russo) - 213. Russ^oie Bogatstvo (La ricchezza russa) - 63, 64, 121, 129, 158, 159, 161, 162, 165, 174, 175, 1 81, 188, 190, 191, 194, 213, 234, 238-240, 312, 455, 456, 462-464, 467, 472, 478, 482, 489, 506, 507, 511, 518, 525, 526, 528, 531. Russie Vicdomosti (Notizie russe) - 307, 3ii, 3L2. Samar ski Vic$*nik (Il messaggero di Samara) - 70. Schmollcrs Jahrbuch (Annuario di Schmoller). Sozial-Dcmokra : (Il socialdemocratico) - 15 - Ukazatel Fabnì{ i zavodov (Indicatore delle fabbriche e delle officine) - 418. Viestm\ Evropy (Il messaggero d'Euro- pa) - 512, 525. Viestnik^ Finansov, Fromysclicnnosti t Torgovli (Bollettino delle finanze, dell’industria e del commercio) - 264, 268, 272, 273, 296, 303. W estphàltsches Dampfboot (Il vapore della Vestfalia) - 251. Zemlicdielccskaia Gazicta (Gazzetta agricola) - 508 36 * GLOSSARIO Artel: Bar steina: Desiatina : Kulak: Mir: Nadiel: Obrok: Obs teina: 1) organizzazione economica volontaria, di tipo corporativo- coopcrativo, della Russia zarista, costituita anche allo scopo di migliorare le condizioni d’ingaggio degli associati come salariati; aveva breve durata (anche una sola stagione) ed era priva di personalità giuridica; 2) copcrativa artigiana di produzione. lavoro obbligatorio gratuito che il contadino eseguiva sulle terre signorili al tempo della servitù della gleba {corvée). h. 1,092. contadino agiato che impiegava lavoratori a salario o li sfruttava con contratti usurari. 1) comunità di villaggio, lo stesso che obsteina ; 2) assemblea dei membri òc\Y obsteina. lotto di terra che la famiglia contadina aveva ricevuto in godi- mento all’epoca feudale, destinato a fornirle la sussistenza ne- cessaria in modo che essa potesse eseguire gratuitamente il lavoro sulle terre dell’azienda signorile. Questo lotto la riforma del 1861 lo assegnò alla famiglia stessa, dopo averne stralciato una parte considerevole a favore dei proprietari fondiari ( otrezki )• una delle forme fondamentali di sfruttamento dei contadini da parte dei signori feudali al tempo della servitù della gleba, per cui il signore percepiva dai contadini un introito in natura o denaro. Il termine serviva anche a indicare lo stesso introito del signore feudale. (letteralmente comunità ) organizzazione contadina di villaggio, a carattere amministrativo e di casta, per i cui membri vigeva, per GLOSSARIO 559 Otrabotkj: Remeslenni^: Sfapstcik: Staro sta: Volost: Votcina : Zemstvo : ciò che concerneva il fisco, il principio della responsabilità col- lettiva; i membri òc\\*obstcina t inoltre, possedevano la terra in comune, senza alcun diritto di proprietà sugli appezzamenti coltivati. lavoro obbligatorio per il proprietario fondiario dopo l'abolizione della servitù della gleba; poteva essere convertito nel versamento di una quota parte dei prodotti della terra, o assumere la forma di vere c proprie prestazioni gratuite per la terra ceduta ai con- tadini, per gli usi civici, ecc. artigiano che lavora non per il mercato, ma per il cliente con- sumatore. L’artigiano in generale, indipendentementemeijte dal fatto che lavori per il mercato o dietro ordinazione, nel linguaggio corrente veniva chiamato gustar, da noi tradotto costantemente « arti- giano ». 1) accaparratore, speculatore; 2) nella Russia prerivoluzionaria, imprenditore che fornisce al- l’artigiano le materie prime, ausiliarie ecc., accaparrandosi poi i prodotti finiti. 1) funzionano, elettivo o designato, cui veniva affidata la di- rezione di una collettività non grande; 2) funzionario elettivo con mansioni amministrative e di polizia nella comunità del villaggio ( obsteina ). circoscrizione territoriale rurale, la più piccola unità ammini- strativa della Russia zarista; più volosti gravitanti attorno ad una città costituivano un uiezd (distretto). una delle forme del possesso fondiario feudale della Russia dei secoli XII-XVII, patrimonio ereditario, tramesso di « padre in figlio ». Della votcina il proprietario poteva disporre a proprio piacere (alienarla, dividerla, ecc.). sistema delle istituzioni di autoamministrazione locale cui pote- vano accedere i soli elementi provenienti dalla borghesia e dalla nobiltà. INDICE Nota dell’editore 5 1895 FRIEDRICH ENGELS 7-18 COMMENTO ALLA LEGGE SULLE MULTE INFLITTE AGLI OPERAI NELLE FABBRICHE E NELLE OFFICINE I9-Ó2 I. Che cosa sono le multe, p. 21 - IL Come venivano in- flitte le multe una volta e che cosa ha provocato le nuove leggi sulle multe, p. 23 - III. Per quali motivi il fabbri- cante può infliggere multe, p. 28 - IV. Ammontare delle multe, p. 36 - V. Qual è la procedura per l’applicazione delle multe, p. 39 - VI. Come dev’essere impiegato, se- condo la legge, il provento delle multe, p. 44 - VII. Le leggi sulle multe si estendono a tutti gli operai?, p. 56 - Vili. Conclusioni, p. 59. AZIENDE GINNASIALI E GINNASI CORREZIONALI 63-70 AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE DELLA THORNTON . . . . . . 7 1 '75 A CHE COSA PENSANO I NOSTRI MINISTRI? 77 "® 2 PROGETTO E SPIEGAZIONE DEL PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIAL- DEMOCRATICO 83-III Progetto di programma, p. 85 - Spiegazione del pro- gramma, p. 88. AL GOVERNO ZARISTA 1896 . II3-I18 5 6 4 INDICE i8 97 "le caratteristiche del romanticismo economico .... 119-256 Capitolo I - Le teorie economiche del romanticismo . . . 122 I. Si contrae il mercato interno a causa del fallimento dei piccoli produttori?, p. 123 - IL II concetto di reddito nazionale e di capitale in Sismondi, p. 128 - III. Conclu- sioni tratte da Sismondi dalla errata teoria delle due parti della produzione annua nella società capitalistica, p. 134 - IV. Qual è Terrore delle teorie di A. Smith e di Sismondi sul reddito nazionale?, p. 139 - V. L’accumu- lazione nella società capitalistica, p. 143 - VI. Il mercato estero, « via d’uscita dalle difficoltà * per la realizzazione del plusvalore, p. 150 - VII. La crisi, p. 155 - Vili. Ren- dita capitalistica e sovrappopolazione capitalistica, p. 163 - IX. Le macchine nella società capitalistica, p. 173 - X. Il protezionismo, p. 181 - XI. Importanza generale di Sismondi nella storia delTeconomia politica, p. 188. Postscriptum 196 Capitolo II - La critica del capitalismo nei romantici . . . 199 I. La critica sentimentale del capitalismo, p. 199 - II. Ca- rattere piccolo-borghese del romanticismo, p. 21 1 - III. Il problema delTaumento della popolazione industriale a spese di quella agricola, p. 216 - IV. Le aspirazioni pra- tiche del romanticismo, p. 222 - V. Il carattere reazio- nario del romanticismo, p. 229 - VI. Il problema dei dazi sul grano in Inghilterra secondo il romanticismo e se- condo la teoria scientifica, p. 243. LA NUOVA LEGGE SULLE FABRRICHE 257-306 I. Che cosa ha provocato la promulgazione della nuova legge sulle fabbriche?, p. 259 - II. Che cosa bisogna considerare come tempo di lavoro?, p. 262 - III. Di quanto la nuova legge abbrevia il tempo di lavoro?, p. 265 - IV. Che cose secondo la legge il «lavoro not- turno»?, p. 267 - V. Come dimostra il ministero delle finanze che la limitazione del lavoro straordinario sa- INDICE 5 ^ rebbe jibji. Xyflo>KecTDeHHbift peAaKTop B. KoAeanoe TexHHHeCKHA peAaKTOp T. JOpoea rioAnHCaHO k nenaTH 25/VII 1974 r. 4>opMaT 60X8G/ta. ByM. ji . 17 a /<- rieq. ji. 33,7. yq.-H3A. ji. 33,9. H3a. N* 20 052. 3aKa3 573. UeHa 1 p. 37 k. THpajtt 5100. H3AaTejibCTBO «Flporpecc» rocyAapCTBeHHoro KOMMTeTa CoBeTa Mhhhctpob CCCP no AejiaM H3AaTe;ibCTB r no^Hrpa^HH h khhjkhoH TOprOB^H. MocKBa F-21, 3y6oaCKHft tìyjibBap, 21. Hpoc;iaBCKHft no^Hrpa<)}KOM6HHaT «CoiosnojiHrpacJjnpoMa» npn Fo- cyAapcTBennoM KOMmeTe CoBeTa Mhhhctpob CCCP no Ae;iaM H3A3TejlbCTB, nO^Hrpa(J)HH H KHHHCHOft TOprOBJlH. 150014, flpocjiaBjib, yji. CboCoaw, 97.